Incendi e la bufala del pianeta in fiamme
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/incendi-e-la-bufala-del-pianeta-in)
Ecco che ci risiamo: dare la colpa degli incendi di Los Angeles al cambiamento climatico, quando i veri colpevoli sono proprio i politici che non smettono mai di ululare per quella che è una bufala monumentale.
In primo luogo, gli attuali incendi in California, come quelli che si sono verificati periodicamente in passato, sono in gran parte una conseguenza di linee di politica sbagliate. I funzionari governativi hanno sostanzialmente ridotto la fornitura di acqua disponibile per i vigili del fuoco di Los Angeles e aumentato drasticamente la fornitura di legna da ardere e vegetazione combustibili che alimentano questi incendi. Questi ultimi, a loro volta, vengono amplificati dai venti stagionali di Santa Ana, che da sempre soffiano sulla costa della California.
La legna da ardere in questione deriva da una gestione forestale che impedisce la rimozione del combustibile in eccesso tramite incendi controllati, ovvero incendi appiccati intenzionalmente dai gestori forestali per ridurre l'accumulo di combustibili pericolosi. Come approfondiamo di seguito, la burocrazia e gli ostacoli burocratici hanno spesso ritardato o impedito questi incendi controllati, consentendo di accumularsi a sterpaglie, alberi morti e altri materiali infiammabili.
In questo caso i politici hanno anche ridotto la fornitura di acqua disponibile per i vigili del fuoco di Los Angeles al fine di proteggere le cosiddette specie in via di estinzione. In particolare, la California meridionale è tenuta in ostaggio da una forte riduzione della portata di pompaggio dell'acqua dal delta del fiume Sacramento-San Joaquin al fine di proteggere il latterino del Delta e il salmone Chinook.
Questi ultimi sono dei piccoli bastardi luccicanti, come si vede nella prima foto qui sotto, ma a quanto pare se vengono protetti, pescati e poi fritti, diventano una specie di prelibatezza.
Inutile dire che la California ha il diritto di cuocere a fuoco lento nella follia delle sue stesse politiche, se è questo che vogliono davvero i suoi elettori. Ma la sua miseria autoimposta non dovrebbe essere un'occasione per ulteriori ululati a favore delle politiche di Washington per combattere il cambiamento climatico.
Per quanto riguarda quest'ultimo, Trump ha la testa sulle spalle e non esita a esprimere la sua opinione sulla questione, il che va a beneficio di un ribilanciamento di quella che altrimenti è stata una narrazione della crisi climatica del tutto unilaterale e totalmente fuorviante. Quest'ultima è stata promulgata e spacciata dagli statalisti perché fornisce un'altra grande, spaventosa e urgente ragione per una campagna “più stato”: maggiore spesa, prestiti, regolamentazione e riduzione dell'imprenditoria e della libertà personale.
Quindi rivediamo ancora una volta la tesi fasulla del riscaldamento globale antropogenico. E per forza deve iniziare con prove geologiche e paleontologiche che affermano in modo schiacciante che l'attuale temperatura media globale di circa 15 °C e le concentrazioni di CO₂ di 420 ppm non sono nulla di cui preoccuparsi. E anche se entro la fine del secolo dovessero rispettivamente salire a circa 17-18 °C e 500-600 ppm, principalmente a causa di un ciclo di riscaldamento naturale in atto dalla fine della Piccola era glaciale nel 1850, ciò potrebbe nel complesso migliorare la sorte dell'umanità.
Dopotutto l'esplosione della civiltà negli ultimi 10.000 anni s'è verificata uniformemente durante la parte rossa del grafico qui sotto: le civiltà fluviali, l'era minoica, l'era greco-romana, la prosperità medievale e le rivoluzioni industriali/tecnologiche dell'era attuale. Allo stesso tempo, quando il clima diventava più freddo (zona azzurra), si sono verificati i vari salti nei secoli bui.
Ed è solo una questione di logica: quando è più caldo e umido, le stagioni di crescita sono più lunghe e i raccolti sono migliori, indipendentemente dalla tecnologia e dalle pratiche agricole del momento. Ed è anche meglio per la salute umana e della società: la maggior parte delle piaghe mortali della storia si sono verificate in climi più freddi, come la peste nera del 1344-1350.
Eppure la narrativa sulla crisi climatica stronca queste prove “scientifiche” per mezzo di due tesi ingannevoli e senza di esse l'intera storia del riscaldamento globale antropogenico non starebbe in piedi.
In primo luogo, viene ignorata l'intera storia del pianeta nel periodo pre-Olocene (ultimi 10.000 anni), nonostante la scienza dimostri che per oltre il 90% degli ultimi 600 milioni di anni le temperature globali (linea blu) e i livelli di CO₂ (linea nera) sono stati più alti di quelli attuali; viene ignorato anche che entrambi suddetti elementi sono stati molto più alti per il 50% del tempo, con temperature nell'intervallo dei 22 °C o il 50% più alte dei livelli attuali.
Ciò va ben oltre qualsiasi cosa prevista dai più squilibrati modelli climatici odierni. Ma, cosa fondamentale, i sistemi climatici planetari non sono entrati in un ciclo apocalittico di temperature in continuo aumento che si sono concluse con un crollo rovente. Al contrario, le epoche di riscaldamento sono sempre state controllate e invertite da potenti forze di contrasto.
Anche la storia che gli allarmisti corroborano è stata grottescamente falsificata. Come abbiamo dimostrato altrove, gli ultimi 1.000 anni in cui le temperature sono state presumibilmente piatte fino al 1850 e ora stanno salendo a livelli presumibilmente pericolosi è una bufala. È stata fabbricata dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per “cancellare” il fatto che le temperature nel mondo pre-industriale del periodo caldo medievale (1000-1200 d.C.) erano in realtà significativamente più alte di quelle attuali.
In secondo luogo, viene erroneamente affermato che il riscaldamento globale è una strada a senso unico in cui l'aumento delle concentrazioni di gas serra, e in particolare di CO₂, sta causando un continuo aumento del bilancio termico terrestre. La verità, tuttavia, è che concentrazioni di CO₂ più elevate sono una conseguenza e un sottoprodotto, non un elemento motore e una causa, dell'attuale aumento naturale delle temperature.
Durante il periodo Cretaceo, tra 145 e 66 milioni di anni fa, un esperimento naturale ha fornito la completa assoluzione alla molecola di CO₂ così tanto diffamata oggi. Durante quel periodo, le temperature globali salirono da 17 °C a 25 °C, un livello molto al di sopra di qualsiasi cosa i Fanatici del Clima di oggi abbiano mai previsto.
Purtroppo la CO₂ non era il colpevole. Secondo la scienza, le concentrazioni di CO₂ nell'ambiente erano crollate durante quell'arco di 80 milioni di anni, scendendo da 2.000 ppm a 900 ppm alla vigilia dell'estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa.
Potreste pensare che questi fatti possano arginare i cacciatori di streghe della CO₂, ma ciò significherebbe ignorare la base su cui poggia tutta la storiella del cambiamento climatico. Cioè, non si tratta di scienza, salute e benessere umani o sopravvivenza del pianeta Terra; è una mera questione di politica e della ricerca incessante della classe politica e dei burocrati dell'ennesima scusa per esaltare il potere statale. Il conseguente ingrandimento del potere statale, a sua volta, è ampiamente supportato dalla classe politica di Washington, dai burocrati e dai criminali che ottengono potere e denaro dalla campagna contro i combustibili fossili.
Infatti la narrativa sui cambiamenti climatici è il tipo di mantra politico ritualizzato che viene invocato più e più volte dalla classe politica e dalla nomenklatura dello stato moderno – professori universitari, think tank, lobbisti, burocrati – al fine di raccogliere ed esercitare potere statale.
Per parafrasare il grande Randolph Bourne, inventare presunti fallimenti del capitalismo, come la propensione a bruciare troppi idrocarburi, è la salute dello stato. Infatti la fabbricazione di falsi problemi e minacce che presumibilmente possono essere risolti solo con un intervento dello stato è diventato il modus operandi di una classe politica che ha usurpato il controllo alla democrazia moderna.
Così facendo la classe dirigente è diventata sciatta, superficiale, negligente e, soprattutto, disonesta. Ad esempio, nel momento in cui sperimentiamo una normale ondata di caldo estivo del tipo che ha invaso Los Angeles, questi eventi meteorologici naturali vengono sequestrati nella narrativa del riscaldamento globale senza pensarci due volte e ripetuti a pappagallo dai giornalisti.
Eppure non c'è assolutamente alcuna base scientifica per tutto questo tam tam mediatico. Infatti la NOAA pubblica un indice di ondate di caldo basato su picchi di temperatura estesi che durano più di 4 giorni e che dovrebbero verificarsi una volta ogni dieci anni sulla base dei dati storici.
Come è evidente dal grafico qui sotto, gli unici veri picchi di caldo che abbiamo avuto negli ultimi 125 anni sono stati durante le ondate degli anni '30. La frequenza dei picchi di mini ondate di caldo dal 1960 non è maggiore di quella del periodo 1895-1935.
Allo stesso modo, tutto ciò che serve è un buon uragano Cat 3 e presto sentirete le urla di chi grida a gran voce “riscaldamento globale antropogenico”. Naturalmente tutto questo ignora completamente i dati della NOAA riassunti in quello che è noto come indice ACE (energia ciclonica accumulata).
Questo indice è stato sviluppato per la prima volta dal famoso esperto di uragani e professore della Colorado State University, William Gray. Utilizza un calcolo dei venti massimi di un ciclone tropicale ogni sei ore e quest'ultimo viene quindi moltiplicato per sé stesso in modo da ottenere il valore dell'indice accumulato per tutte le tempeste di tutte le regioni ogni anno. Questo grafico copre gli ultimi 170 anni, dove la linea rossa è la cifra annuale e la linea blu rappresenta la media mobile a sette anni.
Il sottoscritto ha un occhio di riguardo per l'esperienza di William Gray. Ai tempi del mio private equity abbiamo investito in una società, Property-Cat, che si occupava di un'attività super pericolosa: assicurazioni contro i danni estremi causati da uragani e terremoti molto violenti. Quindi impostare correttamente i premi non era un affare da poco e quegli assicuratori dipendevano dalle analisi, dalle banche dati a lungo termine e dalle previsioni dell'anno in corso del professor Gray.
Vale a dire, centinaia di miliardi di coperture assicurative erano allora e vengono tuttora redatte con l'ACE come input cruciale. Tuttavia se si esamina la media mobile a 7 anni (linea blu) nel grafico, è evidente che l'ACE era alto o superiore negli anni '50 e '60 come lo è oggi, e che lo stesso vale per la fine degli anni '30 e il periodo 1880-1900.
La linea blu non è piatta come una tavola perché ci sono cicli naturali a breve termine che guidano le fluttuazioni mostrate nel grafico. Ma non c'è “scienza” deducibile dal grafico che supporti il presunto collegamento tra l'attuale ciclo di riscaldamento naturale e il peggioramento degli uragani.
Quanto sopra è un indice aggregato di tutte le tempeste ed è quindi una misura completa. Ma per fugare qualsiasi altro dubbio, i prossimi tre grafici esaminano i dati degli uragani a livello di conteggio delle tempeste individuali. La parte rosa delle barre rappresenta il numero di grandi tempeste Cat 3-5, mentre la parte rossa riflette il numero di tempeste Cat 1-2 e quella blu il numero di tempeste tropicali che non hanno raggiunto l'intensità Cat 1.
Le barre accumulano il numero di tempeste a intervalli di 5 anni e riflettono l'attività registrata fin dal 1851. Il motivo per cui presentiamo tre grafici, rispettivamente per i Caraibi orientali, i Caraibi occidentali e le Bahamas/Turks & Caicos, è che le tendenze in queste tre sottoregioni sono nettamente divergenti. E questa è la pistola fumante!
Se il riscaldamento globale generasse più uragani, come sostiene costantemente la narrativa mainstream, l'aumento sarebbe uniforme in tutte queste sottoregioni, ma chiaramente non lo è. Dal 2000, ad esempio:
• I Caraibi orientali hanno avuto un modesto aumento sia delle tempeste tropicali che delle Cat di grado più elevato rispetto alla maggior parte degli ultimi 170 anni;
• I Caraibi occidentali non hanno fatto registrare alcuna anomalia e sono stati ben al di sotto dei conteggi registrati durante il periodo 1880-1920;
• Sin dal 2000 la regione Bahamas/Turks & Caicos è stata in realtà molto più debole rispetto al periodo 1930-1960 e 1880-1900.
La verità è che l'attività degli uragani atlantici è generata dalle condizioni della temperatura atmosferica e oceanica nell'Atlantico orientale e nel Nord Africa. Queste forze, a loro volta, sono fortemente influenzate dalla presenza di un El Niño o La Niña nell'Oceano Pacifico. Gli eventi di El Niño aumentano il gradiente del vento sull'Atlantico, producendo un ambiente meno favorevole per la formazione di uragani e diminuendo l'attività delle tempeste tropicali nel bacino atlantico. Al contrario, La Niña provoca un aumento dell'attività degli uragani a causa della diminuzione del gradiente del vento.
Questi eventi nell'Oceano Pacifico, ovviamente, non sono mai stati correlati al basso livello dell'attuale riscaldamento globale naturale.
Il numero e la forza degli uragani atlantici possono anche subire un ciclo di 50-70 anni noto come oscillazione multidecennale atlantica. Ancora una volta, questi cicli non sono correlati alle tendenze di un riscaldamento globale sin dal 1850.
Tuttavia gli scienziati hanno ricostruito l'attività dei principali uragani dell'Atlantico all'inizio del diciottesimo secolo (≈1700) e hanno trovato cinque periodi con una media di 3-5 grandi uragani all'anno e della durata di 40-60 anni ciascuno; e altri sei periodi con una media di 1,5–2,5 grandi uragani all'anno e della durata di 10–20 anni ciascuno. Questi periodi sono associati a un'oscillazione decennale correlata all'irraggiamento solare, responsabile dell'aumento/smorzamento del numero di grandi uragani di 1–2 all'anno e chiaramente non è un prodotto del riscaldamento globale antropogenico.
Inoltre, come in tutto il resto, anche le registrazioni a lunghissimo termine dell'attività temporalesca escludono il riscaldamento globale antropogenico, perché per la maggior parte degli ultimi 3.000 anni, ad esempio, l'essere umano non può esserne stato responsabile. Secondo un proxy da un lago costiero a Cape Cod, l'attività degli uragani è aumentata in modo significativo negli ultimi 500-1.000 anni, molto prima dell'industrializzazione e della combustione di combustibili fossili, rispetto ai periodi precedenti.
In breve, non c'è motivo di credere che queste condizioni ben note e le tendenze a lungo termine siano state influenzate dal modesto aumento delle temperature medie globali dalla fine della Piccola era glaciale nel 1850.
Guarda caso, la stessa storia è vera per quanto riguarda gli incendi, la terza categoria di disastri naturali su cui si sono concentrati i Fanatici del Cilma, ma in questo caso è stata una cattiva gestione forestale, non il riscaldamento globale provocato dall'uomo, che ha trasformato gran parte della California in una discarica di legna secca.
E non credetemi sulla parola. Il seguente estratto viene da Pro Publica finanziata da George Soros, che non è esattamente un covo di complottisti di destra. Sottolinea che gli ambientalisti hanno talmente incatenato le agenzie federali e statali per quanto riguarda la gestione forestale che i piccoli “incendi controllati” di oggi non sono che una frazione infinitesimale di ciò che Madre Natura stessa realizzava prima che la mano delle autorità politiche arrivasse sulla scena:
Gli accademici ritengono che c'erano tra i 4,4 milioni e gli 11,8 milioni di acri bruciati ogni anno nella California preistorica. Tra il 1982 e il 1998 i gestori del territorio dell'agenzia della California hanno bruciato, in media, circa 30.000 acri all'anno; tra il 1999 e il 2017 quel numero è sceso a 13.000 acri all'anno. Lo stato ha approvato nuove leggi nel 2018, progettate per facilitare incendio intenzionali, ma pochi sono ottimisti che questo, da solo, porterà a cambiamenti significativi.
Ci portiamo dietro un arretrato mortale. Nel febbraio 2020 Nature Sustainability ha pubblicato questa terrificante conclusione: la California avrebbe bisogno di bruciare 20 milioni di acri – un'area delle dimensioni del Maine – per ristabilirsi in termini di incendi.
In breve, se non pulite e bruciate il legno morto, si accumula propellente naturale che poi richiede solo un fulmine, una scintilla da una linea elettrica non riparata, o la semplice negligenza umana, per scatenare un inferno di fiamme. Come ha riassunto un ambientalista con un'esperienza quarantennale nel settore: “[...] C'è solo una soluzione, quella che conosciamo ma che ancora evitiamo. Dobbiamo fare un bel falò e ridurre parte di quel carico di carburante naturale”.
L'incapacità di effettuare incendi controllati è esattamente ciò che sta dietro all'incendio di Los Angeles di oggi. Infatti un'impronta umana notevolmente più grande nelle aree arbustive soggette a incendi e nelle aree chaparral (alberi nani) lungo le coste, aumenta il rischio che i residenti possano appiccare incendi. La popolazione della California è quasi raddoppiata dal 1970 al 2020, da circa 20 milioni di persone a 39,5 milioni di persone, e quasi tutti nelle zone costiere.
In queste condizioni, i forti venti naturali della California, che si alzano periodicamente, sono i principali colpevoli che alimentano e diffondono le fiamme nelle terre arbustive. I venti di Diablo a nord e quelli di Santa Ana a sud possono raggiungere la forza di un uragano, come è stato anche il caso questa settimana. Quando il vento si sposta a ovest sulle montagne della California e scende verso la costa, si comprime, si riscalda e s'intensifica.
I venti alimentano le fiamme e trasportano braci, diffondendo rapidamente i fuochi prima che possano essere contenuti. E, per giunta, i venti di Santa Ana fungono anche da asciugacapelli di Madre Natura: mentre scendono dalle montagne verso il mare, i venti caldi seccano rapidamente e con forza la vegetazione superficiale e il legno morto, aprendo la strada alle braci che soffiano per alimentare la diffusione degli incendi lungo i pendii.
Tra le altre prove che l'industrializzazione e i combustibili fossili non sono i colpevoli c'è il fatto che i ricercatori hanno dimostrato che quando la California fu occupata dalle comunità indigene, gli incendi avrebbero bruciato circa 4,5 milioni di acri all'anno. È quasi 6 volte il periodo 2010-2019, quando gli incendi hanno bruciato una media di soli 775.000 acri all'anno in California.
Al di là dello scontro indesiderato di tutte queste forze naturali del clima con le politiche governative scellerate sull'ambiente, c'è in realtà una pistola ancora più fumante, per così dire.
I Fanatici del Clima non hanno ancora abbracciato l'assurdità che le temperature presumibilmente in aumento del pianeta abbiano preso di mira specificamente la California per punirla. Tuttavia, quando esaminiamo i dati da inizio anno fino ad agosto riguardo gli incendi, scopriamo che a differenza della California e dell'Oregon, gli Stati Uniti nel loro insieme stanno ora vivendo gli anni di incendio più deboli sin dal 2010.
Proprio così. Al 24 agosto di ogni anno, la proporzione decennale media degli incendi era di 5,114 milioni di acri negli Stati Uniti, ma nel 2020 era inferiore del 28% a 3,714 milioni di acri.
Dati nazionali sugli incendi dall'inizio di ogni annoInfatti ciò che mostra la tabella qui sopra è che su base nazionale non c'è stato alcun peggioramento durante l'ultimo decennio, solo enormi oscillazioni di anno in anno alimentate non da qualche grande vettore di calore planetario ma dal cambiamento delle condizioni meteorologiche ed ecologiche locali.
Non si può semplicemente passare da 2,7 milioni di acri bruciati nel 2010 a 7,2 milioni di acri bruciati nel 2012 e poi tornare a 3,9 milioni di acri bruciati nel 2019 e 3,7 milioni di acri nel 2020 e sostenere, insieme ai Fanatici del Clima, che il pianeta è arrabbiato.
Al contrario, l'unica vera tendenza evidente è che su base decennale negli ultimi tempi la superficie media degli incendi in California è aumentata lentamente, a causa del triste fallimento sopra descritto delle politiche governative di gestione forestale.
Ma anche la tendenza media della superficie incendiata in lieve aumento sin dal 1950 è un errore di arrotondamento rispetto alle medie annuali della preistoria: quasi 6 volte maggiori rispetto al decennio più recente.
Inoltre la tendenza in lieve aumento sin dal 1950, come mostrato di seguito, non deve essere confusa con l'affermazione fasulla dei Fanatici del Clima secondo cui gli incendi della California “sono diventati più apocalittici ogni anno”, come riportato dal New York Times.
Infatti significa mettere a confronto gli incendi sopra la media del 2020 con il 2019, anno che ha visto una quantità insolitamente piccola di superficie bruciata: appena 280.000 acri rispetto ai 1,3 milioni e 1,6 milioni nel 2017 e nel 2018, rispettivamente, e 775.000 in media nell'ultimo decennio.
Né questa mancanza di correlazione con il riscaldamento globale è solo un fenomeno della California e degli Stati Uniti. Come mostrato nel grafico qui sotto, l'entità globale della siccità, misurata da cinque livelli di gravità di cui il marrone è il più estremo, non ha mostrato alcuna tendenza al peggioramento negli ultimi 40 anni.
Questo ci porta al cuore del problema. Non c'è alcuna crisi climatica, ma la bufala del riscaldamento globale ha contaminato così tanto la narrativa mainstream e l'apparato politico a Washington, e nelle capitali di tutto il mondo, che la società contemporanea si sta preparando a commettere un seppuku economico... beh, finché non è arrivato Trump giurando di cacciare l'America dal campo di gioco di questa assurdità green.
In contraddizione con la tesi fasulla secondo cui l'aumento dell'uso dei combustibili fossili dopo il 1850 ha causato lo scollamento del sistema climatico planetario, c'è stata invece una massiccia accelerazione della crescita economica globale e del benessere umano. E un elemento essenziale dietro questo salutare sviluppo è stato il massiccio aumento dell'uso dei combustibili fossili a basso costo per alimentare la vita economica.
Il grafico qui sotto non potrebbe essere più chiarificatore. Durante l'era preindustriale tra il 1500 e il 1870, il PIL reale mondiale aumentava ad appena lo 0,41% annuo. Al contrario, negli ultimi 150 anni dell'era dei combustibili fossili la crescita del PIL globale è accelerata al 2,82% annuo, o quasi 7 volte più velocemente.
Questa maggiore crescita, ovviamente, è in parte il risultato di una popolazione mondiale più grande e molto più sana resa possibile dall'aumento del tenore di vita. Non sono stati solo i muscoli umani a far diventare parabolico il livello del PIL, ma soprattutto la fantastica mobilitazione del capitale intellettuale e della tecnologia.
E uno dei vettori più importanti di quest'ultima è stata l'ingegnosità dell'industria dei combustibili fossili nello sbloccare l'enorme tesoro immagazzinato che Madre Natura aveva condensato durante i lunghi eoni più caldi e umidi dei precedenti 600 milioni di anni.
Inutile dire che la curva del consumo energetico mondiale corrisponde strettamente all'aumento del PIL mondiale mostrato sopra. Nel 1860 il consumo mondiale di energia ammontava a 30 exajoule all'anno e praticamente il 100% era rappresentato dallo strato blu etichettato come “biocarburanti”, che è solo un sostantivo educato per il legno e la decimazione delle foreste che esso comportava.
Da allora il consumo energetico annuo è aumentato di 18 volte a 550 exajoule (≈100 miliardi di barili di petrolio equivalenti), ma il 90% di tale aumento è stato dovuto a gas naturale, carbone e petrolio. Il mondo moderno e la prospera economia mondiale non esisterebbero senza il massiccio aumento dell'uso di questi combustibili efficienti, il che significa che il reddito pro capite e il tenore di vita sarebbero altrimenti solo una piccola frazione dei livelli attuali.
Sì, quell'aumento della prosperità che genera il consumo di combustibili fossili ha dato origine a un aumento proporzionato delle emissioni di CO₂. Ma contrariamente alla narrativa sui cambiamenti climatici, la CO₂ non è affatto un inquinante!
Come abbiamo visto, l'aumento correlato delle concentrazioni di CO₂, da circa 290 ppm a 415 ppm sin dal 1850, equivale a un errore di arrotondamento sia nel lungo trend storico che in termini di carichi atmosferici da fonti naturali.
Per quanto riguarda il primo, le concentrazioni inferiori a 1000 ppm sono solo sviluppi recenti dell'ultima era glaciale, mentre durante le precedenti ere geologiche le concentrazioni raggiungevano fino a 2400 ppm.
Allo stesso modo, gli oceani contengono circa 37.400 miliardi di tonnellate di anidride carbonica sospesa, la biomassa terrestre ne ha 2.000-3.000 miliardi di tonnellate e l'atmosfera contiene 720 miliardi di tonnellate di CO₂, o 20 volte più delle attuali emissioni fossili mostrate di seguito. Naturalmente il lato opposto dell'equazione è che gli oceani, la terra e l'atmosfera si scambiano continuamente CO₂, quindi i carichi incrementali dalle fonti umane sono molto piccoli.
Ancora più importante, anche un piccolo cambiamento nell'equilibrio tra oceani e aria causerebbe un aumento/riduzione delle concentrazioni di CO₂ molto più grave di qualsiasi altra cosa attribuibile all'attività umana. Ma dal momento che i Fanatici del Clima postulano falsamente che il livello preindustriale di 290 parti per milione esistesse sin dal Big Bang e che il modesto aumento sin dal 1850 sia un biglietto di sola andata per far bollire vivo il pianeta, sono ossessionati dall'equilibrio nel ciclo dell'anidride carbonica senza alcun motivo valido a supporto.
In realtà il bilanciamento dinamico dell'anidride carbonica da parte del pianeta, in qualsiasi periodo di tempo ragionevole, equivale a un gigantesco dito medio nei confronti dei Fanatici del Cilma.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Perché il progetto “America First” di Trump non richiede un budget per la sicurezza nazionale da $1.000 miliardi
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-il-progetto-america-first)
Se la politica estera incentrata sul cosiddetto “America First” di Donald Trump ha un significato, allora l'attuale bilancio per la sicurezza nazionale da $1.000 miliardi è il doppio di quanto effettivamente richieda uno scudo di difesa nazionale. Infatti non è esagerato dire che, nella ricerca incessante del proprio egoistico ingrandimento, il complesso militare/industriale ha gonfiato enormemente lo Stato militare americano quando ciò di cui c'è realmente bisogno nel mondo è qualcosa di più “piccolo”.
La base di questa sorprendente disconnessione risale alla storia della guerra fredda e alle sue conseguenze. La linea di politica sulla sicurezza collettiva del dopoguerra, le estese alleanze attraverso la NATO e i suoi cloni regionali, le capacità di proiezione di potenza militare a livello globale e una rete di 750 basi straniere sono state un errore storico epico. Hanno promosso l'opposto del cosiddetto “America First” e hanno definitivamente infranto la fiducia nella saggia ammonizione di Thomas Jefferson, il quale esortava a “[...] pace, commercio e onesta amicizia con tutte le nazioni, senza stringere alleanze con nessuna”.
Alla fine Washington è diventata la capitale mondiale della guerra e la sede di un regime politico improntato invece all'“Empire First”, abbracciato sia dai funzionari eletti che dalla numerosa nomenklatura del Deep State. Infatti il regime politico “Empire First” è diventato così profondamente radicato che persino 33 anni dopo che l'Unione Sovietica è scomparsa nel cestino della storia, si rifiuta di andare tranquillamente in pensione.
La ragione, ovviamente, è che l'elefantico stato militare americano non è mai stato fondato su una minaccia esterna oggettiva. Anche durante l'epoca sovietica, la circonferenza esagerata della macchina militare americana si basava su minacce provenienti da una burocrazia militare che cercava di assicurarsi i propri finanziamenti futuri e di espandere incessantemente le proprie missioni e competenze.
Che lo stato militare da mille miliardi di dollari di Washington sia radicato nell'autoperpetuazione interna piuttosto che in minacce esterne è evidente dal cane post-guerra fredda che non abbaiava. Vale a dire, gli archivi sovietici sono ora aperti, ma non c'è assolutamente nulla che convalidi l'assioma della guerra fredda secondo cui l'Unione Sovietica, insieme alla minaccia affiliata della Cina maoista, fosse determinata a dominare il mondo, a partire dall'Europa occidentale, dal Giappone e poi alle terre minori tutt'intorno.
Infatti gli archivi sovietici chiariscono che Mosca non ha mai avuto un piano, o anche solo una vaga aspirazione, a fortificare e scatenare offensivamente l'Armata Rossa verso Bonn, Parigi e Londra. La cosa più vicina a un piano per la mobilitazione militare verso ovest era il progetto “Sette giorni sul Reno”, ma quello era un piano di azione difensiva esplicitamente formulato per rispondere a un teorico primo attacco della NATO.
Secondo quel piano se la NATO avesse lanciato un attacco nucleare sulla Polonia, il Patto di Varsavia avrebbe risposto con un massiccio contrattacco mirato a sopraffare rapidamente le forze NATO nell'Europa occidentale. L'obiettivo era raggiungere il fiume Reno entro sette giorni, dividendo di fatto l'Europa e impedendo ai rinforzi NATO di raggiungere le linee del fronte nell'Europa orientale e potenzialmente imbarcarsi in una quarta invasione post-1800 della Madre Russia.
Infatti ciò che gli archivi sovietici mostrano in realtà non sono le deliberazioni di un minaccioso colosso, ma la cronaca di una lotta cronica per tenere insieme, con filo spinato e gomma da masticare, uno stato comunista ingombrante che non funzionava e non poteva durare.
Tuttavia fu la falsa paura di una marea rossa che scendeva sull'Europa, e in ultima analisi anche sull'emisfero occidentale, che consentì all'“Empire First” di superare la naturale e corretta tendenza dei politici di Washington a ritirarsi dietro i fossati oceanici sicuri dell'America dopo la seconda guerra mondiale. Infatti per un breve intermezzo si verificò una radicale smobilitazione militare, quando il picco di $83 miliardi del budget della difesa nel 1945 crollò a soli $9 miliardi nel 1948.
Ma quel tentativo sensato per la seconda volta nel XX secolo di smobilitazione postbellica e ritorno alla normalità in tempo di pace fu annullato nel 1949, quando l'Unione Sovietica ottenne la bomba atomica e Mao vinse la guerra civile in Cina. Da allora in poi la diffusione di basi, truppe, alleanze, interventi e guerre eterne procedette inesorabilmente sulla base del fatto che gli stati comunisti con sede a Mosca e Pechino rappresentavano una minaccia esistenziale per la sopravvivenza dell'America.
Non lo erano, nemmeno lontanamente. Come sostenne all'epoca il grande senatore Robert Taft, la modesta minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dal corpo devastato dalla guerra dell'Unione Sovietica e dal disastro collettivista imposto alla Cina da Mao avrebbe potuto essere facilmente gestita con:
• Una schiacciante capacità di ritorsione nucleare strategica che avrebbe scoraggiato qualsiasi possibilità di attacco o ricatto nucleare;
• Una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo che sarebbe stata estremamente facile da realizzare, dato che l'Unione Sovietica non aveva una Marina degna di nota e la Cina era sprofondata nell'anarchia industriale e agricola a causa dei catastrofici esperimenti di collettivizzazione di Mao.
Questo quadro taftiano non è mai cambiato fino alla fine della Guerra Fredda nel 1991, anche se la tecnologia della guerra nucleare e convenzionale si è evoluta rapidamente. Con una modesta spesa militare Washington avrebbe potuto mantenere il suo deterrente nucleare pienamente efficace e mantenere una formidabile difesa della patria, senza nessuno degli apparati dell'Impero e senza stivali americani su suolo straniero. E dopo il 1991, il requisito sarebbe stato ancora meno esigente.
Infatti la necessità di una vera politica “America First”, ovvero il ritorno allo status quo pre-1948 e a una corretta postura militare da “Fortress America”, si è notevolmente rafforzata negli ultimi tre decenni. Questo perché nel mondo odierno l'unica minaccia militare teorica alla sicurezza nazionale americana è la possibilità di un ricatto nucleare. Vale a dire, la minaccia di un avversario con una capacità di First Strike così schiacciante, letale ed efficace da poter gridare “scacco matto” e chiedere la resa di Washington.
Fortunatamente non c'è nazione sulla Terra che abbia qualcosa di simile e quindi evitare un annientamento per rappresaglia del proprio Paese se tentasse di colpire per primo. Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno 3.700 testate nucleari attive, di cui circa 1.800 sono operative in qualsiasi momento. A loro volta queste sono sparse sotto i sette mari, in silos rinforzati e protette tra una flotta di bombardieri costituita da 66 B-2 e B-52, tutti fuori dal rilevamento o dalla portata di qualsiasi altra potenza nucleare.
Ad esempio, i sottomarini nucleari di classe Ohio hanno ciascuno 20 tubi missilistici, con ogni missile che trasporta una media di quattro o cinque testate: si tratta di 90 testate indipendenti per imbarcazione. In qualsiasi momento 12 dei 14 sottomarini nucleari di classe Ohio possono essere schierati e sparsi negli oceani del pianeta entro un raggio di tiro di 4.000 miglia.
Quindi, al momento di un eventuale attacco, si tratta di 1.080 testate nucleari in acque profonde che navigano lungo i fondali oceanici e che dovrebbero essere identificate, localizzate e neutralizzate prima ancora che un potenziale aggressore nucleare, o ricattatore, possa iniziare il suo spettacolo. Infatti la sola forza nucleare basata in mare è un potente garante della sicurezza nazionale americana. Nemmeno i tanto decantati missili ipersonici della Russia sono riusciti a trovare, o a eliminare di sorpresa, il deterrente statunitense in mare.
E poi ci sono le circa 300 testate nucleari a bordo dei 66 bombardieri strategici, che non sono nemmeno seduti su un singolo aeroporto (in stile Pearl Harbor) in attesa di essere annientati, ma girano costantemente in aria e sono in movimento. Allo stesso modo i 400 missili Minutemen III sono distribuiti in silos estremamente rinforzati nel sottosuolo, in una vasta fascia del Midwest superiore. Ogni missile trasporta attualmente una testata nucleare in conformità con il Trattato Start, ma potrebbe essere MIRV in risposta a una grave minaccia, aggravando e complicando ulteriormente il calcolo del First Strike di un avversario.
Inutile dire che non c'è modo, forma o aspetto in cui il deterrente nucleare americano possa essere neutralizzato da un ricattatore. E questo ci porta al cuore della nostra tesi: secondo le più recenti stime del CBO, la triade nucleare americana costerà solo circa $75 miliardi all'anno per il suo mantenimento nel prossimo decennio, comprese le quote per gli aggiornamenti periodici delle armi.
Proprio così. La componente fondamentale della sicurezza militare americana richiede solo il 7% dell'enorme budget militare odierno, come dettagliato nella tabella qui sotto. Nel 2023 la triade nucleare americana stessa è costata solo $28 miliardi, più altri $24 miliardi per le scorte correlate e l'infrastruttura di comando, controllo e allerta.
Inoltre si stima che la componente chiave di questo deterrente nucleare, la forza missilistica balistica basata sul mare, costerà solo $188 miliardi nell'intero prossimo decennio. Ciò rappresenta solo l'1,9% della base calcolata dal CBO ($10.000 miliardi) per suddetto periodo.
Dopo aver accantonato i $75 miliardi per la triade nucleare strategica, quanto dei restanti $900 miliardi sarebbero effettivamente necessari per una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo?
Nell'attuale ordine mondiale non ci sono potenze industriali tecnologicamente avanzate che abbiano la capacità o l'intenzione di attaccare la patria americana con forze convenzionali. Per farlo avrebbero bisogno di un'enorme armata militare che includa una Marina e un'Aeronautica molte volte più grandi delle attuali forze armate statunitensi, enormi risorse di trasporto aereo e marittimo, e gigantesche linee di rifornimento e capacità logistiche che nessun'altra nazione sul pianeta s'è mai lontanamente sognata.
Avrebbe anche bisogno di un PIL iniziale di $50.000 miliardi per sostenere quella che sarebbe la più colossale mobilitazione di armamenti e materiali nella storia dell'umanità. E questo per non parlare della necessità di essere governati da leader talmente desiderosi di suicidarsi da essere disposti a rischiare la distruzione nucleare dei loro stessi Paesi, alleati e commercio economico per realizzare... cosa?
L'idea stessa che ci sia una minaccia esistenziale post-guerra fredda per la sicurezza americana è semplicemente folle. Per prima cosa, nessuno ha il PIL o il peso militare necessari. Il PIL della Russia è di appena $2.000 miliardi, non i $50.000 miliardi che sarebbero necessari per mettere le forze di invasione sulle coste del New Jersey. E il suo bilancio della difesa è di $75 miliardi, che ammontano a circa quattro settimane del mostro da $900 miliardi di Washington.
Quanto alla Cina, non ha il peso del PIL per pensare di sbarcare sulle coste della California, nonostante l'infinita sottomissione di Wall Street al boom cinese. Il fatto è che la Cina ha accumulato più di $50.000 miliardi di debito in appena due decenni!
Pertanto non è cresciuta organicamente secondo il modello capitalista storico; ha stampato, preso in prestito, speso e costruito come se non ci fosse un domani. Il simulacro di prosperità risultante non durerebbe un anno se il suo mercato dell'export da $3.600 miliardi, la fonte che mantiene in piedi il suo schema Ponzi, dovesse crollare ed è esattamente ciò che accadrebbe se cercasse di invadere l'America.
Di sicuro i leader totalitari della Cina sono immensamente malvagi nei confronti della loro popolazione oppressa, ma non sono stupidi. Restano al potere mantenendo la gente relativamente grassa e felice e non rischierebbero mai di far crollare quello che equivale a un castello di carte economico.
Infatti quando si tratta della minaccia di un'invasione militare convenzionale, i vasti fossati dell'Atlantico e del Pacifico sono le barriere definitive all'assalto militare straniero nel XXI secolo, molto più di quanto abbiano già dimostrato di essere nel XIX secolo. Questo perché l'attuale tecnologia di sorveglianza avanzata e i missili antinave farebbero fare compagnia allo scrigno di Davy Jones a una qualsiasi armata navale nemica non appena uscisse dalle proprie acque territoriali.
Il fatto è che, in un'epoca in cui il cielo è pieno di risorse di sorveglianza ad alta tecnologia, una massiccia armata di forze convenzionali non potrebbe essere segretamente costruita, testata e radunata per un attacco a sorpresa senza essere subito notata da Washington. Non può esserci una ripetizione della forza d'attacco giapponese (Akagi, Kaga, Soryu, Hiryu, Shokaku e Zuikaku) che attraversa il Pacifico verso Pearl Harbor senza essere avvistata con largo anticipo.
Infatti i presunti “nemici” americani in realtà non hanno alcuna capacità offensiva o di invasione. La Russia ha solo una portaerei, una reliquia degli anni '80 e che è in bacino di carenaggio per riparazioni dal 2017; non è equipaggiata né con una falange di navi di scorta, né con una serie di aerei da attacco e da combattimento, e al momento nemmeno con un equipaggio attivo.
Allo stesso modo la Cina ha solo tre portaerei, due delle quali sono vecchie navi arrugginite e ricondizionate, acquistate tra i resti della vecchia Unione Sovietica, e non hanno nemmeno catapulte moderne per lanciare i loro aerei d'attacco.
In breve, né la Cina né la Russia spingeranno i loro minuscoli gruppi di battaglia di 3 e 1 portaerei verso le coste della California o del New Jersey. Una forza d'invasione che avesse una minima possibilità di sopravvivere a una difesa statunitense fatta di missili da crociera, droni, caccia a reazione, sottomarini d'attacco e guerra elettronica dovrebbe essere 100 volte più grande.
Ancora una volta, non esiste alcun PIL al mondo ($2.000 miliardi per la Russia o $18.000 miliardi per la Cina) che si avvicini anche lontanamente ai $50.000 miliardi, o persino ai $100.000 miliardi, necessari per sostenere una forza d'invasione senza far crollare l'economia nazionale.
Eppure Washington mantiene ancora una capacità di guerra convenzionale che abbraccia tutto il mondo, di cui non ha mai avuto realmente bisogno nemmeno durante la guerra fredda. Ma ora, a un terzo di secolo dal crollo dell'impero sovietico e dalla scelta della Cina di seguire la strada di una profonda integrazione economica globale, si riduce a una forza muscolare del tutto non necessaria.
Ci riferiamo, ovviamente, ai 173.000 soldati americani in 159 Paesi e alla rete di 750 basi in 80 Paesi. Washington equipaggia, addestra e schiera una forza armata di 2,86 milioni non per scopi di difesa della patria, ma per missioni di offesa, invasione e occupazione all'estero in tutto il pianeta.
Come illustrato nel grafico qui sotto, questa obsoleta postura militare dell'“Empire First” include, tra le altre cose:
• 119 basi e circa 34.000 soldati in Germania;
• 44 basi e 12.250 soldati in Italia;
• 25 basi e 9.275 soldati nel Regno Unito;
• 120 basi e 53.700 soldati in Giappone;
• 73 basi e 26.400 soldati in Corea del Sud.
Tutta questa inutile forza militare si erge come costoso monumento alla vecchia teoria della sicurezza collettiva, la quale portò alla fondazione della NATO nel 1949 e dei suoi cloni regionali successivi. E sì, c'erano considerevoli partiti comunisti locali in Italia e Francia alla fine degli anni '40, e il partito laburista in Inghilterra aveva una sfumatura rossastra. Ma, ancora una volta, gli archivi ora aperti della vecchia Unione Sovietica dimostrano in modo conclusivo che Stalin non aveva né i mezzi né l'intenzione di invadere l'Europa occidentale.
La capacità militare che l'Unione Sovietica resuscitò dopo il massacro con gli eserciti di Hitler era di natura fortemente difensiva, quindi la minaccia comunista in Europa avrebbe potuto essere sgominata da queste nazioni alle urne, non sul campo di battaglia. Non avevano bisogno della NATO per fermare un'imminente invasione sovietica.
Naturalmente ciò che la NATO ha realizzato è stato ridurre drasticamente il peso della spesa per la difesa nell'Europa occidentale, anche se la maggior parte di queste nazioni ha optato per uno stato sociale espansivo e costoso. Vale a dire, lo stato militare di cui l'America non aveva bisogno dal 1950 al 1990 ha alla fine reso possibili gli stati sociali che l'Europa non poteva permettersi, né allora né adesso.
Inutile dire che, una volta fondato l'Impero di basi, alleanze, sicurezza collettiva e incessante ingerenza della CIA negli affari interni dei Paesi stranieri, con sede a Washington, esso vi è rimasto attaccato come la colla, anche se i fatti della vita internazionale hanno dimostrato più e più volte che l'Impero non era necessario.
Vale a dire che le presunte “lezioni” del periodo tra le due guerre mondiali sono state manipolate. L'ascesa aberrante di Hitler e Stalin non è avvenuta perché la brava gente di Inghilterra, Francia e America ha dormito durante gli anni '20 e '30.
Invece sono sorti dalle ceneri dell'intervento di Woodrow Wilson in una disputa del vecchio mondo che non era affare dell'America. Infatti l'arrivo di due milioni di americani e massicci flussi di armamenti e prestiti da Washington hanno permesso una pace vendicativa dei vincitori a Versailles piuttosto che la fine di una guerra mondiale inutile che avrebbe lasciato tutte le parti esauste, in bancarotta e demoralizzate, e i rispettivi partiti di guerra interna soggetti a un massiccio ripudio alle urne.
L'intervento di Wilson sui campi di battaglia in stallo del fronte occidentale diede vita a Lenin e Stalin, e le sue macchinazioni con i vincitori a Versailles favorirono l'ascesa di Hitler.
Fortunatamente i primi portarono alla fine del secondo a Stalingrado. Ma quella avrebbe dovuto essere la fine della questione nel 1945 e, infatti, il mondo c'era quasi arrivato. Dopo le parate della vittoria, la smobilitazione e la normalizzazione della vita civile procedettero a passo spedito in tutto il mondo.
Ahimè, l'incipiente Partito della Guerra di Washington, composto da appaltatori militari, agenti e burocrati giramondo, cresciuto nel calore della seconda guerra mondiale, non era intenzionato a dare la buonanotte e andarsene. Invece la guerra fredda fu partorita sulle rive del Potomac quando il presidente Truman cadde sotto l'incantesimo dei falchi di guerra come il segretario James Byrnes, Dean Acheson, James Forrestal e i fratelli Dulles, tutti restii a tornare alle loro vite banali di banchieri civili, politici o diplomatici in tempo di pace.
Quindi nel periodo postbellico il comunismo mondiale non era realmente in marcia e le nazioni del mondo non erano implicate nella caduta di tessere del domino o nella gestazione di nuovi Hitler e Stalin. Ma i nuovi sostenitori dell'Impero insistevano che erano esattamente la stessa cosa e che la sicurezza nazionale richiedeva un impero esteso che è ancora con noi oggi.
Quindi non c'è mistero perché si tratti di Guerre Infinite, o perché in un momento in cui lo Zio Sam sta perdendo inchiostro rosso come mai prima, una larga maggioranza bipartisan ritiene opportuno autorizzare $1.100 miliardi all'anno per una forza militare enormemente eccessiva e sprechi in aiuti esteri che non fanno assolutamente nulla per la sicurezza interna dell'America.
Infatti Washington si è trasformata in un fenomeno della storia mondiale, una capitale di guerra planetaria dominata da un complesso panoptico di mercanti d'armi, paladini dell'intervento estero e nomenklatura bellica. Mai prima d'ora si era radunata e concentrata sotto un'unica autorità statale una forza egemonica che possedeva così tante risorse fiscali e mezzi militari.
Non sorprende che la Capitale della Guerra sul Potomac sia orwelliana fino al midollo. La guerra è sempre e ovunque descritta come la promozione della pace. Il suo stivale egemonico globale è abbellito nella forma apparentemente benefica di alleanze e trattati, progettati apparentemente per promuovere un “ordine basato su regole” e sicurezza collettiva a beneficio dell'umanità.
Come abbiamo visto, però, il fondamento intellettuale di questa impresa è falso. Il pianeta non è pieno di potenziali aggressori e costruttori di imperi onnipotenti che devono essere fermati di colpo ai loro confini per timore che divorino la libertà di tutti i loro vicini.
Né il DNA delle nazioni è perennemente infettato da macellai e tiranni incipienti come Hitler e Stalin. Sono stati incidenti irripetibili della storia e completamente distinguibili dalla serie standard di piccole cose quotidiane che in realtà nascono periodicamente. Ma queste ultime disturbano principalmente l'equilibrio dei loro immediati vicini, non la pace del pianeta.
Quindi la sicurezza nazionale americana non dipende da una vasta gamma di alleanze, trattati, basi militari e operazioni di influenza straniera. Nel mondo odierno non ci sono Hitler, reali o latenti, da fermare. L'intero quadro della Pax Americana e la promozione/applicazione di un ordine internazionale “basato su regole” con sede a Washington sono un errore epico.
A questo proposito, i padri fondatori ci hanno visto giusto più di 200 anni fa, durante l'infanzia della Repubblica. Come sosteneva John Quincy Adams: “[L'America] si è astenuta dall'interferire nelle questioni degli altri, anche quando il conflitto è stato per principi a cui si aggrappa [...]. È la benefattrice della libertà e dell'indipendenza di tutti. È la paladina e la vendicatrice solo della sua stessa libertà”.
Inutile dire che il commercio pacifico è invariabilmente molto più vantaggioso per le nazioni grandi e piccole rispetto all'ingerenza, all'interventismo e all'impegno militare. Nel mondo odierno sarebbe il gioco predefinito sulla scacchiera internazionale, fatta eccezione per il Grande Egemone sulle rive del Potomac. Vale a dire, il principale disturbo della pace oggi è invariabilmente promosso dal pacificatore autoproclamato, che, ironicamente, è la nazione meno minacciata dell'intero pianeta.
Il punto di partenza per una postura militare “America First”, quindi, è il drastico ridimensionamento dell'esercito statunitense, composto da quasi un milione di uomini. Quest'ultimo non avrebbe alcuna utilità all'estero perché non ci sarebbe motivo per guerre di invasione e occupazione straniere, mentre le probabilità che battaglioni e divisioni straniere raggiungano l'America sono praticamente inesistenti. Con una guarnigione costiera adeguata di missili, sottomarini d'attacco e caccia a reazione, qualsiasi esercito invasore diventerebbe un'esca per squali molto prima di vedere le coste della California o del New Jersey.
Eppure i 462.000 soldati in servizio attivo dell'esercito a $112.000 ciascuno hanno un costo di bilancio annuale di $55 miliardi, mentre le 506.000 forze di riserva dell'esercito a $32.000 ciascuna costano più di $16 miliardi. E in cima a questa struttura di forza, ovviamente, ci sono i $77 miliardi per operazioni e manutenzione, $27 miliardi per approvvigionamento, $22 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutto il resto (in base alla richiesta di bilancio per l'anno fiscale 2025).
In totale, l'attuale bilancio dell'esercito ammonta a quasi $200 miliardi e praticamente tutta questa enorme spesa, quasi 3 volte il bilancio totale della difesa della Russia, è impiegata al servizio dell'Impero, non della difesa della patria. Potrebbe essere facilmente tagliata del 70% o di $140 miliardi, il che significa che la componente dell'esercito degli Stati Uniti assorbirebbe solo $60 miliardi all'anno in base a un quadro di bilancio esclusivamente improntato alla difesa.
Allo stesso modo la Marina e il Corpo dei Marine degli Stati Uniti spendono $55 miliardi all'anno per 515.000 militari in servizio attivo e altri $3,7 miliardi per 88.000 riservisti. Tuttavia, se si considerano i requisiti fondamentali di una postura di difesa, anche queste forze e spese sono decisamente esagerate.
Per missioni principali si faceva riferimento alla componente della Marina della triade nucleare strategica e alla grande forza di sottomarini d'attacco e missili da crociera della Marina. Ecco, di seguito, gli attuali requisiti di manodopera per queste forze chiave:
• 14 sottomarini nucleari strategici classe Ohio: ogni imbarcazione è composta da due equipaggi da 155 ufficiali e soldati semplici, per un fabbisogno di forza diretta di 4.400 unità e un totale complessivo di 10.000 militari, includendo (o meno) ammiragli, personale di bordo e personale vigile.
• 50 sottomarini con missili da crociera: ci sono due equipaggi di 132 ufficiali e soldati semplici per ogni imbarcazione, per un fabbisogno diretto di 13.000 persone e un totale complessivo di 20.000 persone, inclusi ammiragli e personale di bordo.
In breve, le missioni principali della Marina in base a un quadro prettametne difensivo coinvolgerebbero circa 30.000 ufficiali e soldati semplici, ovvero meno del 6% dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marine. D'altro canto i gruppi di battaglia delle portaerei totalmente inutili, che operano esclusivamente al servizio dell'Impero, hanno equipaggi di 8.000 uomini ciascuno, se si contano le navi di scorta e le suite di aerei.
Quindi gli 11 gruppi di battaglia delle portaerei e la loro infrastruttura richiedono 88.000 militari diretti e 140.000 in totale se si includono il solito supporto e le spese generali. Allo stesso modo, la forza in servizio attivo del Corpo dei Marine è di 175.000 unità, e questo è interamente uno strumento di invasione e occupazione. È totalmente inutile per una difesa della patria.
In breve, ben 315.000 unità o il 60% dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marine funziona al servizio dell'Impero. Quindi, se si ridefiniscono le missioni della Marina per concentrarsi sulla deterrenza nucleare strategica e sulla difesa costiera, è evidente che più della metà della sua struttura di forza non è necessaria per la sicurezza della patria. Invece funziona al servizio della proiezione di potere a livello mondiale, funziona come controllo delle rotte marittime dal Mar Rosso al Mar Cinese Orientale e funziona come piattaforma per guerre di invasione e occupazione.
Nel complesso, l'attuale bilancio della Marina/Corpo dei Marine ammonta a circa $236 miliardi, se si includono $59 miliardi per il personale militare, $81 miliardi per O&M, $67 miliardi per gli appalti, $26 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutte le altre voci. Un taglio di $96 miliardi o del 40%, quindi, lascerebbe comunque $140 miliardi per le missioni principali... di difesa.
Tra i servizi, i $246 miliardi contenuti nel bilancio dell'Aeronautica sono considerevolmente più orientati a una postura di sicurezza nazionale rispetto a quanto avviene con l'Esercito e la Marina. Sia la branca terrestre Minuteman della triade strategica che le forze dei bombardieri B-52 e B-2 sono finanziate in questa sezione del bilancio della difesa.
E mentre una parte significativa del bilancio per l'equipaggio, le operazioni e l'approvvigionamento di aerei convenzionali e di forze missilistiche è attualmente destinata a missioni all'estero, solo la componente di trasporto aereo e di basi estere di tali spese è al servizio dell'Impero.
Seguendo una linea d'approccio prettamente difensiva, quindi, una parte sostanziale della potenza aerea convenzionale, che comprende più di 4.000 velivoli ad ala fissa e rotativi, verrebbe riconvertita in missioni di difesa della patria. Di conseguenza più del 75%, o $180 miliardi, dell'attuale bilancio dell'aeronautica rimarrebbe in vigore, limitando i risparmi a soli $65 miliardi.
Infine un coltello particolarmente affilato dovrebbe essere fatto calare sulla componente da $181 miliardi del bilancio della difesa destinato alle operazioni generali del Pentagono e del Dipartimento della Difesa. Ben $110 miliardi, ovvero il 61% della somma sopraccitata (più di 2 volte il bilancio militare totale della Russia), sono in realtà destinati alla schiera di dipendenti civili nel Dipartimento della Difesa e ai contractor con sede a DC/Virginia che si nutrono dello stato militare.
In termini di sicurezza nazionale, molte di queste spese non sono solo inutili e controproducenti, ma costituiscono la forza di lobby e di traffico di influenze finanziata dai contribuenti che mantiene l'Impero in vita. Anche in questo caso un'indennità del 38%, o $70 miliardi, per le funzioni del Dipartimento della Difesa soddisferebbero ampiamente le vere esigenze di una struttura burocratica dedicata alla difesa della nazione.
Nel complesso, quindi, ridimensionare la forza del Dipartimento della Difesa genererebbe $410 miliardi di risparmi per l'anno fiscale 2025. Altri $50 miliardi di risparmi potrebbero essere ottenuti eliminando la maggior parte dei finanziamenti per l'ONU, altre agenzie internazionali, assistenza alla sicurezza e aiuti economici. Aggiustato all'inflazione fino al 2029, il risparmio totale ammonterebbe a $500 miliardi.
Risparmi sul budget in base a una strategia prettamente difensiva:
• Esercito: $140 miliardi
• Marina/Corpo dei Marine: $96 miliardi
• Aeronautica militare: $65 miliardi
• Dipartimento della Difesa: $111 miliardi
• Contributi delle Nazioni Unite e aiuti economici/umanitari esteri: $35 miliardi
• Assistenza alla sicurezza internazionale: $15 miliardi
• Risparmio totale, base anno fiscale 2025: $462 miliardi
• Aggiustamento all'inflazione, 8% all'anno fino al 2029: +$38 miliardi
• Risparmi totali sul bilancio per l'anno fiscale 2029: $500 miliardi
Le indennità risultanti (per l'anno fiscale 2025) di $60 miliardi per l'esercito, $140 miliardi per la marina, $180 miliardi per l'aeronautica e $70 miliardi per le operazioni del Dipartimento della Difesa ridurrebbero la componente dello stato militare a $450 miliardi all'anno. In potere d'acquisto attuale questo è esattamente ciò che Eisenhower riteneva più che adeguato per la sicurezza nazionale, quando mise in guardia gli americani dal complesso militare-industriale durante il suo discorso di addio 63 anni fa.
In fin dei conti, il momento di riportare a casa l'Impero è arrivato da tempo. Il costo annuale di $1.300 miliardi dello stato militare (incluse le operazioni internazionali e i veterani) non è più sostenibile, ed è stato inutile per la sicurezza della patria per tutto il tempo che è rimasto in vigore.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Esploriamo 6 indicatori on-chain per comprendere meglio i cicli di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/esploriamo-6-indicatori-on-chain)
Con Bitcoin che ora fa sembrare normale il territorio a sei cifre e prezzi più alti una inevitabilità, l'analisi dei dati chiave on-chain fornisce preziose informazioni sulla salute di base del mercato. Comprendendo queste metriche, gli investitori possono anticipare meglio i movimenti dei prezzi e prepararsi per potenziali picchi di mercato o persino per eventuali imminenti ritracciamenti.
PREZZO TERMINALE
La metrica del Prezzo terminale, che incorpora i Coin Days Destroyed (CDD) e tiene conto dell'offerta di Bitcoin, è stata un indicatore affidabile per prevedere i picchi dei cicli di mercato. Coin Days Destroyed misura la velocità delle coin trasferite, considerando sia la durata di detenzione che la quantità spostata.
Grafico 1: il Prezzo terminale di Bitcoin ha superato i $185.000
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Attualmente il Prezzo terminale ha superato i $185.000 ed è probabile che salirà verso i $200.000 con l'avanzare del ciclo. Con Bitcoin che ha già superato i $100.000, questo suggerisce che potremmo avere ancora diversi mesi di movimento di prezzo positivo davanti a noi.
MULTIPLO PUELL
Il Multiplo Puell valuta i ricavi giornalieri dei miner (in dollari) in relazione alla sua media mobile a 365 giorni. Dopo l'halving, i miner hanno subito un forte calo dei ricavi, creando un periodo di consolidamento.
Grafico 2: Il Multiplo Puell è salito sopra 1,00
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Ora il Multiplo Puell è risalito sopra 1, segnalando un ritorno alla redditività per i miner. Storicamente il superamento di questa soglia ha indicato le fasi successive di un ciclo rialzista, spesso caratterizzato da rally esponenziali dei prezzi. Un modello simile è stato osservato durante tutte le precedenti corse rialziste.
MVRV-Z
L'MVRV-Z misura il valore di mercato in relazione al valore realizzato (base di costo medio dei possessori di Bitcoin). Standardizzato per tenere conto della volatilità dell'asset, è stato estremamente accurato nell'identificare picchi e minimi dei cicli.
Grafico 3: l'MVRV-Z è ancora notevolmente al di sotto dei picchi precedenti
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Attualmente l'MVRV-Z di Bitcoin rimane al di sotto della zona rossa surriscaldata con un valore di circa 3,00, a indicare che c'è ancora spazio per salire. Mentre i picchi decrescenti sono stati una tendenza nei cicli recenti, suddetto indicatore suggerisce che il mercato è ben lungi dal raggiungere un picco di euforia.
SENTIMENT DEGLI INDIRIZZI ATTIVI
Questa metrica traccia la variazione percentuale a 28 giorni degli indirizzi di rete attivi insieme alla variazione di prezzo nello stesso periodo. Quando la crescita dei prezzi supera l'attività della rete, suggerisce che il mercato potrebbe essere ipercomprato a breve termine, poiché l'azione positiva dei prezzi potrebbe non essere sostenibile dato l'utilizzo della rete.
Grafico 4: il Sentiment degli indirizzi attivi ha indicato condizioni di surriscaldamento sopra i $100.000
Visualizza il grafico in tempo reale ????
I dati recenti mostrano un leggero raffreddamento dopo la rapida salita di Bitcoin da $50.000 a $100.000, indicando un sano periodo di consolidamento. Questa pausa sta preparando il terreno per una crescita sostenuta a lungo termine e non indica che dovremmo essere ribassisti nel medio-lungo termine.
RAPPORTO TRA OUTPUT SPESO E PROFITTO
Il Rapporto tra output speso e profitto misura i profitti realizzati dalle transazioni Bitcoin. I dati recenti mostrano un aumento delle prese di profitto, il che indica potenzialmente che stiamo entrando nelle ultime fasi del ciclo.
Grafico 5: grandi cluster di rapporto tra output speso e profitto segnalano player che incassano
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Un avvertimento da prendere in considerazione è il crescente utilizzo degli ETF su Bitcoin e prodotti derivati. Gli investitori potrebbero passare dall'autocustodia agli ETF per facilità d'uso e vantaggi fiscali, il che potrebbe influenzare i valori del Rapporto tra output speso e profitto.
VALUE DAYS DESTROYED
Il multiplo Value Days Destroyed (VDD) si espande sui CDD ponderando i detentori più grandi e a lungo termine. Quando questa metrica entra nella zona rossa surriscaldata, spesso segnala importanti picchi di prezzo poiché i player più grandi ed esperti iniziano a incassare.
Grafico 6: il VDD è surriscaldato, ma non troppo
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Mentre gli attuali livelli di VDD di Bitcoin indicano un mercato leggermente surriscaldato, la storia suggerisce che potrebbe mantenere questo intervallo per mesi prima di un picco. Ad esempio, nel 2017 il VDD indicò condizioni di ipercomprato quasi un anno prima del picco del ciclo.
CONCLUSIONE
Nel complesso queste metriche suggeriscono che Bitcoin sta entrando nelle ultime fasi del suo mercato rialzista. Mentre alcuni indicatori puntano a un raffreddamento a breve termine, o a una leggera sovraestensione, la maggior parte evidenzia un sostanziale rialzo residuo per tutto il 2025. I livelli di resistenza chiave per questo ciclo potrebbero emergere tra $150.000 e $200.000, con metriche come il Rapporto tra output speso e profitto e il VDD che forniranno segnali più chiari man mano che ci avvicineremo al picco.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Perché in Europa non ci sono aziende da mille miliardi di dollari?
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-in-europa-non-ci-sono-aziende)
L'Europa è un continente diversificato, con 44 Paesi, ognuno con la sua ricca (e lunga) storia e una costellazione unica di linee di politica. Nonostante questo, però, non ci sono aziende da mille miliardi di dollari in tutta Europa. Infatti delle undici aziende in tutto il mondo che hanno raggiunto questo livello, nove sono negli Stati Uniti, mentre le altre due sono a Taiwan e in Arabia Saudita. Se guardiamo alle prime undici aziende in Europa, la loro capitalizzazione di mercato combinata ammonta a soli $2.200 miliardi, ovvero $1.000 miliardi in meno rispetto alla capitalizzazione di mercato della sola Apple.
Allora cosa succede? Perché non ci sono aziende da mille miliardi di dollari in tutta Europa?
Una risposta: la maggior parte delle aziende da mille miliardi di dollari che esistono oggi sono quelle che consideriamo “giganti della tecnologia”: Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet, Amazon e Meta. L'economista Harold Hotelling fornì spunti sul perché queste aziende hanno tutte sede negli Stati Uniti, già nel lontano 1929. Prima di applicare i suoi spunti ai giganti della tecnologia, facciamo una breve deviazione per capire perché tendono a esserci molte stazioni di servizio agli angoli dello stesso incrocio. Non avrebbe più senso che fossero sparse in tutta una città o area?
La spiegazione è la competizione. Supponiamo di avere persone sparse per tutta una città, a cui non importa molto di quale marca di benzina acquistare, vogliono solo andare alla stazione di servizio più facile da raggiungere. Se le stazioni di servizio fossero distribuite in tutta la città (e se ignoriamo i costi di spostamento delle stazioni di servizio), ognuna di esse vorrebbe spostarsi sempre più vicino a dove vive la maggior parte dei clienti per assicurarsene il maggior numero. Finiranno con il trovarsi l'una di fronte all'altra, o addirittura l'una accanto all'altra.
Lo stesso si può dire dei giganti della tecnologia. Vorranno stabilirsi dove vive la maggior parte dei loro clienti e, con una base di clienti enorme con uno dei più alti tassi di adozione della tecnologia al mondo, stabilirsi negli Stati Uniti ha senso dal punto di vista commerciale.
Ma anche questa spiegazione è carente, visto che presuppone che essi debbano solo decidere dove stabilirsi. La verità è che queste aziende non sono scese sul mondo come manna dal cielo; dovevano essere create e costruite da zero. Le vere domande che dobbiamo porci, quindi, sono:
- Cosa rende gli Stati Uniti così fertili per la crescita economica?
- Cosa rende l'Europa così reticente alla crescita?
America & Europa: una prospettiva economica
Non è un segreto che gli USA rimangano “la terra delle opportunità”. Anche solo dal punto di vista logico possiamo dire che si basano sui modelli di immigrazione, infatti gli USA rimangono uno dei Paesi con più immigrati al mondo. L'ONU segnala che il 20% del totale degli immigrati nel mondo intero si trova negli Stati Uniti. Ma questo solleva ancora una domanda: perché così tante persone vogliono vivere negli Stati Uniti quando potrebbero vivere altrove?
Ci sono molti fattori, ma il principale è di natura economica. Innanzitutto possiamo guardare ai salari medi nei vari Paesi. Gli Stati Uniti restano uno dei Paesi con i guadagni più alti al mondo. Per evitare di pensare che si tratti di un caso fortuito o di un incidente storico, studi transnazionali confermano che il semplice fatto di vivere negli Stati Uniti fa aumentare i salari dei lavoratori.
Gli economisti neo-premiati con il Nobel, Daron Acemoglu e James Robinson, lo hanno dimostrato osservando la città di Nogales, una città al confine tra Messico e Arizona. Ciò che rende unica questa situazione è che la gente della città condivide un'eredità e una cultura comuni; infatti ci sono famiglie che sono state divise in due quando il muro è stato eretto per la prima volta. A causa della loro eredità comune, l'unica vera differenza sta nel lato della recinzione che attraversa proprio il centro della città. Il lato statunitense è molto, molto più ricco di quello messicano. Infatti, nel 2012, i vigili del fuoco del lato statunitense hanno aiutato il lato messicano a spegnere incendi “esportando” acqua oltre la recinzione. Hanno potuto farlo solo grazie alla loro ricchezza notevolmente più elevata.
Poi possiamo prendere in considerazione anche la facilità con cui si può avviare un'attività. Gli Stati Uniti sono tra le nazioni in cui è più facile avviare un'attività, con soli 4,2 giorni come tempo medio necessario per farlo, rispetto alla media dell'Unione Europea di 12,17 giorni. Questa misura, sebbene imperfetta, fornisce la prova di quanto velocemente si possa passare dall'avere un'idea per un'attività all'iniziare a gestirla. Più basso è questo numero, più facile e veloce può essere realizzarla. Il tempo necessario per farlo dipende da molti fattori, come il processo di approvazione e se una persona o un gruppo di persone deve approvare la domanda dal vivo o deve compilare una serie di moduli online e poi rivisti periodicamente durante, ad esempio, la stagione delle tasse. Indipendentemente da ciò, più velocemente tutto questo può essere fatto, più velocemente un aspirante imprenditore può avviare la propria attività, iniziare a servire la propria comunità e iniziare a guadagnare.
Infine possiamo guardare alle tasse. Nonostante le chiacchiere sulla pressione fiscale, gli Stati Uniti rimangono uno dei Paesi con le tasse più basse al mondo. Ciò è molto importante per i lavoratori, poiché tasse più basse significa che possono trattenere una parte maggiore del valore che creano per sé stessi invece di rimetterla allo stato, il quale la utilizzerà invece per scopi collettivi. Significa anche che è più economico assumere lavoratori e quindi espandere la forza lavoro di un'azienda.
Nel complesso possiamo vedere che gli USA rimangono un posto di prim'ordine per lavoratori e aziende. Il nostro sistema promuove l'imprenditoria e la creazione di opportunità di lavoro in un modo che è l'invidia del resto del mondo. Questo è qualcosa che deve essere protetto.
Come disse Ronald Reagan: “La libertà non è mai a più di una generazione di distanza dall'estinzione”.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Il capitalismo degli stakeholder e il culto degli indicatori chiave di prestazione
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-capitalismo-degli-stakeholder)
Nelle imprese private “non c’è bisogno di limitare la discrezionalità dei subordinati con regole o regolamenti diversi da quelli che stanno alla base di tutte le attività commerciali, vale a dire, rendere le loro operazioni redditizie”.
In questa citazione dal suo libro del 1944, Bureaucracy, Mises spiega perché le aziende private a scopo di lucro non hanno bisogno della burocrazia e non dovrebbero essere invischiate in regole e regolamenti imposti dall'alto di una gerarchia amministrativa. Invece dovrebbero fare il miglior uso della “conoscenza del tempo e del luogo” decentralizzata per svolgere il loro lavoro. L'ammonimento di Mises, secondo cui l'obiettivo delle imprese capitaliste è e dovrebbe essere “fare profitti”, divenne in seguito, nelle mani degli economisti della Scuola di Chicago, “massimizzare il valore per gli azionisti”. Questo punto di vista è associato a Milton Friedman ed è stato accettato dalla gran parte delle aziende americane per molti anni.
Poi, nel 2018, l'amministratore delegato di Blackrock, Larry Fink, che all'epoca gestiva $6.000 miliardi in asset aziendali, ha insistito pubblicamente sul fatto che i dirigenti d'azienda avrebbero dovuto concentrarsi sugli “stakeholder” (ovvero tutti coloro che sono in qualche modo collegati a una società) invece che sugli azionisti. A ciò fece seguito, nell'agosto del 2019, una dichiarazione di 200 amministratori delegati di grandi società secondo cui massimizzare il valore per gli azionisti non era più il loro obiettivo principale; lo era, invece, aggiungere valore per tutti gli “stakeholder”.
All'epoca George Reisman scrisse che questo dimostrava che “molti amministratori delegati sanno talmente poco di economia da ignorare che in un libero mercato produrre per il profitto dei propri azionisti implica di per sé produrre per il beneficio di tutti”. Un'attività di successo e redditizia in un libero mercato concorrenziale avrà clienti che traggono benefici più di quanto spendono; i lavoratori saranno pagati più di quanto potrebbero guadagnare altrove; ci saranno città e paesi prosperi; e ne trarranno beneficio tutti gli “stakeholder” in generale.
Ciò che era significativo nella dichiarazione degli amministratori delegati, scrisse Reisman, era che “mostra fino a che punto l'eredità intellettuale americana del diritto a perseguire la felicità (il che include la ricerca del profitto) sia marcita e sia stata sostituita da una mentalità improntata al socialismo”. Inoltre dobbiamo tenere a mente che “man mano che cresce il potere arbitrario dello stato, gli uomini d'affari vengono messi in una posizione sempre più simile a quella degli ostaggi sequestrati dai terroristi”.
Ciò che intendeva dire è che i poteri normativi dello stato sono cresciuti talmente tanto (si veda la pubblicazione annuale del Competitive Enterprise Institute intitolata “Diecimila comandamenti”) che gli imprenditori sono costretti a trascorrere gran parte di ogni giornata lavorativa a seguire le regole e i regolamenti governativi invece di essere produttivi, proprio come Mises aveva messo in guardia. I regolatori sono “i terroristi” e gli imprenditori sono “gli ostaggi”. Inoltre, scrisse Reisman, “sono arrivati al punto in cui tentano di anticipare i desideri dei loro padroni e cercano di gratificarli senza prima ricevere gli 'ordini' normativi”. Ecco perché gli amministratori delegati hanno rilasciato quella dichiarazione: annunciare allo stato che avrebbero adottato volontariamente tutti i controlli e i regolamenti socialisti che esso avrebbe voluto imporre loro. È di fatto socialismo.
Ecco perché vediamo banchieri imporre quote razziali sui loro prestiti ipotecari per paura di essere perseguiti ai sensi del Community Reinvestment Act e bollati come razzisti; o case automobilistiche che si impongono normative più severe sul chilometraggio rispetto a quelle attualmente in vigore per paura di essere viste in futuro ed etichettate come “ostruzioniste”; e la più predominante in assoluto, l'imposizione di quote di razza e genere per assunzioni e promozioni sotto le mentite spoglie di “diversità, equità e inclusione”. Tutte queste cose vi faranno guadagnare punti KPI (indicatori chiave di prestazione) in qualsiasi azienda americana.
Prima del 2019 molte aziende avevano ignorato l'ammonimento di Mises sull'istruire i subordinati a “fare profitto”, o addirittura “massimizzare il valore per gli azionisti”, e li avevano valutati con un guazzabuglio di “indicatori chiave di prestazione” (per l'appunto KPI). Questi “indicatori” hanno rapidamente incluso una miriade di obiettivi nebulosi per gli “stakeholder” e annunci di pubbliche relazioni. Scrivendo su Forbes un articolo intitolato, “Perché i KPI non funzionano”, il consulente aziendale e autore Steve Denning ha scritto di come le aziende avessero adottato un “labirinto di offuscamenti in chiave pubbliche relazioni solo per far contento il pubblico [...]”.
Un problema persistente con i KPI è, come sottolinea Denning, che molti degli indicatori “portano a incentivi perversi e conseguenze indesiderate come risultato del fatto che i dipendenti lavorano in base a misurazioni specifiche a spese della qualità o del valore effettivo per i clienti”. Il risultato è che i dipendenti stessi tendono a sviluppare KPI che mostrano semplicemente che si sta facendo più lavoro di facciata, ma non dimostrano che le prestazioni o il servizio clienti siano migliorati. I KPI, afferma Denning, “misurano la velocità della burocrazia”, ma “sono inversamente proporzionali alla produttività effettiva”. Mises sarebbe d'accordo.
“Come criceti in una ruota, il personale lavora di più ma non riesce a fare granché dal punto di vista produttivo”. Ciò riporta alla mente le storie di come l'Unione Sovietica cercò di giocare al capitalismo con vari obblighi, come l'ordine di produrre tante tonnellate di chiodi all'anno per soddisfare il successivo piano quinquennale di costruzione di case. I direttori di fabbrica stabilirono che il modo più semplice per farlo era produrre chiodi molto pesanti, abbastanza pesanti da spaccare assi di legno da due per quattro!
Peggio ancora, la mancanza di performance causata dai KPI in genere porta i dirigenti a rispondere “offrendo una valanga di nuovi KPI nel tentativo di dimostrare quanto siano produttivi”. Essi sono quindi “un dono di Dio alla burocrazia”, secondo Denning: “Aiutano a perpetuarla e a creare infinite giustificazioni per essa. È lavoro, si nutre di lavoro e crea altro lavoro, senza servire a uno scopo esterno”.
Denning conclude suggerendo che le aziende dovrebbero concentrarsi sulla “creazione di valore per i clienti”, che è un altro modo di dire “fare solo profitti” invece di creare una gigantesca mostruosità burocratica. Ci si chiede se abbia letto Bureaucracy di Mises, come ha di recente ammesso di aver fatto il senatore Ted Cruz.
In un altro articolo intitolato, “Non aggiustate la burocrazia, uccidetela”, Denning ricorda la Genentech Corporation che ha oltre 100.000 dipendenti, ognuno dei quali è tenuto a elaborare un elenco KPI. Pochissimi degli elementi negli elenchi, scrive Denning, “avevano a che fare con la fornitura di valore ai clienti”.
Anche le organizzazioni non profit e le agenzie governative hanno adottato i KPI, ma questi problemi sono destinati a essere ancora più gravi in tali settori. Come per le aziende, è probabile che vengano utilizzati per dimostrare che è stato svolto molto lavoro di routine, anche se quest'ultimo non contribuisce in alcun modo a realizzare la missione dell'organizzazione.
Esistono metriche facili da usare per tutti i tipi di organizzazioni che rientrano nella definizione di KPI e possono essere utili se non essenziali. Ma ciò che è successo nelle aziende americane è la “mentalità improntata al socialismo” descritta da Reisman: la folle anticipazione di obblighi, controlli e regolamenti governativi con l'autoimposizione degli stessi. Sembra tutto una pianificazione centrale socialista di fatto, non è vero?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Il costo della censura di Facebook
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-costo-della-censura-di-facebook)
La storia ricorderà quest'epoca come il momento in cui i principi più sacri dell'America si sono scontrati con un potere istituzionale senza precedenti, e hanno perso. Lo smantellamento sistematico dei diritti fondamentali non è avvenuto tramite la forza militare o un decreto esecutivo, ma tramite la silenziosa cooperazione di piattaforme tecnologiche, gatekeeper nei media generalisti e agenzie governative, tutti pronti a ripetere di sostenere una protezione contro la “disinformazione”.
L'improvviso smantellamento del programma di fact-checking da parte di Meta — annunciato da Zuckerberg come un “punto di svolta culturale verso la priorità della libertà di parola” — si legge come una nota a piè di pagina silenziosa a quella che la storia potrebbe registrare come una delle più sconvolgenti violazioni dei diritti fondamentali nella memoria recente. Dopo otto anni di moderazione dei contenuti sempre più aggressiva, che ha coinvolto quasi 100 organizzazioni di fact-checking che operano in oltre 60 lingue, Meta sta ora virando verso un sistema guidato dalla comunità simile al modello di X.
Nel suo annuncio, Zuckerberg ci tiene a far sapere che la censura è stata un errore puramente tecnico, poi cambia tono verso la fine e ammette ciò che è stato a lungo contestato: “L'unico modo in cui possiamo contrastare questa tendenza globale è con il supporto del governo degli Stati Uniti. Ed è per questo che è stato difficile negli ultimi 4 anni, quando persino il governo degli Stati Uniti ha spinto per la censura. Prendendo di mira noi e altre aziende americane, ha incoraggiato altri governi ad andare oltre”.
In molti casi giudiziari costati milioni di dollari, che hanno comportato ingenti richieste FOIA, deposizioni e rivelazioni, la verità è stata documentata in 100,000 pagine di prove. Il caso giudiziario Murthy v. Missouri da solo ha scoperto la profondità del coordinamento del governo federale con i social media. La Corte Suprema ha preso in considerazione tutto, ma diversi giudici non sono riusciti a comprenderne la sostanza e la portata, e quindi hanno annullato un'ingiunzione di un tribunale inferiore per fermare tutto. Ora abbiamo Zuckerberg che ammette apertamente ciò che era in discussione: il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti in violazione del Primo Emendamento.
Questo dovrebbe come minimo rendere più facile ottenere un risarcimento man mano che i casi giudiziari vanno avanti. Ciononostante è lo stesso frustrante. Sono stati spesi decine di milioni per dimostrare ciò che avrebbe potuto ammettere anni fa, ma a quei tempi i censori erano ancora al comando e Facebook stava proteggendo il suo rapporto con i poteri forti.
La tempistica del cambiamento è significativa: un alleato di Trump entra nel consiglio di amministrazione, il presidente degli affari esteri di Meta è stato sostituito da un importante repubblicano, e una nuova amministrazione si prepara a prendere le redini del governo. Ma mentre Zuckerberg inquadra questo come un ritorno ai principi della libertà di parola, il danno del loro esperimento di censura di massa non può essere annullato con un semplice cambiamento di politica.
L'ironia è profonda: aziende private che rivendicano l'indipendenza mentre agiscono come estensioni del potere statale. Prendiamo in considerazione la nostra esperienza: pubblicata la definizione di fascismo di Mussolini, come “fusione del potere statale e aziendale”, abbiamo vista rimuoverla in quanto “disinformazione”. Non si trattava semplicemente di censura; si trattava di meta-censura: mettere a tacere il dibattito sui meccanismi stessi di controllo impiegati.
Mentre le piattaforme tecnologiche mantenevano la facciata dell'impresa privata, le loro azioni sincronizzate con le agenzie governative hanno rilevato una realtà più preoccupante: l'emergere di quel tipo di fusione tra stato e aziende di cui volevano di impedirci di discutere.
Come abbiamo visto in precedenza, non abbiamo semplicemente oltrepassato i limiti: abbiamo attraversato i sacri Rubiconi creati dopo i capitoli più oscuri dell'umanità. Il Primo Emendamento, nato dalla rivoluzione contro la tirannia, e il Codice di Norimberga, istituito dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, avrebbero dovuto essere indistruttibili guardiani dei diritti umani. Entrambi sono stati sistematicamente smantellati in nome della “sicurezza”. Le stesse tattiche di disinformazione, paura ed ingerenza governativa contro cui i nostri antenati avevano messo in guardia sono state impiegate con spaventosa efficienza.
Questo smantellamento sistematico non ha lasciato indietro alcun tema: dalle discussioni sugli effetti dei vaccini ai dibattiti sulle origini dei virus alle domande sulle linee di politica riguardo gli obblighi. Il discorso scientifico è stato sostituito con narrazioni approvate. I ricercatori non potevano condividere risultati che divergevano dalle posizioni istituzionali, come si è visto nella rimozione di discussioni credibili sui dati Covid-19. Anche le esperienze personali sono state etichettate come “disinformazione” se non si allineavano con il messaggio ufficiale, un modello che ha raggiunto livelli assurdi quando anche discutendo la natura stessa della censura ciò è diventato motivo di censura.
Il danno si è propagato a ogni strato della società. A livello individuale, le carriere sono state distrutte e le licenze professionali revocate solo perché si condivideva esperienze genuine. Scienziati e dottori che hanno messo in discussione le narrazioni ufficiali si sono ritrovati ostracizzati a livello professionale. Molti sono stati fatti sentire isolati o irrazionali per essersi fidati dei propri occhi e delle proprie esperienze quando le piattaforme hanno etichettato i loro resoconti di prima mano come “disinformazione”.
La distruzione dei legami familiari potrebbe rivelarsi ancora più duratura. Le tavole delle feste si sono svuotate. I nonni si sono persi momenti insostituibili con i nipoti. Fratelli che erano stati vicini per decenni hanno smesso di parlarsi. Anni di legami familiari si sono infranti non per disaccordi sui fatti, ma per il diritto stesso di discuterne.
Forse il danno più insidioso è stato quello a livello di comunità. I gruppi locali si sono frammentati, i vicini si sono rivoltati contro i vicini, le piccole imprese sono finite nelle liste nere, le chiese si sono divise, le riunioni dei consigli scolastici si sono trasformate in campi di battaglia. Il tessuto sociale che consente la società civile ha iniziato a sgretolarsi, non perché le persone avessero opinioni diverse, ma perché la possibilità stessa di dialogo era considerata pericolosa.
I censori hanno vinto. Hanno dimostrato che con sufficiente potere istituzionale, potevano fare a pezzi il tessuto sociale che rende possibile il libero discorso. Ora che questa infrastruttura per la soppressione esiste, è pronta a essere dispiegata di nuovo per qualsiasi causa possa sembrare urgente. L'assenza di una resa dei conti pubblica invia un messaggio agghiacciante: non c'è linea che non possa essere oltrepassata, nessun principio che non possa essere ignorato.
Una vera riconciliazione richiede più di un'inversione di tendenza della linea di politica di Meta. Abbiamo bisogno di un'indagine completa e trasparente che documenti ogni istanza di censura, dai report soppressi sui danni dei vaccini ai dibattiti scientifici bloccati sulle origini del virus, alle voci messe a tacere che mettevano in discussione i vari obblighi. Non si tratta di rivendicare chissà cosa, si tratta di creare un archivio pubblico inattaccabile che garantisca che queste tattiche non possano mai più essere utilizzate.
Il Primo Emendamento della nostra Costituzione non era un suggerimento, è un patto sacro scritto nel sangue di coloro che hanno combattuto la tirannia. I suoi principi non sono reliquie obsolete, ma protezioni vitali contro l'eccesso di potere a cui abbiamo appena assistito. Quando le istituzioni trattano questi diritti fondamentali come linee guida flessibili, anziché come confini inviolabili, il danno si estende ben oltre qualsiasi singola piattaforma o linea di politica.
Come molti nei nostri circoli, abbiamo assistito a tutto questo in prima persona, ma farci dire che avevamo ragione sin dall'inizio non è l'obiettivo. Ogni voce messa a tacere, ogni dibattito soppresso, ogni relazione fratturata al servizio di “narrazioni approvate” rappresenta uno strappo nel nostro tessuto sociale che ci rende tutti più poveri. Senza una contabilità completa e garanzie concrete contro futuri eccessi, stiamo lasciando le generazioni future vulnerabili agli stessi impulsi autocratici che in futuro avranno maschere diverse ma stessa essenza.
La questione non è se possiamo ripristinare ciò che è stato perso: non possiamo. La questione è se finalmente riconosceremo questi diritti come veramente inviolabili, o se continueremo a trattarli come ostacoli scomodi da spazzare via ogni volta che la paura e l'urgenza lo richiederanno. Benjamin Franklin ci avvertì riguardo coloro che rinunciano alla libertà per acquistare un po' di sicurezza temporanea: essi non meritano né libertà né sicurezza. La nostra risposta a questa sfida determinerà se lasceremo ai nostri figli una società che difende le libertà fondamentali o una che le scarta in nome della sicurezza.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Per chi suona la campana... del default
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-chi-suona-la-campana-del-default)
Ci sono punti da collegare, tra politica e mercati. E sebbene l'obiettivo di questo blog sia il denaro, viviamo in un'epoca politica. Non possiamo ignorarla. Il meglio che possiamo fare è cercare di vedere il quadro generale e questo è ciò che faccio nei miei articoli, cercando di indirizzare i lettori lungo quella strada per evitare la cosiddetta “Grande perdita”. Così come le storie e le favole alla fine hanno una “morale” — distillate da generazioni di esperienza — che si trovano nei detti popolari, nei romanzi, nella Bibbia e nei “racconti delle vecchie”, anche i mercati hanno una sorta di Trend primario rispetto al rumore quotidiano che segna la direzione di base dei prezzi, spesso per un intero decennio. Pensate, ad esempio, alla Corrente del Golfo: prende acqua calda dal Golfo del Messico, la trasporta attraverso l'Atlantico settentrionale e rende abitabile l'Europa settentrionale. Ma guardando solo le onde superficiali, non la vedreste.
La ricchezza è creata da persone che producono beni e servizi l'una per l'altra. Tutto ciò che la burocrazia fa per interferire con questo commercio riduce la soddisfazione materiale totale delle persone. Da una prospettiva economica lo stato e la sua burocrazia sono fondamentalmente un'impresa coercitiva, in cui si vince e si perde. Le sue numerose regole, normative, tasse, debiti, spese e guerre inutili riducono la produzione di beni e servizi che consideriamo “prosperità”. Ecco perché sono incompatibili col capitalismo dinamico e produttivo. Ci vuole, come minimo, uno stato minimo per produrre grandi guadagni economici. Curiosamente, però, l'interferenza statale tende anche a esagerare il Trend primario, anche se non intenzionalmente. Ad esempio, manipola i tassi d'interesse verso il basso e rende l'aumento dei prezzi degli asset finanziari più potente che mai (1980-2021) e/o ostacola gli aggiustamenti di mercato necessari peggiorando così la flessione (es. Grande Depressione).
Una parte fondamentale della mia analisi è che il mondo del denaro non funziona come si pensa comunemente. le banche centrali non sanno di quali tassi d'interesse hanno bisogno i rispettivi Paesi, ad esempio, né possono sapere cosa siano la “piena occupazione” o la “piena capacità” per l'economia. Inoltre il passaggio a un sistema monetario scoperto ha reso molto più facile manipolare il valore delle valute e quindi ha permesso e promosso grandi distorsioni in tutto il sistema finanziario globale. In breve, la maggior parte di ciò che sentite dagli economisti mainstream o dal megafono della burocrazia è probabilmente una sciocchezza. E in genere più economisti, o politici, sono coinvolti, meno produttiva è l'economia. Ad esempio, l'Unione Sovietica aveva così tanto controllo statale che la sua economia era estremamente inefficiente, il che portò la sua élite ad abbandonarla completamente.
Il trucco per creare ricchezza con successo è mettersi dalla parte giusta del Trend primario e rimanerci. Se ho ragione sul nuovo Trend primario, la cosa più semplice da fare per un investitore ora è semplicemente mettersi al riparo. “Modalità massima sicurezza", con enfasi su denaro liquido e oro rispetto ad azioni e obbligazioni. La maggior parte di coloro che hanno usufruito e usufruiscono del mio servizio di consulenze, ha circa 50 anni. A quell'età perdere denaro è una minaccia più grande rispetto a non riuscire a guadagnarne di più. Una persona più giovane può subire una perdita, imparare da essa e poi recuperare, ma oltre i 50 anni diventa sempre più difficile: non c'è il tempo di recuperare una perdita importante. Un modo semplice e chiaro per evitare la Grande Perdita pur continuando a partecipare attivamente ai mercati, in modo sicuro e prudente, è acquistare azioni quando costano poco e venderle quando costano tanto. Come si fa a saperlo? Basta utilizzare un modello molto semplice basato sull'oro: prezzare le azioni in termini di metallo giallo per sapere quando costano troppo o troppo poco.
In breve, quando si possono acquistare tutte le 30 azioni del Dow per 5 once d'oro, o meno, è il momento di vendere oro e acquistare azioni; quando il prezzo supera le 15 once d'oro è il momento di andare nella direzione opposta. Attualmente la raccomandazione è di mantenere una certa percentuale della propria ricchezza in contanti od oro, mentre tenere solo alcune azioni che hanno un “fair value” o si sono distaccata dal Trend Primario.
Il mio intuito mi dice che quest'ultimo verrà amplificato, verso prezzi degli asset finanziari più bassi e tassi d'interesse e inflazione più elevati, creando grandi deficit di bilancio, cercando di coinvolgere gli Stati Uniti in guerre inutili, indebolendo il dollaro con sanzioni e sequestri e drenando sempre più capitale dagli investimenti reali e sperperandolo in sciocchezze burocratiche. L'effetto della linea di politica dei tassi d'interesse ultra bassi prima del 2022 è stato quello di creare una montagna di debiti. In tutto il mondo hanno superato i $300.000 miliardi. Questo è più debito di quanto si possa sostenere o gestire in un contesto di tassi d'interesse alti. Ma ci sono solo due scelte: inflazionare o morire, o si continua a inflazionare (con tassi reali bassi e deficit elevati), oppure si taglia radicalmente la spesa, innescando grandi fallimenti, inadempienze e una depressione... uccidendo di fatto l'economia della bolla creata dai suoi tassi ultra-bassi.
Nel 1992 gli Stati Uniti hanno avuto l'occasione della vita: l'Unione Sovietica si era sciolta e gli oligarchi persero il potere e iniziarono a vendere materie prime, all'ingrosso, a prezzi bassi. I cinesi, nel frattempo, avevano già deciso di intraprendere la “strada capitalista”: negli anni '90 stavano abbassando i costi sui prodotti finiti. Tolti di mezzo i nemici e con i costi per i consumatori in calo, gli Stati Uniti avrebbero potuto tagliare il budget militare e usare il denaro per sostenere le proprie industrie e infrastrutture nazionali. Invece “sono stati spinti” a invadere l'Iraq e sono andati in guerra in Afghanistan. E poi hanno sostenuto le guerre in Ucraina e Gaza. Il budget militare è esploso al rialzo e la loro reputazione è scivolata al ribasso. A livello di Trend primario da seguire, questo significa che gli investitori vedranno occasioni nell'economia delle commodity piuttosto che in quella squisitamente finanziaria. Questo cambiamento, unito al caos sociale e politico che porta con sé, rischia di creare un disastro importante. A livello di microeconomia, quindi, bisogna mettersi dalla parte giusta del Trend primario: imparare a guardare i prezzi di mercato in termini reali, non in termini fasulli. E circondati di amici che vedranno il mondo per quello che è e scopriranno come navigarlo insieme.
UN DEFAULT INCOMBENTE
Lo stato — insieme alla stampa, ai politici, agli economisti accademici, ai think tank, al Deep State — ha risolto ogni problema che ci si è presentato: dai domino che cadono nel Sud-est asiatico alla povertà e alla discriminazione. Ma tutta questa risoluzione dei problemi ci ha lasciato con un problema molto più grande: un debito pubblico impagabile. Come verrà risolto? In gioco c'è l'intera economia mondiale, le valute fiat, la prosperità e il Trend primario, insomma l'intera baracca. All'inizio del secolo scorso l'economia dei vari Paesi occidentali era “capitalista”: le persone si occupavano dei propri affari, come meglio potevano, offrendo beni e servizi l'una all'altra. Poi lo stato (inclusi gli enti locali e di regolamentazione) è cresciuto così tanto che solo circa metà dell'economia è ancora libera di fare ciò che vuole, il resto è dettato dai bilanci e dalle normative. Quasi tutta questa spesa viene sprecata in bombe, salvataggi e raggiri. Oltre a ciò, l'intera economia viene distorta in forme grottesche da un altro ramo dello stato, la banca centrale.
La tanto criticata “era dello stato minimo” dei repubblicani del Tea Party e la “deregulation” seguita a Ronald Reagan non sono mai accadute. La spesa pubblica e la regolamentazione sono aumentate costantemente. La spesa militare e la spesa sociale sono aumentate. Chi pagherà? È così che funziona la politica. Il capitalismo non avvantaggia nessuno in particolare e tutti in generale. Nel complesso, le cose migliorano. La politica avvantaggia gruppi specifici, le élite, a spese di tutti gli altri. Nel complesso, le cose peggiorano. Più capitalismo si ha, più le persone sono libere di ottenere onestamente ciò che vogliono; più politica si ha, più le persone “distorcono il sistema” elaborando accordi con i politici e usando il potere statale per la loro ricchezza personale o per il loro ingrandimento.
O l'uno o l'altro. Capitalismo o politica. L'idea che ci sia un felice equilibrio tra i due, o che il tungsteno possa essere fatto passare per oro, è semplicemente una sciocchezza. Le grandi imprese con lobbisti che traggono vantaggio dai numerosi salvataggi statali, sussidi e altre opportunità sono cresciute. Ma esse rappresentano la crescita passata, le piccole aziende, invece, sono la speranza del futuro. E con il peso dello stato sulle spalle, riescono a malapena a strisciare, figuriamoci a correre. Il tasso di crescita della produttività è stato dimezzato sin dagli anni '60. Al vertice le grandi aziende dominano le principali industrie, in fondo ci sono gli “zombi”, aziende che non riescono nemmeno a pagare gli interessi sul loro debito. Deboli e improduttive, come lo stato stesso, sprecano risorse preziose. Nel mezzo c'è un bacino stagnante di aziende di medie dimensioni che lotta per innovare e sopravvivere in un ambiente ostile di leggi, regolamenti, tasse, inflazione e debito.
Come scrive anche il Financial Times:
[...] La sorgente da cui fluiva il capitale erano stati e banche centrali. Con debito e capitale a tassi ridicoli, le dimensioni dei mercati finanziari sono cresciute da poco più grandi dell'economia globale [PIL mondiale] nel 1980 a quasi quattro volte più grandi oggi. [...] La forza trainante dietro la finanziarizzazione incontrollata del capitalismo era il denaro facile che scorreva dallo stato.Sì, è stato il denaro marcio ad aver rovinato le cose. Ma quale? Presto ci arriveremo, ma prima aggiungiamo un altro tassello a questo mosaico.
Il fatto che siano stati pubblicati “nuovi” coefficienti di trasformazione nel sistema pensionistico è una tacita e indiretta ammissione di bancarotta da parte di chi eroga una prestazione promessa. Ovviamente non è un'esclusiva italiana, ma si tratta solo dell'ultima notizia riguardo questo tema. Ogni Paese soffre dello stesso problema. Il pensionamento è una di quelle promesse più insostenibili che sono state fatte dalla classe dirigente. È un gioco in cui entrambi gli attori partecipanti non vogliono vedere l'ovvio: entrambi continuano a fingere che esiste un barlume di solvibilità. Ma come ogni schema Ponzi la Legge dei rendimenti decrescenti è un duro e severo maestro che costringe a guardare, e ogni volta le bacchettate sono più forti di prima: il dolore (economico) infine diventa troppo insopportabile da ignorare. Tra prezzi galoppanti, tasse invasive, burocrazia ingessante, le pensioni sono l'ultimo pilastro a reggere la fiducia nello stato... nella sua capacità e avallo di legiferazione ed estorsione di risorse. Non è un caso, infatti, che io abbia dedicato il primo capitolo del mio ultimo libro, Il Grande Default, a questo argomento e al modo in cui l'Europa intende trattare questi obbligazionisti “speciali”: haircut e default selettivo.
CHI?
Alla fine della fiera, tutto si riduce a una semplice domanda: chi decide? O siete voi a decidere cosa fare con il vostro tempo e denaro... o qualcun altro deciderà per voi. E quando sono gli altri a decidere, i soldi tendono ad andare nella loro direzione, non nella vostra. Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con una domanda: per chi sarà il default? È ora di aggiungere ulteriore contesto alla domanda e dare una risposta. Prima, però, sappiate che a quanto scriverò adesso fornirò prove (storiche) pubblicando alcuni saggi di Richard Poe che saranno le fonti alla base dei ragionamenti “più maturi” che leggerete qui. Se c'è una cosa che da più fastidio ai colonizzatori è quella di perdere il controllo sulle proprie colonie. Questa è stata una caratteristica peculiare degli inglesi, ad esempio: per quanto possano essere diventati “indipendenti” gli USA dopo la rivoluzione americana, hanno sempre subito l'ascendente inglese. Perché è così che il colonialismo ha trasformato la sua essenza: da nemico delle popolazioni colonizzate ad alleato. “Investire” in un determinato posto ha significato immettere ingenti capitali nel sistema socioeconomico di quel Paese e farlo sviluppare a passi da gigante facendogli saltare step evolutivi fondamentali. Ogni cambiamento non aveva il giusto tempo per sedimentarsi. Questo è un punto cruciale che ho dettagliato meglio nel Capitolo 6 del mio primo libro, L'economia è un gioco da ragazzi, in cui porto all'attenzione del lettore l'importanza della teoria Austriaca del capitale. La formazione di quest'ultimo, infatti, è la chiave di volta per la sostenibilità e la prosperità a lungo termine.
Immettere dall'esterno ingenti quantità dello stesso ha lo scopo di velocizzare l'evoluzione di un Paese, affinché il colonizzatore abbia la rapida facoltà di sfruttare le risorse del luogo in cui “investe”. Poi, come uno sciame di locuste, consuma tutto e tutti. Gli Stati Uniti erano indirizzati lungo questa traiettoria, soprattutto dopo che la terza rivoluzione americana è stata persa: sedicesimo emendamento. Da quel momento in poi gli Stati Uniti sono stati ostaggio della politica europea, soprattutto se si considera la loro partecipazione nelle due grandi guerre e la sudditanza della FED nei confronti della BoE che ha piantato i semi della Grande Depressione. Gli USA continuavano a essere una colonia inglese e attraverso di essi hanno continuato a modellare il mondo a loro piacimento. Attraverso il soft power e le relazioni con l'aristocrazia gli inglesi si sono da sempre garantiti, in tutte le loro colonie, l'ultima parola nelle questioni dirimenti; l'assalto agli Stati Uniti, sin dalla Brexit, aveva come unico scopo il rimpatrio dei soldi “investiti”.
L'ultimo giro di giostra dell'eurodollaro ha come data il 2008 e sin da allora è diventato chiaro che quel famoso qualcosa che non poteva più andare avanti s'era fermato. Il sistema monetario e commerciale è rotto, i bilanci nazionali sono saturi di debiti impagabili e sopravvalutati, e il tutto è sull'orlo del collasso. L'unica via che Londra vede è quella del ripudio, parziale, di tutto questo ammontare di debiti e la classe dirigente intende rimanere in carica anche dopo questo evento di proporzioni epiche. Non fraintendetemi, non è la prima volta che accade una cosa del genere: il Consol britannico nacque proprio per questo motivo. Ciò che bisogna salvaguardare nella fase di transizione è il collaterale per poi impiegarlo nella iterazione successiva affinché i vecchi obbligazionisti sottoscrivano i nuovi bond. A questo giro, però, la giostra non può ripartire se prima gli Stati Uniti non vanno in bancarotta... perché? Perché rappresentano ancora un punto nel mondo in cui il capitale viene trattato meglio, sia quello umano che quello finanziario. Di conseguenza devono essere divisi e ridotti sul lastrico, così come la Russia, affinché Europa e Inghilterra possano apparire come i luoghi “più stabili” in cui investire e mettere al riparo i risparmi. In questo modo sarebbe più facile vendere la soluzione haircut: assenza di alternative.
Infatti gli Stati Uniti sono stati protagonisti di afflussi simili già in passato, in particolar modo nei Ruggenti anni '20, che poi la FED ha trasformato in Grande Depressione per spalleggiare il ritorno alla parità aurea pre-bellica da parte della Banca d'Inghilterra. E nonostante quest'ultima i capitali dall'Europa continuarono lo stesso a valore negli USA, contribuendo a costruire quella macchina da guerra che avrebbe riparato i danni causati da inglesi e francesi contro i tedeschi. Accade la stessa cosa oggi con la guerra in Europa orientale, dove sono stati impegnati ingenti capitali e promesse sui flussi di cassa futuri, a fronte di una guerra che Londra e Bruxelles stanno perdendo e da cui Washington vuole staccarsi. Per i russi non c'è niente di nuovo visto che combattono da tempo immemore contro gli inglesi. La classe dirigente europea, la quale è a corto di qualsiasi potere contrattuale dato che non ha capitali finanziari, know-how indsutriale rappresentato da industrie tecnologiche chiave e nemmeno materie prime, presuppone di avere ancora un potere di monopsonio e sventola questa percezione (fasulla) per ottenere credibilità. La cricca di Davos ha un unico incentivo: vuole sopravvivere, così come è sopravvissuta a tutte le altre iterazioni precedenti creando e poi facendo crollare i sistemi a cui si è posta al vertice. Questa storia non è affatto diversa oggi.
L'arbitraggio monetario è stato il mezzo, la manipolazione della valuta di riserva mondiale. Che si trattasse della sterlina, del gold standard o del sistema bimetallico, ogni volta bastava sottoporre a leva il sistema monetario di riferimento e guadagnare clientes. Questa è gente che ha scoperto questo “trucco” e nel corso del tempo l'ha reso più sofisticato, diffondendo la religione del globalismo. Il problema con questo punto di vista è che da questo treno sono scesi tutti gli altri: i russi, i cinesi e soprattutto gli americani. Questi ultimi hanno detto “No” sin da quando Trump è stato eletto la prima volta; addirittura la popolazione inglese ha detto “No” sin da quando è stata votata la Brexit e per questo affronto continuano a essere puniti ancora oggi (a tal proposito, si veda la serie La fattoria Clarkson).
In parole povere, sebbene gli Stati Uniti abbiano il miglior esercito del mondo e il miglior motore economico del mondo, la loro linea di politica estera è stata dettata a Londra e a Bruxelles. Persone come Lindsey Graham o John McCain sono esempi perfetti di personaggi allineati coi neoconservatori inglesi; Obama e i suoi accoliti, invece, fanno riferimento a Bruxelles e più propriamente alla cricca di Davos. Queste due fazioni vogliono le stesse cose e combattono per gli stessi obiettivi, oligarchie entrambe che non disdegnerebbero una lotta fratricida pur di essere quella al vertice. A questo giro se gli inglesi non risulteranno vincitori, se non metteranno a ferro e fuoco il mondo, verranno scaraventati nell'irrilevanza geopolitica per i prossimi 50-100 anni. Per quanto riguarda l'Europa, invece, dipende da quale parte si stia parlando: quella orientale graviterà nell'orbita russa, mentre quella centrale e occidentale si spezzetterà in spazi a sé stanti. Per quanto magro, questo è un risultato che continuerebbe a favorire gli inglesi dato che il gioco del divide et impera è sempre stato il loro tratto caratterizzante.
In questo contesto la FED è stato un attore principale, il vero asso nella manica degli Stati Uniti per emanciparsi da tale gioco di potere e ottenere una vera indipendenza dai suoi storici colonizzatori. Il ciclo di rialzo dei tassi di Powell sin dal 2022, anno in cui è stato inaugurato l'SOFR e dopo la sofferta rielezione dello stesso Powell a capo della FED durata 6 mesi, ha rappresentato la nemesi dell'amministrazione Biden. Detto in altro modo: “Volete una guerra in cui gli USA non vogliono avere niente a che fare? La pagherete a tassi più alti. Volete la rivoluzione green? La pagherete a tassi più alti”. Lo scandalo sull'insider trading di fine 2021 era stato studiato per far fuori politicamente Kaplan, Rosengren e lo stesso Powell, i tre più determinati a mettere un freno al lassismo monetario sfrenato. Quest'ultimo è stato risparmiato perché la fazione cui fa riferimento gli ha coperto le spalle. L'inversione di marcia più recente, così come il taglio dei tassi a settembre, non era affatto mirato a facilitare la vita alla Harris (se così fosse stato Powell avrebbe iniziato a tagliare i tassi a gennaio dell'anno scorso, come minimo) bensì a spianare la strada a Trump e a coloro che lo rappresentano per davvero. Li chiameremo New York Boys, o in termini più profani quel conglomerato di grande banche commerciali situate nella costa orientale degli Stati Uniti.
Il “dovere” della FED è quello di proteggere le banche commerciali degli USA, in particolar modo quelle grandi. Le banche centrali, alla fine della fiera, sono solo uno strumento per costringere le banche capitalizzate a fornire liquidità a quelle meno capitalizzate. Non hanno alcun potere sui tassi reali. Il loro gioco è tutto sulle percezioni, ma così come il mondo è costruito al giorno d'oggi esse sono fondamentali e dirimenti. Gli azionisti della FED sono le 12 banche regionali Federal Reserve e gli azionisti di queste ultime sono le grandi banche in quelle giurisdizioni. In un mondo che viene direzionato verso una CBDC e un sistema di credito basato su di essa, il sistema bancario commerciale è destinato a scomparire. Quello americano ha detto “No” e l'ha fatto sapere tramite la FED che, negli ultimi 7 anni, ha lavorato per cambiare la politica monetaria per la prima volta sin da Bretton Woods: piuttosto che mettere toppe all'economia mondiale mandando fuori i dollari, ricostruire quella interna rimpatriandoli. E questo lo si fa cambiando il modo in cui i dollari vengono prezzati nel mercato aperto: dal LIBOR al SOFR, un punto spiegato nel mio ultimo libro Il Grande Default. Questa svolta epocale ha permesso al dollaro di essere prezzato a livello globale in base alla salute reale degli Stati Uniti, delle sue istituzioni creditizie e dei suoi mercati monetari. Per quanto possa essere auspicabile un sistema monetario basato sull'hard money, l'attuale periodo di transizione è un passo nella giusta direzione. Per quanto si possa concordare, filosoficamente, sull'abolizione del sistema bancario centrale, a livello pratico, oggi, la Federal Reserve è quanto di più concreto per smantellare i piani per un futuro distopico.
Infatti è impensabile e suicida svoltare nettamente verso una soluzione hard money mentre nel resto del mondo esistono ancora le banche centrali. Voglio dire, come si crede abbia fatto l'Inghilterra a mandare avanti il suo impero colonialista negli ultimi 150 anni? Certo, l'avanzo commerciale nei confronti degli Stati Uniti è stato utile per controllare/influenzare la politica estera/interna americana e minarla dall'interno. Ma come l'hanno finanziato? Ovviamente non tramite i dazi, non sarebbero stati sufficienti, ma principalmente tramite la Banca d'Inghilterra che stampava sterline, svuotava la propria economia e la posizionava come collaterale, e colonizzava il resto del mondo facendo girare questa ruota per criceti attraverso il flusso di cassa proveniente dai Paesi colonizzati. Questo è quello che succederebbe domani se venisse abolita di colpo la FED. In un mondo fatto di banche centrali c'è bisogno di un esercito adeguato per difendersi.
Quindi l'obiettivo dell'amministrazione Trump e delle grandi banche commerciali americane è quello di regionalizzare il dollaro. Se altri Paesi vogliono usarlo come mezzo per saldare i loro commerci, ottimo, ma non potrà più essere usato come arma contro gli USA stessi. Questa linea d'azione è diventata chiara nel 2019 e successivamente nel 2021: impossibilità di apporre garanzie europee nel mercato pronti contro termine americano, rialzo dei tassi in quest'ultimo mercato e creazione di una finestra particolare nella Federal Reserve dedicata esclusivamente ai player esteri che vogliono entrare in tale mercato. Powell creò nell'effettivo un muro tra il sistema bancario americano e quello del resto del mondo: la Federal Reserve avrebbe funto da banca centrale degli Stati Uniti, non più del mondo attraverso il “ricatto” degli eurodollari. Questo risanamento monetario è stato contrastato in ogni modo dall'amministrazione Biden, infiltrata da player ostili, che ha cercato di costringere la FED a monetizzare ogni ridicolo piano di spesa partorito dalla loro mente contorta: leggi contro l'inflazione, aiuti esteri, ampliamento della burocrazia, leggi contro il cambiamento climatico, ecc. Il contingentamento dei flussi in entrata/uscita dei dollari ha reso necessario appoggiarsi esclusivamente sul lato fiscale dell'equazione da parte di coloro che avevano urgente necessità di dollari all'estero: Bruxelles, Londra, Pechino, spiccano di più. Meno efficace della “stampa” diretta di denaro, l'ulteriore saturazione dei bilanci pubblici americani ha dato l'idea di quanto fosse gonfio e profondo il mercato degli eurodollari.
Infatti non è mai stato un problema del mercato degli eurodollari stesso, bensì di riserva frazionaria applicata a esso in tempi di ZIRP. Il ruolo della FED nel porre ordine, guardrail se volete, tra i dollari in patria e quelli all'estero è stato cruciale per iniziare a drenare e ridurre l'ipertrofia della leva finanziaria cui è stato sottoposto il mercato degli eurodollari. Con Bernanke e la Yellen si potevano comprare dollari a costo praticamente zero e poi prestarli nel sistema bancario ombra affinché venissero creati tutta una serie di prodotti finanziari over the counter con cui tirare su ulteriori quantità di denaro da usare poi per comprare elezioni, finanziare operazioni d'intelligence, rivoluzioni colorate, finanziare le ONG, ecc. Era il Paese dei balocchi per tutti, tranne per il bilancio degli Stati Uniti stessi che veniva saturato progressivamente. Per l'appunto, oltre al Dilemma di Triffin, il problema reale era la saturazione dei bilanci e la valutazione del rischio fuori controllo. Se davvero Wall Street avrebbe potuto fare i soldi con la MMT a quest'ora sarebbe la linea di politica ufficiale e tutti conoscerebbero i nomi degli squinternati che la vanno decantando sui social media. Invece chi ha dato voce a tale marmaglia erano gli stessi che volevano semplicemente continuare ad avere una giustificazione per scalare ostilmente gli Stati Uniti. La crisi definitiva del sistema eurodollaro nel 2008, innescata sostanzialmente dalla Legge dei rendimenti decrescenti, ha aperto gli occhi allo zio Sam e le contromosse sono arrivate solo 8 anni più tardi: l'elezione di Trump e l'inizio dei lavori per l'SOFR un anno dopo.
Questo lasso di tempo vi da un'idea di quanto fosse intricato sbrogliare una matassa del genere, senza contare che l'SOFR è entrato in vigore ufficialmente nel 2022 e il pulsante dell'“armageddon monetario” contro i globalisti è stato spinto solo nel 2019. Ora la questione è tutta fiscale e il taglio preannunciato di circa $2.000 miliardi dal budget federale dovrà essere solo l'inizio. I prossimi 6 mesi saranno cruciali da questo punto di vista, perché poi bisognerà farsi trovare pronti per le elezioni di medio termine e mi aspetto, quindi, che Powell taglierà i tassi anche questo mese. Diversamente da quello che la maggior parte dei commentatori crede, ci sarà inflazione dei prezzi, sì, ma non nei settori finanziari. Non inizialmente almeno. Ci sarà inflazione dei prezzi nei settori delle commodity: i tagli alle tasse e un ambiente di credito più rilassato permetteranno di soddisfare una domanda latente per far ripartire la macchina economica americana. Costruire cose, efficientare il settore energetico, ottimizzare le catene di approvvigionamento, sono elementi questi che spingeranno in su i prezzi delle materie prime e spingeranno giù quegli degli asset finanziari. Solo dopo questa fase accadrà il contrario. Il ciclo di rialzo dei tassi serviva sostanzialmente a creare la famosa “onda rossa”.
Il controllo del Congresso da parte dei NY Boys serve innanzitutto a invalidare la yield curve control implementata dalla Yellen (come minimo) sin da aprile dello scorso anno, dando l'idea che gli USA fossero in grossi guai dal punto di vista squisitamente tecnico: inversione della curva dei rendimenti. Ripeto: mettere ordine sul lato fiscale dell'equazione è fondamentale per far riguadagnare credibilità allo zio Sam. La FED ha enorme influenza sul lato sinistro della curva (front-end) e, dato che esiste ancora una forte domanda per la parte destra (back-end) in virtù dell'alto livello qualitativo dei titoli sovrani americani, una volta che Trump implementerà i tagli alla spesa insieme a un abbattimento dell'imposta sul reddito, il mondo intero percepirà serietà e concretezza nella volontà di mettere a posto le cose. Al di là di quello che possono dire Moody's o Ficht. Una domanda reale e solida sosterrà la parte destra della curva in modo che Powell possa tagliare quella sinistra e avere una curva “normale”: rendimenti da 3 a 5 piuttosto che da 5 a 7. Questo a sua volta significa che le banche potranno tornare a prestare in base a un differenziale di rendimento 2/10 che permetterà loro di staccare un margine netto d'interesse decente. E questo fenomeno chi andrà a ricapitalizzare? Non le GSIB, bensì le banche locali, il credito cooperativo... insomma le banche di piccole e medie dimensioni che più hanno sofferto durante il ciclo di rialzo dei tassi da parte di Powell.
Lo sforzo più grande è quello di far riguadagnare fiducia nel sistema attuale, nel modo di fare americano. Per farlo il bilancio della Federal Reserve dovrà essere ricapitalizzato e, soprattutto, abbassato. Secondo me un obiettivo plausibile sarebbe quello di un bilancio della FED da circa $3.000 miliardi. E sì, è possibile abbassare i tassi e al tempo stesso restringere il bilancio. Inutile dire che questo processo dovrà essere puntellato. Come? Entrano in scena la riserva strategica di Bitcoin e l'oro. Entrambi gli asset rappresentano un barometro per la misurazione del rischio, il secondo più del primo data la sua storia. Malgrado ciò entrambi sono asset in grado di ripristinare credibilità e fiducia a qualsiasi bilancio percepito come compromesso. Questo significa che se i loro prezzi vengono lasciati correre, ciò servirà a schermare il bilancio dell'entità che li possiede dal rischio di controparte. Cedole dei titoli sovrani americani parzialmente redimibili in oro e prodotti finanziari emessi su Bitcoin, permetterebbero allo zio Sam di puntellare la propria strategia e prendere più piccioni con una fava: collateralizzare le passività non finanziate future, arginare l'aumento del debito pubblico, rendere felici gli investitori (flusso di cassa in dollari + hard asset che si apprezzano), attirare capitali esteri e ammorbidire la nuova ondata di inflazione dei prezzi delle commodity.
L'oro a Fort Knox, per quanto possa essere stato sottoposto a leasing multipli, rimane sempre lì; ciò che è cambiato sono le cambiali emesse su di esso. Alla fine della fiera vince chi ha l'asset fisico, che sia l'oro o Bitcoin. E non è un caso, quindi, che Blackrock ormai possegga lo stesso ammontare di BTC posseduti da Satoshi. Tutto questo, comunque, non sarebbe possibile senza il controllo politico/fiscale, ovvero senza il controllo del Dipartimento del Tesoro. Ora che la Yellen è andata e non può più fornire titoli sovrani americani a profusione a Bruxelles e a Londra, permettendo a queste ultime di usarli per tenere un tetto sui rendimenti sovrani delle rispettive giurisdizioni, il cappio al collo dell'euro si stringe ulteriormente. L'Europa è spacciata sotto ogni punto di vista, non ultimo il settore delle comunicazioni. E questo vale ancor di più per Londra.
Vedere gli inglesi contorcersi perché la loro colonia preferita gli sta sfuggendo di mano, e con essa la possibilità di finanziare a costo zero lobby e ONG con cui influenzano il mondo, non ha prezzo. https://t.co/76WfTQ3cgz
— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) January 7, 2025CONCLUSIONE
In questo saggio ci siamo spostati progressivamente dal livello micro a quello macro. Abbiamo visto come dovrebbero comportarsi gli investitori nell'attuale contesto socioeconomico per proteggere i propri risparmi dalla guerra più ampia in corso tra cricca di Davos e NY Boys. Quest'ultimo è il livello macro, invece.
Nel fuoco incrociato finiranno tutti coloro che non si prepareranno: essere consapevoli di questa belligeranza permette di sapere altresì come togliere rumore di sottofondo dal quadro generale. Ad esempio, che fine ha fatto tutto il FUD di fine anno scorso nei confronti di Tether? Sparito.
Tanti bot sui social che ci tenevano ad ammorbarci coi loro sproloqui sul fatto che la nuova regolamentazione europea avrebbe depeggato irreversibilmente il dollaro col Tether dollaro. Forse non è chiara una cosa: senza il leveraging nel mercato dell'eurodollaro, Bruxelles e Londra non hanno potere contrattuale. Forse non è chiaro che è il crosspair EUR/USD che si sta schiantando. È una questione di consapevolezza: chi è preparato e ha capito chi sono le parti in guerra, e quindi si posiziona di conseguenza, e chi non ha idea di cosa stia succedendo e reagisce in base al vento che tira. Il massacro finanziario è garantito e le perdite anche. Chi invece ha letto il mio libro, Il Grande Default, o ha usufruito e usufruisce regolarmente del mio servizio di consulenze, ha chiaro in mente il quadro generale e si posiziona di conseguenza riuscendo altresì a rimuovere tutto il rumore di fondo, dannoso e inutile.
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
L'ascesa di Bitcoin è un trionfo per la verità e la realtà economica
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lascesa-di-bitcoin-e-un-trionfo-per)
È successo: Bitcoin ha superato la cifra tonda dei $100.000. Con la continua espansione monetaria del dollaro, questo era, prima o poi, l'unico risultato logico per una qualsiasi valuta fiat scoperta.
Forse non l'avete notato, ma il mondo di Bitcoin sembra straordinariamente calmo anche a sei cifre. Non ci sono Max Keiser che urlano “F*ck Elon” a folle estatiche, nessun giocatore degenerato che compra bitcoin con una leva finanziaria del 100X.
Una sensazione simile si è verificata all'inizio dell'anno scorso quando Bitcoin aveva superato per la prima volta il suo precedente massimo storico pochi mesi dopo l'approvazione degli ETF, e poi di nuovo la notte delle elezioni, quando il prezzo è stato il primo a indicare che la vittoria di Trump era imminente.
Rispetto al 2021 e al 2022, quando i bitcoiner erano tutti ubriachi e confusi dalla velocità con cui tutto questo era accaduto e inondati da truffe di sh*tcoin e vari disastri Ponzi (es. FTX, BlockFi, Three Arrows Capital), ora tutto è piuttosto calmo. Allora quelli di noi immersi fino al collo nello spazio Bitcoin erano stati presi d'assalto da commenti e messaggi di amici e familiari: “Come funziona? È una bolla? Ora sei in pensione? Wen Lambo?”.
Questa volta Bitcoin non si basa sulla bassa liquidità di mercato e su una discutibile ingegneria finanziaria, ma su ingenti afflussi dagli ETF, dai risparmiatori che vogliono sfuggire alla trappola del debito e da quello che sembra essere un continuo aumento di acquisizioni da parte di diversi fondi sovrani.
Ora è tutto “stranamente normale”. Lo scopo di Bitcoin non è un rapido ritorno finanziario in un classico schema pump-and-dump; è qui per riparare il mondo monetario a pezzi. Il numero di aziende che costruiscono usi critici (assicurazione, wallet hardware e app che anche vostra nonna potrebbe usare, rilevamento delle frodi, riscaldamento domestico, verifica dei risultati elettorali) corrisponde davvero alle aspirazioni di questa tecnologia rivoluzionaria.
Ha scritto Pete Earle il 5 dicembre, quando il tasso di cambio di Bitcoin rispetto al dollaro ha superato per la prima volta quota $100.000: “La sua ascesa a $100.000 dimostra come l'innovazione decentralizzata e senza autorizzazioni possa sfidare, migliorare e superare i sistemi legacy, compresi quelli in ambito monetario”.
Ciononostante la situazione è incredibilmente tranquilla: tutti continuano a lavorare, un passo alla volta.
Tutti abbiamo fatto i compiti a casa leggendo, imparando, facendo podcasting, pubblicando libri e articoli e riflettendo sulla natura del denaro nella società. Durante i nostri spostamenti, durante le pause pranzo, prima di andare a letto, durante le pause per andare in bagno, abbiamo riflettuto sulle conseguenze di una moneta a offerta fissa con cui non si poteva scherzare. Abbiamo trascinato le nostre dolci metà alle conferenze di Miami, Praga, Lugano e Madeira invece di andare in vacanza a Yosemite, Cape Cod, Londra, o Marsiglia.
Abbiamo imparato di più sui nostri sistemi politici, economici e monetari disfunzionali. Dopo un decennio o più di politiche fiscali e monetarie folli e irresponsabili, abbiamo visto i nostri governanti cedere alla disperazione e il sistema politico corrotto mostrare senza sosta i suoi difetti come se fossero virtù. Li abbiamo visti stampare, spendere, inflazionare, censurare, bloccare i pagamenti, sequestrare beni e cacciare dalle piattaforme la gente “non allineata”.
In quel mondo è ovvio e inevitabile che Bitcoin (e la sua controparte informativa, Nostr) abbia successo: Bitcoin, in quanto denaro apolitico, è stato creato per questo. Nessuno dovrebbe sorprendersi che un sacco di gente abbia votato con i propri dollari prima sui mercati Bitcoin e poi il 5 novembre. È chiaro che gli americani ne hanno avuto abbastanza.
Bitcoin è un voto di sfiducia nel caos fiscale e monetario che i nostri funzionari hanno creato. Vogliamo regole, non governanti.
Se consumate troppo i media generalisti e leggete troppo i titoli di giornale, per loro Bitcoin era morto e sepolto. Noioso. Irrilevante. Una truffa sofisticata, nata da un sistema monetario a buon mercato. Infatti è morto centinaia di volte; quelli di noi che hanno trascorso abbastanza ore per studiare veramente Bitcoin hanno sentito roba del genere così tante volte da esserne esausti.
Quando Bitcoin ha toccato brevemente massimi più alti durante la scorsa primavera, Peter Schiff l'ha definito la “bolla definitiva” e ha etichettato “folle” Michael Saylor. La cosa più divertente è che Bitcoin era morto a febbraio dell'anno scorso a detta di due economisti della BCE, i quali lo hanno dichiarato inutile e pericoloso. Quegli stessi tizi erano tornati in autunno, preoccupati delle “conseguenze distributive” per la società se Bitcoin avesse continuato ad apprezzarsi per sempre (cosa sarebbe successo?). Persino gli autori di Alphaville del Financial Times, che non sono amici di Bitcoin, hanno ridicolizzato l'ipocrisia della BCE che ha più da perdere nel caso in cui Bitcoin avesse successo: “Ovviamente a nessuno nell'anno del Signore 2024 importa davvero cosa dice la BCE su Bitcoin”.
Il modo in cui Bitcoin risorge è trattato meno di frequente. Come uno scarafaggio, l'epiteto che The Economist gli ha dato a dicembre dell'anno scorso, torna, ancora e ancora, ogni volta più forte e rumoroso di prima. Con più utenti, più persone che lo usano e lo accettano negli scambi, con più hash rate che lo protegge e più prodotti che lo integrano.
Ormai è integrato nell'infrastruttura elettrica della nazione e nei suoi mercati finanziari. È un potenziale nuovo mezzo di scambio, regolarmente disprezzato dagli economisti dell'establishment e invece abbracciato da outsider e personaggi politici non convenzionali come Nayib Bukele e Javier Milei (e apparentemente persino da Vladimir Putin), oltre alla “plebe” e ai cosiddetti deplorevoli.
L'ascesa di Bitcoin non è un semplice trionfo circostanziale, ma un riflesso della capacità delle persone di discernere la verità tra condizioni economiche difettose. Il prezzo è importante, ciononostante la sua crescita è una testimonianza del desiderio popolare di asset decentralizzati, affidabili e resistenti all'inflazione.
Qualunque sia la vostra opinione su Bitcoin, che l'abbiate ignorato o studiato attentamente, che lo riteniate un gioco d'azzardo illegale, un rumore irrilevante o la cosa migliore per l'umanità, mentre il sistema monetario tradizionale peggiora sensibilmente, Bitcoin migliora relativamente.
Il massimo storico di Bitcoin non è solo una pietra miliare per questa nuova valuta; significa un cambiamento più ampio nel modo in cui gli individui percepiscono e interagiscono con il denaro. Il sistema finanziario e le condizioni monetarie in cui viviamo hanno un disperato bisogno di rampe di uscita e la rivoluzione è qui per questo.
Mantenete la calma e continuate a costruire, amici miei.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Siria: un caso di follia a palate del cosiddetto “Empire First”
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/siria-un-caso-di-follia-a-palate)
Se mai c'è stato un momento che ha messo a nudo l'assoluta stupidità e futilità della politica “Empire First” di Washington, è sicuramente quello delle rovine fumanti della Siria. Quest'ultima è stata il culmine inconcludente dei 13 anni di sforzi di Washington nel voler distruggere il suo legittimo governo, sostenendo che Assad era un brutale tiranno e un saccheggiatore della misera ricchezza del Paese.
Il fatto è che probabilmente era proprio questo, e potrebbe benissimo essere stato tra i peggiori delle decine di tiranni che opprimono i loro cittadini in nazioni grandi e piccole in tutto il mondo, ma forse Dio Onnipotente ha consacrato Washington come una specie di Buon Pastore planetario incaricato di portare un governo giusto e gentile a tutti i popoli del pianeta?
Penso proprio di no. Infatti il mantenimento di una Repubblica costituzionale sostenibile, prospera e libera richiede fedeltà all'opposto: un sistema di governo piccolo e solvente, anche lato Pentagono. Di conseguenza l'unico scopo della politica estera dovrebbe essere la salvaguardia della sicurezza e della libertà della patria, non il controllo dell'etichetta di governanti dall'altra parte del globo che non rappresentano alcuna minaccia militare alla sicurezza della nostra patria.
Eppure Washington ha ritenuto opportuno, nell'ultimo decennio e mezzo, di pompare più di $40 miliardi in aiuti militari palesi e segreti, sostegno economico e assistenza umanitaria a una pletora di forze di opposizione siriane senza alcuno scopo evidente in merito a sicurezza nazionale. Al contrario, la spesa di tutto questo capitale politico è stata progettata solo per effettuare un cambio di regime a Damasco ed espellere il governo di Assad dal suo controllo su quelle che, fino a poche settimane fa, erano le restanti aree bianche della mappa qui sotto.
Eppure le regioni colorate che circondano quello che ora è il vuoto della caduta di Assad vi dicono tutto quello che c'è da sapere sulla follia di questa impresa e sul perché in verità Washington ha dato alla luce un altro stato fallito; e lo ha fatto ancora una volta con il pretesto di combattere il terrorismo, questa volta la banda di jihadisti dell'ISIS che hanno piantato le loro bandiere nere nelle polverose città dell'Alto Eufrate con al centro Raqqah (area viola).
La verità è che le aree bianche, tra cui la regione di Damasco precedentemente controllata dal governo di Assad, erano il vero baluardo contro una rinascita dei tagliagole dell'ISIS, emersi nel 2014 dalle ceneri del fallito intervento di Washington per il cambio di regime in Iraq. Quindi anche se la scelta fosse stata tra il male minore, chiunque avesse avuto la testa sulle spalle avrebbe potuto vedere che rafforzare, o almeno tollerare tacitamente, il regime laico e pluralista alawita di Damasco era di gran lunga preferibile ai fanatici del Califfato dell'ISIS.
Detto in altri termini, una debacle in Iraq avrebbe sicuramente dovuto giustificare un ripensamento sul continuare a perseguire un secondo tentativo di cambio di regime nella vicina Siria. Dopo tutto, la minaccia dell'ISIS che aveva afflitto la Siria orientale era stata la progenie del disastroso intervento di Washington contro Saddam Hussein. Infatti, come nel caso di Assad, Hussein non aveva rappresentato alcuna minaccia per la sicurezza nazionale americana, ma era stato comunque trattato con la terapia “shock and awe” di un massiccio attacco militare e la forca perché era stato accusato di essere un tiranno saccheggiatore degli avidi emiri che governavano i giacimenti petroliferi della porta accanto.
Ahimè, i geni del cosiddetto “Empire First” sulle rive del Potomac non hanno capito niente di tutto questo. Il loro piano geniale era di sbarazzarsi sia dei jihadisti dell'ISIS che del regime di Assad allo stesso tempo. Ma nel tentativo di farlo hanno finito per creare due nuovi mostri militarizzati dalle dislocazioni economiche e dagli scontri tribali che sono derivati dalla stessa guerra civile che avevano scatenato.
Il precedente territorio controllato dall'ISIS in viola è ora controllato dalle milizie curde SDF (Syrian Democratic Forces) finanziate dagli Stati Uniti. Queste ultime sono il nemico mortale del presunto alleato NATO di Washington, la vicina Turchia, la quale combatte i curdi da decenni.
Infatti, a causa di questa minaccia, la Turchia ha sostenuto e finanziato l'SNA (Esercito Nazionale Siriano) anti-curdo, il quale occupa le terre di confine in giallo. Qualche anno fa l'SNA si chiamava FSA (Esercito Siriano Libero), un'idea sostenuta e gestita dalla CIA e del defunto senatore John McCain, il quale non ha mai incontrato un Paese in Medio Oriente che non desiderasse invadere e occupare.
Nel frattempo neanche i jihadisti erano stati eliminati, come aveva trionfalmente affermato Trump quando Washington aveva bombardato Raqqa e le aree circostanti nel 2017, e aveva anche finito il suo leader terrorista, Abu Bakr al-Baghdadi, nel 2019. Come l'SNA il contingente jihadista si era semplicemente trasformato. Due volte.
Quello che oggi è HTS (Hay'at Tahrir al-Sham), che apparentemente controlla il corridoio rosso da Aleppo fino a Damasco, era precedentemente noto come Fronte Nusra. Questo quando il suo attuale leader, Abu Mohammad al-Julani, era un jihadista. Nel 2011 era stato inviato nella Siria orientale per fomentare una rivolta dal suo mentore e terrorista, il già citato al-Baghdadi. Entrambi erano laureati in quella scuola di formazione carceraria per jihadisti sunniti a Camp Bucca in Iraq, in seguito soprannominata “Washington's Jihadi University”. Questa mostruosità da 20.000 prigionieri era stata fondata dai proconsoli di Washington dopo la caduta di Saddam come parte della folle campagna di de-batificazione nel 2003.
Alla fine del decennio scorso Washington aveva inasprito la sua campagna di liberazione dell'Iraq e stava tentando di liberarsi dalla sua fallita disavventura militare multimiliardaria. Di conseguenza si impegnò a svuotare suddetta prigione sovraffollata in quella che è diventata nota come la “Grande liberazione carceraria del 2009”, rimettendo in libertà 5.700 detenuti di massima sicurezza dalla prigione di Bucca. Tra questi c'erano Baghdadi e Julani.
Mentre il primo organizzava e guidava la rivolta sunnita a Mosul e nella provincia di Anbar nell'Iraq occidentale, il Fronte al-Nusra fu fondato come entità separata in Siria da al-Julani. Inizialmente era una propaggine di al-Qaeda in Iraq, ma nell'aprile 2013 al-Baghdadi annunciò che il Fronte al-Nusra si era fuso con l'ISIS per formare lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL).
Tuttavia al-Julani e il Fronte al-Nusra rifiutarono questa fusione e presero strade separate, assumendo il ruolo di forza jihadista indipendente con base nella Siria occidentale e roccaforti a Idlib e Aleppo. In seguito il suo Fronte al-Nusra guidò la conquista di questa regione nel 2015 sotto la bandiera di Jaish al-Fatah (l'Esercito della Conquista). Quest'ultimo fu, a sua volta, descritto all'epoca dalla rivista Foreign Policy come una “sinergia” di jihadisti e armi occidentali.
Anni dopo il funzionario statunitense Brett McGurk non esitò a definire la base di Idlib di al-Julani come “il più grande rifugio sicuro di Al-Qaeda sin dall'11 settembre”. Naturalmente il ruolo cruciale delle armi e degli aiuti strategici statunitensi nel favorire questo successo jihadista non venne menzionato.
Allora perché gli USA hanno fornito armamenti al Fronte al-Nusra? Un rapporto della Defense Intelligence Agency (DIA) dell'agosto 2012, scritto sotto gli auspici del generale Michael Flynn, fece uscire la verità: i neoconservatori e gli egemonisti di Washington avevano deciso di sostenere l'istituzione di un “principato salafita” nella Siria orientale e nell'Iraq occidentale come parte dello sforzo per deporre il presidente Bashar al-Assad e dividere il Paese.
Il rapporto della DIA affermava che l'obiettivo degli Stati Uniti era un mini-stato religioso del tipo istituito in seguito dall'ISIS come suo “califfato”, pur ammettendo che la cosiddetta rivoluzione siriana che cercava di rovesciare il governo di Assad era guidata da “salafiti, Fratelli Musulmani e al-Qaeda”.
Infatti, come indicato sopra, i semi di questo principato salafita erano stati piantati quando l'allora leader dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, aveva inviato Julani in Siria nell'agosto 2011. Il famoso giornalista libanese, Radwan Mortada, che era incorporato con i combattenti di Al-Qaeda dal Libano in Siria, incontrò Julani nella città centrale siriana di Homs in quel periodo. Mortada informò i suoi lettori che Julani era ospitato dalle Brigate Farouq, una fazione dell'FSA con sede nella città, e che era un gruppo salafita settario che includeva combattenti che avevano combattuto per al-Qaeda in Iraq dopo l'invasione statunitense del 2003.
Pochi mesi dopo Julani e i suoi combattenti entrarono in guerra contro il governo siriano eseguendo molteplici attacchi terroristici. A Damasco, nel dicembre 2011, Julani inviò attentatori suicidi per colpire la Direzione generale della sicurezza del governo siriano, uccidendo 44 persone, tra cui civili e personale di sicurezza. Due settimane dopo, nel gennaio 2012, Julani inviò un altro attentatore suicida per far esplodere degli esplosivi vicino a un autobus nel distretto di Midan a Damasco, uccidendo circa 26 persone.
Questi fatti sanguinosi, che coincidono con la fondazione del “Fronte di supporto al popolo del Levante”, o Fronte al-Nusra, furono rivelati dopo che al giornalista Mortada fu fornito un video in cui Julani e altri uomini mascherati annunciavano l’esistenza del gruppo e rivendicavano la responsabilità degli attacchi. Questa è quindi la discendenza del leader e del gruppo che presumibilmente ha “liberato” la Siria dalle grinfie della famiglia Assad.
In ogni caso, quando l'epicentro dell'ISIL con sede a Raqqah fu demolito dopo il 2017, il Fronte al-Nusra resistette, cambiando il suo nome in Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nell'ottobre 2017. Questo rebranding faceva parte di uno sforzo per prendere le distanze da al-Qaeda e ristrutturare il gruppo fondendosi con diverse altre fazioni jihadiste.
Per diversi anni HTS è rimasta confinata nella sua ristretta base territoriale di Idlib, anche se assalita da continui attacchi da parte delle forze di Assad e dei suoi alleati russi nella zona.
Tuttavia al-Julani ha resistito, reinventando sé stesso di recente come Ahmed al-Sharaa, che è il suo vero nome. Ora porta una barba ancora più corta rispetto alla seconda foto qui sotto e a volte indossa persino una cravatta, mentre afferma di essere un “amico della diversità” di tutti i siriani: cristiani, alawiti, drusi ecc. Vale a dire, gli stessi ex-nemici infedeli del Califfato che in precedenza al-Julani aveva decretato di dover mandare a morte per antico ordine dello stesso Profeta.
In breve, la Siria è ora destinata a diventare un caos ben peggiore di quello della Libia dopo la sua liberazione da parte di Hillary Clinton nel 2011. Come è evidente da quanto sopra, è necessario un elenco di giocatori per iniziare a comprendere la follia che si sta svolgendo lì, ma la sempre astuta Moon of Alabama ha riassunto lo stato delle cose nel miglior modo possibile:
Ora è altamente probabile che il Paese crollerà. Attori esterni e interni cercheranno di catturare e/o controllare quante più parti del cadavere possibile.
Ne seguiranno anni di caos e conflitti.
Israele sta prendendo un'altra grande quantità di terra siriana. Ha preso il controllo della città siriana di Quneitra, insieme alle città di Al-Qahtaniyah e Al-Hamidiyah nella regione di Quneitra. È anche avanzato nel monte Hermon siriano e ora è posizionato a soli 30 chilometri dalla capitale siriana.
Sta inoltre smilitarizzando la Siria bombardando ogni sito di stoccaggio militare nel suo raggio d'azione. Le posizioni di difesa aerea e le attrezzature di sollevamento sono i suoi obiettivi principali. Per anni a venire la Siria, o qualsiasi cosa possa evolversi da essa, sarà completamente indifesa contro gli attacchi esterni.
Israele è per ora il grande vincitore in Siria, ma con gli inquieti jihadisti ora proprio sul suo confine, resta da vedere per quanto tempo durerà.
Gli USA stanno bombardando il deserto centrale della Siria. Sostengono di colpire l'ISIS, ma il vero obiettivo è qualsiasi resistenza locale (araba) che potrebbe impedire una connessione tra l'Est della Siria controllato dagli USA e il Sud-ovest controllato da Israele. Potrebbero esserci dei piani per costruire ulteriormente questa connessione in un Eretz Israel, uno stato controllato dai sionisti “dal fiume al mare”.
La Turchia ha avuto e ha un ruolo importante nell'attacco alla Siria. Sta finanziando e controllando l'Esercito nazionale siriano (in precedenza Esercito siriano libero) e che sta principalmente usando per combattere i separatisti curdi in Siria.
Ci sono circa 3-5 milioni di rifugiati siriani in Turchia che l'aspirante sultano Erdogan vuole, per ragioni di politica interna, far tornare in Siria. Il caos in evoluzione non lo permetterà.
La Turchia aveva nutrito e spinto Hayat Tahrir al-Sham, derivato da al-Qaeda, a prendere Aleppo. Non si aspettava che andasse oltre. La caduta della Siria sta diventando un problema per la Turchia, poiché gli Stati Uniti ne stanno prendendo il controllo. Washington cercherà di usare HTS per i propri interessi che, detto con moderazione, non sono necessariamente compatibili con qualsiasi cosa la Turchia voglia fare.
Un obiettivo primario per la Turchia sono gli insorti curdi in Turchia e il loro sostegno da parte dei curdi in Siria. Organizzati come SDF, i curdi sono sponsorizzati e controllati dagli Stati Uniti. SDF sta già combattendo SNA di Erdogan e qualsiasi ulteriore intrusione turca in Siria sarà affrontata da loro.
SDF, supportato dall'occupazione statunitense della Siria orientale, ha il controllo dei principali giacimenti di petrolio, gas e grano nell'Est del Paese. Chiunque voglia governare a Damasco avrà bisogno di accedere a quelle risorse per poter finanziare lo stato.
Nonostante abbia una taglia da $10 milioni sulla sua testa, il leader di HTS, Abu Mohammad al-Golani, è attualmente descritto dai media occidentali come il nuovo leader unificante e tollerante della Siria. Ma HTS è di per sé una coalizione di jihadisti intransigenti provenienti da vari Paesi. C'è poco da saccheggiare in Siria e non appena quelle risorse saranno esaurite, inizieranno i combattimenti all'interno di HTS. Al-Golani riuscirà a controllare gli impulsi settari dei suoi compagni quando questi inizieranno a saccheggiare i santuari sciiti e cristiani di Damasco?
Negli ultimi anni la Russia ha investito meno nel governo di Assad di quanto sembrasse. Sapeva che Assad era diventato un partner per lo più inutile. La base russa nel Mediterraneo a Khmeimim nella provincia di Latakia è il suo trampolino di lancio verso l'Africa. Ci saranno pressioni da parte degli Stati Uniti su qualsiasi nuova leadership in Siria per cacciare i russi. Tuttavia, qualsiasi nuova leadership in Siria, se intelligente, vorrà tenere i russi dentro. Non è mai male avere una scelta alternativa se alla fine ce ne fosse bisogno. La Russia potrebbe benissimo rimanere a Latakia per anni a venire.
Con la caduta della Siria, l'Iran ha perso il principale anello del suo asse di resistenza contro Israele. Le sue difese avanzate, fornite da Hezbollah in Libano, sono ora in rovina.
Ma ecco la domanda cruciale: qual era esattamente il punto nel voler distruggere un piccolo Paese in gran parte senza sbocchi sul mare in Medio Oriente, con una popolazione di appena 20 milioni di persone, un PIL di soli $40 miliardi, un reddito pro capite di appena $2.000, nessuna risorsa naturale significativa oltre una miseria di 2,5 miliardi di barili di riserve di petrolio (pari a circa 30 giorni di produzione globale di petrolio), nessuna capacità siderurgica o industriale, nessun settore tecnologico, nessuna capacità di proiettare alcun potere militare oltre i propri confini e un settore dei consumatori così devastato dalle guerre civili istigate da Washington che le vendite totali di auto nel 2022 sono state di 478 unità?
Esatto. Nessuno!
In fin dei conti, nemmeno Washington è così stupido da sprecare $40 miliardi in questo fazzoletto di terra. Quello che è realmente successo qui è che, secondo i fanatici della dottrina “Empire First”, Assad doveva essere rimosso perché aveva gli alleati sbagliati e i vicini sbagliati. La demonizzazione della sua tirannia era solo una storia di copertura per il vero obiettivo: indebolire il suo alleato iraniano.
In quanto minoranza alawita, che è una branca dell'Islam sciita, Assad si era allineato con i suoi parenti sciiti a Teheran e aveva permesso che il territorio siriano venisse utilizzato da questi ultimi per trasportare armi e materiali agli alleati iraniani di Hezbollah nel Libano meridionale, il che rientrava pienamente nei suoi diritti sovrani, soprattutto perché Hezbollah aveva svolto un ruolo di primo piano nel governo di coalizione del Libano. Quindi distruggere quel nesso sciita è stata la vera ragione della guerra implacabile di Washington contro Assad e del suo incessante abbraccio e finanziamento di tutti i detriti e i rottami sgradevoli che filtravano dalla devastante guerra civile siriana.
Non esiste che la sicurezza interna dell'America fosse stata messa in pericolo dall'alleanza sciita Iran-Siria-Hezbollah, o dal fatto che uno stato sovrano membro di quell'alleanza (la Siria) abbia permesso che il suo territorio fosse utilizzato per trasportare armi e materiale. L'unica possibile ragione per la follia ventennale di Washington in Siria, quindi, è la proposizione che l'Iran sia una minaccia esistenziale per la libertà e la sicurezza della patria americana... a 6.400 miglia da Teheran.
È una barzelletta assurda, tanto per usare un eufemismo. Il PIL iraniano di $400 miliardi equivale a solo l'1,5% o cinque giorni di PIL degli Stati Uniti. Allo stesso modo, il suo budget militare di $25 miliardi è solo il 2,5% del mostro da $1.000 miliardi domiciliato al Pentagono.
La piccola Marina iraniana è composta per lo più da 67 motovedette costiere e imbarcazioni d'attacco veloci, nessuna delle quali può operare molto al di fuori del Golfo Persico. Inoltre non ha aerei a lungo raggio e il suo missile a più lungo raggio, il missile da crociera Soumar, non è nucleare e ha una gittata massima di 1850 miglia. Vale a dire, riesce a malapena a raggiungere il bacino del Mediterraneo e non riesce nemmeno a raggiungere città europee come Parigi, Berlino, Copenaghen, Londra, Stoccolma o Oslo, per non parlare di quelle che si trovano dalla nostra parte del fossato atlantico.
Infine l'Iran non è una potenza nucleare canaglia o una minaccia nucleare intenzionale, nemmeno secondo le 17 agenzie di intelligence dello Stato profondo che scrivono i cosiddetti NIE o National Intelligence Estimates. Questi hanno detto più e più volte che l'Iran ha abbandonato persino il suo programma di ricerca nucleare nel 2003, ha rispettato alla lettera l'accordo nucleare di Obama prima che Trump lo abbandonasse unilateralmente nel 2018, e anche ora sta solo arricchendo modeste quantità di uranio a livelli legali, come è sua prerogativa in quanto firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare.
In breve, l'Iran è la pignatta politica di Bibi Netanyahu, non un nemico della libertà e della sicurezza dell'America.
Se Washington non si fosse occupata dell'Impero al primo posto e, soprattutto, non si fosse lasciata trascinare, da alleati e clienti, in conflitti che non hanno alcuna attinenza diretta con la sicurezza della sua patria, Washington avrebbe sempre seguito il consiglio di Thomas Jefferson: perseguire un commercio pacifico con l'Iran e la Siria, anziché punirli con sanzioni paralizzanti e infiniti attacchi alla loro sovranità e al loro diritto di perseguire accordi di politica estera secondo i loro principi.
Cosa farebbe oggi una legittima politica estera improntata al principio “America First”?
Semplice: chiuderebbe le basi in Medio Oriente, rimanderebbe la Quinta Flotta al porto di origine in America, toglierebbe le sanzioni all'Iran e alla Siria, e riprenderebbe il commercio pacifico con tutte le nazioni disponibili nella regione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La vera democrazia può essere solo la libertà
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/la-vera-democrazia-puo-essere-solo)
Con l'avvento della democrazia rappresentativa più di un secolo fa nella maggior parte dell'Occidente, la credenza popolare era che il “governo dei pochi” sarebbe stato relegato nella pattumiera della storia. Ciò non è mai accaduto, ovviamente, come è diventato più chiaro ai “molti” nel corso dei decenni. Infatti l'oligarchia occidentale al potere è diventata più visibile di prima, troppo sfacciata nei suoi tentativi d'imporre la sua agenda globalista al mondo.
L'illusione della democrazia rappresentativa è svanita anche con il peggioramento delle condizioni sociali ed economiche in Occidente. Da un lato, le politiche monetarie e di immigrazione che sono state implementate a lungo termine e senza legittimità democratica stanno influenzando il tessuto stesso delle società occidentali. Dall'altro, il processo democratico stesso ha contribuito alla crescita dell'interventismo statale per oltre un secolo, con effetti disastrosi.
Per queste ragioni la democrazia rappresentativa non può certamente essere associata alla libertà, nonostante quanto si possa credere a livello popolare. Farlo significherebbe che l'essenza della libertà, vale a dire la protezione dei diritti di proprietà, viene spinta in secondo piano. La democrazia non è un baluardo contro la violazione della proprietà privata, è l'esatto contrario. Come scrisse Ludwig von Mises in Nation, State and Economy (1919): “La democrazia è il mezzo migliore per realizzare il socialismo”.
La realtà è che il sistema politico noto come democrazia rappresentativa non è “democratico” nel senso etimologico di “governo del popolo”. Un autentico governo del popolo non potrà mai essere raggiunto da un sistema politico. L'unico modo in cui il popolo può governare è quando ogni sua singola unità è libera politicamente ed economicamente. Questa dovrebbe essere la vera definizione di “democrazia”.
La vera democrazia è il diritto all'autodeterminazione
Dal punto di vista politico il governo del popolo può significare solo il diritto all'autodeterminazione. Mises lo definì in questo modo: “La democrazia è autodeterminazione e autogoverno [...]. Non è il diritto all'autodeterminazione di un'unità nazionale delimitata, ma il diritto degli abitanti di ogni territorio a decidere circa lo stato a cui desiderano appartenere”.
In altre parole, gli individui dovrebbero avere il diritto di secedere da uno stato, politicamente e legalmente, se lo desiderano. Quindi la vera “democrazia” significa anche il diritto alla secessione; la libertà politica aumenta per qualsiasi minoranza, regione o città a cui è consentito decidere di non essere governata da un particolare stato-nazione.
La secessione potrebbe portare all'indipendenza dell'unità secessionista. Tale e completa autodeterminazione, in particolare a livello regionale o comunale, rappresenterebbe un passo importante verso la libertà per gli interessati, perché gli stati più piccoli sono generalmente più liberi e più ricchi di quelli più grandi, come dimostra il caso del Liechtenstein.
La transizione verso tale autodeterminazione da società controllate centralmente non è, ovviamente, semplice. Un primo passo potrebbe essere un aumento del sostegno al principio di sussidiarietà e decentramento fiscale.
La secessione effettiva porterebbe probabilmente a questioni spinose tipo la risoluzione delle rivendicazioni legate alla proprietà privata e al possibile trasferimento volontario di individui che rifiutano la secessione. Un grande ostacolo è quello politico poiché, anche se le secessioni accadono, tali iniziative sono solitamente respinte dallo stato di controllo, anche nelle “democrazie” rappresentative. E quando hanno successo, è spesso con il sostegno egoistico di forze politiche esterne.
La vera democrazia è il libero mercato
Dal punto di vista economico il governo del popolo può esistere solo nel libero mercato, dove gli scambi avvengono senza alcuna interferenza da parte dello stato. Questo è ciò che Mises chiamava, in Human Action (1949), la “democrazia del mercato”.
È l'intervento dello stato nel mercato che conferisce potere politico alla minoranza dominante e limita in innumerevoli modi lo sviluppo e il progresso della società, non da ultimo a livello individuale. La maggioranza può quindi avere più influenza sulla direzione della società solo attraverso una limitazione di questo potere politico. Un aumento della libertà (vale a dire uno scambio più volontario e non forzato) richiede quindi la riduzione del potere dello stato sulla società.
Il libero mercato è l'unico ordine sociale basato sulla sovranità popolare intesa come diritto di scelta. Solo l'economia di libero mercato consente che le scelte di milioni di individui siano prese in considerazione, non una volta ogni pochi anni alle urne, ma ogni giorno, innumerevoli volte al giorno per ogni individuo. Come scrisse Mises: “Il capitalismo è il compimento dell'autodeterminazione dei consumatori”. La vera democrazia può quindi esistere solo nel libero mercato.
Conclusione
Queste due descrizioni della vera democrazia, vale a dire, come diritto alla secessione e come libero mercato, rappresentano due facce della stessa medaglia: l'autodeterminazione dell'individuo a livello politico ed economico. La vera democrazia può, quindi, essere solo libertà, nel senso di assenza di intervento statale nella società.
È chiaro che la realizzazione di una democrazia reale di questo tipo, in qualsiasi luogo oggi, sarebbe a dir poco difficile. Infatti potrebbe non realizzarsi nelle forme pure descritte sopra. Tuttavia, anche da un punto di vista pragmatico, un più ampio riconoscimento dei principi e dei benefici dell'autodeterminazione è diventato assolutamente necessario.
L'impasse statalista e il malessere sociale in cui si trovano attualmente le società occidentali rendono urgente una tale comprensione, in virtù soprattutto della restrizione della circolazione delle idee di libertà a causa della propaganda statalista prevalente.
Con il peggioramento delle condizioni economiche e politiche, diventerà quindi più probabile che una crisi importante o una violenza politica (o entrambe) rendano popolare l'idea che la vera democrazia possa essere solo libertà. I tempi attuali, fatti di incertezza, rappresentano un rischio di controllo dall'alto ancora più stretto, ma anche un'opportunità di libertà che dovrebbe essere colta.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La debacle siriana
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-debacle-siriana)
Circa 17 anni fa l'ex-generale Wesley Clark disse quanto segue in un discorso tenuto al Pentagono: “Questo è un promemoria che descrive come elimineremo sette Paesi in cinque anni, iniziando dall'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, per finire, l'Iran”.
Bene, ci sono voluti diversi anni in più, ma ora sei dei sette Paesi menzionati in quel famoso promemoria sono stati gettati nel caos più totale, dove barcollano in giro per il Medio Oriente e il Nord Africa come stati falliti e sorgenti di barbarie, criminalità e terrorismo. E la cosa assurda è che ognuna di queste calamità è stata il risultato di una linea di politica intenzionale partorita dalle rive del Potomac.
Quindi se c'è bisogno di altre prove che la Washington imperiale abiti in un manicomio, la Siria è sicuramente una di queste. Ora diventerà l'ennesima terra di nessuno dominata dai signori della guerra, presa nel mirino delle manovre dei suoi vicini: Turchia, Iran, Israele, Russia e Stati Uniti.
Forse la follia che si sta sviluppando e che sta ora travolgendo la Siria dimostrerà finalmente che una linea di politica “Empire First” è stata una catastrofe e deve essere abbandonata una volta per tutte. Per delineare il quadro di quel tanto atteso ritorno a una linea di politica “America First”, torniamo a un'immagine pubblicata cinque anni fa. Durante la sua prima volta in battuta, Trump fece un tiepido tentativo di riportare a casa qualche centinaio di truppe e di porre fine agli interventi multifrontali e alle intromissioni di Washington in una piccola terra con 20 milioni di persone, un PIL di soli $40 miliardi, un reddito pro capite di appena $2.000, nessuna risorsa naturale significativa, o capacità industriale, e nessuna capacità di proiettare alcun potere militare oltre i propri confini.
In breve, non c'era un singolo attributo di questo angolo travagliato del Levante che avesse alcun peso sulla sicurezza nazionale americana. Tuttavia Trump venne duramente rimproverato dal blob dell'Unipartito a Capitol Hill per aver implicitamente riconosciuto l'ovvio:
Con un voto di 354 a 60 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha dimostrato che Washington è dipendente dalla guerra e che il livello di ignoranza, bellicosità e mendacia tra i rappresentanti del popolo ha raggiunto livelli spaventosi.
Dopo che Washington ha fomentato la disastrosa guerra civile siriana, la folla bipartisan al Congresso ha avuto il coraggio di votare per mantenere le forze statunitensi nel mezzo di un conflitto curdo/turco vecchio di secoli e che ha implicazioni pari a zero per la sicurezza della patria americana.
Il pretesto, ovviamente, è che il califfato dell'ISIS tornerà in vita in assenza della resistenza armata delle forze curde-SDF posizionate nel quadrante nord-orientale della Siria; e da queste città, villaggi, fattorie e pianure polverose bombardate ed impoverite, la bandiera nera dell'ISIS attaccherà le metropolitane di New York City.
Ci vuole tanto a capire che si tratta di baggianate? Se la Siria tornerà unita, lo Stato Islamico non avrà alcuna possibilità di rinascere. E lasciare che la Siria torni integra è esattamente lo scopo e la conseguenza della coraggiosa decisione di Trump di rimuovere le forze americane dal confine tra Siria e Turchia.
Gli sciocchi dell'apparato di sicurezza nazionale di Biden non avevano intenzione di lasciare che la Siria tornasse di nuovo integra. Invece hanno continuato a fare pressione sul governo di Assad tramite sanzioni economiche, continua occupazione militare delle province siriane produttrici di petrolio e grano a est, e aiuti militari a una serie eterogenea di cosiddette forze ribelli, tra cui le milizie curde SDF che occupano una striscia lungo il confine settentrionale e sono il nemico mortale, beh, del partner NATO di Washington, la Turchia.
In ogni caso, la foto sopra menzionata era la nuvola di fumo sottostante, opera di una coppia di F-15 americani. Questi intrusi non invitati nello spazio aereo sovrano della Siria avevano bombardato un grande deposito di munizioni che le forze statunitensi avevano lasciato dietro di sé, dopo aver frettolosamente abbandonato il territorio controllato dalle SDF vicino a Kobani, al confine tra Siria e Turchia.
Lo scopo, come spiegato all'epoca, era di assicurare che queste munizioni non finissero in mani ostili, vale a dire, nelle mani dell'Esercito Nazionale Siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia. Quel branco di bruti era stato precedentemente chiamato Esercito Siriano Libero (FSA) ed era stato creato dalla CIA per rovesciare Assad dopo la cosiddetta Primavera araba del 2011.
Né c'erano dubbi sulla sponsorizzazione dell'FSA da parte di Washington. Infatti avrebbe dovuto chiamarsi John McCain Memorial Brigade, poiché sotto il suo mandato legislativo era stata addestrata, pagata e sostenuta dalla CIA.
Quindi, per chiarire la storia, Trump stava bombardando un deposito di armi degli Stati Uniti in modo che non cadesse nelle mani delle “forze ostili” che il senatore McCain e la CIA avevano creato! E ciò stava accadendo mentre Trump veniva rimproverato dai guerrafondai dell'Unipartito a Capitol Hill per aver cercato di mettere un piccolo distaccamento di militari statunitensi fuori pericolo in un Paese che non aveva alcuna implicazione per la sicurezza nazionale!
Ora, cinque anni dopo, quelle stesse “forze ostili” (l'SNA) si sono unite ai resti di al Qaeda (nata Fronte al-Nusra), che ultimamente si era ribattezzata per la terza volta con il nome di HTF (Hayat Tahrir al-Sham). Insieme sono riusciti a rovesciare un regime a Damasco che non aveva mai rappresentato una minaccia di alcun tipo per la sicurezza nazionale americana.
Nel 2019 la situazione era molto diversa. Questi briganti della Brigata McCain, nota anche come SNA, avevano attaccato gli alleati curdi di Washington nelle suddette Forze di difesa siriane (SDF), che erano state anch'esse finanziate da Washington.
Inoltre l'SNA era sempre stato composto da bucanieri, criminali, mercenari e jihadisti che indossavano le stesse uniformi principalmente a causa dei miliardi di denaro sporco di Washington; diventati mercenari a pagamento principalmente perché la folle linea di politica di Washington di “Cambio di Regime” a Damasco aveva distrutto l'economia civile siriana e l'aveva trasformata in un pozzo avvelenato di signori della guerra.
Detto in altri termini, senza l'infinita paga e fornitura di armi da parte di Washington, la Brigata McCain e i suoi eredi e assegnatari (SNA) non sarebbero esistiti nel 2019 o nel 2024. E non avrebbero attaccato e giustiziato i soldati delle SDF curde di Washington allora, né avrebbero saccheggiato uno stato completamente fallito oggi.
Certo, all'epoca il Partito della Guerra e i suoi megafoni mediatici erano in pieno fermento. Il New York Times dipinse le Brigate McCain come i più oscuri dei cattivi, che in questo caso probabilmente lo erano, nonostante John McCain e la sua rete Deep State avessero sperperato miliardi allo scopo di attaccare il legittimo governo di Damasco con il pretesto di combattere l'ISIS.
[...] Chiamata impropriamente Esercito Nazionale Siriano, questa coalizione di milizie sostenute dalla Turchia è in realtà composta in gran parte dalla feccia del fallito movimento ribelle del conflitto durato otto anni [...]. All'inizio della guerra l'esercito e la CIA cercarono di addestrare ed equipaggiare ribelli moderati e affidabili per combattere il governo e lo Stato Islamico [...]. Alcuni di coloro che ora combattono nel Nord-est presero parte a quei programmi falliti, ma la maggior parte fu respinta perché troppo estremista o troppo criminale.In ogni caso, solo poche settimane prima il governo siriano ad interim si era riunito, riunendo 41 diverse fazioni sotto il neo-battezzato SNA o “Esercito nazionale siriano”. Così facendo elesse Abdurrahman Mustafa come presidente e Salim Idriss come ministro della difesa.
Queste brave persone sono ritratte qui sotto durante l'inaugurazione dell'Esercito siriano libero (FSA) insieme al senatore McCain nel 2013:
Salim Idriss chiarì le ambizioni del nuovo governo provvisorio siriano quando, durante una conferenza stampa, dichiarò che uno dei suoi scopi principali era quello di combattere le SDF sponsorizzate da Washington o la milizia del PYD/PKK curdo: “Combatteremo tutte le organizzazioni terroristiche, in particolare l'organizzazione terroristica PYD/PKK”.
Proprio così: Idriss aveva fatto carriera scuotendo l'albero dei soldi e degli sponsor di Washington e non aveva mai nascosto il suo acerrimo programma anti-curdo. Eppure, all'improvviso, gli idioti all'interno della Beltway ebbero un'amnesia e rimasero scioccati dal fatto che stesse guidando l'attacco contro i curdi/SDF di Washington.
In altre parole, Washington aveva seminato i semi del caos settario in Siria e ora stava versando lacrime di coccodrillo per una delle vittime della sua follia. Eppure un'analisi favorevole alla Turchia di questa nuova opposizione unificata (vale a dire le forze che attaccavano i curdi) mostrava che queste fazioni erano state coinvolte nella guerra civile siriana in tutti i punti cardinali, alimentate principalmente da denaro, materiali e armi fornite da Washington.
Di conseguenza 11 di queste fazioni, 41 in totale, combatterono battaglie contro Hayat Tahrir al-Sham (HTS) o il vecchio Fronte Al-Nusra. Ma per arrivare rapidamente a oggi, ora sono in una tacita alleanza con HTS, fazione ha guidato il recente rovesciamento di Assad.
Altre 27 delle 41 fazioni erano state precedentemente impegnate nella lotta contro DAESH/ISIS; 30 fazioni avevano combattuto il regime di Assad e 31 avevano combattuto contro YPG/SDF!
Proprio così: la maggior parte delle 41 fazioni che si unirono nel 2019 e che ora operano sotto la bandiera dell'Esercito nazionale siriano (SNA) aveva combattuto i curdi armati da Washington, insieme a praticamente tutti gli altri.
Inoltre almeno 21 delle fazioni accorpate nell'Esercito nazionale siriano erano state precedentemente finanziate e armate da Washington.
Ma ecco il punto: solo 3 di loro avevano ricevuto aiuto tramite il programma del Pentagono per combattere DAESH/ISIS. Al contrario, 18 di queste fazioni erano state rifornite dalla CIA tramite la cosiddetta MOM Operations Room in Turchia.
Quest'ultima era un'operazione di intelligence congiunta degli “Amici della Siria”. Fu organizzata con lo scopo esplicito di supportare l'opposizione armata ad Assad e l'allora legittimo governo di Damasco. Quattordici fazioni delle 28 erano anche destinatarie di missili guidati anticarro TOW forniti da Washington, letali e costosi da usare.
Eppure, al momento della reprimenda di Trump al Congresso nel 2019, il NYT voleva farci credere che i 70.000-90.000 teppisti armati che erano stati schierati sotto l'Esercito nazionale siriano erano semplicemente degli emarginati e dei disadattati che si erano uniti spontaneamente e che Washington non c'entrava nulla!
Infatti i fatti sul campo erano così maledettamente ovvi che era chiaro che la Città Imperiale e i suoi megafoni mediatici stavano mentendo, con le evidenti contraddizioni e bugie che uscivano dalle labbra di ogni factotum e fattorino del Partito della Guerra quando Trump tentò senza successo di staccare la spina alle forze di terra americane in Siria.
Una di queste menzogne era la ridicola affermazione secondo cui l'azione di Trump fosse un segnale per i resti disorganizzati dell'ISIS di riconquistare il territorio nella Siria settentrionale e orientale da cui erano stati recentemente cacciati. Ma per l'amor del cielo, l'unica ragione per cui il califfato si impiantò nella regione dimenticata da Dio della Siria orientale fu che Washington e gli stati petroliferi avevano impedito al governo siriano e ai suoi alleati di sorvegliare e proteggere il proprio territorio; e di salvaguardare i magri giacimenti petroliferi della Siria nel Nord-est, che per un breve periodo di tempo l'ISIS aveva saccheggiato per finanziare le sue pretese di essere uno stato con un esercito.
Ma come mostra la mappa qui sotto, il califfato era scomparso da tempo. E i resti delle forze jihadiste affiliate a Idlib (area viola) si sarebbero incontrati presto con le loro 13 vergini, una volta che Trump avesse dato il via libera al governo siriano e ai suoi alleati russo/iraniani di finirli.
Altrettanto importante, tutto il tormento per i curdi era ampiamente esagerato. Avevano fatto il loro patto con Assad. Nel completare la riconquista e l'unificazione del suo Paese, aveva tutte le ragioni per rispettare l'accordo dato che aveva già ristabilito il controllo militare siriano nelle città strategiche al confine turco.
Inoltre l'obiettivo della Turchia era l'istituzione di una “zona sicura” simboleggiata dai segni bianchi sulla parte della Siria allora controllata dai curdi (area blu). Lo scopo era quello di spostare YPG/SDF armate dagli USA a 20 miglia nell'entroterra dal suo confine, dato che, a ragione o a torto, Erdogan considera il separatismo curdo e l'insurrezione armata una minaccia esistenziale per lo stato turco.
In ogni caso, nel giro di pochi giorni YPG/SDF si erano ritirate dalla zona sicura, consentendo così alla Turchia di sospendere definitivamente l'attacco e di riutilizzare il corridoio come area di sosta e di smistamento per il rimpatrio di circa 3,6 milioni di siriani fuggiti nei campi profughi in Turchia.
Infatti gli accordi stipulati dietro le quinte avevano già aperto la strada a una pacificazione sostenibile della Siria per la prima volta da quando Washington e i suoi alleati l'avevano aggredita durante la Primavera araba del 2011:
• Nell'estate del 2019 Trump annunciò l'intenzione di ritirare le truppe statunitensi da tutta la Siria, a partire dal Rojava, a condizione esplicita di interrompere la linea di comunicazione tra Iran e Libano.
• La Turchia si prese questo impegno in cambio dell’occupazione militare della striscia di confine siriana, dalla quale altrimenti l’artiglieria “terroristica” YPG avrebbe potuto bombardarla.
• La Russia dichiarò di non sostenere lo stato armato YPG/SDF di Rojava e avrebbe accettato l'intervento turco se alla popolazione cristiana fosse consentito di tornare nella sua terra, una condizione alla quale la Turchia acconsentì.
• La Siria indicò che non avrebbe respinto un'azione turca nella zona sicura se avesse potuto liberare un territorio equivalente nel governatorato di Idleb. La Turchia accettò.
• L'Iran dichiarò che, pur disapprovando l'intervento turco, sarebbe intervenuto solo a vantaggio degli sciiti e non era interessato al destino del nascente stato curdo di Rojava.
E tuttavia, come vedremo mercoledì, tutto è andato in frantumi sotto l'amministrazione Biden per una semplice ragione: i neocon guerrafondai non riuscivano a tollerare le azioni di Trump e del suo presunto sosia, Vlad Putin.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Geopolitica sottomarina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/geopolitica-sottomarina)
La costruzione di cavi sottomarini ha portato alla luce un problema nascosto ma cruciale: la manipolazione dei protocolli che controllano il modo in cui i dati viaggiano sotto il mare. Questi protocolli determinano i percorsi che prendono i dati di Internet, influenzando velocità, costi e persino esposizione alla sorveglianza. Anche piccoli cambiamenti in questi percorsi possono far pendere l'equilibrio globale del potere digitale. Il ruolo crescente della Cina in quest'area dimostra come la tecnologia possa essere utilizzata strategicamente per rimodellare la geopolitica.
Al centro di questo problema c'è una tecnologia chiamata Software-Defined Networking (SDN). SDN consente di gestire e ottimizzare il traffico dati in tempo reale, migliorandone l'efficienza, ma questa stessa flessibilità rende SDN vulnerabile all'uso improprio. Le aziende tecnologiche cinesi come HMN Tech (ex Huawei Marine Networks), ZTE e China Unicom stanno aprendo la strada allo sviluppo di SDN. La Cina ha anche influenza nelle organizzazioni internazionali che stabiliscono le regole per queste tecnologie, come l'International Telecommunication Union (ITU) e l'Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE). Questa influenza dà alla Cina una grande mano nel dare forma agli standard e alla governance globali.
L'Africa è un esempio eccellente per capire come si manifesta questa influenza. Gli investimenti cinesi nelle infrastrutture digitali in tutto il continente sono enormi. Ad esempio, il cavo PEACE (Pakistan and East Africa Connecting Europe), che collega l'Africa orientale all'Europa, è stato progettato per evitare il territorio cinese. Tuttavia, grazie alla tecnologia SDN, il suo traffico può ancora essere reindirizzato tramite punti controllati dalla Cina. Questo reindirizzamento potrebbe introdurre ritardi di 20-30 millisecondi per salto, non molto per la navigazione occasionale, ma un problema serio per attività sensibili alla latenza come il trading finanziario o la comunicazione crittografata.
Nel Sud-est asiatico rischi simili sono evidenti. Il Southeast Asia-Japan Cable (SJC), che collega Singapore al Giappone, si basa su diverse stazioni di atterraggio influenzate dalla Cina. Durante un periodo di forti tensioni nel Mar Cinese Meridionale, alcuni dati destinati al Giappone sono stati misteriosamente instradati attraverso l'isola di Hainan, sotto la giurisdizione cinese. Tali casi suggeriscono che le decisioni tecniche di instradamento possono talvolta avere motivazioni politiche.
Questi esempi fanno parte di una strategia più ampia. Sfruttando SDN la Cina può trasformare i cavi sottomarini in strumenti di sorveglianza e controllo. Il traffico dati dall'Africa o dal Sud-est asiatico destinato all'Europa potrebbe essere segretamente reindirizzato attraverso Shanghai o Guangzhou, esponendolo alle tecniche di sorveglianza avanzate della Cina come l'ispezione approfondita dei pacchetti. Questa minaccia si estende al cloud computing, poiché i principali provider come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Alibaba Cloud si affidano ai cavi sottomarini. Con SDN i provider cloud cinesi, allineati con gli interessi dello stato, potrebbero reindirizzare il traffico inter-cloud sensibile, mettendo a rischio quelle comunicazioni critiche.
La manipolazione delle rotte di dati globali conferisce a qualsiasi attore un notevole potere geopolitico. Ad esempio, in caso di crisi, la Cina potrebbe degradare o addirittura interrompere la connettività Internet per le nazioni rivali. Nello Stretto di Taiwan ciò potrebbe isolare quest'ultimo dai mercati globali, interrompendo le transazioni finanziarie e il commercio. In Africa, dove Huawei ha costruito una parte significativa dell'infrastruttura di telecomunicazioni del continente, erigendo circa il 70% delle reti 4G, c'è il timore che questa dipendenza possa creare vulnerabilità. Se dovessero sorgere tensioni politiche, la Cina potrebbe causare rallentamenti o interruzioni per rafforzare la dipendenza, rendendo i Paesi più vulnerabili negli scontri politici.
I numeri evidenziano la posta in gioco. I cavi sottomarini trasportano il 99% del traffico dati internazionale, ovvero oltre 1,1 zettabyte all'anno. Porzioni significative dei flussi di dati intra-Asia-Pacifico passano attraverso stazioni di atterraggio chiave dei cavi sottomarini, tra cui Hong Kong, che è sotto la giurisdizione cinese. Con le aziende cinesi sempre più coinvolte in progetti di cavi sottomarini globali, come quelli intrapresi da HMN Technologies, sta crescendo l'influenza di Pechino sulla dorsale fisica di Internet.
L'impatto economico delle interruzioni di Internet sulle economie altamente connesse è sostanziale. Ad esempio, il NetBlocks Cost of Shutdown Tool (COST) stima l'impatto economico delle interruzioni di Internet utilizzando indicatori della Banca Mondiale, ITU, Eurostat e US Census. Secondo i dati presentati da Atlas VPN, basati sullo strumento COST di NetBlocks, un arresto globale di Internet per un giorno potrebbe comportare perdite di circa $43 miliardi, con Stati Uniti e Cina che rappresenterebbero quasi la metà di questa somma. Inoltre Deloitte ha stimato che per un Paese altamente connesso a Internet, l'impatto giornaliero di un arresto temporaneo di Internet sarebbe in media di $23,6 milioni per 10 milioni di abitanti.
Un attacco deliberato ai protocolli di routing potrebbe causare un caos finanziario e operativo diffuso. Nel mondo interconnesso di oggi, in cui l'infrastruttura digitale sostiene la stabilità economica, la capacità di manipolare il traffico dei cavi sottomarini rappresenta un'arma geopolitica sottile ma potente.
Affrontare questa minaccia va oltre la semplice costruzione di più cavi; richiede di ripensare il modo in cui sono governati i protocolli di routing. Standard globali trasparenti devono garantire che nessun singolo Paese o azienda possa dominare questi sistemi. Dovrebbero essere condotti audit indipendenti di routine per rilevare anomalie che potrebbero segnalare interferenze. Sforzi come l'iniziativa Global Gateway dell'Unione Europea e il Digital Partnership Fund del Giappone devono concentrarsi sulla creazione di percorsi alternativi per ridurre la dipendenza dai nodi controllati dalla Cina.
Questo problema evidenzia una nuova realtà nella politica globale: il controllo sui flussi di dati sta diventando una forma fondamentale di potere. Mentre la maggior parte dell'attenzione è stata rivolta alla costruzione di infrastrutture fisiche, la manipolazione silenziosa dei protocolli di routing segna un cambiamento altrettanto profondo nell'influenza globale. Per proteggere l'integrità di Internet, il mondo deve agire con decisione sia a livello tecnico che di governance.
Reti di riparazione cavi in fibra ottica
Il controllo sproporzionato della Cina sulle reti di riparazione dei cavi in fibra ottica rivela potenziali vettori per il dominio dell'intelligence, la leva coercitiva e l'interruzione della sovranità digitale. A livello globale si stima che 60 navi dedicate alla riparazione dei cavi siano al servizio degli 1,5 milioni di chilometri di cavi sottomarini del pianeta. La Cina controlla una percentuale sostanziale di tale flotta, comprese le navi gestite da imprese affiliate allo stato come Shanghai Salvage Company e China Communications Construction Group. Al contrario gli Stati Uniti e i loro alleati mantengono una piccola flotta patchwork, concentrata principalmente nel Nord Atlantico e priva di copertura nell'Indo-Pacifico, dove oltre il 50% del traffico Internet globale passa attraverso cavi sottomarini chiave.
La flotta cinese è fortemente concentrata nei mari della Cina meridionale e orientale, regioni critiche per la connettività globale a causa di punti di strozzatura come lo stretto di Singapore e lo stretto di Luzon. Con l'esclusività marittima rafforzata dalle rivendicazioni della Cina nelle acque contese, le sue navi di riparazione hanno un accesso pressoché illimitato per monitorare, riparare o potenzialmente manomettere i cavi sotto le mentite spoglie di operazioni di manutenzione di routine.
Le missioni di riparazione comportano l'esposizione di infrastrutture critiche via cavo, tra cui ripetitori, amplificatori e unità di diramazione, hardware che aumenta la potenza del segnale su lunghe distanze ma rappresenta anche punti di vulnerabilità. Le imbarcazioni cinesi sono dotate di sommergibili robotici avanzati e tecnologie di taglio e giunzione di precisione, progettate per le riparazioni ma in grado di installare dispositivi di intercettazione del segnale. Tali strumenti potrebbero includere prese in fibra ottica in grado di raccogliere metadati non crittografati o di catturare modelli di latenza per dedurre flussi di traffico sensibili.
I progressi della Cina nella fotonica e nelle tecnologie di comunicazione quantistica sottolineano la sua capacità di sfruttare queste vulnerabilità. L'Accademia cinese delle scienze ha segnalato importanti progressi nei sistemi di distribuzione di chiavi quantistiche (QKD), sollevando la possibilità di sviluppare metodi basati sulla tecnologia quantistica per decifrare i dati crittografati intercettati durante le riparazioni. L'integrazione di strumenti di ordinamento dei dati basati sull'intelligenza artificiale potrebbe automatizzare l'estrazione e la classificazione delle informazioni intercettate, rendendo un vantaggio strategico l'acquisizione di dati in blocco durante le riparazioni.
Il mare aperto, dove si verificano molte operazioni di riparazione, è governato da quadri normativi internazionali frammentati, come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), i quali regolamentano in modo inadeguato le attività che coinvolgono infrastrutture critiche. L'International Cable Protection Committee (ICPC) fornisce linee guida volontarie per le operazioni di riparazione, ma i meccanismi di applicazione sono deboli, lasciando il sistema vulnerabile allo sfruttamento da parte di attori statali.
Le missioni di riparazione sono spesso classificate come “operazioni di emergenza”, le quali richiedono approvazioni rapide che aggirano la supervisione dettagliata. Una rottura di un cavo nel Mar Cinese Meridionale nel 2021 ha spinto le navi di riparazione cinesi a operare senza trasparenza per oltre tre settimane, sollevando preoccupazioni su potenziali attività segrete. Questi incidenti raramente vengono segnalati, poiché esulano dalla giurisdizione della maggior parte degli enti di monitoraggio marittimo.
La mancanza di contromisure da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati amplifica i rischi posti dal predominio della Cina. La Marina degli Stati Uniti non gestisce navi di riparazione specializzate, affidandosi a operatori privati come Global Marine Group, la cui flotta è obsoleta e mal equipaggiata per le operazioni in acque contese. Ciò contrasta con il modello cinese sostenuto dallo stato, il quale integra la sua flotta di riparazione in reti marittime fornendo funzionalità a duplice uso per obiettivi civili e militari.
Il modello finanziario delle operazioni sui cavi sottomarini limita ulteriormente le risposte occidentali. I cavi sottomarini sono prevalentemente di proprietà privata, con aziende come Google, Meta e Amazon che investono molto nelle infrastrutture ma non hanno incentivi per dare priorità alle considerazioni geopolitiche. Questa privatizzazione lascia lacune strategiche nella sorveglianza e nel monitoraggio, poiché i governi devono negoziare l'accesso a missioni di riparazione controllate privatamente.
Per mitigare il vantaggio strategico della Cina è essenziale una risposta su più fronti. Gli Stati Uniti e i suoi alleati devono sviluppare flotte di riparazione statali o sovvenzionate dallo stato per operare in regioni contese come il Mar Cinese Meridionale e l'Oceano Indiano. Dovrebbero essere implementati sistemi di sorveglianza marittima potenziati, come droni sottomarini e array di monitoraggio basati su sonar, per tracciare i movimenti delle navi di riparazione in tempo reale.
La revisione dei quadri normativi internazionali mediante l'ampliamento dei mandati ICPC, per includere la segnalazione obbligatoria delle operazioni di riparazione, potrebbe frenare l'opacità. La collaborazione con i partner regionali, in particolare le nazioni del Quad (Australia, India, Giappone e Stati Uniti), potrebbe rafforzare la consapevolezza collettiva del dominio marittimo e creare ridondanze nelle capacità di riparazione dei cavi.
Dati marittimi tramite il monitoraggio automatico delle imbarcazioni
Lo sfruttamento da parte della Cina di sistemi di tracciamento automatizzato delle imbarcazioni esemplifica una componente sofisticata della sua strategia digitale globale. Al centro di questa iniziativa c'è l'Automatic Identification System (AIS), una tecnologia di sicurezza marittima imposta dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) per le imbarcazioni di stazza lorda superiore a 300 tonnellate impegnate nel commercio internazionale. Sebbene originariamente destinato a migliorare la sicurezza della navigazione trasmettendo identità, posizioni, rotte e dettagli del carico delle imbarcazioni, l'AIS è stato riadattato da Pechino in una risorsa a duplice uso che supporta sia la raccolta di informazioni economiche sia la sorveglianza militare.
Le aziende cinesi, tra cui il BeiDou Navigation Satellite System e Alibaba Cloud, hanno sviluppato piattaforme avanzate che aggregano le trasmissioni AIS dalle rotte di navigazione in tutto il mondo. Queste piattaforme integrano i dati AIS con analisi predittive basate sull'intelligenza artificiale, consentendo a Pechino di monitorare e analizzare i punti di strozzatura marittimi globali come lo Stretto di Malacca, il Canale di Panama e il Canale di Suez, arterie chiave del commercio internazionale. In questo modo la Cina ottiene informazioni fondamentali sui modelli di spedizione globali, sulle rotte commerciali strategiche e sulle dinamiche della catena di fornitura. A partire dal 2023 la flotta mercantile globale comprendeva circa 60.000 navi.
Durante il blocco del Canale di Suez del 2021, le aziende di logistica cinesi, sfruttando i dati AIS in tempo reale, hanno rapidamente identificato rotte alternative attraverso l'Artico e lungo l'Oceano Indiano, consentendo agli esportatori cinesi di reindirizzare le merci mentre i concorrenti occidentali hanno dovuto affrontare ritardi. Allo stesso modo, nello Stretto di Malacca, una via d'acqua che facilita il transito di oltre 16 milioni di barili di petrolio al giorno e il 40% del commercio globale, gli analisti cinesi hanno utilizzato i dati AIS per ottimizzare il flusso di risorse, prevenire la congestione e studiare le vulnerabilità nelle rotte di approvvigionamento energetico.
I dati AIS svolgono un ruolo fondamentale nella strategia militare della Cina, in particolare nell'Indo-Pacifico. Combinando le informazioni AIS con le immagini satellitari e i dati provenienti da array acustici sottomarini, la Cina ha creato una rete di sorveglianza in grado di tracciare con precisione gli schieramenti navali. I dati AIS sono stati utilizzati per monitorare i modelli di pattugliamento della Settima Flotta della Marina degli Stati Uniti, rivelando che oltre un terzo delle sue operazioni nel Mar Cinese Meridionale nel 2022 ha seguito rotte prevedibili. Questa sorveglianza consente alla Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLAN) di anticipare le Operazioni di Libertà di Navigazione (FONOP) degli Stati Uniti e di posizionare di conseguenza le sue risorse.
La manipolazione dell'AIS da parte della Cina si estende alle simulazioni di conflitto e alla guerra asimmetrica. Durante esercitazioni militari vicino a Taiwan nel 2023, le forze cinesi avrebbero schierato imbarcazioni senza equipaggio programmate per imitare i segnali AIS civili, complicando l'identificazione di risorse ostili.
Attraverso la sua iniziativa Digital Silk Road, Pechino ha esportato varie forme di tecnologie marittime che incorporano capacità di Automatic Identification System (AIS). La Cina spesso fornisce incentivi finanziari per promuovere l'adozione delle sue tecnologie all'estero, il che potrebbe migliorare il suo accesso ai dati marittimi regionali. Questa asimmetria garantisce alla Cina un vantaggio informativo e rischia di rimodellare le norme di trasparenza marittima a suo favore.
Dati rari di mappatura sottomarina
I crescenti investimenti della Cina nella mappatura sottomarina l'hanno posizionata come un attore significativo nell'intelligence oceanografica, con un impatto sui domini scientifico, commerciale e militare. La Cina ha mappato i suoi territori marittimi rivendicati utilizzando navi da ricerca finanziate dallo stato e sistemi autonomi. Questi sforzi contribuiscono a iniziative internazionali, come il progetto Nippon Foundation-GEBCO Seabed 2030, il quale mira a mappare l'intero fondale marino globale entro il 2030 e che a giugno 2022 ne aveva mappato circa il 23,4%. Le attività della Cina si estendono a regioni strategiche nell'Indo-Pacifico, nell'Artico e nell'Oceano Indiano, sollevando preoccupazioni sul potenziale di duplice uso della sua raccolta dati.
I dati di mappatura sottomarina sono essenziali per il percorso dei cavi sottomarini, lo sviluppo delle infrastrutture sottomarine e le operazioni navali. Il deposito cinese di mappe batimetriche ad alta risoluzione, tra cui i rilievi di punti di strozzatura chiave come lo Stretto di Malacca e il Canale di Bashi, fornisce un vantaggio tattico. Questi punti di strozzatura sono vitali per il commercio globale e servono come passaggi navali strategici per la proiezione di potere e le operazioni anti-accesso/negazione dell'area. La Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione utilizza i dati del fondale marino per ottimizzare il posizionamento di array di sensori sottomarini, essenziali per la sua iniziativa “Great Underwater Wall”, integrando il monitoraggio idroacustico per rilevare sottomarini stranieri.
I progressi della Cina nei veicoli sottomarini autonomi (AUV) ne potenziano le capacità. Nel 2021 gli AUV Hailong III e Qianlong II sono stati impiegati per missioni di mappatura in acque profonde nel Mar Cinese Meridionale, raccogliendo dati a profondità superiori a 6.000 metri. Questi AUV hanno sistemi sonar multi-beam che raggiungono una risoluzione sub-metrica, superando gli standard commerciali. La loro capacità di operare in modo autonomo per lunghi periodi consente alla Cina di mappare topografie sottomarine tanto intricate quanto fondamentali per l'esplorazione delle risorse e la guerra sottomarina.
La Cina ha utilizzato la mappatura dei fondali marini come strumento diplomatico per estendere l'influenza sulle nazioni più piccole. Attraverso la sua Maritime Silk Road Initiative, Pechino ha firmato accordi con oltre 20 Paesi, garantendo alle navi da ricerca cinesi l'accesso alle Zone Economiche Esclusive (ZEE). Tra il 2015 e il 2022 le spedizioni cinesi nelle ZEE delle nazioni insulari del Pacifico hanno spesso comportato attività di mappatura a duplice uso.
Nel 2019 la nave di ricognizione cinese Haiyang Dizhi 8 ha condotto rilievi sismici nei pressi della Vanguard Bank all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) del Vietnam, raccogliendo dati batimetrici che si allineano con rotte sottomarine chiave potenzialmente utili per le operazioni sottomarine. Questa incursione ha portato a un teso stallo con il Vietnam, suscitando critiche internazionali per le azioni della Cina e sollevando preoccupazioni sul potenziale duplice uso dei dati raccolti. Allo stesso modo, nel 2018, il coinvolgimento della Cina nei progetti di cavi sottomarini che collegano Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone tramite Huawei Marine, ha sollevato notevoli preoccupazioni per la sicurezza. Temendo rischi per la sicurezza dei cavi di comunicazione sottomarini e potenziale attività di spionaggio, l'Australia è intervenuta finanziando e intraprendendo essa stessa quei progetti, evidenziando apprensioni sulla concessione alle entità cinesi dell'accesso a dati critici sui fondali marini nella regione.
La strategia di mappatura dei fondali marini della Cina ha implicazioni militari significative, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. In questa regione, dove la Cina ha costruito isole artificiali come Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef, i dati ad alta risoluzione dei fondali marini consentono un dispiegamento preciso di sistemi missilistici, pattugliamenti navali e droni sottomarini. La mappatura dettagliata dei fondali marini supporta la costruzione e la fortificazione di queste isole, consentendo l'installazione di missili terra-aria, missili da crociera antinave e il funzionamento di piste di atterraggio militari. Inoltre l'impiego da parte della Cina di veicoli sottomarini senza pilota come gli alianti Sea Wing (Haiyi) migliora la sua capacità di raccogliere dati oceanografici cruciali per la navigazione sottomarina e la guerra antisommergibile. Queste attività hanno sollevato preoccupazioni tra i Paesi confinanti e la comunità internazionale sul potenziale di duplice uso delle iniziative marittime della Cina e sul loro impatto sulla sicurezza regionale.
Controllando la mappatura dei fondali marini, la Cina influenza le reti dei cavi sottomarini, i quali trasportano il 95% del traffico Internet globale e $10.000 miliardi in transazioni finanziarie giornaliere. Il coinvolgimento della Cina in progetti come il South Pacific Cable Project attraverso l'azienda statale China Mobile ha portato a preoccupazioni sulle capacità di intercettazione dei dati. La sua presenza nella mappatura dei fondali marini dell'Artico, facilitata da navi rompighiaccio come la Xuelong 2, sottolinea le ambizioni di proteggere rotte e risorse marittime alternative sotto le mentite spoglie della ricerca scientifica.
L'approccio della Cina ai dati sulla mappatura sottomarina ha sollevato preoccupazioni riguardo la trasparenza e l'accesso condiviso nella comunità globale. Mentre iniziative internazionali come il Seabed 2030 Project incoraggiano la condivisione aperta dei dati sui fondali oceanici per promuovere la ricerca scientifica e la comprensione ambientale, la Cina è stata criticata per non condividere completamente i dati estesi sui fondali marini che raccoglie. Ad esempio, molti dei dati raccolti dalle imbarcazioni cinesi in acque internazionali non sono disponibili nei database globali come quelli gestiti dall'International Hydrographic Organization (IHO) o dalla General Bathymetric Chart of the Oceans (GEBCO). Questa condivisione selettiva limita la capacità di altre nazioni di sfruttare informazioni preziose e contrasta con le norme globali che promuovono la cooperazione e la trasparenza nella ricerca oceanografica.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Perché Trump deve abrogare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-trump-deve-abrogare-la-tassa)
In un mondo in cui gli asset digitali stanno rapidamente diventando un pilastro della finanza globale, gli Stati Uniti si trovano a un bivio.
L'amministrazione Trump ha ripetutamente sottolineato la sua dedizione nel rendere più prosperi gli americani: dall'impegno a ripristinare la forza economica alla nomina di consiglieri lungimiranti, la Casa Bianca sembra pronta a inaugurare una nuova era di libertà finanziaria. Ma se il presidente Trump vuole davvero dare una spinta alla creazione di ricchezza per i cittadini medi e rendere gli Stati Uniti la principale “superpotenza in ambito Bitcoin” al mondo, la sua amministrazione deve abbracciare una linea di politica audace e trasformativa: eliminare le imposte sulle plusvalenze che gravano su di esso.
Questa mappa globale mostra come vari Paesi tassano (o non tassano) annualmente Bitcoin. Molte giurisdizioni verdi, comprese quelle in Europa, Caraibi e Asia, hanno scelto di esentarlo dall'imposta sulle plusvalenze.SOFFIANO VENTI DI CAMBIAMENTO: UNA LEZIONE DALL'ESTERO
La Repubblica Ceca ha di recente fatto notizia quando il suo Parlamento ha votato a larga maggioranza per esentare le plusvalenze da Bitcoin e altre criptovalute dall'imposta sul reddito, a condizione che siano detenute per più di tre anni e soddisfino determinate soglie di reddito. Questo non è un evento isolato. Paesi come Svizzera, Singapore, Emirati Arabi Uniti, El Salvador, Hong Kong e parti dei Caraibi hanno da tempo riconosciuto che una tassazione minima, o pari a zero, delle plusvalenze su Bitcoin può aiutare a stimolare l'adozione, l'innovazione finanziaria e la fiducia dei consumatori.
Come disse John F. Kennedy: “L'alta marea solleva tutte le barche”. Se applichiamo questa logica alla crescita economica tramite Bitcoin, la marea è globale e sta salendo rapidamente. In un mare inondato di liquidità e debito, la nave economica americana deve navigare queste correnti digitali. Le scelte politiche di queste nazioni, e la crescente prosperità dei loro cittadini, inviano un segnale potente: gli Stati Uniti possono e dovrebbero sfruttare Bitcoin come strumento per la crescita, non gravarla con modelli fiscali obsoleti.
LE PAROLE DI TRUMP: UN PERCORSO VERSO LA PROSPERITÀ
Lo stesso presidente Trump ha indicato la volontà di riconsiderare la tassazione su Bitcoin. “Fanno pagare le tasse sulle criptovalute, e non credo che sia giusto”, ha detto in una recente intervista, facendo eco alle frustrazioni di milioni di americani che trovano assurdo pagare le tasse sulle plusvalenze dopo aver usato Bitcoin per acquistare qualcosa di piccolo come una tazza di caffè. “Bitcoin è denaro, e bisogna pagare le tasse sulle plusvalenze se lo si usa per comprare un caffè?” ha chiesto retoricamente, evidenziando come le leggi attuali scoraggino le transazioni quotidiane. Ha poi aggiunto: “Forse è meglio liberarsi delle tasse sulle criptovalute e sostituirle con i dazi”.
Questo sentimento non è solo un vezzo retorico. Trump, che ha parlato alla Bitcoin 2024 Conference a Nashville, ha proclamato la sua visione per l'America: farla diventare una “superpotenza mondiale in ambito Bitcoin”. Ha anche promesso di “rendere Bitcoin un prodotto americano”, trasformando gli Stati Uniti in un hub leader dell'innovazione in tale ecosistema. Inoltre il 5 dicembre ha nominato l'ex-direttore operativo di PayPal, David Sacks, come suo “White House AI & Crypto Czar”, una mossa vista come un passo verso l'implementazione di linee di politica lungimiranti.
IL BITCOIN ACT DEL 2024: UNA RISERVA STRATEGICA PER LA GENTE
Gli Stati Uniti hanno già compiuto passi monumentali in questa direzione. Il BITCOIN Act del 2024 impone che tutti i bitcoin detenuti da qualsiasi agenzia federale vengano trasferiti al Dipartimento del Tesoro per essere conservati in una riserva strategica. In cinque anni esso deve acquistare un milione di bitcoin, detenendoli in trust per gli Stati Uniti. Questo accumulo a livello governativo mostra una visione a lungo termine per l'incorporazione di Bitcoin nella strategia finanziaria nazionale. Ma perché fermarsi qui? L'eliminazione dell'imposta sulle plusvalenze creerebbe un ciclo di feedback positivo tra politica nazionale e prosperità personale. Mentre il governo federale investe e detiene bitcoin, i cittadini potrebbero fare lo stesso senza dover incappare in obblighi fiscali punitivi.
AL SERVIZIO DELL'AMERICANO MEDIO
Per gli americani il costo della vita e il pungiglione dell'inflazione sono stati i punti focali della campagna di rielezione del presidente Trump. Le strategie tradizionali (es. manipolazioni dei tassi d'interesse, allentamento quantitativo) spesso equivalgono a riorganizzare le sedie a sdraio su una nave che affonda quando ci si confronta con sfide economiche veramente sistemiche. Bitcoin offre una zattera di salvataggio (oseremmo dire, un'arca di Noè digitale) per quegli americani che cercano di preservare e accrescere la propria ricchezza contro le forze erosive dell'inflazione. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin consentirebbe ai cittadini di effettuare transazioni, investire e risparmiare in un asset stabile e finito senza il drenaggio fiscale su ogni guadagno incrementale.
L'effetto domino qui è chiaro: più le persone adottano Bitcoin come riserva di valore e mezzo di scambio, più la domanda diventa forte, cosa che, a sua volta, potrebbe rafforzare ulteriormente le partecipazioni strategiche del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. È un circolo virtuoso, un ciclo di feedback positivo. Man mano che il valore di Bitcoin cresce, cresce anche la base di ricchezza della nazione, contribuendo a pagare il debito nazionale, rafforzare l'egemonia del dollaro nel commercio globale e rendendo realmente gli americani più ricchi e più sicuri.
PERCHÈ L'AMERICA HA BISOGNO DI BITCOIN
Bitcoin non è più un esperimento di nicchia riservato a una piccola cerchia di appassionati. Si è evoluto in una priorità urgente e diffusa per gli americani di tutti i giorni, in particolare per quella generazione che plasmerà l'economia futura della nostra nazione. Non si tratta di un appello ideologico: è una realtà supportata dai dati. Secondo la Stand With Crypto Alliance, un'organizzazione non-profit dedicata a linee di politica trasparenti sulla blockchain, oltre 52 milioni di americani possiedono ora una qualche forma di criptovaluta. Quasi nove americani su dieci ritengono che il sistema finanziario abbia bisogno di essere aggiornato e il 45% afferma che non sosterrebbe candidati che ostacolano l'innovazione nel mondo delle criptovalute. Questi numeri rappresentano un'ondata travolgente e trasversale: la ricerca di Stand With Crypto mostra che il 18% dei repubblicani, il 22% dei democratici e il 22% degli indipendenti detengono criptovalute. Ciò taglia fuori la solita politica tribale e indica una verità fondamentale: Bitcoin è ora un argomento di discussione in politica nazionale, non una nota a margine su un'agenda trascurabile.
La richiesta che l'America sia leader è chiara. Il 53% degli americani vuole che le aziende di criptovalute siano basate negli Stati Uniti, assicurando che l'innovazione tecnologica e la ricchezza che genereranno rimangano in patria. Tra i dirigenti di Fortune 500, il 73% preferisce partner con sede negli Stati Uniti per le proprie iniziative di criptovalute e Web3, segnalando un desiderio aziendale di mantenere l'America in prima linea nel progresso finanziario globale.
Non agire ora rischia di ripetere gli errori del passato. Un tempo l'America era leader mondiale nella produzione avanzata, ma oggi il 92% della produzione di semiconduttori si trova a Taiwan e in Corea del Sud. Non possiamo permetterci di cedere il panorama finanziario futuro ad altre regioni. Bitcoin non è solo l'ennesimo investimento di moda; è la spina dorsale digitale di un sistema monetario in rapida evoluzione. Se gli Stati Uniti vogliono preservare la loro egemonia economica, mantenere la leadership nell'innovazione e garantire che gli americani di tutti i giorni abbiano accesso a un futuro finanziario stabile e orientato alla crescita, devono abbracciare Bitcoin. Così facendo, la nazione può assicurarsi il suo posto come superpotenza globale anche in questo settore, elevando i propri cittadini, rafforzando la nostra base economica e salvaguardando i nostri interessi strategici nell'economia digitale del XXI secolo.
AMERICA, TRACCIARE LA ROTTA
Allineandosi alle buone pratiche globali e adottando linee di politica lungimiranti, gli Stati Uniti possono rappresentare un faro di libertà finanziaria e innovazione tecnica. Eliminare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin segnalerebbe agli investitori, agli imprenditori e ai cittadini comuni che l'America fa sul serio nel voler guidare l'economia digitale del XXI secolo. Non si tratta solo di essere “Bitcoin-friendly”; si tratta di garantire che gli americani medi abbiano gli strumenti di cui hanno bisogno per navigare nelle acque economiche turbolente.
La complessità e l'inefficienza della tassazione di ogni transazione digitale rappresentano un peso inutile per l'innovazione e la vita quotidiana. Gli americani meritano di meglio: meritano la libertà di effettuare transazioni in un mondo digitale senza supervisione punitiva.
In sostanza, questa è l'occasione per l'America di fare ciò che ha sempre fatto meglio: innovare, adattarsi e guidare. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin non manterrebbe solo una promessa della campagna elettorale; preparerebbe il terreno per una prosperità a lungo termine, darebbe ai cittadini il potere di proteggere il loro futuro finanziario e consoliderebbe gli Stati Uniti come il principale campione mondiale in ambito Bitcoin. L'alta marea, in effetti, solleva tutte le barche, e quale barca migliore su cui imbarcarsi di un'Arca Bitcoin, capitanata da un'amministrazione determinata a rendere davvero l'America di nuovo grande?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Come la Germania ha distrutto la sua economia e come la può risollevare
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/come-la-germania-ha-distrutto-la?r=12xido)
Un tempo l'economia tedesca era una potenza industriale mondiale, dimostrando una forte resilienza nei periodi di crisi e una significativa crescita produttiva nei periodi di espansione.
La Germania ha mostrato una solida attività industriale, una solida produttività e livelli di disoccupazione invidiabili, che si sono aggiunti a salari realmente elevati. Tuttavia, negli ultimi cinque anni, l'economia è stagnante e il suo PIL è inferiore del 5% rispetto alla tendenza di crescita pre-pandemia, come riportato da Bloomberg Economics. Ancora più preoccupante è il fatto che il quotidiano stima che quattro punti percentuali di suddetta perdita potrebbero essere permanenti.
La maggior parte delle analisi attribuisce la debolezza dell'economia tedesca ai costi energetici più elevati e al rallentamento cinese che colpisce le sue esportazioni. La realtà è più complessa.
La stagnazione della Germania è autoinflitta.
La Germania ha commesso il suo primo grande errore nel 2012, quando i suoi leader hanno accettato la diagnosi di sinistra della crisi del debito europeo, la quale attribuiva tutti i problemi alla cosiddetta austerità. La Germania ha abbracciato l'inflazionismo e, nel 2014, ha accettato le stesse politiche monetarie e interventiste che hanno sempre distrutto l'Europa. Il governo tedesco e la Bundesbank hanno accettato con riluttanza la massiccia espansione monetaria della BCE e i tassi nominali negativi, consentendo alla Commissione europea di abbandonare la sua supervisione dell'eccesso di indebitamento e approvando pacchetti di “stimoli” in sequenza come il piano Juncker o i disastri di Next Generation EU. Tutti fattori che hanno lasciato l'area Euro in stagnazione, con più debito e, ora, inflazione. I tedeschi hanno sofferto di un'inflazione cumulativa di oltre il 20% negli ultimi cinque anni. I politici ne danno la colpa all'Ucraina e a Putin, ma sappiamo tutti che è una scusa ridicola. La crescita dell'offerta di denaro e i costanti aumenti della spesa pubblica hanno cancellato il potere d'acquisto dell'euro e alimentato l'inflazione. “Un’impennata della crescita monetaria ha preceduto l’impennata dell’inflazione e i Paesi con una crescita monetaria più forte hanno fatto registrare un’inflazione notevolmente più elevata” (Borio et al., 2023).
I keynesiani credevano che un euro più debole avrebbe dato una spinta alle esportazioni tedesche, ma questo è un mito. I Paesi leader delle esportazioni salgono grazie all'elevato valore aggiunto, non al basso costo. In ogni caso, tutte le politiche interventiste adottate dall'Unione Europea hanno creato una moneta debole e un'economia ancora più debole.
Il secondo errore fatale è stato la linea di politica energetica. Gli alti costi energetici non sono inevitabili, derivano da una linea di politica energetica sbagliata che ha spinto i politici tedeschi a chiudere la loro flotta nucleare e a spendere più di €200 miliardi in sovvenzioni per tecnologie volatili e intermittenti, solo per riscoprire poi l'uso di carbone e lignite che rappresentano il 25% della sua produzione di energia, stando ai dati di AGEB 2024. Infatti il 77% del suo consumo energetico e il 40% della sua produzione di energia provengono da combustibili fossili. I politici tedeschi hanno anche abbracciato l'agenda dell'UE che ha vietato lo sviluppo del gas naturale nazionale, ma ha moltiplicato le importazioni di gas naturale liquefatto statunitense prodotto dal fracking. A dir poco affascinante come decisione. Inoltre gli enormi sussidi e i costi aggiunti alle bollette dei consumatori hanno fatto sì che oltre il 60% del prezzo dell'elettricità pagato dai consumatori provenisse dalle tasse, incluso il costo della CO₂, che è una tassa nascosta. I tedeschi pagano di più per l'energia e dipendono ancora dai combustibili fossili, perché il loro governo ha distrutto l'accesso al gas naturale russo a basso costo e lo ha sostituito con opzioni costose e inaffidabili. Solo i politici possono decidere di entrare in una guerra energetica e vietare le alternative.
Il terzo errore fatale è stato quello di accettare linee di politica sempre più dannose provenienti dalla Commissione e dal Parlamento UE. Un rallentamento dell'economia cinese non porta un Paese leader mondiale delle esportazioni alla stagnazione, soprattutto quando il gigante asiatico cresce al 5% all'anno. Un Paese leader mondiale delle esportazioni come la Germania era giustamente orgoglioso di una rete produttiva che consentiva alla sua industria di crescere grazie a prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologia e una portata globale che consentiva alle aziende tedesche di vendere in tutto il mondo e di navigare in qualsiasi ambiente macroeconomico. Ciò che ha fatto sì che l'industria tedesca, un tempo potente, ristagnasse e declinasse nonostante una robusta crescita globale è stata la combinazione di burocrazia asfissiante, disincentivi all'innovazione, tasse elevate e l'adozione della disastrosa agenda 2030 che vuole mettere al bando i veicoli con motore a combustione interna. I politici hanno demolito il potenziale di vendita dell'intero complesso industriale con una politica ambientale e normativa devastante. Gli attivisti hanno utilizzato l'agenda 2030 per imporre un modello interventista e improduttivo, demolendo tutte le industrie e i settori agricoli della Germania. La legge, dal nome errato, sul ripristino della natura, che rende quasi impossibile lo svolgimento di attività nel settore primario, ha aggravato ulteriormente questo danno.
La graduale imposizione da parte dell'Unione Europea di una regolamentazione asfissiante e di disincentivi ha anche portato la Germania a perdere una parte significativa della sua leadership tecnologica. Il dominio ingegneristico e tecnologico della Germania si basava su un sistema aperto, altamente competitivo e gratificante che è stato distrutto dalla burocrazia. La Germania è un leader mondiale nelle domande di brevetto, ma è indietro rispetto agli Stati Uniti e la traduzione dei brevetti alle aziende è estremamente scarsa.
I politici tedeschi affermano che tutte le sfide di cui sopra diventeranno punti di forza in futuro. Ne dubito, perché il loro curriculum di fallimenti nelle previsioni economiche è spettacolare. Ciò di cui la Germania ha bisogno è abbandonare l'inflazionismo, l'interventismo e l'attivismo clownesco. Se la Germania adotta questi cambiamenti, la sua economia sperimenterà una crescita significativa.
La Germania non ha un problema di competitività o di capitale umano; ha un problema politico. Abbandonate l'interventismo socialista e la Germania tornerà alla sua tendenza di crescita e leadership.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Le radici economiche del crollo politico della Francia
____________________________________________________________________________________
di John Phelan
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/le-radici-economiche-del-crollo-politico?r=12xido)
L'11 dicembre Michel Barnier ha perso un voto di fiducia nel parlamento francese, ponendo fine al suo mandato di primo ministro dopo soli 90 giorni, il mandato più breve di qualsiasi primo ministro dalla fondazione della Quinta Repubblica nel 1958. La causa è stata il bilancio proposto da Barnier, ma questo non fa che evidenziare problemi che si sono accumulati per decenni.
Il governo francese spende una quota maggiore del reddito nazionale rispetto alla maggior parte dei Paesi comparabili: i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) mostrano che, nel 2019, la spesa pubblica rappresentava il 55% del Prodotto interno lordo (PIL), più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ciò è dovuto agli alti livelli di spesa per lo stato sociale, l'assistenza sanitaria e l'istruzione. I dati dell'OCSE mostrano che la spesa sociale in Francia ha rappresentato il 31% del PIL nel 2019, più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Il governo francese impone un pesante onere fiscale per finanziarla. Sempre nel 2019 i dati dell'OCSE hanno mostrato che le entrate fiscali sono arrivate al 45% del PIL, ancora una volta il più alto livello rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ma queste entrate non sono sufficienti a finanziare completamente la spesa dello stato e si prevede che il deficit di quest'anno raggiungerà il 6,1% del PIL.
Barnier, nominato a settembre a capo di un governo di minoranza dopo un'inconcludente elezione generale, mirava a ridurre il deficit al 5% del PIL l'anno prossimo, ancora al di sopra della soglia del 3% richiesta come stato membro dell'UE. La sua manovra era da €60 miliardi tra aumenti delle tasse e tagli alla spesa. Dal lato delle entrate includeva nuove tasse su circa 24.000 delle famiglie più ricche, sui profitti delle grandi aziende, sull'elettricità, sui viaggi aerei e sulle automobili. Dal lato della spesa Barnier ha cercato di congelare le pensioni statali per sei mesi l'anno prossimo, ridurre il sostegno per gli apprendistati e i contratti sovvenzionati e ridurre i rimborsi per le spese mediche e le indennità di malattia. E tutto questo doveva essere fatto aumentando la spesa per la difesa in risposta all'invasione russa dell'Ucraina.
C'era qualcosa qui che ha fatto innervosire tutti.
“I tagli alla spesa pubblica e alla rete di sicurezza sociale hanno un impatto maggiore sulla vita delle classi lavoratrici e medie”, ha affermato il legislatore di sinistra Eric Coquerel, capo della commissione Finanze dell'Assemblea nazionale. Ci si poteva aspettare l'opposizione a tali misure da parte di persone come Monsieur Coquerel, ma anche “Raggruppamento nazionale” (NR) di Marine Le Pen si è opposto. A novembre la Le Pen ha stabilito delle “linee rosse”, tra cui il rifiuto di aumentare le tasse sull'energia elettrica e l'impegno ad aumentare le pensioni statali da gennaio. “Abbiamo detto quali erano gli elementi non negoziabili per noi”, ha affermato la Le Pen. “Siamo diretti nel nostro approccio politico; difendiamo il popolo francese”.
Raggruppamento nazionale viene spesso accomunato ad altri partiti presumibilmente di “estrema destra” come Reform in Gran Bretagna. Infatti, mentre Nigel Farage di Reform potrebbe condividere l'avversione della Le Pen per l'immigrazione di massa, è, in termini economici, un Thatcheriano che offre, come descrive John Burn-Murdoch sul Financial Times, “tagli fiscali radicali e agevolazioni fiscali per l'assistenza sanitaria privata e l'assicurazione sanitaria”. Raggruppamento nazionale, al contrario, sostiene tasse elevate, spesa pubblica, più regolamentazione e protezionismo commerciale. Infatti è “di sinistra” nella maggior parte delle cose, a parte l'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione. Ciò fa eco ai dibattiti negli Stati Uniti tra i conservatori “Freedom” e “National”. La Le Pen ha descritto il modesto consolidamento fiscale di Barnier come “pericoloso e ingiusto” e presagio di “caos” per la Francia.
Questo caos è già arrivato, insieme alla crisi fiscale.
“Lunedì, per la prima volta, i costi dei finanziamenti francesi sono saliti più di quelli della Grecia”, ha riportato la Reuters, “mentre il governo di Michel Barnier era sull'orlo del collasso, sottolineando un drastico cambiamento nel modo in cui i creditori vedono l'affidabilità creditizia dei membri della zona Euro”.
A novembre il governo di Barnier è sopravvissuto a un voto di sfiducia promosso dalla coalizione di sinistra quando Raggruppamento nazionale e i suoi alleati nell'Assemblea nazionale si sono astenuti. Quando Barnier ha forzato la manovra utilizzando una scappatoia costituzionale, è stato troppo per Raggruppamento nazionale che, insieme al “New Popular Front” di estrema sinistra, ha presentato mozioni di sfiducia contro il suo governo. Quello di Barnier è diventato il primo governo a perdere una mozione di sfiducia sin dal 1962.
Le conseguenze di questa instabilità si faranno sentire oltre i confini della Francia. Il Paese è da tempo un membro chiave, seppur un po' ambiguo, del “cuore” dell'Eurozona, ma potrebbe essere sulla buona strada per diventare un membro della sua “periferia”. Le conseguenze per la moneta unica e l'economia dell'Eurozona saranno significative. Il cuore è stato tradizionalmente accomunato a disciplina monetaria e fiscale e l'appartenenza di entrambe le potenze dell'Unione Europea a esso, Germania e Francia, ha permesso a tale situazione di prevalere. Se la Francia uscirà dal cuore e si unirà alla periferia, l'equilibrio di potere nell'Eurozona si sposterà verso un allentamento monetario e fiscale. Come minimo la Germania avrà più difficoltà a prendere le decisioni e Paesi come l'Italia avranno un nuovo e potente alleato.
L'Unione Europea è da tempo abituata all'instabilità politica tra i suoi membri periferici, ma la Francia, la sua seconda economia più grande, ora non ha un governo, nessuna prospettiva immediata di andare avanti e potrebbe presto non avere nemmeno un presidente. Come reagirà quando un membro centrale delle istituzioni sarà uno di quelli instabili?
Gli americani, inclini a pensare che la loro politica offra una dimostrazione di disfunzione unica tra le nazioni della Terra, potrebbero consolarsi se guardano alla Francia; dovrebbero evitare di provare troppa schadenfreude.
A giugno il Congressional Budget Office (CBO) ha previsto un deficit di bilancio federale di $2000 miliardi nel 2024 e “crescerà fino a $2.800 miliardi entro il 2034”. Il CBO fa notare che questi “deficit equivalgono al 7,0% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2024 e al 6,5% del PIL nel 2025 [...]. Entro il 2034 il deficit rettificato equivarrà al 6,9% del PIL, più del 3,7% che i deficit hanno fatto registrare in media negli ultimi 50 anni”.
Il risultato: “Il debito detenuto dal pubblico aumenta dal 99% del PIL di quest’anno al 122% del 2034, superando il precedente massimo del 106% del PIL”.
La disfunzione politica della Francia deriva da molte fonti, non ultime le reazioni all'immigrazione di massa nel Paese negli ultimi anni. Ma deriva anche dal semplice fatto che i suoi governi hanno fatto a lungo promesse di spesa che la sua economia non può mantenere.
Questa disfunzione potrebbe manifestarsi in qualsiasi Paese in cui siano state fatte tali promesse e gli Stati Uniti sono uno di questi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Caos economico/geopolitico o dieci anni di oblio
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/caos-economicogeopolitico-o-dieci)
Come mai l'economia italiana attuale, la migliore di sempre a quanto pare, o almeno così dicono tutti, riesce a produrre “occupazione da record” ma in mezzo secolo non è riuscita a dare ai lavoratori un aumento di stipendio? Come mai oggi è più costoso per loro, in termini di ore di lavoro, acquistare una casa o un'auto rispetto a 50 anni fa? Case e auto sono gli asset “fondamentali” della classe media e la maggior parte delle persone le ottiene scambiando il proprio tempo (stipendio). Poiché ci vuole sempre più tempo per acquistarle, le persone hanno meno tempo a disposizione; sono più povere in ciò che conta di più: il tempo.
Naturalmente case e auto dovrebbero essere di qualità superiore rispetto agli anni '70. Alcuni economisti ritengono che questi miglioramenti “edonici” giustifichino i prezzi più alti. Ma se sono migliori è grazie ai progressi tecnologici. Un'auto, ad esempio, ha più componenti elettronici di prima. Si dice che sia più sicura, più veloce e più economica. Naturalmente anche le fabbriche sono diventate più avanzate: la concorrenza spinge i produttori a migliorare le cose e a renderle più economiche. I vari pezzi sono diventati più facili da fare e più facili da assemblare; molte funzioni che prima richiedevano lavoro manuale ora vengono eseguite roboticamente.
Quindi la tecnologia che ha reso le auto migliori avrebbe dovuto renderle anche più economiche, non più costose.
Allo stesso modo ci viene detto che le case sono più grandi e migliori che mai. Sono più costose perché valgono di più, ma potrebbe essere vero proprio il contrario. Le nuove case sono spesso realizzate con materiali compositi fragili che sono facili da lavorare, ma non hanno la bellezza e la solidità del vero durame di quercia o pino. Inoltre anche le case costruite nel 1970 o prima sono costose e spesso più costose di quelle di più recente costruzione. Quindi come mai una persona media deve lavorare il doppio del tempo solo per un tetto sopra la testa e un set di ruote? È perché “il sistema” è stato corrotto? Ora fornisce politiche pubbliche che servono gruppi specifici di persone, di solito quelle con un buon team di lobbying e un sacco di soldi per “oliare gli ingranaggi politici” a spese del pubblico.
Più volte su questo blog abbiamo visto che il PIL ha poco a che fare con la ricchezza reale. Le illustrazioni più chiare a tal proposito sono state fornite dalla Germania nazista e dall'Unione Sovietica. In quest'ultima i lavoratori comuni erano più poveri, di proposito. L'economia era organizzata e controllata dall'élite, alle industrie veniva detto cosa produrre e quanto potevano far pagare. Il sistema sovietico produceva molti prodotti, ma pochi che la gente desiderasse realmente. Eppure, sempre negli anni '80, c'erano ancora economisti in Occidente che erano impressionati solo dai numeri. Paul Samuelson, ad esempio, “scrisse il libro” di economia che fu ampiamente utilizzato come testo in tutti gli Stati Uniti. Il suo Economics: An Introductory Analysis diceva agli studenti che l'Unione Sovietica aveva raggiunto una “rapida crescita” e industrializzazione grazie alla sua pianificazione centrale. Non aveva tutti i torti: i numeri del PIL mostravano che l'Unione Sovietica stava scoppiando di “crescita”, ma contare il numero di luterani nella Gestapo o le saponette in un campo di prigionia probabilmente non diceva molto...
Nell'Unione Sovietica il sapone lasciava un odore così nauseabondo che tutti lo sentivano, ma poiché i pianificatori centrali disdegnavano la concorrenza e la scelta dei consumatori, tutti dovevano usarlo. I visitatori riferirono che nel giro di pochi giorni dalla caduta del Muro di Berlino, quell'odore scomparve.
I numeri del PIL ingannarono gli economisti.
L'economia nazista era, come quelle occidentali di oggi, un'economia “capitalista” con un'influenza governativa pervasiva. E ciò verso cui i nazisti guidarono l'economia fu la guerra. All'inizio i numeri sembravano buoni: gli ordini di carri armati, aerei e uniformi tenevano impegnate le fabbriche. Il PIL aumentò. Gli osservatori stranieri riferirono che “Hitler faceva arrivare i treni in orario”; dissero di non aver mai visto così tanta energia. A un certo punto la disoccupazione scese sotto lo zero (semmai fosse possibile). Con così tanti uomini in uniforme, la Germania rimase senza lavoratori, quindi i pianificatori centrali nazisti portarono manodopera schiava dai Paesi conquistati.
Anche qui i numeri del PIL raccontavano una storia incredibile: la gente non poteva mangiare gli aerei da caccia Messerschmitt, e con così tanta manodopera e capitale investiti nell'industria della potenza di fuoco, c'era poco per le cose che contavano davvero. Il cibo, per esempio. A un certo punto gli stessi funzionari del governo avvertirono che le donne tedesche non mangiavano abbastanza e che avrebbero potuto non essere in grado di avere figli. L'economia si surriscaldò; le persone si impoverirono.
Quindi, cosa sta succedendo in Italia? I dati del PIL ci dicono che l'economia sta uscendo dal pantano economico. La disoccupazione è vicina ai minimi storici e il mercato azionario è a massimi storici se prendiamo come riferimento il 2008. Ma c'è qualcosa che non quadra in tutto questo. Cosa sta succedendo veramente? Se un'economia non rende la gente comune più ricca, che senso ha?
UN ESPERIMENTO PERICOLOSO
Ciò non significa che la persona media non stia meglio. Oggi, nel bene e nel male, abbiamo aggeggi elettronici che non avevamo negli anni '70. Possiamo passare tutta la vita curvi sui nostri computer portatili, magari seduti in un bar o in un ufficio, a giocare e a parlare con donne svestite con accento bielorusso. È un progresso, no? Abbiamo TikTok, Facebook, X, IA, le sneaker di Trump, ecc. Abbiamo persino auto che creeranno i loro incidenti stradali. Non è richiesto alcun intervento umano, ma i lavoratori nelle nuove industrie odierne, comprese quelle dei nostri più grandi datori di lavoro, spesso vivono in una povertà scioccante. Almeno questa è stata la conclusione della relazione più recente della Caritas. Senza contare, poi, l'ampliamento e l'incapacità dello stato sociale di servire la pletora di poveri in crescita.
Un piccolo esperimento mentale ci permetterà di capire il punto. Userò l'oro come misura affidabile dell'inflazione. Nel 2015 un grammo d'oro costava circa €30; questo significa che, agli stipendi di allora, ovvero circa €1500, il lavoratore medio poteva acquistare un grammo e mezzo d'oro al giorno. Oggi un grammo d'oro costa €80; questo significa che, agli stipendi attuali, ovvero circa €1700, il lavoratore medio può acquistare un grammo d'oro dopo un giorno e mezzo. Cosa succede? Cosa c'è che non va?
Come abbiamo visto, prima, l'Unione Sovietica prendeva le materie prime e, seguendo la precisione logica e le stupide teorie dei suoi pianificatori, le trasformava in prodotti finiti di qualità talmente inferiore che valevano meno, sul mercato mondiale, rispetto alle risorse impiegate per produrli. Ecco perché, quando l'Unione Sovietica andò nel paradiso degli esperimenti economici sbagliati, i suoi imprenditori e oligarchi tornarono a produrre materie prime. L'economia hitleriana della Germania del 1933-1945 ebbe un successo simile. Faceva lavorare le persone, faceva arrivare i treni in orario, faceva eruttare fumo dalle ciminiere dalla Baviera alla Prussia, ma ciò che produsse (fucili, carri armati, sostanze chimiche e bombe) non rese le persone più ricche; le rese più povere.
In ogni caso avrete notato la relazione causale: lo stato impose la sua volontà all'economia allontanandola dalla produzione di ciò che le persone volevano per produrre ciò che gli addetti ai lavori volevano. Fino alla metà degli anni '70 la ricchezza dei ricchi e dei poveri aumentò, in tandem. Più o meno alla stessa velocità. Poi iniziarono a divergere, poco a poco all'inizio, e successivamente di molto.
Quindi l'economia italiana non è stata un flop totale per tutti, ma qualcosa è andato molto storto.
NON È IL CAPITALISMO A FALLIRE
È il capitalismo la fonte dei guai economici? La sua presunta propensione a suicidarsi?
Se avessi un satoshi per ogni volta che un economista ha affermato che “il capitalismo ha fallito” ogni giorno dovrei organizzare “gite in barca”. Il capitalismo non fallisce mai, si adatta a qualsiasi restrizione e circostanza gli imponiamo stupidamente. Nell'economia di Henry Ford gli Stati Uniti erano la nazione più libera e “più capitalista”, dato che rispettavano le tre cose che rendono possibili gli accordi win-win (vicendevolmente vantaggiosi): diritti di proprietà, contratti rispettati e denaro reale. L'economia odierna ha ancora diritti di proprietà e i contratti sono ancora fatti rispettare nei tribunali, sebbene il capitalismo oggi sia soggetto a molte più intromissioni e interventi rispetto a cento anni fa.
La grande differenza è che l'economia odierna funziona a credito, non con denaro reale. Il cambiamento è avvenuto in un giorno ormai familiare, il 15 agosto 1971. Fu appena notato, ancora oggi la maggior parte delle persone ricorda chi vinse il campionato allora piuttosto che ricordare il cambio di rotta che distorse l'intero sistema monetario mondiale.
Henry Ford si arricchì realizzando qualcosa che la gente voleva. Non furono necessari sussidi governativi, non fu annunciata alcuna “transizione industriale”, non furono concesse sovvenzioni, nessuna agevolazione fiscale, nessun programma per installare stazioni di rifornimento in tutta la nazione. Ford vendette le sue auto con un profitto e aumentò i salari dei suoi lavoratori, in denaro reale. Se Ford voleva fare più soldi, doveva produrre più auto... auto migliori... e renderle più efficienti; è così che funziona un'economia capitalista onesta. Si ottiene dando, non prendendo.
E oggi, sì, ci sono ancora alcuni capitalisti veri in giro. Elon Musk, per esempio, che si dice “dorma sul pavimento della fabbrica” di tanto in tanto, e James Dyson, il quale supervisiona personalmente lo sviluppo e la produzione di asciugacapelli, aspirapolvere, ecc. Tuttavia la maggior parte dei potenziali miliardari non è attratta dall'economia reale delle cose, ma dalle fantasie finanziarizzate di Wall Street. Creano hedge fund, o investono nel capitale di rischio, o fanno fusioni e acquisizioni; i loro cuori possono essere fuligginosi, ma le loro mani sono pulite. Perché Wall Street? Perché è lì che si trova il nuovo denaro basato sul credito. Ai tempi di Henry Ford il credito derivava dai risparmi e questi ultimi derivavano dal lavoro. I soldi bisognava guadagnarseli, creando più PIL reale, prima di poterli risparmiare. Non si potevano creare nuovi risparmi “dal nulla”, perché, in definitiva, bisognava fare i conti con l'oro. Ma tutto questo è cambiato nel 1971. Oggi le grandi banche prendono in prestito denaro tramite il credito delle banche centrali, spesso al di sotto del livello d'inflazione dei prezzi al consumo.
Il nuovo sistema monetario si basa su un'illusione: che il “credito” sia altrettanto valido dei vecchi risparmi. Ciò ha portato a un'altra illusione, ancora più pericolosa, che le banche centrali possano aumentare la quantità di credito disponibile quando vogliono e che siano esse, piuttosto che acquirenti e venditori, a determinare i tassi d'interesse. Naturalmente i tassi tendono a scendere artificialmente in questo ambiente: è così che si fanno soldi in un sistema monetario fasullo, ovvero si prende in prestito a poco, si scommette sugli “asset finanziari” e, in base ai valori gonfiati delle proprie attività collaterali, si è in grado di prendere in prestito ancora di più. Il credito scoperto e i tassi d'interesse artificialmente bassi hanno reso possibile acquistare cose che in realtà non contribuivano alla ricchezza della nazione. Ogni centesimo del debito pubblico, ad esempio, è stato registrato nel PIL, ma come le bombe naziste o il sapone sovietico la maggior parte di ciò ha finanziato una realtà fasulla, senza valore o transitoria.
Il credito scoperto ha reso possibile a consumatori e aziende di acquistare cose di cui non avevano realmente bisogno con denaro che in realtà non avevano.
Il panettone comprato lo scorso Natale e poi comparso nelle spese da saldare della carta di credito, era reale. È stato consumato, goduto. Era “fittizio”? No, ma l'aumento del PIL che ha generato era solo metà della storia. Ciò che il credito dà, il rimborso, l'inadempienza o l'inflazione deve togliere. Quando il conto viene finalmente pagato, il PIL dovrebbe essere ridotto di una quantità equivalente (poiché il denaro viene sottratto all'economia dei consumatori per rimborsare il prestito), quindi finché il debito cresce (con conti non pagati) otteniamo un falso senso di PIL reale.
Immaginate di comprare l'auto del vostro vicino. Il PIL salirebbe, ma supponiamo che in seguito vorreste restituirla e riavere indietro i soldi. Dal punto di vista economico è stato un viaggio di andata e ritorno verso il nulla. Nessun aumento reale della produzione. Il PIL registrala vendita come un qualcosa di positivo... ma non il rimborso come un qualcosa di negativo. In altre parole il PIL riflette solo metà della transazione!
Ora immaginate di prendere in prestito i soldi per acquistare l'auto e di volerla tenere. Il PIL mostrerebbe un guadagno “fittizio” e sarebbe tale perché c'è una riduzione uguale e opposta della produzione ancora non registrata. Il debito totale rappresenta aumenti della produzione che non sono ancora stati pagati. Quanto di questo è PIL fasullo? Impossibile dirlo.
PANDEMONIO CONSAPEVOLE
Questi fattori sono ben noti anche ai pianificatori centrali e vengono utilizzati nei periodi di transizione in cui perdono il controllo e hanno bisogno che gli attori di mercato seguano il loro copione. È una questione di fiducia, la quale è andata persa definitivamente nel 2008. Le banche centrali sono degli illusionisti: il braccio armato delle banche deboli per costringere quelle forti a finanziarle. Sono sostanzialmente prive di un qualsiasi potere significativo. Come degli illusionisti danno l'idea di averlo, ma nessuno guarda le loro mani e riesce a seguire il trucco a velocità normale. La velocità ve l'ho rallentata io nel precedente articolo che ho scritto: prestiti al settore privato al palo. Come si ricostruisce questa fiducia? Powell e la FED hanno un piano: ridare prevedibilità all'economia statunitense. Come? Normalizzando la curva dei rendimenti. In questo modo si rende relativamente più sicuro addentrarsi nel mondo dei derivati, soprattutto quelli legati agli swap sui tassi d'interesse e sulle valute. Ora che la Yellen non può più usare il Ministero del Tesoro per fare un QE tramite le scadenze a breve termine e facilitare il compito dei player esteri (leggi Londra e Bruxelles) di vendere il dollaro, quest'ultimo continuerà a salire di prezzo ed esercitare pressione sulle altre divise.
Il gioco della BoE e della BCE per restare a galla, usare la loro stampante monetaria per comprare bond americani, vendere dollari e mantenere soppressi i differenziali di rendimento tra la scadenze obbligazionarie, è in sofferenza: nel processo stanno sacrificando euro e sterlina.
Uno dei motivi per il ciclo di rialzo dei tassi inaugurato dalla FED è stato quello di rendere sempre più difficile finanziare una guerra col portafoglio degli Stati Uniti. E questo non sarebbe stato possibile senza l'approvazione del SOFR, ma questa storia la potete trovare nel dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Adesso chi vuole la guerra deve finanziarsela da solo, come sta dimostrando il governo inglese. Adesso chi vuole uno stato sociale invasivo e ipertrofico deve finanziarselo da solo, come ha affermato Rutte di recente. Niente più leva finanziaria sconsiderata nel mercato dell'eurodollaro. Nemmeno Trump, di per sé, vuole un dollaro a basso costo, ma deve ingoiare il rospo per portare al tavolo delle trattative la cricca di Davos. Quest'ultima è stata in carica della presidenza degli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi 4 anni, e farà letteralmente di tutto per impantanare gli USA in qualche guaio militare in Medio Oriente o in Europa orientale affinché il rubinetto fiscale dello zio Sam non venga chiuso.
Il tentativo fallito di colpo di stato in Corea del Sud (indovinate chi “ha inventato” la legge marziale...), il colpo di stato in Romania, l'abbattimento della democrazia in Moldavia, la rivoluzione colorata in Georgia, la balcanizzazione della Siria, sono tutti tasselli che si inseriscono nella narrativa di una cricca di Davos che le sta provando tutte per ripristinare la propria autorità e visione del mondo. Siamo entrati in un territorio pericoloso in Europa e in Inghilterra: la sostituzione dello stato di diritto con l'arbitrio volubile della classe dirigente. In uno stato di diritto tutti hanno accesso alle regole e sono chiare per tutti, nonché valide per tutti; in un ambiente in cui l'arbitrio è ad appannaggio della classe dirigente, nessuno sa quale siano le regole e cambiano in base alle circostanze. È così che si possono annullare elezioni legittime in Romania senza prove a supporto di reali interferenze esterne (presenti a quanto pare nelle presidenziali, ma magicamente assenti nelle parlamentari), oppure ignorare istituzioni come l'OSCE che hanno legittimato le elezioni in Georgia e alimentare sedizioni di piazza per ribaltare regolari esiti elettorali.
La cricca di Davos e i neoconservatori inglesi sanno benissimo che se non conservano la loro presunta infallibilità e ascendente, saranno relegati all'oblio geopolitico (come minimo) per i prossimi dieci anni. Come ho scritto anche nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ci sarà un evento del genere, ma per chi sarà?
Tutti gli occhi sono puntati sulle elezioni in Germania adesso.
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La Cina ammette di avere enormi debiti ombra, un grattacapo per l’UE e il Regno Unito e per i loro rating di credito
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-cina-ammette-di-avere-enormi-debiti)
Il pacchetto di stimolo per l'economia cinese, preannunciato dalla Banca Popolare Cinese a fine settembre, ha deluso per dimensioni e dettagli, ma ha ottenuto qualcosa per cui i governi dell'UE e del Regno Unito non ringrazieranno: ha attirato l'attenzione sulla portata del debito pubblico “ombra” della Cina e sulla loro reale intenzione di ridurlo. L'UE e il Regno Unito hanno in programma di aumentare il debito ombra per pagare la “transizione verde” e sperano che le agenzie di rating non notino l'escalation dell'onere del servizio del debito, per quanto ben avvolto in schemi finanziari innovativi.
La nuova misura e quanto già annunciato
Il nostro articolo precedente quantificava il pacchetto di stimolo a circa l'1% del PIL cinese.
Gli investitori attendevano il Congresso nazionale del popolo nella settimana del 4 novembre per ulteriori spiegazioni, o per l'ampliamento di queste proposte, o per nuove proposte, o per tutte e tre le cose. Alla fine non c'è stato nulla di nuovo, tranne una misura da 10.000 miliardi di yuan ($1.400 miliardi) per fare ciò che China File ha descritto come “finanziamento dei governi locali in modo che ripuliscano gli arretrati tra pagamenti ai dipendenti pubblici e alle aziende locali”.
Reuters ha spiegato il contesto: “Gli enti locali, di fronte a un debito elevato e a entrate in calo, hanno tagliato gli stipendi dei dipendenti pubblici e accumulato debiti con le aziende del settore privato”.
Nuova misura per saldare i debiti con le aziende del settore privato
La misura da 10.000 miliardi di yuan, pari al 7,9% del PIL, aumenta la capacità di indebitamento degli enti locali di 6.000 miliardi di yuan per il 2025-2027 e indirizza i restanti 4.000 miliardi di yuan in prestiti già approvati per il 2024-2028.
Tutti i 10.000 miliardi di yuan saranno utilizzati per pagare i debiti nei cosiddetti Local Government Financing Vehicles, o LGFV. Questi debiti sono oneri non pagati e dovuti dai governi locali al settore privato e sono stati raccolti in questi LGFV, la cui identità legale è confusa, nonostante abbiano un nome ufficiale che conferisce loro un'apparenza di sostanza. Non è passato denaro contante per gli oneri da registrare sotto forma di un LGFV: il denaro contante passerà solo quando gli oneri saranno pagati, il che avverrà entro la fine del 2028.
Un LGFV non è altro che un'estensione del libro mastro dei conti da pagare dell'ente governativo locale, ma non è supportato da processi sufficientemente solidi da far sì che l'FMI e le autorità cinesi concordino sul saldo: la quantificazione accurata è uno dei problemi del debito ombra.
Analisi dell'FMI sul debito pubblico cinese
La misura da 10.000 miliardi di yuan comporterà un aumento del debito esplicito degli enti locali, e per estensione quello del debito pubblico cinese, e una diminuzione uguale e opposta nei vari strati degli LGFV.
L'FMI ha di recente pubblicato questo grafico in cui sono rappresentati i diversi livelli di indebitamento del settore pubblico cinese:
Il debito del governo centrale è modesto rispetto agli standard occidentali. L'indebitamento diretto da parte di enti governativi locali, controllati e mantenuti bassi nel Regno Unito, è grande quanto il debito del governo centrale. Il debito LGFV si aggiunge a questi numeri e poi esiste un nebuloso strato aggiuntivo di circa il 10% del PIL attuale (vale a dire circa $1.800 miliardi ora, in espansione entro il 2030 a circa $4.000 miliardi). Il risultato è un rapporto debito/PIL attuale di circa il 125%, che secondo le proiezioni dell'FMI salirà al 150% nel 2029.
Debito degli enti locali prima e dopo l'intervento
Il debito esplicito dei governi locali prima dell'intervento era di circa 30.000 miliardi di yuan, ovvero $4.200 miliardi. Il debito LGFV è stimato dall'FMI a 60.000 miliardi di yuan ($8.400 miliardi), ovvero il 47% del PIL cinese da $17.795 miliardi.
Si tratta del 400% della cifra per il debito LGFV che le autorità di Pechino hanno segnalato. Il ministro delle Finanze, Lan Foan, ha quantificato il debito LGFV in 14.300 miliardi di yuan ($2.000 miliardi) e vuole ridurlo a 2.300 miliardi di yuan ($321 miliardi) entro il 2028.
Tuttavia, se i dati dell'FMI sono corretti, la misura annunciata ridurrà il debito dagli attuali 60.000 miliardi di yuan a 50.000 miliardi di yuan entro il 2028, ovvero a $7.000 miliardi, o al 39% del PIL odierno.
Il riconoscimento dell’esistenza del debito ombra è un duro colpo per l’UE e il Regno Unito
È confortante che un Paese importante ammetta l'esistenza di un debito pubblico ombra. Questo non piacerà all'UE o al Regno Unito, però. Né piacerà l'estrema differenza tra le cifre fornite a riguardo dall'FMI e dalle autorità cinesi.
Anche gli stati membri dell’UE hanno un debito ombra a livello di entità sovranazionali e a livello di entità del settore pubblico e di regimi fuori bilancio degli stati membri.
Alla fine del 2021 Eurostat ha registrato il debito nazionale aggregato dell'UE (il “debito lordo delle amministrazioni pubbliche” di tutti gli stati membri) a €13.000 miliardi, pari al 90% del PIL dell'UE. La cifra effettiva del debito pubblico dell'UE, incluso il debito ombra, era più vicina ai €19.000 miliardi, ovvero il 134% del PIL dell'UE. Includendo anche le passività potenziali del settore pubblico, la passività totale sale a quasi €23.200 miliardi, ovvero il 160% del PIL.
I debiti mancanti includono quelli dell'UE stessa, come il Fondo di recupero per il Coronavirus da €750 miliardi e debiti in programmi sostenuti dal settore pubblico come InvestEU. Le passività potenziali includono garanzie dietro entità sovranazionali come la Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per la stabilità finanziaria.
Le cifre pubblicate dal Regno Unito sono più complete e le sue passività nei confronti delle entità sovranazionali dell'UE è diventata limitata. Non ha, a differenza dell'UE, una serie di entità del settore pubblico con i propri poteri di prestito il cui servizio del debito deve essere attinto allo stesso pozzo. Ciò che ha è uno schema fuori bilancio chiamato Private Finance Initiative o PFI, risalente agli anni del New Labour nel periodo 1997-2010, in base al quale una spesa in conto capitale di £50 miliardi ha prodotto un debito ombra da £278 miliardi e sarà estinto entro il 2053.
L'unica via è verso l'alto (per il debito) e verso il basso (per i rating creditizi)
L'esistenza di questi debiti ombra dovrebbe costare almeno due declassamenti di rating per tutta la Cina, gli stati membri dell'UE, tutte le entità sovranazionali dell'UE e il Regno Unito. Ma le agenzie di rating sembrano essere beatamente ignare dell'esistenza di questi debiti extra e del loro impatto sui rapporti debito/PIL.
Questa situazione non può certamente continuare, poiché la “decarbonizzazione” e la “transizione verde” stanno facendo ampio uso di schemi fuori bilancio: InvestEU all'interno dell'UE, il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile al di fuori dell'UE e gli “investimenti in infrastrutture critiche” di Rachel Reeves per i quali intende sfruttare (ovvero saccheggiare) i sistemi pensionistici del Regno Unito.
Riepilogo
La Cina ha ammesso l'esistenza di debiti ombra considerevoli, poi ha permesso che circolassero quantificazioni delle loro dimensioni che differivano tra loro di un fattore del 400%.
Ciò richiama l'attenzione su un problema fondamentale dei debiti ombra: quantificarne l'entità e l'impatto.
Dare così tanta visibilità alla questione non fa alcun favore all'UE e al Regno Unito, poiché i debiti ombra alimentano le statistiche economiche illusorie dell'Europa: i rapporti debito/PIL sono molto peggiori di quanto appaiano, perché i debiti ombra vengono trascurati.
Questa disconnessione sostiene rating di credito pubblico gonfiati per l'Europa, cosa che richiede un declassamento generalizzato di due livelli come primo passo nel processo di ancoraggio all'onere del debito complessivo e alla capacità di ripagamento per far fronte a tale onere.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Provoked: la lunga serie di abusi che hanno portato alla guerra in Ucraina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
_______________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/provoked-la-lunga-serie-di-abusi)
“Una volpe sa molte cose, ma un riccio ne sa una davvero grande”. Scott Horton è il riccio della politica estera nel circolo del movimento per la libertà, il quale si sforza di convincere il popolo americano di una verità critica: la follia della guerra. Ma in questa stessa sfera Horton è anche una volpe e tesse una conoscenza enciclopedica di vari conflitti in un elaborato e convincente arazzo che accusa élite, intellettuali, il complesso militare-industriale e, con il suo caratteristico vetriolo, i neoconservatori, i quali hanno spinto gli Stati Uniti verso guerre inutili.
Provoked: How Washington Started the New Cold War with Russia and the Catastrophe in Ukraine si adatta perfettamente a questo schema, non perché Horton distorca i fatti in una narrazione preconcetta ma perché sono spesso le stesse persone che spingono un conflitto dopo l'altro e ricorrono allo stesso, logoro manuale. Il tomo di Horton è avvincente, dall'inizio alla fine. Oggi mi concentrerò sui primi anni della Guerra Fredda, poiché questa parte della storia è spesso trascurata nei dibattiti contemporanei sulle origini della guerra in Ucraina.
Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell'URSS, gli USA si trovarono di fronte a una crisi: a cosa serviva l'alleanza militare NATO senza più il nemico sovietico contro cui schierarsi? Più in generale, quale grande strategia avrebbero dovuto adottare gli USA ora che contenere il comunismo era obsoleto? Per i neoconservatori, la cui risposta dopo la Guerra Fredda fu un'egemonia globale benevola, la soluzione era adattare la NATO: assorbire gradualmente più nazioni europee, lasciando la Russia contenuta e accerchiata, in una posizione persino peggiore rispetto alla Guerra Fredda. La NATO doveva espandere la sua missione per mantenere la pace europea ed espandere la democrazia occidentale.
Da George H. W. Bush a oggi, il resoconto meticolosamente compilato da Horton dimostra che gli USA e altri leader occidentali hanno comunicato ai leader e ai funzionari russi che la NATO non si sarebbe espansa a Est e avrebbe persino consentito l'adesione della Russia alla NATO. Vari sforzi come il Partenariato per la Pace e l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa sono stati promossi per alimentare questa impressione che la Russia sarebbe stata inclusa negli affari, nelle alleanze e nelle istituzioni europee, piuttosto che formare un allineamento contro di essa. I leader statunitensi e occidentali hanno assunto posizioni praticamente opposte internamente, con il risultato che i russi sono stati deliberatamente tratti in inganno. Ciò a cui abbiamo assistito è, in termini con cui gli americani hanno familiarità, “una lunga serie di abusi e usurpazioni che hanno seguito invariabilmente lo stesso Obiettivo".
Tutto cominciò con George H. W. Bush che promise a Mikhail Gorbachev, dopo la caduta del Muro di Berlino e mentre l'Unione Sovietica precipitava, che gli USA non avrebbero approfittato della situazione. Ciò si rifletteva anche in una risoluzione della NATO del 7 giugno 1991. Bush e i suoi consiglieri promisero che la NATO non si sarebbe espansa se l'Unione Sovietica si fosse ritirata e avesse consentito la riunificazione tedesca. L'accordo del 1990 specificava solo che gli USA non avrebbero schierato truppe nella Germania dell'Est, una sfumatura che i falchi in Russia sfruttarono per sostenere che non c'era alcuna promessa di non espandere la NATO. Horton si pone la seguente domanda retorica: che senso avrebbe avuto per l'Unione Sovietica estorcere una promessa di non schierare truppe nella Germania dell'Est, se gli USA avessero avuto mano libera per portare il resto dell'Europa orientale in un'alleanza militare? Questo accordo aveva senso solo sullo sfondo di un accordo di non espandere la NATO.
I peccati degli anni Clinton erano legione. Nei primi anni '90 gli Stati Uniti inviarono economisti dell'Harvard Institute of International Development in Russia per attuare quella che venne chiamata una politica economica di “terapia d'urto”. Era così mal progettata ed ebbe risultati talmente scarsi che molti russi pensarono che dovesse essere deliberata. Non sorprende che anche ciò non abbia spinto i russi a vedere l'Occidente favorevolmente. Per tutto quel decennio Clinton e i suoi consiglieri offrirono in modo ingannevole alla Russia la promessa che sarebbe stato perseguito un processo di “Partenariato per la pace” piuttosto che l'espansione della NATO, e che quest'ultima avrebbe perso il suo carattere militare, il tutto pianificando di espanderla in modo subdolo.
L'amministrazione Clinton fu pesantemente coinvolta nelle guerre nei Balcani di Bosnia e Kosovo, la cui connotazione era tutt'altro che “umanitaria”. Il risultato per la Bosnia fu che la NATO si dimostrò capace di portare a termine una nuova missione, mentre gli USA si consolidarono alla guida degli affari europei, ognuno dei quali era necessario per la successiva espansione della NATO. Il Kosovo consolidò ulteriormente il nuovo ruolo della NATO nel continente, intervenendo persino nelle guerre civili, mentre la campagna di bombardamenti contro la Serbia convinse i russi che gli USA erano una grande potenza aggressiva e spietata, e che avrebbe violato le regole internazionali quando gli faceva comodo. Gli USA si impegnarono in questa guerra aggressiva, in violazione della Carta delle Nazioni Unite, senza l'approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (di cui faceva parte la Russia). Tanti saluti all'ordine internazionale basato sulle regole. La frequente revisione delle regole da parte degli USA era una lamentela della Russia, anche durante la guerra in Iraq.
Inoltre quando la Russia entrò in guerra contro la Cecenia separatista, la CIA e gli alleati degli Stati Uniti sostennero i ribelli ceceni e i combattenti mujaheddin separatisti che combattevano dalla parte della Cecenia con l'obiettivo di interrompere un oleodotto russo. Anche questo evento è stato citato da Putin quando ha invaso l'Ucraina (come se tutto ciò non bastasse, Horton mostra come l'amministrazione Clinton sostenne i terroristi di bin Laden nelle guerre nei Balcani e in Cecenia; infatti più della metà dei dirottatori dell'11 settembre erano coinvolti in quelle guerre).
L'ascesa di Putin è stata essa stessa una conseguenza degli interventi clintoniani degli anni Novanta: dalla politica economica della “terapia d'urto”, all'aiuto a Eltsin per la rielezione nel 1996, al Kosovo e alla Cecenia. Come sottolinea Horton, Putin ha invocato il precedente del Kosovo per “proteggere” una minoranza etnica e giustificare l'invasione dell'Ucraina. In un esempio della guerra del Kosovo, Horton ha raccontato di come l'amministrazione Clinton ordinò il bombardamento di una stazione televisiva serba. Queste azioni influenzano ancora oggi i pensieri di Putin sull'Occidente: il suo attacco a una torre televisiva a Kiev nel febbraio 2022 ha riportato alla mente quel conflitto.
Il NATO-Russia Founding Act del maggio 1997 fu un'altra pietra miliare nella doppiezza di standard degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Garantiva che la NATO non avrebbe schierato armi nucleari o “ingenti” truppe nei territori delle nuove nazioni NATO. È importante notare che l'amministrazione Clinton indusse la Russia a credere che il Founding Act avrebbe dato alla Russia un ruolo autentico nelle deliberazioni della NATO, sebbene non avrebbe avuto voce in capitolo all'interno dell'alleanza stessa; infatti, stando alle parole del consigliere di Clinton, Strobe Talbott, il punto di vista degli Stati Uniti era che “tutto ciò che promettiamo loro sono riunioni mensili”.
L'amministrazione Clinton diede in pasto alla Russia solo bugie: la missione della NATO stava diventando politica piuttosto che militare. Venne persino detto che la porta era aperta alla possibilità che la Russia sarebbe entrata nella NATO, ma Horton dimostra che non c'era alcuna intenzione di fare nulla di tutto ciò. A peggiorare le cose nel luglio 1997 la NATO e l'Ucraina firmarono un accordo che avrebbe previsto l'addestramento dell'esercito ucraino e migliorato la loro interoperabilità con la NATO; nell'agosto 1997 venne pianificata un'esercitazione militare che coinvolse diversi ex-stati del Patto di Varsavia e repubbliche sovietiche per simulare l'intervento militare degli Stati Uniti in un conflitto etnico in Crimea.
E non era tutto. Gli USA cercarono di escludere la Russia dal petrolio del bacino del Caspio rifiutandosi di far passare un oleodotto dall'Azerbaijan attraverso la Russia, spingendolo invece verso una rotta occidentale attraverso la Turchia. Gli USA sostennero anche il raggruppamento GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia) per “accelerare l'integrazione europea ed escludere l'influenza della Russia dal Caucaso meridionale”, come racconta Horton, a cui la Russia si oppose fortemente definendolo un “Asse del male” nel 2005. Nel 1999 l'amministrazione Clinton violò anche il Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa siglato da Bush e Gorbachev, sostenendo che le “basi militari permanenti degli USA in Bulgaria e Romania” erano in realtà solo temporanee.
La fine degli anni Clinton diede inizio a un'ondata di “rivoluzioni colorate” nel cortile di casa della Russia. La cosa fondamentale di queste “rivoluzioni” era una: ampiamente finanziate e supportate da governi stranieri o ONG, come i gruppi di George Soros. Invece di rovesciare direttamente o segretamente un sistema esistente, queste organizzazioni operano “alla luce del sole”, il che significa che evitano di sostenere specifici candidati, poiché ciò sarebbe illegale, e invece finanziano e assistono gruppi che promuovono sforzi più generici e non partigiani come la “democrazia”. Le loro attività sono orientate ad “avvantaggiare [...] un certo candidato o un certo partito”. Una tattica preferita è quella di usare la “tabulazione parallela dei voti” o gli exit poll, utilizzati per contestare i risultati ufficiali delle elezioni. La disputa in genere si riversa in manifestazioni di piazza con l'obiettivo di estromettere il presunto vincitore.
Le “rivoluzioni” iniziarono in Serbia nel 2000 con l'estromissione della bestia nera di Clinton, Slobodan Milošević. Come commenta Horton, quell'evento culminò col “saccheggio e incendio dell'edificio del parlamento [serbo] in quella che potremmo edfinire una violenta insurrezione orchestrata dagli americani”. Nei decenni successivi numerosi altri stati sarebbero stati presi di mira per rivoluzioni colorate dagli Stati Uniti e dai loro alleati nelle ONG sostenuti da Soros.
Quanto descritto finora scalfisce solamente la superficie delle provocazioni post-Guerra Fredda nei confronti della Russia che Horton documenta, per non parlare delle follie e delle malefatte avvenute durante la presidenza di George W. Bush e in seguito. Horton sostiene in modo convincente che gli Stati Uniti hanno provocato la Russia nel corso di tre decenni, sapendo che quest'ultima avrebbe risposto con ostilità all'espansione della NATO. Ciononostante i leader e i funzionari degli Stati Uniti hanno continuato, realizzando i loro sogni più sfrenati di espansione della NATO e puntando a quello che è sempre stato il gioiello della corona: l'Ucraina. Non doveva andare così, ma il tempo stringe. Contro ogni aspettativa razionale l'amministrazione Biden è riuscita a raggiungere nuove vette di assurdità nella sua politica di escalation contro la Russia, spuntando una casella sul pericoloso piano di “pace” in cinque punti di Zelensky. Questa guerra non finirà tanto presto.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La mano di Obama sull'insabbiamento dei fatti in Ucraina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/la-mano-di-obama-sullinsabbiamento)
La settimana scorsa abbiamo scritto del ruolo centrale che Obama ha avuto nel creare la bufala del Russiagate. Oggi daremo un'occhiata più da vicino al motivo per cui Obama era coinvolto: cosa lo ha spinto a promuovere una bufala che era stata messa in atto dalla campagna della Clinton?
Molti sono a conoscenza degli intrighi di Biden in Ucraina, ma la maggior parte ignora il coinvolgimento implicito di Obama. Da qualche tempo ormai la nostra ipotesi di lavoro è che il Russiagate abbia avuto origine, almeno in parte, come risultato di ciò che Joe Biden stava facendo in Ucraina, e come risultato della conoscenza da parte di Obama delle sue azioni.
Ricordiamo che il coinvolgimento di Biden in Ucraina risale almeno all'inizio del 2014, quando fu coinvolto nel rovesciamento delle elezioni democratiche in Ucraina da parte degli Stati Uniti tramite Victoria Nuland, assistente segretario per gli affari europei ed eurasiatici al Dipartimento di Stato durante la presidenza Obama.
Nel novembre 2013 il presidente ucraino Yanukovych rifiutò un accordo commerciale sostenuto dagli Stati Uniti con l'Unione Europea in favore di un salvataggio di emergenza da parte della Russia, una decisione comprensibile dal punto di vista dell'Ucraina, ma che la Nuland e i suoi colleghi al Dipartimento di Stato trovarono profondamente sconvolgente.
Quando l'Unione Europea seguì la via diplomatica per risolvere l'impasse proponendo un accordo di condivisione del potere, la Nuland si affrettò a porre il veto all'idea, dicendo durante una telefonata trapelata, “[imprecazione] l'UE”. In quella stessa telefonata la Nuland discusse i suoi piani per la cacciata di Yanukovych e l'insediamento del leader dell'opposizione, Arseniy Yatsenyuk, come primo ministro.
Verso la fine della conversazione, la Nuland fece notare che il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, l'aveva informata che “hai bisogno di Biden”, e concluse dicendo che “Biden è disponibile”.
Biden venne effettivamente nominato uomo di punta dell'amministrazione Obama in Ucraina nel febbraio 2014. Il 22 febbraio di quell'anno, proprio come aveva pianificato la Nuland, Yanukovych fu rimosso dalla carica di presidente dell'Ucraina e, tre giorni dopo, Yatsenyuk, il candidato favorito dalla Nuland, fu nominato primo ministro.
In altre parole, il governo degli Stati Uniti permise un colpo di stato che estromise un leader eletto democraticamente e lo sostituì con un proprio candidato. La cacciata di Yanukovich guidata dagli Stati Uniti ebbe anche altre ripercussioni interne, in particolare lo scoppio di una guerra civile di otto anni tra l'Ucraina occidentale e la regione di lingua russa del Donbass.
L'idea che tutto questo avrebbe potuto essere fatto senza l'approvazione diretta di Obama è ovviamente ridicola.
Uno dei membri del governo di Yanukovych che perse la sua posizione nel governo a seguito del colpo di stato fu Mykola Zlochevsky, l'oligarca proprietario di Burisma Energy. Aveva prima ricoperto il ruolo di ministro dell'ecologia e delle risorse naturali e poi quello di vicesegretario per la sicurezza economica e sociale. Durante il suo mandato al governo, le aziende di Zlochevsky, in particolare Burisma, ricevettero un numero insolitamente elevato di permessi per estrarre petrolio e gas.
Nell'aprile 2014 i procuratori del Regno Unito sequestrarono $23,5 milioni in beni di proprietà di Zlochevsky, detenuti presso una banca di Londra, sostenendo che egli avesse commesso condotte criminali in Ucraina. Fu in questo stesso periodo che Burisma nominò il figlio di Biden, Hunter, e il suo stretto collaboratore, Devin Archer, nel proprio consiglio di amministrazione.
Il 21 aprile 2014 Joe Biden si recò in Ucraina, offrendo non solo il suo sostegno politico, ma anche $50 milioni in aiuti al nuovo governo traballante dell'Ucraina. Durante la visita di Joe in Ucraina, il 22 aprile, venne annunciato che Archer era improvvisamente entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma.
Nello stesso mese anche Hunter entrò a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma , ma curiosamente quest'ultima non annunciò la sua nomina fino al 12 maggio 2014, dopo la conclusione della visita del padre in Ucraina.
Molti hanno descritto il coinvolgimento di Hunter come un semplice mezzo per estorcere ingenti compensi al consiglio di amministrazione di Burisma per la sua semplice associazione con la famiglia Biden. Sebbene ciò possa essere verosimile, sospettiamo anche che c'era in gioco qualcosa di più grande: il gas naturale dell'Ucraina.
In una proposta del 23 giugno 2014 di Boies Schiller, lo studio legale che impiegava Hunter, a Burisma venne dato quello che lo stesso Schiller definì uno “Strategic Outline for Legal Defense Plan”. La loro proposta affermava di voler “isolare Burisma da interruzioni delle operazioni motivate politicamente, comprese le contestazioni alle licenze, ora e in futuro”.
La proposta di Boies Schiller si riferiva alle licenze per il gas naturale accumulate illegalmente da Zlochevsky durante il suo mandato nel governo ucraino.
Come parte di questa strategia, Boies voleva “incontrare quei funzionari a Washington, DC che guidano la politica statunitense relativa all'Ucraina per informarli su chi è Burisma, la sua importanza per il futuro dell'Ucraina e chiedere il loro consiglio/assistenza”.
La proposta diceva che “stiamo avviando il processo di creazione di una camera di risonanza di funzionari statunitensi che discutono di Burisma tra di loro e, incoraggiandosi a vicenda, incotnrano i vertici di Burisma”. Boies scrisse nella sua proposta di aver già parlato con un certo numero di membri del Congresso e il loro staff, tra cui il senatore Chris Murphy e il suo capo dello staff.
Anche Amos Hochstein, inviato speciale di Obama per l'energia internazionale negli Stati Uniti, fu menzionato nella proposta di Boies, potenziale protagonista di un incontro tra lui e il CFO di Burisma, Vadym Pozharskyi. L'incontro non ebbe luogo, sebbene Hochstein avesse incontrato il lobbista di Burisma, David Leiter, e la partner legale di Boies, Heather King.
Nel frattempo gli sforzi di Hunter continuavano. In un'e-mail del novembre 2014 Hunter disse al suo storico uomo d'affari, Eric Schwerin, di “inviare le informazioni di contatto di D Amos [...]. Amos è un 'Inviato speciale facente funzione al Bureau of Energy Resources' presso il Dipartimento di Stato”.
Ciò che è chiaro da questi documenti è che Hunter e Archer stavano lavorando per ottenere un sostegno politico di alto livello per Burisma da membri del Congresso e funzionari dell'amministrazione Obama in un momento in cui era chiaro che Burisma era gestita da un oligarca ucraino corrotto. E quel sostegno sembrava essere incentrato sulla protezione del gas naturale di Burisma.
Abbiamo scritto diverse volte sugli sforzi di Joe Biden per far rimuovere il procuratore ucraino Viktor Shokin, quindi non ripeteremo qui l'intera storia. Ma vale la pena ricordare che potrebbe essere stato proprio intorno alla sequenza di eventi che hanno portato al licenziamento di Shokin che Obama potrebbe essersi allarmato.
Il livello di coinvolgimento dei funzionari di Obama non avrebbe fatto che accelerare nel 2015, dopo che i Biden furono ulteriormente coinvolti negli intrighi legali di Burisma, sotto inchiesta per il furto di gas naturale dell'Ucraina.
Il 2 novembre 2015, dopo aver ricevuto una nuova richiesta di aiuto da parte di Zlochevsky per porre fine alle indagini su Burisma, Hunter contattò immediatamente il già menzionato Hochstein. Hunter lo avrebbe incontrato di persona quattro giorni dopo, il 6 novembre 2015. Hochstein in seguito disse, con riluttanza (e in modo evasivo), agli investigatori del Congresso che Hunter “voleva conoscere le mie opinioni su Burisma e Zlochevsky”.
Nell'ottobre 2015 Hochstein, all'epoca ancora inviato speciale di Obama per l'energia internazionale, espresse privatamente a Joe Biden le sue preoccupazioni sul ruolo di Hunter presso Burisma e nuovamente durante un volo per l'Ucraina il 7 dicembre 2015.
Abbiamo menzionato Hochstein diverse volte per un motivo: fu nominato da Obama per “aiutare l'Ucraina e altri Paesi europei a trovare nuove forniture di gas naturale dopo che la Russia aveva invaso” la Crimea nel 2014. Hochstein “ha anche lavorato su questioni energetiche relative alle sanzioni contro l'Iran e la Russia” e “ha lavorato a stretto contatto con funzionari del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca e altre agenzie governative”.
Hochstein era l'uomo di punta di Obama sulla situazione energetica in Ucraina. Se Hochstein sapeva tutto quello che facevano i Biden, lo sapeva anche Obama.
Un'ulteriore prova di ciò viene da una serie di incontri tra i procuratori del National Anti-Corruption Bureau (NABU) dell'Ucraina, i funzionari del National Security Council di Obama, dell'FBI, del Dipartimento di Stato e del DOJ, avvenuti nel gennaio 2016. L'ambasciata ucraina a Washington ha successivamente “confermato che l'amministrazione Obama aveva richiesto gli incontri”.
A questi incontri del gennaio 2016 era presente Andrii Telizhenko, allora dipendente dell'ambasciata ucraina. Secondo quest'ultimo un tema ricorrente in queglii incontri era “quanto fosse importante che tutti i nostri sforzi anticorruzione fossero uniti”. Inoltre a Telizhenko fu detto che i funzionari statunitensi “avevano interesse a far rivivere un'indagine, ormai chiusa, sui pagamenti a personaggi statunitensi da parte del Partito delle Regioni ucraino sostenuto dalla Russia”.
L'attenzione dei funzionari statunitensi era rivolta al futuro Campaign Manager di Trump, Paul Manafort. Sappiamo che “gli agenti hanno intervistato Manafort nel 2014 per sapere se avesse ricevuto pagamenti non dichiarati” e “se avesse svolto attività improprie di lobbying in Ucraina”.
Secondo Telizhenko “i funzionari del Dipartimento di Giustizia hanno chiesto agli investigatori del NABU ucraino se potevano aiutarli a trovare nuove prove sui pagamenti del Partito delle Regioni e sui suoi rapporti con gli americani”. Paul Manafort sarebbe stato in seguito implicato nei pagamenti del Partito delle Regioni, il che avrebbe portato alla sua definitiva rimozione dalla campagna di Trump.
Nel gennaio 2016, proprio durante l'incontro del NABU con i funzionari di Obama, Alexandra Chalupa, che stava indagando sul lavoro di Manafort in Ucraina, informò un alto funzionario del DNC di ritenere che ci fosse un collegamento tra la Russia e la campagna di Trump.
Questo tema sarebbe stato ripreso dalla campagna della Clinton e dall'intelligence americana nell'estate del 2016. Chalupa disse anche al funzionario di aspettarsi il coinvolgimento di Manafort nella campagna di Trump; come lo sapesse in anticipo non è mai stato spiegato del tutto.
Il NABU fu fondato nell'ottobre 2014 con l'assistenza del governo degli Stati Uniti, spinto dal vicepresidente Joe Biden e da Victoria Nuland. A gennaio 2016 il direttore del NABU, Artem Sytnyk, annunciò che il suo ufficio era vicino alla firma di un Memorandum di cooperazione con l'FBI e che entro il 9 febbraio esso avrebbe avuto un rappresentante permanente in loco presso gli uffici del NABU.
Una settimana dopo l'insediamento del primo rappresentante dell'FBI presso il NABU, il 18 febbraio 2016 — mentre Joe Biden stava spingendo per la rimozione di Shokin — le autorità lettoni segnalarono una serie di transazioni finanziarie “sospette” collegate a Hunter Biden, Devon Archer e altri due individui sconosciuti coinvolti con Burisma.
Successivamente venne riportato che “tra il 2012 e il 2015 una serie di ripagamenti di prestiti, per un totale di circa $16,6 milioni, sono stati indirizzati da aziende in Belize e nel Regno Unito a Burisma tramite la PrivatBank ucraina”. I funzionari lettoni affermarono che una parte di questi fondi venne trasferita a Hunter, Devon e a due individui senza nome, uno dei quali era un cittadino statunitense.
Nonostante le richieste di assistenza un funzionario lettone affermò che il suo governo non ricevette prove penali dall'Ucraina e quindi non intraprese ulteriori azioni nell'ambito delle indagini. Ci sembra poco plausibile che l'FBI, con la sua presenza attiva negli uffici anticorruzione dell'Ucraina, non fosse a conoscenza di queste transazioni, insieme a tutto il resto che i Biden stavano facendo.
Dal punto di vista di Obama e Biden, questa situazione con le autorità lettoni doveva essere contenuta prima che potesse esplodere. Infatti Shokin affermò in seguito che erano quelle informazioni a “rendere impossibile” la chiusura della sua indagine su Burisma.
Una volta che Biden riuscì a far licenziare Shokin il 29 marzo 2016, si concentrò su un nuovo obiettivo e una nuova direttiva: trovare il sostituto appropriato. Nonostante la rimozione di Shokin, l'indagine Burisma era ancora tecnicamente aperta.
Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, nominò Yuriy Sevruk come sostituto di Shokin lo stesso giorno del licenziamento di quest'ultimo. Nello stesso periodo Blue Star (assunta da Burisma su sollecitazione di Hunter) iniziò a esaminare attentamente Sevruk. Sembra che avesse deciso che quest'ultimo non era la persona giusta per concludere tutte le indagini su Burisma.
Lo sappiamo perché il 12 maggio 2016 l'ex-ministro degli Interni, Yuriy Lutsenko, fu improvvisamente nominato nuovo procuratore generale dell'Ucraina, in sostituzione di Sevruk. Il giorno dopo la nomina di Lutsenko, Biden approvò il finanziamento da $1 miliardo all'Ucraina che era stato originariamente previsto per il novembre 2014 durante una chiamata con Poroshenko.
Questo ritardo inspiegabile nei finanziamenti è importante, perché fin dall'inizio la Casa Bianca di Obama era profondamente coinvolta nel finanziamento dell'Ucraina. Sembra del tutto improbabile che Biden da solo avesse potuto ritardare $1 miliardo di finanziamenti che erano stati approvati dalla Casa Bianca sei mesi prima senza il consenso di Obama.
Il 27 maggio 2016 ci fu un'altra chiamata tra Biden e Poroshenko (Hunter fu inspiegabilmente inserito in copia conoscenza nell'email di pianificazione). Tre giorni dopo, il 30 maggio 2016, Lutsenko licenziò Sevruk. Ora c'era un team completamente nuovo presso l'ufficio del procuratore.
Non è una coincidenza che proprio quel giorno iniziarono i lavori preparatori per gli attacchi alla campagna di Trump. Nellie Ohr, moglie del funzionario del Dipartimento di Giustizia, Bruce Ohr, inviò un'e-mail al marito e ad altri tre funzionari del suo dipartimento rivelando l'esistenza della Black Box ucraina che fu poi usata per colpire Paul Manafort. Nessuno al di fuori dell'Ucraina era a conoscenza della Black Box, o Black Ledger, come è stata poi conosciuta.
Una volta che Biden ebbe finalmente sistemato la situazione del procuratore in Ucraina, dovette assicurarsi che le sue azioni restassero nascoste all'inchiesta pubblica. Tanto meno che qualsiasi indagine seria avrebbe potuto alla fine spostarsi verso Obama. Il che rese la campagna elettorale di Trump una minaccia chiara per Obama.
Obama e Biden non potevano permettersi che Trump curiosasse in Ucraina come nuovo presidente. Questo aiuta a spiegare l'improvviso attacco alla campagna elettorale di Trump nella tarda primavera del 2016, proprio mentre Biden dava gli ultimi ritocchi al licenziamento di Shokin; questo spiega anche l'esplosione di attacchi contro Trump una volta presidente.
Mentre ci addentravamo ulteriormente nella prima presidenza di Trump, ciò spiega anche la feroce risposta del DNC quando Trump iniziò a fare domande sulle azioni di Biden in Ucraina. Se gli fosse stato permesso di continuare, avrebbe scoperto tutte le malefatte di Biden, la supervisione di Obama e forse anche altre malefatte di altri membri dell'establishment di Washington.
Tutto ruota attorno all'Ucraina... e a Obama.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Soffierà aria di cambiamento nel settore delle criptovalute durante il secondo mandato di Trump
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
____________________________________________________________________________________
(Versione audio disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/soffiera-aria-di-cambiamento-nel?r=12xido)
Le dimissioni del presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), Gary Gensler, potrebbero trasformare il panorama normativo statunitense sulle criptovalute.
Gensler, un convinto critico del settore degli asset digitali, ha confermato sulla piattaforma X che si dimetterà dal suo incarico il giorno dell'insediamento del presidente Donald Trump.
Trump e Gensler hanno opinioni contrastanti sulle criptovalute.
Gensler ha adottato misure severe nei confronti del settore delle criptovalute da quando è stato nominato capo della SEC nel 2021.
Intervenendo alla Piper Sandler Global Exchange and FinTech Conference tenutasi a New York City lo scorso anno, il capo uscente della SEC ha affermato che la frenesia delle criptovalute è stata piena di “Imbonitori, truffatori, artisti della truffa, schemi Ponzi”.
“Non si dovrebbe permettere a tali mercati di minare la fiducia che il pubblico ha nei mercati dei capitali”, ha affermato Gensler . “Non si dovrebbe permettere a tali mercati di danneggiare gli investitori”.
Il presidente eletto Donald Trump si è impegnato a promuovere un cambiamento nella politica federale sulle criptovalute.
Nonostante Trump abbia promesso di licenziare Gensler il suo primo giorno alla Casa Bianca, ha anche proposto una serie di misure a favore di Bitcoin.
Vuole istituire una riserva nazionale in Bitcoin, creare un consiglio consultivo presidenziale sulle criptovalute e garantire che tutti i bitcoin rimanenti vengano minati a livello nazionale.
“Per troppo tempo il nostro governo ha violato la regola cardinale che ogni bitcoiner conosce a memoria: non vendere mai i propri bitcoin”, ha affermato Trump durante un discorso programmatico alla più grande conferenza del settore la scorsa estate.
Ora che la nuova amministrazione annovera funzionari pro-criptovalute, cambieranno le attività di regolamentazione della SEC?
Aria di cambiamenti normativi
Nell'anno fiscale 2024 l'attività di controllo dell'agenzia governativa nel settore delle criptovalute ha portato a multe per gli investitori per un totale di $8,2 miliardi.
Grazie alle sanzioni record, il numero dei casi è diminuito del 26% rispetto all'anno precedente.
“La Division of Enforcement segue i fatti e la legge per trovare i trasgressori”, ha affermato Gensler.
Ciò è avvenuto mentre la SEC ha delineato i suoi obiettivi per il nuovo anno.
A ottobre la Division of Examination della SEC ha pubblicato Fiscal Year 2025 Examination Priorities.
La relazione ha ribadito la posizione della SEC di continuare a monitorare il settore delle criptovalute, compresi i consulenti d'investimento, i broker-dealer e altri intermediari finanziari che vendono asset digitali o facilitano le transazioni.
“Gli esami dei registranti si concentreranno sull'offerta, la vendita, la raccomandazione, la consulenza, il trading e altre attività che coinvolgono criptovalute, offerte e vendute come titoli o prodotti correlati, tra cui bitcoin spot o prodotti quotati in borsa”.Con un nuovo sistema pronto a prendere il sopravvento, gli osservatori si stanno preparando al cambiamento, soprattutto con importanti sostenitori delle criptovalute alla guida di vari dipartimenti, tra cui Scott Bessent come Segretario al Tesoro e Howard Lutnick come Segretario al Commercio.
Per ora gli esperti del settore stanno inviando le loro raccomandazioni nella casella dei suggerimenti.
Stuart Alderoty, responsabile legale della società di pagamenti digitali Ripple, ha delineato diverse priorità che il team di transizione di Trump dovrebbe prendere in considerazione nella scelta del prossimo capo della SEC.
Nel primo giorno della nuova amministrazione Alderoty pensa che il governo federale dovrebbe porre fine ai contenziosi non legati alle frodi sulle criptovalute e garantire che i commissari Mark Uyeda e Hester Peirce rimangano nell'organismo di regolamentazione.
A lot of unsolicited advice on here about who should (or shouldn’t) be the next SEC Chair. I trust the transition team to make the right call with these table stakes for crypto in mind:
1.End all non-fraud crypto litigation on Day 1.
2.Get commitments from Commissioners Uyeda and…
Uyeda e Peirce sono stati alleati delle criptovalute alla SEC.
Uyeda, in un'intervista rilasciata a FOX Business, ha concordato con il presidente eletto sul fatto che “la guerra alle criptovalute deve finire”.
“Ci sono diverse cose che possiamo fare per quanto riguarda le criptovalute in modo da contribuire a rendere l'America uno dei leader mondiali nel settore”.
La SEC deve fornire chiarezza, creare porti sicuri e sandbox normativi per gli investitori e sostenere un approccio “coeso e completo alle criptovalute” da parte dell'intero governo federale, ha affermato Uyeda.
“Il presidente Trump e l'elettorato americano hanno inviato un messaggio chiaro. A partire dal 2025 il ruolo della SEC è quello di portare a termine tale mandato”.
Peirce, intervenendo questo mese al podcast “CryptoCounsel”, ha promosso un dialogo più aperto tra l’industria delle criptovalute e gli enti di regolamentazione della SEC.
Il Ripple CLO ha fatto eco a tale sentimento, sostenendo il miglioramento delle relazioni tra legislatori, autorità di regolamentazione e partecipanti al mercato.
“Collaborare con tutti gli enti di regolamentazione finanziaria e il Congresso su regole chiare e semplici per le criptovalute, ma senza presumere che tali regole diano alla SEC giurisdizione primaria su qualsiasi cosa”, ha scritto Alderoty.
“Garantire la responsabilità e ripristinare la fiducia della popolazione, affrontando i problemi passati all’interno della SEC e rafforzando l’Ufficio dell’ispettore generale”.
Alderoty ha inoltre proposto di revocare il Framework for Investment Contract Analysis of Digital Assets del 2019, pubblicato dopo che il settore aveva chiesto maggiore chiarezza normativa tra le leggi sui titoli e i token basati su blockchain.
La presente guida, che non costituisce né una norma né un regolamento, offre uno schema per determinare se un asset digitale possiede le caratteristiche di un contratto d'investimento (titolo).
Con il controllo repubblicano del Congresso è probabile che i legislatori adottino un approccio “basato su principi e trasparenza” all'elaborazione delle linee di politica, afferma Dorothy DeWitt, ex-direttrice della supervisione del mercato presso la US Commodity Futures Trading Commission.
L'applicazione delle norme sarà probabilmente mirata anche ad aree ad alto rischio del mercato delle criptovalute, come la sicurezza nazionale, le frodi e le condotte scorrette, ha inoltre affermato.
“Un percorso verso la chiarezza normativa comporterà quasi certamente la registrazione di borse, intermediari e titoli legati agli asset digitali e l'implementazione di standard di informativa più estesi, nonché la conformità formale ai principi prescritti dall'agenzia”, ha affermato la DeWitt in un post del 18 novembre sull'Official Monetary and Financial Institutions Forum.
Nonostante l'aria di cambiamento che si prevede soffierà nel mondo delle criptovalute, gli operatori del settore non devono aspettarsi nell'immediato cambiamenti significativi a livello di linee di politica e normative.
Invece, nota la DeWitt, questi aggiustamenti potrebbero “avvenire nell’arco di un anno o più, non di mesi”.
Dopo la vittoria elettorale di Trump, i prezzi di Bitcoin sono saliti alle stelle, raggiungendo i massimi storici oltre i $100.000.
La crescita della principale criptovaluta, che rappresenta il 58% del mercato, ha fatto crescere anche altri token digitali, passando dalle stablecoin alle altcoin.
Un portavoce della Securities and Exchange Commission ha rifiutato di fornire commenti in merito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
- 1
- 2
- 3
- 4
- seguente ›
- ultima »
Commenti recenti
3 settimane 6 giorni fa
4 settimane 3 giorni fa
8 settimane 1 giorno fa
10 settimane 6 giorni fa
11 settimane 3 giorni fa
12 settimane 5 giorni fa
12 settimane 6 giorni fa
15 settimane 1 giorno fa
17 settimane 5 giorni fa
25 settimane 5 giorni fa