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Francesco Simoncellihttp://www.blogger.com/profile/[email protected]
Aggiornato: 4 ore 47 min fa

Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo (Parte #3): la fine del carry trade sullo yen e lo sgretolamento della LBMA

Ven, 07/03/2025 - 11:05

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cio-che-leurodollaro-ha-dato-leurodollaro-7ed)

In questa serie di saggi collegati tra loro, e che esplorano il mondo creato dall'eurodollaro, abbiamo inizialmente fatto una panoramica generale di tale mercato e di come si sia evoluto nel corso del tempo; poi abbiamo dato la nostra risposta alla domanda più importante di tutte: chi ha alimentato il mercato dell'eurodollaro per i propri scopi. La risposta: la creatura di Threadneedle Street. Ora c'è un altro tassello da inserire nel mosaico dell'eurodollaro: la BoJ e il carry trade sullo yen che ha caratterizzato l'era della ZIRP. L'incredibile deformazione economica e finanziaria partorita dalla Banca del Giappone, la più attiva durante la cosiddetta era del “consenso delle principali banche centrali del mondo”, ha permesso a Bruxelles e a Londra di attingere da un'ulteriore fonte di finanziamento facile per portare avanti i propri imperi e far guadagnare tempo all'euro e alla sterlina. Quest'ultima è ancora più sotto pressione oggi a causa dello sgretolamento della LBMA, ma questo è un argomento che affronteremo nella seconda parte del saggio di oggi. Il punto fondamentale qui è uno: invertire decenni di ramificazioni del mercato dell'eurodollaro, i quali hanno dato vita a tutta una serie di mostri monetari utili solamente alla City di Londra e alla cricca di Davos per sostenere i loro piani di “ristrutturazione mondiale” e uscirne come punti di riferimento nel sistema successivo. Questo, inutile dirlo, a scapito di quelle nazioni che mettevano “involontariamente” sul piatto la propria ricchezza reale: Stati Uniti e Giappone.


LA FINE DEL CARRY TRADE SULLO YEN

La Banca del Giappone ha infine concluso la sua linea di politica di tassi negativi durata otto anni e ha invertito la maggior parte delle sue strategie di quantitative easing non convenzionali, affermando che il Giappone si sta avvicinando a una nuova era di “inflazione stabile”. Il governatore della BoJ, Kazuo Ueda, ha anche affermato che le linee di politica della banca hanno “raggiunto i loro obiettivi” e ha aggiunto il motivo per cui l'aumento era giustificato: salari e prezzi stanno aumentando costantemente in Giappone. La BoJ sta, quindi, aggiustando il suo obiettivo primario riguardo i tassi d'interesse a breve termine e l'anno scorso ha fatto segnare il suo primo rialzo dei tassi sin dal 2007.

Nel 2016 la Banca del Giappone aveva adottato la NIRP con l'obiettivo di “stimolare i prestiti” per rivitalizzare l'economia stagnante della nazione. Questo approccio, utilizzato anche dalla BCE in Europa, significa fondamentalmente che i depositanti pagano commissioni alle banche per detenere il loro denaro e consente ai mutuatari di ottenere prestiti a costi molto bassi, incoraggiando così la spesa. Una deformazione “necessaria” nel mondo capovolto dell'economia moderna, dove il debito pubblico delle varie nazioni in percentuale del PIL è fuori scala e la bomba demografica continua a ticchettare insistentemente (pensionati in aumento + tassi di natalità in calo). La soppressione dei tassi è andata avanti eseguendo quella che viene chiamata Yield Curve Control: stampare yen per acquistare obbligazioni e abbassarne i rendimenti quando essi salivano troppo in alto e venderle se i rendimenti scendevano troppo in basso.

Utilizzando la YCC il governatore della BoJ, Kuroda, aveva sperato di passare da un QE estremamente accomodante a una posizione monetaria meno accomodante. Per quanto c'abbia provato, ha finito lo stesso per essere accomodante, poiché c’era un’offerta permanente su qualsiasi JGB. La BoJ ha divorato obbligazioni giapponesi giorno dopo giorno, sia attraverso le convenzionali operazioni di “acquisto fisso” sia attraverso le “operazioni di acquisto non programmate”. Entrambi questi strumenti sono stati utilizzati per mantenere bassi i tassi e hanno tenuto operativo il QE come effetto collaterale. 

Ciò è chiaramente visibile nel bilancio della BoJ, dove possiamo osservare la crescita costante delle attività dal 2012 in poi.

In quel periodo accaddero diverse cose importanti. Shinzo Abe assunse il ruolo di Primo Ministro e, subito dopo l'insediamento, svelò la sua strategia economica, nota come “le tre frecce”. Ogni freccia simboleggiava una componente del suo piano economico: la prima rappresentava l'allentamento monetario, la seconda la politica fiscale adattiva e la terza mirava a rappresentare strategie per la crescita e le riforme strutturali. Il 2012 fu anche una pietra miliare nel regno degli obiettivi monetari: sia la FED che la BoJ adottarono un obiettivo di inflazione al 2%. Di conseguenza queste due banche centrali si misero a capo di quel collettivo di banche centrali del mondo che avrebbero adottato una linea di politica identica e sincronizzata, inaugurata dalla Nuova Zelanda nel 1990.

Il Monetary Policy Meeting tenutosi nell'aprile 2013 segnò il debutto di Haruhiko Kuroda come Governatore della Banca del Giappone. Durante quell'incontro fu annunciato qualcosa chiamato Quantitative and Qualitative Monetary Easing: il suo obiettivo primario era di raggiungere un tasso di inflazione del 2% entro un lasso di tempo di circa due anni. La strategia era progettata per combattere la deflazione nella nazione espandendo le dimensioni del suo bilancio e migliorandone la qualità attraverso sia una crescita “quantitativa” che miglioramenti “qualitativi”. In pratica questo significava che la BoJ si sarebbe concentrata non solo sull'acquisto di più asset, ma nello specifico sull'acquisto di più asset illiquidi e rischiosi, rimuovendo di fatto questi titoli “tossici” dal sistema bancario e mettendoli nel bilancio della banca centrale. Ciò avrebbe aumentato il rischio di perdite mark to market per la BoJ, ma questo “non aveva importanza” poiché avrebbe potuto sempre stampare più yen per coprire eventuali perdite.

La BoJ si sarebbe impegnata a proseguire con il suo programma e a potenziarlo se necessario. Il focus si spostò dal tasso d'interesse di riferimento (l'uncollateralized overnight call rate) alla base monetaria. Il piano QQE del 2013 comportava l'espansione annuale della base monetaria di un ammontare compreso tra i ¥60.000 miliardi e i ¥70.000 miliardi. Le componenti principali di questi acquisti includevano:

• JGB: scadenza fino a 40 anni e con una scadenza media di 6-8 anni;

• Fondi negoziati in borsa (ETF): ¥1.000 miliardi;

• Titoli d'investimento nel mercato immobiliare (J-REIT): ¥30 miliardi.

Il piano fu poi ampliato a ¥80.000 miliardi. Questo programma è durato un decennio e nel 2018 gli asset detenuti dalla banca centrale giapponese crebbero fino a diventare più grandi dell'economia giapponese stessa!

Quando la FED ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi nel marzo 2022, abbiamo visto un'enorme pressione accumularsi sul sistema finanziario giapponese, e questo ha portato la loro valuta a esplodere.

Tale pressione s'è accumulata per tutta la primavera e l'estate dello scorso anno. A fine aprile 2024 la BoJ ha tenuto una conferenza stampa che ha visto il pair USDJPY salire di ¥3 solo durante il corso delle discussioni. I funzionari sono andati rapidamente nel panico e hanno autorizzato due interventi: uno dopo l'altro in rapida successione. Il Ministero delle finanze, in collaborazione con la banca centrale, ha speso ¥9.000 miliardi in interventi monetari. Le autorità giapponesi di solito non confermano immediatamente se sono intervenute nei mercati valutari, ma spesso avvertono che sono pronte a intervenire se ci sono troppe “operazioni speculative”. Inoltre non bisogna scordarsi di una cosa: il Giappone ha superato la Cina in quanto a possedimenti dei titoli di stato americani ($1.000+ miliardi), oltre a valuta estera pari a $100 miliardi, ed entrambe le cose possono essere utilizzate per difendere lo yen mantenendolo intorno al livello 140-150.

L'obiettivo di questi interventi era semplice: far saltare le posizioni short con quanta più potenza di fuoco possibile, nel modo più casuale possibile, per incutere paura e impedire ai nuovi carry trader di aprire posizioni. Ricordate che i carry trade prendono in prestito in una valuta e prestano, o investono, in un'altra, guadagnando la differenza tra le due operazioni. In genere i carry trader copriranno uno o entrambi i lati della loro operazione in modo che le possibilità di margin call siano basse o inesistenti; tuttavia il costo di impostazione e mantenimento degli swap per farlo erode i profitti.

A tal proposito il Giappone ha rappresentato un gigantesco meccanismo di finanziamento per i carry trader a causa dei suoi tassi d'interesse sotto lo zero: era estremamente economico prendere in prestito in yen, senza contare che a un certo punto i tassi dei depositi a tempo erano addirittura negativi, il che significava che i mutuatari venivano pagati per accendere prestiti.

Ma l'altro motivo per cui il Giappone ha creato un carry trade così grande (che gli analisti di Deutsche Bank hanno stimato in un equivalente sbalorditivo di $20.000 miliardi!) era dovuto alla mancanza di volatilità nella politica monetaria stessa. La Banca del Giappone stava aggiustando il suo QE, le sue bande YCC, ma il tasso d'interesse di base, quello addebitato per i prestiti di riserva dalla banca centrale stessa, non era cambiato. Tenete a mente che il tasso di riferimento della BoJ è il parametro di riferimento su cui vengono giudicati tutti gli altri tassi: quando si muove, si muove l'intero complesso dei tassi... almeno in teoria. Poiché questo tasso è rimasto a -10 punti base sin dal 2016, c'è stata essenzialmente zero volatilità su un'intera gamba, quella del finanziamento del carry trade. Ciò lo ha reso molto più redditizio di quanto non sarebbe stato altrimenti, poiché i trader non dovevano pagare per coprire questo rischio. La stabilità fornita dalla BoJ ha incoraggiato sempre più carry trader a buttarsi a capofitto in questa operazione, cosa che alla fine ha messo straordinaria pressione sullo yen, tanto che si è svalutato del 50% in due anni.

Il risparmiatore medio giapponese è ovviamente quello che ha pagato il prezzo. E i banchieri centrali, che non devono rendere conto a nessuno, hanno continuato questa linea di politica folle per anni.

How the Yen Carry Trade Blows Up

In just 90 seconds! pic.twitter.com/J38dFzDVFj

— Travis Hoium (@TravisHoium) August 5, 2024

La BoJ, però, ha annunciato piani per ridurre gradualmente i suoi acquisti di titoli di stato della metà, fino a ¥3.000 miliardi al mese entro l'inizio del 2026. Ha inoltre dichiarato di aver cessato le sue politiche di controllo della curva dei rendimenti e di allentamento qualitativo e quantitativo. Prevede inoltre di ridurre gradualmente i suoi acquisti di obbligazioni societarie e commerciali con l'obiettivo di eliminare gradualmente queste operazioni nel giro circa di un anno. Sotto la guida di Ueda, la BoJ ha rialzato i tassi di un totale di 50 punti base in meno di un anno. L'aumento ha avuto conseguenze immediate: lo yen ha immediatamente iniziato ad apprezzarsi rispetto al dollaro, scendendo costantemente a 146. Tutti i carry trader USDJPY sono finiti sotto il proverbiale rullo compressore. Viene smantellata tutta quella leva finanziaria che stava spingendo lo yen sopra i 160, con grande approvazione di Ueda che voleva disperatamente fermare la crisi monetaria sul nascere.

Ma niente avviene senza pagarne il prezzo, soprattutto quando si tratta di interventismo economico. Dover raddrizzare la situazione significa imboccare la strada del dolore economico, scelta obbligata quando si tratta di dover correggere anni e anni di deformazioni economiche. Ma qui ci viene incontro la lezione dell'Argentina, noto laboratorio statunitense da quando Milei è salito al potere per vedere a cosa avrebbe portato una terapia shock: dolore nel breve termine, sollievo/prosperità nel lungo termine. Anzi, è passato poco più di un anno e l'Argentina sta già vedendo i benefici che ha avuto la cura Milei nel Paese. La stessa cosa accadrà negli Stati Uniti, soprattutto lungo la scia dei tagli alla spesa pubblica come sta accadendo con lo smantellamento della USAID. Oltre a tagliare la spesa pubblica questo approccio permetterà anche di offrire sollievo alla popolazione in generale attraverso misure fiscali direzionate a puntellare la resilienza degli americani e rafforzare la loro fiducia nel futuro della nazione.

Is the next move for DOGE cutting $5,000 checks to American taxpayers?

Politically, it’s a fantastic idea. And the inflation impact is 60 times smaller than Covid spending.

How would it work? pic.twitter.com/PxBGpYNUnD

— Peter St Onge, Ph.D. (@profstonge) February 28, 2025

La stessa cosa può accadere in Giappone, visto che la BoJ adesso si muove in sintonia con la FED. Il dolore economico si presenterà alle porte della nazione nipponica sotto forma di un pagamento di interessi per il suo gigantesco debito pubblico pari al 13% del PIL. Ma questo non deve spaventare le autorità giapponesi, dato che la partnership con gli USA avrà i suoi vantaggi adesso che questi ultimi si sono liberati dal giogo del LIBOR e possono indirizzare la politica monetaria/fiscale in base alle loro reali esigenze. Per quanto possano essere seri i problemi economici di Stati Uniti e Giappone, a questo punto, non lo saranno di più di quelli di Europa e Inghilterra che hanno svuotato le loro economie della manifattura per finanziarizzarle, forti del fatto che avrebbero avuto un accesso privilegiato alla stampante della FED con cui drenare ricchezza reale americana e quindi sostenersi nel tempo. Non avrebbero potuto rendere ipertrofici i loro Stati sociali altrimenti.

Adesso sono loro a dover metter mano alla stampante o vendere i propri asset, ma con quale collaterale?


LO SGRETOLAMENTO DELLA LBMA

Il mese scorso i caveau della Banca d'Inghilterra hanno assistito a un esodo di oro, poiché i trader si sono affrettati a spostare i lingotti negli Stati Uniti, temendo gli effeti di potenziali dazi sul commercio mondiale. Circa $82 miliardi in oro, il 2% delle riserve totali della BoE, sono stati spediti oltreoceano riducendo l'offerta sul mercato di Londra e facendo schizzare i tassi di prestito a breve termine per l'oro dal 2-3% a quasi il 10%. L'enorme volume di prelievi ha persino causato colli di bottiglia logistici, con tempi di attesa per i prelievi di oro che si sono estesi da pochi giorni un mese fa a 4-8 settimane ora. Questo processo continuerà fino a quando gli acquirenti non si saranno esauriti, o un catalizzatore fondamentale non interverrà per fermare il riscatto indotto dalla paura.

Amazing, absolutely no one discussing the idea of precious metals markets edging toward backwardations and fewer actually understand what this means for prices and the industry.

— bob coleman (@profitsplusid) February 28, 2025

Questa corsa all'oro fisico è un altro segno che la fiducia nei sistemi monetari fiat si sta erodendo, ma non è la prima volta che i mercati mettono alla prova la Banca d'Inghilterra. Prima della recente corsa all'oro, il mercato dei titoli di stato aveva già messo a nudo la fragilità del sistema finanziario del Regno Unito. Anni di politica monetaria ultra-elastica, prestiti governativi senza freni e una banca centrale intrappolata tra la lotta all'inflazione e il mantenimento a galla dei mercati hanno creato la tempesta perfetta. Inoltre i lingotti d'oro conservati presso la Banca d'Inghilterra sono stati scambiati a un prezzo scontato rispetto al mercato generale, poiché i ritardi nei prelievi li rendono meno desiderabili dell'oro conservato in caveau più accessibili... oppure il mercato sta iniziando a valutare il fatto che la BoE potrebbe non avere effettivamente l'oro dichiarato ufficialmente.

La Banca d'Inghilterra svolge un ruolo fondamentale nel mercato dell'oro di Londra, il più grande hub mondiale per il commercio di lingotti. Detiene conti in oro per altre banche centrali, le quali scelgono Londra per la sua convenienza nel prestito o nella vendita di oro. La BoE consente inoltre a determinate entità commerciali (come le bullion bank) di detenere conti in oro presso di essa, il che fornisce liquidità alle banche centrali, e i caveau conservano una parte significativa dei lingotti d'oro “London Good Delivery” che soddisfano gli standard LBMA. L'oro conservato presso la BoE può essere utilizzato per prestiti e swap, il che ovviamente va a cambiare la struttura del mercato. L'oro conservato presso la Banca d'Inghilterra viene quotato a sconti superiori a $5 l'oncia rispetto al prezzo spot di Londra. Questo divario di prezzo potrebbe sembrare piccolo, ma in realtà è enorme, poiché l'oro presso la BoE in genere viene scambiato esattamente in linea con il mercato più ampio di Londra. Dal punto di vista storico eventuali premi o sconti sono sempre risultati minimi, solitamente solo pochi centesimi l'oncia, quindi l'attuale sconto di $5 l'oncia è centinaia di volte più grande del normale!

La Banca d'Inghilterra detiene oltre 400.000 lingotti d'oro, per un valore di oltre $450 miliardi ai prezzi correnti. Questa è solo una frazione delle oltre 8.000 tonnellate di oro immagazzinate a Londra, secondo la LBMA. Tuttavia una parte significativa di tale stock è di proprietà di fondi negoziati in borsa (ETF), altre banche centrali e investitori a lungo termine che potrebbero non essere disposti a vendere. Ciò significa che il mercato è estremamente stretto.

Le banche centrali in particolare non sembrano essere disposte a vendere, anzi sono state impegnate in una frenesia di acquisti di lingotti negli ultimi anni. Nel 2024 gli acquisti di oro sono rimasti forti, confermando una tendenza di aumento a cui abbiamo assistito nell'ultimo decennio, ma soprattutto dopo la crisi sanitaria. Le banche centrali hanno aggiunto 1.045 tonnellate metriche nette alle loro riserve auree, segnando il terzo anno consecutivo di acquisti superiori a 1.000 tonnellate. Questo accumulo è stato alimentato da un gruppo eterogeneo di Paesi, con la Banca nazionale di Polonia in testa che ha aggiunto 90 tonnellate portando le sue riserve totali a 448 tonnellate (il 17% delle sue riserve internazionali totali). Altri acquirenti degni di nota erano la Banca centrale di Ungheria, che ha aumentato le sue riserve di 16 tonnellate, e la Banca nazionale di Serbia, che ha aggiunto 8 tonnellate (grandi cifre per Paesi piccoli in termini di popolazione e PIL).

Il primo trimestre del 2024 aveva anche stabilito un nuovo record per la domanda di oro delle banche centrali, con acquisti netti per un totale di 290 tonnellate. Questa impennata è stata in gran parte attribuita ai grandi acquisti da parte di Cina, Turchia e India, con l'India in testa. Alla fine del 2024 le riserve auree totali delle banche centrali mondiali avevano raggiunto circa 36.699 tonnellate metriche, pari a un enorme 17% di tutto l'oro estratto.

Le banche centrali stanno effettuando una svolta strategica verso l'oro come copertura contro la volatilità economica e un mezzo per diversificare le loro riserve.

A causa di questa massiccia corsa a rispedire l'oro negli Stati Uniti e nel COMEX, i mercati hanno iniziato a lanciare segnali di stress: il tasso di locazione a 1 mese a Londra ha iniziato a salire a dicembre e poi ha superato i massimi di 5 anni a gennaio. Esso rappresenta il rendimento che gli individui che detengono lingotti nei caveau di Londra possono guadagnare prestando il loro metallo a breve termine. L'impennata di questo tasso significa che la domanda è più forte che in qualsiasi altro periodo degli ultimi anni, e di molto anche. Sono principalmente le bullion bank ad alimentare questa domanda, le quali stanno cercando di prendere in prestito più oro possibile per arbitrare la differenza di prezzo tra Londra e New York. Non solo, ma devono passare dalla Svizzera per fondere i lingotti: le barre standard da 400 once scambiate a Londra non possono essere spedite direttamente a New York per la consegna al COMEX, visto che i contratti denominati in tale peso, inaugurati nel 2020, raramente vengono usati. Invece i trader devono “ri-raffinare” i lingotti in barre da 100 once a Zurigo prima di spedirle negli Stati Uniti. Di conseguenza i premi sono saliti fino a $50 per oncia, rendendo l'operazione altamente redditizia per gli arbitraggisti.

Un altro segnale che il mercato è sotto stress è il fatto che i futures sono entrati in backwardation: i prezzi forward a 1 mese vengono scambiati al di sotto dello del livello spot, il che indica che i trader vogliono l'oro subito, e pagheranno un premio per averlo, piuttosto che aspettare un mese per la consegna. La domanda di oro fisico sta salendo alle stelle. La backwardation è più marcata per l'argento. I tassi di locazione a un mese sono saliti all'8%, ben al di sopra di quelli dell'oro.

In ogni caso, le tensioni sul mercato stanno chiaramente preoccupando i funzionari della BoE, così come altre importanti bullion bank. Londra sta venendo prosciugata e i caveau di New York (gestiti da COMEX o banche affiliate al COMEX come JPM) stanno facendo incetta. Mentre questo panico attanaglia Londra e le tempistiche di consegna si allungano a 1-2 mesi, le bullion bank continueranno a darsi da fare per ottenere quanto più oro fisico possibile. Ecco perché lo stanno prendendo in prestito dal mercato (i tassi di locazione stanno esplodendo), ecco perché hanno iniziato a riscattare l'oro detenuto nei caveau della BoE, ecco perché tutti i certificati cartacei legati all'oro hanno iniziato a essere scambiati a un prezzo scontato. L'Imperatore (inglese) è nudo. 

Nel frattempo il COMEX sta importando tutto l'oro su cui riesce a mettere le mani, forse per anticipare le richieste di riscatto dei propri clienti. Se questo processo continua al ritmo attuale, in poche settimane supereranno persino i precedenti record durante la crisi sanitaria. Queste tensioni si manifestano anche in altri mercati dell'oro sintetico: il GLD, il più grande ETF sull'oro negli Stati Uniti, ha visto i suoi tassi di prestito salire alle stelle. L'ETF SPDR Gold conserva il suo oro in diversi caveau, ma quello principale si trova a Londra. L'oro è detenuto sotto forma di lingotti allocati, il che significa che ognuno di essi è specificamente assegnato all'ETF e non può essere utilizzato per altri scopi.

GLD ETF ALERT

The borrowing fee on GLD ETF has gone vertical today.
Similar to SLV ETF pic.twitter.com/grys4KI3l5

— bob coleman (@profitsplusid) February 6, 2025

Molti scrittori, tra cui ANOTHER e FOFOA, hanno costantemente messo in evidenza come sarebbe andata a finire la manipolazione dell'oro cartaceo presso la LBMA e una conseguente rivalutazione reale del metallo giallo. Le rivendicazioni cartacee sono rappresentazioni senza valore e man mano che il capitale si riversa nell'oro fisico, ciò fa schizzare in alto il prezzo di quest'ultimo. Per quanto anche il COMEX non sia un player senza macchie, almeno ha delle regole; la LBMA, invece, non applica alcun freno alla creazione sintetica di oro da investimento. La LBMA e la Banca d'Inghilterra sono l'epicentro della truffa dell'oro sintetico, insieme a molte altre, attirando la domanda verso i derivati e sopprimendo il prezzo dell'oro fisico in modo che i player istituzionali potessero ottenere lingotti a basso costo, e in modo da non sconvolgere l'ordine monetario fiat. Questo schema di Ponzi poteva solo finire in un disastro.


CONCLUSIONE

Il SOFR, la contrazione dell'offerta degli eurodollari, la fine del carry trade sullo yen, la rimarginazione del mercato dell'oro: vengono chiuse tutte quelle scappatoie che possono essere ancora utilizzate da Londra e Bruxelles per attingere indirettamente al bacino della ricchezza reale degli USA. A questo proposito entrambe sono come delle galline senza testa che corrono su e già per l'aia, si notano per lo spettacolo grottesco che danno e per il sangue che schizza ovunque imbrattando qualunque cosa al loro passaggio... ma finisce qui, non hanno alcun peso economico e geopolitico ormai. La rottura del cartello di Davos diventa più palpabile nel momento in cui, in Europa, vengono indetti vertici che non concludono niente e vengono date risposte da “cartolina vacanza” a eventi geopolitici significativi (come quello recente alla Casa Bianca). La velocità con cui l'amministrazione Trump e il DOGE hanno smantellato la USAID era propedeutica a chiudere i rubinetti a tutte quelle ONG e think tank che, con la patina della filantropia, fomentano caos sociale e disordini. Questo significa che gli USA solo adesso si possono focalizzare sulla questione Ucraina, perché in caso di sconfitta della cricca di Davos sul tema della guerra, la risposta successiva di quest'ultima è la violenza per le strade, il terrorismo.

La Germania ad esempio lo sa, il nuovo cancelliere tedesco ha recepito il messaggio. Questa è gente che è disposta a far saltare il tavolo da gioco pur di non cedere le armi, perché sa che sarà destinata all'irrilevanza altrimenti. Togliere finanziamenti a quella coorte di attori eterodiretti all'estero era fondamentale per colpire duramente un potenziale fronte aperto (e di ricatto). Adesso gli agenti infiltrati devono spendere i loro soldi, vendere i loro asset per finanziarsi. E questo causa dolore economico, nonché fratture più marcate nei loro di mercati, quindi lenirli diventa imprescindibile e questo passaggio obbligato passa anche dal rivolgersi direttamente alla fonte che in precedenza si stava fregando indirettamente. La visita di Starmer alla Casa Bianca la scorsa settimana era molto probabilmente dovuta al tipico atteggiamento inglese che vuole rispettati accordi presi sottobanco in precedenza. La vicenda con la Apple è un caso di questo genere, ad esempio. Ma non credo sia andata molto bene...

Questa settimana ognuno ha ottenuto la sua giusta dose di "sberle" https://t.co/tlUykPzE8f

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) March 1, 2025

Ora vediamo grossi movimenti sui mercati. In particolare, il differenziale di rendimento tra il decennale tedesco e quello americano è in caduta libera nelle ultime settimane, dopo un rally artificiale sostenuto dall'illusione di una compiacenza dell'amministrazione Trump con l'establishment europeo e prospettive commerciali “alternative” a quella americana. Inutile dire che questa illusione è stata spacciata dalla stampa inglese... La BoJ, sussidiaria nell'effettivo della FED, continua a lasciar rafforzare lo yen per chiudere eventuali finestre di opportunità a player che possono sfruttare turbolenze sui mercati per “attaccare” gli USA in queste settimane delicate in cui deve passare il Budget Reconciliation affinché i tagli alla spesa pubblica possano andare avanti. E il fatto che siano stati gli USA ad avviare la corsa agli sportelli dell'oro è stata una mossa eccellente per difendersi da eventuali attacchi, in questo modo i nemici vengono spiazzati e hanno altro a cui pensare. Senza contare che il pair USDEUR è sceso ultimamente principalmente perché è stato detto ai singoli stati europei che possono escludere le spese militari dai bilanci ufficiali. Come se le conseguenze della misallocation del capitale possano essere cancellate dalla sigla “off-bufget” (a tal proposito vi invito a leggere il Capitolo 2 del mio ultimo libro, Il Grande Default, per un'analisi approfondita di questo tema).

1/5
Questa storia è passata perlopiù inosservata ma è propedeutica per comprendere il motivo per cui l'oro è tornato sotto i riflettori di recente.https://t.co/p05TkrS7eM

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 21, 2025

Infatti la stampa ortodossa e non ortodossa ha sempre posto sotto la propria attenzione il COMEX, “scordandosi” convenientemente della LBMA, il mercato over the counter per eccellenza dove avvengono rehypothecation per ordini di grandezza superiori a quelli degli altri mercati. Gli inglesi sono maestri in questo: dicono cosa c'è che non va e poi sviano la colpa da loro e la danno a qualcun altro. Come fanno a essere efficaci? Perché controllano la maggior parte della stampa finanziaria. Quando si hanno diverse generazioni di persone che sono cresciute immerse in queste consuetudini, è difficile romperle e vedere il mondo con occhi diversi.

Di conseguenza, più che una guerra cinetica o commerciale, quella di oggi è una guerra economica in cui l'obiettivo principale di Washington è bonificare i mercati statunitensi dall'influenza della City di Londra. Ecco perché, ad esempio, è stato messo Bessent al Dipartimento del Tesoro; ecco perché, come contromossa, la City ha cercaro di creare un mercato sintetico dei titoli del Tesoro americani il cui settlement sarebbe avvenuto a Londra;  ecco perché Trump ha detto che l'Europa “serve per fregarci”.


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/02/cio-che-leurodollaro-ha-dato.html

???? Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/02/cio-che-leurodollaro-ha-dato_01881802337.html

???? Qui il link alla Quarta Parte:


El Salvador è ancora un Paese filo-Bitcoin

Gio, 06/03/2025 - 11:06

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/el-salvador-e-ancora-un-paese-filo)

El Salvador è ancora un Paese in cui Bitcoin è protagonista, nonostante il fatto che quest'ultimo non sia più a corso legale.

Iniziamo con qualche informazione aggiuntiva sulla questione.

Il 29 gennaio 2025 l'Assemblea Legislativa di El Salvador ha votato per rimuovere lo status di corso legale per quanto riguarda Bitcoin.

Ciò significa che le aziende nel Paese non sono più costrette ad accettarlo (non che questa legge fosse strettamente monitorata affinché venisse applicata mentre Bitcoin era ancora considerato a corso legale); tuttavia mi è stato detto che le grandi aziende che operano nel Paese (es. McDonalds, Walmart) potrebbero smettere di accettare Bitcoin come pagamento, cosa che a sua volta potrebbe avere un effetto deleterio sulla sua adozione.

Questo cambiamento è avvenuto approssimativamente un mese dopo che il Fondo Monetario Internazionale ha siglato un accordo con le autorità di El Salvador:

• Quest'ultimo avrebbe ricevuto $1.4 miliardi in prestiti per sostenere le “riforme” del governo in carica;

• Mitigazione dei rischi legati a Bitcoin, la sua accettazione nel settore privato deve essere volontaria, mentre la partecipazione del settore pubblico nelle attività collegate a Bitcoin dovrebbe essere “limitata” (non dovrebbe essere più usato per saldare debiti statali e per pagare le tasse);

• Le operazioni sul wallet creato dal governo salvadoregno, Chivo, dovrebbero essere “smantellate”.

Anche se la notizia che il governo salvadoregno ha cambiato politica su Bitcoin come moneta a corso legale a seguito dell'influenza dell'FMI è un pugno nello stomaco perfino per me, che non sono salvadoregno e non vivo nel Paese, non posso fare a meno di credere che El Salvador sia ancora un Paese filo-Bitcoin.

E questa sensazione non ha fatto che rafforzarsi leggendo ciò che ho visto su X da parte dei sostenitori di Bitcoin in El Salvador.

Evelyn Lemus, co-fondatrice e direttrice del programma di formazione presso Bitcoin Berlin, un'economia circolare basata su Bitcoin all'interno del Paese, non ha intenzione di smettere di insegnare Bitcoin ai salvadoregni.

Just saying it out loud.

Bitcoiners will not stop teaching about Bitcoin and making the adoption happen just because Bitcoin is not legal tender anymore. This means we need to keep pushing harder and keep doing what we do ????????

LFG????
Bitcoin in the hands of people ???? pic.twitter.com/hnMpJmL5c7

— Evelyn Lemus (@Evelynlemus2906) February 2, 2025

Il team di Bit Driver non ha intenzione di cambiare il proprio modello di business, ovvero accettare bitcoin come tariffa dei taxi nel prossimo futuro.

We're still a Bitcoin a company.

— Bitdriver (@bitdriver_sv) February 2, 2025

Mentre John Dennehy, fondatore di Mi Primer Bitcoin, ha espresso preoccupazione per il fatto che il governo di El Salvador stia revocando la sua linea di politica su Bitcoin come valuta a corso legale, lui e il team di Mi Primer Bitcoin intendono raddoppiare il lavoro che stanno svolgendo.

Good morning from El Salvador!

We are now in DAY NINE since the government rescinded Bitcoin as legal tender, at the request of the IMF (effective after 90 days)

This means grassroots, independent Bitcoin education is now MORE important than ever

In response, at… pic.twitter.com/iTXdf0gAoL

— John Dennehy (@jdennehy_writes) February 7, 2025

I leggendari Max e Stacy non hanno ancora espresso pubblicamente l'intenzione di rinunciare a El Salvador nel prossimo futuro.

E l'ufficio Bitcoin di El Salvador, gestito da Stacy, continua ad accumulare bitcoin e a contribuire alla gestione di programmi di formazione nel Paese.

????????EL SALVADOR STACKS ANOTHER 1 BTC TO STRATEGIC RESERVE

El Salvador is still stacking.

Every day.

➡️Total SBR Holdings: 6,071.18 BTC
➡️Total Added Today: +1 BTC
➡️Total Added Past 7 Days: +22 BTC
➡️Total Added Past 30 Days: +60 BTC… pic.twitter.com/y4kv2693BX

— The Bitcoin Office (@bitcoinofficesv) February 7, 2025

La lezione da apprendere è che, nonostante la legge su Bitcoin sia cambiata in El Salvador, i suoi sostenitori nel Paese non hanno battuto ciglio.

Poiché noi siamo Bitcoin, ciò che conta di più è che i salvadoregni di tutti i giorni e tutti gli altri coinvolti nel movimento Bitcoin in El Salvador continuino a portare avanti la missione alla base.

L'FMI potrebbe aver sferrato un colpo, ma i sostenitori di Bitcoin in El Salvador restano fermi nei loro sforzi per promuovere una più ampia adozione dello stesso.

El Salvador è ancora un Paese filo-Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


Alleluia! Trump vuole davvero dare una possibilità alla pace

Mer, 05/03/2025 - 11:00

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/alleluia-trump-vuole-davvero-dare)

Wow! Queste sono le 36 parole più potenti pronunciate da un Presidente degli Stati Uniti, di sempre: “Uno dei primi incontri che voglio avere è con il presidente cinese Xi e il presidente russo Putin, e voglio dire: 'tagliamo a metà il nostro budget militare'. E possiamo farlo”.

Sì, dalle labbra di Donald all'orecchio di Dio e tutto il resto. Gli aspetti pratici e il percorso disseminato di ostacoli da qui a quel punto potrebbero essere insormontabili, ma ciò che il nostro Presidente ha fatto è stato spalancare la Finestra di Overton della discussione sulla sicurezza nazionale. Infatti una volta che si dice di voler intavolare un summit congiunto con i due leader demonizzati dalla stampa e presunti principali nemici dell'America, tutto (e intendiamo proprio tutto) quello che finora era proibito viene rimesso sul tavolo delle trattative per una discussione nuova e aperta.

Dopotutto non è necessario essere esperti dei complessi meccanismi del bilancio della difesa da $850 miliardi per rendersi conto che quando si tagliano le razioni del Pentagono della metà, crolla l'intero quadro di sicurezza nazionale globalista, eredità della fine della Guerra Fredda avvenuta 34 anni fa.

Questo perché bisognerebbe riportare a casa l'Impero e tutto l'apparato di sicurezza nazionale che lo accompagna: 750 basi straniere e 173.000 soldati americani dislocati in 159 Paesi; operazioni della Marina e dell'Aeronautica che abbracciano il globo; alleanze grandi e piccole, dalla NATO allo Stretto di Taiwan, alle cosiddette missioni di mantenimento della pace in tutto il Medio Oriente e nel Nord Africa.

In altre parole, ciò che si può finanziare con appena il 50% dell'attuale bilancio della difesa, come approfondiremo di seguito, è un deterrente nucleare strategico e una difesa impenetrabile delle coste, dello spazio aereo e del territorio sovrano degli Stati Uniti.

È tutto ciò di cui abbiamo realmente bisogno! Raggiungerebbe pienamente l'obiettivo fondamentale della sicurezza nazionale di mantenere liberi e al sicuro i 347 milioni di cittadini americani da Bangor nel Maine a San Diego in California.

Infatti, che lo riconosca o meno, l'audace invito del presidente Trump equivarrebbe a evitare ogni nozione di Impero. Aprirebbe la strada al ritorno a una linea di politica della nazione precedente al 1914 come una Repubblica pacifica, che bada in sicurezza ai fatti suoi dietro i meravigliosi doni della Provvidenza: i grandi fossati dell'Oceano Atlantico e Pacifico che separano la patria americana da qualsiasi potenziale nemico militare in qualsiasi parte del pianeta.

Al momento attuale e per il prossimo futuro, ci sono solo due nazioni solo lontanamente in grado di rappresentare una minaccia militare per la patria americana: la Russia e la Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia la realtà strategica di fondo è che la Russia non ha il peso economico necessario per minacciare l'America, e la Cina non ha nemmeno una parvenza di spazio economico per lanciarsi in una campagna di aggressione militare globale.

Per quanto riguarda la Russia e nonostante tutta la demonizzazione di Putin, nessuno ha nemmeno provato a sostenere che sia così stupido da credere che il suo PIL da $2.000 miliardi possa competere con il PIL da $30.000 miliardi degli Stati Uniti.

Infatti tutta la questione dell'orco russo è puramente fantasiosa: l'affermazione secondo cui Putin prenderà i Paesi Baltici, poi la Polonia e poi marcerà attraverso la Porta di Brandeburgo a Berlino sulla strada per la Francia, i Paesi Bassi e attraverso la Manica fino a Londra, supponendo che sia anche talmente stupido da voler occupare il caso disperato dell'Inghilterra.

In altre parole, nell'attuale posizione di politica estera di Washington è implicita l'idea che la Russia possa rappresentare una minaccia seria solo dopo aver attaccato, occupato e militarizzato l'intero continente europeo!

Questa è l'unica via attraverso cui Mosca può ottenere il peso economico, la manodopera e i mezzi militari per minacciare materialmente gli USA. Alla fine della fiera, quindi, la minaccia non sono i russi in sé, ma i tedeschi russificati, i polacchi e le rane francesi.

Naturalmente non c'è un briciolo di prova che questo sia il piano di Putin, o che avrebbe anche lontanamente i mezzi economici e militari per realizzare uno scopo così sinistro se davvero ne fosse incline. Al contrario, l'obiettivo di Putin è molto, molto più modesto: tenere la NATO fuori dal suo cortile in un antico pezzo dell'Impero russo che è stato chiamato Novorossiya, o Nuova Russia, per gran parte della sua storia.

Questo era il nome della regione del Donbass e del Mar Nero prima che Lenin e Stalin creassero il Paese artificiale di nome “Ucraina” per la pura convenienza amministrativa di gestire la loro brutale tirannia. Eppure, anche nel tentativo di riprendersi la metà russa dell'Ucraina, Putin sta avendo difficoltà a radunare la potenza militare necessaria, per non parlare della conquista del resto dell'Europa.

Fortunatamente il vicepresidente Vance ha già lasciato trapelare il segreto e questo dimostra esattamente perché la Russia non è sul sentiero di guerra verso la conquista dell'Europa: dopo l'imminente accordo Trump-Putin non ci sarà più la NATO in Ucraina e il Paese sarà diviso tra le regioni di lingua russa del Donbass, della Crimea e del Mar Nero, da una parte, e le regioni di lingua ucraina e polacca a ovest e sulla riva sinistra del fiume Dnepr, dall'altra.

In ogni caso, è tutto ciò che Putin ha sempre voluto e sarà la prova del nove che screditerà l'idea che Washington debba combattere la Russia per procura lì, per non parlare di doverla combattere in Lussemburgo o sulle scogliere di Dover.

Vale a dire che, una volta risolta la guerra e divisa l'Ucraina, l'operazione militare speciale di Putin si fermerà bruscamente. A sua volta ciò dimostrerà che non esiste nemmeno la più remota prospettiva di un'Europa russificata, e quindi una reale minaccia russa alla sicurezza della patria americana.

Quindi, sì, il bilancio della difesa può essere tagliato del 50% in parte perché i 62.000 soldati americani indicati sopra che ora sono di stanza in Europa potrebbero essere riportati a casa. Ancora più importante, l'adesione e gli impegni degli Stati Uniti alla NATO potrebbero anche essere abbandonati, il che significa che scadrebbe anche l'idea ridicola di essere impegnati ai sensi dell'articolo 5 nella difesa reciproca di piccole nazioni come la Macedonia del Nord, il cui esercito in servizio attivo di 10.000 uomini è inferiore alla forza di polizia di Chicago costituita da 12.000 uomini.

Per quanto riguarda la Cina, la cosa più importante da riconoscere è che è l'esatto opposto del vecchio impero sovietico, il quale si basava sull'autarchia economica e su scarse relazioni commerciali con il mondo al di fuori del Patto di Varsavia. Di conseguenza se fosse stata incline e capace di un'aggressione militare verso il resto dell'Europa e/o persino gli Stati Uniti, per i quali gli archivi ora aperti della vecchia Unione Sovietica rivelano scarse prove a riguardo, non ci sarebbe stata alcuna interruzione collaterale della sua funzione economica di base: un regime socialista di stato centralizzato, che, inutile dirlo, non funziona ma non dipende nemmeno dal commercio con il cosiddetto “mondo libero”.

Al contrario, dopo che Mao ricevette la sua ricompensa nel Paradiso Rosso, la Cina cambiò bruscamente rotta verso il mondo esterno sotto la guida di Deng e dei suoi successori; e lo fecero sotto la bandiera del cosiddetto Capitalismo Rosso, il che equivale a una versione estrema del mercantilismo d'esportazione.

Di conseguenza le esportazioni cinesi sono aumentate di quasi 15 volte nei due decenni tra il 2000 e il 2022, passando da $250 miliardi a $3.600 miliardi all'anno. Così facendo i cinesi si sono sostanzialmente presi in ostaggio, il che significa che ogni provincia, città, villaggio, fabbrica, linea ferroviaria, attività di autotrasporto, magazzino e operazione portuale in lungo e in largo per la Cina si è profondamente impigliata nella produzione economica per i clienti in tutto il pianeta, come raffigurato nel grafico qui sotto. Di conseguenza l'economia cinese crollerebbe sul posto se Pechino interrompesse il flusso giornaliero di $10 miliardi di merci verso l'Europa, le Americhe e il resto dell'Asia.

Infatti se la sua leadership post-Mao fosse stata decisa a conquistare l'estero, la sopravvivenza stessa del regime di Pechino sarebbe stata compromessa dalla conseguente interruzione della più grande fabbrica che il mondo abbia mai visto. Washington ha sprecato 59.000 vite americane e più di 3 milioni di vite vietnamite prima di fuggire definitivamente dal Vietnam, eppure in seguito i cinesi non hanno nemmeno provato a catturare Hanoi, nonostante la teoria del dominio mondiale.

In altre parole, la Cina non è una minaccia militare per gli Stati Uniti, né vi è alcuna prova che sia espansionista, nemmeno nella sua stessa regione. C'è indubbiamente una ragione per cui dopo migliaia di anni, cinesi, coreani, giapponesi, indonesiani, malesi e filippini stanno alla larga l'uno dall'altro; anche perché una riunificazione dei cinesi Han sulla terraferma con i loro parenti a Formosa avrebbe praticamente zero implicazioni per il resto della regione.

Lo stato di Taiwan esiste solo perché Washington lo ha sostenuto nel 1949, quando Chiang Kai-shek perse la guerra civile contro Mao e i rossi. Se Washington si facesse da parte, è probabile che in breve tempo la penisola coreana sarebbe difficilmente distinguibile da Shanghai, dall'altra parte del Mar Giallo.

Vale a dire che gli USA non hanno bisogno della costosissima Settima Flotta e dei Marines americani e di gran parte dell'Aeronautica per contenere la Cina. La gigantesca economia Ponzi di quest'ultima, appollaiata com'è su $50.000 miliardi di debito e oltre $4.000 miliardi all'anno di esportazioni, rappresenta tutto il contenimento di cui la sicurezza militare americana ha effettivamente bisogno.

In fin dei conti, se la politica estera di Donald Trump incentrata sulla strategia “America First” significa qualcosa, è che l'attuale bilancio per la sicurezza nazionale da $1.000 miliardi è il doppio di quanto effettivamente richieda una difesa nazionale adeguata. Infatti non è esagerato dire che, nella ricerca incessante del proprio egoistico ingrandimento, il complesso militare-industriale ha gonfiato enormemente lo Stato militare americano quando ciò di cui c'è realmente bisogno nel 2025 è una sua versione ridimensionata.

E ora Donald ha aperto la porta alla riduzione del pesante bilancio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, esattamente a questo scopo, aprendo così la strada al ritorno del saggio ammonimento di Thomas Jefferson che esortava: “[,,,] Pace, commercio e onesta amicizia con tutte le nazioni, senza stringere alleanze con nessuna”.

Infatti il modo in cui l'amministrazione Trump avrebbe potuto tagliare della metà la spesa per la difesa è stato delineato molto tempo fa dal grande senatore Robert Taft all'alba della Guerra Fredda. Egli sosteneva che la modesta minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dalla derelitta Unione Sovietica e dal disastro collettivista imposto alla Cina da Mao avrebbero potuto essere facilmente gestiti con:

• Una capacità di ritorsione nucleare strategica che avrebbe scoraggiato qualsiasi possibilità di attacco o ricatto nucleare;

• Una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo, la quale sarebbe stata estremamente facile da realizzare, dato che l'Unione Sovietica non aveva una Marina degna di nota e la Cina era sprofondata nell'anarchia industriale e agricola a causa dei catastrofici esperimenti di collettivizzazione di Mao.

Questo quadro di riferimento taftiano non è mai cambiato da allora, anche se la tecnologia della guerra nucleare e convenzionale si è evoluta. Con una modesta spesa militare, Washington può mantenere il suo deterrente nucleare e una formidabile difesa della patria senza nessuno degli apparati dell'Impero e senza stivali americani su suolo straniero.

Infatti il caso di una vera linea di politica America First, ovvero il ritorno allo status quo pre-1914 e a una corretta postura militare difensiva, si è notevolmente rafforzato negli ultimi tre decenni. Questo perché nel mondo odierno l'unica minaccia militare teorica alla sicurezza nazionale americana è la possibilità di un attacco nucleare o di un ricatto nucleare. Vale a dire, la minaccia che uno dei suoi due avversari nucleari possa sviluppare una capacità di First Strike letale ed efficace da poter gridare scacco matto e chiedere la resa di Washington.

Fortunatamente né la Russia né la Cina hanno nulla di simile, almeno non senza evitare un annientamento per rappresaglia del loro stesso Paese e del loro popolo se tentassero di colpire per primi. Dopo tutto gli Stati Uniti hanno 3.700 testate nucleari attive, di cui circa 1.800 sono operative in qualsiasi momento. A loro volta queste sono sparse sotto i sette mari, in silos rinforzati e tra una flotta di bombardieri costituita da 66 B-2 e B-52, tutti fuori dal rilevamento o dalla portata di qualsiasi altra potenza nucleare.

Ad esempio, i sottomarini nucleari di classe Ohio hanno ciascuno 20 tubi missilistici, con ogni missile che trasporta una media di 4-5 testate. Sono 90 testate indipendenti per imbarcazione. In qualsiasi momento 12 dei 14 sottomarini nucleari di classe Ohio sono attivamente schierati e sparsi negli oceani del pianeta entro un raggio di tiro di 4.000 miglia.

Quindi, al momento di un ipotetico attacco, si tratta di 1.080 testate nucleari in acque profonde che navigano lungo i fondali oceanici e che dovrebbero essere identificate, localizzate e neutralizzate prima ancora che un potenziale aggressore o ricattatore possa fare qualcosa. Infatti la sola forza nucleare basata in mare è un potente garante della sicurezza nazionale americana. Nemmeno i tanto decantati missili ipersonici della Russia sono riusciti a trovare o a eliminare di sorpresa il deterrente statunitense in mare.

E poi ci sono le circa 300 testate nucleari a bordo dei 66 bombardieri strategici, che non sono nemmeno seduti su un singolo aeroporto in stile Pearl Harbor in attesa di essere annientati, ma si spostano e sono in movimento. Poi ci sono i 400 missili Minuteman III distribuiti in silos estremamente rinforzati nel sottosuolo in una vasta fascia del Midwest superiore. Ogni missile trasporta attualmente una testata nucleare in conformità con il Trattato Start, ma potrebbe essere MIRV in risposta a una grave minaccia, aggravando e complicando ulteriormente il calcolo di un avversario.

Inutile dire che non c'è modo, forma o aspetto in cui il deterrente nucleare americano possa essere neutralizzato da un ricattatore. E questo ci porta al nocciolo della questione su come l'amministrazione Trump potrebbe effettivamente tagliare il budget della difesa del 50%. Vale a dire, secondo le più recenti stime del CBO, la triade nucleare costerà solo circa $75 miliardi all'anno per il suo mantenimento nel prossimo decennio, comprese le quote per gli aggiornamenti periodici delle armi.

Proprio così. La componente fondamentale della sicurezza militare americana richiede solo il 7% dell'enorme budget militare odierno, come dettagliato sistema per sistema nella tabella qui sotto. Quindi nel 2023 la triade nucleare stessa è costata solo $28 miliardi, più altri $24 miliardi per le scorte correlate e l'infrastruttura di comando, controllo e allerta.

Inoltre si stima che la componente chiave di questo deterrente nucleare, la forza missilistica balistica basata sul mare, costerà solo $188 miliardi nell'intero prossimo decennio. Stiamo parlando solo dell'1,9% rispetto ai $10.000 miliardi calcolati dal CBO per lo stesso periodo.

Costo decennale della deterrenza nucleare strategica degli Stati Uniti secondo le stime del CBO, dal 2023 al 2032

Quindi la domanda si ripresenta rispetto all'attuale livello di spesa di base ($989 miliardi) calcolata dal CBO per la difesa tra un paio d'anni: dopo aver accantonato $75 miliardi per la triade nucleare strategica, quanto dei restanti $900+ miliardi sarebbe necessario per una difesa convenzionale delle coste continentali e dello spazio aereo?

Il punto di partenza è che né la Russia né la Cina hanno la capacità militare, il peso economico o l'intenzione di attaccare la patria americana con forze convenzionali. Per farlo avrebbero bisogno di un'enorme armata militare che includa una Marina e un'Aeronautica molte volte più grandi delle attuali forze statunitensi, enormi risorse di trasporto aereo e marittimo, e gigantesche linee di rifornimento e capacità logistiche che non sono mai state nemmeno sognate da nessun'altra nazione sul pianeta.

Avrebbero anche bisogno di un PIL iniziale di $100.000 miliardi per sostenere quella che sarebbe la più colossale mobilitazione di armamenti e materiali nella storia dell'umanità. E questo per non parlare della necessità di essere governati da leader suicidi, cosa che non caratterizza né Putin né Xi, disposti a rischiare la distruzione nucleare dei loro stessi Paesi, alleati e commercio economico per realizzare... cosa? Occupare Denver?

L'idea stessa che ci sia attualmente una minaccia esistenziale alla sicurezza americana è semplicemente folle. Dopo tutto quando si tratta del peso economico richiesto, il PIL della Russia è di appena $2.000 miliardi, non i $100.000 miliardi che sarebbero necessari per mettere le forze di invasione sulle coste del New Jersey. E il suo bilancio della difesa è di $75 miliardi, i quali ammontano a circa quattro settimane di spreco nel mostro da $900 miliardi di Washington.

Allo stesso modo la Cina non ha il peso sostenibile del PIL per pensare di sbarcare sulle coste della California, nonostante l'infinita sottomissione di Wall Street al boom cinese. Il fatto è che la Cina ha accumulato più di $50.000 miliardi di debito in appena due decenni!

Pertanto non è cresciuta organicamente secondo il modello capitalista storico; ha stampato, preso in prestito, speso e costruito come se non ci fosse un domani. Come abbiamo indicato sopra, quindi, il simulacro di prosperità risultante non durerebbe un anno se il suo mercato dell'export globale da $3.600 miliardi, la fonte che mantiene in piedi il suo schema Ponzi, dovesse crollare, che è esattamente ciò che accadrebbe se cercasse di invadere l'America.

Di sicuro i leader totalitari della Cina sono decisamente malvagi dal punto di vista della loro popolazione oppressa, ma non sono stupidi. Restano al potere mantenendo la gente relativamente grassa e felice e non rischierebbero mai di far crollare quello che equivale a un castello di carte economico che non ha nemmeno una vaga approssimazione nella storia umana.

Infatti quando si tratta della minaccia di un'invasione militare convenzionale, i vasti fossati dell'Atlantico e del Pacifico sono barriere ancora più grandi all'assalto militare straniero nel XXI secolo rispetto a quanto hanno già dimostrato di essere nel XIX secolo. Questo perché l'attuale tecnologia di sorveglianza avanzata, i missili antinave e gli stormi di droni farebbero finire un'armata navale nemica a far compagnia allo scrigno di Davy Jones non appena uscisse dalle proprie acque territoriali.

Il fatto è che, in un'epoca in cui il cielo è pieno di risorse di sorveglianza ad alta tecnologia, né la Cina né la Russia potrebbero segretamente costruire, testare e radunare per un attacco a sorpresa una massiccia armata di forze convenzionali senza essere notate a Washington. Non può esserci una ripetizione della forza d'attacco giapponese (Akagi, Kaga, Soryu, Hiryu, Shokaku e Zuikaku) che attraversa il Pacifico verso Pearl Harbor senza essere vista per tempo.

Infatti i due presunti “nemici” americani non hanno alcuna capacità offensiva o di invasione. La Russia ha solo una portaerei, una reliquia degli anni '80 che è in bacino di carenaggio per riparazioni sin dal 2017 e non è equipaggiata né con una falange di navi di scorta né con una serie di aerei da attacco e da combattimento, e al momento nemmeno con un equipaggio attivo.

Allo stesso modo la Cina ha solo tre portaerei, due delle quali sono vecchie e arrugginite, ristrutturate e acquistate tra i resti della vecchia Unione Sovietica (in realtà l'Ucraina!), e non hanno nemmeno catapulte moderne per lanciare i loro aerei d'attacco.

In breve, né la Cina né la Russia spingeranno i loro minuscoli gruppi di battaglia di 3 e 1 portaerei verso le coste della California o del New Jersey in tempi brevi. Una forza d'invasione che avesse una minima possibilità di sopravvivere a una difesa statunitense costituita da missili da crociera, droni, caccia a reazione, sottomarini d'attacco e guerra elettronica dovrebbe essere 100 volte più grande.

Quindi ripetiamolo: non esiste alcun PIL al mondo ($2.000 miliardi per la Russia e $18.000 miliardi per la Cina) che si avvicini anche lontanamente ai $100.000 miliardi che sarebbero necessari per sostenere una simile forza d'invasione senza far crollare l'economia nazionale.

Donald Trump è quindi sulla buona strada per qualcosa di enorme: vale a dire che la capacità di guerra convenzionale di Washington che abbraccia il globo è completamente obsoleta!

A un terzo di secolo dal crollo dell'Impero sovietico e dall'avvio da parte della Cina del suo capitalismo rosso verso una profonda integrazione economica globale, l'impero statunitense rappresenta una forza del tutto estranea e inutile.

Si consideri che Washington equipaggia, addestra e schiera una forza armata di 2,86 milioni di unità, ma piuttosto che essere dedita alla difesa della patria, lo scopo principale è supportare missioni di offesa, invasione e occupazione in tutto il pianeta.

Come illustrato nel grafico sopra, questa obsoleta postura militare imperiale include ancora:

• 119 strutture e circa 34.000 soldati in Germania;

• 44 strutture e 12.250 militari in Italia;

• 25 strutture e 9.275 soldati nel Regno Unito;

• 120 strutture e 53.700 soldati in Giappone;

• 73 strutture e 26.400 soldati in Corea del Sud.

Tutta questa inutile forza militare si erge come un costoso monumento alla vecchia teoria della sicurezza collettiva, che portò alla fondazione della NATO nel 1949 e dei suoi cloni regionali successivi. Ciononostante la tesi dell'Impero e delle sue alleanze globali faceva acqua da tutte le parti già allora. Infatti gli archivi ora aperti della vecchia Unione Sovietica dimostrano in modo conclusivo che Stalin non aveva né i mezzi né l'intenzione di invadere l'Europa occidentale.

La capacità militare che l'Unione Sovietica ha resuscitato dopo il massacro con gli eserciti di Hitler era di natura fortemente difensiva, quindi la presunta minaccia politica comunista in Europa avrebbe potuto essere risolta alle urne elettorali, non sul campo di battaglia. Non avevano bisogno della NATO per fermare un'invasione sovietica.

Inutile dire che, una volta costituito l'impero fatto di basi, alleanze, sicurezza collettiva e incessante ingerenza della CIA negli affari interni dei Paesi stranieri, esso è rimasto attaccato come la colla a Washington, anche se i fatti della vita internazionale hanno dimostrato più e più volte che un impero non era affatto necessario.

Vale a dire che le presunte “lezioni” del periodo tra le due guerre mondiali sono state ribaltate: l'ascesa aberrante di Hitler e Stalin non avvenne perché la brava gente di Inghilterra, Francia e America dormì durante gli anni '20 e '30.

Sorsero dalle ceneri dell'inutile intervento di Woodrow Wilson in una disputa del Vecchio Mondo che non era affare dell'America. L'arrivo nel 1918 di due milioni di ragazzi americani e massicci flussi di armamenti e prestiti da Washington permisero una pace vendicativa dei vincitori a Versailles piuttosto che la fine di una guerra mondiale che avrebbe lasciato tutte le parti esauste, in bancarotta e demoralizzate, e i rispettivi partiti di guerra interna soggetti a un ripudio alle urne.

Invece l'intervento di Wilson sui campi di battaglia in stallo del fronte occidentale diede vita alla rivoluzione in Russia e a Lenin e Stalin, mentre le sue macchinazioni con i vincitori a Versailles favorirono l'ascesa di Hitler.

Certo, alla fine il primo portò fortunatamente alla fine del secondo a Stalingrado. Ma quella avrebbe dovuto essere la fine della questione nel 1945, e, in effetti, il mondo c'era quasi arrivato. Dopo le parate della vittoria, la smobilitazione e la normalizzazione della vita civile procedettero a passo spedito in tutto il mondo.

Ahimè, il Partito della Guerra a Washington, composto da appaltatori militari, agenti governativi e burocrati, cresciuto nel calore della seconda guerra mondiale, non era intenzionato a dare la buonanotte. Invece la Guerra fredda fu partorita sulle rive del Potomac quando il presidente Truman cadde sotto l'incantesimo dei falchi della guerra come il segretario James Byrnes, Dean Acheson, James Forrestal e i fratelli Dulles, che erano restii a tornare alle loro vite banali di banchieri civili, politici o diplomatici.

Quindi nel periodo postbellico il comunismo mondiale non era realmente in marcia, né stava partorendo nuovi Hitler e Stalin. Ma i sostenitori dell'Impero insistevano che invece era così, e che la sicurezza nazionale richiedeva un impero esteso che è ancora con noi oggi.

Quindi non c'è mistero sul perché le guerre sono andate avanti all'infinito, o perché in un momento in cui lo Zio Sam stava perdendo inchiostro rosso come mai prima, una larga maggioranza bipartisan ha ritenuto opportuno autorizzare $1.100 miliardi all'anno per una forza militare eccessiva e sprechi in aiuti esteri che non hanno fatto assolutamente nulla per la sicurezza interna degli Stati Uniti.

Infatti Washington si è trasformata in un fenomeno peculiare della storia mondiale, una capitale di guerra dominata da un complesso panoptico di mercanti d'armi, paladini dell'interventismo estero e dalla nomenklatura dello Stato militare. Mai prima d'ora si era riunita e concentrata sotto un'unica autorità statale una forza egemonica che possedeva così tante risorse fiscali e mezzi militari.

Non sorprende che la Capitale della guerra sul Potomac sia orwelliana fino al midollo. La guerra è sempre e ovunque descritta come la promozione della pace. Il suo stivale da egemonista globale è abbellito dalla forma apparentemente benefica di alleanze e trattati. Questi sono apparentemente progettati per promuovere un “ordine basato sulle regole” e sicurezza collettiva a beneficio dell'umanità, non i giusti obiettivi di pace, libertà, sicurezza e prosperità all'interno della patria americana.

Come abbiamo visto, il fondamento intellettuale di questa impresa è fasullo. Il pianeta non è pieno di potenziali aggressori e costruttori di imperi che devono essere fermati di colpo ai loro confini, per timore che divorino la libertà di tutti, vicini e lontani.

Né il DNA delle nazioni è perennemente infettato da macellai e tiranni incipienti come Hitler e Stalin. Sono stati incidenti una tantum nella storia e completamente distinguibili dalla serie standard di piccole cose quotidiane che in realtà nascono periodicamente. Ma queste ultime disturbano principalmente l'equilibrio dei loro immediati quartieri, non la pace del pianeta.

Quindi la sicurezza nazionale americana non dipende da una vasta gamma di alleanze, trattati, basi militari e operazioni di influenza straniera. Nel mondo odierno non ci sono Hitler, reali o latenti, da fermare. L'intero quadro della Pax Americana e la promozione e l'applicazione di un ordine internazionale “basato sulle regole” con sede a Washington sono un errore epico.

A questo proposito i Padri Fondatori ci hanno visto giusto più di 200 anni fa, durante l'infanzia della Repubblica. Come sostenne John Quincy Adams: “[L'America] si è astenuta dall'interferire nelle preoccupazioni degli altri, anche quando il conflitto era per principi a cui si aggrappa [...]. È la benefattrice della libertà e dell'indipendenza di tutti. È la paladina e la vendicatrice solo della sua stessa libertà”.

Inutile dire che il commercio pacifico è invariabilmente molto più vantaggioso per le nazioni grandi e piccole rispetto all'ingerenza, all'interventismo e all'impegno militare. Nel mondo odierno sarebbe il campo di gioco predefinito sulla scacchiera internazionale, fatta eccezione per il Grande Egemone sulle rive del Potomac. Vale a dire, il principale disturbo della pace oggi è invariabilmente promosso dal pacificatore autoproclamato, che, ironicamente, è la nazione meno minacciata dell'intero pianeta.

Il punto di partenza per una posizione militare trumpiana del tipo “America First” e per un taglio del 50% del bilancio militare è quindi il drastico ridimensionamento dell’esercito statunitense, che conta quasi un milione di uomini.

Quest'ultimo non avrebbe alcuna utilità all'estero perché non ci sarebbe motivo per guerre di invasione e occupazione, mentre le probabilità che battaglioni e divisioni straniere raggiungano le coste americane sono praticamente inesistenti. Con una guarnigione costiera adeguata di missili, droni, sottomarini d'attacco e caccia a reazione, qualsiasi esercito invasore diventerebbe un'esca per squali molto prima di vedere le coste della California o del New Jersey.

Eppure i 462.000 soldati in servizio attivo dell'esercito a $112.000 ciascuno hanno un costo di bilancio annuale di $55 miliardi, mentre le 506.000 forze di riserva dell'esercito a $32.000 ciascuna costano più di $16 miliardi. E in cima a questa struttura ci sono $77 miliardi per operazioni varie e manutenzione, $27 miliardi per approvvigionamenti, $22 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutto il resto (in base alla richiesta di bilancio per l'anno fiscale 2025).

In totale, l'attuale bilancio dell'esercito ammonta a quasi $200 miliardi e praticamente tutta questa enorme spesa, quasi 3 volte il bilancio totale della difesa della Russia, è impiegata al servizio dell'Impero, non della difesa della patria. Potrebbe essere facilmente tagliata del 70%, o di $140 miliardi, il che significa che la componente dell'esercito degli Stati Uniti assorbirebbe solo $60 miliardi all'anno.

Allo stesso modo la Marina e il Corpo dei Marines degli Stati Uniti spendono $55 miliardi all'anno per 515.000 militari in servizio attivo e altri $3,7 miliardi per 88.000 riservisti. Tuttavia, se si considerano i requisiti fondamentali di una postura di difesa, anche queste forze e spese sono decisamente esagerate.

Per missioni principali intendiamo la componente della Marina della triade nucleare strategica e la grande forza d'attacco e i sottomarini con missili da crociera della Marina. Ecco, di seguito, gli attuali requisiti di manodopera per queste forze chiave:

14 sottomarini nucleari strategici classe Ohio: ogni imbarcazione è composta da due equipaggi composti da 155 ufficiali e soldati semplici, per un fabbisogno di forza diretta di 4.400 unità e un totale complessivo di 10.000 militari, includendo ammiragli, personale di bordo, personale di supporto e personale vigile;

50 Sottomarini lanciamissili d'attacco/da crociera: ogni imbarcazione è composta da due equipaggi composti da 132 ufficiali e soldati semplici, per un fabbisogno diretto di 13.000 persone e un totale complessivo di 20.000 unità, inclusi ammiragli, personale di bordo, ecc.

In breve le missioni principali della Marina secondo una postura militare di difesa coinvolgerebbero circa 30.000 ufficiali e soldati semplici, ovvero meno del 6% dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marines. D'altro canto le portaerei totalmente inutili, che operano esclusivamente al servizio dell'Impero, hanno equipaggi di 8.000 uomini ciascuno, se si contano le navi di scorta e le suite di aerei.

Quindi gli 11 gruppi di portaerei e la loro infrastruttura richiedono 88.000 militari diretti e 140.000 in totale se si includono il solito supporto e le spese generali. Allo stesso modo, la forza in servizio attivo del Corpo dei Marines è di 175.000 unità, e questo è interamente uno strumento di invasione e occupazione. È totalmente inutile per una difesa della patria.

In breve, ben 315.000, o il 60% dell'attuale forza in servizio attivo della Marina/Corpo dei Marines, lavorano al servizio dell'Impero. Quindi se si ridefiniscono le missioni della Marina per concentrarsi sulla deterrenza nucleare strategica e sulla difesa costiera, è evidente che più della metà della struttura di forza della Marina non è necessaria per la sicurezza della patria. Invece funziona al servizio della proiezione di potenza globale, del controllo delle rotte marittime dal Mar Rosso al Mar Cinese Orientale e della piattaforma per guerre di invasione e occupazione.

Nel complesso, l'attuale bilancio della Marina/Corpo dei Marines ammonta a circa $236 miliardi, se si includono $59 miliardi per il personale militare, $81 miliardi per O&M, $67 miliardi per gli appalti, $26 miliardi per RDT&E e $4 miliardi per tutti gli altri. Un taglio di $96 miliardi, o del 40%, quindi, lascerebbe comunque $140 miliardi per le missioni principali di difesa.

Tra i servizi, i $246 miliardi contenuti nel bilancio dell'Aeronautica sono considerevolmente più orientati a una postura di sicurezza nazionale rispetto a quanto avviene con l'Esercito e la Marina. Sia la branca terrestre Minuteman della triade strategica che le forze dei bombardieri B-52 e B-2 sono finanziate per suddetto scopo.

E mentre una parte significativa del budget destinato all'equipaggio, alle operazioni e all'approvvigionamento di aerei convenzionali e di forze missilistiche è attualmente destinata a missioni all'estero, solo la componente di trasporto aereo e di basi estere di tali spese è al servizio dell'Impero.

In base a una postura militare difensiva una parte sostanziale della potenza aerea convenzionale, che comprende più di 4.000 velivoli ad ala fissa e rotante, verrebbe riconvertita in missioni di difesa della patria. Di conseguenza più del 75%, o $180 miliardi, dell'attuale bilancio dell'aeronautica rimarrebbe in vigore, limitando i risparmi a soli $65 miliardi.

Infine un coltello particolarmente affilato dovrebbe essere fatto calare sulla componente da $181 miliardi del bilancio della difesa che è destinata al Pentagono e alle operazioni generali del Dipartimento della Difesa. Ben $110 miliardi, ovvero il 61% di tale somma (più di 2 volte il bilancio militare totale della Russia), sono in realtà destinati all'esercito di dipendenti civili del Dipartimento della Difesa e ai contractor con sede a DC/Virginia che si nutrono dello Stato militare.

In termini di sicurezza nazionale, molte di queste spese non sono semplicemente inutili, sono in realtà controproducenti. Costituiscono la lobby finanziata dai contribuenti e la forza di spaccio di influenze che mantiene l'Impero in vita e finanziato a Capitol Hill tramite lauti stanziamenti per ogni genere di consulenza, ONG, think tank, istituto di ricerca e innumerevoli altri.

Un'indennità del 38%, o $70 miliardi per le funzioni del Dipartimento della Difesa, soddisferebbe ampiamente le sue reali esigenze. Nel complesso, quindi, ridimensionare la forza del Dipartimento della Difesa genererebbe $410 miliardi di risparmi per l'anno fiscale 2025. Altri $50 miliardi di risparmi potrebbero essere ottenuti anche eliminando la maggior parte dei finanziamenti per l'ONU, altre agenzie internazionali, assistenza alla sicurezza e aiuti economici.

Tenendo conto dell'inflazione nei successivi quattro anni del mandato di Trump, il risparmio complessivo ammonterebbe a $500 miliardi l'anno.

Risparmi sul budget:

• Esercito: $140 miliardi

• Marina/Corpo dei Marines: $96 miliardi

• Aeronautica Militare: $65 miliardi

• Dipartimento della Difesa: $111 miliardi

• Contributi alle Nazioni Unite e aiuti economici e umanitari esteri: $35 miliardi

• Assistenza alla sicurezza internazionale: $15 miliardi

• Risparmio totale, base anno fiscale 2025: $462 miliardi

• Aggiustamento all'inflazione per l'anno fiscale 2029: +$38 miliardi

• Risparmi totali sul bilancio per l'anno fiscale 2029: $500 miliardi

In fin dei conti, il momento di riportare a casa l'Impero è arrivato da tempo. Il costo annuale di $1.300 miliardi dello Stato militare (incluse le operazioni internazionali e i veterani) non è più nemmeno lontanamente sostenibile, ed è stato del tutto inutile per la sicurezza della patria americana.

Tutto questo avrebbe dovuto essere ovvio molto tempo fa, ma la Finestra di Overton era talmente chiusa che la nuda e cruda verità dell'Impero non poteva essere nemmeno messa in discussione. Ma ora Donald Trump ha fatto esattamente questo, e farà tutta la differenza di questo mondo.

Quindi che il vertice tra Trump, Putin e Xi inizi presto e dia inizio al grande definanziamento degli Stati militari di tutto il mondo ormai ipertrofici. Sebbene siamo in ritardo di oltre 100 anni, Donald Trump potrebbe essere la migliore speranza di pace sin dall'agosto 1914.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Sostituire l'imposta sul reddito con i dazi?

Mar, 04/03/2025 - 11:06

Una delle migliori pubblicità che l'amministrazione Trump sta facendo al proprio operato e al mantenimento delle proprie promesse, è la campagna di tagli del DOGE. In solo un mese è stato scoperchiato un gigantesco vaso di vermi e l'emersione di questa corruzione punta nella giusta direzione di ridurre il peso dello stato sulle spalle delle persone. Il simbolo per eccellenza di questa campagna di smaltimento della spesa pubblica è rappresentato dalla USAID. Fondata dal presidente John F. Kennedy il 3 novembre 1961, nel 1998 si è separata dal Dipartimento di Stato diventando un'agenzia autonoma. Ciò ha portato all'uso della USAID come strumento del Dipartimento di Stato e della CIA per programmi politici interni e operazioni segrete all'estero volte a sfuggire alla trasparenza e alla responsabilità. Il giorno dell'insediamento Trump ha firmato l'ordine esecutivo 14158 per istituire e implementare il Dipartimento per l'efficienza governativa (DOGE). Guidato da Elon Musk, il DOGE ha immediatamente iniziato a rivedere centinaia di contratti, locazioni e sovvenzioni inutili in diverse agenzie governative. Al 17 febbraio venivano segnalati $49 miliardi di risparmi sui costi complessivi. Niente male per soli 28 giorni di lavoro. L'agenzia governativa che ha rapidamente catturato l'attenzione del team DOGE per il suo livello scioccante di sprechi, frodi e abusi è stata la USAID. Il 31 gennaio il DOGE ha riferito di aver rescisso sette contratti USAID correlati ai DEI per un valore contrattuale totale di $375,1 milioni. La Casa Bianca ha pubblicato un fact sheet il 3 febbraio intitolato “At USAID, Waste and Abuse Runs Deep” e la Commissione Affari Esteri della Camera ha fatto seguito con un comunicato stampa il 4 febbraio in cui elencava numerosi esempi eclatanti di sprechi della USAID, come milioni di dollari spesi per promuovere l'attivismo DEI e LGBT in diversi Paesi in tutto il mondo e centinaia di milioni di dollari pagati per sostenere la coltivazione di papavero e la produzione di eroina in Afghanistan (a beneficio del regime talebano). Senza contare, poi, le operazioni di intelligence e dei servizi segreti attuate tramite l'USAID (visto che la CIA, ad esempio, non può per legge attuare operazioni segrete senza che il Presidente sia messo al corrente). Dopo che il DOGE ha esposto decenni di sprechi, frodi e abusi estesi da parte della USAID, l'amministrazione Trump ne ha chiuso la sede centrale a Washington il 7 febbraio e sta pianificando di licenziare oltre 10.000 dipendenti e di mantenerne solo 294. Sia Trump che Musk sono favorevoli all'abolizione della USAID come agenzia governativa e allo spostamento di qualsiasi legittima funzione di aiuto estero al Dipartimento di Stato. Come ci ricorda Tucker, abusi come quello della USAID sono stati possibili con la nascita dell'imposta sui redditi, la quale ha parassitato sulla buona volontà e il duro lavoro delle persone che hanno inventato nuovi modi per aumentare il bacino della ricchezza reale. Più è cresciuto quest'ultimo, più è cresciuta la voracità dello stato. Non si può capire l'effetto di un fenomeno se non ne si comprende la causa, ecco perché vi invito assolutamente a leggere il meraviglioso libro di Chodorov, La radice di tutti i mali economici, manoscritto che ho provveduto personalmente a tradurre e che potete trovare nella mia vetrina su Amazon. E se Trump riuscirà davvero a liberarsi dell'imposta sui redditi, allora si meriterà di diritto il suo posto vicino ai grandi personaggi del passato sul Monte Rushmore.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/sostituire-limposta-sul-reddito-con)

C'era un tempo, prima del 1913, in cui potevate tenere ogni centesimo che guadagnavate. Non dovevate presentare la dichiarazione dei redditi al governo federale, dicendo loro quanto fatturavate e dando ai burocrati la loro parte. Le vostre finanze erano affari vostri e di nessun altro. Avevate il diritto di guadagnare, possedere e mantenere proprietà, ed era sacrosanto, garantito dalla legge e dalla tradizione degli Stati Uniti.

Non c'erano verifiche, indagini, blocchi di conti, ritenute o altre forme di pagamento coatto. C'erano la vostra produttività e voi, e questo era tutto.

Come si finanziava il governo federale? Le sue entrate provenivano dai dazi ed erano pagati direttamente dagli importatori e indirettamente da produttori e consumatori se i costi potevano essere trasferiti. Come strategia per ottenere entrate, questo approccio era relativamente non invasivo; lasciava la popolazione in pace.

A quei tempi, tuttavia, il governo federale esisteva a malapena rispetto a oggi. Più precisamente, e in termini reali, il governo federale nel 1885 spendeva in dollari aggiustati all'inflazione circa lo 0,05% di quanto spende oggi. Anche allora la gente credeva che fosse troppo grande e voleva che fosse ridimensionato.

Donald Trump ha di recente istruito le persone sulla storia della strategia per le entrate e sta insegnando qualcosa che le persone non sapevano: come quel periodo della storia americana abbia visto la più grande crescita economica mai sperimentata. Ha ragione e ha anche ragione sul fatto che quello era il periodo dei dazi.

La causa e l'effetto, tuttavia, sono poco chiari. I temi principali di quel periodo erano la libertà e il denaro sano/onesto. Il dollaro era coperto dal gold standard e non esisteva una banca centrale. Il governo federale stesso non aveva alcuna presenza nella vita della famiglia americana o del tipico business americano. Questi fatti, più dei dazi, spiegano la differenza tra allora e oggi.

Per inciso, non ricordo un altro presidente degli Stati Uniti che abbia avuto un'opinione così chiara sulla storia economica del XIX secolo. La maggior parte dei commenti dei presidenti si sono limitati a lodi per i Padri Fondatori o per Lincoln, ma hanno tralasciato i dettagli riguardanti le fonti di reddito o le controversie sulle banche nazionali e simili. Trump è diverso, molto fiducioso in questi dettagli della storia che sono stati dimenticati persino dalla maggior parte degli economisti.

Trump ha spiegato che l'imposta sul reddito è arrivata nel 1913 in sostituzione dei dazi. Ha ragione per quanto riguarda la progettazione, ma la realtà storica è stata leggermente diversa. I dazi non sono stati aboliti del tutto. L'imposta sul reddito è semplicemente diventata una seconda e ulteriore fonte di entrate. Poi arrivò la Grande Guerra, finanziata in gran parte dalla banca centrale che fu creata in quello stesso anno.

L'imposta sul reddito e la FED divennero la fonte finanziaria del potere del Leviatano. Entrambe nacquero nel 1913, insieme all'elezione diretta dei senatori che fece saltare la struttura bicamerale del Congresso e mise le grandi città a capo dell'equivalente americano della Camera dei Lord.

La lezione di storia di Trump apre l'opportunità di esaminare tutto questo più da vicino. Egli sembra simpatizzare con la fazione di Hamilton ereditata poi da Henry Clay, il senatore della Virginia che sostenne quello che venne chiamato “il sistema americano”: una linea di politica basata su dazi protettivi, una banca nazionale e sussidi federali per miglioramenti interni in modo da promuovere la crescita economica e la coesione nazionale.

Questo è un riassunto abbastanza buono di quella che sembra essere la posizione di Trump. In termini storici, la visione di Clay contrastava con la visione jeffersoniana, la quale favoriva un governo minuscolo, libero scambio, nessuna banca nazionale, nessuna sovvenzione industriale e una società di piccoli agricoltori che fungesse da motore economico.

Oggi i vecchi dibattiti tra jeffersoniani e hamiltoniani sembrano molto meno rilevanti per la situazione attuale. Sia Hamilton che Clay sarebbero inorriditi dalle dimensioni e dalla portata del potere governativo e si unirebbero volentieri a Jefferson e John Randolph per ridimensionare il Leviatano. Questa è l'ambizione di Trump, essere un agente di cambiamento che renda di nuovo gestibile il governo federale.

Per questo motivo ha lanciato l'idea di abolire l'imposta sul reddito. E tutti hanno detto: sì! Inutile dire che questo finirebbe per negare enormi quantità di entrate al governo federale. Non importa come si facciano i calcoli, non c'è modo che i dazi possano compensare la differenza. L'unica soluzione, quindi, è quella di tagli alla spesa pubblica, che persone come Elon Musk hanno promesso.

Consistent with President @realDonaldTrump’s instructions, all federal employees will shortly receive an email requesting to understand what they got done last week.

Failure to respond will be taken as a resignation.

— Elon Musk (@elonmusk) February 22, 2025

L'ultima volta che il governo federale si finanziava interamente tramite i dazi, la spesa pubblica era solo lo 0,05% di quella odierna. Se la tagliassimo così tanto, sarebbe fantastico, ma non è mai successo niente del genere nella storia americana. Di solito ciò che Washington chiama tagli sono in realtà solo tagli nel ritmo di aumento della spesa.

Senza tagli reali e con una riduzione o eliminazione dell'imposta sul reddito, gli Stati Uniti finiscono con più debito che sarà finanziato dalla Federal Reserve e che si tradurrà in più inflazione. Quest'ultima non è altro che una forma diversa e più subdola di tassazione. Invece di prelevare denaro direttamente dal vostro conto bancario, lo stato riduce il potere d'acquisto dell'unità di denaro stessa.

Torniamo all'idea di abolire l'imposta sul reddito. La miglior tesi mai sostenuta a proposito è quella presentata da un grande giornalista di nome Frank Chodorov (1887–1966) e dal suo meraviglioso libro La radice di tutti i mali economici. Scrisse del 16° emendamento alla Costituzione:

[Esso] non pone limiti alla confisca statale. Lo stato può, ai sensi della legge, prendere tutto ciò che il cittadino guadagna, anche fino al punto di privarlo di tutto ciò che è al di sopra della mera sussistenza, che invece dovrebbe consentirgli di trattenere affinché possa produrre qualcosa da confiscare poi. In qualunque modo si giri questo emendamento, si arriva al fatto che conferisce allo stato un privilegio prioritario su tutta la proprietà prodotta dai suoi sudditi. In breve, quando questo emendamento divenne parte della Costituzione, nel 1913, il diritto assoluto di proprietà negli Stati Uniti fu violato.

Inoltre:

Di nome, era una riforma fiscale. Di fatto, era una rivoluzione. Il sedicesimo emendamento ha corroso il concetto americano di diritti naturali; ha ridotto in ultima analisi il cittadino americano a uno status di suddito, tanto che non ne è consapevole; ha aumentato il potere esecutivo al punto di ridurre il Congresso all'innocuità; e ha permesso al governo centrale di corrompere i singoli stati, un tempo unità indipendenti, per sottometterli. Nessuna monarchia nella storia del mondo ha mai esercitato più potere della nostra presidenza, o ha avuto a disposizione una quantità maggiore di ricchezza della popolazione. Abbiamo mantenuto le forme e le frasi di una repubblica, ma in realtà viviamo sotto un'oligarchia, non di cortigiane, ma di burocrati.

L'abolizione dell'imposta sul reddito ripristinerebbe i diritti di proprietà, i diritti d'impresa e la privacy dei cittadini americani, che non sarebbero più spiati e saccheggiati dal potere arbitrario dello stato.

L'elettorato che favorirebbe una cosa del genere in America è praticamente chiunque. Perché, allora, nessun presidente ha mai promosso un'idea del genere? Proprio perché farlo è incredibilmente illuminante e accresce la consapevolezza. Costringe il popolo americano a rendersi conto che lo stato sta vivendo a sue spese. Per qualsiasi istituzione politica che spadroneggia su una popolazione appena consapevole di questi fatti, una proposta del genere è assai pericolosa.

Non si può aggirare la matematica. Se stiamo davvero parlando di sbarazzarci dell'imposta sul reddito, non esistono dazi abbastanza alti da compensare la differenza. Non c'è altra scelta che tagliare drasticamente la spesa pubblica. Il congelamento del bilancio, il congelamento delle nuove assunzioni, il congelamento delle sovvenzioni in uscita: tutto questo punta nella giusta direzione. Non possiamo escludere la possibilità che l'amministrazione Trump ci porti davvero dove dobbiamo andare.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il primo anno di Milei: libertà, meno burocrazia, bassa inflazione

Lun, 03/03/2025 - 11:04

Vi ricordate, poco più di un anno fa, quando Milei è stato eletto, una congrega di 108 economisti aveva firmato una lettera in cui si dicevano preoccupati per le sorti dell'Argentina sulla scia delle potenziali riforme in canna al nuovo presidente? Dopo poco più di un anno l'Argentina è praticamente risorta dalle ceneri in cui l'avevano bruciata i peronisti. I lavori pubblici sono stati tagliati, i programmi di welfare sono stati tagliati e i sussidi eliminati. Le aziende statali sono state privatizzate e centinaia di regolamenti sono stati tagliati. Il codice fiscale è stato semplificato e le imposte sulle esportazioni ridotte. Le leggi sul lavoro sono state allentate, il numero di ministeri governativi ridotto ed è stato implementato un blocco per i posti di lavoro pubblici. Dal punto di vista monetario, il peso è stato svalutato e alla banca centrale ordinato di mettere in pausa la stampante monetaria. Queste azioni non sono state indolori, infatti, lo stesso Milei le aveva descritte come una sorta di “terapia d'urto” necessaria per la guarigione economica. L'Argentina stava combattendo contro un'inflazione a tre cifre, la sclerosi economica e la povertà di massa. “In soli 12 mesi abbiamo polverizzato l'inflazione”, ha scritto su X il Ministero dell'Economia; nel frattempo l'economia argentina è uscita ufficialmente dalla recessione. Pensate quello che volete della persona, ma i risultati sono evidenti. Questo perché, come ricordo spesso, l'Argentina di Milei è un “laboratorio statunitense”, un ambiente controllato in cui sperimentare inizialmente suddetta “terapia d'urto”, e adesso il DOGE non sta facendo altro che replicarla negli Stati Uniti (senza contare che anche pubblicamente non si nasconde questa partnership). Inutile dire che non esiste e non esisterà mai il mondo perfetto, ciononostante si può lavorare per ottenere il massimo dai propri principi. Austriaci e libertari, con Trump alla Casa Bianca e Milei alla Casa Rosada, stanno vincendo, quindi va bene essere “cani da guardia” del potere, criticare i passi falsi, ma non buttare nel cestino tutto il loro operato visto che attualmente si stanno opponendo a uno dei progetti più distopici mai concepiti: il Grande Reset. Altrimenti si potrebbe pensare che Austriaci e libertari, abituati a perdere, c'abbiano preso gusto e siano capaci di fare solo questo: ovvero criticare a tutti i costi perché a loro piace il ruolo dei perdenti. La cricca di Davos e i neocon inglesi sono bestie feroci all'angolo e faranno un caos incredibile pur di sopravvivere alla loro sconfitta. Tempi eccezionali richiedono alleati eccezionali, come la FED, il governo statunitense e il governo argentino, se lavorano nella “giusta” direzione... e con l'importanza data a Bitcoin, Tether e l'oro direi che la direzione è quella giusta. Prima pensiamo a sventare il piano diabolico della cricca di Davos, poi penseremo a come migliorare ulteriormente la società.

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di Michael Munger

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-primo-anno-di-milei-liberta-meno)

C'è qualcosa che sta succedendo e quel qualcosa non è esattamente chiaro.

In tutto il mondo c'è una crescente impazienza verso le ortodossie e la condiscendenza della sinistra progressista. Negli ultimi due anni i partiti di destra hanno superato le aspettative elettorali in Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Ungheria, Polonia e Stati Uniti.

Ma il Paese con più eventi e meno chiarezza è quasi certamente l'Argentina. Poco più di un anno fa Javier Milei è stato eletto presidente in quella che potrebbe essere l'elezione più “improbabile” di sempre. È allettante mettere insieme il successo di Milei con l'inclinazione elettorale generale a destra, ma non è corretto; Milei è diverso. Come ha affermato un podcast prodotto dal The Economist: “Milei è soprattutto un fervente sostenitore dell'economia di libero mercato. Questa è la sua assoluta comprensione guida”.

Questo zelo è sempre stato ai margini dell'ortodossia economica, con i dissidenti accademici etichettati come “econochantas”, un neologismo che combina “economista” con “ciarlatano” o millantatore di frodi. E ha agito in base alle sue convinzioni, non a quelle dell'establishment, in modi insoliti per i funzionari eletti. Quando era membro della Camera dei rappresentanti argentina, annunciò che poiché il suo stipendio mensile era stato sottratto ai contribuenti e quindi “rubato”, lo avrebbe messo a sorte.

Gli obiettivi principali della campagna di Milei e le sue azioni effettive nel suo primo anno in carica includono due cose che nessuno degli altri leader ha mai detto, e tanto meno fatto. La prima è tagliare la spesa; la seconda è ridurre l'ingerenza dello stato nella determinazione dei prezzi.

Prendete in considerazione cosa ha fatto Milei nel suo primo anno:

Riduzione del numero dei dipartimenti del governo da 18 a 8

Sospensione di quei lavori pubblici diversi da quelli assolutamente essenziali

Taglio degli stipendi per i restanti posti di lavoro pubblici

• Mantenimento del tasso di aumento delle pensioni, inferiore al tasso d'inflazione, taglio delle pensioni governative in termini reali

• Surplus di bilancio, mese dopo mese, e ha chiuso il 2024 con un surplus fiscale per la prima volta in più di un decennio

Forte calo dell’inflazione

Aumento delle riserve nazionali di valuta estera, compresi i dollari

Riduzione sostanziale delle normative e dei requisiti per i permessi di viaggio, gli affitti di appartamenti e le nuove costruzioni

Riduzione della spesa pubblica di oltre il 30%

Il simbolo della campagna elettorale di Milei era una “motosierra” (motosega) e la sua minaccia costante ai programmi governativi era “afuera!” ovvero “fuori dai piedi!” Spesso gridava “se viene la motosierra profunda”, annunciando l’arrivo di tagli “profondi” alla spesa.

Il consenso dei media era che i suoi tagli pesanti avrebbero creato una recessione catastrofica, seguita da una tempesta di disordini politici. Ma le cose sono andate così male in Argentina negli ultimi dieci anni che persino alcuni dei suoi detrattori ora ammetterebbero che era necessario un cambiamento.

La popolarità di Milei è rimbalzata dopo alcuni scossoni iniziali. Negli ultimi due mesi è aumentata, mettendo fine all'idea che gli argentini non siano disposti a soffrire a breve termine per una prosperità a lungo termine. Mentre c'è stata una recessione per gran parte del 2024, il quarto trimestre ha visto una crescita e si prevede che l'economia crescerà del 5% o più nel 2025, proprio il tipo di prosperità che era stata promessa. E ci sono buone possibilità di investimenti esteri, come si evince dalla reazione dell'“indice di rischio Paese” di JP Morgan, che è sceso da 2000 (“statene alla larga!”) a 750 (“benvenuti!”).

Ma ci sono altri due aspetti del programma di Milei e del suo successo che non sono stati notati, o almeno che non sono stati commentati molto. Il primo è stato il ripristino dell'ordine e della protezione dei diritti di proprietà da parte della polizia e dell'esercito.

Prima della sua elezione molte parti del Paese, compresi i punti caldi del “narcotraffico” come Rosario, erano enclave senza legge, di violenza delle gang e criminalità di strada. E le città venivano spesso chiuse, per ore o persino giorni, dai “picquetes”, una parola tipicamente argentina per “picchetti”, o file di manifestanti che chiedevano una sorta di prebenda governativa o beneficio speciale. I narcotrafficanti e i picqueteros avevano di fatto distrutto il commercio e i diritti di proprietà in tutto il Paese.

Milei vi ha posto fine. I tassi di criminalità e il numero di omicidi sono diminuiti di oltre il 50%, con i maggiori aumenti nelle aree a cui la precedente amministrazione aveva ampiamente rinunciato. Patricia Bullrich, un'ex-rivale di Milei, è stata nominata alla carica di Direttore del Ministero della Sicurezza. Ha immediatamente annunciato: “Porteremo ordine nel Paese in modo che la gente possa vivere in pace. Le strade non saranno lasciate a loro stesse. Fate sapere loro [ai picqueteros] che se le strade saranno ancora preda delle loro scorribande, ci saranno conseguenze”.

L'altro aspetto del programma di Milei è stato quello di porre fine alla sregolatezza che aveva caratterizzato la politica economica e industriale argentina. Il libro The Road to Serfdom di F. A. Hayek sosteneva che il problema della pianificazione centralizzata e dei controlli sui prezzi, che è ciò che Hayek intendeva con il termine generico “socialismo”, porta a una cascata di regolamentazioni che correggono le distorsioni causate dal precedente ciclo di regolamentazioni che a loro volta correggevano le distorsioni delle linee di politica originali. Cercare di raggiungere obiettivi sociali gestendo i prezzi blocca la funzione informativa di un sistema di mercato che si adatta dinamicamente e porta a gravi inefficienze e carenze.

Milei ha un sostantivo meravigliosamente descrittivo per le sue linee di politica in quest'area: “Sinceramiento los precios relativos”, ovvero “rendere i prezzi precisi (sinceri)”. Definire i prezzi “sinceri” è una mossa geniale, perché dà un volto umano all'azione altrimenti impersonale dei mercati nel segnalare la scarsità. Questa innovazione ha permesso a Milei di affermare (giustamente) che il prezzo delle case e di alcuni alimenti era stato artificialmente basso sotto i governi precedenti e che consentire ai prezzi di trovare il loro livello di mercato avrebbe risolto le carenze croniche di cui le persone avevano sofferto. Sebbene ci siano state obiezioni e tentativi di proteste (sventati dalla repressione dei picqeteros) su questo aumento dell'“inflazione”, Milei è stato in grado di difendere le sue linee di politica come cambiamenti necessari nei prezzi relativi (precios relativos) piuttosto che come una vera e propria inflazione monetaria.

Non sorprende che la promessa di prezzi sinceri abbia stimolato un boom immobiliare, con la costruzione di nuove unità e un gran numero di unità in affitto che erano state bloccate sotto il controllo dei prezzi e che sono tornate sul mercato. La conclusione è che, a un anno dalla sua presidenza, Milei ha superato ogni ragionevole aspettativa, tranne forse la sua. Vale la pena di vederlo in azione e dire la sua frase distintiva, “Viva la libertad, carajo!” Se dovessi tradurla per mia madre, direi che significa “Lunga vita alla libertà, accidenti!” Nessun altro leader mondiale lo dice e Milei lo pensa davvero.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'illusione degli esperti

Ven, 28/02/2025 - 11:00

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lillusione-degli-esperti)

Un'amica ha condiviso con me qualcosa che ha cristallizzato la mia crescente preoccupazione su come ci confrontiamo con l'esperienza e l'intelligenza nella nostra società. Sa che ho affrontato diverse volte questo argomento, vedendo schemi che diventano più chiari giorno dopo giorno. In risposta a un sondaggio che chiedeva “Perché i democratici hanno 5 volte più probabilità di fidarsi dei media generalisti rispetto ai repubblicani”, Zach Weinberg ha dichiarato su X: “Perché sono più intelligenti (i dati lo dimostrano, più siete istruiti più è probabile che voi siate un democratico). Mi dispiace che non sia bello dirlo, ma è la verità. Se questo vi fa arrabbiare, è perché voi stessi siete più stupidi(e) degli altri”.

L'inquadramento partigiano è noioso, solo l'ennesimo esempio di come le strutture di potere mantengano il controllo attraverso la divisione ingegnerizzata. L'aspetto più rivelatore della risposta di Weinberg è la sua equazione istruzione uguale intelligenza, un'equivalenza pericolosa che merita un esame più approfondito.

In quelle poche righe sprezzanti si cela un'istantanea del nostro momento attuale: la fusione di credenziali con saggezza, l'equazione di conformità con intelligenza e l'arroganza di coloro che scambiano la loro capacità di ripetere narrazioni approvate ufficialmente per autentico pensiero critico. Questa mentalità rivela una crisi più profonda nella comprensione della nostra società per quanto riguarda la vera intelligenza e il ruolo della competenza.

Questa mentalità di superiorità basata sulle credenziali ha avuto conseguenze devastanti nel mondo reale durante il COVID-19. La fede cieca delle persone “intelligenti” nell'esperienza istituzionale le ha portate a sostenere linee di politica che hanno causato danni immensi: chiusure di scuole che hanno fatto regredire una generazione di bambini, lockdown che hanno distrutto piccole attività arricchendo le grandi aziende e obblighi di vaccinazione che hanno violato i diritti umani fondamentali, il tutto mentre si respingeva o censurava chiunque mettesse in dubbio queste misure, indipendentemente dalle prove.

Voglio essere chiaro: la vera competenza è essenziale per una società funzionante. Abbiamo bisogno di chirurghi qualificati, scienziati competenti e ingegneri competenti. La vera competenza si dimostra attraverso risultati coerenti, ragionamenti trasparenti e la capacità di spiegare idee complesse in modo chiaro. Il problema non è la competenza in sé, ma piuttosto il modo in cui è stata corrotta, trasformata da uno strumento per la comprensione in un'arma per far rispettare la conformità. Quando la competenza diventa uno scudo contro le domande anziché una base per la scoperta, ha cessato di servire al suo scopo.

Questa distinzione, tra la competenza in sé e la classe degli esperti che afferma di incarnarla, è cruciale. La competenza è uno strumento per comprendere la realtà; la classe degli esperti è una struttura sociale per mantenere l'autorità. Una serve la verità; l'altra serve il potere. Comprendere questa differenza è essenziale per navigare nella nostra crisi attuale.


Il baratro della percezione

Al centro del nostro divario sociale c'è una differenza fondamentale nel modo in cui le persone consumano ed elaborano le informazioni. Nella mia osservazione le cosiddette “persone intelligenti” — in genere professionisti istruiti — sono orgogliose di essere informate tramite fonti mediatiche tradizionali e rispettate come il New York Times, il Washington Post o NPR. Questi individui spesso considerano le fonti di informazione da loro scelte come bastioni di verità e affidabilità, mentre respingono i punti di vista alternativi.

L'affidamento alle narrazioni mainstream ha creato una classe di gatekeeper istituzionali che confondono l'autorità con il rigore intellettuale. Sono diventati partecipanti inconsapevoli in quella che chiamo l'Industria dell'informazione, un vasto ecosistema di media generalisti, fact-checker, riviste accademiche e organismi di regolamentazione che lavorano di concerto per creare e mantenere punti di vista approvati. Questo sistema mantiene la sua presa attraverso messaggi strettamente controllati, fact-checking selettivo e il rifiuto di opinioni dissenzienti. Abbiamo visto questo sistema in azione quando i media generalisti hanno dichiarato simultaneamente alcuni trattamenti COVID “smentiti” senza impegnarsi ad analizzare gli studi sottostanti, o quando i fact-checker hanno etichettato affermazioni dimostrabilmente vere come “mancanti di contesto” perché esse sfidavano le posizioni ufficiali. Tale Industria non controlla solo quali informazioni vediamo, ma plasma il modo in cui le elaboriamo, creando un ciclo chiuso di autorità auto-rafforzante.


La classe degli esperti e l’illusione dell’indipendenza

La classe di esperti (dottori, accademici, tecnocrati) spesso non riesce a riconoscere i propri punti ciechi. Lo abbiamo visto quando i funzionari della sanità pubblica con più lauree al proprio attivo hanno insistito sul fatto che le mascherine prevenivano la trasmissione del COVID, senza prove, mentre infermieri e terapisti che lavoravano direttamente con i pazienti mettevano in dubbio l'efficacia di quella linea di politica. Lo abbiamo visto di nuovo quando gli “esperti” dell'istruzione hanno promosso l'apprendimento a distanza mentre molti insegnanti e genitori ne hanno immediatamente riconosciuto l'impatto devastante sui bambini.

La profondità di questa corruzione è sconcertante e sistemica. La campagna dell'industria del tabacco per mettere in dubbio il legame tra fumo e cancro ai polmoni dimostra come i conflitti d'interesse possano distorcere la comprensione pubblica. Per decenni le aziende del tabacco hanno finanziato ricerche parziali e pagato scienziati per contestare le crescenti prove dei danni del fumo, ritardando misure essenziali per la salute pubblica. Nel regno farmaceutico la gestione del Vioxx da parte di Merck illustra tattiche simili: l'azienda ha soppresso i dati che collegavano il Vioxx agli attacchi di cuore e ha scritto articoli fantasma per minimizzare i problemi di sicurezza, consentendo a un farmaco pericoloso di rimanere sul mercato per anni. L'industria dello zucchero ha seguito l'esempio, finanziando i ricercatori di Harvard negli anni '60 per spostare la colpa delle malattie cardiache dallo zucchero ai grassi saturi, plasmando la linea di politica nutrizionale per decenni.

Uno studio JAMA del 2024 ha rivelato che i revisori paritari delle principali riviste mediche hanno ricevuto milioni in pagamenti dalle aziende farmaceutiche, spesso esaminando prodotti realizzati dalle stesse aziende che li pagavano. Analogamente una revisione sistematica del 2013 su PLOS Medicine ha scoperto che gli studi finanziati dall'industria dello zucchero avevano cinque volte più probabilità di non trovare alcun collegamento tra bevande zuccherate e obesità rispetto a quelli senza legami con l'industria. Studi recenti mostrano che la ricerca finanziata dall'industria alimentare ha da quattro a otto volte più probabilità di produrre risultati favorevoli agli sponsor, distorcendo le linee guida dietetiche.

Questo schema si estende ben oltre la medicina. Un'indagine del 2023 ha rivelato che importanti think tank che sostenevano una politica estera aggressiva hanno ricevuto milioni da appaltatori della difesa, mentre i loro “esperti indipendenti” sono apparsi sui media senza rivelare questi legami. Le principali pubblicazioni finanziarie pubblicano regolarmente analisi azionarie di esperti che ricoprono posizioni non dichiarate nelle aziende di cui parlano. Persino istituzioni accademiche sono state sorprese a consentire a governi e aziende straniere di influenzare le priorità della ricerca e sopprimerne i risultati sfavorevoli, il tutto mantenendo la facciata dell'indipendenza accademica.

La cosa più inquietante è come questa corruzione abbia catturato proprio le istituzioni che dovrebbero proteggere gli interessi pubblici: sia la FDA che il CDC ricevono la maggior parte dei loro finanziamenti dalle stesse aziende farmaceutiche che regolano, mentre i media riportano notizie di guerre finanziate dalle stesse aziende che producono armi. Un amico dirigente farmaceutico ha di recente dichiarato senza mezzi termini: “Perché non dovremmo controllare l'istruzione di coloro che prescriveranno i nostri prodotti?” Ciò che è stato più rivelatore non è stata solo la dichiarazione in sé, ma il suo modo di esprimersi, come se controllare l'istruzione medica fosse la cosa più naturale del mondo. La corruzione è così normalizzata che non si riesce più nemmeno a vederla.

Questa corruzione sistemica non è nascosta in oscuri retroscena: si manifesta quotidianamente in bella vista sui nostri schermi televisivi, anche se la maggior parte è diventata insensibile tanto da non notarla più.

Le pubblicità farmaceutiche si fondono perfettamente con il contenuto delle notizie stesse: lo stesso tono autorevole, la stessa enfasi su competenza e fiducia, spesso persino gli stessi conduttori. Non è una coincidenza. L'industria farmaceutica spende quasi il doppio in pubblicità rispetto a ricerca/sviluppo, e la maggior parte finisce in queste reti di notizie. Il risultato è un sistema in cui la distinzione tra giornalismo e marketing ha cessato di esistere, eppure lo spettatore istruito, addestrato a fidarsi di queste fonti “autorevoli”, è raro che metta in discussione questa disposizione.

Questi esempi sfiorano appena la superficie: sono scorci di un sistema profondamente radicato che plasma la salute pubblica, la politica e l'integrità scientifica. Nel frattempo il commento di Zach inquadra ogni dissenso come “stupido”, suggerendo che coloro che mettono in discussione tali sistemi sono meno intelligenti. Ma questi esempi dimostrano che mettere in discussione non è un segno di ignoranza: è una necessità per riconoscere i conflitti che la classe degli esperti spesso trascura.

La cosa significativa è che molti di questi stessi professionisti, comprese persone che considero amiche, non riescono nemmeno a prendere in considerazione la possibilità che il sistema possa essere corrotto. Riconoscerlo li costringerebbe ad affrontare domande scomode sul loro stesso successo all'interno di tal sistema. Se le istituzioni che hanno concesso il loro status sono compromesse, cosa dice questo sui loro stessi successi? Non si tratta solo di proteggere lo status sociale, ma di preservare la propria visione del mondo e il senso di sé. Più qualcuno ha investito in credenziali istituzionali, più sarebbe devastante, a livello psicologico, riconoscere la corruzione del sistema. Questa barriera psicologica, la necessità di credere nel sistema che li ha elevati, impedisce a molte persone intelligenti di vedere ciò che è proprio di fronte a loro.


La visione da entrambe le parti: un caso di studio personale

Questi modelli sistemici di corruzione non sono solo teorici: si sono verificati in tempo reale durante la crisi COVID, rivelando il costo umano del fallimento della classe degli esperti. La mia posizione all'intersezione di diversi mondi sociali mi ha dato un punto di vista unico sul divario di competenze nella nostra società. Come molti newyorkesi, mi muovo tra vari mondi: la mia cerchia sociale spazia dai pompieri e dagli operai edili ai medici e ai dirigenti. Questa prospettiva interclassista ha rivelato un modello che è in contrasto con la saggezza convenzionale su competenza e intelligenza.

Ciò che ho osservato è stato sorprendente: coloro che hanno le credenziali più prestigiose sono spesso i meno capaci di mettere in discussione le narrazioni istituzionali. Durante la crisi COVID, questa divisione è diventata dolorosamente chiara, sia a livello professionale che personale. Mentre i miei amici altamente istruiti accettavano senza riserve modelli che prevedevano milioni di morti e sostenevano misure sempre più draconiane, i miei amici operai vedevano l'impatto immediato nel mondo reale: piccole attività in declino, salute mentale in deterioramento e comunità che si sfilacciavano. Il loro scetticismo non era radicato nella politica, ma nella realtà pratica: erano loro a installare barriere di plexiglass nei negozi che non facevano nulla, a guardare i loro figli soffrire per la didattica a distanza e a vedere i loro vicini anziani morire da soli a causa delle restrizioni alle visite.

Il costo di mettere in discussione queste misure era elevato e personale. Nella mia comunità di New York City, il semplice fatto di parlare contro gli obblighi di vaccinazione mi ha trasformato da un vicino fidato in un paria da un giorno all'altro. La risposta è stata rivelatrice: anziché confrontarsi con i dati che ho presentato sui tassi di trasmissione o discutere l'etica della coercizione medica, i miei amici “istruiti” si sono ritirati in una posizione di superiorità morale. Persone che conoscevano il mio carattere da anni, che mi avevano visto come una persona premurosa e affidabile, mi hanno voltato le spalle per aver messo in discussione quella che equivaleva a una segregazione biomedica arbitraria. Il loro comportamento ha rivelato una verità cruciale: la virtù fasulla era diventata più importante della virtù effettiva. Questi stessi individui, che mostravano cartelli Black Lives Matter e bandiere arcobaleno, che si vantavano della loro “inclusione”, non hanno mostrato alcuna esitazione nell'escludere i loro vicini in base allo stato di salute. E non perché questi vicini rappresentassero un rischio per la salute: i vaccini non impedivano la trasmissione, un fatto che era già chiaro dai dati della sperimentazione della stessa Pfizer (e che poteva essere visto da chiunque avesse occhi per guardare). Sostenevano l'esclusione delle persone sane dalla società basandosi puramente sull'obbedienza ai diktat dall'alto. L'ironia era lampante: la loro celebrata inclusività si estendeva solo a cause alla moda e gruppi di vittime approvati. Quando si trovavano di fronte a una minoranza fuori moda, quella che metteva in discussione gli obblighi sanitari, i loro principi di inclusione svanivano all'istante.

Questa esperienza ha rivelato qualcosa di cruciale sulla nostra classe degli esperti: il loro impegno a “seguire la scienza” spesso maschera un impegno più profondo verso il conformismo sociale. Quando ho provato a coinvolgerli con ricerche sottoposte a revisione paritaria, o anche con domande di base sui protocolli di test sui vaccini, ho scoperto che non erano interessati al dialogo scientifico. La loro certezza non derivava da un'analisi attenta, ma da una fede quasi religiosa nell'autorità istituzionale.

Questo contrasto è diventato ancora più evidente nelle mie interazioni tra classi sociali diverse. Coloro che lavorano con le mani, che affrontano ogni giorno sfide del mondo reale anziché astrazioni teoriche, hanno dimostrato una sorta di saggezza pratica che nessuna credenziale può conferire. La loro esperienza quotidiana con la realtà fisica e i sistemi complessi fornisce loro intuizioni che nessun modello accademico potrebbe catturare. Quando un meccanico ripara un motore, non c'è spazio per la manipolazione narrativa: o funziona o non funziona. Questo ciclo di feedback diretto crea un'immunità naturale al gaslighting istituzionale. Nessun articolo sottoposto a revisione paritaria o consenso di esperti può far funzionare un motore rotto. Lo stesso controllo della realtà esiste in tutto il lavoro pratico: un contadino non può discutere su un raccolto fallito, un costruttore non può teorizzare su una casa per farla stare in piedi, un idraulico non può citare studi per fermare una perdita. Questa responsabilità basata sulla realtà è in netto contrasto con il mondo dell'esperienza istituzionale, dove le previsioni fallite possono essere nascoste nel buco della memoria e le linee di politica infruttuose possono essere riformulate come successi parziali.

La divisione di classe trascende i confini politici tradizionali. Quando la campagna di Bernie Sanders è stata bloccata dalla macchina democratica e quando Donald Trump ha ottenuto un sostegno inaspettato, la classe degli esperti ha liquidato entrambi i movimenti come mero “populismo”. Hanno perso l'intuizione chiave: i lavoratori di tutto lo spettro politico hanno riconosciuto di come il sistema fosse truccato contro di loro. Queste non erano solo divisioni partigiane, ma linee di faglia tra coloro che traggono vantaggio dalle nostre strutture istituzionali e coloro che vedono attraverso la loro corruzione.


Il fallimento della classe degli esperti

Il fallimento della classe degli esperti è diventato sempre più evidente negli ultimi decenni. Le false affermazioni sulle armi di distruzione di massa in Iraq hanno rappresentato un campanello d'allarme precoce per molte persone. Poi è arrivata la crisi finanziaria del 2008 che gli esperti economici non hanno visto arrivare o hanno deliberatamente ignorato chiari segnali di avvertimento di un disastro imminente. Ogni fallimento è diventato più grande del precedente, con sempre meno responsabilità e sempre più fiducia negli esperti.

Negli anni successivi esperti e stampa generalista hanno trascorso anni a promuovere teorie del complotto sul “Russiagate”, con giornalisti che hanno vinto premi Pulitzer per aver riportato notizie completamente inventate. Hanno liquidato il portatile di Hunter Biden come “disinformazione russa” appena prima di un'elezione, con decine di funzionari dell'intelligence che hanno prestato le loro credenziali per sopprimere una storia vera. Durante il COVID-19 hanno deriso l'ivermectina definendola semplicemente un “vermifugo per cavalli”, nonostante le sue applicazioni per gli esseri umani. Hanno insistito sul fatto che le mascherine prevenivano la trasmissione nonostante la mancanza di prove concrete. Il New York Times non ha semplicemente liquidato la teoria della fuga del virus dal laboratorio cinese come errata: il suo principale reporter sul COVID, Apoorva Mandavilli, l'ha etichettata come “razzista”, esprimendo disprezzo per chiunque osasse mettere in discussione la narrazione ufficiale. Quando la teoria ha poi acquisito credibilità, non ci sono state scuse, nessuna auto-riflessione e nessun riconoscimento del loro ruolo nella soppressione di un'indagine legittima.

Questo rifiuto del dissenso ha una storia più oscura di quanto la maggior parte delle persone creda. Il termine stesso “teorico del complotto” è stato reso popolare dalla CIA dopo l'assassinio di JFK per screditare chiunque mettesse in dubbio la relazione Warren, un documento che, sessant'anni dopo, persino il pensiero critico più elementare rivela essere profondamente imperfetto. Oggi il termine ha lo stesso scopo: un cliché che mette fine alla critica per minare le valide preoccupazioni su potere e corruzione. Etichettare qualcosa come teoria del complotto riduce un'analisi sistemica complessa a una fantasia paranoica, rendendo più facile respingere verità scomode. Le persone al potere non cospirano? I cittadini non hanno il diritto di teorizzare su cosa potrebbe accadere per proteggere i loro diritti naturali?


Il punto cieco dell'esperienza: comprendere la corruzione

Un aspetto comunemente trascurato della competenza è la capacità di riconoscere e comprendere la corruzione. Molti individui possono essere esperti nei rispettivi campi, ma questa competenza spesso si accompagna a un punto cieco significativo: una fiducia ingenua nelle istituzioni e un'incapacità di comprendere la natura pervasiva della corruzione istituzionale.

Il problema sta nella specializzazione stessa. Abbiamo creato una classe di esperti che vedono a un miglio di distanza nel loro campo, ma non riescono a cogliere il quadro generale o come i fatti si incastrano tra loro. Sono come specialisti che esaminano singoli alberi ma non vedono la malattia che colpisce l'intera foresta. Certo, siete medici che hanno frequentato la facoltà di medicina, ma avete pensato a chi ha pagato per quell'istruzione? Chi ha plasmato il vostro curriculum? Chi finanzia le riviste che leggete?


Verso il vero pensiero critico

Per liberarci da questo sistema, dobbiamo spostarci verso una società “mostrare le prove e non raccontarle”. Questo approccio sta già emergendo in spazi alternativi: giornalisti, scienziati e accademici di organizzazioni come il Brownstone Institute, il Children's Health Defense e il DailyClout lo esemplificano pubblicando dati grezzi, mostrando le loro fonti e la loro metodologia, e interagendo apertamente con i critici. Quando queste organizzazioni fanno previsioni o sfidano le narrazioni tradizionali, mettono a rischio la loro credibilità e costruiscono fiducia attraverso l'accuratezza piuttosto che l'autorità. A differenza delle istituzioni tradizionali che si aspettano che la loro autorità venga accettata senza dubbi, queste fonti invitano i lettori a esaminare direttamente le loro prove. Pubblicano i loro metodi di ricerca, condividono i loro set di dati e si impegnano in un dibattito aperto, esattamente come dovrebbe essere il discorso scientifico.

Questa trasparenza consente qualcosa di raro nel nostro panorama attuale: la capacità di tracciare le previsioni rispetto ai risultati. Mentre gli esperti tradizionali possono sbagliarsi sistematicamente senza conseguenze, le voci alternative devono guadagnarsi la fiducia attraverso l'accuratezza. Ciò crea un processo di selezione naturale per informazioni affidabili, basato sui risultati piuttosto che sulle credenziali.

La vera competenza non consiste nel non sbagliare mai, ma nell'avere l'integrità di ammettere gli errori e il coraggio di cambiare rotta quando le prove lo richiedono. Ciò significa:

• Rifiutare le credenziali fini a sé stesse

• Dare valore alla conoscenza dimostrata rispetto all'affiliazione istituzionale

• Incoraggiare il dibattito aperto e il libero scambio di idee

• Riconoscere che la competenza in un settore non garantisce un'autorità universale

• Comprendere che la vera saggezza spesso proviene da fonti diverse, comprese quelle prive di credenziali formali


Ridefinire l'intelligenza e la competenza

Mentre andiamo avanti, dobbiamo ridefinire cosa consideriamo intelligenza e competenza. La vera capacità intellettuale non si misura con lauree o titoli, ma con la capacità di pensare in modo critico, adattarsi a nuove informazioni e sfidare le norme stabilite quando necessario. La vera competenza non consiste nell'essere infallibili; consiste nell'avere l'integrità di ammettere gli errori e il coraggio di cambiare rotta quando le prove lo richiedono.

Per creare una società più resiliente, dobbiamo dare valore sia alla conoscenza formale che alla saggezza pratica. Le credenziali fini a sé stesse devono essere rifiutate e la conoscenza dimostrata dovrebbe essere prioritaria rispetto all'affiliazione istituzionale. Ciò significa incoraggiare un dibattito aperto e un libero scambio di idee, soprattutto con voci diverse che sfidano le prospettive dominanti. Richiede di riconoscere che la competenza in un'area non garantisce un'autorità universale e di comprendere che la vera saggezza spesso emerge da fonti inaspettate e diverse, comprese quelle senza credenziali formali.

Il percorso da seguire richiede di mettere in discussione le nostre istituzioni mentre ne costruiamo di migliori e di creare spazio per un dialogo autentico attraverso le divisioni artificiali di classe e credenziali. Solo allora potremo sperare di affrontare le sfide complesse che ci attendono, con la saggezza collettiva e la creatività di cui abbiamo bisogno.

Il paradigma del pensiero esternalizzato sta crollando. Mentre il fallimento istituzionale prosegue senza sosta, non possiamo più permetterci di delegare il nostro pensiero critico a esperti autoproclamati o fidarci incondizionatamente di fonti approvate. Dobbiamo sviluppare le competenze per valutare le prove e mettere in discussione le narrazioni in aree che possiamo studiare direttamente. Ma non possiamo essere esperti in tutto: la chiave è imparare a identificare voci affidabili in base al loro curriculum di previsioni accurate e onesto riconoscimento degli errori. Questo discernimento deriva dall'uscire dall'Industria dell'informazione, dove i risultati del mondo reale contano più dell'approvazione istituzionale.

La nostra sfida non è semplicemente quella di rifiutare competenze imperfette, ma di coltivare una saggezza autentica, una saggezza che emerge dall'esperienza del mondo reale, da uno studio rigoroso e da un'apertura a prospettive diverse. Il futuro dipende da coloro che riescono a navigare oltre i limiti del pensiero istituzionale, unendo discernimento, umiltà e coraggio. Solo attraverso tale equilibrio possiamo liberarci dai confini dell'Industria dell'informazione e affrontare le complesse sfide del nostro mondo con chiarezza e resilienza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Bitcoin: la protezione definitiva contro la bolla della liquidità da $97.000 miliardi

Gio, 27/02/2025 - 11:10

In nessun universo in cui vige la sanità mentale il decennale italiano rende 100 bps in meno rispetto alla controparte statunitense. Questo non è più un mercato, ma un coacervo di manipolazioni (fondi assicurativi, banche commerciali, BCE aiutata dalla YCC della Yellen). Un mercato artificiale tenuto in piedi solo per mettere in tetto ai rendimenti sul back-end della curva dei rendimenti. Viviamo da talmente tanto in questo assetto da pensare che sia normale, ma alla fine il socialismo finisce sempre i soldi degli altri. La BNS è tornata a 50 bps sui suoi tassi, mentre la Lagarde non sarà così "fortunata" dato che i prezzi dell'energia sono fuori controllo in Europa e la chimera del 2% d'inflazione non reggerà a lungo per continuare a sorreggere la narrativa di ulteriori tagli dei tassi. Il tetto artificiale ai rendimenti obbligazionari italiani non resisterà ancora a lungo, così come non resisterà per quelli di altri Paesi della zona Euro. Per quanto i problemi economici degli USA siano seri, quelli europei lo sono di più. Inoltre il sistema bancario americano e la FED stessa stanno capitalizzando Bitcoin come un modo per tenere liquido il mercato dei pronti contro termine americano. Tether è una fonte di domanda marginale per le obbligazioni statunitensi. Per quanto lo si possa criticare, il sistema finanziario americano è più profondo, dinamico e liquido di tutti gli altri. Per quanto la BCE possa bluffare, non riuscirà a sacrificare ancora per molto l'euro a favore dei rendimenti obbligazionari. Questo significa che i rendimenti obbligazionari sul back-end della curva dei rendimenti torneranno a salire. Ma mentre lo faranno anche quelli americani, le controparti europee saliranno più velocemente.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-la-protezione-definitiva)

Nell'intricata danza della finanza globale, pochi parametri sono rivelatori come l'offerta di denaro M2, una misura della liquidità globale.

Questa cifra, che attualmente si attesta a circa $97.000 miliardi e continua a crescere, riassume l'enorme flusso di denaro contante, depositi e quasi denaro in circolazione nell'economia globale.

Global M2 money supply is at $97T and increasing. ????

One of the most important charts to watch for the remainder of this cycle ???? ???? ???? pic.twitter.com/ugInOcjdIQ

— Bitcoin Magazine Pro (@BitcoinMagPro) January 29, 2025

Per gli investitori in Bitcoin questa metrica è molto più di una curiosità accademica: è una bussola che orienta il sentiment del mercato e l'andamento dei prezzi.


COS'È LA LIQUIDITÀ GLOBALE?

La liquidità globale, spesso equiparata alla massa monetaria M2, rappresenta il volume totale di valuta e quasi-valuta disponibile nel sistema finanziario.

Ciò include denaro contante, conti correnti e depositi di risparmio, conti del mercato monetario, fondi comuni di investimento e depositi a breve termine inferiori a $100.000. È importante notare che M2 riflette non solo la ricchezza statica, ma anche il potenziale dinamico per la spesa e gli investimenti.


QUELLE BANCHE CENTRALI CHE ALIMENTANO LA LIQUIDITÀ

La liquidità globale non è monolitica. È il risultato aggregato delle politiche monetarie delle banche centrali più influenti del mondo:

Stati Uniti: Federal Reserve

Cina: Banca popolare cinese

UE: Banca centrale europea

Regno Unito: Banca d'Inghilterra

Giappone: Banca del Giappone

Canada: Banca del Canada

Russia: Banca di Russia

Australia: Banca di riserva dell'Australia

Quando queste banche centrali abbassano i tassi d'interesse, o implementano misure di quantitative easing (QE), come l'acquisto di titoli di stato, iniettano nuova liquidità nel sistema finanziario globale. Con l'espansione della liquidità, si apre la porta a una maggiore spesa e a maggiori investimenti in asset rischiosi, tra cui Bitcoin.

 

PERCHÈ GLI INVESTITORI DOVREBBERO INTERESSARSENE

Per gli investitori, monitorare la liquidità globale è simile alle previsioni del tempo per i mercati finanziari. Storicamente i mercati rialzisti di Bitcoin hanno coinciso con periodi di rapida espansione della liquidità globale. La logica è semplice: quando le banche centrali inondano il sistema di denaro, gli investitori sono incoraggiati a cercare opportunità a più alto rendimento in asset rifugio come Bitcoin.

L'attrattiva di Bitcoin come asset non correlato e deflazionistico lo colloca in una posizione unica in questo contesto. A differenza delle valute fiat, che le banche centrali possono creare in quantità illimitate, Bitcoin opera su un programma monetario limitato a 21 milioni di unità. Questa scarsità è in netto contrasto con l'espansione apparentemente illimitata di M2, rafforzando la narrazione di Bitcoin come “oro digitale”.


IL TRAGUARDO DEI $97.000 MILIARDI: UN INVITO ALL'AZIONE

L'offerta globale di M2 pari a $97.000 miliardi evidenzia l'incessante espansione della liquidità fiat.

Sebbene questa possa sembrare una cifra astratta, le sue implicazioni sono molto tangibili per gli investitori in Bitcoin. Ecco perché:

  1. Momentum dei prezzi guidato dalla liquidità: l'aumento della liquidità si è storicamente allineato alle fasi di crescita più esplosive di Bitcoin. Gli investitori che monitorano queste tendenze ottengono un vantaggio cruciale nel tempismo dei loro ingressi sul mercato.

  2. Copertura contro l'inflazione: man mano che le banche centrali espandono la liquidità per gestire le crisi economiche, il potere d'acquisto delle valute fiat si erode. L'offerta fissa di Bitcoin funge da copertura contro questa svalutazione.

  3. Adozione istituzionale: poiché gli investitori retail e istituzionali integrano sempre più Bitcoin nei portafogli, il monitoraggio della liquidità globale diventa essenziale per allineare le strategie alle condizioni macroeconomiche.


UNO SGUARDO AL FUTURO: L'OPPORTUNITÀ DI BITCOIN

La relazione di Bitcoin con la liquidità globale non è solo una tendenza; è una testimonianza della sua maturazione come asset finanziario. Per coloro che vedono Bitcoin come un'alternativa ai sistemi finanziari tradizionali, l'attuale liquidità a $97.000 miliardi presenta una spinta all'azione.

Mentre le banche centrali continuano a confrontarsi con le incertezze economiche, Bitcoin rimane un faro per gli investitori che cercano trasparenza, prevedibilità e sicurezza in un mondo imprevedibile. La crescente ondata di liquidità globale non è solo una narrazione; è un invito a rivalutare il ruolo di Bitcoin nella vostra strategia di investimento.

Ora è il momento di sfruttare il potere dei dati e della lungimiranza: monitorate la liquidità, osservate Bitcoin, investite strategicamente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Stabilire la tregua in Ucraina, poi lasciare al proprio destino l'Europa

Mer, 26/02/2025 - 11:00

La stampa sta scoprendo solo adesso che USA ed UE sono in guerra, voi, cari lettori, lo sapete già da un bel pezzo grazie alla lettura del mio libro, “Il Grande Default”. Gli strepitii che sentite riguardo le spese militari sono tutti causati dalla consapevolezza che non esiste più un mercato dell'eurodollaro a cui Bruxelles e Londra, in particolar modo, potevano attingere e fare promesse esorbitanti in patria. Ora tutte quelle promesse del passato sono costose da mantenere, pensate ad esempio ai welfare state ipertrofici. L'UE, e più nello specifico la cricca di Davos, è continuamente messa di fronte alla propria impossibilità di uscire fuori indenne dal caos economico che essa stessa ha causato. In Ucraina si pensava di poter usare le regioni ricche di minerali per collateralizzare i titoli finanziari ucraini, che già adesso circolano nei mercati pronti contro termine europei, e coprire la successiva narrativa della ricostruzione. Sono andate ormai e gli attori finanziari europei devono fare i conti anche con questa bomba a orologeria finanziaria (in particolare gli istituti finanziari francesi, ecco perché Macron fa la voce più grossa oggi affinché Zelensky sia incluso nei "trattati di pace"). Questo a sua volta significa nuove tasse, più indebitamento pubblico con conseguente spiazzamento degli investimenti privati e stampa di denaro da parte della BCE per mettere pezze in ogni dove svalutando ulteriormente il potere d'acquisto dell'euro. Se gli USA, e in particolar modo Powell, non avessero trincerato il mercato dei capitali interno e sganciatolo dalla scalata ostile tramite l'eurodollaro, a quest'ora avremmo assistito alla vittoria di una prospettiva futura decisamente tetra e dispotica. Niente più della bancarotta della cricca di Davos dovrebbe innescare ottimismo, e con esso incoraggiamento per il processo di pulizia (economico e sociologico) statunitense.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/stabilire-la-tregua-in-ucraina-poi)

Esattamente 177 giorni dopo aver prestato giuramento, il più grande presidente pacifista degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, annunciò che l'opera di demolizione nella penisola coreana sarebbe stata interrotta e che da quel momento in poi sarebbe stato stipulato un armistizio, armistizio che è in vigore ancora oggi.

Sfortunatamente la tregua di Ike non si è mai tradotta in un trattato di pace permanente, o nella normalizzazione delle relazioni tra le due Coree, o tra gli Stati Uniti e la Cina comunista.

Inoltre non c'è alcun mistero sul perché: Washington ha mentito sul fatto che stesse combattendo una guerra nobile contro la diffusione del comunismo mondiale, quindi ciò che è diventato l'Impero domiciliato sulle rive del Potomac non era sul punto di riconoscere un governo comunista al nord o di abbandonare il suo governo fantoccio al sud.

E intendiamo per davvero un governo fantoccio. Poco dopo che la penisola fu arbitrariamente divisa in due da Roosevelt, Churchill e Stalin alla conferenza di Yalta nel gennaio 1945, l'esercito statunitense insediò Syngman Rhee come presidente nell'area a sud del 38° parallelo. Tuttavia quel particolare patriota coreano stava vivendo una vita comoda come espatriato negli Stati Uniti a quel tempo, e lo aveva fatto sin dal 1904, quando era arrivato per la prima volta negli Stati Uniti per studiare a Princeton. Di conseguenza non c'era la minima possibilità che sarebbe stato scelto dal popolo coreano per gestire quella che sarebbe diventata una tirannia brutale sostenuta da Washington.

Nonostante le sue migliori intenzioni, Eisenhower fu circondato dai deplorevoli fratelli Dulles alla CIA e al Dipartimento di Stato e in particolar modo dalla cosiddetta China Lobby promossa da Henry Luce di Time-Life. Quest'ultima attirò un rumoroso gruppo di combattenti rossi a Washington, tra cui il vicepresidente Richard Nixon, il senatore William Knowland, il senatore Joe McCarthy e il deputato Walter Judd, tra molti altri, e non erano intenzionati a tollerare la normalizzazione delle relazioni con il vincitore della guerra civile cinese: Mao Tse-tung.

Così la linea di contatto militare fu congelata nel tempo e gli Stati Uniti iniziarono ad armare pesantemente la Corea del Sud e a sostenere la sua indipendenza dal regime comunista a nord e dalla Cina comunista sul fianco.

Eppure, a posteriori, a cosa è servita la morte di quasi 45.000 militari americani e di altri 35.000 feriti, alcuni dei quali ancora oggi ricevono assistenza medica e sussidi di invalidità? In che modo è stata utile alla sicurezza interna? Per non parlare del milione di combattenti coreani uccisi da entrambe le parti in guerra e dei 2-3 milioni di civili le cui vite sono state anch'esse stroncate.

Inutile dire che né la Cina né la Corea rappresentavano una minaccia militare per gli Stati Uniti all'epoca. E non lo era nemmeno la Russia stalinista, che, in ogni caso, aveva messo in guardia la Corea del Nord dal superare il 38° parallelo.

Tuttavia Washington intraprese un percorso dopo il 1953, fondando una nazione artificiale permanente a sud della zona demilitarizzata, e poi l'ha armata fino ai denti e l'ha portata sotto l'ombrello militare degli Stati Uniti. Il valore di quelle spese negli ultimi sette decenni ammonta a $500 miliardi attuali, il che significa che il complesso militare-industriale degli Stati Uniti per 75 anni ha venduto armi a un governo che altrimenti non sarebbe esistito o ha armato più di 100.000 soldati statunitensi di stanza a volte in Corea e Giappone che altrimenti non sarebbero mai stati radunati.

Poiché è evidente che non c'è stato alcun guadagno per la sicurezza militare nordamericana dalla creazione, dal mantenimento e dalla protezione della Corea del Sud da parte di Washington, la conclusione è inevitabile: Washington ha speso più di cinquecento miliardi di dollari, esattamente per cosa?

Per quanto ne sappiamo tutti quei soldi dei contribuenti sono stati spesi per garantire agli attuali 52 milioni di cittadini della Corea del Sud uno standard di vita leggermente migliore, pari a $33.000 pro capite, rispetto ai cittadini di Shanghai, la cui cifra è di $27.000; e anche un po' più di libertà rispetto ai loro omologhi altrettanto prosperi dall'altra parte del Mar Giallo.

In fin dei conti è questo che ha rappresentato tutto questo sbuffare e ansimare durante la Guerra Fredda: sangue e occasionali rischi di confronto nucleare negli ultimi 75 anni; una probabilità leggermente più alta di essere arrestati per dissenso politico a Shanghai che a Seul.

Né si tratta di un'esagerazione controfattuale. Se Washington fosse stata abbastanza astuta da consentire ai coreani e ai cinesi di risolvere le proprie divergenze nel giugno del 1950, senza dubbio la Corea sarebbe finita per essere un satellite della Cina, il che significa che la penisola avrebbe avuto un inizio tardivo verso la modernizzazione, ma sarebbe uscita a razzo dai blocchi di partenza come parte della macchina per l'esportazione globale di Deng dopo il 1990.

E, no, non stiamo trascurando gli orrori della famiglia criminale Kim Sung II/Kim Jong II/Kim Jong Un che dalla fine degli anni '40 ha tiranneggiato la gente del nord e di recente ha brandito armi nucleari verso l'occidente. Infatti questo è proprio il nostro punto: non crediamo nemmeno per un secondo che l'austera tirannia dei Kim sarebbe durata 70 anni se Ike fosse stato in grado di ottenere un trattato di pace adeguato, lasciando così la Corea ai coreani e ai cinesi, che sicuramente sarebbero giunti a un qualche modus vivendi pratico.

Dopotutto c'è una lunga storia di sovranità cinese sulla penisola che risale allo status della Corea come stato tributario della Cina durante la dinastia Ming (1368-1644) e la dinastia Qing (1644-1912). Pertanto, anche se in assenza delle macchinazioni politiche, monetarie e militari di Washington, la Corea fosse finita come la ventitreesima provincia o la sesta regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese, la sicurezza nazionale e la libertà dei cittadini statunitensi da Miami a Seattle non sarebbero affatto cambiate.

Detto in altri termini, non c'è nulla nella Costituzione degli Stati Uniti che autorizzi Washington a diffondere, sottoscrivere e garantire militarmente la democrazia in tutto il mondo. E come questione di sicurezza militare, l'unica cosa richiesta anche ora, nel 2025, è una deterrenza nucleare che costa circa $75 miliardi all'anno secondo i calcoli del CBO, e una difesa convenzionale delle coste e dello spazio aereo nordamericani, che probabilmente costerebbe qualche centinaio di miliardi in più.

Ma ciò di cui non avrebbe bisogno è una Marina degli Stati Uniti che copre tutto il globo e le attuali forze di spedizione americane, sia aeree che terrestri, per rafforzare alleanze complicate e impegni inutili come quelli con la Corea del Sud.

Tutto questo ci porta alle notizie del giorno, ovvero che l'amministrazione Trump è sulla buona strada per un accordo di pace in Ucraina. Se realizzato nei prossimi 100 giorni, come sperato, potrebbe persino superare il risultato di Ike per quanto riguarda la fine della guerra di Corea ereditata dal presidente Harry Truman.

I piani non confermati riportati dalla stampa indipendente in Ucraina, vale a dire l'USAID, indicano che potrebbe esserci un cessate il fuoco entro il 20 aprile che...

• congeli la costante avanzata della Russia lungo le attuali linee di contatto

• impedisca all'Ucraina di aderire alla NATO

• chieda a Kiev di accettare la sovranità russa sui territori annessi nel Donbass, in Crimea e lungo la costa del Mar Nero

• ordini alle truppe ucraine di lasciare la regione russa di Kursk, dove hanno lanciato una controffensiva lo scorso agosto

• installi un contingente di soldati europei, non americani, per pattugliare una zona demilitarizzata

• chieda all'UE di assistere l'Ucraina nei suoi sforzi di ricostruzione che potrebbero costare fino a $486 miliardi nel prossimo decennio, secondo un think tank tedesco

Riteniamo che Donald e Putin potrebbero raggiungere un accordo in tal senso nel giro di pochi giorni, in qualche oasi dell'Arabia Saudita, mentre Zelensky se ne starà tranquillo in una tenda lì accanto.

Ma se il risultato a lungo termine non è quello di un ennesimo e costoso “alleato” sostenuto in una nazione fittizia e armato fino ai denti dal complesso militare-industriale degli Stati Uniti, Donald deve prestare molta attenzione al fallimento del generale Eisenhower dopo aver stipulato la tregua in Corea. Vale a dire, l'equivalente odierno della lobby cinese è il nido di vipere dei guerrafondai neocon domiciliati tra i think tank, le ONG, le agenzie dello Stato profondo, i media finanziati dallo stato e le ancelle del complesso militare-industriale nel Congresso degli Stati Uniti.

Eserciteranno una pressione insopportabile sulla Casa Bianca per trasformare l'Ucraina nell'ennesimo “alleato” sovvenzionato. Ma Trump non deve dar loro tregua, e deve farlo prendendo spunto dal saggio senatore George Aiken del Vermont, che consigliò a LBJ nel 1966, in merito alla guerra del Vietnam, di “dichiarare vittoria e tornare a casa”.

Vale a dire che, dopo la firma del trattato di pace, l'Ucraina dovrebbe essere lasciata ai suoi stessi mezzi, incluso trovare modi per riconciliarsi col Cremlino. Quindi non dovrebbe esserci nessun governo fantoccio a Kiev, nessun alleato informale, nessun proxy militarizzato, nessuna discarica di armi per il complesso militare-industriale statunitense alle porte della Russia.

Infatti date a Zelensky la sua sinecura e la sua lussuosa fuga in Costa Rica e sarà molto probabile che i suoi successori politici a Kiev troveranno il modo e i mezzi per andare d'accordo con il vicino e ricostruire il loro Paese basandosi sulle proprie risorse e sulla filantropia che si può ottenere dal resto del mondo.

In breve, Washington deve tagliare i ponti e tornare a casa. Inoltre, nonostante i suoi difetti, Donald Trump ha abbastanza credibilità presso il popolo americano per dichiarare che l'abissale fallimento dell'Unipartito nella sua inutile avventura in Ucraina è una “vittoria”, attestata dal fatto che l'Ucraina potrebbe probabilmente conservare il 75% del suo ex-territorio.

Ancora più importante, una “vittoria” in stile Aiken in Ucraina sarebbe anche un'eccellente opportunità per gli Stati Uniti di uscire dalla NATO e di porre fine a tutte le basi e agli impegni remoti di Washington in tutta Europa. Vale a dire, riportare a casa i 65.000 soldati americani ancora in Europa perché non avrebbero mai dovuto esserci in primo luogo, a maggior ragione dopo che il vecchio impero sovietico è scomparso nella pattumiera della storia 34 anni fa.

E per quanto riguarda lo status dell'Europa dopo un trattato di pace con l'Ucraina e il ritiro degli Stati Uniti dalla NATO, dubitiamo che Putin abbia alcun interesse a occupare la Polonia o a sfondare le porte di Brandeburgo a Berlino. I Paesi europei hanno un PIL di oltre $20.000 miliardi, o 10 volte i $2.000 miliardi di quello russo. Se non riescono a provvedere alla propria difesa su questo, anche se ciò significa ridurre un po' i loro Stati sociali, allora qualsiasi cosa possa accadere è colpa loro.

Ike fermò l'orribile massacro in Corea, ma sfortunatamente non pose fine alla guerra. Se Trump vuole davvero passare alla storia come il Presidente della Pace, ora ha un'opportunità per porre fine davvero all'ultima guerra inutile dell'America e diventare il Presidente della Pace che persino il grande generale Eisenhower non è mai stato.

Truppe USA in Europa:

  1. Germania: 35.068
  2. Italia: 12.405
  3. Regno Unito: 9.949
  4. Spagna: 3.212
  5. Turchia: 1.778
  6. Belgio: 1.105
  7. Paesi Bassi: 425
  8. Grecia: 368
  9. Polonia: 216
  10. Romania: 133


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La cricca di Davos cerca di limitare i danni

Mar, 25/02/2025 - 11:02

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Paul Mueller

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-cricca-di-davos-cerca-di-limitare)

Sebbene possiate esservi persi il promemoria, anche quest'anno i leader di tutto il mondo si sono riuniti a Davos, in Svizzera, per la conferenza annuale del World Economic Forum (WEF). Questa conferenza è stata un punto focale per promuovere la politica ESG globalista in tutto il mondo. I temi delle conferenze hanno incluso “Salvaguardare il pianeta” e “Ricostruire la fiducia”. Indipendentemente dal problema, i partecipanti si sono assunti la responsabilità di salvare il mondo da sé stesso.

Ma mentre il WEF e la comunità di Davos affermano di “unire governo, aziende e società civile per migliorare lo stato del mondo”, tendono a concentrarsi sull’esercizio del potere politico per implementare le loro strategie, come il “Grande Reset”. Ma la cricca di Davos è chiaramente sulla difensiva quest’anno nel tentativo di limitare i danni.

La loro agenda sul clima è crollata. Le alleanze globali per le emissioni zero (Glasgow Financial Alliance for Net Zero) inaugurate nel 2021 si sono disintegrate. La Net-Zero Insurance Alliance globale è crollata l'anno scorso. La Net Zero Asset Managers Initiative ha sospeso le sue attività all'inizio di questo mese dopo che il suo membro più grande, Blackrock, si è ritirato. E la Net Zero Banking Alliance ha visto la maggior parte delle principali banche statunitensi ritirarsi nell'ultimo mese, con quattro banche canadesi che hanno seguito l'esempio la scorsa settimana.

Anche il movimento globale per il cambiamento climatico ha sofferto di un destino simile negli ultimi due anni. La COP28 a Dubai è stata controversa a causa dell'attenzione della regione ai combustibili fossili. La speranza era di convincere i maggiori produttori di combustibili fossili a partecipare alla transizione verso l'energia verde. La COP29 in Azerbaigian ha rivelato quanto questo stratagemma sia fallito. Il presidente della conferenza ha rimproverato le élite europee per aver dettato le priorità ad altri Paesi e ha definito i combustibili fossili un dono di Dio. La presenza di migliaia di partecipanti provenienti da aziende e interessi dei combustibili fossili ha ulteriormente smentito la speranza degli attivisti per il clima di ridurne l'uso e la creazione di emissioni di gas serra.

La conferenza di Davos stessa ha subito un duro colpo l'anno scorso nella sua volontà di “ricostruire la fiducia”. Uno scambio infuocato tra il presidente della Heritage Foundation e il presidente argentino Javier Milei ha messo in imbarazzo l'elitarismo e la pianificazione politica di Davos. Questi colloqui erano sintomatici di cambiamenti politici più ampi in tutto il mondo. I partiti di centro-destra e “conservatori” hanno fatto enormi progressi in Francia e Germania. In Canada Justin Trudeau di sinistra si è dimesso a causa di una serie di pressioni legate ai risultati delle elezioni statunitensi. E naturalmente gli Stati Uniti hanno appena inaugurato il presidente Trump per un secondo mandato, con una rinnovata attenzione allo sviluppo nazionale dei combustibili fossili e nessuna propensione per i sogni dell'élite globale di una “transizione verde”.

Le élite di Davos stanno perdendo il dibattito sulle emissioni zero, un'economia circolare e un Grande Reset. Hanno perso molto terreno tra i miliardari della tecnologia e gli imprenditori della Silicon Valley che hanno un appetito insaziabile per l'energia a basso costo per alimentare i loro data center. Allo stesso modo non sono riusciti a riconoscere e fare appello agli interessi geopolitici nazionali. L'Europa ha sopportato il peso della loro “pianificazione” negli ultimi vent'anni e ne ha sofferto.

La crescita delle maggiori economie in Europa ha rallentato fino a strisciare negli ultimi quindici anni. L'economia della Germania era solo del 22,9% più grande rispetto al 2009. L'economia della Francia era solo del 19,9% più grande rispetto al 2009. Anche il Regno Unito ha visto la sua economia crescere solo del 25,6% (Grafico 1). Confrontate tutto questo con gli Stati Uniti, la cui economia è cresciuta del 43,6%. E non si tratta di un'aberrazione. La crescita sin dal 1995 è stata del 42,1% per la Germania, del 55,6% per la Francia e del 71,9% per il Regno Unito. Gli Stati Uniti, dall'altro lato, sono cresciuti del 106,7% sin dal 1995 in termini reali.

Grafico 1

La guerra tra Russia e Ucraina ha scosso l'Europa e ne ha cambiato le priorità. La rivalità tra Stati Uniti e Cina continua a scaldarsi, con una rabbia verso le élite di Davos per quello che è un doppio standard a favore della Cina. La cricca di Davos ha spinto per costosi e dispendiosi sussidi e mandati per le energie rinnovabili in Europa e negli Stati Uniti, mentre la Cina costruisce centrali elettriche a carbone come se non ci fosse un domani. Altri Paesi produttori di petrolio hanno solo finto interesse per una transizione verde. Rimangono attivi come sempre nell'estrarre petrolio dal sottosuolo e venderlo ovunque possono.

Di conseguenza il World Economic Forum e la sua rete di Davos hanno iniziato ad allontanarsi dalle loro impopolari posizioni su clima ed energia per parlare di più di intelligenza artificiale, tecnologia e business. Ma la domanda che dovremmo porci è: “Quale nuovo schema folle cercherà di imporre al mondo l'élite di Davos?”

Qualunque cosa sia, incontrerà un'accoglienza molto meno amichevole rispetto agli anni scorsi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il piano di Trump per colpire duramente gli aiuti esteri (USAID) dello Stato profondo

Lun, 24/02/2025 - 11:07

Lo scandalo USAID continua a mietere vittime illustri... ciononostante in Italia non esiste dibattito pubblico ampio su questo scempio di proporzioni epiche. Un qualcosa che coadiuvava diversi attori tra cui ONG, think thank, politica migratoria e media generalisti, è praticamente poco chiacchierata sui canali d'informazione ufficiali in Italia. Scopriamo anche che era dietro associazioni come il WEF, e dove avete sentito articolare in modo ufficioso la teoria secondo cui la cricca di Davos aveva infiltrati nell'amministrazione americana da cui traeva vantanggio per ottenere finanziamenti gratis? Sì, dal mio ultimo libro intitolato “Il Grande Default”. Questa agenzia governativa, inoltre, si occupava di comprare giornali e giornalisti in tutto il mondo, uno di questi Paesi era l'Ungheria ad esempio. Uno stato sovrano, democratico, in cui vige lo stato di diritto e appartenente al blocco occidentale era praticamente manipolato e sovvertito attraverso un'informazione pilotata ad hoc. Ma vi rendete conto che circa l'80% della stampa ungherese era sotto il dominio propagandistico della USAID? Ecco perché Orban faceva leggi anti-ONG, anti woke, ecc. La domanda successiva è: quanti erano in Italia e chi sono? Ancora non sono usciti fuori i nomi, ma dato l'andamento è inevitabile che ce ne fossero anche in Italia. E vi ricordate quando, 4 anni fa, passavano gli spot dei cosiddetti “professionisti dell'informazione”? Vi ricordate anche il coordinamento delle notizie date? Questa è tutta roba che mette i brividi, eppure in Italia non si scava nemmeno la superficie di questo scandalo. Non solo, ma i tentacoli di questa piovra hanno abbracciato anche le linee di politica riguardanti le immigrazioni, come s'è scoperto in Norvegia ad esempio. Cosa c'entra un'organizzazione di filantropia dello stato americano con il consiglio norvegese per i rifugiati? In Italia, però, non ci si interroga su tali quesiti intriganti e si sorvola a piè pari la portata gigantesca di quanto si sta scoperchiando: una rete d'influenza internazionale, mafiosa e criminale, che ha sostituito la politica nazionale in tutti i Paesi toccati e anche in Europa. Un piano diabolico, tra l'altro, che ha una cabina di regia ben definita ormai: la cricca di Davos.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-piano-di-trump-per-colpire-duramente)

Accidenti!

Elon Musk non solo ha fatto crollare l'intera burocrazia degli aiuti esteri del Deep State, ma i suoi investigatori hanno anche scoperto uno degli artifici più perniciosi della Palude: numerose agenzie federali, tra cui USAID, acquistano un sacco di costosi abbonamenti ai megafoni di Washington, come Politico, che per pura coincidenza inondano le persone con un flusso costante di “notizie” che avallano il copione dell'Unipartito.

E non stiamo parlando di spiccioli. Questi “abbonamenti” alla versione “pro” di varie newsletter di Politico, ad esempio, costano da $3.000 a $24.000 l'uno. Dal momento che due di queste ultime sono state acquistate dall'ufficio per le crisi climatiche della USAID, bisogna chiedersi cosa c'entrasse con l'eventuale nutrimento delle masse affamate del mondo o perché i burocrati della USAID avessero bisogno di pettegolezzi costosi sulla politica climatica quando le loro caselle di posta erano già inondate di propaganda sui cambiamenti climatici da decine di altre agenzie federali, think tank finanziati a livello federale, ONG e attivisti anti-combustibili fossili.

Il conto solo per le varie pubblicazioni di Politico si è accumulato a $8,2 milioni negli ultimi nove anni secondo USASpending.gov. Poiché la maggior parte di quel flusso di cassa era dovuto all'acquisto delle versioni “pro” ad alto prezzo, possiamo solo immaginare le intuizioni “profonde” che devono essere contenute nelle analisi a $5.000 all'anno.

Sì, ho qualcosa contro Politico principalmente perché quasi sempre si schiera dalla parte di più stato, più sciocchezze sulla crisi climatica, più interventismo statale e più guerra. Ma ricordo anche che è stato fondato da due ex-reporter del Washington Post, un fatto che ha innescato un viaggio nella memoria riguardo quella stessa macchina di spesa per gli aiuti esteri che Elon ha ora mandato in frantumi.

Vale a dire, poco dopo l'insediamento nel 1981 stavo ultimando il primo bilancio di Reagan e avevamo tagliato un bel 33% in aiuti esteri in una proposta inviata al Dipartimento di Stato il 27 gennaio. L'inchiostro non si era ancora asciugato sul dettagliato e ben giustificato piano dell'OMB per risparmiare quelli che all'epoca era un sacco di soldi, circa $2,6 miliardi all'anno, quando il nostro bilancio confidenziale trovò la sua strada sulle prime pagine del Washington Post il giorno dopo!

Il tono, ovviamente, era che noi burocrati dell'OMB dovevano farci gli affari nostri. Infatti, quando ci trovammo di fronte alla nostra resa dei conti sulla questione con il Segretario di Stato, ebbe un modo davvero buffo di intavolare la questione. Disse l'ex-generale Al Haig: “Signor Presidente, il suo direttore del bilancio, che conta i fagioli, vuole metterla in imbarazzo davanti al mondo intero, facendole fare un passo indietro e infilando la testa direttamente in un temperamatite!”.

Questo è ciò che disse, apparentemente convinto che spendere al servizio dell'Impero non fosse una questione da lasciare ai principianti, come chiariscono i paragrafi principali dell'articolo del Washington Post.

Fummo travolti da quello che era già allora il consolidato consenso dell'Unipartito secondo cui la sicurezza della patria americana dipendeva dal mantenimento di un impero all'estero. Pertanto enormi quantità di aiuti umanitari, assistenza allo sviluppo e denaro per i governi stranieri alleati nei Paesi in via di sviluppo erano parte integrante di tale requisito.

Di sicuro riuscimmo a strappare a Haig e ai suoi alleati nello Stato profondo una specie di pareggio: in dollari di potere d'acquisto odierni (2024) il budget operativo per gli aiuti esteri e il Dipartimento di Stato era a $33,7 miliardi nel bilancio in uscita di Jimmy Carter per l'anno fiscale 1980; nel 1988, e nonostante tutta la resistenza interna al gabinetto Reagan e quella delle burocrazie statali e degli aiuti alle commissioni di stanziamento a Capitol Hill, il budget per gli aiuti esteri/Dipartimento di Stato era stato ridotto, anche se di un modestissimo 7%, a $31,5 miliardi.

Le stesse voci di bilancio oggi ammontano a $63 miliardi, ovvero più del doppio del livello in uscita di Reagan. E questo vale anche se la motivazione principale di Haig per la grande spesa in aiuti esteri, ovvero la necessità di contrastare le macchinazioni sovietiche nei Paesi in via di sviluppo, è scomparsa nella pattumiera della storia 34 anni fa.

Durante il suo primo mandato Donald aveva ingenuamente riempito il suo apparato di sicurezza nazionale con amanti dell'Impero presso l'NSC, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa e le agenzie di intelligence. Non sorprende che quando lasciò con riluttanza lo Studio Ovale nel gennaio 2021, il budget per gli aiuti statali/esteri aveva raggiunto $61,4 miliardi.

Quindi, spendendo il doppio di quanto il Gipper aveva accettato a malincuore sotto la pressione costante dell'apparato di sicurezza nazionale dello Stato profondo, Donald Trump non si rivelò una minaccia effettiva per quest'ultimo. E questo nonostante gli attacchi incessanti e l'opposizione dello Stato profondo e i suoi molteplici tentativi di defenestrarlo e infine di metterlo sotto accusa.

A questo giro, però, Donald ha sguinzagliato Elon Musk e, qualunque sia la motivazione, ha trovato lo stesso marciume in cui ci imbattemmo noi 44 anni fa: l'intero complesso dei fondi statali e USAID, che fluiscono verso la Banca Mondiale, l'FMI, le varie agenzie delle Nazioni Unite e letteralmente a migliaia di ONG e agenzie di stampa come la Reuters, Associated Press, la BBC, Politico e innumerevoli altre sono la vena madre del campo base dell'Impero sul Potomac.

Tagliate il bilancio degli aiuti esteri e presto l'intero Stato profondo si ritirerà su vasta scala, mentre i burocrati non eletti che lo popolano si renderanno conto all'improvviso che la loro presa apparentemente permanente e ineffabile sul potere verrà tolta loro da sotto i piedi.

Possiamo solo sperare che questa volta Donald si renda conto che se si riesce a fronteggiare i bellimbusti che gestiscono il lato debole dello Stato militare, le elezioni del 2024 potrebbero davvero significare qualcosa, e per la prima volta in più di quattro decenni.

C'è una cosa che Trump potrebbe fare per garantire che il taglio agli aiuti esteri abbia più successo di quello che abbiamo tentato 44 anni fa: potrebbe insistere sul fatto che una politica di sicurezza nazionale America First deve concentrarsi strettamente sulla deterrenza nucleare e una potente difesa convenzionale delle coste e dello spazio aereo nordamericani. Non c'è bisogno di un impero, né di una rete di alleanze che abbracciano il globo e di infinite intromissioni negli affari economici e politici interni di terre lontane che non hanno alcuna attinenza con la sicurezza della patria e la libertà del popolo americano.

In breve, gli aiuti esteri non fanno assolutamente nulla per la sicurezza della patria americana e dovrebbero essere eliminati del tutto. Ciò ridurrebbe la forza lavoro federale di oltre 10.000 burocrati in un colpo solo, e farebbe risparmiare più di $40 miliardi all'anno.

Inoltre c'è un modo semplice per contrastare il piagnisteo della Beltway sul taglio dei finanziamenti ai programmi per combattere la fame, l'HIV/AIDS e malattie come il colera, la malaria e il morbillo nei Paesi in via di sviluppo: proclamare che tutti questi sforzi meritevoli rientrano nel regno della filantropia, non nella politica di sicurezza nazionale o nel giusto mandato del governo.

Di conseguenza si potrebbe annunciare l'istituzione di un Humanitarian Help Fund e chiedere a Bill Gates e al resto dei miliardari liberal di contribuire ciascuno con $1 miliardo. Ciò li farebbe tacere subito, soprattutto se un grande cartellone pubblicitario al neon venisse installato presso l'ex-quartier generale della USAID nel Ronald Reagan Building indicando il livello dei loro contributi fino ad oggi rispetto all'obiettivo di $1 miliardo ciascuno.

Dopo tutto, non c'è scempio più grande della USAID domiciliato nel Ronald Reagan Building. Mentre si tappava il naso sul suddetto bilancio da $30 miliardi, non ha mai rinunciato alla sua opinione personale che gli aiuti esteri sono una gigantesca manna per gli scrocconi e i nullafacenti. E possiamo testimoniare di averlo sentito ripetutamente e senza esitazioni.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo (Parte #2): La creatura di Threadneedle Street

Ven, 21/02/2025 - 11:05

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cio-che-leurodollaro-ha-dato-leurodollaro-f30)

Si è parlato molto della cosiddetta “creatura di Jekyll Island”, come è intitolato l'omonimo libro di Edward Griffin, ma molto poco della sua controparte inglese. Eppure è stata quest'ultima a dare lo spunto per la creazione della prima, senza contare che con il suo grado d'influenza (molto probabilmente) l'ha anche controllata... almeno fino al 2022. Piuttosto che usare il termine “spunto”, sarebbe meglio dire “spinta”. Nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ho permesso ai lettori di svelare il cosiddetto mistero dell'attività bancaria ombra, dando altresì uno sguardo a come le azioni della FED fossero eterodirette oltreoceano. Infatti nella Prima Parte di questo saggio abbiamo sondato la leva economica con cui la cricca di Davos, fino all'entrata in scena dell'SOFR, ha praticamente usato la banca centrale americana come banca di riserva mondiale. Studiando l'evoluzione di queste ultime è facile capire come sia nata la “National Reserve Association”, ovvero il progenitore della Federal Reserve. Paul Warburg, uno dei co-creatori della FED, era stato a lungo un consulente non ufficiale della National Monetary Commission e aveva pubblicato diversi articoli in cui parlava della necessità di un istituto bancario centralizzato. I principali quotidiani avevano pubblicato articoli a sostegno delle sue opinioni, tra cui il Washington Post del marzo 1913 intitolato “Warburg Wants Elastic Currency”.

Pressione sociale attraverso la stampa, in particolar modo quella finanziaria, un metodo mai caduto in disuso visto che ancora oggi è protagonista nel modellare l'opinione pubblica. E su questo lo zampino degli inglesi è sempre stato presente, dato che il loro livello d'infiltrazione nel tessuto americano era pervasivo. Piuttosto che governare come sovrani avrebbero governato come “alleati”. Infatti, a tal proposito, è propedeutico studiare una “creatura” di cui s'è sempre parlato poco, ma che non ottiene le stesse attenzioni della FED. Ormai lo slogan “End the FED” sta diventando mainstream, solo che la sua controparte inglese non è altrettanto colpita da tali esortazioni. Terminare la prima senza terminare la seconda, oppure la BCE, significherebbe (e avrebbe significato) spianare la strada alla cricca di Davos. I motivi di questa affermazione sono giustificati all'interno del mio libro, quindi non mi ripeterò qui. Infatti la risposta degli Stati Uniti sarà una regionalizzazione dei poteri della Federal Reserve, in modo che un qualsiasi attore malevolo in futuro non potrà trovare un honeypot a cui attingere com'è stato in passato. Sforzi, questi, coadiuvati da una narrativa favorevole a Bitcoin, destinato a diventare reserve money (ruolo la cui importanza è stata sottolienata nella Prima Parte di questo saggio).

La Banca d'Inghilterra, fondata nel 1694, è un'istituzione monumentale nella finanza globale. Spesso etichettata come la prima banca centrale del mondo moderno, è nata per necessità: verso la fine del XVII secolo la Gran Bretagna era coinvolta nella costosa Guerra dei 9 anni contro la Francia e il re Guglielmo III era alla disperata ricerca di fondi. La soluzione fu una nuova istituzione finanziaria che avrebbe prestato denaro al governo in cambio di una carta reale (un permesso speciale del re che dava alla Banca il potere di emettere denaro e gestire il debito del governo). Questo concetto, capeggiato dal finanziere scozzese William Paterson e da un gruppo di ricchi mercanti, fu il seme da cui sarebbe cresciuta la Banca d'Inghilterra. A differenza di qualsiasi cosa vista prima, consentiva al governo inglese di prendere in prestito ingenti somme di denaro e abilitava la Banca d'Inghilterra a emettere bancanote coperte dalle sue riserve.

È importante capire che la Banca d'Inghilterra non è stata la prima banca del suo genere: gli olandesi avevano già fondato la Banca di Amsterdam nel 1609. Tuttavia le due istituzioni erano fondamentalmente diverse. La Banca di Amsterdam era principalmente una banca di deposito, progettata per portare ordine nel caotico mondo monetario della Repubblica olandese. Non emetteva prestiti allo stato, né si occupò della gestione del debito sovrano come avrebbe fatto la Banca d'Inghilterra. Invece la Banca di Amsterdam era essenzialmente una stanza di compensazione per il commercio internazionale, offrendo ai mercanti un modo affidabile e stabile per conservare il loro denaro e regolare i conti. Il suo ruolo era la stabilizzazione dell'economia olandese e la sua influenza nel mondo della finanza pubblica fu limitata. La Banca d'Inghilterra, al contrario, nacque dall'esigenza di finanziare lo stato e fu progettata fino dal principio per essere un prestatore di ultima istanza. Inizialmente il suo ruolo era modesto, principalmente prestiti al governo inglese, ma con la crescita del potere economico e militare della Gran Bretagna, crebbe anche l'importanza della BoE. All'inizio del XVIII secolo la Banca d'Inghilterra aveva iniziato a emettere banconote che circolavano più di oro e argento nelle transazioni quotidiane; queste banconote erano un passo verso un sistema finanziario più fluido, consentendo un commercio più efficiente senza la necessità di metalli fisici.

Nel frattempo le banche commerciali in tutta l'Inghilterra iniziarono a proliferare: a metà del XVIII secolo c'erano circa 300 banche private in Inghilterra, le quali offrivano credito a imprese e privati. L'emissione di banconote, che pur non essendo universalmente accettate, facilitò il commercio e gli scambi locali. Creò anche un sistema monetario frammentato, in cui la fiducia nel valore di una banconota dipendeva fortemente dalla reputazione della banca che le stampava. A differenza di una valuta nazionale standardizzata, le banconote private erano spesso accettate solo localmente e potevano non essere riconosciute in altre regioni. Ad esempio, le banconote emesse da una piccola banca rurale in Devonshire difficilmente sarebbero state accettate a Londra, o persino nelle contee vicine. Questa mancanza di universalità complicò il commercio oltre i confini locali, aumentando i costi di transazione e rallentando l'efficienza economica. L'emissione eccessiva di banconote fu un altro problema: durante il panico finanziario del 1793, numerose banche private fallirono poiché avevano emesso molte più banconote di quante ne potessero riscattare in oro.

Inoltre il valore di queste banconote poteva fluttuare in base alla salute finanziaria della banca che le stampava, creando ulteriore incertezza. Se una banca falliva o le sue riserve erano inadeguate, le sue banconote potevano perdere valore, minando la fiducia nel sistema monetario. Questa vulnerabilità alle corse agli sportelli e ai crolli bancari rendeva il sistema intrinsecamente instabile. Il sistema bancario decentralizzato poneva anche delle sfide di coordinamento: senza un'autorità centrale che regolasse l'emissione, il rischio di sovraemissione (che portava all'inflazione) o di sottoemissione (che causava carenze di credito) era significativo. Le banche concorrenti a volte emettevano banconote con denominazioni o standard incompatibili, complicando ulteriormente il commercio e la contabilità. Le banche commerciali come Barings e Rothschild & Co. svolsero un ruolo fondamentale nel finanziamento delle rotte commerciali, dei grandi progetti infrastrutturali e dell'impero della Gran Bretagna.

Il XVIII secolo segnò un periodo di trasformazione per il sistema finanziario britannico, poiché istituzioni come la Banca d'Inghilterra divennero parte integrante delle ambizioni della nazione. La BoE svolse il ruolo di principale operatore del debito pubblico, raccogliendo £1,2 milioni nel suo anno di fondazione. Nel tempo, si ramificò in prestiti commerciali limitati, come lo sconto di cambiali per i mercanti (acquistando cambiali a breve termine dai detentori prima della scadenza), i quali avevano spesso bisogno di denaro rapido per finanziare le loro operazioni. Vendendo la cambiale a una banca a sconto, potevano accedere immediatamente alla liquidità e ampliare le proprie reti commerciali. Nel 1742 la Banca d'Inghilterra formalizzò queste operazioni per stabilizzare i mercati, consolidando il suo ruolo nella gestione della liquidità durante le crisi.

La rivalità della BoE con la South Sea Company all'inizio del XVIII secolo ne espanse l'influenza. Entrambe le istituzioni gareggiavano per gestire il debito pubblico della Gran Bretagna, comeptizione culminata con la South Sea Bubble del 1720. Al centro della sua presunta proposta di valore c'era l'asiento, un contratto che garantiva alla Gran Bretagna il diritto esclusivo di fornire schiavi africani alle colonie spagnole sotto l'illusione di opportunità illimitate in una regione mitizzata come El Dorado. Gli investitori si accalcarono, attratti dalle partnership della South Sea Company con istituzioni influenti come la Royal Navy e la Royal African Company. Nel 1719 gli intrecci finanziari della South Sea Company con il governo inglese si approfondirono man mano che si indebitava di più; il Parlamento autorizzò un prestito di £7 milioni come parte del piano della società di consolidare il debito pubblico. Membri della corte reale, parlamentari e persino il re Giorgio I erano azionisti, conferendole un'aria di legittimità intoccabile. Sotto le promesse dorate, però, si celava ben altro: la società non aveva la competenza per le sue iniziative, in particolare nel commercio degli schiavi, e si affidava a partnership fragili e a un'ambizione smisurata. Il mercato azionario in forte espansione stimolò le imitazioni, come le società che sostenevano di estrarre la luce del sole dai cetrioli. L'euforia si trasformò in frenesia e lo scoppio della bolla nel 1720 devastò gli investitori, dagli aristocratici ai piccoli speculatori. Anche Isaac Newton era tra gli investitori. Inizialmente vendette le sue azioni, assicurandosi un profitto di circa £20.000, però in seguito vi investì di nuovo a un prezzo più alto, finendo per subire perdite significative.

Lo scoppio della bolla South Sea ebbe profonde implicazioni per l'economia britannica, facendo sprofondare il sistema finanziario della nazione. La Banca d'Inghilterra intervenne acquistando debito pubblico da investitori in difficoltà e iniettando liquidità nel mercato. Questo intervento segnò una prima affermazione del suo ruolo come “stabilizzatore finanziario”. Il Parlamento, riconoscendo la fragilità del sistema finanziario, approvò una legge per limitare la formazione di iniziative speculative e rafforzare la supervisione delle società per azioni, tuttavia queste misure fecero poco per affrontare le vulnerabilità sottostanti nel quadro monetario della Gran Bretagna. Il sistema finanziario, pur essendo innovativo, era tutt'altro che perfetto. Questa espansione dei poteri e delle capacità della BoE continuò nei secoli successivi. Il XVIII secolo fu trasformativo, poiché le permise di emettere banconote. Le prime furono introdotte nel 1695 ed erano relativamente semplici nel design, costituite da tagli scritti a mano su carta recante il sigillo della Banca d'Inghilterra. Ogni banconota richiedeva la firma manuale da parte di uno dei cassieri della BoE, rendendo il processo laborioso e le banconote altamente vulnerabili alla contraffazione. Quest'ultima divenne un problema serio a metà del XVIII secolo, con banconote false che minavano la fiducia delle persone nella moneta cartacea. La Banca d'Inghilterra rispose adottando diverse misure di sicurezza innovative:

• Filigrane (1697): le prime banconote presentavano filigrane rudimentali come deterrente di base. Nel 1801 le filigrane divennero più sofisticate, incorporando modelli unici per rendere la falsificazione più difficile.

• Disegni intricati (1797): la BoE iniziò a stampare banconote con incisioni complesse e sottili. Questi disegni erano pensati per essere difficili da replicare con le limitate tecnologie di stampa dell'epoca.

• Tecniche di stampa standardizzate (1725): sebbene inizialmente scritte a mano, si passò gradualmente alle banconote parzialmente stampate, riducendo il rischio di errore umano e falsificazione. Verso la fine del XVIII secolo le banconote stampate divennero lo standard, consentendo una maggiore uniformità e sicurezza.

Durante le guerre napoleoniche la contraffazione divenne uno strumento di guerra economica. Si dice che il governo francese orchestrò falsificazioni su larga scala di banconote britanniche, con l'obiettivo di destabilizzarne l'economia. Queste banconote contraffatte, spesso contrabbandate in Gran Bretagna tramite simpatizzanti o navi catturate, crearono panico e sfiducia nella cartamoneta. La contraffazione, però, non era limitata agli attori stranieri: le pressioni economiche delle guerre, unite alla mancanza di occupazione, spinsero molti individui a falsificare banconote. All'inizio del XIX secolo si stimava che nella sola Inghilterra venissero perseguiti annualmente fino a 300 casi di contraffazione. Questa cifra probabilmente minimizzava la portata reale del problema, poiché molte falsificazioni non venivano rilevate o denunciate. Al culmine della crisi della contraffazione, si stimava che il 10% di tutte le banconote in circolazione della Banca d'Inghilterra fossero false. Ricorda vagamente qualcosa... come l'eurodollaro ad esempio.

Il governo inglese non prese bene tali contraffazioni e, tra il 1805 e il 1818, più di 500 persone furono giustiziate in Gran Bretagna. Sebbene il monopolio della Banca d'Inghilterra sull'emissione di banconote non sarebbe stato formalizzato ufficialmente fino al Bank Charter Act del 1844, la sua reputazione di istituzione più affidabile in un ambiente finanziario altrimenti instabile stava già diventando evidente. Entro la fine del XVIII secolo la Gran Bretagna sarebbe stata sulla buona strada per diventare una potenza globale e la Banca d'Inghilterra avrebbe consolidato la sua posizione di forza stabilizzatrice del sistema finanziario del Paese.

Un altro capitolo cruciale nella storia della Banca d'Inghilterra fu il finanziamento delle guerre, in particolare delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche (1793-1815) che alla fine costrinsero la Gran Bretagna ad abbandonare il gold standard nel 1797. In quel periodo cominciò a essere chiamata “The Old Lady of Threadneedle Street”, soprannome derivante da una vignetta satirica del 1797 a firma di James Gillray. La raffigurazione satirica rifletteva la relazione tesa tra la BoE e il governo inglese durante le guerre contro la Francia: mentre l'amministrazione Pitt attingeva sempre più alle riserve auree della Banca d'Inghilterra per finanziare la guerra, la capacità della banca centrale inglese di sostenere i pagamenti in oro finì sotto una forte pressione. Nel 1797 la situazione raggiunse un punto di rottura, culminante con la sospensione dei pagamenti in oro. I conflitti richiesero finanziamenti immensi e la Banca d'Inghilterra divenne il principale finanziatore dello sforzo bellico britannico, espandendo il suo ruolo di gestore del debito sovrano. Alla fine delle guerre napoleoniche era diventata l'istituzione dominante nella finanza britannica, gestendo quasi tutto il debito sovrano a lungo termine e supervisionando la politica monetaria della nazione.

Mentre la Gran Bretagna avanzava nel XIX secolo, visse un periodo di rapida crescita economica ed egemonia globale noto come “Età dell'oro”: la Rivoluzione industriale stava trasformando il Paese e l'impero britannico si stava espandendo rapidamente. La sterlina divenne la valuta di riserva mondiale, uno status che rifletteva il predominio della Gran Bretagna nel commercio e nella finanza globali. Tuttavia il percorso non fu facile. Nel 1866 emerse un panico di massa che riaccese i timori sulle vulnerabilità del sistema bancario a riserva frazionaria. Fu innescato dal fallimento catastrofico di Overend Gurney & Co. e si trasformò rapidamente in una crisi a tutto campo. L'ascesa e la caduta di Overend Gurney & Co. è una delle storie finanziarie più drammatiche della Gran Bretagna vittoriana. Fondata nel 1800 dal banchiere quacchero Samuel Gurney, la società crebbe da piccola banca provinciale fino a diventare il principale broker di cambiali di Londra nel 1820. A metà del XIX secolo Overend Gurney era parte integrante dell'economia industriale britannica, elaborando transazioni per un valore fino a metà del debito nazionale del Regno Unito all'epoca. Tuttavia il successo dell'azienda generò compiacimento e comportamenti rischiosi: fece investimenti speculativi nelle ferrovie e nel commercio estero, mal gestiti e mal programmati, che ne prosciugarono le risorse. Nel 1865 si diceva che le perdite superassero le £500.000 all'anno. In un disperato tentativo di rimanere a galla, l'azienda divenne una società per azioni, raccogliendo £5 milioni dal capitale pubblico, sebbene gli investitori non fossero informati del pericolo finanziario dell'azienda. Nonostante ciò le sue iniziative speculative continuarono a sgretolarsi.

Il 10 maggio 1866 Overend Gurney sospese i pagamenti, scatenando il panico che sarebbe passato alla storia come “Black Friday”. Oltre 200 banche fallirono nella crisi che ne seguì. In risposta la Banca d'Inghilterra intervenne, agendo come prestatore di ultima istanza iniettando liquidità nel mercato, una mossa che avrebbe continuato a influenzare la linea di politica della banca centrale inglese. Per scongiurare un crollo completo del sistema bancario, adottò diverse misure straordinarie: iniettò liquidità nel mercato, stampando di fatto denaro per ripristinare la fiducia; iniziò anche a estendere prestiti di emergenza ad altre banche e istituzioni finanziarie, tra cui Barclays, Lloyds e Hoare's Bank. La reazione della popolazione fu un misto di paura, confusione, esaltazione e rabbia. Il Times, ad esempio, ne elogiò le azioni, nonostante fosse chiaro che la decisione di inondare il mercato di liquidità comportasse i suoi rischi. The Economist, invece, la accusò di aver permesso che la crisi si sviluppasse in primo luogo. Il fallimento della BoE nell'intervenire prima nella crisi fu visto come un passo falso catastrofico. Guarda caso, quest'ultima fu la stessa linea di politica seguita dalla stampa americana all'indomani della Grande depressione, giustificazione passata alla storia per aver formato il pensiero di Milton Friedman e il suo supporto a una “scusa accademica credibile” per spingere la Federal Reserve a intervenire attivamente sulla scia delle future crisi.

Quanto a Overend, Gurney & Co. il crollo fu visto come una manifestazione di avidità incontrollata e follia speculativa, un esempio dei pericoli in agguato nel sistema finanziario e, quindi, necessitanti azione da parte dei legislatori. Nel giro di poche settimane il peggio del panico era passato e la BoE era riuscita a stabilizzare i mercati. Stiamo parlando di tempi “semplici”, in cui i bilanci erano ancora lontani dall'essere saturati e, da questo punto di vista, c'era ancora spazio di manovra in patria. Tuttavia l'intervento della Banca d'Inghilterra, sebbene alla fine riuscito, sollevò interrogativi sull'azzardo morale derivante dal salvataggio di istituti finanziari falliti. I critici temevano che ciò avrebbe creato un precedente pericoloso, in cui le aziende avrebbero assunto rischi maggiori sapendo che c'era qualcuno alle loro spalle che sarebbe sempre intervenuto per prevenire la catastrofe. Inutile sottolineare che negli anni successivi alla crisi, si intensificarono le discussioni sulla necessità di una regolamentazione finanziaria più forte. Gli eventi del 1866 rappresentarono un terribile monito e un cambiamento di passo: l'approccio laissez-faire della Gran Bretagna aveva bisogno di “una riforma”.

L'influenza della BoE non si limitava solo alla ricerca di prosperità in tempo di pace. Durante la Prima guerra mondiale la Banca d'Inghilterra fu chiamata a finanziare gli sforzi bellici della nazione: nel 1914, con l'intensificarsi del conflitto, il governo britannico emise bond di guerra per finanziarsi. Per quanto la stampa dichiarò che fosse stata una campagna di raccolta fondi di successo, dietro le quinte la Banca d'Inghilterra aveva sudato le proverbiali sette camicie per trovare abbastanza investitori da coprire i prestiti necessari. Infatti il governo inglese si era rivolto alla sua banca centrale per avere più di £100 milioni in finanziamenti e compensare il deficit pubblico. Nel suo libro, Lords of Finance, John Maynard Keynes predisse che la Prima guerra mondiale non sarebbe durata più di un anno, perché i Paesi coinvolti non potevano permettersi di sostenerla: la tensione economica sarebbe stata troppo grande dato che tutte le parti coinvolte avrebbero rapidamente esaurito le loro risorse finanziarie. Le banche centrali furono l'escamotage per aggirare questa evidenza: esse, in particolar modo quella inglese e americana, dirottarono artificialmente le risorse di capitale e sostennero il pesante indebitamento dei rispettivi Paesi, il che alimentò la guerra molto più a lungo del previsto e preparò il terreno per la crisi economica che ne seguì.

Infatti, subito dopo la Prima guerra mondiale, la Gran Bretagna si trovò alle prese con profonde distorsioni economiche: la guerra aveva creato scompiglio nelle finanze della nazione, lasciandola con un macigno di debito pubblico e un mercato dell'export ridotto. Il governo inglese cercò di ripristinare l'ordine finanziario prebellico tornando al gold standard nel 1925. Winston Churchill, allora Cancelliere dello Scacchiere, sostenne questa mossa come simbolo di stabilità e della duratura leadership globale della Gran Bretagna. Solo che non fece i conti con le precedenti deformazioni economiche. Il gold standard legava il valore della sterlina a una quantità fissa di oro e il governo di Churchill fissò il tasso alla parità prebellica ($4,86 ​​a sterlina); questa sopravvalutazione rese le esportazioni britanniche non competitive, acuendo la disoccupazione e rallentando la ripresa industriale. Keynes criticò questa mossa nel suo saggio, The Economic Consequences of Mr. Churchill, sostenendo che avrebbe causato stagnazione economica, previsioni che poi si avverarono. La correzione si intensificò, schiacciando le industrie e riducendo la domanda interna, e la situazione non fece che peggiorare durante la Grande Depressione, quando la contrazione economica globale paralizzò il commercio e la finanza. La mancata svalutazione della sterlina in base alla stampa monetaria che richiese la guerra limitò la flessibilità monetaria, impedendo gli aggiustamenti necessari per affrontare la crisi. Gli Stati Uniti, invece, presero il proverbiale toro per le corna e rimisero in sesto la nazione in un solo anno.

L'ascendente della Banca d'Inghilterra, e la sua presa indiretta, sulla Federal Reserve spinsero quest'ultima ad accettare la richiesta della prima di aumentare la propria offerta di denaro per compensare il deflusso mortale di oro dalle sponde inglesi. In questo modo la FED gettò le basi della futura depressione, come scrisse anche Rothbard nel suo libro America's Great Depression. Alla luce di quanto sappiamo adesso, e di come tutte le micce finanziarie conducano a Londra, il filo diretto tra Londra e Washington non è mai stato staccato; sostituito da una facciata di “alleanze”, ma che invece aveva tutte le caratteristiche di un proxy. Essere un impero globale alla luce del sole richiede accountability, mentre invece una gestione dalle ombre permette un free ride nel momento in cui si commettono errori. Perché essere ritenuti responsabili quando si può avere lo stesso risultato e correggere il tiro senza doversi preoccupare anche dell'opinione pubblica? Si risparmiano energie e le si può indirizzare ai propri desideri più urgenti. Alla fine si tratta sempre di azione umana e incentivi. Questo vale anche per gli imperi, visto che sono costituiti da uomini. L'impero inglese ha quindi mutato forma, ma è sempre rimasto in carica... o perlomeno fino al 2022 come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Governi fantocci, ma con una facciata appetibile alla popolazione locale, sono sempre stati proxy scelti da Londra per gestire i propri affari all'estero. Come elaborato nella Prima parte di questo saggio, l'influenza esercitata tramite l'aristocrazia del luogo (o i legislatori) e la successiva inondazione di capitali, creano una impalcatura insostenibile dal punto di vista della costruzione di una base di capitale solida e resistente. Ciò sottopone la nazione-obiettivo al ricatto perpetuo della presenza di capitale a basso costo per andare avanti.... almeno fino a quando i tempi non sono maturi per il raccolto. Se state pensando all'USAID, avete capito il concetto. E quale miglior controllo di una nazione se non quello di esportare in essa il proprio modello di business come il sistema bancario centrale?

L'ascendente esercitato dalla BoE sulla FED durante i Ruggenti anni venti è un indizio potente in questa direzione. Anche perché, come abbiamo visto, all'epoca la Banca d'Inghilterra aveva raggiunto uno status eminente in quanto a istituzione rispettata e collegata a livello elitario. Fomentare una crisi per tirarsi fuori, apparentemente, da una colonia controllata direttemente era un escamotage già usato dagli inglesi. Un esempio a tal proposito è l'India. Un alto giudice di Calcutta, P.B. Chakrabarty, scrisse a Lord Clement Atlee (primo ministro britannico al tempo dell'indipendenza dell'India) domandandogli: “Siccome il movimento di Gandhi, Lasciate l'India, era attivo senza alcun successo da decadi e nel 1947 non successe niente di veramente nuovo che obbligasse gli inglesi ad andarsene, perché se ne sono andati?” Atlee citò diverse ragioni e la principale, secondo lui, fu il fatto che gli inglesi non si potevano più fidare dell'esercito e della marina indiane (e gli ammutinamenti, anche durante la guerra furono molti e tenuti nascosti) come risultato dell'attività militare di Netaj, ovvero Chandra Bose. Ciò che teneva l'India sotto il dominio inglese non era la Marina o l'Esercito Inglese, ma quelli Indiani: se questi non erano più affidabili l'unica opzione era quella di abbandonare l'India e cambiare un colonialismo diretto in uno finanziario e indiretto.

Inoltre i soldati indiani impiegati in tutto il mondo dagli inglesi si stavano rifiutando di obbedire agli ufficiali inglesi. Gli inglesi sapevano bene che per mantenere l'India avevano bisogno di un'esercito permanentemente stanziato sul posto, un esercito di dimensioni simili a quello che aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, un esercito che non potevano certamente permettersi, e che avrebbe portato solo ad una rivolta dei soldati inglesi ormai stanchi di combattere mentre a casa le famiglie facevano la fame. Conclusioni da “Non-violenza: storie e miti” del prof. Neumann dell'Universita' dell'Ontario:

Non ho né la posizione morale, né il minimo desiderio di vanificare gli sforzi di chi ha il coraggio di lottare con la non-violenza [...] ma non ha mai funzionato in nessun senso, né in maniera decisiva, in nessuna parte del mondo e non c'è nessun motivo per ritenere che funzionerà mai. Contando solo sulla sua forza, la non-violenza non ha mai ottenuto gli obiettivi politici di quelli che l'hanno utilizzata. Tre sono i principali esempi di successo della non-violenza: il Movimento di indipendenza di Gandhi, il Movimento dei Diritti Civili negli USA e la campagna contro l'apartheid in Sud Africa. Nessuno di questi ha fatto quel che hanno pubblicizzato. La nozione che la gente si può liberare letteralmente lasciando che i loro guardiani li calpestino è fanta-storia.Il fatto è che Gandhi (come lo chiamava Ginna, rifiutandosi di chiamarlo Mahatma) era una manna dal cielo per gli inglesi e lui probabilmente, filo-britannico e razzista com'era, lo sapeva, e gli stava bene così perché perseguiva i suoi scopi, che non erano necessarimente quelli che la propaganda gli attribuisce. Quando in una intervista anni dopo fu chiesto ad Atlee quale importanza avesse avuto Gandhi nella decisione del governo britannico di lasciare l'India, Atlee fece un sorriso sarcastico e scandì: “M-I-N-I-M-A”. Il fattore finale, la goccia che fece traboccare il vaso e che convinse gli inglesi al ritiro furono sicuramente i combattimenti fra musulmani e indù a Calcutta. Di fronte a una situazione che minacciava di scoppiare, passarono la patata bollente a indiani e pakistani. Non che la non violenza non possa avere risultati (è stata utilizzata da almeno duecento anni in Europa), ma è una tattica circoscritta a specifiche circostanze e da usarsi nell'ambito di una strategia più ampia. In India non funzionò nemmeno in quel senso.

Alla luce di ciò è praticamente legittimo pensare che l'apparente stupidità di tornare a un gold standard pre-bellico fosse funzionale a far risplendere la luce della FED e degli Stati Uniti, come nuovo impero nascente, ma in realtà eterodiretto da Londra. Non c'è solo l'episodio legato ai Ruggenti anni venti, ma anche il London Gold Pool degli anni '60, il LIBOR e la coincidenza storica che poco meno di un anno dopo l'entrata sulla scena mondiale della FED scoppiò la Prima guerra mondiale. Prima di quest'ultimo evento il potere economico e la portata globale dell'Impero britannico avevano consolidato lo status della sterlina come valuta di riserva primaria al mondo, simbolo della vasta rete commerciale e dell'influenza finanziaria della Gran Bretagna. Poi, a cavallo delle due guerre mondiali, l'Inghilterra si dà la zappa sui piedi sprofondando volontariamente nei debiti e ritornando al gold standard ignorando il caos economico precedente. Come si può giustificare un azzardo morale talmente sfrenato? A meno che non si abbiano le spalle coperte...

Infatti il declino del predominio della sterlina britannica culminò con l'ascesa del dollaro statunitense come valuta di riserva globale alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944. Gli Stati Uniti presero il centro della scena, diventando il fondamento del nuovo sistema finanziario globale. Ciò avrebbe dato vita a un nuovo cappio finanziario che si sarebbe esteso ai mercati globali: l'eurodollaro.

In conclusione, la storia della BoE è la storia della FED, replicata con sfumature diverse ma alla base sono la medesima cosa. Una conquista che avrebbe permesso all'Inghilterra di aumentare la portata delle sue operazioni sacrificando, nel processo, la ricchezza reale di una nazione prospera e ricca di risorse. Come in ogni schema Ponzi che si rispetti, bisogna sempre aumentare la platea di gente da spennare.


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???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/02/cio-che-leurodollaro-ha-dato.html

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???? Qui il link alla Quarta Parte:


La Siria esplora l'adozione di Bitcoin

Gio, 20/02/2025 - 11:06

 

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-siria-esplora-ladozione-di-bitcoin)

L'economia siriana è in cattive condizioni, tanto per usare un eufemismo. Non solo la nazione mediorientale è stata colpita da oltre un decennio di guerre, ma il regime di Assad, al potere dal 1971, è stato rovesciato da un gruppo jihadista. Il conflitto, iniziato nel 2011, ha devastato le infrastrutture, costretto a sfollare milioni di persone e portato a sanzioni economiche da parte delle nazioni occidentali. Questi fattori hanno paralizzato l'economia e il commercio locali, portando a una grave inflazione. La lira siriana (SYP), che un tempo era relativamente stabile, ha perso oltre il 99% del suo valore dall'inizio della guerra, mentre l'iperinflazione ha trasformato beni di prima necessità, come pane e carburante, in beni di lusso per i cittadini comuni.

Di fronte a queste sfide, la Siria ha lottato per mantenere la stabilità monetaria, con riserve di valuta estera in calo e un accesso limitato ai sistemi finanziari globali. Tuttavia la speranza potrebbe ora essere all'orizzonte poiché è stato annunciato che la nazione mediorientale sta pianificando di legalizzare Bitcoin, esplorarne l'utilizzo per sostenere la sua valuta nazionale e usare le sue riserve energetiche per minarlo. Questa linea di politica rivoluzionaria potrebbe trasformare non solo l'economia siriana, ma fungere da potenziale modello per altre nazioni nella regione che sono anch'esse alle prese con l'inflazione e l'instabilità economica.

La natura decentralizzata di Bitcoin lo rende immune alle pressioni geopolitiche e alle politiche monetarie delle singole nazioni. Questa indipendenza offre alla Siria un modo per aggirare i sistemi finanziari tradizionali e le sanzioni. Legalizzare Bitcoin, e potenzialmente sostenere la lira siriana con esso, non solo faciliterà la stabilità monetaria, ma lo farà in un modo che consentirà alla nazione di diventare in qualche modo immune agli shock economici regionali. Bitcoin potrebbe anche consentire a cittadini e aziende di effettuare transazioni con maggiore sicurezza e aprire canali commerciali con Paesi in tutto il mondo.

Ciò fa sorgere qualche dubbio, i sistemi fiat localizzati non sono mai stati un buon modo per coltivare scambi e commerci in Medio Oriente, dove molte nazioni dipendono fortemente l'una dall'altra per beni e servizi di base e dove i confini possono essere labili. Molti di questi sistemi sono anche agganciati al dollaro statunitense, che offre un certo grado di stabilità ma consente anche agli Stati Uniti di esportare la propria inflazione. La regione ha una lunga storia di scambi commerciali che si basavano sull'oro, poiché era ampiamente accettato e riconosciuto come una riserva di valore solida. Bitcoin può ora svolgere quel ruolo, poiché è sempre più riconosciuto come la migliore riserva di valore e mezzo di scambio al mondo. Bitcoin, come l'oro, è anche molto in sintonia con i principi monetari islamici.

Inoltre la Siria possiede notevoli riserve energetiche, in particolare di petrolio e gas naturale. Tuttavia, a causa della guerra, gran parte di questo potenziale è rimasto inutilizzato o interrotto. Negli ultimi anni il mining di Bitcoin ha dimostrato che le regioni con risorse energetiche in eccesso possono trasformarle in flussi di entrate significativi. Il piano della Siria di utilizzare le sue riserve energetiche per minare Bitcoin è sia pratico che innovativo. Convertendo le sue risorse naturali in risorse digitali, la Siria può generare ricchezza indipendentemente dai tradizionali mercati dell'export. Queste entrate potrebbero quindi essere utilizzate per rafforzare la sua economia, finanziare progetti di ricostruzione e stabilizzare la lira siriana creando riserve coperte da Bitcoin. Offre inoltre un incentivo alle piccole imprese per esplorare e investire nella tecnologia del mining, il che può portare all'innovazione nella produzione di energia sostenibile e rafforzare l'economia locale.

Uno degli obiettivi principali della strategia siriana è ripristinare la fiducia nella sua valuta nazionale. Coprendo parzialmente la lira siriana con Bitcoin, il governo può offrire ai cittadini una ragione tangibile per detenere e utilizzare la valuta locale. Una lira coperta da Bitcoin potrebbe anche attrarre investimenti esteri, in particolare da individui e organizzazioni esperti di tecnologia incuriositi dall'adozione della valuta digitale da parte del Paese. Tale mossa è anche in linea con le tendenze globali. El Salvador, ad esempio, ha adottato Bitcoin come moneta a corso legale nel 2021 e ha visto un aumento del turismo e degli investimenti, nonostante lo scetticismo iniziale. Mentre la situazione della Siria è più complessa a causa del conflitto in corso e delle domande sulle inclinazioni ideologiche dei suoi nuovi leader, una strategia simile potrebbe produrre benefici a lungo termine una volta che il Paese si sarà stabilizzato.

La Siria non è l'unica ad affrontare inflazione e svalutazione della moneta. Molti Paesi nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa stanno affrontando problemi simili. Il Libano, ad esempio, ha vissuto un crollo finanziario catastrofico, con la sua valuta che ha perso oltre il 95% del suo valore sin dal 2019. L'inflazione in tutta la regione ha eroso il potere d'acquisto, minato la fiducia nelle valute locali e ostacolato la crescita economica. Coloro che dipendono dalle importazioni hanno trovato sempre più difficoltà a stabilizzare le loro economie mentre i prezzi globali delle materie prime salgono alle stelle.

La legalizzazione di Bitcoin da parte della Siria e il suo piano di integrarlo nella sua economia segnano una svolta significativa nella politica finanziaria globale. La natura decentralizzata di Bitcoin offre alle nazioni la possibilità di perseguire l'emancipazione finanziaria nonostante il più ampio contesto internazionale in cui si trovano. Offre loro una forma di autocustodia nazionale che può fungere da protezione contro le potenze esterne che cercano di influenzarne la politica interna. Sebbene permangano delle sfide, come la necessità di una migliore infrastruttura digitale e una maggiore consapevolezza di Bitcoin nei Paesi vicini, è sicuramente un passo audace nella giusta direzione.

Se avrà successo, l'esperimento della Siria potrebbe fungere da modello per altre nazioni nella regione che affrontano instabilità economica. Adottando Bitcoin, queste nazioni possono proteggere i propri cittadini dagli effetti devastanti dell'inflazione, ripristinare la fiducia nelle proprie valute e sbloccare nuove opportunità economiche. Paesi come Libano, Iraq e Iran, che affrontano sfide simili, potrebbero trarre enormi benefici dall'integrazione di Bitcoin nei propri sistemi finanziari. Mentre il panorama finanziario globale continua a evolversi, la mossa audace della Siria nei confronti di Bitcoin ne evidenzia il potenziale per affrontare alcune delle sfide economiche più urgenti del nostro tempo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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I costi delle nuove normative europee sulle compagnie aeree verranno scaricati sui consumatori

Mer, 19/02/2025 - 11:06

Gli stati sono quelli che alimentano l'inflazione dei prezzi. Nessuna corporazione, compagnia aerea o produttore di gas presumibilmente malvagi possono far salire i prezzi aggregati (da rotolarsi per le scale dalle risate quando i burocrati europei straparlano di competitività nell'aviazione pubblica citando Airbus, soprattutto alla luce dell'articolo di oggi). Le banche centrali non stampano denaro perché lo vogliono; aumentano l'offerta di denaro per assorbire la spesa pubblica in deficit. L'inflazione è una tassa nascosta, un lento processo di nazionalizzazione dell'economia e il modo perfetto per aumentare le tasse senza far arrabbiare gli elettori e incolpare le aziende private nel frattempo. Perché gli stati dovrebbero volere prezzi più alti? Perché dà loro più potere. Distruggere la valuta che emettono è una forma perfetta di controllo. Ecco perché hanno bisogno di più debito e tasse più alte. Le tasse alte non sono uno strumento per ridurre il debito, ma piuttosto per giustificare l'aumento dell'indebitamento pubblico. Per quanto si possa propagandare che lo stato ha la possibilità di prendere in prestito illimitatamente, è falso. Non può emettere tutto il debito che vuole: ha un limite inflazionistico, economico e fiscale. L'inflazione è un segnale di avvertimento di un calo della fiducia nella valuta e di una perdita di potere d'acquisto. Il limite economico è evidenziato da una crescita inferiore, da una minore occupazione, da salari reali più deboli, da una stagnazione e da una domanda estera in calo per il debito pubblico. Il limite fiscale è evidenziato da spese per interessi alle stelle anche con tassi bassi, entrate più deboli ogni volta che aumentano le tasse e cittadini/aziende che lasciano il proprio Paese per sistemi fiscali più favorevoli, tutti fattori che si aggiungono all'effetto moltiplicatore negativo o povero della spesa pubblica. Se si vogliono prezzi più bassi, bisogna dare meno potere economico agli stati, non di più.

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di Jack Watt

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-costi-delle-nuove-normative-europee)

I legislatori europei hanno creato una nuova regolamentazione per il settore dell'aviazione. ReFuelEU Aviation impone l'uso di carburanti sostenibili per l'aviazione (SAF) e vieta il trasporto di carburante in cisterne, una pratica comune a livello globale. È l'ennesima iniziativa legata al clima che ostacolerà l'industria locale, aumenterà i prezzi e ridurrà la scelta per i consumatori.


Carburante economico in uscita, carburante costoso in entrata

La spinta principale è quella di aumentare l'uso di carburanti sostenibili per l'aviazione (SAF), i quali sono incredibilmente costosi. Per citare una stima prudente, i SAF sono circa il 250% più costosi del carburante convenzionale. Ciò è a dir poco allarmante perché i costi del carburante in genere costituiscono il 25-30% dei costi totali di una compagnia aerea.

Con l'obiettivo di ridurre i costi, la nuova legge mira a “ridurre i rischi” dello sviluppo: impone requisiti sull'uso di SAF, dal 2% nel 2025 al 70% nel 2050, e concede condizioni di finanziamento favorevoli ai produttori. Avranno accesso ai fondi raccolti tramite i “green bond” dell'UE e gli investimenti dal bilancio europeo, a sua volta raccolti tramite la tassazione degli stati membri. Alcuni fondi proverranno anche dalle entrate generate da un altro onere: l'Emissions Trading Scheme (ETS), a cui le compagnie aeree che hanno voli all'interno dello Spazio economico europeo (SEE) e del Regno Unito sono obbligate a partecipare (l'ETS del Regno Unito è leggermente diverso ma ampiamente allineato: resta da vedere se accadrà qualcosa di simile con ReFuelEU).


Divieto al trasporto extra di carburante

Il fuel tankering è il caso in cui un operatore di aeromobili carica carburante extra su un volo specifico allo scopo di evitare, o ridurre, la quantità di carburante necessaria per il ritorno o la tratta successiva. A volte il costo del trasporto del peso extra è più che compensato dai costi più elevati del carburante all'aeroporto di destinazione. Ma i legislatori hanno deciso che poiché il peso extra comporta più emissioni, deve essere vietato su tutti i voli in arrivo o in partenza dall'UE. Questa è una logica curiosa, poiché significa che il peso extra che riduce i costi viene trattato in modo diverso dal peso extra che aumenta i ricavi (passeggeri e merci), nonostante entrambi comportino più emissioni.

Eurocontrol ha stimato che il 21% dei voli effettua la suddetta pratica in una certa misura. Ciò non sorprende, poiché i prezzi del carburante possono variare fino al 55% in Europa: si consideri il costo per portare il carburante per aerei a un'isola greca o a un aeroporto rurale (e il gasolio bruciato per portarlo lì!). La capacità di trasportare carburante extra assicura che i relativi fornitori affrontino una curva di domanda elastica. Per gli aeroporti con un unico fornitore, come molti aeroporti rurali e remoti, ora diventa anelastica al punto che le compagnie aeree smettono del tutto di servire quegli aeroporti.


Cosa significa questo per gli operatori?

L'effetto di questa linea di politica dipende dal modello di business della compagnia aerea. Ad esempio, che tipo di aeroporti serve, quanto durano i suoi voli e qual è la sua concorrenza?

Ricordate che i grandi hub hanno generalmente un panorama più competitivo rispetto agli aeroporti regionali, i quali possono avere un solo fornitore di carburante. Ciò significa che gli operatori point-to-point saranno più colpiti rispetto agli operatori hub. I primi sono generalmente i vettori low-cost, che operano più frequentemente verso aeroporti secondari e regionali che tendono ad avere prezzi del carburante meno competitivi.

Un altro fattore è che il costo del trasporto di carburante extra aumenta con la lunghezza del volo, quindi sono necessarie differenze di prezzo crescenti per giustificare il rifornimento di carburante man mano che aumenta la lunghezza del volo. Tra le compagnie aeree dell'UE una percentuale maggiore di voli dei vettori low-cost hanno tratte più brevi, sebbene anche le “major” abbiano operazioni a corto raggio. Le major dell'UE hanno un problema che le compagnie low-cost intra-europee non hanno, però: nel mercato a lungo raggio competono con gli operatori che collegano i passeggeri dal loro hub non-UE, in particolare le major del Golfo e degli Stati Uniti. Poiché solo la tratta UE è interessata da questa nuova legislazione, le compagnie UE che offrono voli diretti sono svantaggiate rispetto a quelle che offrono collegamenti tramite hub non-UE.

Vale la pena notare che questo non è il primo vantaggio relativo concesso ai vettori extra-UE dai legislatori europei. Le compagnie aeree UE e del Regno Unito hanno un'esposizione maggiore all'ETS, che è 25 volte più costosa dell'equivalente internazionale, chiamata CORSIA. Inoltre diverse nazioni applicano anche l'Air Passenger Duty, che viene imposto all'intera attività di una compagnia aerea con sede nelle nazioni interessate e tende a essere maggiore per i voli diretti più lunghi rispetto a quelli che si collegano tramite un hub intermedio.

Infine significa anche nuovi costi amministrativi. Ci sono molte ragioni per cui i voli partono con più carburante di quanto richiesto dalla legge (il carico di carburante è un punto di sicurezza, prima di tutto) e si possono immaginare modi per fare rifornimento (almeno parzialmente) senza chiamarlo così.


Conclusione

In sintesi, l'aviazione dell'UE si trova ad affrontare notevoli venti contrari con i mandati SAF e il divieto di rifornimento. Mentre i primi rappresentano una minaccia maggiore per la redditività degli operatori di tutti i tipi, il divieto di rifornimento introduce immediati aumenti dei costi. Il grado di impatto sui singoli operatori dipende dal loro modello di business e dalla concorrenza e, sebbene i vettori nativi dell'UE siano gravati più dei loro omologhi non UE, nessuno ne trae vantaggio in termini assoluti. Come sempre, quando i regolatori gravano le industrie con nuovi termini, saranno i consumatori a pagarne il prezzo: prezzi dei biglietti più alti, meno concorrenza e meno scelta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'ombra di Obama: lo Stato profondo e i suoi veri volti

Mar, 18/02/2025 - 11:02

Lo stop all'USAID è stato possibile grazie alla fine della dottrina Chevron, la quale ha permesso alle varie agenzie governative statunitensi di interpretare arbitrariamente le leggi “ambigue”. Ma anche forzare linee di spesa che il presidente poteva non voler approvare. Lo sfoltimento delle incrostazioni burocratiche segnerà anche la fine di tutti quei soldi che finivano nelle ONG, usati per plasmare il mondo secondo la visione di chi le indirizzava... e gli inglesi hanno sempre usato proxy in tal senso. Ovviamente non se ne andranno senza combattere, perché suddette incrostazioni di potere sono impermeabili al cambio di casacca delle amministrazioni e servono sostanzialmente due padroni (l'amministrazione corrente e chi li ha messi lì, o il gruppo politico di riferimento che li ha messi lì). Di conseguenza quando c'è un Musk che tramite il DOGE vuole efficientare la spesa pubblica statunitense, lo Stato profondo si innervosisce e sguinzaglia i propri agenti affinché il suo controllo non venga messo in discussione. Non c'è da stupirsi, sapevamo che sarebbe successo ed era una strada obbligata per raggiungere il risultato finale. Ritengo, nonostante ciò, che il progetto di snellimento della spesa pubblica andrà avanti, con nuovi compartimenti burocratici che remeranno contro e cercheranno di fermare la scure; a vantaggio della nuova amministrazione Trump c'è da dire che i cosiddetti disfattisti della prima ora, ovvero della sua prima amministrazione, sono stati quasi tutti fatti fuori e c'è gente determinata a fare pulizia nel sistema amministrativo americano. Non sarà facile ma verrà fatto, almeno in una percentuale sufficiente a riportare equilibrio.

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da Zerohedge

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lombra-di-obama-lo-stato-profondo)

Nel discorso politico contemporaneo il termine “Stato profondo” emerge spesso come termine generico per descrivere le incrostazioni burocratiche e le forze invisibili che plasmano la governance degli Stati Uniti. Washington DC è spesso raffigurata come l'epicentro di questo cosiddetto Stato profondo, dove le dinamiche di potere operano indipendentemente dai risultati elettorali.

Sebbene sia vero che la governance degli Stati Uniti è guidata da entità non elette e non responsabili, come i complessi militari e di intelligence, il concetto di “Stato profondo” può semplificare eccessivamente le complessità della governance a Washington DC. Può anche servire a deviare la responsabilità da coloro che sono maggiormente colpevoli dei danni inflitti al nostro Paese.

Lo Stato profondo può sembrare un'entità monolitica, tuttavia è, in realtà, una complessa rete di attori umani con ruoli attivi in una qualche agenzia governativa. Tra questi individui Barack Obama si distingue come una figura fondamentale, la cui influenza e la cui eredità hanno plasmato in modo significativo il panorama politico negli ultimi 17 anni.

In questo articolo esploreremo il suo ruolo determinante nel plasmare la politica degli Stati Uniti, non solo durante la sua presidenza, ma anche durante il primo mandato di Trump e la presidenza Biden (a volte indicati come il terzo e il quarto mandato di Obama), e come questa sfortunata era potrebbe ora avvicinarsi alla fine.


La rete nelle agenzie governative

Obama esemplifica il concetto di rete all'interno di ciò che di solito viene definito “Stato profondo”. La sua presidenza non solo ha portato a significative divisioni e cambiamenti politici, ma ha anche gettato le basi per una rete di fanatici lealisti e alleati ideologici, molti dei quali sono rimasti trincerati sia nelle istituzioni governative che in quelle non governative. Queste figure, molte delle quali sono ex-membri dell'amministrazione Obama, hanno minato la democrazia e la volontà del popolo in molteplici presidenze.

Gli sforzi post-presidenziali di Obama, come la sua difesa politica, il suo ruolo di mentore dei leader democratici emergenti e il fatto che sia stato il primo ex-presidente dopo il morente Woodrow Wilson a rimanere a Washington, evidenziano la sua influenza continua. A differenza della burocrazia senza volto tipicamente associata al termine “Stato profondo”, Obama incarna la realtà della sua vera natura: non un'entità monolitica, ma una rete di individui, come lui, che plasmano la politica e l'opinione pubblica, spesso da dietro le quinte.

Un esame più attento rivela che molti individui che hanno prestato servizio sotto Obama sono rimasti attivi in ​​ruoli governativi attraverso più amministrazioni. Le figure chiave dell'intelligence, della difesa e di altri settori critici spesso mantengono le loro posizioni o riemergono in ruoli diversi, rafforzando la percezione di una continuità non democratica nella governance americana.

Questo fenomeno non è esclusivo dell'amministrazione Obama. Washington ha assistito al riciclo di funzionari e consiglieri in diverse presidenze, dando origine a una classe di insider che opera con un alto grado di autonomia rispetto alla volontà del popolo. Ma Obama ha senza dubbio portato le cose a un nuovo livello. Ecco alcuni esempi.


I nomi permanenti a Washington

Antony Blinken è stato vice Segretario di Stato e vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto Obama prima di diventare Segretario di Stato sotto Biden. Ha continuato le disastrose linee di politica di Obama, che spaziavano dall'Iran all'Ucraina.

Jake Sullivan ha ricoperto vari ruoli di sicurezza nazionale sotto Obama prima di diventare National Security Advisor sotto Biden. Tra questi incarichi è stato fondamentale nel promuovere la bufala della collusione con la Russia. Sebbene non ricopra più una posizione governativa, sua moglie, Margaret Goodlander, ha prestato giuramento di recente come nuovo membro del Congresso.

Victoria Nuland ha alimentato la guerra in Ucraina nel 2014 quando era Assistente Segretario di Stato sotto Obama. In seguito è diventata Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici sotto Biden. Anche lei ha avuto un ruolo chiave nel promuovere la narrazione fraudolenta della collusione con la Russia. Il marito della Nuland, Robert Kagan, è un commentatore presso la Brookings Institution ed è stato, fino a poco tempo fa, un fervente anti-Trump sul Washington Post.

Susan Rice è passata da Consigliere per la sicurezza nazionale e Ambasciatrice delle Nazioni Unite sotto Obama a Direttrice del Consiglio per la politica interna nell'amministrazione Biden. La Rice ha tentato di nascondere il coinvolgimento di Obama nell'armare il governo americano contro Trump attraverso la bufala della collusione con la Russia, in particolare il ruolo di Obama nel licenziamento del generale Michael Flynn.

Mary McCord è stata Procuratore generale aggiunto sotto Obama, una posizione che ha permesso anche a lei di avere un ruolo nel promuovere la narrazione della collusione con la Russia. In seguito è diventata consulente legale della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti durante la farsa dell'inchiesta sui datti del 6 gennaio. Più di recente ha cercato di ostacolare le nomine di Pam Bondi a Procuratore generale e di Kash Patel a Direttore dell'FBI. Suo marito, Sheldon Snook, ha lavorato per il giudice capo John Roberts dal 2014 al 2020. A dicembre 2020 ha scritto un articolo anti-Trump sul The Atlantic.

Lisa Monaco, un'altra mistificatrice della collusione con la Russia, è stata Consigliere per la sicurezza interna sotto Obama ed è diventata vice Procuratore generale sotto Biden. Ha guidato la campagna del Dipartimento di Giustizia contro Trump e i manifestanti del 6 gennaio.

John Carlin ha ricoperto un ruolo nella sicurezza nazionale sotto Obama ed è tornato nell'amministrazione Biden come Procuratore generale aggiunto per aiutare la Monaco a perseguire il programma di Obama in materia di diritto.

Janet Yellen è passata da Presidente della Federal Reserve sotto Obama a Segretaria del Tesoro durante l'amministrazione Biden.

Ron Klain è passato dall'essere capo dello staff del vicepresidente Biden a capo dello staff della Casa Bianca sotto Biden.

John Kerry è stato Segretario di Stato sotto Obama e inviato speciale del presidente per il clima sotto Biden.

Denis McDonough è passato dall'essere capo dello staff della Casa Bianca sotto Obama a segretario per gli Affari dei veterani sotto Biden.

Samantha Power, ambasciatrice delle Nazioni Unite sotto Obama, è diventata amministratrice dell'USAID sotto Biden.

Jen Psaki ha lavorato come vice addetta stampa e portavoce del Dipartimento di Stato sotto Obama, prima di diventare addetta stampa della Casa Bianca sotto Biden.

Amos Hochstein, che aiutò Hunter Biden a nascondere i legami corrotti della sua famiglia in Ucraina, era l'inviato speciale di Obama per gli affari energetici. È stato ricompensato con un ruolo simile sotto Biden.

Alejandro Mayorkas è stato direttore dei Servizi per la cittadinanza e l'immigrazione degli Stati Uniti e vicesegretario alla sicurezza interna sotto Obama, prima di diventare Segretario alla sicurezza interna sotto Biden.

David Shulkin è stato Sottosegretario agli Affari dei veterani sotto Obama prima di ricoprire l'incarico di Segretario agli Affari dei veterani sotto Trump, fino al suo licenziamento definitivo nel 2018.

Norm Eisen è passato senza soluzione di continuità dai suoi ruoli nell'amministrazione Obama, tra cui quello di ambasciatore in Repubblica Ceca, alla guida di operazioni contro Trump presso organizzazioni di facciata dell'establishment come la Brookings Institution.

Altri, come i due principali funzionari dell'intelligence di Obama, John Brennan e James Clapper, potrebbero non aver ricoperto ruoli ufficiali nelle amministrazioni successive, ma sono stati inseriti in importanti organi di stampa tradizionali (Brennan alla NBC e Clapper alla CNN) dove potevano dare forma al dibattito pubblico. Non sorprende che siano stati questi due uomini a guidare la famigerata  campagna dell'intelligence che affermava falsamente che il laptop di Hunter Biden era disinformazione russa. Le loro azioni hanno avuto un ruolo fondamentale nel minare le possibilità di Trump alle elezioni del 2020.

Ci sono molti altri nomi, tra cui personaggi come Anthony Fauci, che facevano parte del governo non eletto prima della presidenza di Obama e hanno mantenuto i loro incarichi anche dopo.

Potremmo continuare, ma il punto è chiaro: la Washington permanente non è una “macchia” senza volto, ma una rete di élite interconnesse.


Trump

La presidenza di Donald Trump, caratterizzata dal suo status di outsider, ha posto una sfida significativa a questo ordine costituito. La sua elezione nel 2016 è stata vista da molti come una rivolta populista contro le élite radicate di Washington. Tuttavia i meccanismi dello Stato profondo, o più precisamente, le incrostazioni burocratiche e le reti di lunga data, si sono dimostrati resilienti e pericolosamente efficaci. Non ha aiutato il fatto che molti degli individui sopra menzionati, insieme ad altri, siano rimasti a Washington in ruoli governativi o quasi governativi, lavorando attivamente per minare la prima presidenza Trump.

Il secondo mandato di Trump rappresenta un'opportunità unica per sfidare il sistema consolidato e potenzialmente apportare cambiamenti radicali nel panorama politico. Se sarà in grado di interrompere in modo permanente la continuità delle élite di Washington, o semplicemente causare un temporaneo cambiamento di potere, rimane incerto.

La sfida è certamente formidabile. L'inerzia istituzionale è profonda e le sofisticate reti di influenza, costruite nel corso di decenni con personaggi come Obama al timone, sono saldamente radicate, così come i complessi militari e di intelligence che operano dietro le quinte politiche. Il primo passo è assumere le persone giuste e su questo fronte sembra che le cose stiano andando nel verso giusto.

Non ci sarà un quinto mandato per Obama, almeno non per un po'. Il velo è stato sollevato e i repubblicani non cadono più negli stessi inganni. Anche la posizione politica di Obama ha subito un duro colpo dal suo sostegno alla candidatura disastrosa di Kamala Harris. Tuttavia ciò non significa che non tenterà di ritornare. La sua cordiale interazione con Trump al funerale del presidente Carter allude a un possibile complotto.

Anche se il nostro incubo nazionale potrebbe concludersi con l'uscita di scena di Biden e Obama, almeno per ora, dobbiamo restare vigili per garantire che la storia non si ripeta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'economia europea rallenta mentre cresce lo stato sociale

Lun, 17/02/2025 - 11:06

 

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Mihai Macovei

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/leconomia-europea-rallenta-mentre)

I Paesi europei hanno i più grandi stati assistenziali dell'OCSE e tra i più alti al mondo. Allo stesso tempo il dinamismo economico dell'Europa è svanito e i leader europei sono sempre più preoccupati a riguardo. Secondo Christine Lagarde, presidente della BCE, il modello sociale europeo è a rischio a meno che non si risolva il persistente declino della crescita. In una relazione recente Mario Draghi chiede con forza riforme e investimenti per rafforzare la crescita della produttività, mantenendo intatto lo stato assistenziale sovradimensionato del continente. Per gli economisti della Scuola Austriaca, questo suona come avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché le questioni della crescita economica e della ridistribuzione del reddito sono intrinsecamente collegate.

 

Il problema dell'Europa con la crescita anemica

La Lagarde riconosce che l'Europa è indietro rispetto agli Stati Uniti in termini di crescita della produttività. Di fronte al rapido progresso dell'innovazione, l'UE è rimasta bloccata nella “trappola della tecnologia intermedia”, mentre gli Stati Uniti e la Cina stanno guidando la rivoluzione digitale. L'Europa sta rimanendo indietro nelle tecnologie emergenti come i microchip, l'intelligenza artificiale e i veicoli elettrici e solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee.

La relazione di Draghi su “Il futuro della competitività europea” rivela che la crescita economica è stata inferiore nell'UE rispetto agli Stati Uniti negli ultimi due decenni. Il divario sfavorevole UE-USA in termini di PIL a prezzi costanti è raddoppiato da circa il 15% nel 2002 al 30% nel 2023. Circa il 70% del divario è stato causato da una minore produttività nell'UE (Grafico 1). Inoltre le prospettive di crescita dell'Europa non sono buone. Il continente gode di un'apertura commerciale relativamente elevata, ma ora deve affrontare una forte concorrenza da parte degli esportatori cinesi e potenziali dazi dagli Stati Uniti. In aggiunta le aziende dell'UE sono gravate da elevati costi energetici e i Paesi europei dovranno probabilmente spendere di più per la difesa, aggiungendo questi numeri a una spesa pubblica già elevata.

Grafico 1: Produttività del lavoro UE & USA

Fonte: Il futuro della competitività europea: relazione di Mario Draghi

Le soluzioni proposte da Draghi per stimolare la crescita della produttività e l'innovazione hanno poco a che fare con l'aumento della libertà economica. Esse mirano principalmente a centralizzare e rafforzare l'intervento statale e a mantenere in piedi il massiccio stato sociale.

Draghi chiede una nuova strategia industriale per l'Europa che dovrebbe essere coordinata a livello UE. Potrebbe aiutare a superare l'attuale divisione tra linee di politica e fonti di finanziamento tra i Paesi, ma non può risolvere il problema dell'allocazione inefficiente delle risorse e dei cattivi incentivi che le politiche industriali comportano. In modo simile la decarbonizzazione e la cosiddetta energia pulita non possono ridurre gli attuali costi energetici elevati senza un costo economico. Gli attuali impianti di produzione basati sui combustibili fossili sono più economici e la loro sostituzione aumenterebbe il costo di fare impresa.

La relazione sostiene inoltre che il rapporto investimenti/PIL dell'UE dovrebbe aumentare di circa €800 miliardi, o 5 punti percentuali del PIL all'anno, il che richiederebbe ingenti sussidi pubblici. Draghi sostiene la creazione di un asset sicuro comune, finanziato dal debito europeo congiunto. Sebbene più economico, il debito mutualizzato si aggiungerebbe comunque a un debito già elevato.

 

Uno Stato sociale grande e inefficiente

Al culmine della crisi dell'Eurozona nel 2012, la cancelliera tedesca Angela Merkel disse che gli stati sociali europei erano troppo grandi, poiché l'Europa rappresentava il 7% della popolazione mondiale, un quarto del PIL globale e il 50% della spesa sociale globale. Nel frattempo la situazione non è migliorata e la spesa sociale in molti Paesi europei ha superato di cinque-dieci punti percentuali la media OCSE (21% del PIL nel 2022). Secondo l'OCSE la spesa sociale pubblica in Francia, Finlandia, Danimarca, Belgio e Italia è vicina al 30% del PIL, trainata da pensioni, spesa sanitaria e altri trasferimenti sociali come indennità di disoccupazione, indennità di invalidità e assegni per i figli (Grafico 2).

Grafico 2: Spesa sociale pubblica (% del PIL)

Fonte: dati OCSE [OCSE]

Nonostante le sue dimensioni il modello sociale europeo è piuttosto inefficiente. La grande spesa per la protezione sociale nelle economie dell'UE non si traduce necessariamente in una riduzione della povertà. Secondo la Brookings Institution questo è particolarmente il caso delle economie dell'Europa meridionale, come Spagna, Grecia, Italia e Portogallo, dove la spesa sociale è piuttosto elevata, ma la copertura dell'assistenza sociale del 20% più povero della popolazione è relativamente bassa. Al contrario, i piccoli stati assistenziali dell'Europa centrale e orientale spendono circa la metà, ovvero meno del 15% del PIL, per la protezione sociale, ma ottengono una migliore copertura degli strati più poveri della popolazione.

Il Manhattan Institute fa un ulteriore passo avanti e sostiene che gli stati assistenziali in Europa non stanno aiutando i lavoratori poveri. I programmi universali di “assicurazione sociale” che consentono a tutti i membri della società di vivere uno stile di vita da classe media durante i periodi di disoccupazione, malattia o pensione, sono finanziati dalla maggior parte dei Paesi europei attraverso tasse piuttosto elevate sui salari e sui consumi. Negli stati assistenziali più grandi dell'UE i lavoratori a tempo pieno più poveri sono contribuenti netti, i quali sovvenzionano chi non lavora, cosa che non accade negli Stati Uniti. In Paesi come Germania, Danimarca e Paesi Bassi, la metà più povera della popolazione paga una quota molto più alta del proprio reddito in tasse rispetto al decimo più ricco. Ciò distorce gli incentivi al lavoro e rende tutti più poveri.


L'errore assistenzialista di Draghi

È un pio desiderio credere che il problema della crescita dell'UE possa essere risolto senza prima ridimensionare il sistema dispendioso di ridistribuzione del reddito dai lavoratori ai non lavoratori e ridurre l'onere fiscale. La spesa pubblica complessiva in Europa è anche tra le più grandi al mondo, circa il 50% del PIL. Più alto è il livello di spesa pubblica in percentuale del PIL, maggiore è l'onere fiscale complessivo, che sarà in gran parte distribuito dai ricchi alla classe media e a coloro che hanno mezzi modesti.

Nel suo capolavoro “Human Action” Ludwig von Mises confutò la fallacia secondo cui produzione e distribuzione sono due processi economici separati e indipendenti. Secondo gli economisti mainstream quando la produzione di beni e servizi è giunta a saturazione, lo stato può intervenire per garantire una distribuzione più “equa” del reddito nazionale tra i membri della società. A quanto pare ciò non peserebbe sulla produzione economica che è percepita come indipendente dalla successiva ridistribuzione pubblica dei redditi. Ecco perché la Lagarde e Draghi credono che l’Europa possa aumentare le sue performance di crescita indipendentemente dal modello sociale. Ma questo è sbagliato.

In un'economia di mercato, beni e servizi nascono come proprietà di qualcuno e se lo stato vuole ridistribuirli, deve prima confiscarli. Gli stati possono facilmente invadere i diritti di proprietà privata, ma questo non può rappresentare una solida base per una crescita economica sostenibile. Secondo Mises gli investimenti e l'accumulo di capitale si fondano sull'aspettativa che i loro frutti non vengano espropriati. Senza questa garanzia le persone preferirebbero consumare il loro capitale invece di salvaguardarlo per gli espropriatori. Le persone ridurrebbero i risparmi e gli investimenti e gli imprenditori correrebbero meno rischi. I lavoratori lavorerebbero meno ore e godrebbero di più tempo libero se guadagnassero meno su base netta. Ciò deprimerebbe la crescita economica e gli standard di vita sia per i ricchi che per i poveri.

Gwartney, Holcombe e Lawson lo hanno dimostrato empiricamente. Poiché la dimensione della spesa pubblica è quasi raddoppiata in media nei Paesi OCSE dal 1960 al 1996, la loro crescita del PIL reale è scesa di quasi due terzi in media. Inoltre i peggiori performer sono stati alcuni Paesi dell'Europa meridionale che hanno visto aumentare di più la dimensione dello stato (Grafico 3).

Grafico 3: Spesa pubblica e crescita economica nei Paesi OCSE

Fonte: James Gwartney, Randall Holcombe e Robert Lawson, (1998), L'ambito dello stato e la ricchezza delle nazioni, Cato Journal, 18, (2), 163-190.

La lenta crescita economica dell'Europa, la scarsa produttività e la scarsa innovazione sono solo sintomi dell'eccessiva spesa pubblica e dello stato sociale. In un breve commento alla relazione di Draghi, Blanchard e Ubide notano che i Paesi non devono necessariamente essere leader nell'innovazione per prosperare. Possono usare le innovazioni degli altri e continuare a produrre prodotti competitivi. Ma, secondo Mises, questo può accadere solo se gli stati consentono ai mercati di funzionare liberamente e non soffocano l'imprenditorialità individuale. Questo è il problema fondamentale che l'Europa dovrebbe risolvere per primo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Per non cadere divisi

Ven, 14/02/2025 - 11:11

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-non-cadere-divisi)

Il tessuto della società sembra più sfilacciato che mai. Ci ritroviamo sempre più separati, le nostre prospettive polarizzate e le nostre interazioni segnate da un'ostilità quasi tribale. Dalle ideologie politiche alle questioni sociali, dalle preferenze culturali alle politiche economiche, profonde fratture sembrano allontanarci dai nostri vicini, colleghi e persino familiari. Quelli che un tempo erano disaccordi si sono allargati in abissi apparentemente invalicabili, con ciascuna parte che vede l'altra non solo come fuorviata ma addirittura come una minaccia esistenziale.


Contesto storico e approfondimenti antropologici

L'amplificazione delle divisioni sociali non è un fenomeno nuovo, ma piuttosto una strategia secolare impiegata da chi è al potere. Nel corso della storia leader e gruppi influenti hanno riconosciuto la potenza di una popolazione fratturata. Il principio romano “divide et impera” (dividi e governa) riecheggia attraverso i secoli, trovando nuova espressione nel nostro mondo moderno e iperconnesso. Come vedremo, questa strategia secolare di divisione si manifesta oggi in varie forme.

Per comprendere la nostra attuale situazione difficile, dobbiamo approfondire le radici antropologiche della frammentazione sociale, in particolare il lavoro pionieristico di Margaret Mead e Gregory Bateson. La loro ricerca sulle società indigene in Papua Nuova Guinea, in particolare il loro concetto di schismogenesi, ovvero la creazione di fratture all'interno delle società, offre una lente affascinante e inquietante attraverso cui osservare il nostro panorama sociale moderno. Sebbene abbiano condotto una ricerca neutrale sulle dinamiche sociali, un'analisi più approfondita suggerisce che i loro studi potrebbero aver avuto uno scopo più insidioso, testando come le società potrebbero essere manipolate sfruttando le linee di faglia sociali. Questo lavoro fornisce un quadro cruciale per esaminare e combattere le forze che oggi lacerano la nostra coesione sociale.

L'opera fondamentale di Bateson, Steps to an Ecology of Mind, esplora il modo in cui individui e società sono plasmati da modelli di comunicazione, cicli di feedback e fratture interne. Nel contesto della loro ricerca, Mead e Bateson non si sono limitati a osservare il comportamento umano, ma lo hanno plasmato attivamente, applicando principi che avrebbero poi articolato nel loro lavoro accademico. Ciò solleva la preoccupante possibilità che la loro ricerca possa essere stata meno incentrata sulla comprensione delle culture indigene e più sul testare come la società potesse essere manipolata sfruttando le sue linee di faglia interne.

Il concetto di schismogenesi, sviluppato da Bateson, descrive un processo in cui una volta iniziata la separazione, questa si intensifica, creando un ciclo di feedback di opposizione che può fare a pezzi le società. Questo meccanismo di ampliamento della discordia non è confinato agli annali dell'antropologia: credo che sia uno strumento attivamente impiegato nel mondo odierno da vari attori, dai regimi autoritari alle agenzie di intelligence.

Le implicazioni del lavoro di Mead e Bateson si estendono ben oltre il loro contesto antropologico originale. Le loro osservazioni e teorie sulla schismogenesi forniscono una potente lente attraverso cui possiamo esaminare le attuali rotture sociali. Come vedremo, i meccanismi che hanno descritto nelle società indigene sono sorprendentemente simili alle forze divisive in gioco nel nostro mondo moderno, connesso digitalmente.


Manifestazioni moderne di disunità sociale

Vediamo questa manipolazione all'opera nella nostra società attuale, mentre le fratture si approfondiscono attraverso linee politiche, razziali e culturali. Le divisioni che sperimentiamo quotidianamente, siano esse politiche (sinistra contro destra), razziali (nero contro bianco) o culturali (urbano contro rurale), servono a indebolire la nostra forza collettiva. Inibiscono l'unità e rendono quasi impossibile affrontare la corruzione sistemica più ampia che ci colpisce tutti.

Un esempio lampante di questo fenomeno può essere trovato nella natura sempre più faziosa della politica americana. Il Pew Research Center ha documentato un crescente divario ideologico tra repubblicani e democratici negli ultimi due decenni. I loro studi rivelano che la quota di americani con opinioni costantemente conservatrici o costantemente liberal è più che raddoppiata dal 10% nel 1994 al 21% nel 2014, e al 32% nel 2017.

Questo scisma politico si manifesta in vari modi:

• Disaccordi politici: su questioni che spaziano dall'assistenza sanitaria ai cambiamenti climatici, i due partiti principali hanno sempre più opinioni diametralmente opposte.

• Distanziamento sociale: gli americani hanno meno probabilità di avere amici intimi o partner romantici del partito politico opposto. Nel 2016 il 55% dei repubblicani ha affermato che sarebbe stato infelice se il proprio figlio avesse sposato un democratico, rispetto al 17% del 1960. Per i democratici il numero è salito dal 4% al 47% nello stesso periodo.

• Consumo di media generalisti: conservatori e liberal tendono a informarsi da fonti diverse, rafforzando le proprie convinzioni. Nel 2021 il 78% dei democratici afferma di avere "molta" o "una certa" fiducia nelle organizzazioni giornalistiche nazionali, rispetto a solo il 35% dei repubblicani.

Queste divisioni rispecchiano gli ambienti manipolati studiati da Mead e Bateson decenni fa, che ora si manifestano sui social media.


Il ruolo dei media generalisti nell’intensificare le fratture sociali

Il ruolo dei media nel plasmare la percezione pubblica e nell'intensificare la discordia sociale non può essere sopravvalutato. Uno studio del 2021 intitolato “Prevalenza di parole che denotano pregiudizi nel discorso dei media: un'analisi cronologica” rivela una tendenza preoccupante nell'uso di un linguaggio incendiario da parte dei principali organi di informazione. Secondo suddetto studio i riferimenti a termini come “razzista”, “transfobico”, “sessismo” e “discriminazione di genere” sono aumentati esponenzialmente in pubblicazioni come il Washington Post e il New York Times sin dal 2012.

Questa ondata di linguaggio pregiudizievole potrebbe riflettere un conseguente aumento di casi di discriminazione e pregiudizio nella società. Tuttavia una possibilità più inquietante è che i media stiano plasmando la percezione pubblica e accrescendo la consapevolezza di questi problemi, fino al punto di enfatizzarli eccessivamente. Quest'ultima possibilità si allinea con il concetto di schismogenesi: evidenziando e amplificando costantemente questioni controverse, i media potrebbero contribuire inavvertitamente (o intenzionalmente) alle stesse fratture sociali di cui riferiscono.


Camere di eco digitali e bolle informative

Nell'era digitale le tattiche di dividi et impera vengono amplificate tramite piattaforme digitali, alimentando i nostri peggiori istinti per creare abissi sempre più profondi. Gli algoritmi rafforzano le nostre convinzioni esistenti, offrendoci contenuti che si allineano con le nostre opinioni predeterminate. Ciò crea camere di risonanza che consolidano il nostro dogma e rendono sempre più difficile sfidare o mettere in discussione le narrazioni che ci sono state propinate.

I nostri feed sui social media, le fonti di notizie scelte e i contenuti curati agiscono come filtri, plasmando la nostra percezione del mondo. Il risultato è una società frammentata in cui il dialogo oltre le linee ideologiche diventa sempre più raro e difficile.

La ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences ha scoperto che l'esposizione a opinioni opposte sui social media può effettivamente aumentare l'alienazione politica, contrariamente alla speranza che punti di vista diversi possano moderare posizioni estreme. Questa amplificazione digitale della discordia pone una sfida significativa alla coesione sociale nell'era moderna.


7 ottobre: ​​un catalizzatore per il riallineamento ideologico

Eventi recenti, come la tragedia del 7 ottobre, illustrano questa strategia di dividi et impera. Prima dell'attacco si stava formando una coalizione naturale di improbabili alleati: persone che erano state storicamente separate da linee politiche, razziali o culturali stavano iniziando a vedere attraverso la manipolazione. Questa coalizione si stava unendo per l'autonomia collettiva dell'umanità, passando oltre barriere di lunga data.

L'8 ottobre quell'unità si era frantumata. Molte persone che in precedenza avevano trovato un terreno comune nonostante le loro differenze, sarebbero improvvisamente tornate alle loro precedenti alleanze e posizioni consolidate. Indipendentemente dal loro punto di vista sull'attacco stesso o sulle successive reazioni, sostenendo una delle due parti o condannando del tutto la violenza, il risultato principale è stata la rapida disintegrazione delle alleanze che si stavano formando.

Molti di coloro che erano stati scettici nei confronti delle narrative ufficiali ora le avevano abbracciate con tutto il cuore, indicando i titoli dei media generalisti che avevano ridicolizzato per anni come se fossero vangelo. La velocità con cui le convinzioni radicate sulla sfiducia nei media sono evaporate è stata impressionante, così come il rapido ritorno ai campi ideologici preesistenti.

Questa improvvisa frattura dell'unità, nel giro di un giorno dall'attacco, è stato un esempio da manuale di quanto rapidamente le coalizioni possano essere smantellate quando la discordia viene abilmente manipolata. Ha dimostrato la fragilità delle alleanze formate attraverso le tradizionali linee di separazione e la facilità con cui le persone possono essere spinte di nuovo nelle loro zone di comfort ideologiche in tempi di crisi. L'evento in sé, sebbene tragico, è meno al centro dell'attenzione che la risposta della società, un rapido ritorno alle divisioni precedenti che minaccia la nostra capacità di mantenere l'unità di fronte alle avversità.


Tagliare il tessuto sociale

Le divisioni sono ovunque, si insinuano in ogni aspetto della vita: sinistra contro destra, vaccinati contro non vaccinati, pro-choice contro pro-life, attivisti del cambiamento climatico contro scettici del cambiamento climatico. Questi cunei, inquadrati come battaglie apocalittiche, vengono usati per distrarci e frammentarci. Il fenomeno è diventato così pervasivo che ora le persone tifano per le guerre come se fossero eventi sportivi, incitando i Paesi come se fossero squadre rivali in uno spettacolo grottesco di patriottismo desensibilizzato.

Questa strategia di separazione va oltre la creazione di semplici fazioni o campi opposti. L'obiettivo finale è la dissoluzione della società stessa. Sottolineando continuamente le nostre differenze e creando sottogruppi sempre più piccoli, questo approccio ci spinge verso un isolamento estremo. Mentre veniamo tagliati e sminuzzati in sottoinsiemi sempre più piccoli in base a identità o credenze sempre più specifiche, rischiamo di raggiungere un punto in cui ogni persona diventa un'entità isolata a sé stante.

Questa frammentazione non solo indebolisce la nostra forza collettiva e il nostro scopo condiviso, ma rende quasi impossibile affrontare questioni più ampie che ci riguardano tutti. È una strategia insidiosa che sfrutta la natura umana, facendo appello ai nostri innati istinti tribali e amplificando le nostre insicurezze. Il risultato è un percorso verso la completa atomizzazione sociale, dove la collaborazione diventa quasi impossibile.

Come abbiamo visto, la pervasività della discordia nella nostra società si estende ben oltre i disaccordi superficiali. Sta rimodellando le fondamenta stesse del modo in cui percepiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda, con profonde implicazioni per le nostre istituzioni democratiche.


La moderna caverna di Platone: la frammentazione della realtà

Nella nostra società sempre più frammentata, ci troviamo di fronte a un fenomeno preoccupante: la creazione di realtà multiple e isolate. Questa situazione ha una sorprendente somiglianza con il mito della caverna di Platone, ma con un tocco moderno. Nell'esposizione di Platone i prigionieri erano legati in una caverna, in grado solo di vedere ombre sul muro e credendo che questa fosse la realtà. Oggi ci troviamo in una situazione simile, ma invece di una singola caverna, ognuno di noi abita le proprie caverne di informazioni personali.

A differenza dei prigionieri di Platone, non siamo fisicamente incatenati, ma gli algoritmi che ci forniscono informazioni su misura per le nostre convinzioni esistenti creano legami invisibili che sono altrettanto forti. Questo effetto da camera di eco digitale significa che viviamo tutti nella nostra versione della caverna di Platone; ognuno vede un diverso insieme di ombre e le scambia per verità universali.

Le implicazioni per una repubblica funzionante sono profonde e preoccupanti. Come possiamo impegnarci in un dibattito democratico quando non riusciamo nemmeno a concordare sui fatti basilari della nostra realtà condivisa? Questa frammentazione della verità pone una sfida critica alle fondamenta stesse della società democratica, rendendo quasi impossibile trovare un terreno comune o lavorare verso soluzioni collettive.

La forza di una repubblica risiede nella sua capacità di riunire diverse prospettive per forgiare un percorso comune. Tuttavia questa forza diventa una debolezza quando i cittadini non condividono più un quadro di realtà di base entro cui discutere e prendere decisioni.

Per salvare la nostra repubblica è fondamentale riconoscere l'importanza di stabilire e mantenere un quadro comune di comprensione. Ciò non significa che dobbiamo essere tutti d'accordo su tutto: il sano disaccordo è, dopotutto, la linfa vitale della democrazia. Significa invece che dobbiamo trovare modi per concordare sui fatti di base, condividere fonti di informazione che tutti riteniamo credibili e impegnarci in dibattiti in buona fede fondati su una realtà condivisa. Senza questo terreno comune, rischiamo la continua erosione delle nostre istituzioni democratiche e l'ulteriore frammentazione della società.

Sapendo quanto è alta la posta in gioco, è chiaro che non possiamo restare passivi di fronte a queste forze divisive. Dobbiamo adottare misure attive per colmare le lacune tra le nostre realtà individuali e ricostruire una base condivisa per il dibattito democratico. Ma come possiamo iniziare a liberarci dalle nostre caverne individuali e lavorare verso una comprensione più unitaria del mondo?


Resistere alla discordia sociale

Riconoscere l'intrappolamento in queste caverne digitali individuali è il primo passo verso la liberazione. Per resistere alla discordia sociale che minaccia di separarci in modo permanente, dobbiamo lavorare attivamente per smantellare i muri delle nostre prigioni virtuali. Questo compito, sebbene scoraggiante, è cruciale per la preservazione della nostra realtà condivisa e del dibattito democratico.

In questo mondo fratturato nessuno verrà a salvarci: gli unici eroi rimasti siamo noi stessi. Per combattere queste forze antagoniste, dobbiamo adottare diverse misure critiche. Innanzitutto dobbiamo prestare maggiore attenzione al mondo che ci circonda, chiedendoci costantemente chi trae vantaggio dagli scismi che vediamo. L'antica domanda “Cui bono?” non è mai stata così rilevante.

Mentre ci muoviamo nel complesso panorama dei media e delle informazioni moderni, dobbiamo diventare consumatori più critici. È fondamentale chiedersi perché ci vengono dette certe cose e considerare come queste informazioni potrebbero plasmare la nostra visione degli altri e della società in generale. Questo pensiero critico è la nostra prima linea di difesa contro la manipolazione.

Inoltre dobbiamo resistere alle tattiche di frammentazione sociale. Ciò significa rifiutarci di essere divisi e riconoscere che il vero nemico non è il nostro vicino, ma piuttosto i sistemi che sfruttano queste separazioni per mantenere il controllo. È fin troppo facile cadere nella trappola di vedere coloro che non sono d'accordo con noi come avversari, ma dobbiamo resistere a questa tentazione.

Nonostante le nostre differenze, è fondamentale che cerchiamo un terreno comune con coloro che percepiamo come diversi da noi. Ciò non significa abbandonare i nostri principi, ma piuttosto cercare attivamente valori e obiettivi condivisi. Spesso scopriremo di avere più cose in comune con i nostri presunti “avversari” di quanto pensassimo inizialmente.

Infine dobbiamo promuovere l'alfabetizzazione mediatica, sia per noi stessi che per gli altri. Comprendendo come i media possono plasmare le percezioni e intensificare la discordia, possiamo proteggerci meglio dai suoi effetti provocatori. Questa istruzione è fondamentale in un'epoca in cui l'informazione, e la disinformazione, sono più abbondanti che mai.

Intraprendendo questi passi, prestando attenzione, pensando in modo critico, resistendo alla divisione, cercando un terreno comune e promuovendo l'alfabetizzazione mediatica, possiamo sperare di creare una società più unita e resiliente. La strada da seguire non sta nel soccombere a scismi creati ad arte, ma nel riconoscere la nostra umanità condivisa e i nostri interessi comuni. È una strada impegnativa, ma che dobbiamo percorrere se vogliamo superare le forze che cercano di tenerci divisi e reclamare la realtà comune, essenziale per la sopravvivenza della nostra repubblica democratica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Bitcoin FUD: 6 tesi comuni degli scettici durante i mercati rialzisti

Gio, 13/02/2025 - 11:00

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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da CoinTelegraph

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-fud-6-tesi-comuni-degli-scettici)

Fin dalla sua nascita Bitcoin ha dovuto affrontare un'opposizione implacabile alimentata da paura, incertezza e dubbio, o anche etichettato con l'acronimo FUD. I critici denunciano regolarmente Bitcoin come qualcosa di volatile, insostenibile, o uno strumento per il crimine.

Queste narrazioni riemergono a ogni mercato rialzista, spesso scoraggiando i nuovi arrivati. Dan Held, un importante sostenitore di Bitcoin, ha affermato: “I detrattori cercano di far fronte al fatto di aver perso il treno razionalizzando il motivo per cui fallirà attraverso 'Paura, incertezza e dubbio'”. Ma quanta verità contengono queste argomentazioni?

Una volta liquidato come un progetto di nicchia, Bitcoin è ora abbracciato da istituzioni finanziarie, investitori e persino politici. Tuttavia lo scetticismo persiste, con i critici che mettono in dubbio il suo valore, il consumo di energia e l'utilità sociale.

Ecco alcune tesi legate al FUD che emergono ogni volta che Bitcoin va bene.


Bitcoin non ha alcun valore

Tra i critici più accaniti di Bitcoin ci sono il leggendario investitore Warren Buffett e il defunto Charlie Munger.

Buffett definì Bitcoin “veleno per topi al quadrato”, sostenendo che non avesse alcun valore perché non genera guadagni o dividendi. Munger fece eco a queste affermazioni, descrivendo Bitcoin come “disgustoso” e il suo sviluppo “contrario agli interessi della civiltà”.

“Odio il successo di Bitcoin”, disse Munger.

Bitcoin esiste dal 2008 e il suo valore è cresciuto notevolmente, diventando l'asset con le prestazioni più elevate nell'ultimo decennio.

Le performance di Bitcoin rispetto a importanti asset del mercato tradizionale nell'ultimo decennio. Fonte: CoinGecko

Held ribatte a queste argomentazioni affermando che non ha senso criticare Bitcoin perché non ha alcun valore “quando la valuta fiat non ha assolutamente alcun valore”.

Il 10 gennaio 2018 gli economisti Aleksander Berensten e Fabian Schär scrissero, in un articolo di revisione per la Federal Reserve: “Bitcoin non è l'unica valuta che non ha alcun valore intrinseco. Anche le valute di monopolio statale, come il dollaro statunitense, l'euro e il franco svizzero, non hanno alcun valore intrinseco. La storia delle valute monopolistiche di stato è una storia di forti oscillazioni di prezzi e fallimenti [...] ecco perché le criptovalute decentralizzate sono un'aggiunta gradita al sistema monetario esistente”.

Il valore di un asset è astratto, poiché dipende dalla percezione delle persone. La scarsità, l'utilità e la tecnologia di Bitcoin ne sostengono il valore.

Bitcoin ha un'offerta limitata di 21 milioni di coin, il che gli ha fatto guadagnare il soprannome di “oro digitale”. L'interesse istituzionale, come i fondi negoziati in borsa (ETF), ha consolidato la sua posizione come riserva di valore, poiché è raro per progettazione.


Bitcoin è solo una mania come quella dei tulipani

La rapida crescita del prezzo di Bitcoin ha portato molti a paragonarlo a bolle finanziarie come il crollo delle dot-com o la mania olandese dei tulipani del XVII secolo.

Held non è d'accordo: “Bitcoin non è un tulipano. Fornisce al mondo il miglior deposito digitale di valore mai creato, consentendo alle persone di conservarlo e rendendone arduo il sequestro e la trasmissione a chiunque altro senza permesso”.

Nel 2017 l'amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon, criticò duramente Bitcoin, definendolo una “frode”. Nel 2018 affermò che Bitcoin era “peggio dei bulbi di tulipano”.

Da allora ha attenuato le sue osservazioni e ritirato alcune delle sue critiche. Durante una chiamata sui guadagni di JPMorgan nel 2021, Dimon ha osservato che “le mode in genere non durano 12 anni”.

Nel maggio 2024 sono emerse segnalazioni secondo cui JPMorgan aveva investito in Bitcoin tramite gli ETF spot e la banca aveva persino creato la propria valuta digitale, JPM Coin.

Sin dalla sua creazione, Bitcoin ha sperimentato costanti trend al rialzo caratterizzati da ondate cicliche. A differenza delle famigerate bolle finanziarie, non ha affrontato un crollo catastrofico che ha svalutato in modo permanente l'asset.

Confronto dal novembre 2020 tra Bitcoin, tulipani, South Sea Company e la bolla dotcom. Fonte:  James Todaro


Bitcoin è uno strumento per il riciclaggio di denaro

Bitcoin viene spesso attaccato per il suo presunto ruolo in attività illecite. La senatrice degli Stati Uniti, Elizabeth Warren, lo ha descritto come uno “strumento per il riciclaggio di denaro” e ha chiesto normative più severe per reprimere gli asset digitali.

Tuttavia la blockchain di Bitcoin è completamente trasparente, il che rende le attività illecite più facili da tracciare rispetto al denaro contante.

Inizialmente i criminali lo vedevano come un ottimo strumento per nascondere le loro attività illegali, ma hanno imparato rapidamente che usare la tecnologia di un registro trasparente non era così buono per i loro affari. Bitcoin è pseudoanonimo. Gli account sono anonimi, ma se uno di essi è collegato a un'identità, la sua cronologia e i suoi movimenti finanziari saranno esposti.

“Il problema risiede nei soldi fiat, non in Bitcoin o nelle criptovalute, i quali operano per lo più su registri trasparenti che rendono difficile nascondere i fondi”, ha affermato Held.

Detto questo, ci sono servizi che possono oscurare i movimenti di Bitcoin e favorire attività illecite. Servizi come mixer e tumbler, specializzati nell'oscurare il flusso di fondi, hanno visto un aumento delle attività di riciclaggio di denaro, secondo la società di analisi dei dati blockchain Chainalysis.


Bitcoin ha fame di energia

La rete Bitcoin utilizza la proof-of-work (PoW) come meccanismo di consenso, in cui i miner risolvono complessi enigmi matematici per convalidare le transazioni e proteggere la rete in cambio di ricompense.

Inizialmente chiunque avesse un computer portatile poteva minare Bitcoin, ma con l'aumento della concorrenza sono state create strutture di mining su larga scala, rendendolo un processo ad alto consumo energetico.

Le preoccupazioni sono legittime poiché, secondo l'indice di consumo di elettricità dell'Università di Cambridge, il consumo energetico di Bitcoin è superiore al consumo energetico annuale dell'Egitto e sta per superare quello del Sudafrica.

Grafico del consumo energetico nazionale e Bitcoin. Fonte: University of Cambridge

Held ha affermato che la PoW è un modello energetico efficiente. Ha criticato coloro che si lamentano del consumo energetico di Bitcoin senza “confrontarlo con il consumo energetico dell'estrazione dell'oro, del sistema finanziario, dei governi, dei tribunali, degli eserciti” o dei modelli generativi di intelligenza artificiale come ChatGPT.

Negli ultimi anni il mining di Bitcoin si è spostato sempre di più verso l'uso di energia verde. Le dinamiche della PoW spingono i miner a cercare le fonti di energia più economiche possibili e, poiché il mining è indipendente dalla posizione, i miner possono muoversi a livello globale.

Una delle fonti energetiche più convenienti è l'energia rinnovabile e i miner se ne sono accorti.

Una nuova ricerca ha dimostrato che il mining di Bitcoin potrebbe potenzialmente dare una spinta alla transizione verso l'energia rinnovabile. I ricercatori affermano che monetizzare l'energia in eccesso raccolta dalle rinnovabili potrebbe generare centinaia di milioni di dollari di entrate, grazie al mining di Bitcoin.

Il 12 maggio 2021 Elon Musk ha ordinato a Tesla di smettere di offrire Bitcoin come mezzo di pagamento per i suoi veicoli elettrici, poiché era preoccupato per i suoi effetti sull'ambiente. Il 13 giugno 2021 Musk ha affermato che Tesla avrebbe consentito nuovamente le transazioni BTC una volta che fosse stato sicuro che almeno il 50% dell'energia utilizzata dai miner fosse pulita e avesse un trend futuro positivo.

Secondo l'analista di dati blockchain, Willy Woo, e il sostenitore di Bitcoin e ambientalista, Daniel Batten, l'utilizzo di energia rinnovabile da parte di Bitcoin è vicino al 57%; tuttavia Musk non ha reagito di fronte a questi nuovi numeri.

La mancanza di trasparenza nei dati del mining rimane una sfida continua. Batten sostiene che i media generalisti pubblicano spesso informazioni fuorvianti sull'impatto ambientale di Bitcoin, basandosi su studi scarsamente documentati o “scienza spazzatura”.

Batten ha osservato un crescente cambiamento nel sentimento dei media generalisti, con molti organi di informazione che adottano una posizione più favorevole, o neutrale, nei confronti del mining di Bitcoin mentre conducono indagini più approfondite sull'argomento.


Q-day: Bitcoin è sotto minaccia quantistica

Internet si basa su protocolli di crittografia per proteggere i dati, con la National Security Agency statunitense che ha impostato la crittografia AES a 256 bit come standard. Bitcoin utilizza questa stessa crittografia per i suoi wallet, ma molti affermano che un futuro computer quantistico potrebbe facilmente violare questa crittografia, compromettendo la sicurezza di Bitcoin.

Con ogni svolta nell'informatica quantistica, i mercati delle criptovalute vengono inondati da FUD e affermazioni secondo cui Bitcoin potrebbe diventare un bersaglio facile.

Il 10 dicembre 2024 Google ha presentato il suo nuovo chip di calcolo quantistico, Willow. Si suppone che possa risolvere problemi computazionali in meno di cinque minuti, mentre l'informatica tradizionale impiegherebbe 10 settiliardi di anni.

Le preoccupazioni riguardo la “minaccia quantistica” trascurano un punto cruciale: un computer quantistico in grado di violare la sicurezza di Bitcoin probabilmente prenderebbe di mira honeypot molto più grandi, come i sistemi bancari tradizionali, prima di Bitcoin.

Held ha affermato che Bitcoin è già pronto per un simile attacco e che, nel caso di una reale minaccia quantistica, basterebbe semplicemente aggiornarne il protocollo: “I computer quantistici sono ancora in gran parte sperimentali; sapremo con largo anticipo quando saranno utilizzabili”.


La storia infinita di Tether

USDT di Tether, la più grande stablecoin per capitalizzazione di mercato e una coppia di trading comune con Bitcoin, è una delle fonti più significative di FUD correlato a Bitcoin. I critici sostengono che le riserve di Tether mancano di trasparenza, alimentando i timori di un crollo.

La controversia è iniziata anni fa, quando Tether fu accusata di aver emesso USDT senza un'adeguata copertura, per manipolare i prezzi di Bitcoin durante i rally di mercato. La questione si è intensificata nel 2021 dopo che la società ha rivelato che solo una parte delle sue riserve era detenuta in contanti, mentre il resto era in cambiali commerciali, prestiti garantiti e altri asset.

Nonostante gli sforzi di Tether per migliorare la trasparenza, gli scettici rimangono poco convinti. Sostengono che il predominio di Tether nel trading di criptovalute e l'assenza di un audit completo di terze parti presentino rischi sistemici.

Justin Bons, fondatore del fondo di criptovalute CyberCapital, ha affermato che queste preoccupazioni coinvolgono molti investitori in criptovalute e afferma che un crollo di Tether potrebbe essere “una delle più grandi minacce esistenziali per le criptovalute nel loro complesso”.

Held ha affermato che è a dir poco assurda l'idea che il fallimento di Tether possa danneggiare Bitcoin, visto che il primo rappresenta solo il 10% della capitalizzazione di mercato del secondo. Held ha aggiunto che la vera preoccupazione dovrebbe essere rivolta a Ethereum e al suo ecosistema di finanza decentralizzata (DeFi): “Se Tether diventasse inutile causerebbe un enorme terremoto strutturale nell'ecosistema di Ethereum”.

Il crollo di USDT sarebbe catastrofico, ma Held ha ricordato che Bitcoin alla fine sopravvivrebbe, proprio come è successo negli ultimi 12 anni attraverso crisi come l'hacking di Mt. Gox, la chiusura di Silk Road, il divieto cinese al mining e la guerra civile di Bitcoin con Bitcoin Cash.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Saccheggiati dal denaro fiat

Mer, 12/02/2025 - 11:10

Il cappello di oggi è necessario per colmare un gap di consapevolezza: per quanto sia necessario arrivare a un mondo in cui il denaro sia quanto di più disintermediato da poteri centrali, allo stato attuale la FED è quanto di più vicino a qualcosa che possa aprire a un mondo del genere. Se, ad esempio, fosse stata abolita durante l'amministrazione Biden, e il Dipartimento del Tesoro avesse potuto stampare denaro direttamente, vivremmo in un mondo in cui la cricca di Davos avrebbe preso il sopravvento. In un mondo fatto di questi colossi, la persona media può solo auspicarsi una lotta interna tra di essi per aspirare a un cambiamento. Infatti c'è la concreta possibilità, adesso che ha ripreso il controllo sulla politica monetaria della nazione, che la FED possa essere regionalizzata nelle sue 12 succursali regionali, in modo da distribuire il potere e impedirne la cattura da agenti avversi alle sorti della nazione come è quasi accaduto nel 2021 quando Powell rischiava di non essere riconfermato. È sacrosanta l'abolizione del sistema bancario centrale, ma per farlo bisogna avere chiaro in mente in che mondo si vive. Le tesi di Tucker sono giuste, ma sono il punto “B”; dal punto “A” c'è un intermezzo che non può essere lasciato al caso. Lo stesso discorso possiamo farlo coi dazi. Partiamo dal fatto che sono una tassa e, in quanto tale, distorcono le informazioni di mercato. Questo, però, a patto che stiamo parlando di un libero mercato e un'economia di pace. Ciò infatti è stato vero fino al 2017, picco della globalizzazione. Ora è un mondo diverso, in guerra commerciale ed economica, in cui la contrazione degli intermediari finanziari, prima, e quelli commerciali, poi, sono strumenti per “far sanguinare” l'avversario. Nel Capitolo 16 del mio ultimo libro, “Il Grande Default”, ho esposto i motivi per cui Europa e USA sono ai ferri corti. Gli Stati Uniti hanno la possibilità di sfruttare la loro indipendenza energetica e l'onshoring delle industrie americane precedentemente all'estero. Non sottovalutate nemmeno la retorica positiva alimentata da slogan come “andremo su Marte!”, utile a sostenere una percezione ottimista sul futuro e di conseguenza un abbassamento della preferenza temporale delle persone (con conseguente abbassamento dei tassi reali). Ciò crea la forte possibilità di ridurre il deficit commerciale della nazione e le contromisure a nuove fiammate dell'inflazione dei prezzi (maggiore produzione e stipendi più alti). In questo contesto i dazi americani fanno più male all'Europa che agli USA stessi. Immaginate se l'UE risponda tassando le importazioni della Apple: dall'oggi al domani un Iphone costerebbe il triplo e l'intero continente sprofonderebbe nell'obsolescenza tecnologica. Tempo una manciata di mesi e la Commissione europea farebbe marcia indietro con la coda tra le gambe. Senza più accesso al mercato dell'eurodollaro, senza più carry trade sullo yen e con la prospettiva di perdere il proprio surplus commerciale, all'Europa non rimane altro che la preghiera. È un lento strangolamento per condurre al tavolo delle trattative l'avversario, affinché il coltello dalla parte del manico ce l'abbiano gli USA. Il dollaro, quindi, rimarrà ancora forte a fronte di un euro sempre più debole. A meno che... i singoli Paesi non stringano accordi bilaterali nazionali con gli USA staccandosi ufficiosamente, e poi anche ufficialmente, dal cancro europeo.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/saccheggiati-dal-denaro-fiat)

Il popolo americano pagherà un prezzo alto per le elezioni presidenziali del 2024 e probabilmente per anni. Non parlo dei risultati che hanno stupito il mondo; parlo del tentativo di manipolare i risultati attesi iniziato più di un anno prima.

Non sarà qualcosa che si presenterà sotto forma di tasse più alte. Sarà inflazione, un'altra forma di tassazione.

Il problema della svalutazione del dollaro avrebbe potuto essere ormai risolto, ma no. Tutto dimostra che l'amministrazione Biden, al servizio di altri interessi e preoccupata solo di aumentare la spesa pubblica, ha creato ingenti flussi di denaro a partire dal 2023 per accrescere le sue possibilità di rielezione. Non ha funzionato e ora siamo bloccati con il conto.

Certo, non c'è mai stata una volontà politica esplicita di tutto ciò, ma quanto ho detto sopra è un'interpretazione ragionevole del motivo per cui la Federal Reserve ha cambiato posizione sul rubinetto monetario nel 2023 e negli anni successivi.

Non c'è mai stata una giustificazione credibile a sostegno. L'inflazione aveva già devastato produttori e consumatori. La priorità era tenerla sotto controllo, invece è stato fatto l'opposto, rischiando così una seconda ondata che potrebbe essere appena iniziata.

Gli ultimi dati sui prezzi alla produzione e al consumo sembrano pessimi: un'inversione di tendenza radicale rispetto al calo, che rivela un riaccendersi del problema.

Ora che il presidente Donald Trump ha iniziato i suoi lavori, i media generalisti e il Bureau of Labor Statistics stanno improvvisamente diventando più disponibili a parlare del problema. L'inflazione è al 3%, o il 50% in più rispetto all'obiettivo ufficiale. La stima minima delle perdite di potere d'acquisto dal 2020 è di 23 centesimi a dollaro. Le stime reali sono più vicine ai 30 centesimi. La realtà, a seconda di cosa si acquista, sentenzia un numero molto più alto.

Non ci sono dubbi sulla fonte del problema. Non sono i droghieri che fanno la cresta sui prezzi, non sono i consumatori avidi, non sono i fornitori opportunisti, non sono nemmeno le restrizioni alla produzione di energia.

Sono gli stampatori di denaro a Washington che hanno dispiegato i loro poteri al servizio di un Congresso che ha speso senza freni, come se tutte le risorse di capitale apparissero come per magia. L'ondata di debiti ha concesso alla FED un portafoglio enorme per fare politica.

Basta osservare la relazione tra M2, la rappresentazione più accurata della massa monetaria che abbiamo, e l'indice dei prezzi al consumo. La relazione è impossibile da negare sia in termini di dati che di teoria. Non è complicato in realtà, ma richiede solo un po' di riflessione.

Thomas Massie fa l'esempio di 10 mele e 10 dollari, in un'economia in cui tutto il denaro viene speso. Ogni mela costa un dollaro. Se la massa monetaria raddoppia, ogni mela costa due dollari, e così via. È un esempio semplice, ma rende l'idea. Nel mondo reale c'è un ritardo tra causa/effetto tra 12 e 18 mesi. Nel caso attuale il ritardo raggiunge quasi esattamente il traguardo dei 12 mesi.

Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed

Niente di tutto questo è un mistero. L'odio per la stampa di cartamoneta risale alle fondamenta stesse della nazione. Thomas Paine ne scrisse ampiamente. Era un oppositore della tirannia e una persona molto riflessiva e brillante. Lesse molto sulla storia e la teoria economica, così come si presentavano ai suoi tempi:

• “Non so perché dovremmo essere così affezionati alla cartamoneta; non ha alcun valore intrinseco e non è denaro, ma una promessa di pagamento”.

• “La cartamoneta è come bere un bicchierino, ti risolleva il morale per un momento con l'inganno”.

• “I mali della cartamoneta non hanno fine. È una truffa ai danni del popolo e il fondamento di tutte le altre truffe”.

Le sue opinioni erano ampiamente condivise tra i Padri fondatori. Quando fu scritta la Costituzione, includeva una clausola che richiedeva agli stati (che gestivano il denaro) di usare solo oro e argento riguardo la monetazione. Quella clausola fu a lungo dibattuta dai tribunali e alla fine i sostenitori della cartamoneta trovarono un modo per aggirarla, tramite varie dichiarazioni di emergenza e sospensioni. Il gold standard fu ripristinato dopo la Guerra civile, ma sospeso più e più volte. Alla fine la copertura in metallo fu completamente rimossa.

Per molto tempo, tra il 1933 e il 1974, era illegale persino possedere oro per scopi d'investimento. Ciò cambiò e poi gli Stati Uniti ricominciarono a coniare monete d'oro, ma non come parte della linea di politica ufficiale sulla moneta. Sono ormai relegate a oggetti da collezione, molto belle, ma non utilizzabili come denaro a corso legale. Il legame tra la politica monetaria statunitense e l'oro è completamente spezzato.

L'ideale sarebbe ripristinarlo. Problema: nessuno sa davvero come ciò potrebbe accadere. Non esiste un vero piano per arrivare dal punto A al punto B. Gli Stati Uniti dovrebbero possedere grandi quantità di oro e ci dovrebbe essere un rapporto di cambio fisso, e questo dovrebbe riguardare non solo loro ma anche l'estero. La decisione da sola causerebbe un rimpatrio di massa di dollari ed esaurirebbe le scorte di oro in un giorno.

In breve, i problemi pratici associati al ripristino di un autentico gold standard sono inconcepibilmente enormi. Un problema ancora più grande è trovare la volontà politica per farlo. Entrambe le parti traggono vantaggio dal sistema monetario cartaceo e dalla politica monetaria flessibile, per la quale il cittadino statunitense alla fine paga il prezzo più alto.

Ci sono altri percorsi verso una moneta sana/onesta. La massa monetaria potrebbe essere congelata all'istante, ma ciò indurrebbe una deflazione su una scala che sarebbe considerata intollerabile. Io non penso che questa sarebbe una cosa negativa. Un crescente potere d'acquisto della moneta andrebbe a vantaggio delle persone comuni, ma la classe degli esperti non è d'accordo mettendo in guardia da una terribile recessione. E la realtà probabilmente confermerebbe questa previsione.

Il problema è che l'economia statunitense e, in realtà, l'economia mondiale, sono profondamente dipendenti dal finanziamento tramite debito. Porre fine a tutto questo sarebbe molto doloroso dal punto di vista economico. La volontà politica per farlo semplicemente non c'è.

La soluzione veramente costituzionale sarebbe quella di restituire ogni responsabilità per la politica monetaria ai singoli stati, abolendo il sistema bancario centrale. Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti potrebbe coniare la propria moneta, ma ciò porrebbe pericoli a sé stanti. Se e in quale misura tali pericoli sarebbero gravi quanto quelli della FED è un'altra questione.

Nel breve termine la soluzione è semplicemente quella di costringere quest'ultima a smettere di fare politica con i suoi poteri monetari. I tassi d'interesse dovrebbero essere completamente liberati dall'interventismo centrale. Le operazioni di mercato aperto e l'acquisto e la vendita di debito dovrebbero cessare del tutto. Il resto si risolverebbe da sé.

Gli economisti che rispetto suggeriscono una regola quantitativa che legherebbe la politica monetaria alla produzione. Mentre questa soluzione sembra buona sulla carta, misurare la produzione in modo accurato non è più un compito così facile. I numeri del PIL, allo stato attuale, sono molto vaghi, così come i numeri sul tasso d'inflazione stesso. Senza numeri precisi, la capacità della FED di condurre una politica monetaria in modo scientifico evapora nella pratica.

Speriamo che la nuova amministrazione Trump alla fine si decida ad affrontare il problema dell'inflazione della cartamoneta. Potrebbe doverlo fare, dato che il rischio reale di una seconda ondata di inflazione condannerebbe letteralmente la sua eredità politica.

Spero che qualcuno nell'amministrazione Trump stia ascoltando: come minimo, la FED deve interrompere il suo quantitative easing e impegnarsi in una politica di stabilizzazione monetaria. Sì, potremmo trovarci di fronte a una recessione tecnica e questo è politicamente pericoloso, ma una continuazione dell'inflazione lo è ancora di più.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Perché gli USA crescono mentre l'UE rallenta: la ricetta di Adam Smith

Mar, 11/02/2025 - 11:08

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di David Hebert

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-gli-usa-crescono-mentre-lue)

Cosa spiega la curiosa mancanza di progressi economici nell'UE negli ultimi 16 anni?

Nel 2008 le economie dell'Unione Europea e degli Stati Uniti erano più o meno uguali in termini di PIL. Facendo un salto in avanti attraverso una crisi finanziaria globale e una pandemia, l'economia degli Stati Uniti è quasi raddoppiata mentre quella dell'Europa è cresciuta a malapena. Come possiamo spiegarlo?

Una risposta è il problema lampante nel confrontare il PIL dell'UE nel 2008 con il PIL dell'UE nel 2023: la Brexit. Dobbiamo ricordarci che il PIL è definito come il valore di tutta la produzione che avviene all'interno di un'economia. Nel 2016 l'UE ha perso la sua seconda economia più grande e con essa una parte significativa del suo PIL complessivo. Tuttavia con un PIL compreso tra $2.500-3.000 miliardi, l'uscita della Gran Bretagna dall'UE non può, da sola, spiegare il divario di quasi $10.000 miliardi.

Innanzitutto dobbiamo ricordare a noi stessi che la ricchezza non è qualcosa che avviene automaticamente, elargita dall'alto come se fosse manna dal cielo. Deve essere creata attraverso gli sforzi consapevoli di lavoratori, dirigenti aziendali e imprenditori. Avrete notato un gruppo di persone che manca a questa lista: i politici. Nonostante le loro affermazioni contrarie, essi non possono creare ricchezza. Tuttavia il loro ruolo in questo processo non può essere sottovalutato, poiché esercitano il potere simultaneo di promuoverla e inibirla.

Adam Smith ci fornì il modello per la crescita già nel lontano 1776: “Poco altro è necessario per portare uno stato al più alto grado di opulenza dalla più bassa barbarie: pace, tasse basse e un'amministrazione tollerabile della giustizia; tutto il resto è determinato dal corso naturale delle cose”.

Confrontando gli Stati Uniti e l'Unione Europea su questi aspetti emergono delle differenze sostanziali.


Pace

Classificare l'attuale clima degli Stati Uniti come “pacifico” risulterebbe poco sincero, soprattutto considerando le sparatorie, gli omicidi e il ciclo elettorale bellicoso. Infatti “ridurre la criminalità” è una preoccupazione crescente per tutti gli americani in tutto lo spettro politico. È interessante notare che i tassi di criminalità sono crollati drasticamente negli ultimi decenni. Nonostante le crescenti preoccupazioni, gli americani non sono mai stati così al sicuro nelle loro case e nelle loro comunità.

A livello internazionale gli USA sono più impegnati in modo pacifico di quanto non lo siano stati negli ultimi decenni. Non sono attualmente impegnati in nessun combattimento diretto su larga scala. Nella misura in cui gli USA sono coinvolti in Ucraina o nella guerra Israele-Hamas, lo sono attraverso il sostegno politico, gli aiuti economici, l'intelligence militare e il supporto diplomatico. In altre parole, sono impegnati in attività di supporto, non di combattimento.

Guardando all'UE vediamo risultati simili. I tassi di criminalità, in generale, sono per lo più diminuiti in tutta l'Unione, con qualche variazione tra i vari Paesi. Tuttavia va notato che i tassi di alcuni crimini sono aumentati negli ultimi anni e alcuni sono diminuiti solo leggermente, e non si sono avvicinati ai livelli a cui sono scesi negli Stati Uniti.

Vantaggio: Stati Uniti


Tasse basse

“Tasse basse” potrebbe essere interpretato in molti modi, quella più ovvia sarebbe la pressione fiscale complessiva. Poiché l'UE è composta da tanti Paesi diversi, ognuno dei quali ha la propria costellazione di linee di politica, i confronti diretti possono essere difficili da fare. Guardando alle aliquote massime riguardanti l'imposta sul reddito marginale, gli Stati Uniti arrivano a circa il 42,3%. I Paesi nell'UE vanno dal 55,9% (Danimarca) al 10% in Romania e Bulgaria, con una media del 42,8%. Su questa dimensione le tasse sembrano essere più o meno simili.

Si potrebbero anche prendere in considerazione i costi di conformità e se avvantaggiano in modo sproporzionato i clientes politici o le grandi aziende. In questo caso entrambi i Paesi vanno male. La Camera di commercio degli Stati Uniti ha riferito nel 2024 che il 73% delle piccole imprese ha trascorso “molto” o “una discreta quantità” di tempo su questioni relative alla conformità fiscale. Lo stesso Parlamento europeo, in una relazione del 2023 ammette la stessa cosa, affermando che “le piccole imprese sono gravate da costi di conformità relativamente maggiori. Tale onere aggiuntivo non sembra derivare da agevolazioni speciali per le piccole imprese, ma piuttosto dalla progettazione generale del sistema fiscale”. Le piccole imprese in genere non hanno accesso a un team interno di esperti fiscali in grado di gestire gli oneri amministrativi e di conformità di un sistema fiscale.

Infine potremmo anche prendere in considerazione se le tasse vengono applicate in modo equo. In questo contesto “equo” significa che le persone o le aziende in situazioni finanziarie o economiche simili pagano la stessa quantità di tasse. Negli Stati Uniti non è un segreto che molte aziende godono di speciali sgravi ed esenzioni fiscali e che molte sceglieranno di costituire una società nel Delaware per determinati vantaggi fiscali e commerciali. Ma lo stesso vale per i Paesi dell'UE, soprattutto se consideriamo che le aziende possono stabilire la propria sede centrale in un Paese particolarmente avvantaggiato a livello fiscale e che i lavoratori possono arrivare dai Paesi vicini con relativa facilità. Poiché le aliquote fiscali, le esenzioni e le interpretazioni degli statuti variano a seconda del Paese dell'UE, può facilmente accadere che le aziende intelligenti riescano a trovare scappatoie (involontarie o meno) che consentono loro di risparmiare sul fisco.

Vantaggio: Stati Uniti (ma solo leggermente)


Amministrazione tollerabile della giustizia

Ogni volta che anche solo due persone vivono in stretta prossimità, si verificherà un conflitto. Questo conflitto non deve necessariamente essere violento; potrebbe essere un semplice disaccordo tra parti che richiedono un giudizio esterno. Clienti e commercianti possono non essere d'accordo sui termini di una garanzia, le aziende possono credere di aver rispettato varie leggi e normative su cui la clientela potrebbe non essere d'accordo, o i vicini potrebbero non essere d'accordo sui livelli di rumore consentiti in determinate ore della notte.

Ciò che è necessario, quindi, è un qualche mezzo per risolvere i conflitti in un modo che sia ritenuto equo e imparziale per entrambe le parti. Questo meccanismo di risoluzione dei conflitti deve anche essere facilmente accessibile in modo che, quando si verificano delle controversie, si possa raggiungere una risoluzione rapidamente e a un costo (relativamente) basso. Nella maggior parte dei Paesi questo servizio è svolto da tribunali e altri servizi di mediazione.

Negli Stati Uniti il National Center for State Courts fornisce analisi delle opinioni pubbliche sul sistema giudiziario. Nella loro relazione del 2023 scoprono che, in generale, la popolazione si fida del sistema giudiziario, lo trova generalmente accessibile, ma che c'è una crescente preoccupazione che esso sia diventato politicizzato.

Per quanto riguarda l'UE la Commissione europea pubblica una relazione, intitolata EU Justice Scoreboard, che analizza il sistema giudiziario in base a “efficienza, qualità e indipendenza”. Mentre ci sono prove di miglioramenti generali all'interno dell'Unione, riconoscono anche che c'è ancora molto lavoro da fare e che c'è un'enorme variazione tra i Paesi per quanto riguareda la qualità della magistratura.

Possiamo anche farci un'idea dell'amministrazione complessiva della giustizia esaminando l'Economic Freedom of the World Index del Fraser Institute, in particolare il punteggio del sistema legale per Paese negli ultimi vent'anni. Mentre sia gli Stati Uniti che l'UE ottengono punteggi elevati in termini assoluti, dei ventisette Paesi dell'UE, solo sette (Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svezia) ottengono punteggi più alti degli Stati Uniti e solo di poco. Gli altri venti hanno tutti punteggi significativamente inferiori a quelli degli Stati Uniti.

Ciò è importante perché avere un accesso affidabile, conveniente e rapido a un sistema giudiziario imparziale consente di risolvere i conflitti e consente a entrambe le parti di andare avanti con le proprie vite e attività.

Vantaggio: Stati Uniti


Conclusione

Nel complesso gli Stati Uniti hanno una maggiore pace, sia a livello nazionale che internazionale, tasse più basse e un'amministrazione della giustizia più tollerabile rispetto all'Unione Europea. La crescita economica divergente tra i due è comprensibile in questi termini.

Ciò che resta un mistero è l'entità della disparità. Se includiamo il PIL del Regno Unito nel PIL dell'UE, ci sarebbe ancora un divario di $7.000 miliardi. E mentre alcuni potrebbero sottolineare che la Brexit ha causato una riduzione della crescita economica per l'intero continente europeo, è difficile immaginare qualcuno che sostenga seriamente che votare contro la Brexit avrebbe quasi raddoppiato il PIL di ogni singolo membro dell'UE. Molto ancora resta da esaminare.

Tuttavia Adam Smith aveva ragione: la pace, le tasse basse e un'amministrazione della giustizia tollerabile sono vitali per il progresso economico. Se ci sono questi elementi, il resto, come disse anche lui, seguirà e in effetti è successo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Perché l’Europa teme la libertà di parola

Lun, 10/02/2025 - 11:14

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Wolfgang Munchau

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-leuropa-teme-la-liberta-di)

Conosciamo tutti la vecchia barzelletta che recita: quando un referendum europeo dà il risultato “sbagliato”, il Paese vota ancora finché non si ottiene il risultato “giusto”.

L'UE pensava che questo dovesse essere tristemente vero dopo la Brexit e infatti finora nessuno ha riso.

Anzi, la situazione è peggiorata.

Prendete la Romania, che di recente ha annullato le elezioni presidenziali quando Călin Georgescu, leader di una coalizione nazionalista di destra, ha vinto il primo turno. Thierry Breton, ex-commissario europeo francese, ha reso manifesta la mentalità dell'UE durante una recente intervista televisiva: “L'abbiamo fatto in Romania e ovviamente lo faremo in Germania se necessario”.

In altre parole, se non si può sconfiggere l'estrema destra, allora bisogna bandirla dal dibattito pubblico.

Non sono mai stato d'accordo con quello che Breton ha sempre detto, ma gli sono grato per aver esposto il suo caso con tale chiarezza. Durante il suo periodo come commissario per l'industria a Bruxelles, dal 2019 fino all'estate scorsa, quando Emmanuel Macron lo ha sostituito con una figura più compiacente, è stato la forza trainante dietro una serie di leggi progettate per mantenere l'Europa nell'età oscura digitale. La più estrema di suddette è stata il Digital Services Act (DSA) che obbliga “le grandi piattaforme online”, come X e Meta, a verificare i fatti e filtrare le fake news.

Ma, grazie a Breton, la verità è saltata fuori: l'obiettivo finale dell'Europa non è salvare il dibattito pubblico, ma soffocare i partiti di estrema destra privandoli dell'ossigeno dell'informazione. Il DSA non è nemmeno l'ultima parola nella jihad anti-digitale dell'UE. Una delle grandi idee di Ursula von der Leyen dell'anno scorso durante le elezioni europee è stata il cosiddetto “scudo democratico”, ovvero approvare ancora più leggi per impedire interferenze esterne negli affari dell'UE. Questa cosa evoca immagini di combattimenti con spade laser e sotto certi aspetti non è lontana dalla realtà: un blocco spaventato ha bisogno di uno scudo per proteggersi dal nemico incombente.

Mark Zuckerberg è sicuramente andato all'attacco. La scorsa settimana ha annunciato che abbandonerà il fact-checking sulle sue piattaforme, sfidando di fatto il DSA. E sta scommettendo su Donald Trump per proteggersi dalle conseguenze legali. Dato che Vance, il vicepresidente eletto, ha già minacciato di porre fine al sostegno degli Stati Uniti alla NATO se l'Europa provasse a censurare X di Elon Musk, sicuramente lo stesso varrà per Facebook. E l'UE è fin troppo dipendente dagli Stati Uniti per essere in grado di organizzare una campagna efficace contro una qualsiasi delle piattaforme social americane. Il DSA, elaborato frettolosamente durante la pandemia, non solo giudica male la natura dei social media, ma anche il potere politico. Espone la debolezza dell'Europa agli occhi dell'America.

Questa non è solo una battaglia geopolitica, però, è anche una battaglia europea. Il tentativo di repressione rivela che c'è qualcosa che il blocco teme più della libertà di parola: il populismo. Gli eurodeputati hanno trovato abbastanza difficile digerire le brutali esplosioni di Nigel Farage quando era membro del Parlamento europeo. Ora hanno Musk che gli alita sul collo, sostenendo i candidati dell'AfD, un partito che siede all'estrema destra nei banchi del Parlamento europeo e che sostiene l'uscita della Germania dall'UE.

I media tedeschi hanno avuto un crollo collettivo quando Musk ha twittato il suo sostegno ad AfD, ha intervistato su X Alice Weidel, co-leader del partito, e poi l'ha sostenuta in un articolo sul Die Welt. Il direttore editoriale del quotidiano tedesco si è dimesso per protesta. E un articolo su un altro giornale ha descritto istericamente l'intervento di Musk come incostituzionale. Che i giornalisti sostengano la censura sembra scioccante, finché non si comprende il ruolo del giornalismo nella società dell'Europa continentale: opera saldamente all'interno di uno stretto consenso politico centrista, che abbraccia tutti i partiti dal centro-sinistra al centro-destra. Naturalmente AfD non ottiene molto spazio sui media tedeschi.

Ma mentre è marginalizzato dai media generalisti, AfD prospera su TikTok, dove ha un vasto seguito. Quindi ciò che irrita i media tedeschi e i politici di altri partiti è che il cartello della censura non funziona più bene come una volta. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito i media generalisti, un tempo potenti, hanno già perso il loro potere. Hillary Clinton ha espresso tale frustrazione quando ha detto che i social media devono verificare i fatti, altrimenti “perdiamo il controllo”. Ma l'Europa vive ancora in una zona crepuscolare in cui i media generalisti si crogiolano nel tramonto del potere, cercando di ignorare i social media che sorgono all'altro orizzonte. Come tutte le moderne battaglie politiche in Europa, si tratta di proteggere interessi stabiliti.

Il caso rumeno dimostra come queste restrizioni alla libertà di parola siano le prime salve di una guerra di repressione più ampia. Le elezioni presidenziali sono state annullate perché un TikTok infestato dai russi aveva disinformato gli elettori. Sono sicuro che i russi fossero attivi, ma è scioccante pensare che un'elezione sia stata annullata perché qualcuno potrebbe aver mentito su TikTok.

Sia chiaro, nessuno ha parlato di brogli elettorali. Georgescu ha vinto il primo turno delle elezioni in modo leale e onesto, ma come con la ridicola pantomima a Bruxelles dopo il voto sulla Brexit, la presunzione di voler spingere per l'annullamento del risultato si basava sul fatto che gli elettori sono troppo stupidi per farsi un'idea propria. La ripetizione si terrà il 4 maggio, seguita da un ballottaggio tra il candidato di maggior successo due settimane dopo. Georgescu è ancora il candidato con più probabilità di vincere secondo i sondaggi di opinione, ma l'establishment politico rumeno è ancora determinato a trovare modi per radiarlo, il più promettente dei quali è la speranza che possa aver ricevuto fondi non dichiarati.

Esistono modelli simili anche altrove.

Marine Le Pen rischia la potenziale squalifica dalle elezioni presidenziali del 2027 a seguito di accuse di irregolarità riguardanti i suoi assistenti al Parlamento europeo. Più di recente Bruxelles è stata spaventata dalla vittoria in Austria del Partito della Libertà, il quale è riuscito a ottenere il 28,8% dei voti alle elezioni generali di settembre. Ha superato una soglia oltre la quale è diventato politicamente impossibile per gli altri partiti formare coalizioni. Herbert Kickl, il leader dell'FPÖ, ora diventerà il prossimo cancelliere dell'Austria. Nel frattempo, in Germania, un gruppo di 113 parlamentari si è unito per bandire AfD. La loro storia è che l'estrema destra vuole distruggere la democrazia. Mentre il partito non ha ancora sondaggi abbastanza alti da innervosire l'ennesima coalizione centrista a Berlino dopo le elezioni di questo mese, la Germania potrebbe essere a pochi punti percentuali di distanza da un'impasse in stile austriaco.

Di sicuro, però, l'approccio sensato all'ascesa dell'AfD, dell'FPÖ e di altri partiti di destra non è quello di censurarli, ma di affrontare il problema di fondo che li ha resi così forti: persistente incertezza economica, perdita di potere d'acquisto e politiche disfunzionali sull'immigrazione. In mancanza di ciò, perché non cooptare i partiti di estrema destra come partner di coalizione junior come hanno fatto in Svezia e Finlandia? Se la Weidel venisse improvvisamente spinta a ricoprire il ruolo di ministro dell'economia, potremmo saggiare se sarà in grado di difendere il suo curriculum al governo. Ma i partiti centristi in Germania e Francia non faranno né l'una, né l'altra cosa. Hanno eretto barriere politiche contro l'estrema destra e stanno raddoppiando la dose con le stesse vecchie linee di politica.

È un approccio che inevitabilmente si ritorcerà contro di loro. Una Le Pen bandita sarebbe molto più pericolosa per l'establishment centrista, e forse anche più estrema quando alla fine arriverà al potere. Allo stesso modo AfD verrebbe sicuramente radicalizzata dopo un'espulsione coatta.

Fino ad allora, le armi spuntate preferite dall'UE (divieti normativi, barriere politiche e censura) infliggeranno più autolesionismo che benefici. Nella gerarchia dei diritti democratici, la libertà di parola ha una priorità relativamente bassa in Europa. Come le creature nel libro La Fattoria degli animali di George Orwell, faccio fatica a individuare la differenza tra gli estremisti di destra e coloro che cercano di combatterli.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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