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Francesco Simoncellihttp://www.blogger.com/profile/[email protected]
Aggiornato: 1 ora 41 min fa

La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni del 2020

Ven, 20/06/2025 - 10:00

In questo pezzo viene ammesso ufficialmente che esiste una rete, una ragnatela, che controlla le rivolte di piazza. Non movimenti spontanei, bensì eterodiretti. Tutte le strade conducono ai Democratici. Essi sono in grado di dosare il modo in cui questa gente protesta, spacca tutto, distrugge e uccide, oppure minaccia solo di farlo, o rimane chiusa in casa. Questi sono movmenti che non nascono dal basso, chi ci sta dentro crede che sia una sua idea che nascano dal basso, ma in realtà sono controllati come un rubinetto dall'alto. Non c'è nessuna ragione per non ritenere, quindi, che la dinamica che vediamo oggi a Los Angeles sia la stessa e che il meccanismo di base sia lo stesso. I danni di questi movimenti servono per fare opposizione politica e vedremo che questa è solamente la prima iterazione di questi massacri cittadini e proteste violente. Senza contare che la retorica di Newsom è anch'essa pilotata ad hoc. Da uno dei principali donatori della sua campagna elettorale? No, lui è solo un intermediario come abbiamo visto nell'articolo della settimana scorsa. Il mandante è sempre il solito: Londra. Soprattutto ora che, come avete letto nel mio ultimo libro “Il Grande Default”, è stata tagliata fuori dalla rete di finanziamenti facili dell'eurodollaro.

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da Time

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-storia-segreta-della-campagna)

Subito dopo le elezioni del 3 novembre accadde una cosa strana: niente.

La nazione si preparava al caos. I gruppi liberal avevano promesso di scendere in piazza, pianificando centinaia di proteste in tutto il Paese. Le milizie di destra si preparavano alla battaglia. In un sondaggio prima del giorno delle elezioni, il 75% degli americani esprimeva preoccupazione per la violenza.

Al contrario, calò un silenzio inquietante. Quando il presidente Trump si rifiutò di ammettere la sconfitta, la risposta non fu un'azione di massa, ma un grido di protesta. Quando i media annunciarono la vittoria di Joe Biden il 7 novembre, scoppiò invece un giubilo, con la gente che si riversava nelle città degli Stati Uniti per celebrare il processo democratico che aveva portato all'estromissione di Trump.

Una seconda cosa strana accadde durante i tentativi di Trump di ribaltare il risultato: le aziende americane gli si rivoltarono contro. Centinaia di importanti dirigenti aziendali, molti dei quali avevano sostenuto la candidatura di Trump e le sue politiche, gli chiesero di ammettere la sconfitta. Al presidente, qualcosa non tornava. “È stato tutto molto, molto strano”, disse Trump il 2 dicembre. “Pochi giorni dopo le elezioni abbiamo assistito a uno sforzo orchestrato per decretare il vincitore, mentre molti stati chiave erano ancora in fase di conteggio”.

In un certo senso, Trump aveva ragione.

C'era una cospirazione che si stava sviluppando dietro le quinte, una cospirazione che ha sia limitato le proteste che coordinato la resistenza degli amministratori delegati. Entrambe le sorprese sono state il risultato di un'alleanza informale tra attivisti di sinistra e titani dell'imprenditoria. Il patto è stato formalizzato in una concisa e poco nota dichiarazione congiunta della Camera di Commercio degli Stati Uniti e dell'AFL-CIO, pubblicata il giorno delle elezioni. Entrambe le parti avrebbero finito per considerarlo una sorta di patto implicito – ispirato dalle massicce, a volte distruttive, proteste per la giustizia razziale – in cui le forze del lavoro si sono unite a quelle del capitale per mantenere la pace e opporsi all'attacco di Trump alla democrazia.

La stretta di mano tra mondo imprenditoriale e sindacale è stata solo una componente di una vasta campagna interpartitica per proteggere le elezioni: uno straordinario sforzo ombra dedicato non a vincere il voto, ma a garantire che fosse libero ed equo, credibile e incorrotto. Per oltre un anno, una coalizione di agenti poco organizzata si è affannata per sostenere le istituzioni americane, sotto l'attacco simultaneo della pandemia e di un Presidente dalle tendenze autocratiche. Sebbene gran parte di questa attività si sia svolta a sinistra, è stata indipendente dalla campagna di Biden e ha attraversato confini ideologici, con contributi cruciali da parte di attori apartitici e conservatori. Lo scenario che i sostenitori ombra cercavano disperatamente di fermare non era una vittoria di Trump. Sono state elezioni così disastrose che non si è potuto intravedere alcun risultato, un fallimento dell'autogoverno democratico che è stato un segno distintivo dell'America fin dalla sua fondazione.

Il loro lavoro ha toccato ogni aspetto delle elezioni. Hanno convinto gli stati a modificare i sistemi e le leggi elettorali e hanno contribuito a ottenere centinaia di milioni di dollari in finanziamenti pubblici e privati. Hanno respinto cause legali per la soppressione del voto, reclutato eserciti di scrutatori e convinto milioni di persone a votare per posta per la prima volta. Hanno esercitato pressioni sui social media affinché adottassero una linea più dura contro la disinformazione e hanno utilizzato strategie basate sui dati per contrastare le diffamazioni. Hanno condotto campagne nazionali di sensibilizzazione pubblica che hanno aiutato gli americani a capire come si sarebbe svolto lo scrutinio nel corso di giorni o settimane, impedendo alle teorie del complotto di Trump e alle sue false affermazioni di vittoria di ottenere maggiore seguito. Dopo il giorno delle elezioni, hanno monitorato ogni punto di pressione per garantire che Trump non potesse ribaltare il risultato. “La storia non raccontata delle elezioni è quella delle migliaia di persone di entrambi i partiti che hanno portato al trionfo della democrazia americana fin dalle sue fondamenta”, afferma Norm Eisen, un importante avvocato ed ex-funzionario dell'amministrazione Obama che ha reclutato repubblicani e democratici nel consiglio del Programma di Protezione degli Elettori.

Trump e i suoi alleati stavano infatti conducendo una propria campagna per rovinare le elezioni. Il Presidente ha trascorso mesi a insistere sul fatto che le schede elettorali per posta fossero un complotto democratico e che le elezioni sarebbero state “truccate”. I suoi scagnozzi a livello statale cercarono di bloccarne l'uso, mentre i suoi avvocati intentarono decine di cause infondate per rendere più difficile il voto – un'intensificazione delle tattiche repressive ereditate dal Partito repubblicano. Prima delle elezioni Trump complottò per bloccare un conteggio legittimo dei voti e trascorse i mesi successivi al 3 novembre cercando di rubare le elezioni che aveva perso – con cause legali e teorie del complotto, pressioni sui funzionari statali e locali e, infine, convocando il suo esercito di sostenitori al comizio del 6 gennaio, che si concluse con una violenza sul Campidoglio.

I sostenitori della democrazia osservavano allarmati. “Ogni settimana ci sentivamo come se fossimo in lotta per riuscire a portare a termine queste elezioni senza che il Paese attraversasse un momento di disgregazione davvero pericoloso”, ha affermato l'ex-deputato repubblicano Zach Wamp, un sostenitore di Trump che ha contribuito a coordinare un consiglio bipartisan per la protezione elettorale. “Possiamo guardare indietro e dire che è andata abbastanza bene, ma a settembre e ottobre non era affatto chiaro che le cose sarebbero andate così”.

Questa è la storia dall'interno della cospirazione per salvare le elezioni del 2020, basata sull'accesso ai meccanismi interni del gruppo, su documenti inediti e interviste con decine di persone coinvolte di tutto lo spettro politico. È la storia di una campagna senza precedenti, creativa e determinata, il cui successo rivela anche quanto la nazione sia stata vicina al disastro. “Ogni tentativo di interferire con il corretto esito delle elezioni è stato sventato”, ha affermato Ian Bassin, co-fondatore di Protect Democracy, un gruppo apartitico per la difesa dello Stato di diritto. “Ma è di fondamentale importanza che il Paese capisca che non è successo per caso. Il sistema non ha funzionato magicamente. La democrazia non si auto-esegue”.

Ecco perché i partecipanti vogliono che venga raccontata la storia segreta delle elezioni del 2020, anche se sembra un sogno febbrile e paranoico: una cabala ben finanziata di persone potenti, provenienti da settori e ideologie diversi, che lavorano insieme dietro le quinte per influenzare le percezioni, cambiare regole e leggi, orientare la copertura mediatica e controllare il flusso di informazioni. Non stavano truccando le elezioni; le stavano rafforzando. E credono che la popolazione debba comprendere la fragilità del sistema per garantire che la democrazia in America duri.


L'ARCHITETTO

Nell'autunno del 2019 Mike Podhorzer si convinse che le elezioni fossero destinate al disastro e decise di proteggerle.

Non era il suo solito ambito. Per quasi un quarto di secolo, Podhorzer, consigliere senior del presidente dell'AFL-CIO, la più grande federazione sindacale del Paese, raccolse le ultime tattiche e dati per aiutare i suoi candidati preferiti a vincere le elezioni. Modesto e professorale, non è il tipo di persona con i capelli ingellati e “stratega politico” che appare nei notiziari via cavo. Tra gli addetti ai lavori democratici, è noto come il mago dietro alcuni dei più grandi progressi nella tecnologia politica degli ultimi decenni. Un gruppo di strateghi liberal da lui riuniti nei primi anni 2000 portò alla creazione dell'Analyst Institute, un'azienda segreta che applica metodi scientifici alle campagne politiche. È stato anche coinvolto nella fondazione di Catalist, la principale società di dati progressisti.

Le infinite chiacchiere a Washington sulla “strategia politica”, ritiene Podhorzer, hanno poco a che fare con il modo in cui si realizza realmente il cambiamento. “La mia opinione di base sulla politica è che è tutto abbastanza ovvio se non ci si pensa troppo o non si accettano completamente i modelli di pensiero prevalenti”, scrisse una volta. “Dopodiché, basta identificare incessantemente i propri presupposti e metterli in discussione”. Podhorzer applica questo approccio a tutto: quando allenava la squadra di Little League del figlio ormai adulto nella periferia di Washington, insegnò ai ragazzi a non tirare la maggior parte dei lanci – una tattica che fece infuriare sia i loro genitori che quelli degli avversari, ma che fece vincere alla squadra una serie di campionati.

L'elezione di Trump nel 2016 – attribuita in parte alla sua insolita forza tra gli elettori bianchi operai che un tempo dominavano l'AFL-CIO – spinse Podhorzer a mettere in discussione le sue convinzioni sul comportamento degli elettori. Iniziò a far circolare settimanalmente diversi promemoria a una ristretta cerchia di alleati e a tenere sessioni strategiche a Washington. Ma quando iniziò a preoccuparsi per le elezioni in sé, non voleva sembrare paranoico. Solo dopo mesi di ricerca espresse le sue preoccupazioni nella sua newsletter dell'ottobre 2019. I soliti strumenti di dati, analisi e sondaggi non sarebbero stati sufficienti in una situazione in cui il Presidente stesso stava cercando di ostacolare le elezioni, scrisse. “Gran parte della nostra pianificazione ci porta attraverso il giorno delle elezioni”, disse. “Ma non siamo preparati ai due risultati più probabili”: Trump che perde e si rifiuta di ammettere la sconfitta, e Trump che vince il Collegio Elettorale (nonostante la perdita del voto popolare) corrompendo il processo di voto negli stati chiave. “Abbiamo un disperato bisogno di formare sistematicamente una 'squadra rossa' in queste elezioni, in modo da poter anticipare e pianificare il peggio che sappiamo arriverà”.

Si scoprì che Podhorzer non era l'unico a pensarla in quei termini. Iniziò a sentire altri desiderosi di unire le forze. Il Fight Back Table, una coalizione di organizzazioni di “resistenza”, aveva iniziato a pianificare scenari in base al potenziale di elezioni contestate, riunendo attivisti liberal a livello locale e nazionale in quella che chiamavano la Democracy Defense Coalition. Le organizzazioni per il diritto di voto e i diritti civili stavano lanciando l'allarme. Un gruppo di ex-funzionari eletti stava studiando i poteri di emergenza che temevano Trump potesse sfruttare. Protect Democracy stava formando una task force bipartisan per la crisi elettorale. “Veniva fuori che una volta detto ad alta voce, la gente era d'accordo”, disse Podhorzer, “e la situazione ha iniziato a prendere piede”.

Passò mesi a riflettere su scenari e a parlare con esperti. Non fu difficile trovare liberal che consideravano Trump un dittatore pericoloso, ma Podhorzer era attento a evitare l'isterismo. Ciò che voleva sapere non era come la democrazia americana stesse morendo, ma come potesse essere mantenuta in vita. La principale differenza tra gli Stati Uniti e i Paesi che avevano perso il controllo sulla democrazia, concluse, era che il sistema elettorale decentralizzato americano non poteva essere truccato in un colpo solo. Questa rappresentava un'opportunità per rafforzarlo.


L'ALLEANZA

Il 3 marzo Podhorzer redasse un promemoria riservato di tre pagine intitolato “Minacce alle elezioni del 2020”. “Trump ha chiarito che queste non saranno elezioni regolari e che rifiuterà qualsiasi cosa tranne la sua rielezione, definendola 'falsa' e truccata”, scrisse. “Il 3 novembre, se i media dovessero riportare il contrario, userà il sistema informativo di destra per costruire la sua narrativa e incitare i suoi sostenitori a protestare”. Il promemoria delineava quattro categorie di contestazioni: attacchi agli elettori, attacchi all'amministrazione elettorale, attacchi agli oppositori politici di Trump e “tentativi di ribaltare i risultati delle elezioni”.

Poi, al culmine della stagione delle primarie, è scoppiato il COVID-19. I normali metodi di voto non erano più sicuri per gli elettori o per i volontari, per lo più anziani, che normalmente gestiscono i seggi elettorali. Ma i disaccordi politici, intensificati dalla crociata di Trump contro il voto per corrispondenza, hanno impedito ad alcuni stati di facilitarlo e alle giurisdizioni di contare i voti in modo tempestivo. Ne seguì il caos. L'Ohio bloccò il voto in presenza per le primarie, con conseguente bassissima affluenza alle urne. La carenza di scrutatori a Milwaukee, dove si concentra la popolazione nera democratica del Wisconsin, lasciò aperti solo cinque seggi elettorali, in calo rispetto ai 182 precedenti. A New York lo scrutinio richiese più di un mese.

Improvvisamente il potenziale di un crollo a novembre divenne evidente. Nel suo appartamento nella periferia di Washington, Podhorzer iniziò a lavorare dal suo portatile al tavolo della cucina, tenendo riunioni Zoom consecutive per ore al giorno con la sua rete di contatti in tutto l'universo progressista: il movimento sindacale, la sinistra istituzionale (come Planned Parenthood e Greenpeace), gruppi di resistenza (come Indivisible e MoveOn), esperti di dati e strateghi progressisti, rappresentanti di donatori e fondazioni, organizzatori di base a livello statale, attivisti per la giustizia razziale e altri.

Ad aprile Podhorzer iniziò a tenere una videoconferenza settimanale su Zoom di due ore e mezza. Era strutturato attorno a una serie di rapide presentazioni di cinque minuti su tutto, dall'efficacia delle pubblicità alla comunicazione fino alla strategia legale. Gli incontri, accessibili solo su invito, avrebbero presto attirato centinaia di persone, creando una base di conoscenze condivisa per il frastagliato movimento progressista. “A rischio di parlare male della sinistra, non c'è molta condivisione di informazioni”, ha affermato Anat Shenker-Osorio, un'amica intima di Podhorzer la cui guida alla comunicazione, testata tramite sondaggi, ha plasmato l'approccio del gruppo. “C'è la sindrome del 'non inventato qui', per cui le persone non prendono in considerazione una buona idea se non l'hanno avuta loro”.

Gli incontri sono diventati il ​​centro galattico di una costellazione di operatori di sinistra che condividevano obiettivi sovrapposti ma che di solito non lavoravano di concerto. Il gruppo non aveva un nome, né leader, né gerarchia, ma manteneva sincronizzati i diversi attori. “Pod ha svolto un ruolo fondamentale dietro le quinte nel mantenere la comunicazione e l'allineamento tra le diverse componenti dell'infrastruttura del movimento”, ha affermato Maurice Mitchell, direttore nazionale del Working Families Party. “C'è lo spazio per il contenzioso, lo spazio organizzativo, i politici concentrati solo su alcune questioni, e le loro strategie non sono sempre allineate. Ha permesso a questo ecosistema di collaborare”.

Proteggere le elezioni avrebbe richiesto uno sforzo di portata senza precedenti. Con l'avanzare del 2020, si estese al Congresso, alla Silicon Valley e ai parlamenti a livello statale del Paese. Trasse slancio dalle proteste estive per la giustizia razziale, molti dei cui leader erano una parte fondamentale dell'alleanza liberal. E alla fine raggiunse l'altra fazione, nel mondo dei Repubblicani scettici nei confronti di Trump, sconvolti dai suoi attacchi alla democrazia.


GARANTIRE IL VOTO

Il primo compito era quello di rivedere la fragile infrastruttura elettorale americana, nel mezzo di una pandemia. Per le migliaia di funzionari locali, per lo più apartitici, che amministrano le elezioni, la necessità più urgente era il denaro. Avevano bisogno di dispositivi di protezione come mascherine, guanti e disinfettante per le mani. Dovevano pagare le cartoline per informare le persone che potevano votare per corrispondenza o, in alcuni stati, spedire le schede elettorali a ogni elettore. Avevano bisogno di personale aggiuntivo e di scanner per elaborare le schede elettorali.

A marzo gli attivisti avevano fatto appello al Congresso affinché destinasse i fondi per gli aiuti COVID all'amministrazione elettorale. Guidati dalla Leadership Conference on Civil and Human Rights, oltre 150 organizzazioni firmarono una lettera a ogni membro del Congresso chiedendo $2 miliardi in finanziamenti elettorali. L'iniziativa ebbe un certo successo: il CARES Act, approvato più tardi quel mese, prevedeva $400 milioni in sovvenzioni per gli amministratori elettorali statali. Invece la successiva tranche di finanziamenti di soccorso non sarebbe stata sufficiente.

Entrò in scena la filantropia privata. Diverse fondazioni contribuirono con decine di milioni di dollari in finanziamenti per l'amministrazione elettorale. La Chan Zuckerberg Initiative contribuì con $300 milioni. “È stato un fallimento a livello federale che 2.500 funzionari elettorali locali siano stati costretti a richiedere sovvenzioni filantropiche per soddisfare le loro esigenze”, ha affermato Amber McReynolds, un'ex-funzionaria elettorale di Denver che dirige l'istituto apartitico National Vote at Home Institute.

L'organizzazione della McReynolds è diventata un punto di riferimento per una nazione che fatica ad adattarsi. L'istituto fornì ai segretari di stato di entrambi i partiti consulenza tecnica su tutto, dai fornitori da utilizzare a come posizionare le cassette di raccolta. I funzionari locali erano le fonti più affidabili di informazioni elettorali, ma pochi potevano permettersi un addetto stampa, quindi l'istituto distribuì kit di strumenti di comunicazione. In una presentazione al gruppo di Podhorzer, la McReynolds illustrò l'importanza delle schede elettorali per corrispondenza in modo da accorciare le file ai seggi elettorali e prevenire una crisi.

Il lavoro dell'istituto aiutò 37 stati e Washington D.C. a rafforzare il voto per corrispondenza, ma non avrebbe avuto molto valore se le persone non ne avessero tratto vantaggio. Parte della sfida era logistica: ogni stato ha regole diverse su quando e come le schede elettorali devono essere richieste e restituite. Il Voter Participation Center, che in un anno normale avrebbe supportato gruppi locali che inviavano porta a porta i loro elettori e incoraggiarli a votare, condusse invece un focus group ad aprile e maggio per scoprire cosa avrebbe spinto le persone a votare per posta. Ad agosto e settembre inviò le schede elettorali a 15 milioni di persone negli stati chiave, 4,6 milioni delle quali restituite. Attraverso comunicazioni postali e annunci digitali, il gruppo esortò le persone a non aspettare il giorno delle elezioni. “Tutto il lavoro che abbiamo svolto per 17 anni è stato costruito per questo momento, per portare la democrazia a casa delle persone”, ha affermato Tom Lopach, amministratore delegato del Center.

L'iniziativa dovette superare il crescente scetticismo in alcune comunità. Molti elettori neri preferivano esercitare il proprio diritto di voto di persona o non si fidavano della posta. I gruppi nazionali per i diritti civili collaborarono con le organizzazioni locali per far sapere che questo era il modo migliore per garantire che il proprio voto venisse conteggiato. A Filadelfia, ad esempio, i sostenitori distribuirono “kit di sicurezza per il voto” contenenti mascherine, disinfettante per le mani e opuscoli informativi. “Dovevamo far passare il messaggio che questo sistema è sicuro, affidabile e di cui ci si può fidare”, ha affermato Hannah Fried di All Voting Is Local.

Allo stesso tempo gli avvocati democratici dovettero affrontare una serie storica di contenziosi pre-elettorali. La pandemia intensificò i soliti contrasti tra i partiti in tribunale, ma gli avvocati notarono anche qualcos'altro. “Il contenzioso intentato dalla campagna elettorale di Trump, in linea con la più ampia campagna volta a seminare dubbi sul voto per corrispondenza, si basava su affermazioni inedite e su teorie che nessun tribunale ha mai accettato”, ha affermato Wendy Weiser, esperta di diritto di voto presso il Brennan Center for Justice della New York University. “Sembrano più cause legali pensate per inviare un messaggio piuttosto che per ottenere un risultato legale”.

Alla fine quasi la metà degli elettori avrebbe votato per posta nel 2020, una vera e propria rivoluzione nel modo di votare. Circa un quarto votò in anticipo di persona; solo un quarto degli elettori votò nel modo tradizionale: di persona il giorno delle elezioni.


UNO SCUDO CONTRO LA DISINFORMAZIONE

Che attori malintenzionati diffondano false informazioni non è una novità. Per decenni le campagne elettorali si sono scontrate con tutto, dalle telefonate anonime che annunciavano il rinvio delle elezioni ai volantini che diffondevano diffamazioni sulle famiglie dei candidati. Ma le bugie e le teorie del complotto di Trump, la forza virale dei social media e il coinvolgimento di intrusi stranieri hanno reso la disinformazione una minaccia più ampia e profonda per il voto del 2020.

Laura Quinn, veterana dell'operatività progressista e co-fondatrice di Catalist, ha iniziato a studiare questo problema alcuni anni fa. Ha guidato un progetto segreto e anonimo, di cui non ha mai parlato pubblicamente, il quale monitorava la disinformazione online e cercava di capire come contrastarla. Una componente era il tracciamento di bugie pericolose che altrimenti avrebbero potuto diffondersi inosservate. I ricercatori fornivano quindi informazioni ai promotori della campagna, o ai media, per rintracciare le fonti e denunciarle.

La conclusione più importante della ricerca della Quinn è stata che interagire con contenuti tossici non faceva altro che peggiorare la situazione. “Quando si viene attaccati, l'istinto è quello di reagire, denunciare, dire: 'Questo non è vero'”, ha affermato la Quinn. “Ma più engagement ottiene qualcosa, più le piattaforme lo amplificano. L'algoritmo interpreta questo come: 'Oh, è popolare; allora la gente ne vuole di più'”.

La soluzione, ha concluso, era fare pressione sulle piattaforme affinché applicassero le loro regole, sia rimuovendo contenuti o account che diffondevano disinformazione, sia controllandoli in modo più aggressivo fin dall'inizio. “Le piattaforme hanno linee di politica contro certi tipi di comportamenti maligni, ma non le hanno applicate”, ha affermato.

La ricerca della Quinn fornì argomentazioni ai sostenitori che spingevano i social media ad adottare una linea più dura. Nel novembre 2019 Mark Zuckerberg invitò a cena a casa sua nove leader per i diritti civili, i quali lo misero in guardia dal pericolo delle falsità legate alle elezioni che si stavano già diffondendo incontrollate. “Ci sono voluti incitamenti, pressioni, conversazioni, brainstorming, tutto questo per arrivare a un punto in cui sarebbero state applicate regole più rigorose”, ha affermato Vanita Gupta, presidente e CEO della Leadership Conference on Civil and Human Rights, la quale partecipò a suddetta cena e incontrò anche il CEO di Twitter, Jack Dorsey, e altri (Gupta è stata nominata Procuratore Generale Associato dal Presidente Biden). “È stata dura, ma siamo arrivati ​​al punto in cui hanno capito il problema. Era sufficiente? Probabilmente no. Era più tardi di quanto avremmo voluto? Sì. Ma era davvero importante, dato il livello di disinformazione ufficiale, che avessero messo in atto quelle regole e che taggassero e rimuovessero i contenuti”.


DIFFONDERE IL VERBO

Oltre a contrastare la disinformazione, era necessario spiegare un processo elettorale in rapida evoluzione. Era fondamentale che gli elettori capissero che, nonostante le affermazioni di Trump, il voto per corrispondenza non era soggetto a frodi e che sarebbe stato normale se alcuni stati non avessero completato lo scrutinio la notte delle elezioni.

Dick Gephardt, ex-leader democratico della Camera diventato un potente lobbista, ha guidato una coalizione. “Volevamo creare un gruppo realmente bipartisan di ex-funzionari eletti, segretari di Gabinetto, leader militari e così via, con l'obiettivo principale di inviare messaggi alla popolazione, ma anche di parlare con i funzionari locali – i Segretari di stato, i procuratori generali, i governatori che sarebbero stati nell'occhio del ciclone – per far loro sapere che volevamo aiutarli”, ha affermato Gephardt, il quale ha sfruttato i suoi contatti nel settore privato per stanziare $20 milioni a sostegno dell'iniziativa.

Wamp, ex-deputato repubblicano, ha lavorato attraverso il gruppo riformista apartitico Issue One per radunare quei repubblicani a favore dell'iniziativa. “Abbiamo pensato di dover creare un elemento di unità bipartisan su cosa costituisse un'elezione libera ed equa”, ha affermato lo stesso Wamp. I 22 Democratici e i 22 Repubblicani del Consiglio Nazionale per l'Integrità Elettorale si incontravano su Zoom almeno una volta a settimana. Diffondevano annunci in sei stati, rilasciavano dichiarazioni, scrivevano articoli e segnalavano i funzionari locali riguardo a potenziali problemi. “Abbiamo avuto accaniti sostenitori di Trump che hanno accettato di far parte del consiglio basandosi sull'idea che tutto questo fosse onesto”, ha affermato Wamp. Sarà altrettanto importante, diceva loro, per convincere i progressisti qualora Trump avesse vinto. “Qualunque sia il risultato, resteremo uniti”.

Il Voting Rights Lab e IntoAction creavano meme e grafiche specifiche per ogni stato, diffuse tramite e-mail, SMS, Twitter, Facebook, Instagram e TikTok, sollecitando lo scrutinio di ogni voto. Insieme, sono stati visualizzati più di 1 miliardo di volte. La task force elettorale di Protect Democracy pubblicava relazioni e teneva briefing con i media con esperti di alto profilo di tutto lo spettro politico, ottenendo un'ampia copertura mediatica riguardo a potenziali questioni elettorali e una verifica dei fatti sulle false affermazioni di Trump. I sondaggi di monitoraggio dell'organizzazione rilevavano che il messaggio stava venendo recepito: la percentuale di pubblico che non si aspettava di conoscere il vincitore la sera delle elezioni era gradualmente aumentata fino a superare, verso la fine di ottobre, il 70%. La maggioranza riteneva inoltre che uno scrutinio prolungato non fosse un segnale di problemi. “Sapevamo esattamente cosa avrebbe fatto Trump: avrebbe cercato di sfruttare il fatto che i Democratici votassero per posta e i Repubblicani di persona per apparire in vantaggio, proclamare la vittoria, affermare che i voti per corrispondenza erano fraudolenti e cercare di farli annullare”, ha affermato Bassin di Protect Democracy. Definire in anticipo le aspettative del pubblico ha contribuito a smentire queste bugie.

L'alleanza riprese una serie di temi comuni dalla ricerca presentata da Shenker-Osorio durante le sessioni Zoom di Podhorzer. Gli studi dimostravano che quando le persone non credono che il loro voto verrà conteggiato, o temono che esprimerlo possa essere un problema, sono molto meno propense a partecipare. Durante la stagione elettorale i membri del gruppo di Podhorzer ridussero al minimo gli episodi di intimidazione degli elettori e represso la crescente isteria liberal riguardo al previsto rifiuto di Trump di ammettere la sconfitta. Non volevano amplificare false affermazioni coinvolgendoli, né dissuadere le persone dal votare insinuando un gioco truccato. “Quando dici 'Queste affermazioni di frode sono infondate', quello che la gente sente è 'frode'”, ha affermato Shenker-Osorio. “Quello che abbiamo osservato nella nostra ricerca pre-elettorale è che qualsiasi cosa riaffermasse il potere di Trump o lo presentasse come un autoritario diminuiva il desiderio delle persone di votare”.

Podhorzer, nel frattempo, avvertiva tutti quelli che conosceva che i sondaggi stavano sottostimando il sostegno a Trump. I dati che aveva condiviso con le testate giornalistiche che avrebbero annunciato le elezioni erano “estremamente utili” per capire cosa stesse succedendo con l'affluire dei voti, secondo un membro dell'unità politica di un'importante rete che aveva parlato con Podhorzer prima del giorno delle elezioni. La maggior parte degli analisti aveva riconosciuto che ci sarebbe stata una “svolta blu” nei principali campi di battaglia – l'ondata di voti che si sarebbe spostata verso i Democratici, trainata dai conteggi delle schede per corrispondenza – ma non avevano compreso quanto Trump avrebbe probabilmente fatto meglio il giorno delle elezioni. “Essere in grado di documentare l'entità dell'ondata di assenti e la varianza per stato era essenziale”, ha affermato l'analista.


POTERE AL POPOLO

La rivolta per la giustizia razziale scatenata dall'omicidio di George Floyd a maggio non era un movimento politico. Gli organizzatori che contribuirono a guidarla volevano sfruttarne lo slancio per le elezioni senza permettere che venisse cooptata dai politici. Molti di questi organizzatori facevano parte della rete di Podhorzer, dagli attivisti degli stati in bilico che collaboravano con la Democracy Defense Coalition alle organizzazioni con ruoli di primo piano nel Movement for Black Lives.

Il modo migliore per garantire che le voci delle persone fossero ascoltate, decisero, era quello di proteggere la loro possibilità di voto. “Abbiamo iniziato a pensare a un programma che integrasse la tradizionale area di protezione elettorale, ma che non si basasse sul coinvolgimento della polizia”, ​​ha affermato Nelini Stamp, direttrice organizzativa nazionale del Working Families Party. Venne creata una forza di “difensori elettorali” che, a differenza dei tradizionali scrutatori, erano addestrati nelle tecniche di de-escalation. Durante il voto anticipato e il giorno delle elezioni, circondarono le file di elettori nelle aree urbane con un'iniziativa di “gioia alle urne” che trasformò l'atto di votare in una festa di strada. Gli organizzatori neri reclutarono anche migliaia di scrutatori per garantire che i seggi elettorali rimanessero aperti nelle loro comunità.

La rivolta estiva aveva dimostrato che il potere del popolo poteva avere un impatto enorme. Gli attivisti iniziarono a prepararsi a riprendere le manifestazioni se Trump avesse cercato di rubare le elezioni. “Gli americani pianificano proteste diffuse se Trump interferisce con le elezioni”, riportò la Reuters a ottobre, uno dei tanti articoli simili. Oltre 150 gruppi progressisti, dalla Women's March al Sierra Club a Color of Change, da Democrats.com ai Democratic Socialists of America, si unirono alla coalizione “Protect the Results”. Il sito web del gruppo, ora chiuso, conteneva una mappa con l'elenco di 400 manifestazioni post-elettorali programmate, da attivare tramite SMS già a partire dal 4 novembre. Per fermare il temuto colpo di stato, la sinistra era pronta a riversarsi in piazza.


STRANI COMPAGNI DI LETTO

Circa una settimana prima del giorno delle elezioni, Podhorzer ricevette un messaggio inaspettato: la Camera di Commercio degli Stati Uniti voleva parlare.

L'AFL-CIO e la Camera avevano una lunga storia di antagonismo. Sebbene nessuna delle due organizzazioni sia esplicitamente di parte, l'influente lobby imprenditoriale ha investito centinaia di milioni di dollari nelle campagne repubblicane, proprio come i sindacati nazionali ne riversano centinaia ai Democratici. Da una parte i sindacati, dall'altra i dirigenti, intrappolati in un'eterna lotta per il potere e le risorse.

Ma dietro le quinte la comunità imprenditoriale era impegnata in ansiose discussioni su come si sarebbero potute sviluppare le elezioni e le loro conseguenze. Le proteste estive per la giustizia razziale avevano inviato un segnale anche agli imprenditori: il potenziale di disordini civili con effetti devastanti sull'economia. “Con le tensioni alle stelle, c'era molta preoccupazione per i disordini legati alle elezioni, o per un collasso del nostro consueto modo di gestire elezioni controverse”, ha affermato Neil Bradley, vicepresidente esecutivo e responsabile delle politiche della Camera di Commercio. Queste preoccupazioni avevano spinto la Camera di Commercio a rilasciare una dichiarazione pre-elettorale con il Business Roundtable, un gruppo di amministratori delegati con sede a Washington, nonché con associazioni di produttori, grossisti e dettaglianti, invitando alla pazienza e alla fiducia durante lo scrutinio.

Ma Bradley voleva inviare un messaggio più ampio e bipartisan. Contattò Podhorzer, tramite un intermediario che entrambi hanno preferito non nominare. Concordando sul fatto che la loro improbabile alleanza sarebbe stata efficace, iniziarono a discutere su una dichiarazione congiunta in cui impegnavano le loro organizzazioni a sostenere un'elezione equa e pacifica. Scelsero con cura le parole e programmarono la pubblicazione della dichiarazione per ottenere il massimo impatto. Mentre veniva finalizzata, i leader cristiani manifestarono il loro interesse ad aderire, ampliandone ulteriormente la portata.

La dichiarazione venne pubblicata il giorno delle elezioni, a nome dell'amministratore delegato della Camera di Commercio Thomas Donohue, del presidente dell'AFL-CIO Richard Trumka e dei dirigenti della National Association of Evangelicals e del National African American Clergy Network. “È fondamentale che ai funzionari elettorali venga concesso lo spazio e il tempo necessari per contare ogni voto in conformità con le leggi vigenti”, si leggeva. “Invitiamo i media, i candidati e il popolo americano a mostrare pazienza durante il processo e ad avere fiducia nel nostro sistema, anche se richiederà più tempo del solito”. I gruppi aggiunsero: “Sebbene non sempre possiamo essere d'accordo sui risultati desiderati durante le votazioni, siamo uniti nel chiedere che il processo democratico americano proceda senza violenza, intimidazioni o qualsiasi altra tattica che ci indebolisca come nazione”.


PRESENTARSI, RITIRARSI

La notte delle elezioni è iniziata con molti Democratici disperati. Trump era in vantaggio rispetto ai sondaggi pre-elettorali, e vinceva facilmente in Florida, Ohio e Texas e tenendo Michigan, Wisconsin e Pennsylvania troppo vicini per essere definiti. Ma Podhorzer non si scompose quando gli parlai quella sera: i risultati erano esattamente in linea con le sue previsioni. Da settimane avvertiva che l'affluenza alle urne degli elettori di Trump stava aumentando. Mentre i numeri si abbassavano, capiva che, finché tutti i voti fossero stati contati, Trump avrebbe perso.

L'alleanza liberal si era riunita per una chiamata Zoom alle 23:00. Centinaia di persone si unirono; molte erano in preda al panico. “In quel momento era davvero importante per me e il team aiutare a radicare le persone in ciò che sapevamo già essere vero”, ha affermato Angela Peoples, direttrice della Democracy Defense Coalition. Podhorzer presentò i dati per dimostrare al gruppo che la vittoria era a portata di mano.

Mentre parlava, Fox News sorprese tutti scommettendo che l'Arizona sarebbe stata la scelta di Biden. La campagna di sensibilizzazione aveva funzionato: i presentatori televisivi si stavano impegnando al massimo per consigliare cautela e formulare con precisione il conteggio dei voti. La questione era quindi cosa fare.

La conversazione che seguì fu difficile, guidata dagli attivisti incaricati della strategia di protesta. “Volevamo essere consapevoli di quando fosse il momento giusto per chiedere di far scendere in piazza le masse di persone”, ha affermato la Peoples. Per quanto fossero ansiosi di dare prova di forza, una mobilitazione immediata avrebbe potuto ritorcersi contro di loro e mettere a rischio la popolazione. Le proteste che si fossero trasformate in scontri violenti avrebbero dato a Trump un pretesto per inviare agenti federali o truppe, come aveva fatto durante l'estate. E invece di amplificare le sue lamentele continuando a contrastarlo, l'alleanza voleva far passare il messaggio che il popolo aveva parlato.

Così si diffuse la parola d'ordine: ritirarsi. Protect the Results annunciò che “non avrebbe attivato l'intera rete di mobilitazione nazionale oggi, ma rimane pronta ad attivarla se necessario”. Su Twitter i progressisti indignati si chiedevano cosa stesse succedendo. Perché nessuno cercava di fermare il colpo di stato di Trump? Dov'erano tutte le proteste?

Podhorzer attribuisce agli attivisti il ​​merito della loro moderazione. “Avevano dedicato così tanto tempo a prepararsi a scendere in piazza mercoledì, ma alla fine non è stato necessario perché ce l'hanno fatta alle urne”, disse. “Da mercoledì a venerdì non c'è stato un solo incidente tra Antifa e Proud Boys, come tutti invece si aspettavano. E quando questo non si è materializzato, non credo che la campagna di Trump avesse un piano di riserva”.

Gli attivisti riorientarono le proteste di Protect the Results verso un fine settimana di festeggiamenti. “Contrastate la loro disinformazione con la nostra fiducia e preparatevi a festeggiare”, si leggeva nelle linee guida di comunicazione che Shenker-Osorio avevano presentato all'alleanza liberal venerdì 6 novembre. “Dichiarate e rafforzate la nostra vittoria. Sensazione: fiduciosi, lungimiranti, uniti, NON passivi, ansiosi”. Gli elettori, non i candidati, sarebbero stati i protagonisti della storia.

La giornata di festa programmata coincideva con l'indizione delle elezioni del 7 novembre. Gli attivisti che ballavano per le strade di Filadelfia avevano attaccato Beyoncé per un tentativo di conferenza stampa della campagna elettorale di Trump; il successivo incontro dei sostenitori di Trump era previsto al Four Seasons Total Landscaping fuori dal centro città, cosa che gli attivisti ritengono non sia stata una coincidenza. “I cittadini di Filadelfia possiedono le strade di Filadelfia”, esultò Mitchell del Working Families Party. “Li abbiamo resi ridicoli contrapponendo la nostra gioiosa celebrazione della democrazia al loro spettacolo da clown”.

I voti erano stati contati: Trump aveva perso, ma la battaglia non era finita.


I CINQUE PASSI PER LA VITTORIA

Nelle presentazioni di Podhorzer, vincere il voto era solo il primo passo per vincere le elezioni. Dopo di che venivano la vittoria del conteggio, la certificazione, la vittoria del Collegio Elettorale e la vittoria della transizione: passi che normalmente sono formalità, ma che sapeva che Trump avrebbe visto come opportunità di sconvolgimento. In nessun luogo ciò sarebbe stato più evidente che in Michigan, dove la pressione di Trump sui repubblicani locali era pericolosamente vicina a dare i suoi frutti – e dove le forze democratiche progressiste e conservatrici si unirono per contrastarla.

Erano circa le 22:00 della notte delle elezioni a Detroit quando una raffica di messaggi illuminò il telefono di Art Reyes III. Un autobus carico di osservatori elettorali repubblicani era arrivato al TCF Center, dove si stavano contando i voti. Stavano affollando i tavoli dello scrutinio, rifiutandosi di indossare mascherine, e inveendo contro i lavoratori, per lo più neri. Reyes, originario di Flint e leader di We the People Michigan, se lo aspettava. Per mesi i gruppi conservatori avevano seminato sospetti sui brogli elettorali. “Il linguaggio era: 'Ruberanno le elezioni; ci saranno frodi a Detroit', molto prima che si esprimesse il voto”, ha raccontato Reyes.

Si diresse all'arena e inviò un messaggio alla sua rete. Nel giro di 45 minuti arrivarono decine di rinforzi. Mentre entravano nell'arena per fornire un controbilanciamento agli osservatori repubblicani all'interno, Reyes prese nota dei loro numeri di cellulare e li aggiunse a una catena di messaggi. Attivisti per la giustizia razziale di Detroit Will Breathe lavorarono a fianco di donne di periferia di Fems for Dems e di funzionari eletti locali. Reyes se ne andò alle 3 del mattino, consegnando la catena di messaggi a un attivista per la disabilità.

Mentre pianificavano le fasi del processo di certificazione elettorale, gli attivisti adottarono una strategia volta a mettere in primo piano il diritto di decisione delle persone, chiedendo che le loro voci fossero ascoltate e richiamando l'attenzione sulle implicazioni razziali della privazione del diritto di voto dei cittadini neri di Detroit. Inondarono la riunione di certificazione del 17 novembre della commissione elettorale della contea di Wayne con testimonianze; nonostante un tweet di Trump, i membri repubblicani della commissione certificarono i voti di Detroit.

Le commissioni elettorali erano un punto di pressione; un altro erano le assemblee legislative controllate dal Partito repubblicano che Trump riteneva potessero dichiarare nulle le elezioni e nominare i propri elettori. E così il Presidente invitò a Washington, il 20 novembre, i leader repubblicani dell'assemblea legislativa del Michigan, lo Speaker della Camera Lee Chatfield e il leader della maggioranza al Senato Mike Shirkey.

Fu un momento pericoloso. Se Chatfield e Shirkey avessero accettato di esaudire le richieste di Trump, i repubblicani di altri stati avrebbero potuto subire simili intimidazioni. “Temevo che le cose si sarebbero messe male”, ha affermato Jeff Timmer, ex-direttore esecutivo del Partito repubblicano del Michigan diventato attivista anti-Trump. Norm Eisen lo descrive come “il momento più spaventoso” dell'intera elezione.

I difensori della democrazia lanciarono una campagna stampa a 360 gradi. I contatti locali di Protect Democracy indagarono sulle motivazioni personali e politiche dei legislatori. Issue One trasmise spot televisivi a Lansing. Bradley, della Camera, tenne d'occhio l'intero processo. Wamp, ex-deputato repubblicano, chiamò il suo ex-collega Mike Rogers, che scrisse un editoriale per i giornali di Detroit esortando i funzionari a rispettare la volontà degli elettori. Tre ex-governatori del Michigan – i repubblicani John Engler e Rick Snyder e la democratica Jennifer Granholm – chiesero congiuntamente che i voti elettorali del Michigan fossero espressi senza pressioni da parte della Casa Bianca. Engler, ex-presidente del Business Roundtable, telefonò a donatori influenti e ad altri esponenti repubblicani di lunga data che avrebbero potuto esercitare pressioni sui legislatori.

Le forze pro-democrazia si scontrarono con un Michigan repubblicano trumpizzato, controllato dagli alleati di Ronna McDaniel, presidente del Comitato Nazionale Repubblicano, e di Betsy DeVos, ex-Segretario all'Istruzione e membro di una famiglia miliardaria di donatori repubblicani. In una chiamata con il suo team il 18 novembre, Bassin dichiarò che la pressione esercitata dalla sua parte non era all'altezza di ciò che Trump poteva offrire. “Certo è che cercherà di offrire loro qualcosa”, ha ricordato di aver pensato Bassin. “Capo della Space Force! Ambasciatore in chissà dove! Non possiamo competere con lui offrendo carote. Ci serve il bastone”.

Se Trump avesse offerto qualcosa in cambio di un favore personale, ciò avrebbe probabilmente costituito corruzione, ragionò Bassin. Telefonò quindi a Richard Primus, professore di diritto all'Università del Michigan, per verificare se fosse d'accordo e se avrebbe reso pubblica la sua argomentazione. Primus affermò di ritenere l'incontro in sé inappropriato e si mise al lavoro su un editoriale per Politico, avvertendo che il Procuratore generale dello stato – un democratico – non avrebbe avuto altra scelta che indagare. Quando l'articolo fu pubblicato il 19 novembre, il direttore della comunicazione del procuratore generale lo twittò. Protect Democracy venne presto a conoscenza del fatto che i legislatori avevano intenzione di portare avvocati all'incontro con Trump il giorno successivo.

Gli attivisti di Reyes controllarono gli orari dei voli e si riversarono negli aeroporti verso Washington, per sottolineare che i legislatori erano sotto esame. Dopo l'incontro i due annunciarono di aver fatto pressione sul Presidente affinché fornisse aiuti per il COVID ai loro elettori e lo informarono di non vedere alcun ruolo nel processo elettorale. Poi andarono a bere qualcosa al Trump Hotel in Pennsylvania Avenue. Un artista di strada proiettò le loro immagini sulla facciata dell'edificio, insieme alla scritta “IL MONDO STA GUARDANDO”.

Restava un ultimo passaggio: la commissione elettorale statale, composta da due democratici e due repubblicani. Un repubblicano, un sostenitore di Trump impiegato presso l'organizzazione no-profit politica della famiglia DeVos, non avrebbe votato per la certificazione. L'altro repubblicano del consiglio era un avvocato poco conosciuto di nome Aaron Van Langevelde. Non diede alcun segnale sulle sue intenzioni, lasciando tutti con il fiato sospeso.

All'inizio della riunione gli attivisti di Reyes inondarono la diretta streaming e riempirono Twitter con il loro hashtag, #alleyesonmi. Un consiglio abituato a una partecipazione di poche decine di persone si trovò improvvisamente di fronte a un pubblico di migliaia di persone. In ore di testimonianze gli attivisti sottolinearono il loro messaggio di rispetto per la volontà degli elettori e di affermazione della democrazia piuttosto che rimproverare i funzionari. Van Langevelde fece subito capire che avrebbe seguito i suoi colleghi. Il voto, infatti, fu 3-0 per la certificazione; l'altro repubblicano si astenne.

Dopo di che il domino cadde. Pennsylvania, Wisconsin e il resto degli stati certificarono i loro elettori. Funzionari repubblicani in Arizona e in Georgia si opposero alle prepotenze di Trump e il Collegio Elettorale votò secondo i tempi previsti il ​​14 dicembre.


QUANTO CI SIAMO ANDATI VICINI

C'era un ultimo traguardo nella mente di Podhorzer: il 6 gennaio. Il giorno in cui il Congresso si sarebbe riunito per il conteggio dei voti, Trump convocò i suoi sostenitori a Washington per un comizio.

Con loro grande sorpresa, le migliaia di persone che risposero al suo appello non incontrarono praticamente nessun contromanifestante. Per garantire la sicurezza e garantire che non potessero essere incolpati di alcun caos, la sinistra attivista stava “scoraggiando energicamente le contro-attività”, mi scrisse Podhorzer la mattina del 6 gennaio, con un'emoji con le dita incrociate.

Trump si rivolse alla folla quel pomeriggio, spacciando la bugia che i legislatori o il vicepresidente Mike Pence potessero respingere i voti elettorali degli stati. Disse loro di andare al Campidoglio e “combattere come matti”. Poi tornò alla Casa Bianca mentre loro saccheggiavano l'edificio. Mentre i legislatori fuggivano per salvarsi la vita e i suoi sostenitori venivano colpiti e calpestati, Trump elogiò i rivoltosi definendoli “molto speciali”.

Fu il suo ultimo attacco alla democrazia e, ancora una volta, fallì. Facendo marcia indietro, i sostenitori della democrazia superarono in astuzia i loro nemici. “Abbiamo vinto per il rotto della cuffia, onestamente, e questo è un punto importante su cui la gente deve riflettere”, ha afferma la Peoples di Democracy Defense Coalition. “Alcuni sono portati a dire che gli elettori hanno deciso e che la democrazia ha vinto, ma è un errore pensare che questo ciclo elettorale sia stato una dimostrazione di forza per la democrazia. Dimostra invece quanto sia vulnerabile”.

I membri dell'alleanza per la protezione delle elezioni si sono separati. La Democracy Defense Coalition è stata sciolta, sebbene il Fight Back Table sia ancora attivo. Protect Democracy e i sostenitori del buon governo hanno rivolto la loro attenzione alle riforme del Congresso. Gli attivisti di sinistra stanno facendo pressione sui Democratici affinché ricordino gli elettori che li hanno mandati lì, mentre i gruppi per i diritti civili sono in guardia contro ulteriori attacchi al voto. I leader aziendali hanno denunciato l'attacco del 6 gennaio e alcuni affermano che non doneranno più ai legislatori che si sono rifiutati di certificare la vittoria di Biden. Podhorzer e i suoi alleati stanno ancora tenendo le loro sessioni strategiche su Zoom, valutando le opinioni degli elettori e sviluppando nuovi messaggi. E Trump è in Florida, ad affrontare il suo secondo impeachment, privato degli account Twitter e Facebook che ha usato per spingere la nazione al limite.

Mentre scrivevo questo articolo tra novembre e dicembre, ho sentito diverse affermazioni su chi dovesse ricevere il merito di aver sventato il piano di Trump. I liberal sostenevano che il ruolo del potere popolare dal basso non dovesse essere trascurato, in particolare il contributo delle persone di colore e degli attivisti locali. Altri hanno sottolineato l'eroismo di funzionari repubblicani come Van Langevelde e il Segretario di stato della Georgia Brad Raffensperger, che hanno affrontato Trump a un costo considerevole. La verità è che nessuno dei due avrebbe avuto successo senza l'altro. “È incredibile quanto ci siamo andati vicini, quanto sia fragile tutto questo”, ha affermato Timmer, ex-direttore esecutivo del Partito repubblicano del Michigan. “È come quando Wile E. Coyote corre giù da un dirupo: se non guardi giù, non cadi. La nostra democrazia sopravvive solo se tutti ci crediamo e non guardiamo giù”.

Alla fine, la democrazia ha vinto. La volontà del popolo ha prevalso, ma è assurdo, a posteriori, che tutto questo sia ciò che è servito per organizzare un'elezione negli Stati Uniti d'America.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Bitcoin non ha un massimo perché il denaro fiat non ha un minimo

Gio, 19/06/2025 - 10:05

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-non-ha-un-massimo-perche)

La svalutazione si riferisce all'azione o al processo di riduzione della qualità o del valore di qualcosa. Quando si parla di valute fiat, la svalutazione si riferisce tradizionalmente alla pratica di ridurre il contenuto di metalli preziosi nelle monete mantenendo invariato il loro valore nominale, diluendo così il valore intrinseco della moneta stessa. In un contesto moderno, la svalutazione si è evoluta fino a indicare la riduzione del valore o del potere d'acquisto di una valuta, ad esempio quando le banche centrali aumentano l'offerta di moneta, riducendo nel contempo il valore nominale di ciascuna unità.


COMPRENDERE LA SVALUTAZIONE

Prima dell'avvento della cartamoneta e delle monete in metalli come il nichel, la circolazione era costituita da monete realizzate in metalli preziosi come oro e argento. Questi erano i metalli più ricercati all'epoca, il che conferiva loro un valore che andava oltre i decreti governativi. La svalutazione era una pratica comune per risparmiare sui metalli preziosi e utilizzare al loro posto una miscela di metalli di minor valore.

Questa pratica di mescolare metalli preziosi con metalli di qualità inferiore consentiva alle autorità di creare monete aggiuntive con lo stesso valore nominale, ampliando l'offerta di denaro a una frazione del costo rispetto alle monete con un contenuto maggiore di oro e argento.

Oggi monete e banconote non hanno un valore intrinseco, sono semplicemente gettoni che rappresentano valore. Ciò significa che la svalutazione si basa sull'offerta, ovvero sul numero di monete o banconote che l'ente emittente consente di far circolare. La svalutazione ha attraversato processi e metodi diversi nel tempo, pertanto possiamo distinguere tra vecchi e nuovi.


METODO TRADIZIONALE

Fino all'introduzione della cartamoneta, i processi di svalutazione più comuni erano il taglio, la sudorazione e la “tosatura”. Tali metodi venivano impiegati sia da malintenzionati che falsificavano monete, sia dalle autorità che ne aumentavano il numero in circolazione.

La “tosatura” consisteva nel “limare” i bordi delle monete per rimuovere parte del metallo. Come nel caso della sudorazione, i frammenti tagliati venivano raccolti e utilizzati per creare nuove monete.

La sudorazione consisteva nell'agitare energicamente le monete in un sacchetto finché i bordi non si staccavano e si depositavano sul fondo. I pezzi venivano quindi raccolti e utilizzati per creare nuove monete.

Il taglio consisteva nel praticare un foro nella parte centrale della moneta, colmando il vuoto con il resto della moneta martellandolo. La moneta poteva anche essere segata a metà con un tassello di metallo estratto dall'interno. Dopo aver riempito il foro con un metallo più economico, le due metà venivano nuovamente fuse.


METODI MODERNI

L'aumento dell'offerta di moneta è il metodo moderno utilizzato dagli stati per svalutare la valuta. Stampando più moneta, si ottengono più fondi da spendere, ma ciò si traduce in inflazione per i cittadini. La valuta può essere svalutata aumentandone l'offerta, abbassando artificialmente i tassi d'interesse, o implementando altre misure che incoraggiano l'inflazione; sono tutti modi “buoni” per ridurne il valore.


PERCHÉ IL DENARO VIENE SVALUTATO?

Gli stati svalutano la propria moneta per poter spendere senza aumentare ulteriormente le tasse. Svalutare il denaro per finanziare le guerre era un modo efficace per aumentare la massa monetaria e impegnarsi in costosi conflitti senza incidere sulle finanze pubbliche – o almeno così si credeva.

Che si tratti di svalutazione tradizionale o di moderna stampa di denaro, l'aumento dell'offerta ha benefici a breve termine nel rilanciare l'economia; a lungo termine, però, porta a inflazione e crisi finanziarie. Gli effetti di ciò sono avvertiti in modo più acuto da coloro che non possiedono beni durevoli e che potrebbero compensare la perdita di valore della valuta.

La svalutazione può essere causata anche da malintenzionati che introducono monete contraffatte in un'economia, ma in alcuni Paesi essere scoperti può portare alla condanna a morte.

«L’inflazione è contraffazione legalizzata, la contraffazione è inflazione illegale.»
~ Robert Breedlove

Gli stati possono adottare alcune misure per attenuare i rischi associati alla svalutazione e prevenire economie instabili e deboli, ad esempio controllando l'offerta di moneta e i tassi d'interesse entro un intervallo specifico, gestendo la spesa ed evitando prestiti eccessivi.

Qualsiasi riforma economica che promuova la produttività e attragga investimenti esteri contribuisce a mantenere la fiducia nella valuta e a prevenirne la svalutazione.


ESEMPI DAL MONDO

Impero romano

Il primo esempio di svalutazione monetaria risale all'Impero romano, sotto l'imperatore Nerone, intorno al 60 d.C. Durante il suo mandato, Nerone ridusse il contenuto d'argento nelle monete dal 100% al 90%.

L'imperatore Vespasiano e suo figlio Tito affrontarono spese enormi per progetti di ricostruzione post-guerra civile, come la costruzione del Colosseo, il risarcimento alle vittime dell'eruzione del Vesuvio e il grande incendio di Roma del 64 d.C. Il mezzo scelto per sopravvivere alla crisi finanziaria fu quello di ridurre il contenuto d'argento del “denario” dal 94% al 90%.

Il fratello e successore di Tito, Domiziano, vide abbastanza valore nella “moneta forte” e nella stabilità di una massa monetaria credibile tanto da aumentare nuovamente il contenuto d'argento del denario fino al 98%, una decisione che dovette cambiare quando scoppiò un'altra guerra e l'inflazione incombeva di nuovo sull'impero.

Questo processo continuò gradualmente fino a quando, nei secoli successivi, il contenuto d'argento non superò il 5%. L'Impero iniziò a sperimentare gravi crisi finanziarie e inflazione a causa della continua svalutazione della moneta, in particolare durante il III secolo d.C., periodo a volte definito “crisi del III secolo”. In quel periodo, che va dal 235 al 284 d.C. circa, i romani chiesero salari più alti e un aumento del prezzo dei beni venduti per far fronte alla svalutazione. L'epoca fu caratterizzata da instabilità politica, pressioni esterne dovute alle invasioni barbariche e problemi interni come il declino economico e la peste.

Fu solo quando l'imperatore Diocleziano e in seguito Costantino adottarono diverse misure, tra cui l'introduzione di una nuova moneta e l'attuazione di controlli sui prezzi, che l'economia romana iniziò a stabilizzarsi. Tuttavia questi eventi misero in luce le vulnerabilità del sistema economico romano, un tempo potente.

Impero ottomano

Durante l'Impero ottomano l'unità monetaria ufficiale ottomana, l'akçe, era una moneta d'argento che subì una costante svalutazione, passando da 0,85 grammi nel XV secolo a 0,048 grammi nel XIX secolo. La misura volta a ridurne il valore intrinseco fu adottata per coniare più monete e aumentarne l'offerta. Nuove valute, il kuruş nel 1688 e poi la lira nel 1844, sostituirono gradualmente l'akçe ufficiale a causa della sua continua svalutazione.

Enrico VIII

Sotto Enrico VIII, l'Inghilterra aveva bisogno di più denaro, così il suo cancelliere iniziò a svalutare le monete utilizzando metalli meno costosi come il rame per coniarne di più a un costo più accessibile. Alla fine del suo regno, il contenuto d'argento delle monete scese dal 92,5% a solo il 25%, un modo per guadagnare di più e finanziare le ingenti spese militari che la guerra europea in corso richiedeva.

Repubblica di Weimar

Durante la Repubblica di Weimar degli anni '20, il governo tedesco fece fronte ai suoi obblighi finanziari legati alla guerra e al dopoguerra stampando più moneta. La misura ridusse il valore del marco da circa otto marchi per dollaro a 184. Nel 1922 il marco si era deprezzato a 7.350, per poi crollare in una dolorosa iperinflazione quando raggiunse i 4200 miliardi di marchi per dollaro.

La storia ci offre toccanti promemoria dei pericoli dell'espansione monetaria. Questi imperi, un tempo potenti, servono tutti da monito per il moderno sistema fiat. Mentre questi imperi espandevano la loro offerta di moneta, svalutando le loro valute, erano, per molti versi, come la proverbiale aragosta nell'acqua bollente. La temperatura – o in questo caso, il ritmo della svalutazione monetaria – aumentava gradualmente e non riuscivano a riconoscere il pericolo imminente finché non fu troppo tardi. Proprio come un'aragosta non sembra rendersi conto di essere stata bollita viva se la temperatura dell'acqua aumenta lentamente, questi imperi non compresero appieno la portata delle loro vulnerabilità economiche finché i loro sistemi non divennero insostenibili.

La graduale erosione del loro valore monetario non era solo una questione economica; era il sintomo di problemi sistemici più profondi, che segnalavano il declino della forza di imperi un tempo potenti.


LA SVALUTAZIONE NELL'ERA MODERNA

Lo scioglimento del sistema di Bretton Woods negli anni '70 segnò un momento cruciale nella storia economica globale. Istituito a metà del XX secolo, il sistema di Bretton Woods aveva vincolato in modo flessibile le principali valute mondiali al dollaro, a sua volta coperto dall'oro, garantendo un certo grado di stabilità e prevedibilità economica.

Tuttavia la sua dissoluzione slegò di fatto il denaro dalle sue radici auree. Questo cambiamento garantì a banchieri centrali e politici maggiore flessibilità e discrezionalità nella politica monetaria, consentendo interventi più aggressivi nelle economie. Se da un lato questa ritrovata libertà offrì strumenti per affrontare le sfide economiche a breve termine, dall'altro aprì la strada a un uso improprio e a un graduale indebolimento dell'economia.

Sulla scia di questo cambiamento monumentale, gli Stati Uniti subirono modifiche significative nella loro politica monetaria e nell'offerta di moneta. Entro il 2023 la base monetaria sarebbe salita a $5.600 miliardi, con una crescita di circa 69 volte rispetto agli $81,2 miliardi nel 1971.

Riflettendo sull'era moderna e sui significativi cambiamenti nella politica monetaria statunitense, è fondamentale tenere a mente queste lezioni storiche. La continua svalutazione e l'espansione monetaria incontrollata possono protrarsi solo per un certo periodo prima che il sistema raggiunga il punto di rottura.


EFFETTI DELLA SVALUTAZIONE

La svalutazione può avere diversi effetti significativi sull'economia, la cui portata varia a seconda dell'entità della svalutazione e delle condizioni economiche sottostanti.

Ecco alcune delle conseguenze più significative che la svalutazione può generare nel lungo termine.

Tassi d'inflazione più elevati

I tassi d'inflazione più elevati sono gli effetti più immediati e significativi della svalutazione. Man mano che il valore della valuta diminuisce, servono più unità per acquistare gli stessi beni e servizi, erodendone il potere d'acquisto.

Aumento dei tassi d'interesse

Le banche centrali possono rispondere alla svalutazione e all'aumento dell'inflazione rialzando i tassi d'interesse, il che può avere un impatto sui costi di prestito, sugli investimenti aziendali e sui modelli di spesa dei consumatori.

Deterioramento del valore del risparmio

La svalutazione può deteriorare il valore dei risparmi detenuti nella valuta nazionale. Ciò è particolarmente dannoso per gli individui con attività a reddito fisso, come i pensionati che dipendono dalle pensioni o dagli interessi.

Importazioni più costose

Una valuta svalutata può rendere le importazioni più costose, con conseguenti costi più elevati per le imprese e i consumatori che dipendono dai beni esteri. Tuttavia può anche rendere le esportazioni più competitive a livello internazionale, poiché gli acquirenti stranieri possono acquistare beni nazionali a un prezzo inferiore.

Indebolire la fiducia della popolazione nell’economia

La continua svalutazione della valuta può indebolire la fiducia della popolazione nella valuta nazionale e la capacità del governo di gestire l'economia. Questa perdita di fiducia può ulteriormente aggravare l'instabilità economica e causare persino iperinflazione .


SOLUZIONE ALLA SVALUTAZIONE

La soluzione alla svalutazione risiede nella reintroduzione di una moneta sana, ovvero una moneta la cui offerta non può essere facilmente manipolata. Sebbene molti anelino nostalgicamente a un ritorno al gold standard, che si può sostenere fosse superiore ai sistemi contemporanei, non si tratta della soluzione definitiva. Il motivo risiede nella centralizzazione dell'oro da parte delle banche centrali. Se dovessimo tornare al gold standard, la storia probabilmente si ripeterebbe, portando alla confisca e alla svalutazione ancora una volta. In parole povere, se una valuta può essere svalutata, lo sarà.

Come Bitcoin evita la svalutazione

Bitcoin offre una soluzione definitiva a questo problema. La sua offerta è limitata a 21 milioni, un numero codificato e protetto dalla Proof-of-work e da una rete decentralizzata di nodi. Grazie alla sua natura decentralizzata, nessuna singola entità o governo può controllare l'emissione o la governance di Bitcoin. Inoltre la sua scarsità lo rende resiliente alle pressioni inflazionistiche che si verificano tipicamente con le valute fiat.

Essendo un sistema distribuito, gli utenti di Bitcoin possono garantire che l'offerta non si discosti mai dal limite predeterminato eseguendo il software che scarica e convalida l'intero registro delle transazioni. Verificando ogni transazione nella storia di Bitcoin, da dove proviene ogni moneta e dove è andata, gli utenti possono essere assolutamente certi che l'offerta non sarà svalutata e che non saranno create monete che non dovrebbero essere create.

Un full node è essenzialmente una macchina per il rilevamento di contraffazioni che chiunque può usare. Garantisce che l'offerta sia intatta, che le monete spese siano state correttamente autorizzate e che non si verifichino illeciti. Qualsiasi software per wallet Bitcoin può anche garantire che nessuno possa limitare l'accesso ai vostri fondi.

In periodi di incertezza economica, o quando le banche centrali si impegnano in un'intensa attività di stampa di moneta, gli investitori spesso si rivolgono ad asset come oro e Bitcoin per le loro proprietà di riserva di valore. Col passare del tempo, c'è il potenziale per far sì che le persone riconoscano Bitcoin non solo come una riserva di valore, ma come la prossima evoluzione del denaro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La “Big Beautiful Bill” è molto meglio di quanto pensate

Mer, 18/06/2025 - 10:01

Cerchiamo di capire meglio l'importanza che ha la Reconciliation Bill. Il suo campo è quello della spesa non discrezionale. Tutti vorremmo veder tagliato in un colpo solo migliaia di miliardi in spesa in deficit, ma non è così che funziona QUEL MONDO. Il processo di taglio alla spesa non discrezionale deve essere mirato e finora solo una parte dell'esercizio è stato compiuto. Inoltre i tagli proposti dal DOGE non possono diventare effettivi finché non verranno codificati in legge e ciò avviene sotto la Recission Bill (che si occupa di spese discrezionali). A questo punto l'opposizione alla “Big Beautiful Bill” di Trump significa essere utili idioti per l'establishment del Partito repubblicano (neocon, RINO, ecc.). E questo è un trend che continua a manifestarsi sin da quando la FED ha iniziato a contrarre l'offerta di eurodollari per ridimensionare la City di Londra e il sistema bancario (coloniale) europeo. Di fronte a una situazione pratica che si avvicina tanto a quella della teorica, dovremmo esserne tutti felici: i tassi di riferimento stanno rallentando la creazione di credito fiat, stanno rallentando l'offerta di denaro (M2 fino alla settimana scorsa mostrava una crescita anno/anno negativa), così come tutti quegli altri elementi che gli Austriaci hanno sempre criticato. Il sistema monetario, così come quello politico e fiscale, sono sistemi complicati e non sono permeabili a soluzioni “facili”. Dal punto di vista teorico, infatti, la Reconciliation Bill non è una buona legge. Ovvio che non lo sia. Dal punto di vista pratico è il meglio che si possa ottenere attualmente. Certo, c'è spazio per migliorarla... ma quanto può essere migliorata allo stato attuale? Dell'1%? Quanto sarà il costo in capitale politico per altre 6 settimane di discussioni? Decisamente alto. Ogni singolo aspetto della legge può essere votato singolarmente? Certo. Auguri a ottenere, però, una maggioranza di 60 al Senato. La parte divertente è che questa legge, a livello di bilancio, taglia le spese. Le proiezioni del CBO, infatti, sono fallaci visto che partono dal presupposto che rimarrà in vigore il vecchio regime fiscale. E poi conta i tagli delle tasse come un aumento del deficit. Se passa questa legge, Trump può scordarsi del Congresso fino alle elezioni di medio termine. La strategia è quella di invertire quanto fatto dai democratici in precedenza e riportare, quindi, nelle mani dell'esecutivo presidenziale quei poteri che sono stati “esternalizzati” a magistratura e Congresso. Potrà benissimo perseguire il resto della sua agenda riguardo i confini, la magistratura, gli altri aspetti del programma fiscale, i fondi sovrani, ecc. Se voi faceste parte della cricca di Davos, cosa fareste? Allunghereste il brodo quanto più a lungo possibile riguardo l'approvazione di questa legge. Il gioco della cricca di Davos, a questo punto, e lo stiamo vedendo con le rivolte per le strade, è quello di mettere ostacoli di fronte a Trump e arrivare così al 2028.

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di Daniel Lacalle

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-big-beautiful-bill-e-molto-meglio)

Le prospettive di bilancio degli Stati Uniti sono motivo di preoccupazione. Tutti lo capiscono, il problema è che la maggior parte degli economisti keynesiani non è disposta ad ammettere che il problema del deficit sia interamente un problema di spesa.

Coloro che propugnano l'aumento delle tasse e della spesa non considerano mai l'impatto negativo delle tasse sulla crescita e sull'occupazione, né la natura ciclica delle entrate.

Le spese aumentano durante i periodi di crescita economica e aumentano ancora più rapidamente durante le recessioni, il che si traduce costantemente in un debito più elevato.

Le tasse elevate non sono uno strumento per ridurre il debito pubblico, ma per giustificarlo. Aumentando costantemente la spesa pubblica e le tasse, i governi attuano un'espropriazione al rallentatore della ricchezza della nazione.

La Francia è la prova lampante della trappola fiscale keynesiana: ha il cuneo fiscale più alto nell'OCSE, ha un'enorme spesa pubblica e le sue prospettive fiscali sono peggiori di quelle di qualsiasi economia sviluppata, con un deficit insostenibile del 5,8%, soprattutto se consideriamo le sue enormi passività non finanziate che raggiungono il 400% del PIL, in aggiunta all'attuale debito al 116% del PIL.


I doppi standard degli economisti

È interessante notare che molti economisti erano lieti di sostenere il piano economico di Kamala Harris, che prevedeva forti aumenti della spesa, tasse più alte e più debito.

Il Congressional Budget Office aveva ipotizzato un aumento del debito pari a $8.300 miliardi, ipotizzando costi più elevati ed entrate più deboli, con un debito detenuto dal pubblico che sarebbe salito al 134% del PIL entro il 2035.

Gli stessi economisti e premi Nobel che hanno sostenuto il programma della Harris, basato su tasse elevate, spesa elevata e debito, sostengono che la Big Beautiful Bill dell'amministrazione Trump distruggerà i conti nazionali. Perché?

Un ampio consenso tra accademici ed economisti tende a minimizzare la continua crescita della dimensione dello stato nell'economia, ignorando gli effetti negativi delle tasse elevate e di un settore pubblico sovradimensionato sulla crescita, sugli investimenti e sulla produttività.

Uno stato ipertrofico viene sempre difeso. Non sorprende, visto che la maggior parte di questi economisti si occupa di governi ed enti finanziati con fondi pubblici.

Pertanto gli investitori globali leggono sempre stime negative quando un'amministrazione promuove tagli fiscali e riduzioni della spesa, e praticamente nulla quando la spesa pubblica va fuori controllo.


Capire la Big Beautiful Bill

Il concetto di tagli fiscali non finanziati è uno dei più offensivi. I tagli fiscali restituiscono parte del denaro che i cittadini hanno guadagnato. L'unica parte non finanziata di un bilancio è la spesa pubblica in deficit.

Musk ha criticato la “Big Beautiful Bill” definendola “abominevole”, ma dobbiamo capire alcune cose.

Un disegno di legge importante come questo non sarà mai perfetto. L'amministrazione deve trovare il sostegno della maggior parte dei membri del Congresso e del Senato, molti dei quali hanno priorità di bilancio diverse.

Il disegno di legge prevede quasi $1.700 miliardi di tagli alla spesa obbligatoria, la più grande riduzione nella storia degli Stati Uniti. Questi tagli rappresentano modifiche permanenti alla legge.

Il disegno di legge comporterà una riduzione del deficit netto di $1.400 miliardi nel prossimo decennio, tenendo conto sia dei tagli alla spesa sia dei nuovi tagli fiscali.

Non si prende in considerazione alcun impatto positivo derivante da tagli alla spesa discrezionale, entrate dai dazi, o miglioramenti nelle entrate.

La Casa Bianca sostiene inoltre che, se si considerano l'aumento delle entrate tramite i dazi e gli ulteriori tagli alla spesa discrezionale, la riduzione cumulativa del deficit potrebbe raggiungere i $6.600 miliardi.

Prorogando i tagli fiscali del 2017, il disegno di legge impedisce alla maggior parte dei contribuenti di subire aumenti fiscali che si sarebbero verificati se suddetti tagli fossero scaduti. Sostiene gli investimenti, la spesa dei consumatori e la crescita economica. Gli sgravi fiscali mirati stimolano inoltre l'attività economica.

Sarà inoltre essenziale eliminare gli oneri normativi per stimolare la crescita e gli investimenti, generando ulteriori entrate fiscali e riducendo ulteriormente il deficit.

Anche una stima prudente della Tax Foundation prevede un incremento del PIL a lungo termine pari allo 0,8% derivante dalle disposizioni fiscali contenute nel disegno di legge.


L'amministrazione Trump dovrebbe fare di più?

Ciò che trovo sorprendente è che Musk non abbia preso in considerazione l'effetto della Curva di Laffer in questa legge. Posso capire che gli economisti statalisti vogliano negare l'evidente effetto positivo dei tagli fiscali sulla crescita delle entrate, ma un imprenditore serio come lui dovrebbe come minimo presumere un miglioramento significativo delle entrate.

Secondo la mia analisi, questi tagli fiscali e misure di deregolamentazione rappresenteranno una fonte maggiore di riduzione del deficit rispetto ai tagli alla spesa, per quanto essenziali.

L'amministrazione Trump dovrebbe fare di più? Certo che sì. Nessuno, da Bessent a Trump, lo nega.

Ma l'economia statunitense deve uscire da questo incubo fiscale, concentrandosi sulla crescita del settore privato in modo che i tagli alla spesa possano essere estesi e incrementati. In un'economia in cui la crescita del PIL nel 2024 è stata interamente trainata dalla spesa in deficit, è necessario ripulire il disastro e contemporaneamente stimolare la crescita produttiva.

Ogni economista libertario o Austriaco dovrebbe sostenere questa proposta di legge come primo passo essenziale, che potrebbe non essere perfetto ma è fondamentale per l'economia statunitense, e tener presente l'impatto sulla Curva di Laffer di una riduzione delle tasse e la spinta economica della deregolamentazione.

Se non crediamo noi negli effetti positivi dei tagli fiscali e della deregolamentazione, nessun altro ci crederà e la prossima legge sarà più grande e più brutta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Mentre il mondo cerca la pace, l'UE vuole la guerra

Mar, 17/06/2025 - 10:09

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Ulrich Fromy

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/mentre-il-mondo-cerca-la-pace-lue)

Possiamo percepire i venti di guerra che soffiano sull'Europa, mentre il continente agita lo spettro di un conflitto contro la Russia. Di recente la Commissione europea ha presentato una serie di misure per rafforzare la difesa degli stati membri dell'UE, in particolare attraverso il piano ReArm Europe. Il piano, approvato dal Consiglio europeo in seduta straordinaria il 6 marzo 2025, mira a mobilitare €800 miliardi per le capacità di difesa dell'UE. Include un riorientamento dei fondi pubblici, ma non solo: prevede anche l'utilizzo del risparmio pubblico. Come annunciato il 17 marzo 2025, questa strategia mira a ottenere circa €10.000 miliardi di depositi bancari europei e a reindirizzarli verso l'industria bellica e le politiche di difesa pubblica.

Un altro esempio europeo: Valérie Hayer, eurodeputata francese e leader del gruppo Renew Europe al Parlamento europeo, ha di recente dichiarato che il vecchio continente sta vivendo “un momento di gravità” probabilmente mai visto sin dalla Seconda guerra mondiale. Il colpevole? La guerra in Ucraina e la minaccia esistenziale rappresentata dalla Russia per la democrazia e l'ordine europeo. Per far fronte a questa minaccia, lei e altri politici europei vogliono mobilitare i risparmi degli europei per finanziare questo sforzo collettivo nell'industria bellica.


In Francia e Germania

A metà marzo diverse personalità politiche francesi si sono espresse a favore della mobilitazione del risparmio privato per riarmare il Paese di fronte alla minaccia russa. Il 13 marzo il Ministro dell'economia francese, Éric Lombard, si è espresso a favore di questa misura davanti ai senatori francesi. In quel momento non si parlava di creare un conto di risparmio dedicato, ma piuttosto di destinare tutto il capitale risparmiato dalla popolazione.

Tuttavia, di fronte alle diffuse critiche, Éric Lombard ha fatto marcia indietro giovedì 20 marzo e ha annunciato la creazione di un fondo da €450 milioni, gestito da Bpifrance e aperto a investitori individuali che desiderino contribuire allo sforzo di riarmo nazionale diventandone azionisti indiretti. L'importo minimo da investire in questo fondo sarà di €500, con un investimento iniziale massimo che potrebbe essere di “diverse migliaia di euro”. Una volta investiti, questi fondi “sicuri” saranno congelati per almeno cinque anni.

La stessa retorica guerrafondaia si respira anche in Germania. Prima di lasciare l'incarico, Olaf Scholz ha parlato al Bundestag della “Zeitenwende”, la svolta storica che la Germania sta attualmente affrontando. Ha promesso di affrontarla investendo nel riarmo dell'esercito tedesco, la Bundeswehr. Il nuovo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha ottenuto dal parlamento tedesco la possibilità di spendere €1.000 miliardi per il riarmo del Paese. Una spesa senza precedenti in un Paese che ha a lungo delegato la propria difesa nazionale alla NATO e agli Stati Uniti.

Tutti questi investimenti europei vengono presentati come “investimenti sicuri e redditizi” (secondo Valérie Hayer), tuttavia, come la storia ci insegna, questi investimenti sono esattamente l'opposto.


Cosa ci insegna la storia 

«La società è nata dalle opere di pace; l'essenza della società è la costruzione della pace. La pace, non la guerra, è la madre di tutte le cose. Solo l'azione economica ha creato la ricchezza che ci circonda; il lavoro, non la professione delle armi, porta la felicità. La pace edifica, la guerra distrugge.» (Mises, Socialism, p. 59)

Storicamente investire in obbligazioni e fondi di guerra ha sempre significato correre il rischio di scommettere sul cavallo sbagliato. Questa scommessa avrebbe potuto benissimo portare alla rovina dei creditori dello stato sconfitto. Questo accadde in Germania con l'impossibilità di rimborsare le obbligazioni di guerra dopo il 1918. Queste ultime erano diventate prive di valore perché le riparazioni richieste dal Trattato di Versailles e l'iperinflazione della Repubblica di Weimar ne avevano reso impossibile il rimborso.

Al contrario, se lo stato fosse risultato vittorioso, il rimborso di questi prestiti, spesso ingenti, avrebbe potuto richiedere anni, mandando in rovina il creditore a causa dell'inflazione monetaria e della repressione finanziaria attuata dopo il conflitto per cancellare i debiti dello stato. Questo è ciò che accadde negli Stati Uniti dopo il 1945, quando i Victory Bond furono rimborsati. La politica di repressione finanziaria del dopoguerra mantenne bassi i tassi d'interesse e alta l'inflazione del dollaro, causando un graduale deprezzamento della valuta. Con il rimborso dei prestiti, il potere d'acquisto dei creditori diminuì negli anni successivi alla fine della guerra.

Più grave della rovina dei creditori è la rovina della società. Questi investimenti deviano capitali da alternative realmente produttive che migliorano effettivamente le condizioni di vita delle persone; ritardano il progresso dirottando capitali (risorse, lavoro e denaro) verso le industrie della difesa. Non capiscono che la prosperità a breve termine offerta dall'“industria della distruzione” è solo un'illusione e va a scapito della prosperità a lungo termine per la società nel suo complesso.

Qualsiasi società militarizzata, sciovinista e guerrafondaia non farà altro che arretrare ulteriormente lungo la strada del progresso e del miglioramento delle condizioni di vita, reso possibile dalla migliore allocazione possibile del capitale nella struttura produttiva della società. Come scrisse l'economista Frédéric Bastiat, la guerra è un'illusione di ricchezza: crea un'attività economica che si vede (l'industria bellica), ma sempre a scapito di quello che “non si vede” (ovvero opportunità perse e costi differiti). La guerra non è mai una via d'uscita da una crisi, ma la crisi definitiva che una società possa affrontare.

In breve, i guerrafondai di ogni tipo – eccitati dall'idea di trarre profitto finanziario da una possibile guerra – non capiscono nulla di economia o di storia. Peggio ancora, non capiscono nulla di guerra.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'attacco con i droni ordito dallo Stato profondo mirava ad aggravare la guerra in Ucraina

Lun, 16/06/2025 - 10:02

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lattacco-con-i-droni-ordito-dallo)

Lo Stato profondo sta cercando, ancora una volta, di mettere i bastoni tra le ruote a Trump.

Ci riferiamo all'attacco assolutamente sconsiderato al deterrente nucleare strategico russo, presumibilmente da parte dell'esercito ucraino. Sì, proprio quello, così debole e incompetente da aver finora perso un quinto del suo territorio, nonostante oltre 150.000 soldati morti secondo il colonnello Douglas Macgregor e oltre $200 miliardi in aiuti militari ed economici statunitensi ed europei.

Il recente attacco coi droni, secondo lo stesso Zelensky, è stato pianificato in quasi 20 mesi. Quindi è stato sicuramente concepito, preparato e preposizionato con il supporto delle operazioni segrete statunitensi e poi lanciato e guidato dai servizi segreti statunitensi.

Detto in senso inverso, sembra che forze che sicuramente non erano le malconce forze armate ucraine abbiano attaccato il cuore del deterrente nucleare russo. Ed è probabile anche che Trump non ne sia stato informato in anticipo!

Dopotutto quando Trump ha affermato che “Putin è impazzito” qualche giorno fa, non sapeva nemmeno – per sua stessa ammissione pubblica – che uno sciame di droni ucraini avrebbe attaccato l'elicottero di Putin. E ancora una volta, dati gli ingenti livelli di protezione che lo circondano, non c'è la minima possibilità che l'esercito ucraino sia riuscito a sfiorare il demonizzato dittatore russo senza il supporto dell'intelligence statunitense.

Pertanto siamo fortemente propensi a credere che lo Stato profondo stia ancora una volta sabotando Donald Trump, tenendolo all'oscuro di operazioni cruciali che incidono pesantemente sul rischio di un'escalation e di una guerra contro la Russia.

Inoltre crediamo che Trump stia cercando di fungere da onesto pacificatore sul fronte ucraino e non crediamo nemmeno per un attimo che sarebbe stato talmente tanto sconsiderato, consapevolmente, da mettere a repentaglio quanto fatto finora autorizzando attacchi contro quattro o cinque aeroporti strategici russi.

È quindi necessario comprendere che quanto viene riportato, ovvero la distruzione o il grave danneggiamento di un certo numero di bombardieri strategici intercontinentali pesanti della Russia, in almeno quattro diverse basi russe a migliaia di chilometri dai confini dell'Ucraina e tra loro, costituisce una escalation della guerra per procura contro la Russia, che si sta avvicinando al baratro di uno scontro nucleare.

Questi attacchi ai bombardieri strategici russi tramite sciami di droni nominalmente “ucraini” – circa 120 dispositivi in ​​totale – rappresentano oltre il 20-25% del ramo bombardieri della triade di deterrenza nucleare russa. Ciononostante questi ultimi non hanno avuto quasi alcun ruolo negli attacchi russi all'Ucraina, perché nel teatro di guerra vero e proprio la Russia utilizza principalmente bombardieri a medio raggio per lanciare attacchi missilistici da crociera e, se necessario, potrebbe utilizzare anche rampe di lancio terrestri.

Quindi l'attacco dei droni di domenica non ha avuto alcuna somiglianza con un colpo da KO di rilevanza militare. Si è invece tradotto in un'escalation di un ordine di grandezza verso uno scontro nucleare, progettata per prolungare e intensificare la guerra per procura di Washington contro la Russia e creare nuovi ed enormi ostacoli sul cammino verso un accordo di pace.

In particolare questi attacchi sconsiderati erano irrilevanti alla luce del rapido deterioramento della posizione ucraina sul fronte di battaglia lungo la linea di contatto nell'Ucraina orientale. Infatti solo durante l'ultima settimana di maggio le forze russe hanno conquistato altri 18 insediamenti e villaggi e oltre 200 chilometri quadrati di territorio, il che significa che l'esercito ucraino non è più in grado di mantenere le proprie linee difensive e che la fine è vicina.

Allo stesso tempo questo attacco con droni ha messo in discussione il fondamentale equilibrio strategico nucleare tra le due superpotenze nucleari mondiali. In altre parole l'attacco ha infranto le regole della deterrenza strategica e ciò che resta degli accordi New Start sul controllo degli armamenti del 2010, che nominalmente rimarranno in vigore fino a febbraio 2026.

Sebbene il programma New Start sia stato sospeso dalla Russia in risposta alle sanzioni statunitensi e al sequestro da parte della NATO di $300 miliardi in asset russi nel sistema bancario globale, i limiti e i protocolli di attuazione sono stati ampiamente rispettati da entrambe le parti. Tra questi, il mantenimento del limite di 700 vettori nucleari strategici schierati.

Inoltre il regime di ispezione di New Start aveva garantito una sostanziale trasparenza in merito all'ubicazione e ai dettagli operativi di ciascun veicolo di consegna terrestre, marittimo e aereo dichiarato al di sotto del limite di 700 veicoli schierati. Pertanto utilizzare ora queste informazioni di conformità basate su New Start per attaccare e distruggere unilateralmente sistemi d'arma precedentemente dichiarati costituiva una palese violazione dell'intero regime di rafforzamento della fiducia nel controllo degli armamenti, evolutosi nel corso dei decenni a partire dagli anni '70 e dall'epoca sovietica.

Nel caso della Russia, essa aveva scelto di elencare e far ispezionare 300-400 missili balistici intercontinentali terrestri, 200-300 missili balistici navali e 50-60 bombardieri pesanti. Tra questi ultimi c'erano 40-50 bombardieri Tu-95MS e 15 Tu-160, del tipo distrutto nell'attacco coi droni e di cui gli Stati Uniti hanno una conoscenza approfondita. Questo perché i protocolli di ispezione e applicazione relativi a questi vettori divulgati includevano scambi di dati semestrali, notifiche di cambiamenti di stato (ad esempio, attivazione/disattivazione dei silos) e fino a 18 ispezioni annuali.

Nel caso della Russia, i suoi bombardieri pesanti, sottoposti a questo regime di ispezione completa, erano generalmente visibili su aeroporti aperti, come mostra la foto illustrativa qui sotto.

Quindi, per ripeterci: l'attacco indiscriminato contro le posizioni note e i bombardieri strategici regolarmente ispezionati nel deterrente nucleare russo, come quelli qui raffigurati, è stato una violazione dell'intero regime di controllo degli armamenti.

Altrettanto importante, è dannatamente ovvio che Washington fosse in piena combutta con l'esercito ucraino. I circa 120 droni utilizzati per attaccare i bombardieri russi nelle località disperse mostrate nella mappa sopra sono stati introdotti clandestinamente in Russia in container coperti. Sono stati poi trasportati segretamente nei pressi degli aeroporti russi e preparati per i successivi lanci simultanei.

Ancora una volta, le probabilità che nessuno nell'esercito americano o ai piani alti dello Stato profondo a Washington sia stato coinvolto in questa vasta e audace operazione sono tra scarse, nulle e terribilmente impossibili.

Alla fine, dopo essere state pre-posizionate vicino agli aeroporti bersaglio, le casse sono state aperte, rivelando i droni d'attacco al loro interno. Abbiamo rinunciato da tempo a indossare i nostri cappelli di carta stagnola, ma siamo dannatamente certi che il lancio simultaneo di 120 di questi piccoli velivoli nello stesso momento attraverso migliaia di chilometri di territorio russo sia stato il risultato di un intricato complotto orchestrato da Washington.

Nessun cowboy ucraino avrebbe potuto realizzare tutto questo con le proprie forze.

Nello stesso preciso istante, quindi, i bombardieri russi pesanti, distribuiti sul continente eurasiatico, hanno subito il destino descritto di seguito. E sebbene questa impresa abbia fatto sì che i falchi di Washington e della NATO e i neoconservatori esultassero per la presunta genialità del piano, questa non è nemmeno la metà della storia.

Il vero scopo dell'attacco era distruggere ogni residuo di fiducia tra Donald e Putin, lasciando a quest'ultimo altra scelta se non quella di reagire a tono. Ma un'ulteriore escalation nella zona della MAD (mutua distruzione assicurata), la quale ha mantenuto la pace per 60 anni durante la Guerra fredda, è sicuramente la cosa più pericolosa accaduta dall'ottobre 1962, quando la crisi missilistica cubana portò il mondo sull'orlo dell'annientamento.

Quindi l'ora è davvero tarda. Lo Stato militare e il complesso militare-industriale vogliono ristabilire di nuovo il loro dominio su Donald. Questa volta con implicazioni praticamente esistenziali.

Quindi, si faccia coraggio, Presidente, e tagli i finanziamenti a Zelensky e ai suoi burattinai nello Stato profondo: chiuda il rubinetto di tutti gli aiuti, di tutte le consegne di armi, di tutta l'intelligence e di ogni altro supporto operativo, chieda un cessate il fuoco e inviti sia Zelensky che Putin a Camp David.

Poi li tenga lì finché non accetteranno di smantellare l'opera di Lenin, Stalin e Krusciov. Dopotutto furono proprio questi ultimi i veri e sanguinari artefici degli attuali confini e di uno stato ucraino che non era mai esistito prima del 1922.

Non dovrebbe volerci molto per spartire la mappa e permettere alla Crimea e alle quattro province del Donbass e del sud di tornare alla Madre Russia. E le uniche “garanzie” necessarie sarebbero un impegno russo a non permettere alle province spartite di attaccare ciò che resta dell'Ucraina, e che gli Stati Uniti garantiscano che lo stato ucraino, o ciò che ne rimane, non aderirà alla NATO né attaccherà le province perdute.

Infatti è proprio questo che Putin ha sempre desiderato. E per gli Stati Uniti significherebbe non solo chiudere un altro capitolo orribilmente stupido delle Guerre eterne, ma anche l'opportunità di intraprendere un nuovo percorso verso la pace e il disarmo globali, che potrebbe effettivamente offrire a Donald una reale possibilità di ottenere il Premio Nobel.

Inutile dire che un vertice a Camp David darebbe anche a Donald la possibilità di riprendersi la sua presidenza, che è stata chiaramente usurpata quando i due principali guerrafondai ucraini del Senato, Graham e Blumenthal, si sono presentati a Kiev la scorsa settimana alla vigilia di questa folle escalation.

I falchi ucraini guidati dallo spregevole Lindsay Graham, infatti, sono ormai così fuori di testa che hanno presentato al Senato nuove sanzioni ultraterrene contro la Russia, le quali imporrebbero dazi del 500% ai Paesi che acquistano energia, uranio e altre materie prime russe – misure mirate principalmente a India e Cina. Riuscite a dire: “Siamo alla Terza Guerra Mondiale!”

Infatti rimettere i tre tirapiedi dell'ultimo disastro ucraino nell'angolo degli idioti, dove dovrebbero stare, sarebbe già di per sé un progresso. Evidentemente Graham e Blumenthal sapevano cosa sarebbe successo, ma non Donald, almeno secondo una fuga di notizie fatta a Tanya Noury ​​di NewsNation da un alto funzionario dell'amministrazione: come nel caso dell'attacco all'elicottero di Putin, nemmeno Trump era stato informato dell'attacco con i droni.

Bene, ora Donald sa sicuramente che sono alle sue calcagna, quindi è meglio che si dia da fare a prendere nomi, a spaccare tutto e a fare pulizia, altrimenti la sua seconda amministrazione sarà finita prima ancora di iniziare. E questo per non parlare di tutti noi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Come gli inglesi hanno inventato il personaggio di George Soros

Ven, 13/06/2025 - 10:00

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di Richard Poe

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-gli-inglesi-hanno-inventato-ba4)

Nel 1993 molti in Europa si sentirono traditi.

Alcuni si lamentarono di un “complotto anglosassone”.

La Gran Bretagna aveva respinto l'unione monetaria con l'Europa, affermando che avrebbe mantenuto la sterlina britannica.

Gli animi si infiammarono, le lingue si sciolsero, la retorica iniziava a farsi decisamente razzista.

“C'è una sorta di complotto”, disse il Ministro degli esteri belga, Willy Claes. “Nel mondo anglosassone esistono organizzazioni e personalità che preferiscono un'Europa divisa”.

“Le istituzioni finanziarie anglosassoni” stanno minando gli sforzi dell'Europa per unificare le valute, accusò Raymond Barré, ex-primo ministro francese.

Parlando davanti al Parlamento europeo, Jacques Delors, presidente della Commissione europea, si scagliò contro “gli anglosassoni”.

Da quando i corazzieri di Napoleone caricarono le linee britanniche a Waterloo, il mondo francofono non esplodeva con tanta furia contro la perfida Albione. Le tensioni stavano aumentando pericolosamente.

Ma niente paura.

I soccorsi stavano arrivando.


L'operazione psicologica di Soros

Nella breccia si inserì Roger Cohen, nato e cresciuto in Inghilterra, laureatosi a Oxford e in quel momento storico scrittore per il New York Times.

Cohen cambiò astutamente argomento.

Chiamò l'ufficio di Willy Claes e chiese al portavoce Ghislain D'Hoop di identificare i cospiratori “anglosassoni”.

Ce n'erano molti, rispose D'Hoop, ma uno era George Soros.

D'Hoop era caduto nella trappola.

Aveva dato a Cohen ciò che voleva.

In un articolo del 23 settembre 1993 sul New York Times, Cohen osservò ironicamente: “Ma il signor Soros non rientra certo nella definizione tradizionale di anglosassone. È un ebreo di origine ungherese che parla con un accento evidente”.

Cohen aveva abilmente cambiato argomento.

Invece di un “complotto anglosassone”, Cohen proponeva un complotto alla George Soros.

In un articolo di 900 parole che si proponeva di discutere la crisi monetaria europea, Cohen ne dedicò un terzo a Soros, riflettendo a lungo sull'ingiusto “disprezzo” che Soros aveva subito per aver venduto allo scoperto la sterlina inglese nel 1992 e il franco francese nel 1993.

Mentre Cohen fingeva di difendere Soros, il suo articolo ebbe l'effetto opposto.

Cohen attirò l'attenzione su Soros, rendendolo il fulcro di una storia che non lo riguardava affatto, o almeno non avrebbe dovuto esserlo.

Cohen aveva così schierato una delle armi più potenti nell'arsenale della guerra psicologica britannica.

Io la chiamo la “Soros Psyop”.


Fornire copertura

Nel mio precedente articolo, Come gli inglesi hanno inventato le rivoluzioni colorate, ho spiegato come gli agenti britannici esperti di guerra psicologica svilupparono colpi di stato incruenti e altre tecnologie comportamentali per manipolare i governi stranieri in modo silenzioso e discreto nell'era post-coloniale.

La strategia della Gran Bretagna dal 1945 è stata quella di fare finta di niente, nascondendosi e lasciando che fossero gli americani a fare il grosso del lavoro di polizia nel mondo.

Silenziosamente, sotto i radar, la Gran Bretagna è rimasta profondamente coinvolta negli intrighi imperiali.

Uno dei modi in cui la Gran Bretagna nasconde le sue operazioni è usare George Soros e altri come lui come copertura.


Cattivo designato

Quando gli agenti britannici si impegnano in interventi segreti come la destabilizzazione di governi o l'indebolimento delle valute, George Soros sembra sempre spuntare fuori come un pupazzo a molla, facendo smorfie per le telecamere, rilasciando dichiarazioni provocatorie e, in generale, facendo tutto il possibile per attirare l'attenzione su di sé.

È quella che i professionisti dell'intelligence chiamano un'operazione “rumorosa”.

Soros è il cattivo designato, il capro espiatorio.

Si assume deliberatamente la colpa di tutto, anche quando non ne ha.

È uno strano modo di guadagnarsi da vivere, ma sembra essere ben pagato.


“L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”

Fino al 1992 la maggior parte delle persone non aveva mai sentito parlare di Soros.

Poi i media britannici lo soprannominarono “L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”. Soros divenne una celebrità da un giorno all'altro.

Si racconta che abbia venduto allo scoperto la sterlina britannica, ne abbia forzato la svalutazione e se ne sia andato con un profitto di uno (o forse due) miliardi di dollari.

In realtà Soros fu solo uno dei tanti speculatori che scommisero contro la sterlina, forzandone una svalutazione del 20% il “Mercoledì Nero”, ovvero il 16 settembre 1992.

Alcune delle più grandi banche del mondo presero parte all'attacco, insieme a vari hedge fund e fondi pensione. Eppure i media britannici si concentrarono quasi esclusivamente su Soros, sostenendo che fosse stato lui a guidare l'attacco e a trarne i maggiori profitti.

In realtà queste affermazioni hanno ben poche basi, a parte le vanterie dello stesso Soros.


Soros diventa una celebrità

I trader di valute sono notoriamente reticenti, timorosi dell'indignazione pubblica e del controllo governativo.

Quasi sei settimane dopo il Mercoledì Nero, nessuno era veramente sicuro di chi avesse fatto crollare la sterlina britannica.

Poi accadde qualcosa di inaspettato.

Soros confessò!

Il 24 ottobre 1992 il Daily Mail britannico pubblicò un articolo in prima pagina con un Soros sorridente che teneva in mano un drink intitolato “Ho guadagnato un miliardo mentre la sterlina crollava”.

Il Mail era in qualche modo riuscito a ottenere un rendiconto trimestrale del Quantum Fund di Soros.

Quest'ultimo affermò di essere rimasto sorpreso e allarmato dalla fuga di notizie, ma aveva uno strano modo di dimostrarlo. Soros andò direttamente al Times di Londra e confermò quella versione della storia, vantandosi che fosse tutta vera.

Arrivò al punto di dire che “Noi [di Quantum] dovevamo essere il singolo fattore più importante del mercato [...]”.

E così la mattina del 26 ottobre 1992, un titolo di prima pagina del Times proclamò che Soros era “L'uomo che ha distrutto la Banca d'Inghilterra”.

Nei mesi successivi il Times avrebbe preso l'iniziativa e iniziò a promuovere la leggenda di Soros.


Protettori nascosti

In un articolo del 15 gennaio 1995 sul New Yorker, Connie Bruck ricordò lo stupore che travolse il mondo finanziario per la confessione pubblica di Soros: “I colleghi di Soros nella comunità finanziaria, inclusi alcuni amministratori e azionisti di Quantum, sono rimasti sbalorditi dalle sue rivelazioni pubbliche; ancora oggi molti esprimono sconcerto per la sua azione. Una persona nella comunità degli hedge fund mi ha detto: 'Perché portare luce su questo argomento? Perché attirare l'attenzione su di sé?'”.

Questi finanzieri non sono riusciti a cogliere il quadro generale. Non hanno capito che Soros giocava in un campionato diverso, stava giocando una partita diversa.

Non era solo uno speculatore.

Era un soldato in una guerra psicologica.


L'uomo che ha creato George Soros

L'uomo responsabile della promozione di Soros in quel periodo fu Lord William Rees-Mogg, un eminente giornalista e membro della Camera dei Lord.

Il Financial Times lo ha definito “uno dei nomi più grandi del giornalismo britannico”.

Lord Rees-Mogg è morto nel 2012.

Fu direttore del Times per 14 anni (1967-1981), poi vicepresidente della BBC.

Era amico e confidente della famiglia reale, amico intimo e socio in affari di Lord Jacob Rothschild e padre del politico britannico Jacob Rees-Mogg.

Più di chiunque altro, Lord Rees-Mogg è stato responsabile della trasformazione di George Soros in un'arma.


Soros, salvatore della Gran Bretagna

Quando il Daily Mail accusò Soros di aver fatto crollare la sterlina, il Times intervenne per spiegare che Soros era un eroe, che invece aveva effettivamente salvato la sovranità britannica.

In un articolo di prima pagina del 26 ottobre 1992, il Times spiegò che Soros aveva salvato il Paese dal collasso economico e dalla schiavitù dell'UE.

La svalutazione della sterlina aveva costretto la Gran Bretagna a ritirarsi dal Meccanismo Europeo di Cambio (SME), bloccando così i piani britannici di aderire all'unione monetaria europea, aggiunse il Times.

Lord William Rees-Mogg fu particolarmente esplicito nella difesa di Soros.

“La Gran Bretagna ha avuto la fortuna di essere costretta a uscire dallo SME”, scrisse Rees-Mogg nel suo articolo del 1° marzo 1993 sul Times. “La politica economica di George Soros, per un compenso modesto, ha corretto quella del [Primo Ministro] John Major”.

Negli articoli successivi Rees-Mogg si dimostrò sempre più entusiasta nel lodare Soros. Affermò che quest'ultimo aveva “salvato” il Regno Unito; che Soros era un “benefattore della Gran Bretagna”; anzi, che una sua statua avrebbe dovuto essere “eretta in Piazza del Parlamento, di fronte al Ministero del Tesoro”.


Agenda globalista

In realtà Rees-Mogg stava fuorviando i suoi lettori.

Non sosteneva la sovranità britannica. Rees-Mogg era un globalista, convinto che lo stato-nazione avesse esaurito la sua utilità.

Qualunque fossero le ragioni per opporsi all'unione monetaria con l'Europa, il patriottismo britannico non rientrava tra queste.

Rees-Mogg espresse le sue convinzioni globaliste in una serie di libri scritti a quattro mani con lo scrittore statunitense specializzato in investimenti James Dale Davidson.

In The Sovereign Individual (1997) gli autori profetizzarono che le “nazioni occidentali” si sarebbero presto “sgretolate come l'ex-Unione Sovietica, per essere sostituite da piccole giurisdizioni “simili a città-stato” che sarebbero “emerse dalle macerie delle nazioni”.

Gli autori prevedevano che “alcune di queste nuove entità, come i Cavalieri Templari e altri ordini religiosi e militari del Medioevo, avrebbero potuto controllare una considerevole ricchezza e un potere militare senza controllare alcun territorio fisso”.

Come ai tempi del “feudalesimo”, scrissero Rees-Mogg e Davidson, “le persone a basso reddito nei Paesi occidentali” sarebbero sopravvissute legandosi “alle famiglie benestanti come dipendenti”.

In altre parole, le classi inferiori sarebbero tornate alla servitù della gleba.

Tutto questo era per il meglio, scrissero gli autori, poiché avrebbe permesso alle “persone più abili” – ovvero il “cinque per cento più ricco” – di vivere dove volevano e fare ciò che volevano, libere da lealtà o obblighi verso una particolare nazione o governo.

“Mentre l'era dell'Individuo Sovrano prende forma”, conclusero gli autori, “molte delle persone più abili cesseranno di considerarsi parte di una nazione, come britanniche, americane o canadesi. Una nuova comprensione transnazionale o extranazionale del mondo, e un nuovo modo di identificare il proprio posto in esso, attendono di essere scoperti nel nuovo millennio”.

Queste non sono le parole di un patriota.


Il nuovo feudalesimo

Infatti non c'era nulla di nuovo nel “nuovo modo” promesso da Rees-Mogg nel suo libro.

Discendente da un'antica famiglia di proprietari terrieri, Rees-Mogg sapeva che il globalismo era sempre stato il credo delle classi abbienti, la cui unica vera lealtà era verso le proprie famiglie.

La saga di Harry Potter offre una metafora calzante per il mondo odierno, in cui le famiglie d'élite si muovono invisibili tra i “babbani” o la gente comune, gestendo silenziosamente le cose dietro le quinte, nascondendosi alla vista di tutti.

Negli anni '90 le famiglie privilegiate come quella di Rees-Mogg si erano stancate di nascondersi. Rimpiangevano i bei vecchi tempi, quando potevano vivere apertamente nei loro castelli e comandare i loro servi.

Il politologo di Oxford, Hedley Bull, si rivolse a questo pubblico quando nel suo libro del 1977, The Anarchical Society, predisse che “gli stati sovrani potrebbero scomparire ed essere sostituiti non da un governo mondiale, ma da un equivalente moderno e laico del... Medioevo”.

La previsione di Bull di un nuovo medioevo trovò eco nelle élite britanniche.

Con il crollo dell'Unione Sovietica, Rees-Mogg e altri della sua classe sociale iniziarono a celebrare apertamente la fine dello stato-nazione e l'ascesa di un nuovo feudalesimo.

Ripristinare l'ordine feudale è il vero obiettivo del globalismo.


A proposito di quel “complotto anglosassone”

Gli elogi esagerati di Rees-Mogg a George Soros suscitarono sospetti nel continente per un “complotto anglosassone”.

Ulteriori sospetti sorsero quando J. P. Morgan & Co. e la sua affiliata Morgan Stanley furono ritenute complici della rottura della sterlina.

Pur essendo nominalmente americane, queste banche avevano forti legami storici con la Gran Bretagna.

L'attività principale di J. P. Morgan era sempre stata quella di fungere da copertura per gli investitori britannici in America. Le ferrovie e altre industrie statunitensi si basavano in gran parte sul capitale britannico, erogato tramite le banche Morgan.

Junius S. Morgan, il padre di J. P., avviò l'azienda di famiglia nel 1854, trasferendosi negli uffici londinesi di Peabody, Morgan & Co. e rimanendo in Inghilterra per i successivi 23 anni.

I legami della famiglia Morgan con la Gran Bretagna sono profondi.

Nel periodo precedente al Mercoledì nero, J. P. Morgan & Co. vendette allo scoperto la sterlina britannica. Nel frattempo la sua banca gemella, Morgan Stanley, concesse ingenti prestiti a Soros, consentendogli di fare lo stesso.

Le accuse di un “complotto anglosassone” non sembrano inverosimili, alla luce di questi fatti.

È probabile che Soros e altri speculatori stranieri abbiano semplicemente fornito copertura a quella che era, di fatto, un'operazione di guerra economica britannica contro la propria banca centrale.


Come gli inglesi hanno reclutato Soros

Come sottolineò Roger Cohen sul New York Times, George Soros non è un “anglosassone”. Com'è finito coinvolto in quel complotto anglosassone?

Il giovane Soros era stato reclutato tramite la London School of Economics (LSE). Lì fu plasmato come arma del “soft power” britannico.

In un precedente articolo, Come gli inglesi hanno venduto il globalismo all'America, ho spiegato come la Gran Bretagna utilizzi il “soft power” (seduzione e cooptazione) per costruire reti di influenza in altri Paesi.

La Gran Bretagna si considera “il principale soft power al mondo”, secondo la Strategic Defence and Security Review del Regno Unito del 2015.

Gli inglesi devono il loro status di leader al loro incessante reclutamento di studenti stranieri nelle università del Regno Unito, un'iniziativa considerata una priorità per la sicurezza nazionale, supervisionata dal British Council, un'agenzia del Ministero degli esteri.

La Strategic Defence and Security Review del 2015 rilevava che “1,8 milioni di studenti stranieri ricevono un'istruzione britannica ogni anno” e che “più di un quarto degli attuali leader mondiali ha studiato nel Regno Unito”.

Dopo la laurea, questi ex-studenti britannici sono attentamente monitorati dal Ministero degli esteri britannico.

Secondo un documento del governo britannico del 2013, gli ex-studenti che sono destinati a posizioni di rilievo sono incoraggiati a cercare un “maggiore coinvolgimento” con i colleghi ex-studenti britannici, allo scopo di formare “una rete di persone in posizioni di influenza in tutto il mondo che possano promuovere gli obiettivi della politica estera britannica [...]”.


Modello di reclutamento

George Soros è un trionfo della strategia di soft power britannica.

Non solo ha raggiunto una “posizione di influenza” dopo la laurea, ma è rimasto vicino ai suoi mentori britannici e ne ha promosso gli insegnamenti.

In onore di Karl Popper, suo professore alla LSE, Soros diede alle sue ONG il nome di Open Society Foundation, la cui teoria della “società aperta” guida l'attivismo di Soros ancora oggi.

Il capolavoro di Popper del 1945, La società aperta e i suoi nemici, è una difesa filosofica dell'imperialismo, in particolare dell'imperialismo britannico, così come sostenuto dai fondatori della LSE.

I socialisti fabiani che fondarono la LSE credevano che l'espansione britannica fosse la più grande forza civilizzatrice in un mondo altrimenti barbaro.

Nel suo libro Popper difese espressamente la conquista imperiale come primo passo per cancellare le identità tribali e nazionali, per spianare la strada a un “Impero Universale dell'Uomo”.


“Pregiudizi britannici”

Soros arrivò a Londra nel 1947, rifugiato dall'Ungheria occupata dai sovietici.

Visse in Inghilterra per nove anni, dai 17 ai 27 anni (dall'agosto 1947 al settembre 1956).

Laureatosi alla LSE nel 1953, Soros ottenne il suo primo lavoro in ambito finanziario presso la Singer & Friedlander, una banca d'affari londinese.

Soros ammette di essersi trasferito negli Stati Uniti solo per fare soldi.

Progettò di rimanerci cinque anni, per poi tornare in Inghilterra.

“Non mi piacevano gli Stati Uniti”, raccontò al suo biografo Michael Kaufman nel libro, Soros: The Life and Times of a Messianic Billionaire. “Avevo acquisito alcuni pregiudizi britannici di base; sapete, gli Stati Uniti erano, beh, commerciali, volgari e così via”.


Società aperta & società chiusa

Il disprezzo per l'America non fu l'unico “pregiudizio britannico” che Soros acquisì alla LSE. Sviluppò anche una forte avversione per i concetti di tribù e nazione, seguendo l'esempio di Karl Popper.

Nel libro, La società aperta e i suoi nemici, Popper insegnava che la razza umana si stava evolvendo da una società “chiusa” a una società “aperta”.

Il catalizzatore di questa trasformazione era l'imperialismo.

Le società chiuse sono tribali, interessate solo a ciò che è meglio per la tribù, mentre una società “aperta” cerca il meglio per tutta l'umanità.

Popper ammetteva che le società tribali sembrano attraenti in superficie, sono strettamente legate da “parentela, convivenza, condivisione di sforzi comuni, pericoli comuni, gioie comuni e sofferenze comuni”.

Tuttavia i popoli tribali non sono mai veramente liberi, sosteneva Popper. Le loro vite sono governate da “magia” e “superstizione”, dalle “leggi”, “costumi” e “tabù” dei loro antenati.

Sono intrappolati in una routine da cui non possono sfuggire.

Al contrario, una società “aperta” non ha tabù né costumi, né tribù né nazioni. È composta solo da “individui”, liberi di fare o pensare come desiderano.


“Impero universale dell'uomo”

Popper sosteneva che tutte le società nascono “chiuse”, ma in seguito diventano “aperte” attraverso l'imperialismo.

Quando una tribù diventa abbastanza forte da conquistarne altre, le società “chiuse” sono costrette ad “aprirsi” al conquistatore, mentre il conquistatore diventa a sua volta “aperto” alle vie dei conquistati.

“Credo sia necessario che l'esclusivismo e l'autosufficienza tribale possano essere superati solo da una qualche forma di imperialismo”, concluse Popper.

Gli imperi rendono tribù e nazioni obsolete, disse Popper. Forniscono un governo unico, con un unico insieme di regole per tutti.

Popper sognava un “Impero universale dell'uomo” che avrebbe diffuso la “società aperta” in ogni angolo del mondo.


Frutto Proibito

Per molti versi l'Impero è più “tollerante” della tribù, sostiene Popper. I popoli detribalizzati scoprono di essere liberi di fare e dire molte cose che un tempo consideravano “tabù”.

Ma c'è una cosa che l'Impero non può tollerare: il tribalismo stesso.

Popper avvertì che l'umanità può solo progredire, non regredire. Paragonò la “società aperta” al mangiare dall'Albero della Conoscenza. Una volta assaggiato il frutto proibito, le porte del Paradiso si chiudono.

Non si può mai tornare alla tribù; chi ci prova diventerà fascista.

“Non potremo mai tornare all'innocenza e alla bellezza della società chiusa [...]”, scrisse Popper. “Più ci proviamo [...] più sicuramente arriviamo alla [...] Polizia segreta e al [...] gangsterismo romanticizzato [...]. Non si può tornare a uno stato di natura armonioso. Se torniamo indietro, allora dobbiamo percorrere tutta la strada: dobbiamo tornare alle bestie”.


Impero Socialista

Le idee di Popper non erano originali: stava semplicemente sposando la dottrina dell'imperialismo liberale a cui era dedicata la London School of Economics.

La LSE fu fondata nel 1895 da quattro membri della Fabian Society, tra cui Sidney e Beatrice Webb, George Bernard Shaw e Graham Wallas.

Tutti erano ferventi imperialisti, oltre che socialisti, e non vedevano alcun conflitto tra i due. Anzi i Fabiani consideravano l'Impero britannico un ottimo veicolo per diffondere l'internazionalismo socialista.

In un opuscolo del 1901 intitolato, Twentieth Century Politics: A Policy of National Efficiency, Sidney Webb invocava la fine dei “diritti astratti basati sulle 'nazionalità'”. Respingendo quella che definiva la “fervida propaganda dell'Home Rule” irlandese, Webb condannava qualsiasi movimento che spingesse per l'autogoverno basato sulla “obsoleta nozione tribale” di “autonomia razziale”.

Webb sosteneva invece che il mondo dovesse essere diviso in “unità amministrative” basate esclusivamente sulla geografia, “qualunque fosse la mescolanza razziale”, come esemplificato da “quel grande commonwealth di popoli chiamato Impero Britannico” che comprendeva “membri di tutte le razze, di tutti i colori umani e di quasi tutte le lingue e religioni”.

Così Webb espose l'essenza della “società aperta” imperiale quasi 50 anni prima di Popper.


Socialismo invisibile

Non si sa se George Orwell fosse un Fabiano, ma condivideva il sogno di un Impero Britannico socialista.

Nel suo libro del 1941, Il leone e l'unicorno: il socialismo e il genio inglese, Orwell predisse la nascita di un “movimento socialista specificamente inglese” il quale avrebbe conservato molti “anacronismi” del passato.

Questi “anacronismi” avrebbero calmato e rassicurato l'anima inglese, proprio mentre la società britannica veniva sconvolta.

Un tale “anacronismo” sarebbe stata la Monarchia, che Orwell riteneva degna di essere preservata. Un altro era l'Impero, che sarebbe stato ribattezzato “una federazione di stati socialisti [...]”.

Orwell predisse che un vero socialismo inglese avrebbe “mostrato una capacità di assimilazione del passato che avrebbe sconvolto gli osservatori stranieri e talvolta fatto dubitare che si fosse verificata una rivoluzione”.

Nonostante le apparenze, la Rivoluzione sarebbe stata reale, in ogni suo aspetto “essenziale”, promise Orwell.


“Come una mummia insepolta”

In una strana eco di Orwell, Lord William Rees-Mogg suggerì anche che il suo nuovo feudalesimo avrebbe mantenuto molti degli aspetti esteriori della normale vita inglese, anche mentre la nazione britannica si disgregava.

Nel loro libro del 1987, Blood in the Streets, Rees-Mogg e Davidson predissero che, anche dopo che gli stati-nazione avessero perso il loro potere e la loro sovranità, “le loro forme sarebbero rimaste, come in Libano, come del resto la forma dell'Impero Romano, ovvero come una mummia insepolta, per tutto il Medioevo".

Nonostante la sua cupa visione del futuro della Gran Bretagna, Rees-Mogg continuò a spacciarsi per patriota britannico fino alla fine. Forse era questo il suo modo di salvare le apparenze, di contribuire a preservare la “forma” della Gran Bretagna, “come una mummia insepolta”, al fine di calmare e rassicurare l'anima inglese.

Vediamo quindi che il socialismo “specificamente inglese” di Orwell – in cui persino la monarchia sarebbe sopravvissuta – ha una strana somiglianza con il nuovo feudalesimo di Rees-Mogg.

Potrebbe persino essere opportuno chiedersi se siano la stessa cosa.


Soros, l'imperiale

Nel 1995 Soros dichiarò al New Yorker: “Non credo che si possa mai superare l'antisemitismo comportandosi come una tribù [...]. L'unico modo per superarlo è rinunciare al tribalismo”.

Non fu né la prima né l'ultima volta che Soros suscitò scalpore condannando il tribalismo ebraico come fattore che contribuisce all'antisemitismo. Quando Soros fece un commento simile nel 2003, ricevette un rimprovero da Elan Steinberg del Congresso Ebraico Mondiale, che replicò: “L'antisemitismo non è causato dagli ebrei; è causato dagli antisemiti”.

Per essere onesti, Soros stava solo ripetendo ciò che aveva imparato alla London School of Economics.

Le sue fondazioni, Open Society, sono espressamente dedicate agli insegnamenti di Popper, che si oppongono a qualsiasi tipo di tribalismo. Rifiutando il tribalismo del suo stesso popolo ebraico, Soros si limitava a essere intellettualmente coerente.

A livello personale, non posso certo condannare Soros per la sua critica al tribalismo ebraico, visto che mio padre, ebreo, aveva opinioni simili.

Uno dei modi in cui mio padre espresse la sua ribellione fu sposando mia madre, una bellezza esotica, metà messicana, metà coreana e cattolica di fede.

Comprendo pienamente il difficile rapporto di Soros con la sua identità ebraica.

Tuttavia nelle parole di Soros percepisco un'eco inquietante dell'ideologia imperialista di Sidney Webb, un'influenza che pervade e definisce la rete Open Society a ogni livello.


Effetto pifferaio magico

Nei mesi successivi al Mercoledì Nero, i media britannici promossero Soros come una star del cinema, costruendo la sua leggenda come il più grande genio finanziario dell'epoca.

Lord William Rees-Mogg fu il capofila.

Rees-Mogg e i suoi soci sapevano che, se un numero sufficiente di piccoli investitori fosse stato indotto a credere alla leggenda di Soros, se un numero sufficiente fosse stato manipolato per imitarne le mosse, comprando e vendendo secondo i suoi consigli, allora Soros avrebbe comandato l'ondata.

Avrebbe potuto fare la differenza sui mercati, semplicemente parlando.

Nel suo articolo sul Times del 26 aprile 1993, Rees-Mogg gettò un'aura mistica su Soros, dipingendolo come un Nostradamus dei giorni nostri in grado di vedere attraverso le “illusioni pubbliche” la “realtà” sottostante.

Altri giornalisti si allinearono, ripetendo i punti di vista di Rees-Mogg come sonnambuli.

“Perché siamo così stregati da questo moderno Re Mida?”, chiese il Daily Mail, con il tono svenevole di un innamorato disperato.

Non tutti credettero al mito di Soros.

Leon Richardson, editorialista finanziario australiano, accusò Rees-Mogg di aver cercato di trasformare Soros in un pifferaio magico, per sviare gli investitori.

“Lord Rees-Mogg ha elogiato Soros, definendolo l'investitore più brillante del mondo”, affermò Richardson nella sua rubrica del 9 maggio 1993, “di conseguenza la gente ha iniziato a seguirlo e a fare quello che fa per fare soldi”.


La truffa dell'oro

Chi teneva d'occhio Soros dopo il Mercoledì Nero non dovette aspettare a lungo per il suo successivo consiglio di investimento.

“Soros ha rivolto la sua attenzione all'oro”, annunciò Rees-Mogg il 26 aprile 1993.

Newmont Mining era il più grande produttore di oro del Nord America. Soros aveva appena acquistato 10 milioni di azioni da Sir James Goldsmith e Lord Jacob Rothschild.

Se Soros stava comprando oro, forse dovremmo farlo anche noi, insinuò Rees-Mogg.

Non tutti accolsero con entusiasmo il suggerimento di Rees-Mogg. Alcuni commentatori notarono che, mentre Soros acquistava azioni Newmont, Goldsmith e Rothschild le stavano svendendo – un segnale di acquisto tutt'altro che chiaro.

“Normalmente quando un insider vende azioni della propria azienda cerca di non farsi notare”, commentò Leon Richardson. “Questo è stato uno strano caso in cui l'insider stava cercando di ottenere un'ampia copertura mediatica sulla sua vendita”.

Ciononostante l'effetto pifferaio magico funzionò: il 2 agosto il prezzo dell'oro era schizzato da $340 a $406 l'oncia, con un aumento del 19%.


“Un nuovo modo di fare soldi”

Molti nella stampa finanziaria mormorarono dell'insolito livello di coordinamento tra il Times, Soros, Goldsmith e Rothschild.

“Soros è un enigma [...]” scrisse il London Evening Standard. “Non ha mai parlato bene dell'oro, ma d'altronde non ce n'era bisogno. La stampa lo ha fatto per lui, con il sostenitore di Goldsmith, Lord Rees-Mogg, che ha lanciato l'appello sul Times”.

“Non si può che ammirare la tempistica di Goldsmith/Soros e l'aura ben orchestrata del loro spettacolo per l'oro”, commentò EuroBusiness Magazine nel settembre del 1993. “Avevano anche un cast di supporto impressionante: una stampa che ha suonato come un coro greco al loro canto da sirene per l'oro”.

David C. Roche, stratega londinese di Morgan Stanley, concluse: “È un nuovo modo di fare soldi, una combinazione di investimenti giudiziosi al minimo di un mercato e di un colpo di scena pubblicitario”.


Gioco di squadra

Nonostante tutto il clamore, la bolla dell'oro è scoppiata a settembre di quell'anno, facendo crollare i prezzi dell'oro.

Molti persero... tanto.

Ma Goldsmith e Rothschild fecero un sacco di soldi, vendendo al picco.

Alcuni sospettavano che lo scopo dell'operazione fosse quello di aiutare Goldsmith e Rothschild a realizzare un profitto sulle loro partecipazioni in Newmont, precedentemente stagnanti.

Soros, d'altra parte, subì un duro colpo: quando vendette le sue azioni Newmont, dovette farlo a un prezzo inferiore.

Perché lo fece? Perché Soros avrebbe dovuto guidare un piano di propaganda dell'oro che gli portò pochi o nessun profitto?

Alcuni sospettavano che Soros potesse aver subito un colpo per la squadra.

Forse non era poi così anticonformista, dopotutto.

Forse il pifferaio magico era solo uno che segue gli ordini...


Profeta o pedina?

Come minimo, la mossa dell'oro dimostrò che Soros lavorava di squadra.

La sua immagine di lupo solitario era solo un mito.

Quando i riflettori della celebrità si posarono per la prima volta su Soros, lo trovarono a lavorare con una ristretta cerchia di investitori britannici, tra cui alcuni dei nomi più famosi della finanza globale.

Gli investitori di quel livello non si limitano a “speculare” sui mercati, quanto piuttosto a controllarli.

La truffa dell'oro rivelò che Rees-Mogg, Soros, Goldsmith e Rothschild erano legati da una intricata rete di relazioni commerciali.

Goldsmith, ad esempio, era un direttore della St. James Place Capital di Rothschild. Un altro direttore della St. James Place, Nils Taube, era contemporaneamente direttore del Quantum Fund di Soros.

Lo stesso Rees-Mogg era un caro amico di Lord Rothschild, nonché membro del consiglio di amministrazione di J. Rothschild Investment Management e direttore di St. James Place Capital.

Nel frattempo il giornalista del Times, Ivan Fallon – che contribuì a far uscire la notizia dell'acquisto dell'oro da parte di Soros sul Sunday Times, co-autore della relazione originale del 25 aprile – era il biografo di Goldsmith, autore di Billionaire: The Life and Times of Sir James Goldsmith.

Era tutto molto intimo.


“Una banda di insider”

“Questo tipo di connessioni, questa impressione di una banda di insider, è ciò che fa sì che gli investitori più tradizionali a volte sollevino un sopracciglio quando si tratta di Soros”, brontolò The Observer con disapprovazione.

The Observer aveva ragione. Soros era un “insider” che lavorava con altri insider e non c'era alcuna indicazione che fosse minimamente vicino a essere un socio senior del gruppo.

Soros era un servitore, non un profeta; un seguace, non un leader.

Ecco perché gridò allo scandalo quando fu condannato per insider trading nel 2002, in relazione allo scandalo francese Société Générale.

“È bizzarro che io sia stato l'unico dichiarato colpevole quando era coinvolto l'intero establishment francese”, si lamentò Soros alla CNN.

Soros riteneva chiaramente che i francesi avessero infranto le regole.

Secondo lui, quando “l'intero [...] establishment” di un Paese cospira per manipolare i mercati, è ingiusto individuare un singolo cospiratore e sottoporlo a processo.

Dopotutto, Soros stava semplicemente facendo quello che facevano gli altri.


Rivoluzioni colorate

Mentre Rees-Mogg stava raffinando l'immagine di Soros come il più grande guru degli investimenti al mondo, ne promuoveva anche le attività politiche.

“Ammiro il modo in cui ha speso i suoi soldi”, affermò Rees-Mogg nella sua rubrica sul Times del 26 aprile 1993. “Niente è più importante della sopravvivenza economica degli ex-Paesi comunisti dell'Europa orientale”.

Rees-Mogg si riferiva al lavoro della fondazione di Soros negli ex-stati sovietici, dove divenne rapidamente famoso come finanziatore e organizzatore di colpi di stato incruenti noti come “rivoluzioni colorate”.

Come per le sue transazioni monetarie, Soros non agì da solo quando si impegnò in operazioni di cambio di governo. Faceva parte di una squadra.


Soros e gli “atlantisti”

In una serie di articoli su Revolver News, Darren Beattie ha smascherato una cricca di agenti della sicurezza nazionale statunitense specializzati nel rovesciare governi attraverso “rivoluzioni colorate”.

Operano attraverso una rete di ONG sponsorizzate dallo stato, tra cui il National Endowment for Democracy (NED) e le sue due filiali, l'International Republican Institute (IRI) e il National Democratic Institute (NDI).

Beattie accusa questi gruppi “pro-democrazia” di aver organizzato un ammutinamento contro il presidente Trump.

Secondo Beattie, questi agenti “pro-democrazia” hanno avuto un ruolo centrale nell'intralcio delle nostre elezioni nel 2020, e i loro piani sono culminati nella cosiddetta “insurrezione” del Campidoglio, che Revolver ha ora smascherato come un'operazione interna orchestrata da provocatori dell'FBI.

Beattie definisce i cospiratori “atlantisti”, un eufemismo comunemente applicato agli anglofili del Dipartimento di stato che antepongono gli interessi britannici a quelli americani.

Uno di questi cospiratori “atlantisti” era George Soros, secondo Beattie.


La bocca che ruggì

Normalmente quando Soros si impegna in operazioni di cambio di governo, fa di tutto per rivendicarne il merito, proprio come fece per il fallimento della Banca d'Inghilterra nel 1992.

Ad esempio, nel suo libro del 2003, La bolla della supremazia americana, Soros confessò apertamente: “Le mie fondamenta hanno contribuito al cambio di governo in Slovacchia nel 1998, in Croazia nel 1999 e in Jugoslavia nel 2000, mobilitando la società civile per sbarazzarsi rispettivamente di Vladimir Meciar, Franjo Tudjman e Slobodan Milosevic”.

Quello stesso anno, in una conferenza stampa a Mosca, Soros minacciò pubblicamente di deporre il presidente georgiano Eduard Shevardnadze, affermando: “Questo è ciò che abbiamo fatto in Slovacchia al tempo di Meciar, in Croazia al tempo di Tudjman e in Jugoslavia al tempo di Milosevic”.

Quando Shevardnadze fu successivamente rovesciato durante una rivolta del novembre 2003, Soros ne rivendicò pubblicamente il merito.

“Sono felicissimo di quanto accaduto in Georgia e sono molto orgoglioso di avervi contribuito”, si vantò Soros sul Los Angeles Times il 5 luglio 2004.


La rete del Regno Unito

Soros non si affrettò a rivendicare il merito della Rivoluzione arancione del 2004 in Ucraina, ma fu un suo collega, Michael McFaul, a farlo per lui.

“Gli americani si sono intromessi negli affari interni dell'Ucraina? Sì”, scrisse McFaul sul Washington Post del 21 dicembre 2004.

McFaul – che all'epoca era professore associato a Stanford, ma che in seguito fu ambasciatore in Russia sotto Obama – proseguì elencando vari “agenti d'influenza americani” che, a suo dire, avevano preso parte alla Rivoluzione arancione, tra cui l'International Renaissance Foundation, che McFaul descrisse in particolare come “finanziata da Soros”.

L'Ucraina è un Paese pericoloso e violento, dove gli agenti stranieri corrono rischi. È difficile capire perché McFaul abbia deliberatamente messo in pericolo Soros e una serie di agenti americani implicandoli pubblicamente in ingerenze elettorali, a meno che non stesse cercando di distogliere l'attenzione da altri partecipanti non americani.

Uno di questi partecipanti non americani era la Westminster Foundation for Democracy (WFD), un gruppo britannico “pro-democrazia” finanziato dal Ministero degli esteri britannico. La WFD ha avuto un ruolo cruciale nella Rivoluzione arancione.

McFaul ha forse messo a rischio i suoi connazionali americani per fornire copertura agli inglesi?

Come Rhodes Scholar e laureato a Oxford, McFaul è un ex-studente britannico che ha raggiunto una “posizione di influenza”, esattamente il tipo di persona a cui il Ministero degli esteri britannico si rivolge abitualmente per contribuire a promuovere “gli obiettivi della politica estera britannica”.


La mano nascosta della Gran Bretagna

Uno dei cosiddetti “agenti d'influenza americani” smascherati da McFaul sul Washington Post era Freedom House.

Come rivelato nel mio precedente articolo, Come gli inglesi hanno inventato le rivoluzioni colorate, Freedom House fu fondata nel 1941 come corpo di spionaggio britannico, il cui scopo era quello di spingere gli Stati Uniti a entrare nella Seconda guerra mondiale e di aiutare la Gran Bretagna a condurre operazioni segrete contro i pacifisti statunitensi.

Non c'è motivo di credere che Freedom House abbia cambiato schieramento da allora.

Descrivere Freedom House come un “agente d'influenza americano” mette un po' a dura prova il termine “americano”.

Freedom House esemplifica perfettamente quel tipo di fronte anglofilo che Darren Beattie definisce “atlantista”.


Dov'è Soros?

Sospetto che il vero ruolo di Soros tra gli operatori delle “rivoluzioni colorate” sia simile al suo ruolo nel mondo finanziario.

Distoglie l'attenzione dalle operazioni britanniche rivendicandone a gran voce il merito.

Allora, dov'è Soros adesso?

Perché non si vanta della figura decaduta del presidente Trump, come fece con Meciar, Tudjman, Milosevic, Shevardnadze e tanti altri?

Forse Soros ha ricevuto una chiamata da Londra.

Forse i suoi superiori lo hanno avvertito che la situazione si stava facendo un po' rischiosa con queste rivelazioni su Revolver.

Forse hanno detto a Soros di tenere la bocca chiusa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Bitcoin risucchia quell'energia in eccesso e bloccata

Gio, 12/06/2025 - 10:10

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joakim Book

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-risucchia-quellenergia-in)

L'elettricità ha la difficile caratteristica di dover essere consumata quando viene prodotta. In altre parole: poiché ci aspettiamo che le luci si accendano ogni volta che premiamo un interruttore, l'elettricità deve essere prodotta ogni volta che i consumatori lo desiderano.

Per gran parte dei suoi 150 anni di storia, le reti elettriche hanno avuto un buon controllo sulla propria fornitura – alzando i quadranti, bruciando più carburante, azionando più turbine – ma hanno dovuto prevedere la domanda, anticipando e gestendo in dettaglio anche le più piccole variazioni di utilizzo. Oggi abbiamo sempre più produttori di energia rinnovabile sulla rete, il che ha reso la fornitura stessa più inaffidabile, dipendente non tanto dalle decisioni umane quanto dai capricci del meteo. Se si riempie il paesaggio di torri eoliche e parchi fotovoltaici che producono troppa elettricità quando non ne abbiamo bisogno e quasi nulla quando ne abbiamo davvero bisogno, si ottiene la tragica ricetta per reti instabili.

Ci aspettiamo sempre che la rete fornisca energia, quindi i gestori devono assicurarsi che ci sia sufficiente capacità extra pronta a soddisfare la domanda di picco, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Ciò significa che alcune turbine funzionano senza carico e che molte altre sono pronte ad aumentarlo quando le previsioni del tempo indicano condizioni avverse.

Avere tutta questa capacità extra è costoso e dispendioso, intenzionalmente. Risultato? Funzionano in modo inefficiente, il termine tecnico è “sovradimensionato”, spesso di oltre il 50%, poiché ci aspettiamo che la rete copra non solo il consumo medio, ma anche i picchi estremi. Qualcuno deve sostenere il costo finanziario di tutta questa capacità e dello stoccaggio di combustibile, che, compresso dalle politiche energetiche locali, si riflette in tariffe che i consumatori pagano. È troppo tardi per iniziare a costruire parchi eolici, centrali a gas o progettare linee di trasmissione oggi se è previsto un picco di domanda di elettricità per il fine settimana.

Quando aggiungiamo grandi quantità di energia eolica e solare alla rete, inondandola occasionalmente con talmente tanta elettricità in abbondanza che i prezzi dell'energia diventano negativi, la somma totale diventa un'elettricità più costosa, non meno costosa, anche se i loro input ci vengono forniti gratuitamente dalla natura.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un consumatore di elettricità, un consumatore di ultima istanza, in grado di recuperare l'elettricità in eccesso, disconnettersi all'istante e di ripristinare la produzione in caso di occasionali carenze o ondate di freddo. Un consumatore che possa co-localizzarsi con le centrali elettriche ed evitare così la presenza di ulteriori linee di trasmissione che si intersecano nel paesaggio per i suoi scopi di produzione su larga scala.

Bitcoin è una tecnologia monetaria straordinaria, che sta rivoluzionando il mondo del denaro, degli asset e del risparmio, un scettico alla volta. Sulla sua scia troviamo ogni sorta di effetti benefici di secondo ordine: il miglioramento della rete elettrica e il recupero dell'energia globale inutilizzata sono solo gli ultimi esempi. “I miner sono i consumatori di elettricità economicamente perfetti”, conclude Lee Bratcher su Bitcoin Magazine, “il loro consumo costante incentiva lo sviluppo di una generazione aggiuntiva”.

Durante la tempesta invernale Finn, più di un quarto dell'hashrate di Bitcoin è andato offline, poiché gran parte dell'hashpower globale risiede ora in Texas ed è coinvolto in vari programmi di riduzione del carico e di risposta alla domanda con l'operatore di rete ERCOT.

Prima di Bitcoin, i programmi di domanda-risposta erano piccole idee geniali che sembravano non funzionare mai. Come conclude Meredith Angwin nel suo libro, Shorting the Grid: “Si può offrire ai clienti di rinunciare all'elettricità nelle giornate molto fredde. Tuttavia pochissimi accetteranno la vostra offerta”. Il motivo per cui la rete è sotto sforzo durante un'ondata di freddo è lo stesso motivo per cui gli utenti di energia elettrica attribuiscono un valore molto elevato al loro consumo di elettricità. L'offerta viene compressa proprio nel momento in cui la domanda dei consumatori diventa anelastica al prezzo, con il riscaldamento e l'illuminazione delle case che diventano quasi infinitamente preziosi in situazioni difficili.

The key market dynamic that people like @chamath are missing about electricity market participant behavior is that the marginal consumer of 1 kwh does not care if its price is 10x or 100x higher when they are survival threatened.

— James McAvity (@jamesmcavity) February 13, 2024

James McAvity di Cormint, un'azienda di mining basata sulle energie rinnovabili nel Texas occidentale, afferma: “Un carico di base che non contribuisce ai picchi è letteralmente il partecipante ideale al mercato di una rete elettrica. Questo è particolarmente vero per le reti con un'elevata penetrazione delle energie rinnovabili”.

Base load that does not contribute to peaks is literally the ideal market participant in a power grid. This is especially true for grids with high renewable penetration.

— James McAvity (@jamesmcavity) February 11, 2024

L'hashing, il processo crittografico ad alto consumo di energia elettrica utilizzato dalle apparecchiature di mining per trovare e confermare nuovi blocchi Bitcoin, è un processo competitivo e casuale tra chi vuole indovinare il nonce. Ciò significa che l'accensione e lo spegnimento dei miner non danneggerà i loro progressi come farebbero tali spegnimenti improvvisi nei data center o in altri utenti su larga scala come la produzione manifatturiera ad alto consumo energetico. Una rete sovradimensionata con una generazione di elettricità di riserva può vendere l'eccesso ai miner di Bitcoin invece di ridurre la sovrapproduzione o lasciare gli impianti inattivi. I miner pagano gli impianti per l'elettricità che altrimenti andrebbe sprecata. In condizioni estreme, come un aumento del consumo di energia o ondate di freddo come quelle sperimentate in gran parte del sud degli Stati Uniti a gennaio, i miner possono facilmente spegnere e restituire alla rete la capacità di generazione di elettricità. Quando le condizioni si normalizzano, i miner possono riprendere l'hashing senza perdere nulla se non il tempo di manutenzione, per il quale i programmi di risposta alla domanda li rimborsano direttamente o si riflette nel prezzo negoziato tra miner e centrali elettriche.

I miner di Bitcoin ricavano i loro profitti dalle commissioni di transazione e dalle conferme dei blocchi su un mercato globale, completamente indipendente dalla domanda di elettricità locale a breve termine e dalle condizioni meteorologiche. Interrompere l'erogazione di energia – di fatto restituendola alla rete quando questa diventa temporaneamente più preziosa per altri usi altrove – è un processo semplice ed economicamente vantaggioso. Una situazione vincente per le reti, i consumatori, i miner e i sostenitori dell'energia verde.

Questi ricavi aggiuntivi potrebbero anche rendere la costruzione di centrali elettriche economicamente sostenibile, dove la sovraccapacità non rappresenta più una spesa pura e semplice dato che i miner, sparsi lungo tutta la rete, sono fortemente incentivati ​​a trovare la fonte di energia più economica e prontamente disponibile.

Con il mining di Bitcoin a supporto della rete elettrica, potremmo utilizzare meglio la capacità installata, sprecare meno risorse ed eliminare parte della necessità per i consumatori di sostenere spese in conto capitale costose, necessarie solo in caso di eventi estremi. Questo consumatore di ultima istanza potrebbe proteggere le reti elettriche e monetizzarne la resilienza.

Il mining di Bitcoin, lungi dall'essere un fattore superfluo nel cambiamento climatico, è il tassello mancante del puzzle che stabilizza l'energia verde volatile e rende le reti elettriche adatte al ventunesimo secolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La battaglia di Milei contro la trappola monetaria dell'Argentina

Mer, 11/06/2025 - 10:11

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Skot Sheller

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-battaglia-di-milei-contro-la-trappola)

Immaginate uno scenario in cui il governo federale decretasse quanti dollari possono essere acquisiti. Le aziende straniere non saprebbero con certezza quando, o addirittura se, i loro profitti verrebbero rimpatriati. Le persone avrebbero bisogno di un'autorizzazione governativa speciale per investire all'estero o acquisire dollari. Gli investimenti esteri ristagnerebbero e i dollari verrebbero commerciati sul mercato nero a prezzi gonfiati.

Questo scenario orwelliano e distopico per qualsiasi cittadino americano è stata la realtà per gli argentini dal 2011, quando la presidente Cristina Fernández de Kirchner introdusse il controllo monetario noto come cepo cambiario. La misura fu una risposta alla crescente fuga di capitali, al forte calo delle riserve internazionali e alla pressione sul peso argentino. In pratica, si trattò di una restrizione all'accesso al dollaro e di una delle maggiori distorsioni del tasso di cambio nel mondo moderno.

In quel periodo il governo argentino fece ciò che è altamente probabile che facciano gli stati: creò un problema e poi ne creò uno ancora più grande per cercare di risolverlo. L'amministrazione Kirchner, profondamente interventista, avviò un ciclo di nazionalizzazioni, controlli sui prezzi e politiche che logicamente indebolirono qualsiasi potenziale di crescita. L'Argentina non offriva più un ambiente attraente per gli investimenti.

Anche la fiducia dei cittadini venne naturalmente meno; perfino istituzioni come l'Istituto nazionale di statistica e censimento (INDEC) sono state accusate di aver manipolato la verità sui dati sull'inflazione, in un tentativo di preservare la narrazione ufficiale del governo argentino.

Com'è naturale, gli argentini iniziarono a scambiare i loro pesos con dollari come forma di protezione, portando al crollo delle riserve in dollari della banca centrale. Questo fenomeno spinse il governo argentino a decidere di fissare il tasso di cambio, anziché lasciare che il peso fluttuasse rispetto al dollaro, una linea di politica che generò una pressione significativa sulle riserve. Disperato, il governo argentino introdusse il cepo, il quale prevedeva controlli burocratici sulle importazioni, sugli acquisti di valuta estera e sulla possibilità di rimpatriare i profitti.

Il cepo divenne una presenza fissa in Argentina, presente attraverso una presidenza dopo l'altra. Anche quando il presidente di centro-destra, Macri, lo abrogò temporaneamente, lo reintrodusse dopo tre anni, a causa del deterioramento delle riserve internazionali, dei deficit di bilancio, dell'aumento dell'inflazione e della perdita di fiducia da parte dei mercati, i quali esercitavano pressioni sul tasso di cambio e sul sistema bancario. Il suo successore, Alberto Fernández, rafforzò i controlli monetari, trasformando l'accesso personale al dollaro in un assurdo processo burocratico, ma soprattutto in un intollerabile attacco alla libertà economica, che in ultima analisi è inscindibile dalla libertà individuale.

In pratica, il cepo significava che la banca centrale vendeva dollari a un tasso ufficiale ben al di sotto del tasso di libero mercato. Fino a poco tempo fa vendeva dollari a 400 pesos, mentre il mercato parallelo, il “dollaro blu”, li vendeva a circa 1.000 pesos. Ciò creava una distorsione e un evidente incentivo all'arbitraggio.

Se la banca centrale avesse avuto riserve sufficienti a soddisfare tutta la domanda al tasso di cambio ufficiale, il mercato si sarebbe naturalmente adeguato, ma le riserve si sarebbero esaurite. In quella situazione lo stato argentino aveva solo due opzioni: svalutare il peso aumentando il tasso di cambio ufficiale o razionare i dollari, limitando chi poteva acquistare e quanto, mantenendo così il cepo.

Negli ultimi anni l'Argentina ha fatto entrambe le cose: svalutando la moneta e mantenendo i controlli sui cambi.

La vittoria di Milei ha rappresentato un cambiamento radicale e senza precedenti: da una società fortemente interventista a un approccio liberale classico. Naturalmente Javier Milei ha promesso di eliminare il cepo.

La sua abrogazione, tuttavia, non è stata così immediata come alcuni dei suoi sostenitori avrebbero auspicato. Personaggi come Gabriel Zanotti e Larry White, legati alla Scuola Austriaca, hanno criticato quello che considerano un eccesso di gradualismo.

Milei, tuttavia, aveva motivo di essere cauto. Temeva che le fragili finanze della banca centrale e l'elevata inflazione del peso potessero innescare una corsa agli sportelli. Di conseguenza ha mantenuto la maggior parte dei controlli del cepo, riconoscendo che il passaggio da un modello interventista a uno liberale doveva essere graduale.

Lunedì la lunga corsa di Milei si è conclusa con l'annuncio da parte dell'amministrazione dell'abrogazione del cepo. L'annuncio è arrivato subito dopo gli accordi che hanno visto l'Argentina rafforzare le riserve attraverso accordi con il Fondo monetario internazionale, la Cina (uno swap da $5 miliardi) e altre istituzioni internazionali, per un totale di circa $28 miliardi. Ciò ha permesso l'eliminazione del cepo per i privati ​​e l'attuazione di un sistema di cambio fluttuante, con una fascia di oscillazione tra 1.000 e 1.400 pesos per dollaro.

Con pazienza, Milei è sfuggito alla trappola monetaria dell'Argentina. Non è un'impresa da poco.

Milei ha ereditato una situazione macroeconomica di gran lunga peggiore di quella dei suoi predecessori, una situazione che richiedeva un approccio graduale nonostante la pressione ideologica. Prima di eliminare il cepo, Milei ha dovuto svalutare il peso, fissare il sistema di passività e di emissione monetaria della banca centrale, attuare deregolamentazioni e tagliare la spesa pubblica, altrimenti avrebbe avuto la stessa miserabile sorte dell'ex-presidente Macri. Solo una volta che le riserve fossero state sufficienti a impedire una corsa agli sportelli, i controlli sulla valuta avrebbero potuto essere revocati.

È anche importante tenere presente che Milei governa con una base parlamentare fragile e frammentata. Il Presidente argentino ha dovuto affrontare la sfida di bilanciare la coerenza ideologica con la responsabilità istituzionale e le dure, ma necessarie, realtà del negoziato politico.

Il successo di Milei ci ricorda che il gradualismo non è incompatibile con la responsabilità istituzionale. Da una gestione attenta di queste forze, la via verso la libertà economica emergerà non come un ideale retorico, ma come l'unica via credibile verso una prosperità e una stabilità durature.

La situazione difficile di Milei è necessaria solo dopo che il Paese, un tempo considerato uno dei più ricchi al mondo, è sprofondato in una profonda instabilità economica, povertà e decadenza, un monito per gli americani. La ricchezza si crea, non è garantita e può essere distrutta da cattive politiche economiche.

Una guerra commerciale derivante da protezionismo, spesa eccessiva e cattiva gestione della massa monetaria sono tutte strade che portano allo stesso destino precedente dell'Argentina.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Freedonia celebra 15 anni di buone letture

Mar, 10/06/2025 - 10:00

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/freedonia-celebra-15-anni-di-buone)

Come ogni 10 giugno questo spazio divulgativo si ferma un attimo e parla di sé stesso. In particolar modo oggi, che sono passati esattamente 15 anni dalla sua nascita. Era il 10 giugno 2010 e Francesco Simoncelli's Freedonia ha una storia che per i tempi del web possiamo definire molto lunga, o perlomeno non so quante attività come la mia sono nate nel 2010 e sono sopravvissute fino a oggi... temo molto poche, pochissime. Il mio blog è uno di questi e oltre a essere sopravvissuto alla prova del tempo ha goduto anche di un relativo successo. Inutile dire che ha dovuto anche evolversi: nato come esercizio didattico e di semplificazione delle dinamiche economiche, ha integrato nella sua esposizione sempre più temi per offrire una panoramica più ampia degli accadimenti del mondo. L'esordio su carta stampata ha segnato questo passaggio, quando nel 2015 ho pubblicato il mio primo manoscritto: L'economia è un gioco da ragazzi. Ci sarebbero voluti altri 5 anni prima che pubblicassi il seguito di questo percorso incentrato sulla condensazione della teoria alla base delle pubblicazioni giornaliere del blog, ma infine avrebbe visto la luce con La fine delle fallacie economiche. Infine, quella che potremmo definire maturazione del progetto, è arrivata l'anno scorso quando ho pubblicato l'ultimo tassello di quella che è diventata a tutti gli effetti una trilogia: Il Grande Default. Nel mezzo, però, ci sono stati altri testi che hanno rispecchiato la caratteristica fondante della mia opera divulgativa: tradurre quegli articoli che tra di loro intessono un fil rouge e guidano il lettore lungo la via migliore per comprendere i fenomeni del mondo economico/geopolitico, eliminando quanto più possibile il rumore di fondo. Ed è così che hanno preso vita traduzioni di libri come L'economia cristiana in una lezione, Avanzamento e declino della società e La radice di tutti i mali economici.

Ma non mi sono fermato solo alla teoria, perché sapevo che con la crescita della mia esperienza “sul campo” e della consapevolezza acquisita potevo allargare la mia proposta di valore anche dal lato pratico. Ed è così che è nato il servizio di consulenza del blog, grazie al quale coloro che ne hanno usufruito hanno potuto accedere a una serie di consigli strategici in materia di asset allocation e diversificazione di portafoglio. Analizzando i mercati o i singoli asset, chi prenota una consulenza può accedere a informazioni aggiuntive con le quali migliorare il proprio processo decisionale nella navigazione di mercati volatili e, nel futuro prossimo, alquanto turbolenti. In fin dei conti è quanto ci suggeriva Hayek quando scrisse il suo meraviglioso saggio The Use of Knowledge in Society: il processo imprenditoriale aumenta la sua capacità di successo grazie a un maggiore accesso a input d'informazione di qualità, sta poi all'imprenditore (essere umano agente) ricostruire un mosaico coerente e chiaro in base al proprio set di valori ed esigenze. Infatti il vantaggio competitivo che una persona può avere su un'altra è esattamente questo: l'accesso a un bacino di informazioni di qualità superiore con cui migliorare il proprio benessere in anticipo sugli altri.

Infine, la novità più fresca che ha caratterizzato l'offerta di servizi del blog è rappresentata dai cosiddetti “Audioarticoli”. Dall'anno scorso, infatti, è possibile ascoltare le varie pubblicazioni giornaliere sottoscrivendo un abbonamento alla mia pagina su Substack e, di conseguenza, efficientare il proprio tempo. Oltre a una serie di privilegi per i 3 livelli di abbonamento proposti, il principio grazie al quale ho deciso di avviare questa attività collaterale è esattamente quello di far risparmiare tempo ai lettori. L'efficienza di quest'ultimo è uno dei cardini degli insegnamenti della Scuola Austriaca e comprenderne l'importanza come stock di capitale è un esercizio tanto facile (all'apparenza) quanto difficile (nella pratica). E non è un caso che la scuola non insegni niente del genere in merito al tempo. I benefici del risparmio sono imprescindibili nella costruzione di una società prospera e solida, al contempo il beneficio del risparmio del tempo è imprescindibile nella costruzione di un benessere individuale duraturo e proficuo. Ascoltando i suggerimenti che nel corso degli anni sono arrivati dai lettori, lo sviluppo della tecnologia ha permesso l'accesso a questo tipo di soluzione per tutti coloro che non hanno spazio nella loro vita per la lettura e vogliono ricorrere all'economia di scala se possono: ovvero, viaggiare e al contempo ascoltare un podcast ad esempio.

Una cosa ha sempre accompagnato Freedonia, che è rimasto un luogo, per quanto sia cambiato nel tempo, sempre e comunque fedele a sé stesso: esso è e sarà sempre il mio punto di vista sul mondo, con quello che io vedo nel mondo e come io lo vedo rispetto alla realtà circostante. Ed è stato questo, sostanzialmente, il motore che ha fatto e fa ancora girare la macchina Freedonia: finché quello che mi piace fare mi permette di avere un sufficiente numero di sostenitori, abbonati e filantropi da mandarlo avanti, io resterò ancora qui.

Se poi volete usare altri metodi per contribuire attivamente al sostegno di Freedonia, ecco altre soluzioni:

Paypal: paypal.me/FrancescoSimoncelli

• BTC:   3MEeiTcYNMxJJVCo1zNu5DCxWeSgDauA1D

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• LTC:   MG4X6Qn3tFvBsrzangaiZBR9Rg7GqoxXqu 


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Il problema col globalismo forzato

Lun, 09/06/2025 - 10:10

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-problema-col-globalismo-forzato)

Per anni ho continuato a usare il termine globalismo con approvazione, perché la cooperazione internazionale è una cosa positiva. Viaggiare è meraviglioso, così come lo è la libertà di commerciare e migrare. Come ha fatto la pratica della libertà, che si estende oltre i confini giuridici nazionali, a essere così detestata e denigrata?

Dietro c'è una storia complessa che parla di intrecci tra stati, industria, finanza, strutture governative sovranazionali e del controllo di un gruppo di persone sopra i sistemi.

L'esperienza del Covid ha rivelato tutto. La risposta è stata globale: quasi tutte le nazioni hanno adottato misure di lockdown allo stesso modo, più o meno nello stesso periodo, applicando gli stessi protocolli e adottando le stesse misure (più o meno).

L'Organizzazione mondiale della sanità sembrava dettare legge, con le agenzie sanitarie pubbliche nazionali che si sono disinteressate di ogni questione. Il virus stesso sembrava essere emerso dall'interno di una struttura di ricerca multilaterale sui patogeni e sulle possibili contromisure farmaceutiche.

Inoltre le banche centrali di tutto il mondo hanno collaborato per finanziare la risposta politica, stampando moneta come mai prima per fermare il collasso economico dovuto alle chiusure forzate. Nazioni come Svezia e Nicaragua, che hanno seguito la propria strada, sono state demonizzate dai media di tutto il mondo esattamente allo stesso modo.

I legislatori nazionali non hanno avuto alcun ruolo nei lockdown iniziali; sono stati esclusi dal processo decisionale. Ciò significa che anche i cittadini che li avevano eletti sono stati privati ​​del loro diritto di voto. Nessuno ha votato per la distanza di sicurezza, la chiusura delle attività commerciali e gli obblighi di vaccinazione. Sono stati imposti da editti amministrativi e i sistemi giudiziari non li hanno fermati.

La democrazia come idea, così come lo stato di diritto, sono morti in quei mesi e anni, rimettendosi sempre alle istituzioni globali e ai sistemi finanziari che hanno assunto di fatto il controllo del pianeta. È stata la più sorprendente dimostrazione di potere universale nella storia.

Visti i risultati, non sorprende affatto vedere la reazione negativa, che si è concentrata sulla riaffermazione dei diritti delle nazioni e dei loro cittadini.

Molti difensori della libertà (di destra e di sinistra) sono spesso a disagio con l'ethos di questa reazione e si chiedono se e in quale misura esista un valido precedente storico per rivendicare la sovranità in nome della libertà.

Sono qui per affermare che un tale precedente esiste, un episodio storico quasi completamente dimenticato.

È noto che l'accordo di Bretton Woods del 1944 includeva parti che riguardavano il saldo monetario internazionale (il gold exchange standard) e il sistema bancario (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale). Molti conoscono anche l'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (1948).

Quello che non è noto è che il GATT era una posizione di ripiego. La bozza originale di Bretton Woods includeva un'Organizzazione internazionale per il commercio (OIC) che avrebbe dovuto essere autorizzata a gestire tutti i flussi commerciali globali. Fu redatto nel 1944 e codificato nella Carta dell'Avana del 1948. All'epoca i principali governi e le grandi aziende si impegnarono a ratificare questo accordo come trattato.

L'Organizzazione internazionale per il commercio avrebbe dovuto governare il mondo, con gli oligarchi che ne avrebbero preso il controllo in nome della globalizzazione.

Fu messo da parte... perché? Non a causa dell'opposizione di protezionisti e mercantilisti. I principali oppositori dell'Organizzazione internazionale per il commercio erano infatti liberisti e libertari. La campagna per smantellare il trattato fu guidata dall'economista franco-americano Philip Cortney e dal suo libro di grande successo intitolato The Economic Munich (1949).

“La Carta dell'Organizzazione internazionale per il commercio è un monumento alle illusioni”, scrisse, “un sogno burocratico che ignora la dura realtà delle economie nazionali. Promette il libero scambio ma impone vincoli, costringendo le nazioni a regole che non possono piegarsi alle tempeste dell'inflazione o della scarsità”.

Lui e altri nella sua orbita potevano individuare in quella Carta non la mano della libertà, bensì la pianificazione centralizzata, il corporativismo, l'inflazionismo, la pianificazione fiscale, la politica industriale e il commercio controllato – in breve, quello che oggi viene chiamato globalismo. Era fermamente contrario, proprio perché credeva che avrebbe fatto arretrare la legittima causa del libero scambio e avrebbe sommerso la sovranità nazionale sotto una palude burocratica.

Le obiezioni che aveva erano molte, ma tra queste c'erano quelle incentrate su questioni di saldo monetario. Le nazioni sarebbero state vincolate a un sistema tariffario senza alcuna flessibilità per adeguare i valori delle valute in base ai flussi commerciali. Credeva che l'Organizzazione internazionale per il commercio comportasse un rischio reale, che le nazioni non avessero la capacità di adattarsi alle variazioni dei tassi di cambio o ad altre specificità di tempo e luogo. Sebbene la Carta sembrasse promuovere il libero scambio, Cortney credeva che alla fine lo avrebbe indebolito.

Riteneva inoltre che se le nazioni avessero aperto le loro economie alla concorrenza internazionale da ogni angolo del mondo, ciò avrebbe dovuto essere fatto in modo coerente con la governance democratica e i plebisciti nazionali. Un governo globale dal pugno di ferro che imponesse un tale regime avrebbe contraddetto l'intera storia delle posizioni contrarie al mercantilismo e probabilmente sarebbe stato sfruttato dalle grandi aziende e dalla finanza per manipolare il sistema a proprio vantaggio.

Ciò che colpisce di questa argomentazione è che proveniva da un punto di vista liberale/libertario che favoriva i metodi tradizionali per ottenere il libero scambio, opponendosi a quelli che oggi verrebbero definiti mezzi globalisti per ottenerlo.

Infatti Ludwig von Mises disse di quel libro: “La sua brillante critica espone spietatamente le fallacie delle dottrine e delle politiche economiche ufficiali contemporanee. Le tesi principali nel suo saggio sono inconfutabili. Sopravviverà a quest'epoca di futilità politica e sarà letto e riletto come un classico della libertà economica, al pari delle opere di Cobden e Bastiat”.

Fu Cortney, insieme ai suoi compatrioti ideologici nel mondo degli affari e della scrittura editoriale, a silurare la Carta dell'Avana e a gettare l'Organizzazione internazionale per il commercio nel dimenticatoio della storia.

Per essere chiari, il rifiuto nei confronti di tale organizzazione non fu il risultato dell'attivismo di reazionari, socialisti, protezionisti o persino nazionalisti economici. Fu respinta da convinti sostenitori del liberalismo economico, del libero scambio e degli interessi commerciali dominati dalle piccole e medie imprese che temevano di essere inghiottite dal pantano globalista.

Queste persone diffidavano della burocrazia in generale e della burocrazia globale in particolare. Quella era una generazione di principi, e all'epoca erano ben consapevoli di come qualcosa potesse sembrare fantastico a parole ma essere orribile nella realtà. Non si fidavano della banda al potere in quei giorni affinché elaborasse un accordo commerciale sostenibile per il mondo.

Il rifiuto dell'Organizzazione internazionale per il commercio è il motivo per cui siamo arrivati ​​all'Accordo Generale sulle Tariffe e il Commercio. Era generale, nel senso che non era una legge consolidata; era un accordo, il che significava che nessuna nazione sarebbe stata costretta a violare i propri interessi; riguardava i dazi, ma non tentava una grande strategia per livellare tutte le valutazioni monetarie; era informale e non formale, decentralizzato e non centralizzato.

Il GATT prevalse fino al 1995, quando l'Organizzazione mondiale del commercio fu imposta sotto un'enorme pressione da parte dei media e delle grandi aziende. Fu una rinascita della vecchia Organizzazione internazionale per il commercio. A quel punto i sostenitori del libero mercato avevano perso la loro sofisticatezza e si erano schierati a favore della nuova agenzia globale. Quasi a confermare la previsione di Cortney, l'Organizzazione mondiale del commercio è ormai diventata obsoleta, capro espiatorio per la stagnazione economica, la deindustrializzazione, gli squilibri monetari e i conti esteri instabili, coperti da riserve estere di asset denominati in dollari.

Ora ci troviamo di fronte a una reazione violenta, sotto forma di politiche mercantiliste grossolane che si stanno abbattendo con furia. L'America è stata la destinazione di enormi quantità di prodotti provenienti dalla Cina, ora bloccate da dazi elevati. Con straordinaria ironia, il New York Times avverte che un dirottamento delle merci dagli Stati Uniti all'Europa potrebbe “portare a uno scenario rischioso per i Paesi europei: il dumping di prodotti artificialmente a basso costo che potrebbe minare le industrie locali”.

Immaginate un po'!

L'equilibrio tra sovranità nazionale e libertà stessa è delicato. Generazioni di intellettuali lo sapevano e si sono guardati bene dal rovesciare l'una per sostenere l'altra. Separare definitivamente le strutture di governo dal controllo dei cittadini, anche solo attraverso un plebiscito periodico, rischia il disastro persino su temi come il commercio, per non parlare della ricerca sulle malattie infettive e sui virus.

Così è arrivata la rivolta, esattamente come aveva previsto Philip Cortney.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


Ingegnerizzare la realtà (Parte #2)

Ven, 06/06/2025 - 10:01

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/ingegnerizzare-la-realta-parte-2)

Catturare la controcultura

Nella Prima parte abbiamo tracciato lo sviluppo delle strutture di controllo dai monopoli fisici di Edison alle operazioni psicologiche del Tavistock, assistendo a come interessi aziendali, bancari e agenzie di intelligence convergessero per plasmare la coscienza pubblica. Ora vedremo come questi metodi raggiunsero una nuova sofisticazione nella cultura popolare, a partire dalla British invasion degli anni '60, che dimostrò come movimenti musicali accuratamente orchestrati potessero rimodellare la società.

I Beatles e i Rolling Stones non erano solo delle band: come ha ampiamente documentato il ricercatore Mike Williams nella sua analisi della British invasion, la loro comparsa segnò l'inizio di una trasformazione culturale sistematica e profonda. Williams osserva che persino il termine stesso “British Invasion” era rivelatore: una metafora militare per quello che apparentemente era un fenomeno culturale, forse un modo per annunciare apertamente l'operazione del Tavistock. Quello che sembrava un giocoso linguaggio di marketing descriveva in realtà un'infiltrazione attentamente orchestrata nella cultura giovanile americana. Attraverso centinaia di ore di ricerca meticolosamente documentata, Williams costruisce una tesi schiacciante secondo cui i Beatles furono la punta di diamante di un programma più ampio che utilizzava album come Sgt. Pepper e Their Satanic Majesties Request dei Rolling Stones per allontanare deliberatamente la cultura giovanile dai valori tradizionali e dalle strutture familiari. Ciò che sembra insipido per gli standard odierni rappresentava un attacco calcolato alle norme sociali, dando inizio a una trasformazione culturale che si sarebbe accelerata nei decenni successivi.

La ricerca di Williams va oltre, presentando prove convincenti del fatto che i Beatles furono essenzialmente la prima “boy band” moderna: la loro immagine era attentamente costruita, la loro musica in gran parte scritta ed eseguita da altri. Questa rivelazione trasforma la nostra comprensione della British invasion: quello che sembrava un fenomeno culturale organico era in realtà un'operazione meticolosamente orchestrata, con musicisti e cantautori professionisti dietro le quinte, mentre i Beatles fungevano da attraenti frontmen per l'imponente progetto di ingegneria sociale.

Da appassionato di musica di lunga data e devoto dei Beatles, affrontare questa evidenza inizialmente mi è sembrato un sacrilegio. Ciononostante il modello diventa innegabile una volta che lo si vede per quello che è. Mentre il dibattito continua su dettagli specifici come il presunto coinvolgimento di Theodor Adorno, esponente della Scuola di Francoforte, nella creazione delle canzoni dei Beatles – un'affermazione che ha sia sostenitori che critici – ciò che è chiaro è che l'operazione portava tutti i tratti distintivi della metodologia di ingegneria sociale del Tavistock.

La deliberata creazione di una dialettica “bravi ragazzi/cattivi ragazzi” (Beatles/Rolling Stones) offriva scelte controllate e permetteva a “entrambe le parti” di promuovere esattamente gli stessi cambiamenti culturali desiderati. Andrew Loog Oldham costruì magistralmente l'immagine di “cattivi ragazzi” degli Stones utilizzando tecniche di pubbliche relazioni che ricordano i metodi di Edward Bernays (il “padre delle pubbliche relazioni”, pioniere della manipolazione psicologica di massa), creando desiderio attraverso l'intuizione psicologica e trasformando la ribellione culturale in una merce commerciabile. Come lo stesso Oldham riconobbe nella sua autobiografia, non vendeva solo musica, ma “ribellione, anarchia e sex appeal racchiusi in un unico pacchetto”, creando deliberatamente un mito in cui il pubblico potesse credere. La sua sofisticata comprensione del branding culturale e della psicologia di massa rifletteva i più ampi metodi di influenza che stavano rimodellando i media e l'opinione pubblica in quel periodo.

Dietro la personalità ribelle di Mick Jagger si celava una formazione alla London School of Economics, a suggerire un insider con una comprensione più profonda dei sistemi di potere. Questo assiduo sviluppo dell'immagine si estese alla cerchia ristretta degli artisti, in particolare alla fidanzata di Jagger, Marianne Faithfull, a sua volta cantante di successo e socialite, il cui padre era un agente dell'MI6 che interrogò Heinrich Himmler e il cui nonno materno aveva origini asburgiche. Le finanze degli Stones erano gestite dal principe Rupert Loewenstein, un aristocratico bavarese e banchiere privato la cui nobile discendenza e i cui circoli finanziari si intersecavano con la dinastia Rothschild – un altro esempio di figure dell'establishment dietro movimenti apparentemente anti-establishment.

Persino l'etichetta discografica stessa si adattava a questo schema: la EMI (Electric and Musical Industries), che firmò sia i Beatles che i Rolling Stones, nacque come azienda di elettronica militare. Durante la Seconda Guerra Mondiale la ricerca e lo sviluppo della EMI contribuirono in modo significativo al programma radar britannico e ad altre tecnologie militari. Questa fusione di interessi militare-industriali con la produzione culturale non fu una coincidenza: le competenze tecniche della EMI in elettronica e comunicazioni si sarebbero rivelate preziose sia in ambito bellico che nella distribuzione di massa di contenuti culturali.

Questi esperimenti britannici di controllo culturale, attentamente gestiti, avrebbero presto trovato il loro laboratorio perfetto in America, dove un'improbabile convergenza avrebbe rimodellato per sempre la cultura giovanile e l'unità della famiglia. La Gran Bretagna aveva sperimentato questi metodi di orchestrazione culturale attraverso la musica, integrando i legami dell'intelligence nella British Invasion, ma l'America avrebbe perfezionato e portato queste tecniche a livelli senza precedenti.


Il laboratorio di Laurel Canyon

Sulle colline sopra Hollywood, tra il 1965 e il 1975, come documentò per la prima volta il giornalista Dave McGowan, si verificò un fenomeno straordinario: l'emergere di una nuova scena musicale incentrata a Laurel Canyon, dove un'improbabile concentrazione di legami familiari tra militari e intelligence confluì per rimodellare la cultura giovanile americana. Questa convergenza non fu casuale: mentre il sentimento anti-guerra si rafforzava negli ambienti accademici, questo nesso tra militari e intelligence contribuì a reindirizzare la potenziale resistenza verso una controcultura satura di droga, incentrata sul “ritiro” piuttosto che sull'opposizione organizzata alla guerra.

I legami tra militari e intelligence all'interno di Laurel Canyon erano impressionanti.

• Il padre di Jim Morrison comandò la flotta durante l'incidente del Golfo del Tonchino che diede inizio alla guerra del Vietnam.

• Il padre di Frank Zappa era uno specialista di guerra chimica all'Edgewood Arsenal, un importante sito di ricerca sulla sperimentazione umana.

• David Crosby, rampollo dei Van Cortlandt e dei Van Rensselaer – membri della famiglia reale americana – discendeva da una stirpe di potere politico che includeva senatori, giudici della Corte Suprema e generali rivoluzionari.

• James Taylor, discendente dei coloni della Massachusetts Bay Colony, crebbe in una famiglia plasmata dal mondo accademico e dal servizio militare, incluso il ruolo del padre nell'Operazione Deep Freeze in Antartide.

• Sharon Tate, figlia del tenente colonnello Paul Tate, ufficiale dell'intelligence dell'esercito, frequentò questi ambienti prima di morire.

• Dennis Hopper, il cui padre era un agente dell'OSS, diresse Easy Rider con Peter Fonda, confezionando la ribellione della controcultura per il consumo mainstream.

La trasformazione fu sistematica: dall'ottimismo e dall'unità del dopoguerra incarnati dalla New Frontier di JFK alla frammentazione calcolata che seguì il suo assassinio. Questo trauma pubblico e di massa, perfettamente in linea con i metodi di ingegneria sociale del Tavistock basati sullo shock psicologico, segnò la fine del genuino ottimismo. I boomer, cresciuti in una prosperità senza precedenti e ispirati dalla visione di Kennedy di una Nuova frontiera, videro il loro potenziale per un'autentica trasformazione sociale e politica reindirizzato in movimenti culturali accuratamente elaborati che avrebbero plasmato le generazioni successive. Queste connessioni pervasive tra figure dell'intelligence militare e leader della controcultura – dall'ammiraglio padre di Morrison al genitore di Zappa, specialista in guerra chimica, alla dinastia politica di Crosby – rivelano uno schema chiaro: la sistematica cooptazione della cultura giovanile da parte dei poteri istituzionali.

Il momento in cui il Laurel Canyon emerse come centro della controcultura coincise con gli anni di massimo splendore del programma di controllo mentale MK-Ultra della CIA. Non fu una coincidenza. Le stesse organizzazioni che sperimentavano il controllo della coscienza attraverso metodi chimici, come l'LSD, si stavano contemporaneamente integrando negli sforzi di programmazione culturale. La convergenza di queste strategie a Laurel Canyon gettò le basi per quella che sarebbe presto diventata la fusione su vasta scala di musica e sostanze psichedeliche: uno sforzo calcolato per contrastare la resistenza politica che stava sorgendo spontaneamente, incanalandola in un movimento incentrato sulla trascendenza personale piuttosto che su un'azione collettiva efficace.


Programmare la rivoluzione

Basandosi sulle basi psicologiche e culturali stabilite a Laurel Canyon, la fusione di musica e sostanze psichedeliche segnò l'apice della manipolazione della coscienza. Questa fase di programmazione culturale di massa reindirizzò strategicamente la resistenza politica verso canali culturali gestiti artificialmente, allontanando il dissenso dai movimenti organizzati e indirizzandolo verso un'astinenza frammentata e alimentata dalla droga.

Persino i Grateful Dead, la quintessenza della controcultura californiana, che coltivarono un seguito devoto e che definì la ricerca di comunità e significato di una generazione, erano intrinsecamente legati a meccanismi di controllo sociale. Il loro manager, Alan Trist, non era solo il figlio del fondatore del Tavistock, Eric Trist, ma era anche presente all'incidente d'auto in cui perse la vita l'amico d'infanzia di Jerry Garcia, Paul Speegle, una tragedia che spinse Garcia a formare la band. Il legame militare di Garcia aggiunge un ulteriore livello di intrigo: dopo aver rubato l'auto della madre nel 1960, gli fu offerta la scelta tra il carcere e il servizio militare. Nonostante le ripetute assenze ingiustificate da Fort Ord e dal Presidio di San Francisco, Garcia ricevette solo un congedo generale, un esito insolitamente clemente che solleva interrogativi sui potenziali legami ufficiali. Nel frattempo il paroliere della band, Robert Hunter, partecipò a esperimenti con l'LSD finanziati dal governo federale, legati alla più ampia ricerca psichedelica dell'epoca. Come house band dei Merry Pranksters, anch'essi legati alla CIA, i Grateful Dead giocarono un ruolo chiave nel guidare il sentimento anti-guerra verso la ritirata psichedelica, allineando la controcultura a programmi sponsorizzati dallo stato in modi che meritano un esame più approfondito.

Questo allineamento tra interessi della controcultura e dell'establishment si dimostrò incredibilmente efficace. Mentre il sentimento pacifista si rafforzava nei circoli accademici – dove una vera resistenza poteva minacciare il potere costituito – l'emergere del movimento hippie reindirizzò l'opposizione verso una controcultura giovanile satura di droghe e focalizzata sull'evasione piuttosto che sulla resistenza organizzata. Con l'intensificarsi delle operazioni della macchina bellica in Vietnam, i giovani americani furono guidati verso la dissoluzione culturale – una formula perfetta per neutralizzare movimenti pacifisti significativi. Lo stesso complesso militare-intelligence che aveva guidato la guerra stava simultaneamente plasmando la cultura che avrebbe impedito un'efficace resistenza ad essa.

Il ruolo di Timothy Leary in questa trasformazione fu cruciale. Prima di diventare la voce più influente del movimento psichedelico, era stato un cadetto a West Point e in seguito avrebbe prestato servizio come informatore dell'FBI. La sua difesa delle sostanze psichedeliche emerse parallelamente all'esplorazione, da parte della CIA, di sostanze come l'LSD durante l'era MK-Ultra. John Lennon rifletté in seguito su questa confluenza con pungente ironia: “Dobbiamo sempre ricordare di ringraziare la CIA e l'Esercito per l'LSD. È questo che la gente dimentica... Hanno inventato l'LSD per controllare le persone e quello che hanno fatto è stato darci la libertà”. Questo apparente ritorno di fiamma del programma mascherò un successo più profondo: smantellare la potenziale resistenza attraverso la promozione del disimpegno chimico. Diffondendo il mantra “accendi, sintonizzati, abbandonati”, Leary portò avanti questo programma. Un tale riorientamento non solo frammentò l'opposizione giovanile, ma indebolì anche i loro legami con i sistemi di supporto tradizionali come la famiglia e la comunità – esattamente il tipo di atomizzazione sociale che avrebbe reso più facile il controllo futuro.

La sovrapposizione tra la ricerca sull'LSD finanziata dal governo federale e la scena musicale emergente era tutt'altro che casuale. Mentre MK-Ultra esplorava metodi chimici per il controllo della coscienza, l'industria musicale stava contemporaneamente perfezionando metodi culturali, con band come i Grateful Dead che collegavano entrambi i mondi attraverso i loro legami con gli esperimenti sull'LSD finanziati dal governo federale e la controcultura in rapida ascesa.


Reindirizzare la resistenza

I modelli di collegamento tra la leadership governativa e i movimenti musicali non si limitavano all'era psichedelica. Con l'evoluzione della musica popolare attraverso nuovi generi e decenni, le stesse relazioni di fondo continuano a esistere tra l'establishment e l'influenza culturale.

Nella scena hardcore punk figure come Ian MacKaye (Minor Threat, Fugazi), il cui padre faceva parte del White House Press Corps ed era presente all'assassinio di JFK, sarebbero diventate quelle più indipendenti, aprendo la strada all'etica del fai da te attraverso la sua etichetta Dischord Records. I suoi legami con l'establishment risalivano a molto prima: suo nonno Milton MacKaye era un giornalista e dirigente dell'Office of War Information. Il suo approccio autonomo sembrava resistere al sistema, eppure i suoi legami con l'establishment evidenziano un modello più ampio. Lo stesso nel rock alternativo: il padre di Dave Grohl fu assistente speciale del senatore Robert Taft Jr. durante l'amministrazione Reagan. Madonna, divenuta la pop star per eccellenza degli anni '80, è figlia di Tony Ciccone, un ingegnere che lavorava a progetti militari per Chrysler Defense e General Dynamics Land Systems.

Avere genitori coinvolti in attività governative, di difesa o di intelligence non implica necessariamente che questi artisti abbiano commesso illeciti; tuttavia questi esempi rappresentano solo una minima parte dei legami documentati tra figure della controcultura e strutture di potere. Il modello si estende attraverso decenni e generi, con centinaia di casi simili che suggeriscono non una coincidenza ma un disegno sistematico: dai musicisti jazz sostenuti da famiglie di banchieri ai punk rocker con legami con il governo, fino alle pop star provenienti da famiglie dell'industria della difesa. Questi legami pervasivi sollevano interrogativi sul rapporto tra potere della classe dirigente e influenza culturale.

Forse nessuna famiglia esemplifica meglio la fusione tra operazioni di intelligence e produzione culturale dei Copeland. Miles Copeland Jr., che contribuì a fondare la CIA e orchestrò colpi di stato in tutto il Medio Oriente, ha descritto nel dettaglio le strategie psicologiche alla base di questa integrazione nel suo libro The Game of Nations. In questo testo Copeland delineò esplicitamente la metodologia di manipolazione che avrebbe plasmato sia le operazioni di intelligence che la cultura popolare: “Nel mondo delle operazioni segrete, nulla è ciò che appare. La chiave non è solo controllare le azioni, ma controllare la percezione delle azioni”.

Suo figlio Miles Copeland III divenne una figura chiave nell'industria musicale, gestendo gruppi influenti come i Police (con il fratello Stewart come batterista) e fondando la I.R.S. Records. Attraverso quest'ultima, Copeland avrebbe plasmato l'ascesa della musica alternativa nel mainstream, gestendo gruppi come i R.E.M., guidati da Michael Stipe, un altro figlio di militari. I Copeland rappresentano un un ponte tra operazioni segrete e produzione culturale, cosa che dimostra come le metodologie di intelligence si siano evolute dall'intervento diretto all'influenza sottile attraverso l'intrattenimento. Il loro successo nel fondere il fascino della controcultura con la redditività commerciale è diventato un modello per la futura creazione di narrative ufficiali.

Questo modello di ingegneria culturale segue principi storicamente coerenti. Artisti e movimenti allineati con obiettivi di intelligence ricevono una promozione senza freni, mentre la vera resistenza subisce la soppressione o l'eliminazione. La tragica fine di personaggi come Phil Ochs e John Lennon, entrambi sotto la documentata sorveglianza dell'FBI per le loro minacce dirette al potere statale, contrasta notevolmente con le traiettorie di carriera di coloro che hanno presentato la ribellione entro limiti più convenzionali.


Ingegnerizzare il genere

Sebbene la musica si sia rivelata il laboratorio perfetto per testare il controllo della coscienza di massa, questi metodi si sarebbero presto estesi ben oltre l'intrattenimento. In nessun luogo ciò fu più evidente che nella deliberata riorganizzazione dei ruoli di genere e delle strutture familiari, con l'obiettivo di rimodellare gli aspetti intimi dell'identità e delle relazioni umane.

La calibrazione strategica delle narrazioni femministe emerse come un esempio particolarmente significativo, con le agenzie di intelligence che plasmavano attivamente le politiche di genere attraverso i media e l'attivismo organizzato. Gloria Steinem, che ha ammesso di aver lavorato con organizzazioni finanziate dalla CIA come l'Independent Research Service durante gli anni '50 e '60, esemplifica questa intersezione. La sua rivista Ms. Magazine, inaugurata nel 1972, fondeva ideali femministi con messaggi attentamente curati, mentre la Steinem in seguito ammise di aver partecipato a eventi finanziati dalla CIA volti a influenzare i movimenti femministi durante la Guerra Fredda.

L'ammissione di Nicholas Rockefeller all'amico Aaron Russo sottolineava come la liberazione femminile fosse strategicamente finanziata per espandere il controllo statale e corporativo, raddoppiando la base imponibile attraverso la partecipazione al mondo del lavoro, indebolendo i legami familiari attraverso l'aumento dei tassi di divorzio e aumentando l'influenza dello stato sui figli attraverso l'assistenza all'infanzia gestita sempre dallo stato.

In quello stesso periodo programmi influenti come That Girl e The Mary Tyler Moore Show contribuirono a normalizzare proprio questi cambiamenti, diffondendo l'archetipo della donna indipendente e concentrata sulla carriera in modi che si allineavano notevolmente con gli obiettivi sistemici.

Questa trasformazione fu capillare. Le riviste femminili passarono da contenuti prevalentemente nazionali a messaggi sempre più incentrati sulla carriera. L'evoluzione di Cosmopolitan sotto la direzione di Helen Gurley Brown negli anni '60 esemplificava questa trasformazione, normalizzando non solo la partecipazione delle donne al mondo del lavoro, ma anche promuovendo la liberazione sessuale al di fuori del matrimonio tradizionale: una duplice agenda che si allineava perfettamente con gli interessi aziendali nell'espansione sia del bacino di lavoro che della base di consumatori.

Questa deliberata definizione dei movimenti di genere si è estesa fino ai giorni nostri, con il Tavistock Institute che continua a plasmare le narrazioni moderne. Dallo spostamento delle riviste femminili verso messaggi di carriera negli anni '60 all'incessante promozione odierna di narrazioni sul genere, questi movimenti si allineano costantemente con obiettivi guidati da un'agenda ben precisa.


Mercificazione della resistenza

Le tecniche perfezionate a Laurel Canyon per trasformare la resistenza autentica in prodotti culturali redditizi si sarebbero evolute in quadri di controllo sempre più complessi. Dai pionieristici Grateful Dead nella cultura dei festival ai festival musicali moderni come Coachella, autentici spazi di controcultura sarebbero stati sistematicamente convertiti in imprese commerciali.

Entro gli anni '90 questi metodi si erano evoluti nella sistematica cooptazione della resistenza autentica. Mentre i baby boomer sperimentavano il passaggio dall'ottimismo alla disillusione, la generazione X si trovava di fronte a un meccanismo più raffinato che mercificava l'alienazione stessa. Il percorso di Kurt Cobain da autentica voce del malcontento generazionale a prodotto di MTV ha dimostrato come l'apparato di influenza si fosse evoluto, non più limitandosi a reindirizzare la resistenza, ma trasformandola in prodotti culturali redditizi. Questa mercificazione si è estesa oltre la musica: marchi come Nike hanno trasformato la cultura di strada anti-establishment in campagne di marketing globali attraverso figure come Michael Jordan e Charles Barkley. La cultura “alternativa” dell'epoca divenne talmente tanto commercializzata che emersero centri commerciali come Hot Topic per vendere “ribellione” preconfezionata agli adolescenti di periferia, trasformando i simboli della controcultura in offerte di vendita standardizzate.

Il completo dirottamento delle scene musicali underground dimostra quanto la struttura di potere avesse perfezionato la manipolazione culturale. Proprio come le agenzie di intelligence avevano reindirizzato la controcultura degli anni '60, le aziende svilupparono metodi avanzati per catturare e mercificare la dissidenza organica. Il Vans Warped Tour ha trasformato il punk rock, un tempo autentica espressione di ribellione giovanile, in una piattaforma di marketing aziendale itinerante, completa di palchi sponsorizzati e merchandising brandizzato. Il programma dell'accademia musicale di Red Bull è andato oltre, creando quello che equivale a un sistema di allerta precoce per movimenti culturali potenzialmente destabilizzanti. Identificando in anticipo generi e artisti underground emergenti, è stato possibile reindirizzare l'espressione culturale autentica verso canali commerciali prima che sviluppasse un autentico potenziale rivoluzionario.

Anche le scene più ferocemente indipendenti si sono dimostrate vulnerabili a questo sistema. Le major hanno creato false etichette indipendenti per mantenere la credibilità underground, controllando al contempo la distribuzione. Le compagnie del tabacco hanno preso di mira club e rave specifici, comprendendo che la credibilità subculturale potesse essere convertita in quote di mercato. Il modello stabilito a Laurel Canyon – quello di trasformare la resistenza autentica in prodotti redditizi – si è evoluto in una scienza di cattura culturale.

Proprio come le connessioni dei Grateful Dead col governo federale hanno contribuito a stabilire modelli per spazi culturali controllati, i festival musicali moderni fungono da punti di raccolta dati e laboratori comportamentali. L'evoluzione dagli Acid Tests alle lineup dei festival curate algoritmicamente dimostra quanto profondamente si sia digitalizzato il quadro dell'influenza.


La macchina delle celebrità

L'approccio perfezionato da Gloria Steinem – incanalare autentici movimenti sociali attraverso portavoce attentamente gestiti – si sarebbe evoluto nell'attuale modello meticolosamente elaborato di attivismo delle celebrità.

Questa gestione algoritmica si estende oltre i contenuti, fino al talento stesso, con le piattaforme che determinano sempre più non solo cosa ha successo, ma anche quali voci devono emergere. Il posizionamento strategico degli attivisti famosi dimostra quanto profondamente gli interessi istituzionali siano penetrati nell'intrattenimento. Il coinvolgimento di George Clooney nel Council on Foreign Relations, che prosegue un legame familiare multigenerazionale con il potere iniziato con il giornalismo del padre, Nick Clooney, durante la Guerra Fredda, esemplifica come questi legami tra l'intrattenimento e l'establishment spesso attraversino generazioni. L'evoluzione di Angelina Jolie da ribelle di Hollywood a Inviata Speciale dell'UNHCR esemplifica come l'attrattiva della controcultura possa essere reindirizzata verso obiettivi statali. Analogamente, l'impegno ambientale di Leonardo DiCaprio, promosso attraverso le piattaforme del WEF pur mantenendo uno stile di vita da jet privato, mostra come anche le preoccupazioni legittime vengano plasmate per allinearsi ai quadri elitari. Il modello di interventi in caso di crisi di alto profilo adottato da Sean Penn – dall'uragano Katrina ad Haiti, dal Venezuela di Hugo Chávez alla più recente Ucraina – solleva interrogativi sull'accesso selettivo alle piattaforme. Mentre le celebrità allineate all'establishment ricevono un'amplificazione senza fine, coloro che mettono in discussione le narrazioni ufficiali si ritrovano spesso emarginati o messi a tacere.

Come l'organizzazione femminista di Steinem, sostenuta dalla CIA, l'attivismo delle celebrità moderne spesso si allinea straordinariamente bene con gli obiettivi della classe dirigente. Il percorso da figura della controcultura a voce dell'establishment è diventato un modello replicabile.


Marketing della cultura moderna

Gli equivalenti moderni della programmazione controculturale dimostrano come questi sistemi rimangano altamente efficaci. Dall'industria dell'intrattenimento alle case di moda di lusso, gli ingegneri culturali di oggi creano narrazioni in linea con gli interessi delle élite, sotto la maschera del progresso.

Questo modello di ristrutturazione sociale coordinata si estende a molteplici settori e piattaforme. Il ruolo dell'industria della moda è diventato esplicito attraverso episodi come la controversa campagna del 2022 di Balenciaga, la quale mostrava bambini con immagini di bondage. Mentre l'indignazione pubblica si concentrava sulla controversia immediata, l'incidente ha rivelato come le case di moda spingano sempre più narrazioni su genere, sessualità e norme sociali.

Proprio come gli Stones e i Beatles hanno incanalato la ribellione in forme accettabili, gli architetti culturali di oggi creano una resistenza attentamente calibrata. I temi dell'alienazione di Billie Eilish offrono alla generazione Z uno sbocco commercialmente valido per il malcontento, mentre la sfida di Lizzo agli standard di bellezza convenzionali si allinea con gli interessi aziendali nella promozione di prodotti farmaceutici, prodotti per il benessere e beni di consumo su misura per un pubblico eterogeneo. Anche gli artisti di maggior successo riflettono questi legami con l'establishment: i legami familiari di Taylor Swift con le dinastie bancarie, incluso il ruolo del nonno nella Federal Reserve, dimostrano quanto queste relazioni siano ancora profondamente radicate. Come ha documentato il ricercatore Mike Benz, i materiali di formazione della NATO identificano la Swift come una figura chiave per l'amplificazione del messaggio, rivelando come l'influenza burocratica operi nell'era digitale.


Quando la salute diventa ideologia

La promozione di stili di vita non salutari persegue molteplici scopi sistemici. Una popolazione focalizzata sulla “body positivity” che lotta contro l'obesità e le malattie croniche diventa più redditizia per le aziende farmaceutiche e più dipendente dai sistemi istituzionali.

Questo programma si manifesta nel modo in cui la cattiva salute viene celebrata come progressista e inclusiva. Campagne pubblicitarie e media aziendali descrivono le corporature obese e gli stili di vita non salutari come comportamenti responsabilizzanti e normalizzati che, nella maggior parte dei casi, portano a una cattiva salute a lungo termine. Ad esempio, Cosmopolitan ha pubblicato una copertina a febbraio 2021 con lo slogan “This is Healthy!” accompagnato da immagini di corporature non convenzionali, mentre Nike ha introdotto manichini plus-size nei suoi negozi principali, generando un notevole interesse mediatico. Questi sforzi sono stati celebrati come pietre miliari dell'inclusività, consolidando il movimento della “body positivity” come pietra di paragone culturale.

Allo stesso tempo fitness e allenamento vengono sempre più inquadrati come simboli di estremismo. Articoli di giornale e articoli di opinione collegano la cultura dell'allenamento e la salute fisica a ideologie pericolose, dipingendo la disciplina personale come un indicatore di radicalizzazione politica. Questa narrazione palesemente assurda riformula sottilmente l'esercizio fisico non come benessere e disciplina personale, ma come simbolo di un estremismo di destra.

Questa deliberata inversione rispecchia la distopia di Orwell: la salute diventa dannosa, mentre la cattiva salute diventa virtuosa. Riformulando il benessere fisico e il miglioramento personale come forme di devianza, queste narrazioni distorcono i valori sociali, allineandoli all'autocompiacimento come ideale morale.

I semi di questo cambiamento sono stati piantati durante la pandemia, dove le politiche di sanità pubblica hanno ampiamente ignorato le pratiche di benessere fondamentali. Invece di promuovere il sole, l'esercizio fisico, una corretta alimentazione o la perdita di peso – nonostante l'obesità sia il fattore di rischio più elevato – i messaggi ufficiali enfatizzavano l'isolamento, l'uso delle mascherine e il rispetto delle regole.

Nell'era post-pandemica, questi temi si sono ulteriormente evoluti, riformulando la salute e la disciplina personale non solo come inutili, ma anche come politicamente pericolose.

Il modo in cui vengono trattati salute e fitness rivelano un'agenda calcolata atta a promuovere stili di vita non salutari e a demonizzare la disciplina fisica; il risultato è una popolazione più dipendente e controllabile. Non si tratta di contraddizione, ma di convergenza: entrambi gli approcci allontanano le persone dall'autosufficienza e le spingono verso la dipendenza istituzionale. Non si tratta di una contraddizione casuale, ma di un inganno calcolato: proprio come il Tavistock ha imparato a usare la vulnerabilità psicologica per rimodellare la coscienza, le organizzazioni moderne impiegano narrazioni sulla salute per creare nuove forme di controllo sociale.

Questa sistematica rimodellazione della coscienza sanitaria corre parallela a una trasformazione ancora più ampia: la ridefinizione della cittadinanza e dell'identità nazionale stessa. Proprio come l'attività fisica è stata riformulata come estremismo, le nozioni tradizionali di patriottismo e orgoglio nazionale sarebbero state attentamente ricostruite per servire le strutture di potere. L'industria dell'intrattenimento, avendo perfezionato tecniche per modificare le narrazioni sulla salute, avrebbe impiegato gli stessi metodi per rimodellare la comprensione pubblica della lealtà e dello scopo nazionale.


Dare forma al patriottismo

Dall'industria del fitness a Hollywood, le narrazioni sono elaborate per garantire il rispetto degli ideali sistemici, spesso riecheggiando tattiche sviluppate per la prima volta per rimodellare il sentimento pubblico durante l'era isolazionista di cui abbiamo parlato in precedenza. Proprio come l'acquisizione dei giornali da parte di J. P. Morgan nel 1917 contribuì a inquadrare la riluttante partecipazione dell'America ai conflitti globali come un imperativo morale, le serie televisive, gli show in streaming e i film plasmano la percezione pubblica dell'azione militare, esaltandone la necessità e l'eroismo.

Blockbuster moderni come Top Gun: Maverick dimostrano come gli studios debbano sottoporre le sceneggiature al Dipartimento della Difesa per l'approvazione, con modifiche imposte dalle forze armate necessarie per accedere alle attrezzature essenziali e alle location delle riprese. L'influenza del Pentagono si estende anche oltre, all'universo cinematografico Marvel ad esempio. Captain Marvel ha richiesto ampie revisioni della sceneggiatura per ottenere il supporto militare, trasformando la protagonista da pilota civile a ufficiale dell'aeronautica. Un'analoga supervisione militare ha plasmato Iron Man, con il Pentagono che ha richiesto l'approvazione della sceneggiatura in cambio dell'accesso alle basi e all'equipaggiamento. Non si tratta semplicemente di accordi di product placement: rappresentano un controllo narrativo sistematico al centro dell'intrattenimento moderno. Altri film, come Zero Dark Thirty e Argo, sono stati prodotti in collaborazione diretta con la CIA, promuovendo narrazioni allineate agli interessi militari.

La NFL offre un altro esempio lampante di come i campionati sportivi funzionino come estensioni della rete di intrattenimento, sfruttando narrazioni emozionali per plasmare il sentimento pubblico. Sorvoli militari, tributi dei giocatori ai soldati e pubblicità del Super Bowl sono spesso presentati come celebrazioni organiche dell'orgoglio nazionale. Tuttavia, questi momenti derivano spesso da partnership a pagamento con il Dipartimento della Difesa, confondendo i confini tra il patrimonio autentico e messaggi orchestrati. Proprio come i film di successo esaltano l'azione militare, le leghe sportive normalizzano il legame tra patriottismo e servizio militare, rafforzando narrazioni artificiali sotto le mentite spoglie dell'intrattenimento.

Se è vero che il patriottismo autentico e il rispetto per i militari riflettono autentici valori americani, l'attenta cura delle narrazioni militari da parte dell'industria dell'intrattenimento persegue uno scopo più profondo: normalizzare i perpetui interventi stranieri senza incoraggiare una comprensione più profonda di questi conflitti e delle loro terribili conseguenze. Confondendo il sostegno alle truppe con l'accettazione incondizionata dell'azione militare, questi prodotti culturali creano consenso per impegni che la maggior parte dei cittadini non comprende né discute. La trasformazione di complesse realtà geopolitiche in narrazioni eroiche semplificate contribuisce a garantire l'adesione del pubblico senza la necessaria comprensione.

Persino film apparentemente critici come The Bourne Films e La guerra di Charlie Wilson mescolano realtà e finzione in modi che glorificano sottilmente il lavoro dell'intelligence e delle politiche interventiste. Questa costruzione narrativa garantisce che lo scetticismo nei confronti di queste organizzazioni rimanga limitato, rafforzando un senso di patriottismo legato agli ideali e alle politiche statali.

Oltre a questi esempi cinematografici, l'industria dei videogiochi è diventata un potente strumento per strategie di influenza comportamentale. Franchise come Call of Duty hanno incorporato narrazioni pro-militari nel loro gameplay immersivo, fungendo da strumenti avanzati di reclutamento per le forze armate.

Mentre Hollywood e i videogiochi reclutano il pubblico per la macchina bellica, la musica contemporanea è stata trasformata in un'arma simile agli esempi della diplomazia jazz degli anni '50, della “British invasion” e dei musicisti di Laurel Canyon discussi in precedenza. Ciò è davvero eclatante nell'hip-hop, dove la trasformazione del genere da musica di protesta a “gangsta rap” mette in luce come i potenti si approprino di voci autentiche per allinearle agli stessi interessi aziendali e politici che lavorano attivamente per soggiogarli.


Il profitto delle prigioni

L'ascesa dell'hip-hop negli anni '80 coincise con l'epidemia di crack, un capitolo devastante della storia americana esacerbato dal coinvolgimento della CIA con i ribelli dei Contras in Nicaragua – un legame svelato dal giornalista Gary Webb nella sua rivoluzionaria inchiesta. Quello che era nato come un genere che documentava gli effetti dell'oppressione sistemica e del flagello della droga nelle comunità nere divenne presto mercificato. Le crude narrazioni di sopravvivenza e resistenza si trasformarono in rappresentazioni glamour della cultura della droga, allineandosi perfettamente con gli interessi guidati dall'autorità che perpetuano cicli redditizi di incarcerazione e controllo.

La vera agenda dell'industria musicale diventa esplicita attraverso figure come l'icona dell'hip-hop Ice Cube, che ha rivelato come le etichette discografiche e le carceri private abbiano deliberatamente allineato i loro interessi. “Sembra davvero sospetto”, ha osservato Cube, “che i dischi che escono siano orientati a spingere le persone verso quell'industria carceraria”. La sua affermazione secondo cui “le stesse persone che possiedono le [etichette discografiche] possiedono anche le carceri” ha messo in luce lo sviluppo strategico di contenuti per alimentare i sistemi carcerari.

Come ha spiegato Cube “molte delle canzoni più belle che piacciono alla gente sono realizzate da un gruppo di persone che dice ai rapper cosa dire”, sostituendo l'espressione artistica organica con narrazioni attentamente elaborate. Questo spostamento deliberato ha incanalato rabbia e malcontento in comportamenti autodistruttivi, perpetuando cicli di incarcerazione perfettamente allineati con gli interessi aziendali. Il complesso carcerario-industriale ha dimostrato come il controllo sistemico potesse fondere motivazioni di profitto con la programmazione sociale. Questa fusione di sorveglianza, modificazione comportamentale e coercizione economica sarebbe diventata il modello per il sistema di controllo digitale, in cui gli algoritmi tracciano il comportamento, plasmano le scelte e impongono il rispetto delle regole attraverso sanzioni economiche su scala globale.

Ciò che le etichette discografiche hanno realizzato nell'hip-hop – identificare, reindirizzare e mercificare l'espressione autentica – sarebbe diventato il modello per il controllo digitale. Proprio come i dirigenti hanno imparato a trasformare la cultura di strada in prodotti redditizi, gli algoritmi avrebbero presto automatizzato questo processo su scala globale. La trasformazione dalla protesta a profitto non si è limitata alla musica: è diventato il modello di come ogni forma di resistenza culturale sarebbe stata gestita nell'era digitale.

Nella terza parte vedremo come queste tecniche di controllo culturale siano state automatizzate e perfezionate attraverso i sistemi digitali. I metodi di controllo culturale si sono evoluti da fisici a psicologici, da locali a globali, da manuali ad automatizzati. Ciò che ebbe inizio con i monopoli hardware di Edison e raggiunse il suo apice analogico nella manipolazione della cultura popolare, avrebbe trovato la sua massima espressione nei sistemi digitali. La trasformazione dal controllo meccanico a quello algoritmico rappresenta non solo un'evoluzione tecnologica, ma un salto quantico nella capacità di plasmare la coscienza umana.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/01/ingegnerizzare-la-realta-parte-1.html

???? Qui il link alla Terza Parte:


Perché Tether si rifiuta di conformarsi al MiCA

Gio, 05/06/2025 - 10:04

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da CoinTelegraph

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-tether-si-rifiuta-di-conformarsi)

Tether è conforme allo standard MiCA?

Il nuovo regolamento dell'UE sui mercati delle criptovalute, meglio noto come MiCA, è il primo grande tentativo da parte di una potenza economica mondiale di creare regole chiare e valide per tutta la regione e le stablecoin sono un elemento importante.

Il MiCA impone le migliori pratiche, se una stablecoin deve essere scambiata nell'UE, il suo emittente deve seguire alcune regole rigorose:

1. C'è bisogno di una licenza

Per emettere una stablecoin in Europa, è necessario diventare un istituto di moneta elettronica (IMEL) completamente autorizzato. Si tratta dello stesso tipo di licenza di cui hanno bisogno le aziende fintech per offrire portafogli elettronici o carte prepagate. Non è economico, né veloce.

2. La maggior parte delle riserve deve essere depositata presso banche europee

Questa è una delle parti più controverse del MiCA. Se si emette una stablecoin “importante” – e USDT di Tether rientra certamente nei requisiti – almeno il 60% delle riserve deve essere detenuto in banche con sede nell'UE. La logica è quella di garantire la sicurezza del sistema finanziario.

3. La piena trasparenza non è negoziabile

Il MiCA richiede informative dettagliate e regolari. Gli emittenti devono pubblicare un white paper e fornire aggiornamenti sulle proprie riserve, audit e modifiche operative. Questo livello di rendicontazione è una novità per alcune stablecoin, soprattutto quelle che storicamente hanno evitato il controllo pubblico.

4. Le monete non conformi vengono rimosse dalla lista

Se un token non è conforme, non sarà negoziabile sulle piattaforme regolamentate dell'UE. Binance, ad esempio, ha rimosso le coppie di trading USDT dagli utenti dello Spazio Economico Europeo (SEE). Altri exchange stanno seguendo l'esempio.

L'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) ha chiarito che in Europa le persone possono continuare a detenere o trasferire USDT, ma non possono offrirlo al pubblico o quotarlo in sedi ufficiali.

In altre parole, potreste ancora avere USDT nel vostro wallet, ma buona fortuna se volete provare a scambiarlo su una piattaforma regolamentata.


I motivi principali per cui Tether rifiuta le normative MiCA

Tether è unica in quanto ha spiegato il motivo per cui non vuole avere nulla a che fare con le normative MiCA. I vertici dell'azienda, in particolare l'amministratore delegato Paolo Ardoino, si sono espressi apertamente su quelle che considerano gravi lacune nella normativa, dai rischi finanziari alle preoccupazioni sulla privacy, fino al quadro più ampio di cosa sono realmente le stablecoin.

1. La regolamentazione bancaria potrebbe ritorcersi contro

Una delle regole più discusse del MiCA stabilisce che le stablecoin “importanti” – USDT di Tether – debbano detenere almeno il 60% delle loro riserve presso banche europee. L'idea è di rendere le stablecoin più sicure e trasparenti, ma Ardoino la vede diversamente.

USDt is the most successful tool for US Dollar hegemony and distribution across emerging markets.

Tether built, over the last decade, the widest physical and digital distribution network, spacing from thousands of kiosks in Africa and South America to digital remittances… https://t.co/KD2oUzemT8

— Paolo Ardoino ???? (@paoloardoino) February 25, 2025

Ha avvertito che ciò potrebbe creare nuovi problemi, costringendo chi emette stablecoin a fare troppo affidamento sulle banche tradizionali e l'intero sistema potrebbe diventare eccessivamente fragile. 

Dopotutto, se si verifica un'ondata di rimborsi e le banche non hanno abbastanza liquidità per tenere il passo, assisteremmo contemporaneamente a una banca in difficoltà e a una crisi delle stablecoin.

Tether preferisce invece conservare la maggior parte delle sue riserve in titoli del Tesoro USA, asset che afferma essere liquidi, a basso rischio e molto più facili da rimborsare rapidamente in caso di necessità.

2. Non si fidano dell'euro digitale

Tether ha anche un altro problema con la direzione che l'Europa sta prendendo, soprattutto per quanto riguarda l'euro digitale. Ardoino lo ha apertamente criticato, sollevando allarmi sulla privacy.

Egli sostiene che una valuta digitale controllata centralmente potrebbe essere utilizzata per monitorare come le persone spendono i loro soldi e persino per controllare o limitare le transazioni se qualcuno perde il favore del sistema.

I sostenitori della privacy hanno espresso preoccupazioni simili. Mentre la Banca Centrale Europea insiste sul fatto che la privacy sia una priorità assoluta (con funzionalità come i pagamenti offline), Tether non ne è convinta. Ai loro occhi, affidare così tanto potere finanziario nelle mani di un'unica istituzione equivale a cercare guai.

3. Gli utenti di Tether non sono a Bruxelles, bensì in Brasile, Turchia e Nigeria

In sostanza, Tether si vede come un'ancora di salvezza per le persone nei Paesi che devono affrontare problemi di inflazione, sistemi bancari instabili e accesso limitato al dollaro.

Si tratta di Paesi come la Turchia, l'Argentina e la Nigeria, dove USDT è spesso più utile della valuta locale.

Il MiCA, con tutti i suoi ostacoli in termini di licenze e obblighi di riserva, costringerebbe Tether a cambiare strategia e a investire per soddisfare gli standard specifici dell'UE. L'azienda afferma di non essere disposta a farlo, non a scapito dei mercati che ritiene più bisognosi di strumenti finanziari come USDT.

Lo sapevate? La Turchia è tra i Paesi con il più alto tasso di adozione delle criptovalute: il 16% della popolazione è impegnata in attività legate alle criptovalute. Questo elevato tasso di adozione è in gran parte dovuto alla svalutazione della lira turca e all'instabilità economica, le quali spingono i cittadini a cercare alternative come le stablecoin per preservare il proprio potere d'acquisto.


Cosa succede quando Tether non è conforme al MiCA

La decisione di Tether di saltare il MiCA non è passata inosservata. Sta già avendo conseguenze concrete, soprattutto per gli exchange e gli utenti in Europa.

1. Gli exchange stanno eliminando USDT

Grandi nomi come Binance e Kraken non hanno aspettato: per non incorrere nelle sanzioni imposte dalle autorità di regolamentazione dell'UE, hanno già rimosso le coppie di trading USDT per gli utenti dello Spazio Economico Europeo. Binance le aveva rimosse lo scorso marzo. Kraken ha seguito a ruota, rimuovendo non solo USDT, ma anche altre stablecoin non conformi come EURT e PYUSD di PayPal.

2. Gli utenti hanno meno opzioni

Se vi trovate in ​​Europa e possedete USDT, non siete completamente sfortunati: potete ancora prelevarli o scambiarli su alcune piattaforme. Ma non potrete più trattarlo sui principali exchange. Questo sta già spingendo gli utenti verso alternative come USDC ed EURC, pienamente conformi al MiCA e ampiamente supportati.

Anche i principali processatori di pagamenti in criptovalute stanno ritirando il supporto, lasciando agli utenti meno possibilità di spendere direttamente le proprie criptovalute.

3. Un colpo alla liquidità? Probabile

Il ritiro degli USDT dalle borse europee potrebbe rendere i mercati un po' più instabili. Meno liquidità, spread più ampi e maggiore volatilità durante i grandi movimenti di prezzo sono tutti fattori in gioco. Alcuni trader si adatteranno rapidamente. Altri? Non così tanto.

Lo sapevate? Tether (USDT) è la criptovaluta più scambiata a livello globale, superando persino Bitcoin in termini di volume giornaliero. Nel 2024, ha facilitato transazioni per oltre $20.600 miliardi e vanta una base utenti di oltre 400 milioni in tutto il mondo.


Tether & regolamentazione MiCA

Tether potrebbe non essere in sintonia con l'UE, ma è ben lungi dall'essere in ritirata. Anzi l'azienda sta raddoppiando gli sforzi altrove, alla ricerca di un terreno più amichevole e di orizzonti più ampi.

In primo luogo, Tether ha scelto El Salvador come sua nuova base, un Paese che ha pienamente abbracciato le criptovalute. Dopo aver ottenuto la licenza per la fornitura di servizi in asset digitali, l'azienda sta aprendo lì una vera e propria sede centrale. Anche Ardoino e altri dirigenti di alto livello si stanno muovendo lì.

Inoltre, dopo aver incassato oltre $5 miliardi di profitti all'inizio del 2024, Tether sta mettendo a frutto il suo capitale:

IA: Attraverso la sua divisione venture capital, Tether Evo, l'azienda ha acquisito partecipazioni in aziende come Northern Data Group e Blackrock Neurotech. Tether ha anche lanciato Tether AI, una piattaforma di intelligenza artificiale open source e decentralizzata progettata per funzionare su qualsiasi dispositivo senza server centralizzati o chiavi API. L'obiettivo è utilizzare l'IA per potenziare le operazioni e, magari, sviluppare nuovi strumenti lungo il percorso.

• Infrastrutture e AgTech: Tether ha investito in Adecoagro, un'azienda focalizzata sull'agricoltura sostenibile e sulle energie rinnovabili. È una mossa sorprendente, ma si inserisce nella strategia più ampia di Tether, volta a supportare sistemi resilienti e concreti.

• Media e oltre: ci sono anche segnali che indicano che Tether vuole lasciare il segno nei contenuti e nelle comunicazioni, dimostrando che sta pensando ben oltre il solo settore delle criptovalute.


L'uscita di Tether dal MiCA evidenzia il caos normativo globale delle criptovalute

L'abbandono del MiCA è un'istantanea di un problema molto più grande nel settore delle criptovalute: quanto sia difficile avviare un'attività in un mondo in cui ogni giurisdizione segue le proprie regole.

Il gioco dell'arbitraggio normativo

Non è la prima volta che Tether si trova ad affrontare normative di questo tipo. Come molte aziende crypto, ha padroneggiato l'arte dell'arbitraggio normativo, trovando la giurisdizione più favorevole e aprendo lì la propria sede.

L'Europa introduce regole severe? Bene, Tether si stabilisce a El Salvador, dove le criptovalute sono accolte a braccia aperte.

Se i grandi operatori possono spostare le giurisdizioni per eludere le normative, quanto sono efficaci queste norme? E questo tutela gli utenti al dettaglio o li confonde ulteriormente?

Un ecosistema delle criptovalute che è ovunque sulla mappa della Terra

Il problema più grande è che il panorama normativo globale è incredibilmente frammentato. L'Europa vuole piena conformità, trasparenza e obblighi di riserva. Gli Stati Uniti continuano a inviare segnali contrastanti. L'Asia è divisa: Hong Kong è pro-crypto, mentre la Cina rimane indifferente.

Anche Hong Kong ha approvato la Legge sulle stablecoin per concedere licenze agli emittenti garantiti da valute fiat e rafforzare le sue ambizioni Web3. Nel frattempo l'America Latina sta abbracciando le criptovalute come strumento di accesso finanziario.

Per le aziende è un vero disastro. Non si può costruire per un solo mercato globale; bisogna costantemente adattarsi, ristrutturare o ritirarsi completamente. Per gli utenti ciò crea enormi barriere all'accesso. Una moneta disponibile in un Paese potrebbe essere inaccessibile in un altro solo a causa delle politiche locali.

Un'ultima riflessione: la resistenza di Tether al MiCA è più di una semplice protesta contro la burocrazia. Infatti sta scommettendo che il futuro delle criptovalute verrà plasmato fuori da Bruxelles, non al suo interno.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'etica del lavoro può tornare a dare i suoi frutti?

Mer, 04/06/2025 - 10:11

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/letica-del-lavoro-puo-tornare-a-dare)

Sono entusiasta quanto chiunque altro della prospettiva di un ritorno dell'industria manifatturiera americana, ma ci sono enormi ostacoli, tra cui le metriche di redditività della contabilità. Avrà senso dal punto di vista economico? Senza questo elemento, le aspirazioni politiche e la determinazione nazionale non saranno sufficienti.

Gli Stati Uniti hanno esternalizzato ingenti quantità della loro, un tempo enorme, potenza manifatturiera in Cina, Messico e altrove. Per decenni è sembrato un vantaggio reciproco, finché non ci siamo resi conto di quanto sia strano che l'America abbia talmente poche industrie da poterle definire davvero proprie.

Esistono diversi modi per affrontare questo problema, ma la sua portata non è ampiamente compresa. I differenziali salariali tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi sono enormi e non facilmente superabili. Anche altri differenziali nei costi di produzione sono importanti, così come il valore problematico del dollaro. Il suo status di valuta di riserva mondiale consolida la logica economica delle importazioni rispetto alle esportazioni.

Ci sono altri problemi, tra cui uno più fondamentale: l'etica del lavoro americana. Si tratta di un problema culturale che emerge da decenni di soldi facili e dalla perdita di spirito imprenditoriale.

Una breve storia di ieri. Mi sono messo in coda al supermercato dietro una persona con un enorme cesto pieno di spesa, ma era sistemato in modo strano. Mentre la metteva sul nastro per la cassa, ha iniziato a usare i separatori, non in base al tipo di prodotto, ma in base a qualche altro criterio.

La osservavo attentamente mentre metteva i sacchetti di carta in ogni pila. Dopo che la prima tranche evasa, ha tirato fuori una carta e pagato. Poi ripeteva l'operazione. Infine ho capito: stava facendo la spesa per Instacart, non per una sola persona, ma per ben cinque famiglie.

Ho ripercorso in mente tutto il processo. Quando è entrata nel negozio, aveva una lista enorme e, passando per ogni corsia, tirava fuori la spesa per ogni cliente, separandola con cura e mantenendo questa separazione alla cassa, al pagamento, all'imbustamento e infine al trasporto.

La possibilità di errori in questo tipo di operazioni deve essere enorme. Un errore e il cliente si lamenterebbe sicuramente.

Ero un po' sbalordito dall'impresa ingegneristica che si stava svolgendo davanti ai miei occhi. Le ho chiesto come se la cavasse, ma al di là di una risposta laconica poco altro. Il suo inglese era stentato, quindi avevo difficoltà a comunicare. Ancora più importante, era troppo impegnata per chiacchierare con un tizio che se ne stava lì a chiedere informazioni.

Mentre ci pensavo, la guardavo lavorare con un certo stupore. Era meraviglioso. A giudicare dalle sue competenze linguistiche, è molto probabile che fosse un'immigrata recente, probabilmente senza un'istruzione “superiore”, ma con delle competenze pazzesche.

Com'è diventata così brava? La ripetizione e il miglioramento che ne consegue. È da lì che nasce l'abilità. Perché lo ripeteva così spesso? Perché doveva farlo per guadagnare. Il bisogno crea la disciplina e la disciplina alimenta l'abilità.

Un esempio veloce. Supponiamo che portiate a casa quattro sgabelli da bar girevoli dal negozio di bricolage, ma che debbano essere montati. Il primo è un disastro di viti e confusione, e potreste doverlo rifare una o anche due volte, destreggiandovi tra le istruzioni. È orribile. Il secondo è meglio. Quando arrivate al quarto, lo montate in una frazione del tempo impiegato per i precedenti.

Potreste pensare: “Wow, sono così bravo che potrei trasformarla in un'attività imprenditoriale”, ma è solo una delle competenze che ora possedete. La acquisite in un paio d'ore di lavoro intenso, ma ora ce l'avete. È così che concentrazione, disciplina, determinazione ed esperienza alimentano competenza e valore sul posto di lavoro.

Tim Cook di Apple ha chiarito che il vero motivo per cui gli iPhone e gli altri prodotti Apple vengono prodotti in Cina anziché negli Stati Uniti non è il salario. Sono l'abilità tecnica e la precisione. Questi prodotti richiedono estrema disciplina, conoscenza e profonda esperienza. Il numero di lavoratori in grado di farlo in Cina è elevato; negli Stati Uniti è esiguo.

Tim Cook explaining why Apple manufactures in China and not the United States.

Hint: Tariffs won’t fix this.

pic.twitter.com/iwMauU4szk

— Spencer Hakimian (@SpencerHakimian) April 12, 2025

Penso a tutti i “colletti bianchi” che ho conosciuto e che impazzirebbero se gli venisse chiesto di fare qualcosa di anche lontanamente così complicato. Dimenticatevi di assemblare un iPhone. Non potrebbero certo fare la spesa per cinque famiglie contemporaneamente, imbustarla e consegnarla.

È un'abilità fuori dalla loro portata e si irriterebbero se qualcuno glielo chiedesse. Probabilmente si lamenterebbero con le risorse umane e preparerebbero una causa legale. Farebbero un pasticcio con il primo ordine, avrebbero a che fare con clienti furiosi e un capo troppo autoritario, e si rifugierebbero nel flacone di pillole o nella bibita al THC per far passare il dolore.

A questo punto della storia, non sono sicuro che la classe operaia negli Stati Uniti sia all'altezza di questo tipo di produttività. La realtà del periodo di lockdown è che la maggior parte delle persone si è goduta due anni di svaghi, fingendo di lavorare. Quel periodo ha anche distrutto la motivazione di molti, viziando un'intera generazione di lavoratori d'élite, inducendoli a credere che fare soldi sia facile e senza sforzo.

Per 25 anni di tassi d'interesse artificialmente bassi – in particolare dal 2008 – la FED ha coltivato la sensazione che l'intero sistema si basi su una sorta di illusione. Certo, alcune persone sono ricche e altre povere, ma la differenza non ha nulla a che fare con il lavoro che svolgono. È tutta una questione di nascita, classe sociale, credenziali e fortuna nell'attrazione demografica.

Questa è una percezione tragica, completamente incoerente con la tradizionale etica americana del duro lavoro e della mobilità di classe. Una caratteristica del programma di Trump è quella di recuperare e ricostruire quell'idea con un cambiamento nelle strutture economiche, tra cui deregolamentazione e tagli fiscali. I dazi ne fanno parte, spinti dal presupposto che gli americani abbiano il necessario per rifare le cose.

Il presupposto alla base di questa politica è che investitori, imprenditori e lavoratori americani si adegueranno e realizzeranno prodotti eccellenti, godendo al contempo della protezione che i dazi doganali offrono contro la concorrenza estera. Anche se ciò dovesse accadere – ed è un grande se – gli americani sono davvero pronti a farlo? L'esternalizzazione di così tanta produzione manifatturiera va avanti da quasi 50 anni.

Le azioni di quel lavoratore di Instacart, impegnata in un'incredibile dimostrazione di abilità manageriale, sottolineano questo punto. Per generazioni, ci è stato detto che intelligenza e competenza sono distribuite in modo sproporzionato tra i livelli più alti della struttura di classe degli Stati Uniti.

Personalmente, non ci credo. È più probabile il contrario: le persone che lottano per vivere, facendo due o tre lavori per pagare le bollette, hanno più competenze della maggior parte delle persone nel terzo superiore della distribuzione del reddito che non hanno mai dovuto preoccuparsi di pagare le bollette.

Parlate oggi con qualsiasi persona seria in qualsiasi azienda di medie dimensioni e vi racconterà delle sue difficoltà. Le normative e le tasse sono esasperanti, ma sono i problemi di lavoro quotidiani a ostacolare davvero le loro attività e il loro progresso. È estremamente difficile trovare lavoratori che facciano ciò che devono fare con puntualità, attenzione ai dettagli e senza un costante supporto e complimenti.

Questo declino dell'etica lavorativa americana è in parte dovuto alle istituzioni scolastiche, ma anche al fatto che la maggior parte dei giovani che rientrano nella metà più alta della classe di reddito non ha mai lavorato un giorno in vita sua prima di aver conseguito un titolo di studio.

Non hanno la minima idea di cosa significhi accettare un lavoro duro e perseverare fino alla fine. Provano risentimento per le strutture autoritarie sul posto di lavoro e cercano di manipolare il sistema proprio come hanno manipolato la scuola per oltre 16 anni.

Una cosa è sviluppare competenze per sopravvivere in classe, un'altra è avere competenze per un nuovo mondo manifatturiero. I corsi di officina al liceo sono quasi del tutto scomparsi (solo il 6% degli studenti li frequenta, contro il 20% degli anni '80) e due terzi degli adolescenti rinunciano a un lavoro retribuito, semplicemente perché non è necessario. Sono passate generazioni da quando la maggior parte delle persone non sapeva nulla della vita in fattoria, per non parlare di quella in fabbrica.

Trump sta cercando di risolvere un problema vecchio di mezzo secolo in quattro anni. È una sfida seria e non posso dire di essere ottimista. Detto questo, ora ci sono reali opportunità per persone come il lavoratore che ho menzionato prima, persone che lavorano sodo, lavorano bene, perseverano nel loro compito e sono grate per le opportunità che hanno. Purtroppo queste caratteristiche sfuggono in gran parte ai laureati delle istituzioni scolastiche più prestigiose del nostro Paese.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il ritorno dei rendimenti reali negativi nell’area Euro

Mar, 03/06/2025 - 10:08

Ho già documentato su queste pagine come l'Europa sia stata la prima a sparare il primo colpo nella guerra commerciale attualmente in atto, e precedentemente è stata la prima a sparare il primo colpo nella guerra finanziaria contro gli Stati Uniti come avete letto nel mio ultimo libro “Il Grande Default”. Tenendo a mente queste premesse, si può meglio interpretare l'ultimo capitolo in materia dazi che ha visto protagonisti l'UE e gli USA. La chiave di lettura è solo una: lo scopo dell'UE, e la “cricca di Davos” dietro di essa, è quello di fare la cresta alle banche americane e affibbiare a queste ultime il costo della ristrutturazione del debito insostenibile europeo. Tutto il resto sono ragionamenti a valle di questo. Alla luce di ciò, non sorprende che i negoziatori dell'Unione Europea non siano interessati a rimuovere le barriere commerciali, preferendo mantenerle a tutti i costi, anche se ciò comporta l'indebolimento dell'economia di molti stati membri. Sono più preoccupati di trovare un capro espiatorio per la stagnazione dell'UE nell'amministrazione Trump piuttosto che promuovere un accordo che avvantaggi le aziende europee. Ora è facile capire perché la BCE stia abbassando i tassi d'interesse (indipendentemente dall'obiettivo del 2%): gli stati dell'area Euro fanno affidamento sulla stampa di denaro, sull'inflazione, e la BCE sta agendo di conseguenza. Aumentare le tasse e tagliare la spesa è politicamente impopolare. È molto più facile emettere nuovo debito, che poi viene monetizzato dalla BCE. Inoltre le “situazioni di emergenza” sono esattamente ciò che è nell'interesse dei politici: in questo modo possono espandere i loro poteri facendo cose che non sarebbero possibili in tempi normali. Adesso l'emergenza per eccellenza è la guerra. Chi detiene il potere ha un forte incentivo a esagerare o inventare minacce di guerra, perché la paura spinge la popolazione a soccombere ai dettami della burocrazia. L'incentivo è naturalmente maggiore se si è sull'orlo del fallimento e se è politicamente indesiderabile risanare le finanze pubbliche in modo onesto. Quanto detto finora dovrebbe fornire una spiegazione ragionevole di ciò che sta accadendo attualmente in Europa: si alimenta la minaccia della guerra, si chiede maggiore spesa militare, si prepara l'opinione pubblica alla guerra contro la Russia. Mentre le forze politiche in Europa – a Londra, Berlino e Parigi – rimangono incrollabilmente fedeli all'idea di un Nuovo Ordine Mondiale, i “globalisti” hanno subito una grave battuta d'arresto negli Stati Uniti. Ciò che rimane loro sono i contribuenti europei. I paesi dell'UE proseguiranno con i loro piani di riarmo finanziati dal debito, indipendentemente da un accordo di pace in Ucraina; la conseguente espansione dell'offerta di moneta sarà accompagnata da una spesa che aggiungerà poco o nulla alla produttività, infatti tali spese sono per lo più inutili e portano a una crescente corruzione e cattiva gestione. Ciò porterà a una significativa pressione al rialzo sui prezzi dei beni e quindi i dati ufficiali sull'inflazione torneranno a salire. L'aumento dell'inefficienza eroderà ulteriormente la competitività internazionale dell'Europa, soprattutto perché capitali e persone di talento emigreranno negli Stati Uniti. L'amministrazione Trump si sta assicurando che l'UE venga tagliata fuori da qualsiasi fonte di capitale fisico rimanente a livello internazionale. La BCE, non potendo far altro che ricorrere alla repressione finanziaria, prosciugherà gradualmente i risparmiatori europei fino all'arrivo di una crisi del debito sovrano.

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di Thorsten Polleit

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ritorno-dei-rendimenti-reali-negativi)

Sebbene i rendimenti reali negativi pare non siano più un problema per molti investitori, stanno tornando a essere un tema urgente, soprattutto per chi di noi è concentrato sulla costituzione e la conservazione dei risparmi. La causa principale di questo problema è l'inflazione.

Prima di continuare a discutere dell'inflazione futura e dell'emergere di rendimenti reali negativi, chiariamo innanzitutto cosa significa realmente il termine “inflazione”. Esso, infatti, è spesso utilizzato in modo poco chiaro e le persone ne danno interpretazioni diverse.

Nel linguaggio comune inflazione fa riferimento all'aumento dei prezzi dei beni di consumo: quando gli articoli acquistati nei negozi diventano più costosi mese dopo mese, anno dopo anno. In altre parole, si ottiene di meno in cambio dei propri soldi.

Tuttavia, per comprendere veramente il fenomeno, è importante distinguere tra il sintomo e la causa.

Dal punto di vista economico, la causa dell'inflazione è l'aumento dell'offerta di moneta: questo è ciò che chiamiamo “inflazione monetaria”. Il sintomo di questa causa è l'aumento dei prezzi dei beni, noto anche come “inflazione dei prezzi dei beni”.

Per dirla in parole povere, l'inflazione dei prezzi dei beni è sempre e comunque un fenomeno monetario, come affermò giustamente l'economista americano Milton Friedman.

Tuttavia, se vogliamo essere davvero precisi, dovremmo dire che l'inflazione dei prezzi dei beni è il risultato di un aumento dell'offerta di moneta rispetto alla relativa domanda.

L'inflazione è un problema economico, soprattutto per risparmiatori e investitori, e può essere decisamente distruttiva. Questo vale non solo quando l'inflazione raggiunge livelli così elevati che il denaro perde letteralmente valore, ma anche quando è relativamente bassa ma comunque superiore ai tassi d'interesse nominali.

Ecco un esempio: supponiamo che abbiate un rendimento del 2% sul vostro deposito bancario, ma l'inflazione è del 3%. In questo caso il vostro tasso d'interesse reale – quello aggiustato all'inflazione – diventa -1% (ovvero, il tasso d'interesse nominale del 2% meno il 3% di inflazione). Ciò significa che il potere d'acquisto del vostro deposito bancario diminuisce dell'1% all'anno. E non dimenticate le imposte sulle plusvalenze, le quali vengono applicate ai rendimenti nominali e aggravano ulteriormente le vostre perdite.

Ora, potreste chiedervi: “”Chi è responsabile dell'inflazione come fenomeno monetario”?

La risposta: le banche centrali. Hanno il monopolio sulla creazione del denaro e, su questa base, le banche commerciali sono autorizzate a piramidare le loro riserve.

E ora capite perché è assurdo quando la gente afferma che le banche centrali (o i loro organi di governo) “combattono l'inflazione”.

In realtà, le banche centrali non combattono mai l'inflazione: la creano. A volte creano più inflazione, a volte meno, ma non la combattono mai.

Se prendiamo in considerazione l'area Euro, si potrebbe sostenere che la massa monetaria è cresciuta solo del 4% a febbraio 2025 rispetto all'anno precedente.

Non sembra un numero eccessivamente alto e i prestiti bancari – attraverso i quali viene creato nuovo denaro – sono cresciuti solo del 2% circa. Quindi, com'è possibile che l'inflazione sia in aumento, soprattutto senza una significativa ripresa economica in vista?

Questa argomentazione ha un certo fondamento. Tuttavia, guardando al futuro, ci sono solide ragioni per aspettarsi un massiccio aumento del debito pubblico nei Paesi dell'area Euro. Questo debito non sarà utilizzato solo per acquistare nuove attrezzature militari, ma anche per sostenere uno “Stato sociale” sempre più insostenibile e strutture politiche in crisi.

Per raggiungere questo obiettivo, gli stati dell'area Euro, soprattutto quelli più grandi, emetteranno ingenti quantità di nuovi titoli di stato. Questi ultimi saranno acquistati dalla Banca Centrale Europea. Allo stesso tempo, la BCE abbasserà i tassi d'interesse e conterrà i rendimenti obbligazionari a livelli artificialmente bassi.

Il denaro appena creato verrà speso per trasferimenti sociali, appalti governativi e altre attività politiche.

È noto che i politici tendono a spendere soldi per progetti che non comportano alcun aumento di produttività o ne comportano pochi. Di conseguenza l'aumento della massa monetaria, combinato con la spesa pubblica, farà inevitabilmente aumentare i prezzi dei beni, causando un aumento dell'inflazione.

Proviamo a mettere le cose in prospettiva con qualche numero.

Se i disavanzi pubblici nell'area Euro si attestassero intorno al 5% del PIL e la BCE acquistasse nuove obbligazioni, l'offerta di moneta potrebbe aumentare di circa €800 miliardi. Ciò rappresenterebbe un ritmo di crescita annuo di M3 di circa il 5%. Inoltre l'offerta di moneta aumenterebbe a seguito dell'indebitamento bancario del settore privato.

Nel complesso questo potrebbe spingere l'inflazione nell'area Euro a circa il 4% o più. Se la BCE mantenesse i tassi d'interesse a lungo termine intorno al 3%, il tasso d'interesse reale scenderebbe a -1% (3% del tasso di interesse nominale meno il 4% di inflazione). Ciò significa che gli stati europei ridurrebbero il loro debito reale a spese dei creditori, ovvero risparmiatori e investitori.

Per le obbligazioni a breve termine e i depositi bancari, che solitamente offrono tassi d'interesse più bassi, l'espropriazione attraverso tassi d'interesse reali negativi sarebbe ancora più grave.

In sintesi, questa situazione equivale a quella che viene definita “repressione finanziaria”.

Ma potreste pensare: “Non abbiamo già sperimentato di recente tassi d'interesse negativi”?

Esatto. Dalla fine del 2018 alla fine del 2020, ad esempio, il rendimento nominale del titolo di stato tedesco a 10 anni è stato negativo.

All'epoca l'inflazione rimase relativamente contenuta fino a metà del 2021, quindi non fu l'aumento dell'inflazione a causare il calo del tasso d'interesse reale, bensì il calo dei tassi d'interesse nominali. Successivamente l'inflazione aumentò vertiginosamente, in gran parte a causa dell'aumento del 25% di M3 e l'aumento dell'inflazione spinse ulteriormente i tassi d'interesse reali in territorio negativo.

Guardando al futuro, la situazione sarà probabilmente diversa. L'inflazione sarà la forza trainante dei tassi d'interesse reali negativi.

Nel contesto attuale la BCE avrà difficoltà a riportare i tassi d'interesse nominali allo zero o al di sotto dello zero. I rendimenti obbligazionari in tutto il mondo sono aumentati significativamente e le obbligazioni denominate in euro devono offrire tassi d'interesse sufficientemente interessanti per mantenere vivo l'interesse degli investitori.

Pertanto è probabile che la BCE manipoli il tasso d'interesse nel mercato dei capitali affinché risulti basso ma positivo, garantendo al contempo un'inflazione più elevata. Ciò spingerebbe i tassi d'interesse nominali al di sotto del tasso d'inflazione, facendo sì che i tassi d'interesse reali diventino negativi, con i debitori che ne trarrebbero beneficio a scapito di risparmiatori e obbligazionisti.

La repressione finanziaria derivante dall'aumento dell'inflazione avrà conseguenze economiche e sociali di vasta portata.

I tassi d'interesse reali negativi continueranno a trasformare le economie dell'area Euro in sistemi sempre più di comando e controllo, in cui gli stati dettano legge su produzione, consumi e ogni aspetto della vita economica. Ciò erode le libertà residue di cittadini e imprenditori, rendendo il sistema statale sempre più onnipotente.

I segnali di questo cambiamento sono già visibili. Si pensi, ad esempio, alla palese decisione dell'Unione Europea di sequestrare i risparmi dei cittadini per finanziare spese dettate dalla politica.

L'area Euro sta scivolando in una situazione estremamente precaria: gli stati non riescono più a finanziare la loro insaziabile fame di denaro con le sole entrate fiscali. Di conseguenza i politici faranno sempre più affidamento sul finanziamento tramite debito.

Gli investitori privati ​​acquistano titoli di stato europei perché sanno che la BCE non permetterà ai Paesi dell'area Euro di dichiarare default. La BCE continuerà a sostenerli con denaro di nuova emissione quando necessario. Per mantenere il debito accessibile agli stati in difficoltà finanziarie, la BCE abbasserà artificialmente i tassi d'interesse.

Ciò ci porta alla situazione attuale: la BCE sta espandendo l'offerta di moneta acquistando debito pubblico, l'inflazione sta aumentando e i rendimenti nominali delle obbligazioni rimangono artificialmente bassi, con tassi d'interesse reali negativi per risparmiatori e investitori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La fine della globalizzazione

Lun, 02/06/2025 - 10:10

In UE i leader europei temono che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina porterà un'ondata di prodotti a basso costo provenienti da quest'ultima e che potrebbero mettere in pericolo i produttori locali oltre a creare un importante problema economico. Molti esportatori infatti si trovano ad affrontare una dura realtà: non possono vendere i loro prodotti se non li esportano negli Stati Uniti e gli importatori non accetteranno prezzi più alti a causa dei dazi. Il motivo per cui gli esportatori non possono trasferire il costo dei dazi sui consumatori statunitensi è che la maggior parte dei prodotti che hanno consegnato in America era attraente solo perché estremamente economica. Quando i prezzi aumentano, la domanda diminuisce. La guerra dei dazi ha dimostrato che la domanda non è anelastica. Il crollo degli ordini di container dimostra la Teoria mengeriana dell'imputazione: sono i prezzi di produzione a determinare i prezzi dei fattori, non il contrario. L'insostenibilità del trasporto marittimo globale costringerà i Paesi ad accelerare gli accordi commerciali con gli Stati Uniti, altrimenti rischieranno una cascata di crolli all'interno delle loro strutture aziendali. Il tonfo degli ordini di container dimostra che gli importatori statunitensi non accetteranno alcun prezzo, che l'eccesso di capacità nei principali settori della vendita al dettaglio è enorme e che non esiste un'alternativa ai consumatori americani. Se credevate che altri Paesi avrebbero esitato a negoziare accordi commerciali con gli Stati Uniti, dovreste ricredervi: il consumatore americano ama i prodotti a basso costo, ma non desidera gli stessi beni al doppio del prezzo. L'economia statunitense potrebbe anche subire una contrazione a causa di questo improvviso crollo delle importazioni, ma le conseguenze sono molto più gravi per i Paesi esportatori. L'esito non è positivo per nessun Paese, quindi c'è una sola scelta da fare: negoziare o perdere. Se gli altri Paesi non riusciranno a stabilire accordi commerciali con gli Stati Uniti nel futuro prossimo, i loro rivenditori al dettaglio rischiano di dover affrontare una grave crisi.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-fine-della-globalizzazione)

Il fine settimana scorso i policymaker occidentali hanno lanciato un messaggio chiaro: il mondo è di fronte alla fine dell'era della globalizzazione. Isabel Schnabel della BCE lo ha sottolineato in un discorso ai leader aziendali in Italia sabato scorso, quando ha affermato che “il Giorno della Liberazione non è stato liberatorio, ma ha segnato la fine del libero scambio globale”.

Allo stesso modo il primo ministro britannico, Keir Starmer, terrà un discorso più tardi oggi in cui dirà che la globalizzazione ha “fallito” come modello economico e che il suo tempo è ormai finito.

Tali commenti sono tanto sconcertanti per la loro sincerità e gravità, quanto invece per la loro inaspettatezza. Giovedì e venerdì della scorsa settimana, i mercati azionari erano in caduta libera, mentre l'annuncio dei dazi ha rapidamente smorzato le tensioni commerciali di Trump e i mercati hanno preso coscienza che non si trattava solo di una manovra negoziale e che i dazi stavano davvero prendendo piede.

Il governo cinese ha annunciato che avrebbe reagito imponendo dazi del 34% su tutte le importazioni dagli Stati Uniti, mentre i funzionari europei hanno affermato che avrebbero innalzato nuove barriere commerciali per impedire il dumping di beni a basso costo che distruggerebbe l'industria europea, mentre preparavano anche delle “contromisure” contro i dazi statunitensi.

I membri del gabinetto di Trump non hanno fatto nulla durante il fine settimana per placare i timori di ulteriori cali del mercato. Il Segretario al commercio, Lutnick, ha insistito sul fatto che “i dazi stanno arrivando” e il Segretario di stato, Marco Rubio, ha scrollato le spalle di fronte alle perdite dei mercati affermando: “Non credo sia giusto dire che le economie stanno crollando. I mercati stanno scendendo perché si basano sul valore delle azioni di aziende che oggi sono integrate in modi di produzione che sono dannosi per gli Stati Uniti”. In sintesi: non ci interessa il vostro portafoglio, stiamo rendendo l'America di nuovo grande. Come ho osservato alla fine della scorsa settimana: “Rendere l'America di nuovo grande significa rendere l'America di nuovo un'economia basata sulla produzione”.

Senza cavalieri in armatura scintillante del governo pronti a salvare i mercati azionari, i futures di questa mattina sono in forte ribasso. L'indice S&P 500 sembra destinato ad aprire in ribasso del 3,8% e i futures sul NASDAQ indicano una perdita del 4,9% in apertura. Anche i mercati asiatici sono in difficoltà. Il Nikkei è in calo dell'8% e l'ASX200, fortemente legato alla Cina, ha perso il 5,90% al momento della stesura di questo articolo. La FED potrebbe intervenire con un po' di liquidità a basso costo?

Il Brent è sceso del 3,40% questa mattina a $63,33, dopo il calo del 6,42% di giovedì e di un ulteriore 6,50% venerdì. Nonostante il suo status di bene rifugio, l'oro è trattato poco sotto i $3000 l'oncia (liquidato per soddisfare le richieste di margine altrove?), ma ha trovato un po' di interesse nelle prime ore di lunedì, in seguito alla notizia che la Cina aveva incrementato le sue riserve auree statali per il quinto mese consecutivo. I rendimenti dei titoli del Tesoro statunitensi a 10 anni sono ora scesi al 3,92% (e in calo). Questa dovrebbe essere una buona notizia per il Segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha il compito di rifinanziare circa $25.000 miliardi di debito nei prossimi quattro anni.

Bessent ha ribadito la tesi di Rubio secondo cui “i mercati azionari non sono l'economia”, affermando di non aspettarsi una recessione negli Stati Uniti quest'anno e suggerendo che i tassi d'interesse bassi e i prezzi dell'energia fossero in realtà un'ottima notizia per le imprese americane. Ha anche fatto commenti interessanti nel podcast di Tucker Carlson, dove ha affermato che l'88% del mercato azionario statunitense è detenuto dal 10% più ricco degli americani, il 12% è detenuto dal successivo 40% e che il 50% più povero delle famiglie non possiede praticamente nulla, ma è invece indebitato.

Bessent ha affermato che sono proprio queste persone, quelle nel 50% più povero, ad aver bisogno di aiuto, quindi, ancora una volta, il sottinteso è: “Non ci interessa il vostro portafoglio azionario. Ci interessa ricostruire la base manifatturiera americana e, con essa, la classe media operaia”.

.@SecScottBessent: "The old system wasn't working and if you look at a system that's not working you have to be brave to change it ... It would've been easy to keep pumping up the economy, borrowing a lot of money, creating gov't jobs ... but you were going to end up in a… pic.twitter.com/NI5dZXF5Dt

— Trump War Room (@TrumpWarRoom) April 4, 2025

Il gestore di hedge fund, Bill Ackman, sta facendo notizia oggi, descrivendo i dazi come un “inverno nucleare economico” e chiedendo una “pausa” di 90 giorni prima della loro attuazione. I funzionari dell'amministrazione Trump sostengono che oltre 50 Paesi si siano offerti di riformare le proprie pratiche commerciali in cambio di una riduzione dei dazi annunciati.

Taiwan si è offerta di azzerare tutti i dazi sulle importazioni di beni statunitensi e di iniziare a investire di più negli Stati Uniti. Anche il Vietnam si è offerto di azzerare i dazi sulle importazioni statunitensi, ma il consigliere commerciale della Casa Bianca, Peter Navarro, ha respinto l'offerta affermando che non è sufficiente a colmare il persistente squilibrio commerciale a causa di tutti gli “imbrogli commerciali” in corso.

Naturalmente molti economisti e leader mondiali si sono indignati per la rozza semplicità dei dazi reciproci, che apparentemente sono stati calcolati prendendo la bilancia commerciale di ciascun Paese con gli Stati Uniti, dividendola per le esportazioni e poi dividendo per due. Molti economisti hanno sottolineato che i dazi non “massimizzano il benessere economico” perché creano perdite secche e che la Teoria ricardiana del commercio afferma che esso verrebbe massimizzato se ogni economia non avesse barriere commerciali e si specializzasse in base al vantaggio comparato.

Il problema è che la Teoria ricardiana del commercio afferma anche che non dovrebbero verificarsi squilibri commerciali persistenti (perché i tassi di cambio dovrebbero aggiustarsi per impedirli) e presuppone che sia il lavoro che il capitale non siano mobili a livello internazionale. Chiaramente questo non è il caso nel mondo reale e lo status del dollaro come valuta di riserva ha fatto sì che rimanesse sopravvalutato rispetto alle altre valute, ostacolando così la competitività commerciale degli Stati Uniti. Non è un caso che la svalutazione artificiale di varie valute rispetto al dollaro sia una delle principali lamentele di Navarro e Trump, quindi tenete d'occhio il cambio USD/CNY questa settimana e qualsiasi annuncio da parte della PBOC di abbassare il tasso reverse-repo.

Dal punto di vista degli americani, quello che sta succedendo ora è che i Paesi di tutto il mondo che hanno praticato silenziosamente un ampio protezionismo dove faceva loro comodo, stanno convertendosi in punto di morte al libero scambio. Adam Smith è tornato di moda, ma dato che gli Stati Uniti stanno adottando queste politiche protezionistiche per ricostruire la propria base manifatturiera nel caso in cui dovessero combattere di nuovo una guerra importante, i recenti convertiti sembrano dimenticare questa piccola perla di Smith: “La difesa è molto più importante dell'opulenza”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La grande riorganizzazione degli USA (Parte #2)

Ven, 30/05/2025 - 10:05

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-grande-riorganizzazione-degli-ae4)

COPRIRE IL DOLLARO E RICAPITALIZZARE L'AMERICA

I mercati hanno iniziato a scontare una ricapitalizzazione degli Stati Uniti il ​​giorno dopo le elezioni presidenziali, quando è stato chiaro che sarebbe stato Trump a vincere. È più comune parlare di ricapitalizzazione in termini di un'azienda, ma lo stesso concetto può essere applicato a un Paese. Fa riferimento a una ristrutturazione del quadro finanziario ed economico di un'entità, oltre a stabilizzare la struttura del capitale. Per gli Stati Uniti, questo deve essere fatto sui seguenti livelli:

• Debito pubblico e salute fiscale;

• Stabilità del dollaro;

• Rilancio economico.

Se il team DOGE avrà successo, il suo sforzo contribuirà notevolmente a consolidare le finanze del governo federale e a stabilizzare il dollaro. Eviterebbe anche una crisi del debito sovrano, poiché la domanda di titoli del Tesoro statunitensi aumenterebbe quasi certamente. E se riuscisse a tagliare in modo netto l'attuale struttura normativa e amministrativa, ciò contribuirebbe notevolmente alla rivitalizzazione economica. Ci vorrebbe del tempo, ma assisteremmo a una rinascita delle piccole imprese in questo Paese se lo Stato profondo venisse smantellato. Allo stesso tempo tassi d'interesse normalizzati contribuirebbero a invertire cinque decenni di finanziarizzazione, il che aprirebbe la strada a una rinascita della classe media americana, un tempo fiorente.

Ma non si può essere totalmente ottimisti: anche se tutto ciò si verificasse, non cancellerebbe 50 anni di pessime politiche economiche dall'oggi al domani. Né cancellerebbe il debito nazionale di circa $36.000 miliardi.

Ed è qui che emerge un nuovo, curioso piano...

La senatrice del Wyoming, Cynthia Lummis, ha presentato un disegno di legge per istituire una “Riserva strategica in Bitcoin” per il governo degli Stati Uniti. La legge propone che il Dipartimento del Tesoro e la FED acquistino 200.000 bitcoin all'anno per cinque anni. L'obiettivo è accumulare un milione di bitcoin, quasi il 5% dell'offerta totale. Ai prezzi attuali, ciò equivale a oltre $100 miliardi in Bitcoin, ma se la FED portasse a termine questo piano, il prezzo in dollari aumenterebbe notevolmente, probabilmente di 5 volte o più. Donald Trump ha espresso il suo sostegno a questo piano, così come numerosi dirigenti aziendali.

Marc Andreessen, fondatore di Netscape e della società di venture capital Andreessen Horowitz, è uno di questi. Di recente ha rivelato di aver trascorso circa metà del suo tempo a Mar-a-Lago a lavorare con la nuova amministrazione Trump dopo le elezioni. Alla domanda su quale sarebbe la destinazione d'uso di questa “Riserva Strategica in Bitcoin”, le risposte fornite sono vaghe, incentrate sulla stabilità economica, la sicurezza nazionale e il rimborso del debito pubblico... ma c'è anche un altro aspetto. La mia scommessa è che Bitcoin sarà reso una forma di collaterale e quindi utilizzato per ricapitalizzare il sistema bancario e coprire i mercati dei titoli del Tesoro statunitensi. Bitcoin sarebbe perfetto per questo compito.

Naturalmente questo non era il suo scopo originale, non è per questo che mi sono avvicinato a questa tecnologia nel 2011. All'epoca ero interessato a Bitcoin come moneta, non come un meccanismo per contribuire a ricapitalizzare il sistema finanziario attuale. Tuttavia ho imparato a non lasciare che la “perfezione” fosse nemica della “scelta migliore”.


IL PIANO “AMERICA FIRST” SI CONCRETIZZA

Trump ha nominato Howard Lutnick come Segretario al Commercio. Non credo che sia molto noto, ma è l'amministratore delegato della società di investimenti Cantor Fitzgerald. Essa offre ai clienti istituzionali una vasta gamma di servizi finanziari ed è anche uno dei 24 Primary dealer del Federal Reserve System. Si tratta di una posizione davvero privilegiata, dato che i Primary dealer partecipano all'asta dei titoli del Tesoro USA e ricevono accesso diretto ai finanziamenti a basso costo della FED attraverso la “finestra di sconto” e il mercato pronti contro termine. Tutto questo per dire che Lutnick è un vero insider ed è in sintonia con i meccanismi che stanno alla base del sistema finanziario basato sul dollaro. Ed è qui che la storia si fa interessante...

All'inizio di quest'anno Cantor Fitzgerald ha investito $600 milioni in una società chiamata Tether. Cantor ora detiene circa il 5% della società. Tether emette l'omonima stablecoin in dollari: una criptovaluta che funziona in modo simile a Bitcoin, solo che è agganciata 1 a 1 al dollaro. Ciò significa che un USDT equivale sempre a circa 1 dollaro. Mantenere questo ancoraggio è piuttosto semplice: gli utenti acquistano USDT con dollari, Tether prende poi quei dollari e li investe in vari asset, tra cui titoli del Tesoro USA, Bitcoin e oro. Questo crea una riserva di asset a supporto di ogni USDT emesso.

Poco dopo l'investimento di Cantor in Tether, negli ambienti finanziari ha iniziato a diffondersi la voce che stesse anche sviluppando un fondo per prestare dollari a fronte di garanzie in Bitcoin, con Tether come elemento fondamentale di tale infrastruttura. E ora possiamo vedere il piano iniziare a prendere forma...

Sotto la guida di Cantor Fitzgerald, vedremo il sistema finanziario tradizionale iniziare a prestare dollari coperti da Bitcoin, proprio come accade con altri beni durevoli come gli immobili. Ciò significa che il governo statunitense potrà prendere in prestito dollari coperti dalla sua “Riserva Strategica in Bitcoin”, ottenendo così una seconda fonte di finanziamento oltre all'emissione di titoli del Tesoro. L'effetto netto è che il dollaro sarà in una certa misura coperto da Bitcoin e quest'ultimo sarà monetizzato. Ciò a sua volta stimolerà anche la domanda di USDT, in quanto rappresenta lo strato intermedio tra i dollari tradizionali e Bitcoin. Con l'afflusso di capitali verso USDT, Tether li investirà in asset di riserva, rafforzando ulteriormente il dollaro; e con un Primary dealer come Cantor che ora sostiene l'azienda, possiamo aspettarci che Tether investirà anche in titoli del Tesoro statunitensi.

Più ci penso, più mi rendo conto che si tratta di un piano davvero brillante.

Il governo degli Stati Uniti acquisterà un milione di bitcoin nei prossimi cinque anni per creare la sua riserva strategica. Nel frattempo il sistema finanziario sta creando l'infrastruttura necessaria per erogare prestiti in Bitcoin come garanzia. Ciò significa che la “Riserva Strategica in Bitcoin” coprirà il dollaro. Allo stesso tempo altre istituzioni e individui useranno questi prestiti garantiti da Bitcoin, consentendo a quest'ultimo di fungere da riserva personale. Questo convoglierà un maggiore capitale in Tether, che a sua volta acquisterà titoli del Tesoro statunitensi, cosa che a sua volta sosterrà le finanze del governo americano riducendo la necessità di investimenti esteri. Una tale dinamica sbloccherà un'immensa quantità di valore attualmente depositata in Bitcoin. È logico che gran parte di questo capitale verrà utilizzato per stimolare l'attività economica e forse anche per iniziare a risolvere il problema delle infrastrutture americane in rovina.

E non deve per forza fermarsi a Bitcoin...


LA RIMONETIZZAZIONE DELL'ORO

Il governo degli Stati Uniti possiede ancora 8.133,46 tonnellate d'oro. Si tratta della più grande riserva aurea conosciuta al mondo. Precedenti funzionari, tra cui l'ex-presidente della FED, Ben Bernanke, hanno sempre minimizzato la questione. Quando gli venne chiesto perché il governo degli Stati Uniti detenesse ancora oro, Bernanke rispose che era “per tradizione”... a dir poco assurda come risposta. Ovviamente il governo degli Stati Uniti ha sempre riconosciuto l'importanza strategica della sua enorme riserva aurea, altrimenti l'avrebbe venduta molto tempo fa. Se il governo monetizza Bitcoin come descritto sopra, è ragionevole che monetizzi anche l'oro. La stessa infrastruttura utilizzata per garantire Bitcoin potrebbe essere utilizzata per l'oro.

È interessante notare che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti contabilizza ancora le sue riserve auree a un valore contabile di $42,22 l'oncia in bilancio. Questo valore stima l'oro del governo statunitense a $10,4 miliardi... una goccia nell'oceano oggi. Tuttavia l'oro oggi viene scambiato oltre $3.000 l'oncia mentre scrivo. Le riserve auree statunitensi valgono circa $800 miliardi ai prezzi correnti e il prezzo dell'oro salirebbe ancora di più se venisse rimonetizzato. Un aumento del prezzo dell'oro (in dollari) ricapitalizzerebbe ulteriormente l'America e contribuirebbe a fornire un'altra soluzione al debito nazionale.

Infatti negli ultimi anni abbiamo assistito a numerose proposte per operazioni del Dipartimento del Tesoro coperte dall'oro. L'ex-capo stratega di Trump, Steve Bannon, ha suggerito che la seconda amministrazione Trump potrebbe perseguire politiche monetarie coperte dall'oro nel tentativo di ridurre il debito nazionale; anche l'ex-candidata di Trump alla FED, Judy Shelton, ha promosso l'idea di titoli del Tesoro coperti dall'oro.

Inoltre il Project 2025 della Heritage Foundation richiede esplicitamente la rimonetizzazione dell'oro. Trump vi ha preso le distanze durante la campagna elettorale, ma due dei suoi nuovi membri del gabinetto vi hanno contribuito direttamente, tra cui il direttore entrante dell'OMB Russell Vought, il più influente per quanto riguarda le questioni monetarie.

Ripristinare il ruolo monetario dell'oro all'interno del sistema finanziario basato sul dollaro aumenterebbe quasi certamente la fiducia globale nel biglietto verde e nei titoli del Tesoro statunitensi. Insieme alla monetizzazione di Bitcoin, questo potrebbe anche sbloccare migliaia di miliardi di dollari di valore intrappolato che potrebbero essere utilizzati per ripagare il debito nazionale.


DAVVERO POTREBBE ACCADERE?

Prima di tre anni fa non pensavo che nulla di simile potesse mai essere possibile. Ero “black-pilled”, come si dice oggi: non pensavo che il sistema potesse essere riformato, soprattutto a causa di un'esperienza passata, ovvero quella di Ron Paul nel 2012. All'epoca esisteva un sito chiamato The Daily Paul attraverso il quale i sostenitori riportavano tutto ciò che vedevano accadere nelle loro contee e nei loro stati. I media tradizionali, inclusa Fox News, facevano di tutto per far sembrare Ron Paul un pazzo senza alcun supporto popolare; la realtà è che aveva il Partito Repubblicano contro. Arrivò addirittura un momento in cui un numero significativo di suoi delegati venne eletto alla convention nazionale, i quali avevano intenzione di votare per Ron Paul come candidato repubblicano alla presidenza. Ma gli imbrogli erano proprio dietro l'angolo: il Partito Repubblicano arrivò ​​al punto di revocare le credenziali a intere liste di delegati di Ron Paul e poi a sostituirli con quei nomi che più gli aggradava.

Per il Partito Repubblicano nel suo complesso, si trattava solo di assicurarsi che l'elettore repubblicano medio credesse che Ron Paul fosse un candidato marginale con idee folli. Non voleva che la gente sentisse cosa avesse realmente da dire, perché sapeva che avrebbe trovato eco in molti elettori. Una giornalista di nome Deborah Smarth ha scritto un libro su quanto accaduto durante quella stagione delle primarie repubblicane, intitolato America's Lost Opportunity: Stolen Victories 2012.

La Smarth ha documentato molti esempi di pratiche ingannevoli e ostili da parte del Partito Repubblicano durante quella campagna elettorale. Inutile dire che il cinismo era tutto quello che mi sono portato dietro dopo quell'esperienza, soprattutto quando si vede un candidato che sosteneva la riforma fiscale e un ritorno ai principi fondanti dell'America venir sostituito da un sostenitore dei globalisti come Mitt Romney.

Mi sono, quindi, aggrappato al cinismo per un decennio. Per il momento, però, l'ho messo da parte: c'è qualcosa di diverso in quello che sta succedendo oggi. Considerati tutti i punti che abbiamo collegato in questo saggio, e tutte le briciole di pane che ci hanno portato fin qui e raccolte nel mio ultimo libro intitolato Il Grande Default, credo che all'agenda “America First” gli si debba dare una possibilità. Certo, non è filosoficamente coerente come il piano di Ron Paul, ma è certamente migliore di quello che abbiamo ora ed è decisamente migliore di quello che i globalisti vorrebbero imporre.

Ecco cosa c'è di diverso in quello che sta succedendo oggi... Stiamo assistendo a una strana coalizione di giganti della tecnologia, addetti ai lavori di Wall Street, i nuovi media (con Joe Rogan e Tucker Carlson come protagonisti) ed ex-Democratici che si uniscono attorno al team di Trump e alla sua agenda “America First”. Anche Robert F. Kennedy Jr. è a bordo e il suo cognome rappresenta forse la dinastia politica più iconica del Partito Democratico nella storia americana. Sulla stessa linea Joe Rogan ha appoggiato Bernie Sanders nel 2016; ora sostiene attivamente il programma “America-First”.

Questa non è altro che una controrivoluzione contro il programma globalista. 

È di natura apartitica ed è guidata da qualcosa di più dell'interesse personale: è guidata dall'autoconservazione. Di chi? Del sistema bancario commerciale statunitense. Quindi sono convinto che lo sforzo di riforma a cui stiamo assistendo oggi sia sincero. C'è un piano in atto e non ha nulla a che vedere con l'amministrazione Trump del 2016, la quale nominò un gruppo di vecchi neoconservatori repubblicani (neocon) che alla fine fecero saltare tutto in aria. Ovviamente non so se i NY Boys e l'amministrazione Trump riusciranno a portare a termine il loro piano, ma penso che abbiano una ragionevole possibilità di successo. Sarà affascinante osservare come si evolverà il tutto.

E ci sono anche importanti implicazioni per gli investimenti...


INVESTIRE IN UN MONDO IN CUI L'AMERICA È AL PRIMO POSTO

Se ciò di cui abbiamo discusso oggi si realizzerà, entreremo in un mondo che nessuno di noi ha mai conosciuto prima. Non avrei mai pensato, nemmeno per un secondo, che una cosa del genere sarebbe stata possibile ma se i puntini si uniscono come li abbiamo uniti, ci troveremo in un mondo deflazionistico in cui la massa monetaria statunitense si ridurrà, così come la dimensione del governo federale stesso.

Questa non è una buona notizia per i multipli di valutazione nei mercati azionari. I titoli tecnologici in forte crescita, attualmente scambiati oltre 30X il valore di vendita, quasi certamente torneranno a livelli di valutazione più ragionevoli. Non credo però che questo scenario porterebbe a un'Armageddon nel mercato azionario, semplicemente perché il capitale d'investimento troverebbe probabilmente interessanti le azioni statunitensi in un mondo in cui la spesa pubblica è sotto controllo e la regolamentazione non è apertamente ostile alle imprese e al commercio. Inoltre il mondo che stiamo descrivendo è un mondo in cui 50 anni di finanziarizzazione verrebbero gradualmente invertiti.

Altro tassello che si inserisce nella "grande riorganizzazione" degli Stati Uniti. Oltre 40 anni di finanziarizzazione (qual è la "città nella città" più finanziarizzata del mondo?) vengono finalmente invertiti.https://t.co/CreSfPyX8e

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 23, 2025

In questo mondo, il mercato azionario tornerebbe gradualmente a rispecchiare l'economia reale. Proprio come ai vecchi tempi. Naturalmente ci saranno delle aziende che ne trarranno vantaggio e altre no. Nel frattempo Bitcoin e oro continueranno a salire in dollari. Per Bitcoin non c'è altro da fare che salire se il governo degli Stati Uniti inizierà ad acquistare 200.000 unità all'anno. Pensate a questo: ci saranno solo 21 milioni di bitcoin in circolazione, ma 19,8 milioni di questi sono già stati minati e ne restano solo 1,2 milioni da immettere in circolazione. Non solo, ma il protocollo di Bitcoin riduce esponenzialmente il numero di nuovi bitcoin minati nel tempo. Possiamo calcolare con certezza matematica che l'ultimo blocco non verrà minato prima del 2140; sono 116 anni da oggi e questa scarsità è il motivo per cui Bitcoin è prezioso come asset finanziario.

La prospettiva rialzista per l'oro in questo scenario non è così diretta. Infatti ci si aspetterebbe che la deflazione risulterà negativa per il suo prezzo in dollari. La rimonetizzazione dell'oro aumenterà la domanda da parte delle banche centrali e degli investitori istituzionali. Ogni istituto che attualmente detiene titoli del Tesoro USA come asset di riserva allocherà molto probabilmente anche una parte delle proprie riserve in oro.

Allo stesso tempo il dollaro si rafforzerà rispetto alle valute estere; soprattutto nei confronti dell'euro. Come investitori, penso che sostenere le proprie finanze con oro e Bitcoin sia la cosa più importante che si possa fare. Dovrebbero essere trattati entrambi come vere e propri asset di riserva, non come veicoli d'investimento. In altre parole, lo scopo di acquistare oro e Bitcoin non è investire valuta oggi nella speranza di ottenere più valuta domani. No, si tratta di scambiarla con le due principali riserve ufficiali mondiali. In questo modo ci si ritroverà un bilancio solido con una solida copertura finanziaria.

Questo apre una serie di strategie interessanti, soprattutto in un mondo in cui si possono usare queste riserve per collateralizzare e accelerare i propri investimenti. Una delle strategie più interessanti oggi, a livello aziendale, riguarda le “convertible note”: emettere obbligazioni a leva coperte da Bitcoin, ad esempio.

A livello individuale, invece, ci sono le “mortgage note” (cambiali ipotecarie). La maggior parte degli investitori sa che esiste un mercato immobiliare in ogni grande città degli Stati Uniti. Le persone comprano e vendono immobili ogni giorno. Non credo che molti si rendano conto che esiste anche un mercato per le cambiali ipotecarie: mutui su case unifamiliari e terreni. In qualsiasi momento ci sono centinaia di questi mutui in vendita e sono disponibili per gli investitori al dettaglio, senza bisogno di accreditamento. Acquistare cambiali ipotecarie è l'altra faccia della medaglia rispetto all'acquisto di immobili da dare in affitto. Con le cambiali non si possiede la casa, solo il debito. E questo significa che non si è responsabili per la pulizia dei tappeti, la tinteggiatura delle pareti o la riparazione della doccia che perde. Non ci sono spese impreviste che potrebbero intaccare il flusso di cassa mensile.

Inoltre si possono sempre trovare mutui a prezzi accessibili. Che ci crediate o no, la maggior parte delle cambiali ipotecarie disponibili sul mercato secondario si colloca nella fascia di prezzo più bassa. Questo perché banche, compagnie assicurative e hedge fund tendono a vendere le loro vecchie cambiali ogni volta che acquistano un blocco di cambiali più consistenti con durate più lunghe. Devono costantemente mantenere una “scala” di durata all'interno del loro portafoglio. Le cambiali ipotecarie sono un investimento molto interessante in un mondo deflazionistico, dove non bisogna preoccuparsi di un drastico calo del potere d'acquisto della valuta.

Inoltre le cambiali ipotecarie offrono rendimenti più elevati rispetto agli immobili in affitto nel clima attuale, dato l'aumento dei tassi d'interesse. Sono un ottimo strumento per creare un reddito mensile passivo. E se si usasse quest'ultimo per finanziare altri investimenti, inclusi investimenti con tassi di rendimento garantiti contrattualmente?

Ci sono parecchi pezzi di questo puzzle, ma una volta compresi – e come si incastrano tra loro – creare un sistema di investimento è alla portata di chiunque. L'idea alla base di un sistema di investimento del genere è semplice ed è quella che viene adesso usata da quelle aziende che utilizzano le “convertible note” per comprare Bitcoin: sostengono le proprie finanze con oro e Bitcoin, poi usano il loro flusso di cassa per coprire gli strumenti finanziari emessi e finanziare nuovi investimenti, inclusi quelli che aumentano ulteriormente il loro flusso di cassa. In questo modo si viene a creare un “effetto valanga” che aumenta il proprio patrimonio e il reddito nel tempo.

Il punto chiave è che questa strategia funziona meglio in un contesto in cui il potere d'acquisto del dollaro rimane relativamente stabile. Ecco perché il programma “America First” potrebbe rivelarsi un’importante manna per gli investitori in futuro.

Generare un flusso di cassa mensile: investire, ad esempio, in cambiali ipotecarie per creare un reddito passivo senza le complicazioni della gestione immobiliare;

Sfruttare il proprio flusso di cassa (sottoponendolo eventualmente a leva): usare tale questo reddito per finanziare altri investimenti ad alto rendimento, creando un “effetto valanga” che fa crescere il proprio patrimonio in modo esponenziale.

Proteggere il proprio patrimonio: integrare i modi migliori per sostenere le proprie finanze con oro e Bitcoin, garantendo stabilità, anche in un contesto deflazionistico.

Inutile ricordare che si tratta di ipotesi personali e non rappresentano un invito automatico all'azione. Questi comunque sono temi che vengono trattati in maggiore dettaglio nel servizio di consulenza del blog prenotabile su Calendly.


CONCLUSIONE

Quando parlo della cricca di Davos mi riferisco a quel gruppo costituito da banchieri e famiglie europei le cui ambizioni colonialiste non sono mai scomparse. Il loro modus operandi è sempre stato uno: destabilizzazione, estrazione di ricchezza, crollo, obiettivo successivo. Il modo migliore per pensare a essi è quello di immaginarli come locuste: si spostano in un territorio, lo destabilizzano dall'interno, creano caos nella società, cambiano leggi/regole, estraggono il capitale, lo spediscono altrove e riniziano il processo da lì. Gli Stati Uniti sarebbero dovuti essere i prossimi e la Cina dopo di essi. C'hanno provato con la Russia ma sono stati rispediti al mittente. Lo strappo con gli Stati Uniti, invece, è avvenuto nel momento in cui Powell e Williams sono stati posti come governatore e vice, e hanno iniziato a lavorare sul SOFR (forse anche prima, ma con loro due alla FED è stato lapalissiano). Come ho scritto nel Capitolo 3 del mio ultimo libro, Il Grande Default, il coordinamento a livello di banche centrali sin dalla crisi del 2008 denotava una volontà comune di portare l'attuale sistema economico/finanziario post-Seconda guerra mondiale alla sua naturale morte e riciclare la classe dirigente che l'ha scombussolato in quello nuovo.

Se la classe oligarchica americana, la classe bancaria americana, ha infine guardato cosa c'era oltre l'orizzonte e ha capito che non avrebbero fatto parte di coloro che avrebbero dettato le regole nel nuovo sistema, allora avevano tutti gli incentivi di questo mondo a opporre resistenza. E il modo migliore affinché la opponessero era quello di combattere, inizialmente, a livello finanziario e poi seguire il flusso del denaro: passare successivamente al livello culturale, al livello giudiziario, al livello politico, ecc. Nel caso in particolare, controllare il flusso di denaro tramite la riconquista della politica monetaria da parte della FED avrebbe significato rimuovere quegli “agenti infiltrati” che facevano gli interessi dei globalisti. Ed è qui che siamo ora: la rimozione di quel cancro che ha corrotto le istituzioni americane. Inutile dire che questo passaggio è meglio esemplificato nella concretezza dal marciume portato a galla dalle investigazioni del DOGE.

Quanto detto accade internamente, a livello internazionale la stessa “pulizia” viene portata avanti dai dazi e dagli accordi commerciali. Avete notato come 48 ore dopo la visita di Vance in India e l'intavolamento di un nuovo accordo commerciale con Modi, Pakistan e India hanno rischiato di far partire i razzi nucleari? E chi ha profonde radici di intrallazzi nella regione? Gli inglesi. Quel tipo di relazioni sono vecchie e radicate, e cambiarne la dinamica comporta una reazione violenta ed esagerata. Ecco perché la stampa (di stampo inglese) attacca senza tregua la nuova amministrazione facendola passare per spacciata e ingenua. Non analizza per niente il suo piano messo in campo, facendo invece apparire i membri che ne fanno parte come spaesati e divisi. Classico esempio di modus operandi dell'MI6, tra l'altro.

La rinegoziazione dei vecchi accordi commerciali viene fatta, adesso, a vantaggio degli USA, non più un volano per spolpare la nazione della sua prosperità e trasferirla all'estero. Infatti la politica estera americana, ad esempio, è stata fino al 2024 in mano ai globalisti oltreoceano. Il passo successivo è quello di cambiare il modo in cui vengono tassati gli americani, riformando una delle più grandi ingiustizie fiscali del mondo: l'imposta sul reddito. Saranno gli altri a pagare per la gigantesca mole di debito emessa, ad esempio, dalla Yellen nel 2024 per fare un favore a Londra e Bruxelles. Non si può non partire da un fatto: il collaterale è ciò che conta e conterà sempre, e quello di qualità superiore a livello internazionale e che permette di accedere al mercato dei finanziamenti rapidi più liquido al mondo è rappresentato dai titoli di stato americani. E questo lo sappiamo dal fatto che, secondo un articolo recente della Reuters, la BCE è preoccupata dal fatto che non tutti gli stati membri dell'UE potranno accedere alle linee di swap della FED in caso di difficoltà. Ed è una realtà già adesso, visto che la BCE stessa deve presentarsi alla finestra di sconto della FED, cappello in mano, per ottenere prestiti. Li ottiene, però, a un tasso d'interesse superiore rispetto a quello pagato dalle banche americane (uno spread di circa 80 punti base). Questo a sua volta significa che il margine attraverso il quale la nazione può assorbire e sostenere il rollover del debito interno sta aumentando. Prosciugare all'estero il mercato degli eurodollari e all'interno far rimanere quanto più possibile i titoli di stato americani. Non scordiamoci che i più grandi possessori di obbligazioni statunitensi, a oggi, sono Londra e Bruxelles (insieme alle loro succursali) ammassati durante la presenza della Yellen al Dipartimento del Tesoro. Stanno usando questo stock per puntellare i loro di problemi economici, perché nelle prime fasi di una crisi della valuta, il valore della stessa aumenta dato che i capitali vengono richiamati in patria per affrontare i problemi. Poi scende. Sia l'euro che lo yen si trovano nella stessa situazione, ma per ragioni diverse ed entrambi sono alla mercé della FED. Gli accordi commerciali sulla scia dei dazi serviranno a capire chi è “amico” e “nemico” degli USA, e ovviamente chi avrà accesso alle linee di swap.

È sempre stato questo l'obiettivo dei NY Boys. Ancora di più in quest'ultimo mese che Bruxelles e Londra hanno manipolato attivamente la curva dei rendimenti americana per tenere a galla i rispettivi mercati obbligazionari e valute. https://t.co/fIkkUSO4z3

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 23, 2025

E mentre con l'UE vengono aumentati i dazi, con il Giappone...Questa è, in estrema sintesi, la differenza di cui parlavo nei miei pezzi tra "amici" e "nemici" degli USA.https://t.co/9uqOhP6nIM

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 24, 2025

Questa strategia viene ulteriormente portata avanti dalla proposta di legge al vaglio adesso al Congresso, la quale prevederebbe il decadimento delle agevolazioni fiscali per quelle compagnie estere che decidono di acquistare titoli obbligazionari americani. Per quanto possa esserci un selloff iniziale, i titoli di stato americani rimangono ancora il collaterale per eccellenza nei mercati mondiali. Il SOFR ha cambiato tutte le carte in tavola e adesso per avere dollari bisogna andare solo dalla FED. In parole povere, contrazione dell'offerta di dollari all'estero, rimpatrio di capitali, rinnovo del debito americano in scadenza attraverso la domanda interna e strangolamento degli avversari tramite carenza di dollari (BCE e BOE). Infatti gli USA non hanno affatto bisogno di $36.000 miliardi in debito da emettere, ma solo $4-5.000 miliardi per rendere liquidi i mercati monetari interni. Ecco perché il resto del mondo avrà un prezzo per i dollari che circoleranno all'estero diverso da quelli che circoleranno internamente.

L'obiettivo principale dei NY Boys è quello di difendere il prezzo del dollaro in patria, non all'estero. Il LIBOR, invece, era stato progettato per ottenere il contrario. Adesso saranno gli altri a pagare un premio per usare i dollari. I cambiamenti messi in moto sono epocali e stanno segnalando la fine di un'era che ci portiamo dietro sin dalla nascita della Banca d'Inghilterra.

La "frammentazione" del dollaro a livello interno è funzionale allo smantellamento di un singolo "honeypot" da catturare. Ecco come si porrà fine alla FED senza che il Paese subisca un takeover da parte di player ostili (leggi BOE o BCE). https://t.co/xz3m1oieKG

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 23, 2025

Senza togliere di mezzo quei figuri che hanno corrotto il denaro, non ci potrà essere denaro sano/onesto o libertà individuale. E la guerra tra i NY Boys e la cricca di Davos è la miglior occasione per ottenere entrambi come sottoprodotto delle loro schermaglie. Non esistono player più potenti sulla faccia della Terra della Federal Reserve e del Dipartimento del Tesoro statunitense che lavorano insieme; e se l'indipendenza degli USA passa dalle strategie che ho messo in evidenza in questo saggio e se anche solo la metà di esse verranno messe in pratica, allora questa è l'occasione d'oro che stavano aspettando anarcocapitalisti e libertari. È a dir poco ironico che potranno essere quelle due entità a realizzare il loro sogno. In passato erano divisi, oppure catturati dall'unica visione delle linee di politica impostata dal Partito democratico e dai globalisti. L'Unipartito del passato, infatti, ha costantemente lavorato per sconquassare l'America; il nuovo Unipartito sta lavorando per rimettere insieme i cocci e assicurarsi che per i prossimi 20 anni i Democratici rimangano a bordo campo.

Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stata la crescita incontrollata del mercato dell'eurodollaro che ha distrutto il Paese, che l'ha fatto arrivare sull'orlo della bancarotta dal punto di vista dei bilanci. Per quanto riguarda la questione fiscale, non è difficile mettere a posto le cose... basta solo la volontà di farlo. Lato attivi e passivi, invece, beh lì è più complicato. Però pensate a questo adesso: davvero gli USA sono in debito per la cifra ufficiale che ascoltiamo sempre? E se parte di quel debito può essere cancellato mandando in bancarotta quelle entità a cui è dovuto? E se il sottosuolo dell'Alaska venisse finalmente contabilizzato attraverso i fondi sovrani che Trump vorrebbe creare in tutto il Paese?

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E qui tutte le critiche all'insostenibilità delle finanze degli Stati Uniti vanno a morire.https://t.co/4cCI1UPcRQ

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 16, 2025

E se, sempre restando in termini di attivi, il problema di Fort Knox non fosse l'assenza di oro fisico bensì la presenza di un numero superiore di metallo giallo rispetto alle cifre ufficiali?

I giorni in cui i globalisti erano al comando negli Stati Uniti sono finiti e questo significa anche la manipolazione del mercato dell'oro per pompare l'eurodollaro e facilitare il ripagamento dei prestiti esteri, nonché accedere a finanziamenti facilitati senza garanzie, sono finiti. Sono finite le manipolazioni all'apertura di Londra e New York in cui l'oro subiva violenta volatilità si stabilizzava durante l'apertura dei mercati asiatici e infine veniva abbattuto alla chiusura di New York. Se, però, Trump riuscirà a staccare un accordo di pace durevole in Europa orientale l'oro quest'anno terminerà la sua corsa... almeno fino alla crisi del debito sovrano che imperverserà nell'UE. E se un accordo di pace verrà trovato anche in Medio Oriente, allora il capitale restante in Europa non avrà altra scelta che volarsene in toto negli USA dato che non vedrà alcun futuro nel Vecchio continente.

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Emirati Arabi, Yemen, Arabia Saudita, Qatar, Siria... le ultime visite di Trump in Medio Oriente, se guardate sulla cartina, sono praticamente un muro innalzato tra Israele e Iran.

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) May 15, 2025

Man mano che l'amministrazione Trump continuerà a ridurre “G” nel conteggio del PIL e gli investimenti privati ne prenderanno il posto, i prezzi delle commodity saliranno in risposta alla domanda industriale. La FED, di conseguenza, non avrà alcuna pressione a rialzare i tassi, anzi potrà abbassarli anche in virtù del fatto che l'economia statunitense, date queste premesse, è una cold economy ovvero gli aumenti dei prezzi sono trainati dalle materie prime, principalmente il petrolio. Ci sono tre modi in cui l'amministrazione Trump sta sgonfiando il prezzo di quest'ultimo (rompendo il cartello dell'OPEC e costringendo i mercati arabi alla trattativa):

  1. Nuovi permessi per le raffinerie;
  2. Smantellare i privilegi per l'industria dei veicoli elettrici;
  3. Porre fine alla miscelazione dell'etanolo dal mais.

Man mano che la ri-industrializzazione farà il suo corso, i prezzi nel lungo periodo tenderanno a scendere e favorire una crescita economica organica. Questo fornirà anche la giustificazione ideale per la FED affinché tagli i tassi e agevoli il mercato del credito interno. Come detto in passati articoli, in questa nuova era la FED non tornerà più allo zero e la sua linea di politica si assesterà intorno al 3% dei tassi di riferimento senza la paura di una crisi del credito. Un piano già in moto e di cui vedremo i risultati tra 18 mesi, giusto in tempo per le elezioni di medio termine.


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???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/05/la-grande-riorganizzazione-degli-usa.html


Il mantra per ogni ciclo: allocare, come minimo, l'1% su Bitcoin

Gio, 29/05/2025 - 10:06

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Mark Jeftovic

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-mantra-per-ogni-ciclo-allocare)

Ogni ciclo di Bitcoin ha un tema e un motore centrale, e a volte siamo così vicini a esso che non riusciamo a capire esattamente di cosa si tratta (o di cosa si è trattato) finché non lo abbiamo ormai superato.

Nel 2013 furono i bail-in a Cipro e la consapevolezza che il sistema bancario stava andando in una direzione dove l'espressione “sicuro come il denaro in banca” non sarebbe stata più del tutto vera. Il motore principale fu l'ascesa degli exchange centralizzati, anche se uno di questi, Mt. Gox, implose su sé stesso e le macerie sono ancora fumanti oggi.

Il ciclo del 2017 segnò l'esplosione del settore delle criptovalute come classe di asset a sé stante: Ethereum fece il suo ingresso sulla scena con la specifica del token ERC-20, innescando la mania di “tokenizzare tutto”. Il boom delle ICO alimentò lo slancio e l'avvento di stablecoin come Tether fornì il lubrificante per immettere capitali nel settore degli asset digitali.

Per il ciclo del 2020 fu l'arrivo dei primi miliardari anticonformisti (Paul Tudor Jones, Stan Druckenmiller, Elon Musk, Michael Saylor), in un momento in cui il loro ingresso era erroneamente interpretato come il segnale che “le istituzioni stanno entrando” in Bitcoin come classe di asset.

Nemmeno lontanamente. Ma quello che è successo è che molti hedge fund e investitori di alto livello, che erano all'avanguardia e miravano a catturare l'alfa, iniziarono a investire in quello che all'epoca veniva chiamato “l'arbitraggio GBTC” – una lunga storia, spiegata in dettaglio qui, ma che in sostanza significava che i trading desk potevano registrare profitti consistenti prima ancora che venissero effettivamente realizzati, al costo di bloccare il capitale per sei mesi.

Quando infine si disgregò (ovvero il ciclo terminò), il premio di GBTC si trasformò in uno sconto sul NAV e quando le cose andarono davvero male (LUNA, 3AC, Celsius... FTX) la stessa entità madre di GBTC, DCG, andò in bancarotta e GBTC divenne un'isola di capitale intrappolato, del valore di oltre $30 miliardi.

Ora siamo in un nuovo ciclo di Bitcoin...

Abbiamo un nuovo tema e un nuovo catalizzatore. GBTC entra di nuovo in gioco, perché è la ragione per cui il prezzo di Bitcoin è rimasto un po' smorzato dopo l'arrivo del nuovo catalizzatore.

Ricordate quello che diciamo da un anno, forse più: nel prossimo ciclo le istituzioni si faranno avanti e, a causa dell'enorme asimmetria nell'ecosistema di Bitcoin, troveranno la situazione abbastanza interessante da assegnargli una piccola percentuale del loro portafoglio.

Ho previsto un nuovo mantra di investimento per i gestori di fondi istituzionali: “L'allocazione dell'1%”.

Cominciamo con i dati: Fidelity, con $12.600 miliardi di asset in gestione e uno dei fornitori di ETF spot (l'unico ad aver creato un proprio depositario per gestirli), ha aggiunto un'allocazione di “criptovalute” come suo fiore all'occhiello, “All-In-One Conservative ETF”, autoproclamato “una soluzione unica diversificata per regioni, capitalizzazioni di mercato e stili/fattori di investimento, con il vantaggio di una gestione professionale”.

L'allocazione dell'1% risale ad anni fa: la prima volta che l'ho vista era in un documento di lavoro della Banca centrale delle Barbados, redatto da una coppia di economisti del posto che raccomandava alla banca centrale del Paese di detenere l'1% delle sue riserve estere in Bitcoin; era il 2015.

Nel 2022 anche il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria stava definendo delle linee guida sulle allocazioni “crypto” per le attività di riserva di livello 1:

Limite di esposizione del Gruppo 2: l' esposizione totale di una banca alle criptovalute del Gruppo 2 non deve superare il 2% del capitale di livello 1 della banca e dovrebbe generalmente essere inferiore all'1%.(Quel documento della BRI non faceva distinzione tra  Bitcoin  e “crypto”, sebbene avesse dovuto farlo...)

E questo articolo di Motley Fool, che parla principalmente dell'aumento della quota di Cathy Woods in ARK Funds al 19%, cita l'allocazione dell'1% come una prassi piuttosto convenzionale:

Fino a quest'anno l'opinione prevalente era che Bitcoin dovesse rappresentare solo una piccola parte del portafoglio complessivo. Come regola generale, l'1% era la norma, e qualsiasi percentuale superiore al 5% era considerata ultra-aggressiva.


La nuova regola dell'1%: comprate Bitcoin

Conosciamo tutti il vecchio adagio “Nessuno è stato licenziato per aver comprato azioni di IBM”, un mantra ai tempi dei “Nifty Fifty” (poi ci sono state le iterazioni successive: sostituite IBM con Microsoft, Google, Apple, ecc.).

Ecco cosa penso che succeda ora: mentre oggi nessuno potrebbe essere licenziato per aver comprato, per esempio, una delle Magnifiche Sette, domani potreste benissimo essere licenziati per non aver investito, come minimo, l'1% su Bitcoin. Sì, davvero.

Che effetto avrà sul valore di Bitcoin un'allocazione dell'1% dell'intero spettro della ricchezza istituzionale? Il mio modello mentale, risalente al The Crypto Capitalist Manifesto, è sempre stato quello di considerare la dimensione totale del mercato obbligazionario, confrontandola con Bitcoin e metalli preziosi.

Basically, this: pic.twitter.com/FhwvjUxYOq

— Mark E. Jeftovic (@MarkJeftovic) February 11, 2024

Da lì, ipotizzo cosa accadrebbe se solo l'1% di quel “rendimento senza rischi” (obbligazioni) si trasferisse su Bitcoin. Considerando che quest'ultimo ha riconquistato solo di recente la capitalizzazione di mercato di $1.000 miliardi, e che ci sono tra i $150.000 e i $300.000 miliardi in obbligazioni globali (a seconda di cosa si include), un solo 1% di uscita dalle obbligazioni raddoppierebbe come minimo la capitalizzazione di mercato di Bitcoin.

Siamo appena entrati in questa nuova era in cui Bitcoin è disponibile come strategia di allocazione istituzionale e ci sono già i primi segnali che indicano che gli allocatori di capitale stanno addirittura scegliendo Bitcoin rispetto all'oro, cosa che, lo ammetto, mi ha sorpreso.

Can someone do a wellness check on @PeterSchiff? pic.twitter.com/mUc2xGwK2j

— Jameson Lopp (@lopp) February 14, 2024

Pensavo che coloro che avevano già investito in oro sarebbero rimasti fermi e avrebbero aggiunto Bitcoin, ma ora sembra che i gestori di fondi istituzionali che avevano investito in oro come copertura abbiano perso la pazienza con i ripetuti crolli dell'oro dai massimi storici.

L'oro ha fatto registrare un nuovo massimo storico a dicembre, ma come ho osservato, dal precedente massimo del 2020, un nuovo massimo storico per l'oro potrebbe significare un calo pluriennale piuttosto che un imminente massimo più alto.

Al contrario, Bitcoin sembra destinato a dar vita a una nuova serie di criptovalute, almeno per i prossimi due anni.

Quindi ora vi presento umilmente “Il Tema” di questo ciclo:

Il tema è: Le istituzioni stanno arrivando.

Il motore principale è: gli ETF spot di Bitcoin.

Il mantra sarà: allocare come minimo l'1% su Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Ingegnerizzare il dissenso

Mer, 28/05/2025 - 10:08

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/ingegnerizzare-il-dissenso)

Come spesso faccio la domenica mattina, stavo bevendo il mio caffè e scorrendo il mio feed di notizie quando ho notato qualcosa di sorprendente. Forse era il mio algoritmo, ma i contenuti erano inondati da un'insolita dose di veleno contro la nomina di Robert F. Kennedy Jr. a Segretario dell'HHS. Il messaggio coordinato era impossibile da ignorare: voci di corridoio su tutte le reti lo etichettavano uniformemente come “complottista” e un “pericolo per la salute pubblica”, senza mai affrontare le sue reali posizioni. Gli attacchi concertati dei media su Kennedy rivelano molto più della loro opinione sulla sua nomina: espongono una profonda crisi di credibilità all'interno di istituzioni che un tempo godevano della fiducia del loro pubblico.


Il paradosso della credibilità

L'ironia di chi ha guidato questi attacchi non mi è sfuggita: si trattava in gran parte delle stesse voci che hanno sostenuto le linee di politica pandemiche più distruttive. Come ha giustamente osservato Jeffrey Tucker su X questa mattina:

It's really something to see hordes of high-paid journalists and intellectuals who championed Plexiglass Nation, 6-feet mysticism, playground closures, sanitizer baths, and plastic face coverings now denouncing dissidents as "anti-science." Unbelievable.

— Jeffrey A Tucker (@jeffreyatucker) November 17, 2024


La risposta coordinata

Questa ipocrisia diventa ancora più evidente nella recente copertura del New York Times, dove una retorica sprezzante sostituisce sistematicamente un impegno concreto per la notizia. In un articolo recente il quotidiano riconosce le tendenze preoccupanti nella salute dei bambini, dichiarando con disprezzo che “vaccini e fluoro non sono la causa”, senza però prendere in considerazione le prove. In un altro pezzo, Zeynep Tufekci – che in particolare ha sostenuto alcune delle misure più draconiane contro il Covid – avverte che Kennedy potrebbe “distruggere una delle più grandi conquiste della civiltà”, dipingendo scenari apocalittici e ignorando le sue reali posizioni politiche.

Nel frattempo la loro redazione politica ipotizza come la sua posizione sulle grandi aziende alimentari potrebbe “alienare i suoi alleati repubblicani”. Ogni articolo affronta il tema da una prospettiva diversa, ma lo schema è chiaro: messaggi coordinati volti a minare la sua credibilità prima che possa assumere la carica istituzionale.


L'effetto camera di risonanza

Si può quasi sentire il nastro trasportatore editoriale che si apre mentre i redattori elaborano la realtà approvata del giorno per il loro pubblico. Il tono tra gli articoli non rivela un'analisi indipendente bensì un modello molto familiare: i media beffardi ancora in azione. Come ho spiegato nel mio pezzo L'industria dell'informazione, questo approccio a catena di montaggio rispetto la produzione della realtà è diventato sempre più evidente a chiunque presti un minimo di attenzione.

Ciò che questi guardiani non riescono a comprendere è che un tale e compiaciuto sdegno, questo rifiuto di confrontarsi con argomentazioni sostanziali, è proprio ciò che alimenta il crescente scetticismo del loro pubblico. Il panico sembra crescere in modo direttamente proporzionale alla vicinanza di Kennedy al potere reale. Questo sdegno orchestrato è più di un difetto giornalistico: riflette un dilemma istituzionale più ampio, che diventa inevitabile con l'aumento del consenso per Kennedy.


La trappola istituzionale

Il Times si trova di fronte a un dilemma: a un certo punto dovrà affrontare la sostanza delle argomentazioni di Kennedy piuttosto che affidarsi a caratterizzazioni sprezzanti, soprattutto se assumerà il controllo dell'apparato sanitario americano. Proprio stamattina i conduttori della MSNBC urlavano letteralmente che “Kennedy farà uccidere delle persone” – l'ennesimo esempio di come si faccia ricorso a melodrammi e paura invece di confrontarsi con le sue reali posizioni. La strategia della ridicolizzazione si ritorce loro contro, proprio perché evitano di confrontarsi con le prove e le preoccupazioni che coinvolgono genitori e cittadini di ogni orientamento politico. Ogni tentativo di mantenere il controllo narrativo attraverso l'autorità, piuttosto che attraverso le prove, accelera il collasso della credibilità istituzionale.


Oltre Kennedy: ridefinire le linee di politica

L'analisi del NYT sul potenziale alienamento degli alleati repubblicani a causa di Kennedy evidenzia in particolare la loro incomprensione del mutevole panorama politico. Da democratico di lunga data che continua a sostenere molti valori progressisti tradizionali, Kennedy trascende i confini politici convenzionali. Il suo messaggio – “Dobbiamo amare i nostri figli più di quanto ci odiamo a vicenda” – viene accettato proprio perché chiunque liquida questa crociata per ripristinare la vitalità americana come mero teatrino politico è cieco di fronte all'ondata di persone stanche di vedere le proprie comunità sgretolarsi sotto il peso di un declino artificiale.

Non si tratta solo di Kennedy, ma dell'incapacità dei media di affrontare le legittime preoccupazioni di un pubblico disilluso. Quando le istituzioni si rifiutano di confrontarsi con le voci dissenzienti, accrescono la sfiducia e incrinano il fondamento condiviso necessario per un dibattito democratico. Mentre il messaggio di RFK Jr. ha risuonato oltre i confini politici, l'incapacità dei media di affrontare questioni fondamentali, come le carenze normative, rivela quanto siano ormai fuori dal mondo.


L'arte di mancare il punto

Prendete in considerazione questa verifica dei fatti tratta dal sopraccitato articolo. Il Times tenta di screditare l'esempio di Kennedy sui Fruit Loops, ma inavvertitamente conferma il suo punto: ingredienti vietati nei mercati europei sono in effetti consentiti nei prodotti americani. Concentrandosi sulla precisione semantica invece che sulla questione più ampia – perché le autorità di regolamentazione statunitensi consentano ingredienti non sicuri – i media distolgono l'attenzione dai dibattiti sostanziali.

La senatrice Elizabeth Warren ha dichiarato questa settimana: “RFK Jr. rappresenta un pericolo per la salute pubblica, la ricerca scientifica, la medicina e la copertura sanitaria per milioni di persone. Vuole impedire ai genitori di proteggere i propri figli dal morbillo e le sue idee accoglierebbero con favore il ritorno della poliomielite”. Eppure questa inquadratura allarmistica elude la semplice domanda che Kennedy in realtà solleva: perché non dovremmo volere test di sicurezza adeguati per le sostanze chimiche che dovremmo iniettare nelle vene dei nostri figli? Il silenzio in risposta a questa domanda la dice lunga sulle priorità istituzionali e sulla loro paura di qualcuno con il potere di esigere risposte.

RFK Jr. poses a danger to public health, scientific research, medicine, and health care coverage for millions.

He wants to stop parents from protecting their babies from measles and his ideas would welcome the return of polio.

I have a lot of questions for his Senate hearing. https://t.co/YlpqO4dBdO

— Elizabeth Warren (@SenWarren) November 14, 2024


Un referendum sull'ingegnerizzazione del consenso

Dite quello che volete di Trump, ma le sue dichiarazioni sulle “fake news” hanno toccato un nervo scoperto che emana sempre più dolore ogni giorno che passa. Chi un tempo derideva queste affermazioni ora osserva con gli occhi spalancati le narrazioni coordinate che si diffondono sulle piattaforme mediatiche. Il gaslighting è diventato troppo evidente per essere ignorato. Questo risveglio trascende i tradizionali confini politici, gli americani di ogni estrazione sociale sono stanchi di sentirsi dire di non credere ai propri occhi, che si tratti di linee di politica pandemiche, realtà economiche o soppressione delle voci dissidenti.

«Il partito vi ha detto di rifiutare l'evidenza dei vostri occhi e delle vostre orecchie.

Fu il suo ultimo, e più essenziale, comando.»

~ George Orwell, 1984


Il momento della verità

Con Kennedy a capo dell'infrastruttura sanitaria americana, le istituzioni mediatiche si trovano di fronte a un punto di svolta cruciale. Campagne di paura e attacchi ad hominem non saranno sufficienti quando le sue posizioni politiche richiederanno un esame approfondito. Il meccanismo del licenziamento coordinato – visibile in identici punti di discussione su tutte le reti – rivela più sulla fedeltà istituzionale che sull'integrità giornalistica.

Questo momento richiede qualcosa di diverso. Quando Kennedy solleva questioni sui test di sicurezza farmaceutica o sulle tossine ambientali – questioni che coinvolgono famiglie di ogni orientamento politico – un dibattito critico deve sostituire la ridicolizzazione delle posizioni altrui. Le sue posizioni reali, ascoltate direttamente piuttosto che attraverso i filtri dei media, spesso si allineano con le preoccupazioni di buon senso sull'influenza delle aziende farmaceutiche riguardo la salute pubblica.

Questo modello istituzionale di autorità artificiale si collega direttamente ai temi che ho esplorato in un altro articolo intitolato Tutto svuotato: sistemi basati su decreti piuttosto che su un valore dimostrato. Non vendono armi, vendono paura. Le stesse forze che controllano la politica monetaria ora cercano di dettare il dibattito sulla salute pubblica.


Rompere la macchina del consenso

La soluzione non verrà dai guardiani istituzionali (sono loro che ci hanno portati fin qui), ma da un esame diretto. Dobbiamo tutti:

• Ascoltare i discorsi completi di Kennedy piuttosto che frammenti audio editati;

• Leggere le sue posizioni politiche piuttosto che le caratterizzazioni dei media;

• Esaminare le prove che cita piuttosto che i riassunti dei fact-checker;

• Capire perché alcune questioni relative alla sanità pubblica siano considerate off-limits.

Non sto suggerendo di accettare ogni posizione contraria, ma piuttosto che la fiducia e l'autorevolezza debbano essere guadagnate attraverso un'analisi rigorosa piuttosto che essere presunte tramite l'autorità. Fino ad allora, articoli come quelli segnalati qui continueranno a esemplificare gli stessi fallimenti istituzionali che alimentano i movimenti che cercano di screditare. Con l'avvicinarsi del vero potere istituzionale di Kennedy, aspettatevi che questi attacchi si intensifichino: un chiaro segnale di quanto i guardiani del nostro consenso artificiale e ingegnerizzato abbiano da perdere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Perché l'America non ha bisogno di “alleati”

Mar, 27/05/2025 - 10:01

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-lamerica-non-ha-bisogno-di)

D'accordo, il titolo è un po' forte e ha un tono volutamente beffardo, ma deve esserlo perché nel catechismo della politica estera nazionale è radicata una presunzione, quasi sacra, secondo cui “alleati”, “alleanze” e “coalizioni dei volenterosi” sono il fondamento di una politica estera illuminata, necessaria ed efficace.

I politici e i diplomatici americani non dovrebbero quindi mai lasciare queste coste al resto del mondo. Questo dogma ha raggiunto la sua massima espressione nella “coalizione dei volenterosi” del Segretario di Stato, James Baker, durante la prima, assolutamente inutile, Guerra del Golfo nel 1991 e da allora ci tormenta... purtroppo.

In realtà, la verità è più o meno l'opposto, quindi va espressa in modo crudo, quasi provocatorio. In altre parole, gli alleati nel mondo di oggi sono per lo più un peso, del tutto irrilevanti per la sicurezza militare della patria americana e una fonte importante di inutili attriti e persino di veri e propri conflitti tra le nazioni.

In parole povere, l'America è stata resa un egemone economico e militare da tutte le piccole e medie nazioni che ha schierato in alleanze formali e di fatto, dato che sono incentivate a perseguire politiche che minimizzano i propri investimenti nella difesa e incoraggiate a gettare al vento la cautela diplomatica. In altre parole, le “alleanze” di Washington consentono ai politici interni o ai governi eletti di questi piccoli alleati di essere più aggressivi o conflittuali nei confronti dei “cattivi” designati da Washington di quanto non sarebbero sicuramente se operassero solo con le proprie forze.

Ad esempio, l'ex-primo ministro estone tra il 2021 e il 2024, Kaja Kallas, e ora Capo degli affari esteri dell'UE, è stata una critica sguaiata e al vetriolo della Russia e una sostenitrice intransigente dell'invio di denaro altrui [cioè il vostro] a sostegno dell'altrettanto inutile guerra per procura contro la Russia nelle steppe ucraine.

Con una popolazione di appena 1,3 milioni di abitanti, un PIL di appena $40 miliardi e una forza armata di 8.000 unità, l'Estonia rappresenta un alleato insignificante nello schema generale delle cose. Quindi non contribuisce in alcun modo alla sicurezza nazionale americana.

D'altronde, se non esistessero la NATO e lo scudo militare degli Stati Uniti previsto dall'Articolo 5, pensate che la Kallas esulterebbe a gran voce per Zelensky? Il suo popolo avrebbe tollerato il suo atteggiamento da piccolo Davide che brandisce una fionda contro il Golia della porta accanto?

Osiamo dire che sarebbe prevalso l'esatto opposto. L'Estonia e il suo leader si sarebbero preoccupati di comportarsi bene con il loro vicino di dimensioni extra large, come hanno sempre fatto i piccoli Paesi da tempo immemore.

E se per qualche motivo la buona diplomazia e la conduzione di un commercio economico reciprocamente vantaggioso non avessero funzionato, cosa che accade quasi sempre, sarebbero stati obbligati ad armarsi fino al collo. Ovvero, mobilitare il 10-25% del PIL per la difesa, se necessario, anziché il misero 2,9% del PIL che l'Estonia effettivamente spende. A sua volta ciò avrebbe creato un deterrente: la resistenza a un potenziale aggressore, l'alto costo in sangue e denaro che sarebbe stato costretto ad affrontare violando i confini e la sovranità di un vicino più piccolo.

E, per l'amor del cielo, il mondo del XXI secolo non è certo un caso isolato per quanto riguarda le relazioni tra nazioni grandi, piccole e medie. “Fare pace” in diplomazia ed economia e rendere chiara la deterrenza è in realtà il modo in cui il mondo delle nazioni dovrebbe funzionare e, prima dell'ascesa dell'Egemone sulle rive del Potomac, di solito funzionava.

Di certo gli dei della storia non hanno conferito ai politici e ai burocrati di Washington il mandato di farsi amici e di salvaguardare, da un capo all'altro del pianeta, ogni piccolo uomo dal respiro affannoso dei grandi uomini nelle vicinanze.

Infatti in un mondo senza l'Egemone sulle rive del Potomac, nessuno avrebbe pensato di definire “ispirazione” la sconsiderata follia di Kiev nell'attaccare militarmente e brutalizzare le popolazioni russofone del Donbass dopo il colpo di stato di Piazza Maidan nel febbraio 2014. Si è trattato di una stupidaggine incredibile – qualcosa che i vicini non storditi dallo scudo militare dell'Egemone o istigati da CIA, NED, USAID, Dipartimento di Stato e Pentagono non avrebbero avuto problemi a riconoscere e comprendere.

Infatti questa osservazione si applica a tutta la schiera di piccoli Paesi che sono stati ammessi nella NATO dall'inizio del secolo. Ad esempio, per quanto riguarda i cinque piccoli Paesi balcanici che non condividono nemmeno le coste del Mar Nero con la Russia, ecco la misera capacità militare e il peso della difesa (misurati in percentuale del PIL) che apportano alla sicurezza nazionale americana.

Per mettere in prospettiva questa esiguità di personale militare, prendiamo in considerazione innanzitutto, a titolo di confronto, le dimensioni delle forze di polizia nelle principali città statunitensi. Mentre questi poliziotti possono mangiare troppe ciambelle sul lavoro e quindi non superare qualsiasi test di prontezza al combattimento, quando si tratta di pura forza umana, le forze di polizia cittadine elencate qui superano la maggior parte di quelle che questi “alleati” balcanici offrono.

Dimensioni delle forze di polizia nelle principali città degli Stati Uniti:

• New York City: 36.000 unità

• Chicago: 13.100 unità

• Los Angeles: 10.000 unità

• Filadelfia: 6.500 unità

Questo per dire che tutte le città sopra menzionate hanno forze di uomini in blu più numerose rispetto alla maggior parte dei piccoli alleati della NATO raffigurati di seguito, dove mostriamo la loro forza militare attiva e la loro spesa per la difesa in percentuale del PIL.

• Croazia: 14.300 unità/1,8% del PIL

• Macedonia del Nord: 8.000 unità/1,7% del PIL

• Slovenia: 7.300 unità/1,5% del PIL

• Albania: 6.600 unità/1,7% del PIL

• Montenegro: 2.350 unità/1,6% del PIL

Chiaramente questi Paesi non tremano per niente di fronte all'orso russo. Nell'ultimo anno di guerra per procura tra NATO e Russia nelle sventurate steppe dell'Ucraina, nessuno di questi cinque si è nemmeno preoccupato di spendere il 2% del PIL per la difesa!

Infatti persino i pesci più grossi, posizionati gomito a gomito con la Russia sul Mar Nero, non hanno mostrato una paura maggiore di fronte all'orso russo. La Romania spende solo il 2,2% del PIL per la difesa e i suoi elettori volevano eleggere un presidente che voleva stringere amicizia con Putin – un leader eletto democraticamente, ovviamente, odiato dagli “alleati” della Romania a Bruxelles e Washington.

Allo stesso modo, la Bulgaria spende solo il 2,2% per la difesa e la Serbia non ha nemmeno ritenuto opportuno aderire alla NATO. Beh, non da quando la sua capitale è stata bombardata in mille pezzi nel 1999 dagli aerei da guerra della NATO, a causa della sua insistenza sul fatto che il Kosovo non fosse separato dal suo territorio sovrano in base al mandato di Bill e Hillary Clinton.

Anche in quanto alleato fermo della Russia nella regione, la Serbia spende circa il 2,3% del PIL per la difesa e ha circa 28.000 uomini attivi in ​​uniforme nelle sue forze armate. Vale a dire, le forze neutrali serbe ammontano a circa la stessa potenza militare combinata dei cinque piccoli Paesi della sponda adriatica dei Balcani.

Inoltre risulta anche che questi cinque piccoli membri della NATO spendono in realtà circa la stessa miseria per le capacità militari di Ungheria e Slovacchia, confinanti con l'Ucraina. La prima spende circa il 2,0% del PIL per la difesa, mentre la spesa militare della seconda è del 2,1% del PIL. Eppure entrambi i governi, vicini all'orso russo, si oppongono con fermezza alla guerra per procura della NATO in Ucraina e vanno piuttosto d'accordo con Mosca!

In breve, nessuno di questi Paesi sembra davvero temere l'orso russo, altrimenti spenderebbero percentuali a due cifre del loro PIL per armarsi così bene da offrire un pasto poco invitante al presunto aggressore russo. Al contrario, o hanno aderito alla NATO per entrare nel Club Atlantico, o hanno semplicemente rifiutato l'opportunità (Serbia) o si sono lasciati trasportare (Ungheria e Slovacchia).

Il punto è che estendere la NATO ai Balcani è stata una stupidaggine perpetrata dai burocrati dello Stato militare a Washington e Bruxelles. Non contribuisce assolutamente alla difesa nazionale americana dal punto di vista militare, mentre consente ai piccoli vicini di casa della Russia di spendere una miseria per la difesa e di tanto in tanto provocare l'orso russo, cosa che non si sognerebbero mai di fare con i loro 8.000 soldati armati alla leggera.

Naturalmente lo stesso discorso vale a nord, sul Baltico. Le tre repubbliche baltiche hanno entrambe vissuto e ricordano i decenni di occupazione sovietica, eppure i loro attuali bilanci pubblici dimostrano ampiamente che non percepiscono affatto la Russia postcomunista come una minaccia esistenziale. Ecco perché spendono soldi in eserciti fittizi, mentre i loro politici, come la Kallas, fanno demagogia su Putin per aizzare gli elettori e ottenere il favore dei burocrati neocon guerrafondai che dominano la NATO e l'UE.

Tuttavia nessun Paese con le scarse capacità militari illustrate nei numeri qui sotto teme davvero il vicino russo. Se lo facesse, con o senza la NATO, investirebbe i propri fondi di bilancio laddove si cela la deplorevole retorica di alcuni politici dalla lingua lunga.

Dimensioni delle forze armate e di difesa in % del PIL:

• Lituania: 14.100 unità/2,8% del PIL

• Estonia: 7.700 unità/2,9% del PIL

• Lettonia: 6.750 unità/2,4% del PIL

In breve, le osservazioni di Trump hanno colto nel segno nel caso di tutti questi insignificanti alleati della NATO.

In altre parole, tutti questi alleati sono molto più problematici di quanto valgano. La sicurezza militare del territorio americano può essere garantita da un'invincibile triade nucleare strategica basata su bombardieri, missili balistici intercontinentali terrestri e sottomarini nucleari – nessuno dei quali richiede basi o “alleati” stranieri. Questo, unito a una potente difesa convenzionale delle sue coste e del suo spazio aereo, sarebbe più che sufficiente a garantire la sicurezza militare del territorio americano nel mondo odierno.

Nessuna di queste capacità militari è minimamente rafforzata dagli alleati insignificanti che sono stati arruolati nella NATO sin dal 1999. Né nel mondo odierno vi è alcun rischio che una potenza come la Russia, o la Cina, possa attaccare, conquistare e accumulare decine di migliaia di miliardi di PIL, manodopera in età militare e capacità di produzione militare.

Infatti sia la Russia che la Cina sanno bene che il costo dell'invasione, della conquista e della pacificazione nel mondo odierno non varrebbero minimamente la candela. Ecco perché la risposta alla domanda su quanti Paesi la Cina comunista abbia conquistato negli ultimi quattro decenni è zero!

Al contrario, le 750 basi americane e i 160.000 militari dislocati all'estero, dal Giappone alla Germania, dall'Italia al Regno Unito, rappresentano in realtà dei pericolosi “cavi di inciampo” progettati per:

• Fornire una scusa alle aziende della difesa statunitense per vendere armi alle nazioni alleate in cui hanno sede le forze armate statunitensi.

• Creare una scusa per intromettersi nei conflitti stranieri basandosi sul fatto che i militari americani sono in pericolo.

Durante il periodo di massimo sviluppo dell'America come la più grande nazione sulla Terra (dalla cancellazione del trattato con la Francia nel 1797 alla ratifica del trattato NATO nel 1949), l'America non aveva alleanze, trattati militari o alleati autorizzati a provocare conflitti con i propri vicini, con l'intesa che lo Zio Sam avesse coperto loro le spalle.

Durante quei 152 anni tutto andò per il meglio per l'America, così come per qualsiasi altra nazione nella storia, prima e dopo di essa. E assolutamente nulla è cambiato affinché la saggezza di Washington e Jefferson venissero alterate riguardo l'evitare alleanze all'estero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il ruolo della Cina nella crisi fentanyl negli Stati Uniti

Lun, 26/05/2025 - 10:15

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da The Epoch Times

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-ruolo-della-cina-nella-crisi-fentanyl)

Le tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina sono aumentate, con i due Paesi che hanno aumentato i dazi sulle rispettive importazioni. Nel frattempo la retorica di Pechino è diventata sempre più conflittuale.

All'inizio di marzo l'ambasciata cinese a Washington ha condiviso sui social media un post del suo Ministero degli esteri, in cui ribadiva: “Se gli Stati Uniti vogliono la guerra, che sia una guerra tariffaria, commerciale o di qualsiasi altro tipo, siamo pronti a combattere fino alla fine”.

Il presidente Donald Trump ha avvertito che, sebbene gli Stati Uniti non vogliano dichiarare guerra alla Cina, sono “ben equipaggiati per gestirla”.

Trump ha imposto un ulteriore dazio del 20% su tutti i beni fabbricati in Cina, citando l'emergenza nazionale sul continuo traffico di fentanyl negli Stati Uniti, un oppioide mortale da 50 a 100 volte più potente della morfina.

Ancora oggi la Cina rimane la principale fonte di precursori del fentanyl, i quali vengono spediti in Messico, dove vengono trasformati in questa droga. Poi viene introdotta illegalmente negli Stati Uniti, principalmente attraverso il confine meridionale.

In risposta all'ulteriore dazio di Trump, Pechino ha imposto un dazio aggiuntivo del 15% sul carbone e sul gas naturale degli Stati Uniti e un ulteriore 10% sulle attrezzature agricole e sui pick-up.

Il regime comunista ha anche definito l'epidemia di fentanyl un “problema interno” degli Stati Uniti e ha bollato i dazi statunitensi come un “ricatto”.

Yuan Hongbing, ex-professore di legge all'Università di Pechino in Cina, ora residente in Australia, ha affermato che l'epidemia di oppioidi negli Stati Uniti è ben lungi dall'essere la ferita autoinflitta che il PCC ha lasciato intendere.

Il regime cinese ha avuto un ruolo significativo nella crisi del fentanyl in America e incolpare gli Stati Uniti per questo è da tempo la strategia del leader del Partito Comunista Cinese (PCC), Xi Jinping, ha detto lo stesso Yuan a NTD, organo di stampa gemello di Epoch Times, in una recente puntata del programma in lingua cinese “Pinnacle View”.

Yuan, che ha accesso privilegiato ai vertici del PCC, ha affermato che Xi ha costantemente impartito direttive interne durante il primo e il secondo mandato di Trump, secondo cui Pechino deve continuare a sostenere che la crisi della droga in Europa e negli Stati Uniti non è collegata alla Cina.

Yuan ha affermato che il regime ha anche ricevuto da Xi l'ordine di affermare che la Cina produce legalmente i precursori chimici e che se questi vengono trasformati in farmaci mortali e introdotti di contrabbando negli Stati Uniti o in Europa, la responsabilità non ricade sulla Cina.

L'esperto cinese ha inoltre affermato che il fentanyl è al centro del tentativo di Xi di “vendicarsi” dell'Occidente. Ha detto che Xi incolpa quest'ultimo di aver sottoposto la Cina a un secolo di umiliazioni a seguito delle Guerre dell'oppio a metà del XIX secolo. Durante quel periodo la Cina doveva firmare una serie di trattati ingiusti che prevedevano la cessione dei territori cinesi e apriva i porti cinesi al controllo straniero.

“È proprio grazie alle direttive di Xi che stiamo assistendo a un aumento sia della produzione di precursori del fentanyl in Cina sia alla loro esportazione, alimentando l'attuale crisi negli Stati Uniti”, ha affermato Yuan.

I decessi per overdose da fentanyl sono diventati una crisi nazionale, con oltre 200 vittime americane al giorno, secondo la Drug Enforcement Administration. Solo nel 2023 circa 75.000 americani sono morti per overdose da fentanyl, un aumento impressionante di 23 volte rispetto a 10 anni fa.

Oggi le overdose accidentali da farmaci sono la principale causa di morte tra gli americani di età compresa tra i 18 e i 45 anni. Un dato più positivo è che il numero di decessi per overdose correlati agli oppioidi è diminuito di oltre il 20% nel 2024, secondo i Centers for Disease Control and Prevention.

La crisi fentanyl è diventata una delle principali preoccupazioni degli elettori americani ed è diventata una delle forze trainanti delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, ha affermato l'esperto cinese Alexander Liao.

Quest'ultimo ha affermato che le relazioni tra Pechino e Washington sono cambiate radicalmente. Durante l'amministrazione Biden i due Paesi hanno attraversato una “glaciazione” diplomatica, durante la quale le comunicazioni tra alti funzionari si sono bloccate per circa 10 mesi nel 2022 e nel 2023. Tuttavia Liao ritiene che il confronto abbia ora raggiunto un nuovo livello.

“Che si tratti di commercio o di altri aspetti, gli Stati Uniti e la Cina si sono rivoltati l'uno contro l'altro”, ha detto Liao a Epoch Times.

“Poco rumore ma fatti feroci” è il modo in cui definisce la situazione attuale tra Pechino e Washington, in contrasto con le “grandi discussioni e pochi fatti” in corso tra Stati Uniti ed Europa.

“La politica funziona diversamente tra nemici e amici”, ha aggiunto.


Gli Stati Uniti sono il nemico perfetto per il regime cinese

Nell'ultimo decennio la Cina ha fatto registrare una crescita economica significativa. Secondo i dati della Banca Mondiale, il suo PIL nominale è ora superiore a tre quarti di quello degli Stati Uniti. In termini di potere d'acquisto, l'economia cinese ha superato quella degli Stati Uniti nel 2016.

Qualche anno prima Xi aveva scalato i ranghi del PCC e nel 2013 ne aveva assunto la leadership.

Secondo Yuan, la natura comunista di Xi lo ha spinto a sfruttare immediatamente la forza economica della Cina per istituire un programma di politica estera, la Belt and Road Initiative, finalizzato a espandere il totalitarismo comunista in tutto il mondo.

Con il pretesto dello sviluppo infrastrutturale, la piattaforma geopolitica da $1.000 miliardi si appropria delle risorse naturali di altri Paesi, tra cui minerali essenziali per la produzione di chip per computer, ed espande l'uso dei loro porti per i propri scopi civili e militari.

Lo slogan politico distintivo di Xi è “realizzare il grande ringiovanimento della nazione cinese”.

La sua spinta verso il dominio cinese inizia con il declino del Paese 200 anni fa. Secondo il PCC, l'Occidente è responsabile della trasformazione della Cina da un vincitore a un perdente nel mondo. Il sistema educativo e la propaganda del regime comunista enfatizzano spesso le Guerre dell'oppio come l'inizio del “Secolo dell'umiliazione”.

Xi ha affermato che la riconquista di Hong Kong e Macao, rispettivamente dal Regno Unito e dal Portogallo, ha “cancellato l'umiliazione di un secolo” e che il passo successivo è l'unificazione di Taiwan con la Cina continentale.

Nonostante l'apparente promozione del nazionalismo, ha affermato Liao, la logica di Xi rimane radicata nella dottrina comunista nel perseguire la diffusione globale del comunismo – o, nel gergo del Partito, “alzare la bandiera rossa in tutto il mondo”.

Questo rende gli Stati Uniti il ​​nemico numero uno del PCC, ha aggiunto Liao. In qualità di protettori di Taiwan e leader dell'attuale ordine mondiale, gli Stati Uniti rappresentano il principale ostacolo ai piani di Xi.

Il PCC ha sfruttato decenni di rapida crescita economica della Cina per giustificare il proprio dominio. Tuttavia le draconiane misure di lockdown imposte da Xi per il COVID-19 hanno esacerbato i problemi di lunga data della sua economia alimentata dal debito e guidata dall'offerta. Dopo la revoca dei lockdown, il crollo del mercato immobiliare e la carenza di liquidità delle amministrazioni locali hanno lasciato l'economia in stagnazione.

Istigare il risentimento contro un nemico esterno è un'altra tattica utilizzata dal PCC per rafforzare il proprio potere. Gli Stati Uniti diventano quindi il bersaglio perfetto e il Partito può propagandare i propri sforzi per contrastarlo.


L'obiettivo finale di Xi

L'obiettivo finale di Xi, ha affermato Yuan, è “sostituire gli Stati Uniti nel ruolo di garante dell'ordine mondiale”. Yuan ha aggiunto che lui e Xi erano soliti bere insieme quando quest'ultimo era ancora una figura di potere a livello provinciale. Un anno dopo l'insediamento di Xi in Cina, il bilancio delle vittime per overdose di fentanyl negli Stati Uniti è aumentato vertiginosamente. Nel 2017 i decessi annuali hanno raggiunto quota 28.000; nel 2023 il numero è balzato a 75.000.

Nel 2017, quando Pechino sapeva che la Cina aveva superato gli Stati Uniti in termini di PIL misurato in termini di potere d'acquisto, Xi e i suoi seguaci credevano che il “problema americano” sarebbe stato risolto entro un decennio – con la sostituzione degli Stati Uniti da parte della Cina come superpotenza mondiale.

Liao ha affermato che le sue fonti interne a Pechino gli hanno riferito di un clima di ottimismo crescente all'interno del PCC, il quale ha portato a un atteggiamento sprezzante nei confronti degli Stati Uniti tra i leader del partito.

“In quel clima, i sostenitori della linea dura all'interno del PCC si sono sostanzialmente immessi su un percorso irreversibile di scontro con gli Stati Uniti”, ha affermato Liao.

Il fallimento degli Stati Uniti nel contenere l'epidemia di droga ha anche rafforzato l'orgoglio e la fiducia di Xi, ha affermato Yuan, aggiungendo che Xi vede la crisi fentanyl negli Stati Uniti come la prova che “l'Oriente sta crescendo, l'Occidente sta declinando”.

Secondo le fonti di Liao, durante la prima visita di stato di Trump in Cina nel novembre 2017, un alto funzionario del PCC disse a Trump: “Deve solo fornirci materie prime e un mercato di consumo per la nostra produzione”.

Una fonte interna a Pechino ha riferito a Liao che quell'incontro spinse Trump ad applicare dazi sulla Cina non appena tornato a Washington. La fonte ha affermato che l'arroganza e il tono condiscendente del funzionario cinese avevano messo Trump profondamente a disagio, in quanto la dipendenza degli Stati Uniti dalla produzione manifatturiera cinese stava sfuggendo di mano.

Epoch Times ha contattato la Casa Bianca per un commento.

Nel gennaio 2018 Trump ha iniziato a imporre dazi sulle importazioni cinesi per ridurre lo squilibrio commerciale e costringere la Cina a interrompere il furto di segreti commerciali e proprietà intellettuale statunitensi.

Due anni dopo Pechino e Washington firmarono un accordo commerciale in base al quale la Cina si impegnava ad acquistare più prodotti statunitensi.

Due mesi dopo sarebbe scoppiata la “pandemia”.

Il primo giorno del suo secondo mandato, Trump ha ordinato un'indagine sulla politica commerciale da condurre entro il 1° aprile. Lo studio individuava la Cina come bersaglio per la valutazione dell'adempimento dell'accordo commerciale e per l'esame di eventuali pratiche commerciali ingiuste o sbilanciate.

Trump ha definito il 2 aprile il “Giorno della liberazione” degli Stati Uniti, giorno in cui ha imposto dazi reciproci per livellare il campo con tutti i suoi partner commerciali. Un risultato probabile è che la Casa Bianca imporrà dazi aggiuntivi sulle importazioni cinesi.

L'economia cinese è più debole rispetto al primo mandato di Trump e dipende maggiormente dalle esportazioni.

Il senatore Steve Daines (R-Mont.), il primo politico statunitense a visitare Pechino durante il secondo mandato di Trump, ha trasmesso il messaggio del presidente agli alti dirigenti cinesi, richiedendo “azioni decisive da parte della Cina per fermare il flusso di precursori del fentanyl”. Il 23 marzo ha ribadito la richiesta degli Stati Uniti in un'intervista a Bloomberg.

“Sarà difficile discutere di dazi e barriere non tariffarie finché la questione dei precursori del fentanyl non sarà risolta”, ha affermato.

Indipendentemente dalle concessioni che Pechino proporrà a Trump in un possibile vertice Trump-Xi a giugno, i due Paesi sono su una rotta di collisione “inevitabile”, ha affermato Yuan.

“Non si tratta di un conflitto temporaneo innescato da un singolo evento, che si tratti di dazi o di altre questioni specifiche”, ha aggiunto, “il confronto è critico e inevitabile, guidato da forze più ampie e di lungo periodo”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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