“Fuga dal dollaro?”: un manuale per comprendere il flusso di dollari all'estero
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/fuga-dal-dollaro-un-manuale-per-comprendere)
Così come accaduto col tema dei dazi, oggi prenderò un altro tema che viene tanto discusso a livello di commenti e analisi ma che, in realtà, non viene minimamente compreso. Oppure viene volutamente travisato. Sto parlando della presunta “fuga dal dollaro” da parte del mondo intero e parallelamente della favola secondo cui la Cina sarà in grado di mettere in piedi un “sistema di pagamento alternativo” che risucchierà la forza del dollaro. Negli ultimi 40 anni circa il mercato dei titoli sovrani ha visto un enorme boom sulla scia della finanziarizzazione delle economie del mondo, ovverosia i mercati finanziari hanno spiazzato sempre di più la ricchezza reale generata dai mercati industriali ed è servita per creare una base di leva scriteriata che è cresciuta a livelli estremi oggi. Soprattutto sulla scia della ZIRP degli ultimi 15 anni. La piattaforma attraverso cui tutto ciò è stato possibile si chiama eurodollaro ed è stato il tema che ho esposto nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Il gioco è stato quello di saturare tutti i bilanci possibili, arrivando infine al proverbiale Picco del debito. Questo, inutile dirlo, porta con se una pulizia inevitabile di tutti quegli errori accumulati e ciò significa a sua volta una crisi del debito sovrano. Per come è strutturata l'architettura finanziaria del mondo intero, questo significa che una crisi del genere fa schizzare in alto i tassi d'interesse e insieme a essi anche il dollaro; dato che il dollaro esiste anche nella sua versione offshore, ciò significa che le stesse dinamiche si riverberano sul mondo intero.
Infatti le economie del mondo al di fuori degli Stati Uniti, oltre ad avere attivi e passivi denominati nella valuta locale, ne hanno anche di denominati in dollari e questo non significa necessariamente debiti nei confronti degli USA, ma anche tra di essi. Avendo, quindi, dei debiti denominati in una valuta che (apparentemente) non controllano, i capitali finiscono per volare oltreoceano e sostenere i prezzi delle azioni statunitensi e dell'oro. A tal proposito non importa chi sia il giocatore che immette nuova liquidità sui mercati, ciò che conta è chi la risucchia. E il luogo dove i capitali vengono trattati meglio è solo uno: gli Stati Uniti. Infatti è importante ricordare una cosa: non è una questione che ci piaccia o meno quello che sta facendo l'amministrazione Trump, che la sua linea d'azione sia più o meno allineata alla corretta teoria economica, è una questione che non dobbiamo mettere i nostri desideri davanti a ciò che accade in modo da avere un quadro di riferimento oggettivo con cui ipotizzare dove andranno a parare i mercati dei capitali. E quello che Trump sta facendo è cambiare il modo in cui gli USA hanno fatto affari negli ultimi 60 anni. Perché? Perché sebbene a livello superficiale le cose andassero bene, sotto la superficie era tutto il contrario.
Se prendiamo in considerazione la traiettoria percorsa dagli USA, in particolar modo, i prezzi degli asset salivano e l'economia era in crescita, ma era tutto in funzione del mercato azionario, Main Street è stato lasciato indietro. Il tutto mentre entrambi i deficit, commerciale e pubblico, crescevano. Per quanto uno si possa impegnare a riflettere su quale possa essere il percorso “giusto” da intraprendere per risolvere i guai americani, non credo possa essercene uno migliore rispetto a quello che viene portato avanti adesso dall'amministrazione Trump. Non sarà perfetto, ma è il meglio che abbiamo; soprattutto se si tratta di mandare in bancarotta la cricca di Davos. Infatti è quest'ultimo obiettivo che ha consolidato tutte le visioni all'interno dei vari dipartimenti governativi ed è come se si muovessero tutti all'unisono. La proverbiale “bonifica della palude”, altro non era che l'elenco di tutti quei player all'interno degli USA, e soprattutto nello Stato profondo, per capire chi fosse interessato al “benessere nazionale” e chi invece faceva interessi esteri. Il primo mandato Trump è servito per farli venire allo scoperto; il secondo sta servendo a rastrellarli e fare loro un'offerta: “Siete con noi o contro di noi?” Il coordinamento tra grandi banche ed esercito sta facendo in modo che Trump abbia poca opposizione a livello interno.
Per quanto la stampa lo possa attaccare a livello internazionale, l'assenza di “franchi tiratori” permette alla sua amministrazione di distinguere tra “amici” e “nemici” all'estero a questo giro. Questo è evidente dal comunicato post-sospensione dei dazi, il quale va ben oltre la semplice imposizione di barriere doganali. Il messaggio è chiaro: adesso sono gli USA che determinano la loro politica monetaria e fiscale, non viene più forzata all'estero. Di conseguenza nuovi rapporti commerciali devono essere stabiliti bilateralmente, perché adesso l'unico modo che hanno i player esteri di accedere ai dollari è quello di chiederli direttamente alla FED (con l'avvento del SOFR). Infatti il calo più recente del dollaro non è un segno che punta verso la “de-dollarizzazione”, anzi è il contrario punta alla “ri-dollarizzazione”. Ogni nazione, oltre a essere indebitata nella propria divisa, ha anche debiti denominati in dollari non solo nei confronti degli USA ma anche di altre nazioni. Se non ha accesso ai dollari, finisce nei guai. E data la volatilità sui mercati, l'offerta in contrazione degli eurodollari e i guai economico/finanziario che ogni nazione del mondo oggi ha, vendere asset denominati in dollari e con i dollari risultati comprare la propria divisa è l'unico modo che hanno per stabilizzare la situazione. Questo, ad esempio, è quello che è successo di recente in Europa e Inghilterra con la vendita di T-bond americani e successivo acquisto di sterlina ed euro (non era la Cina o il Giappone, visto che yuan e yen a malapena si sono mossi).
I mercati statunitensi sono una gigantesca fonte di liquidità e quando l'incertezza inizia a montare vengono venduti asset americani per ripagare i propri debiti. È sempre successo durante tutti gli altri momenti di crisi. Nelle fasi iniziali gli asset americani e il dollaro scendono perché sono una fonte di liquidità, ma quando la crisi entra nel vivo ecco che tornano a salire. Anche qui, Trump e Bessent non vogliono una crisi sistemica; vogliono invece una quantità tale di turbolenza all'estero da forzare gli altri al tavolo delle trattative. Uno di questi è senza dubbio la Cina, ridimensionarne la capacità d'influenza a livello interno statunitense. Come si fa a negoziare qualcosa con qualcun altro se si è dipendente da quest'ultimo? Soprattutto a livello di forniture militari. Per quanto possa essere duro il braccio di ferro con la Cina, non è lei l'obiettivo finale degli USA: l'Europa lo è. O per meglio dire la classe dirigente europea e quella inglese. E il modo di affrontare un reset necessario delle valute fiat è quello di avere le carte migliori da giocare al tavolo delle trattative; inutile dire che ciò passa per forza di cose tramite la messa ordine dell'equazione fiscale e monetaria.
Siete rimasti sorpresi dal recente crash dei mercati azionari? Non dovreste. Bessent era da settimane che parlava di una correzione necessaria dei mercati, soprattutto in un ambiente finanziario in cui i rapporti P/E sono ancora fuori scala rispetto al passato. Affermare che l'amministrazione Trump sia stata “travolta” è ingenuo. L'unico parametro che conta è la base monetaria, le altre misure M sono solamente la leva cui è stata sottoposta (per non parlare poi dello stock del dollaro offshore). Ridimensionare questi parametri significa passare attraverso un processo di pulizia che per forza di cose richiederà dolore economico, ma che creerà spazio nei bilanci della nazione tramite la produzione reale e il puntellamento dell'economia di Main Street. È un percorso irto di ostacoli, ovviamente, nessuno dice qui che riescano pienamente a portare a termine questo compito; quando si entra in guerra significa prepararsi alla possibilità di venire colpiti, ma questo non significa una sconfitta... è chi rimane in piedi per ultimo che vince.
Per quanto la stampa voglia vendere la storia secondo cui gli Stati Uniti ci perdono di più dalla guerra commerciale, in realtà sono il miglior cliente per qualsiasi esportatore sulla Terra e sono in realtà gli esportatori che ci perdono di più. Un ottimo esempio a tal proposito è il mercato dei derivati del petrolio e della plastica. Così come i più recenti accordi con l'India andranno a scardinare l'asse del BRICS attraverso il quale la cricca di Davos cercava di espandersi a Est. Non solo, ma adesso possiedono il pieno controllo sul dollaro dopo lo smantellamento del LIBOR. Questo significa che, nel caso in cui la FED dovesse tornare a fare QE, non tutti avranno accesso alle linee di swap con cui alleviare le proprie economie. Sono convinto che verranno aperte solo a nazioni specifiche che hanno stipulato accordi bilaterali con gli USA, come già accaduto due anni fa con la Banca nazionale svizzera.
IL MONDO CHE VORREMMO & IL MONDO CHE ABBIAMO
Ha perfettamente senso che l'amministrazione Trump, e i NY Boys che stanno dietro di essa, si difendano da quello che viene partorito oltreoceano come “soluzione” all'enorme mole di debiti e valuta ombra creati nel tempo. Se l'Europa vuole un euro digitale, andare in default per il debito, fomentare crisi finanziarie ad hoc e spazzare via il sistema bancario commerciale (l'intermediario tra chi usa il denaro e la banca centrale), ha perfettamente senso che Jamie Dimon abbia qualcosa da dire contro questa linea d'azione. Non si tratta più del mondo che vorremmo, ma del mondo che abbiamo. Di conseguenza la teoria economica è utile per fare analisi, ma poi di fronte a una cricca di Davos che muove le leve sotterranee del mondo tramite le varie incrostazioni degli Stati profondi c'è poco che la teoria possa fare.
Alla fine della fiera tutto si riduce a una sola domanda: “Come si può togliere realmente dalle mani dell'Europa e dell'Inghilterra la possibilità d'impostare al margine il prezzo del dollaro all'estero?” L'eurodollaro è il mercato per eccellenza che imposta il prezzo del dollaro. Con il SOFR, e il pensionamento del LIBOR, abbiamo avuto la risposta e non è più possibile che player esterni agli USA possano impostare indisturbati il prezzo del dollaro. Ora se si vuole accedere a liquidità in dollari bisogna pagare quanto determinato dal tasso di riferimento della FED, mentre la City di Londra cerca modi alternativi per tenere in moto la macchina della leva finanziaria dell'offerta di dollari ombra. Come? Cercando di costringere la FED a tornare allo zero sui tassi di riferimento. L'ultimo “attacco” sui mercati, dove UK + UE, possedendo insieme alle loro succursali estere più di $3.400 miliardi in titoli sovrani americani, hanno venduto titoli sul back end della curva dei rendimenti e comprato titoli sul front end (inversione nel medio e grida di recessione sulla stampa), oltre a vendere dollari per comprare euro, sterlina, dollaro canadese e titoli sovrani tedeschi.
Nel mondo pre-SOFR ciò avrebbe forzato la FED a intervenire e impedire che il mercato obbligazionario americano divenisse bidless. Cos'è successo invece? Che le aste dei titoli di stato americani a 5 anni, 10 anni, 20 anni e 30 anni sono andate a ruba. Perché? Perché sin dal 2019 i titoli di stato americani sono l'unica garanzia collaterale accettata nel mercato dei pronti contro termine americano, i mercati dei finanziamenti a breve termine più liquidi e affidabili del mondo. Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, con l'avvio del SOFR siamo entrati in un gioco completamente diverso.
Lo scopo, quindi, dell'amministrazione Trump è quello di sgonfiare progressivamente la quantità di leva finanziaria immessa nel sistema economico e finanziario senza trasformare la società in qualcosa uscito fuori dalle pellicole di George Miller su Mad Max. Da un punto di vista pragmatico ci sono quattro possibilità dinanzi a noi: tutte le nazioni finiscono nei guai simultaneamente e crollano insieme, tutte le nazioni ne escono indenni e crescono insieme, gli Stati Uniti schivano il famigerato “proiettile d'argento” e il resto del mondo affonda, gli Stati Uniti affondano e il resto del mondo schiva il famigerato “proiettile d'argento”. L'ipotesi 2 e 4 sono altamente inverosimili, e anche se la 4 dovesse verificarsi per una qualche remota possibilità la transizione verso il nuovo sistema sarebbe lo stesso devastante.
Il primo mandato Trump è stato un chiaro messaggio al resto del mondo che lo status quo non era più accettabile e non è un caso che i lavori per il SOFR sono iniziati nel 2017. Lui è stato molto furbo nel modo in cui ha criticato il resto del mondo, portando l'attenzione sulla leadership statunitense e le “infiltrazioni” che l'hanno corrotta. In questo modo ha costretto l'amministrazione Biden a seguire la stessa linea di politica per quanto riguarda la Cina, ad esempio. Al di là di ciò non riesco a immaginare il passaggio da un'economia in cui lo stato è preponderante dal punto di vista fiscale a una in cui lo è meno, da un'economia che importa gran parte di quello che ha bisogno a una in cui produce gran parte di quello che ha bisogno, diverso da come lo sta portando avanti l'amministrazione Trump. Forse c'è un altro modo, ma non riesco proprio a immaginarlo. Certo, ci saranno conseguenze impreviste, il percorso sarà dissestato, ma davvero non vedo altri modi dal punto di vista strettamente pratico. Credo che le probabilità siano alte di un successo di questo piano di “rinsavimento” economico; credo che le industrie estere verranno negli Stati Uniti per aprire impianti industriali; credo che la maggior parte del resto del mondo lascerà cadere i dazi imposti agli USA o vi continueranno a fare affari nonostante questi ultimi imporranno dazi. La ragione di base è semplice: gli USA sono il più grande mercato al consumo al mondo. Quelle stesse industrie potrebbero smettere di vendere agli USA e vendere a qualcun altro? Forse, ma non venderebbero allo stesso prezzo a cui vendono negli USA e tutto il denaro preso in prestito per finanziare la loro produzione verrebbe spazzato via nel momento in cui dovrebbero vendere a prezzi più bassi i loro inventari.
Questo la Cina lo sa, ad esempio, ed è per questo che Xi ha cercato di focalizzare la produzione sul consumo interno. Le cose non stanno andando bene, perché questa “riflessione” interna non è in grado di sostenere la complessità a cui è arrivata la società cinese. Ecco perché sono convinto che alla fine Cina e USA troveranno un modo per negoziare. Sicuramente ciò significherà cedere quote di mercato mondiali da parte americana, ma alla fine della fiera va bene perché se si riesce a rompere la mentalità colonialista europea e la sua profonda influenza sui mercati mondiali (es. intermediazione del Forex a Londra, ecc.), il ribilanciamentio globale sarà più liscio. E questo significherà anche un ridimensionamento del sistema bancario centrale così come lo conosciamo e una FED che tornerà a essere quello che era prima dell'era Roosevelt, senza che una sua eliminazione tout court vada a vantaggio di chi ha esarcebato le funzioni e l'intromissione nell'economia delle banche centrali.
Inoltre, con la benedizione a Tether e la volontà di rendere Bitcoin uno snodo nei mezzi di pagamento ufficiali, il ritorno degli asset al portatore rappresenta un salto tecnologico che va a soddisfare la domanda precedentemente insoddisfatta di coloro che chiedevano un'evoluzione dello strumento denaro. Infatti il gold standard è stato “superato” per la sua incapacità di stare al passo con la domanda tecnologica di denaro. Bitcoin, ad esempio, permette lo spostamento di ingenti somme di denaro a livello internazionale nell'arco di minuti e non di giorni come accade con le istituzioni di terze parti odierne. Questa evoluzione permette altresì di calmare shock di liquidità e fornire sollievo quasi immediato in caso di necessità. E in momenti di stress finanziario questo significa avere una maggiore possibilità rispetto ai concorrenti di sopravvivere, perché è qui che il mercato dell'eurodollaro mostra tutta la sua importanza: la quantità di credito che è stata estesa tra i Paesi al di fuori degli Stati Uniti, tra di essi senza che questi ultimi siano stati coinvolti, è più grande del debito pubblico americano. Quindi se questi Paesi vanno in default per il debito denominato in eurodollari, vanno in default tra di loro e non nei confronti degli Stati Uniti.
Le conseguenze saranno estreme. Ma questo non si riverbererà anche sugli Stati Uniti? Sì, come ho scritto prima nessuno si aspetta di entrare in guerra senza sapere che potrà essere colpito. Gli USA, però, potranno usare a questo giro il Dilemma di Triffin a loro vantaggio piuttosto che subirne gli effetti come in passato. Visto che il resto del mondo non è più in grado di entrare in possesso di finanziamenti a basso costo tramite il mercato del dollaro offshore senza grossi rischi per i suoi bilanci nazionali, questo significa che sulla graticola non c'è più il bacino della ricchezza reale degli USA ma quello delle varie nazioni. I pasti gratis sono finiti. Ciò che rischiano è un crollo della loro divisa. Il risultato ultimo di questo processo è un'impennata estrema del dollaro sulla scia di preoccupazioni lato offerta.
IL “FRULLATORE DEL DOLLARO” DIMINUISCE LA VELOCITÀ, MA NON SI FERMA
Per semplificare la comprensione dell'eurodollaro dovete immaginarlo come una stablecoin. È un dollaro digitale offshore parcheggiato in depositi esteri e che serve a rendere liquidi i mercati finanziari oltreoceano. In passato, quando ancora c'era il LIBOR, non c'era bisogno di garanzie a supporto: si potevano trattare obbligazioni denominate in dollari senza collaterale sottostante. Poi, un giorno, ci svegliamo e ci accorgiamo che quel mondo non esiste più e invece c'è una domanda senza precedenti per il collaterale. L'abbattimento di quel mondo, in precedenza impostato per risucchiare ricchezza reale agli USA e far credere che esistessero i pasti gratis, ha creato una corsa “agli sportelli” per le garanzie collaterali. La più liquida è rappresentata dai bond americani (non è un caso che le aste per i ventennali e trentennali di questa settimana sono andate alla grande). Pezzo dopo pezzo vengono smantellati quei trade che potevano sfoggiare una leva folle grazie a una frazione di collaterale posta come misera garanzia. Ecco perché la Yellen, nel suo ultimo anno al Dipartimento del Tesoro, ha supervisionato un QE fatto di titoli americani che sono stati incanalati nei bilanci dei Paesi che sarebbero stati più colpiti: Europa e Inghilterra. Ecco perché Tether, dopo l'approvazione a livello di strategia ufficiale da parte dei NY Boys, è un compratore marginale di titoli sovrani americani e sostituirà l'eurodollaro che avevamo conosciuto fino al 2022. Solo che adesso sarà pienamente collateralizzato e impostato da linee di politica decise a Washington, non a Bruxelles o a Londra.
La fine della “globalizzazione” significa principalmente la fine della finanziarizzazione dei sistemi economici, un ritorno alla ponderazione del rischio più in sintonia con l'economia reale (Main Street) e la recisione di quell'interconnessione dei bilanci mondiali che andava a far pesare sulle intere spalle statunitensi la socializzazione delle perdite durante le crisi.
A meno che l'attuale sistema non venga ridisegnato (esito a cui si dovrà infine arrivare), il dollaro tornerà a salire. Nonostante tutti i salvataggi e la stampa di denaro, l'indice DXY è salito del 30% negli ultimi 15 anni. Il modo in cui viene fornita liquidità a breve termine nel sistema è lo stesso processo che influenza la domanda a medio e lungo termine. E questo perché il sistema monetario attuale prevede l'iniezione di nuovi capitale tramite prestiti: in questo modo viene fornita liquidità a breve termine, la pressione sui mercati viene allentata, i prezzi degli asset salgono e il dollaro scende. Ma alla fine il risultato principale è l'aumento dei debiti e la saturazione dei bilanci, ed è questo che conta. E quando inizia a contare il dollaro torna a salire: il debito creato per fornire liquidità è la domanda futura per il dollaro. Finché l'architettura dell'attuale sistema economico/finanziario non verrà ridisegnata (facendo entrare in gioco anche oro e Bitcoin), assisteremo al ripetersi di questa storia.
CONCLUSIONE
Poiché il dollaro è la valuta di riserva globale viene ampiamente utilizzato per una varietà di scopi, tra cui:
• Regolamento degli scambi commerciali (es. fatture, cambiali, ecc.);
• Riserve monetarie delle banche centrali (es. una Banca del Giappone che utilizza i titoli di stato per sostenere lo yen);
• Prestiti per debiti e prestiti internazionali (es. FMI, Banca Mondiale e altri istituti prestano denaro ai Paesi del mondo);
• Mercato dei cambi, Forex (es. la maggior parte delle coppie di valute è quotata rispetto al dollaro, ad esempio, EUR/USD, USD/JPY, rendendolo centrale nei mercati monetari globali);
• Dollarizzazione diretta (es. alcuni Paesi utilizzano il dollaro come valuta ufficiale, ad esempio Ecuador o El Salvador, oppure insieme alla valuta locale);
• Rimesse e trasferimenti transfrontalieri (es. il dollaro è ampiamente utilizzato per inviare denaro oltre confine, in particolare nei Paesi in via di sviluppo);
• Asset di rifugio (es. durante le crisi gli investitori acquistano dollari per sicurezza, causando flussi globali di capitali verso asset statunitensi come i titoli del Tesoro americani);
• Mercato dell'eurodollaro, forse il più importante di tutti (es. i dollari dominano le transazioni SWIFT, le riserve bancarie internazionali e i sistemi bancari offshore, il sistema offshore è chiamato mercato dell'eurodollaro. I dollari vengono lentamente introdotti dalle banche straniere e utilizzati per finanziare il commercio globale. Ad esempio le banche in Pakistan prestano eurodollari alle raffinerie di petrolio in Iran per il commercio).
Tutto ciò crea una DOMANDA persistente e onnipresente per i dollari. La domanda deve essere soddisfatta dall'OFFERTA, altrimenti il sistema monetario globale si inceppa: questo è ciò di cui l'economista belga, Robert Triffin, parlava 65 anni fa. Gli Stati Uniti hanno la scelta se soddisfare o meno suddetta domanda, e se non lo fanno la deflazione dell'offerta di denaro globale sarà una conseguenza assicurata. Molti attribuiscono l'esplosione del deficit commerciale americano alla manipolazione monetaria da parte dei Paesi del terzo mondo, a pratiche commerciali sleali, o a pratiche di sfruttamento del lavoro: tutti fattori veri e che contribuiscono sicuramente al deficit, ma non spiegano il quadro generale. Infatti man mano che il sistema monetario globale è stato sganciato sempre più dai principi fondamentali del denaro sano/onesto, ha fatto sempre più affidamento sulla liquidità, che in sostanza significa liquidità in dollari. Pertanto la delocalizzazione della base industriale statunitense (una perdita di produzione manifatturiera pari a quella di una guerra!) non è stata fatta solo per aumentare i profitti delle aziende coinvolte, ma è stata una conseguenza dell'esportazione di dollari nel mondo.
In breve, questo significa che se gli Stati Uniti vogliono mantenere in funzione il sistema monetario globale, devono mantenere uno squilibrio commerciale e aggravarlo nel tempo se il mondo continua a crescere più velocemente degli USA stessi. Questa tendenza è accelerata con l'adesione del terzo mondo (in particolare dell'Asia) al mercato dell'eurodollaro negli anni '90 e 2000.
Tutto ciò ha contribuito al proverbiale “frullato del dollaro”, processo che è uno dei motivi per cui i mercati azionari e obbligazionari statunitensi hanno registrato un andamento positivo negli ultimi 3-4 decenni. Questo costante afflusso di capitali crea una domanda costante di asset negli Stati Uniti. La sovraperformance dei mercati statunitensi è enorme: se uno avesse investito $1 nell'indice S&P 500 nel 1980, il suo valore sarebbe stato di circa $98,68 a fine 2023. Lo stesso dollaro investito nell'indice MSCI World, escludendo gli Stati Uniti, sarebbe valso circa $19,63 nello stesso periodo. Ancora una volta il fattore di differenziazione chiave, soprattutto in termini monetari, è che gli Stati Uniti sono l'UNICA valuta con una domanda esterna: NESSUN'ALTRA valuta fiat ce l'ha. L'ideatore di questa teoria, Brent Johnson, ci dice che il sistema finanziario mondiale può essere immaginato come un gigantesco frullatore composto da liquidità, debito e capitale. Gli Stati Uniti detengono la cannuccia più grande che consente loro di “bere” capitali dal resto del mondo. Mentre molti Paesi adottano politiche monetarie simili, come tassi d'interesse bassi e quantitative easing, gli Stati Uniti godono di una posizione unica, poiché emettono la valuta di riserva mondiale e dispongono dei mercati finanziari più liquidi e affidabili.
Certo, gli Stati Uniti potrebbero avere una miriade di problemi fiscali, ma li hanno anche tutti gli altri: questo li rende la “camicia sporca” più pulita nella cesta dei panni sporchi. Questo comportamento crea un flusso di capitali verso gli Stati Uniti che a sua volta rafforza il dollaro. Quando il dollaro si apprezza mette pressione sugli altri Paesi, in particolare su quelli emergenti che hanno contratto prestiti in dollari perché devono ripagare i propri debiti in una valuta che è diventata più costosa. Questa dinamica può creare un circolo vizioso, in cui le tensioni finanziarie all'estero portano a un dollaro più forte, cosa che a sua volta causa ulteriore stress per i debitori in dollari al di fuori degli Stati Uniti.
Se gli stranieri vendono titoli del Tesoro americani per intervenire sui loro mercati, questo peggiora la situazione. L'aumento del DXY è quindi un sintomo di problemi di liquidità sistemica, non un segno che gli investitori hanno necessariamente più fiducia nell'America. Gli acquisti di dollari da parte della Cina, o gli acquisti di asset denominati in dollari da parte dell'Argentina, riguardano più gli investitori che cercano di sfuggire alla propria valuta in difficoltà, che i fondamentali reali dell'economia americana. Sebbene questo possa avvantaggiare gli Stati Uniti nel breve termine, attraendo capitali e mantenendo forti i propri mercati, Brent ammette anche che la situazione non è sostenibile per sempre. A un certo punto il sistema potrebbe crollare sotto la pressione di un dollaro troppo forte e delle pressioni che esercita sulle economie globali.
Cosa sta succedendo adesso con il DXY? Ebbene, negli ultimi 3 mesi abbiamo assistito a un continuo indebolimento del dollaro dovuto alla reazione dei mercati dopo il “Giorno della Liberazione”. Il dollaro relativamente più basso di fatto rafforzerà il sopraccitato “frullato”. Il debito denominato in dollari viene spesso creato al di fuori degli Stati Uniti attraverso il cosiddetto sistema dell'eurodollaro, una vasta rete di attività bancarie offshore non regolamentata dalla Federal Reserve. In questo sistema le banche straniere concedono prestiti in dollari a mutuatari non statunitensi, come società minerarie in Cile, produttori di petrolio in Nigeria o case automobilistiche in Corea del Sud.
Queste aziende possono operare interamente nei loro Paesi e generare entrate nelle loro valute locali, ma i prestiti che contraggono sono quotati e devono essere rimborsati in dollari. Una volta che queste aziende contraggono debito in dollari, si trovano bloccate in una struttura finanziaria in cui le loro passività sono in dollari, ma i loro ricavi di solito no. Una società che estrae il rame in Perù potrebbe venderlo sul mercato ed essere pagata in soles, o in un'altra valuta diversa dal dollaro. Per far fronte ai propri oneri di debito in dollari (es. pagamento degli interessi o il rimborso completo del prestito), deve convertire in dollari i suoi ricavi in valuta locale. Questo in genere comporta l'accesso ai mercati monetari per scambiare la sua valuta locale con dollari. Se quest'ultimo si apprezza rispetto alla valuta nazionale della società che estrae rame, il costo di tale scambio aumenta, rendendo più costoso e più arduo il rimborso del debito. L'azienda in questo modo non si limita a gestire la propria attività, ma specula anche sui tassi di cambio senza volerlo. Pertanto quando il DXY scende, ovvero quando il dollaro è relativamente più debole rispetto alle altre principali valute, diventa più facile per le aziende straniere onorare i propri debiti denominati in dollari.
Non solo possono estinguere più facilmente le passività in dollari esistenti, ma potrebbero anche sentirsi abbastanza sicure da contrarre ancora più debiti in dollari per finanziare l'espansione o la speculazione. È qui che inizia il circolo vizioso: man mano che un numero sempre maggiore di aziende in tutto il mondo contrae prestiti in dollari durante i periodi di debolezza di quest'ultimo, la dimensione complessiva del sistema del debito in dollari si espande. Questo non riguarda solo le aziende: anche gli stati ne subiscono gli effetti. Quando il dollaro è più debole, diventa anche più facile per gli stati esteri accumulare riserve in dollari, una parte cruciale dei loro meccanismi di difesa finanziaria. Poiché le loro valute sono più forti rispetto al dollaro in un contesto con un DXY più basso, possono scambiare meno unità della loro valuta locale per acquistare più dollari. Questo rende l'accumulo di riserve monetarie molto meno costoso.
Mentre i detrattori del dollaro indicano l'aumento del debito statunitense o la “de-dollarizzazione” come segnali del declino del biglietto verde, la realtà è che la fame globale di liquidità in dollari è viva e, per molti versi, sta crescendo, non diminuendo. Paradossalmente tutto ciò significa che la “fine dei giochi” (in mancanza di termini migliori) non si svolgerà come i detrattori pensano. Un crollo monetario globale significherà che l'indice del dollaro salirà, non scenderà. E se il DXY scende, come dice Brent, significa solo che il gioco continuerà con la “ri-dollarizzazione”. Il dollaro ha lo status di asset di riserva e valuta di riserva ed esse sono due funzioni distinte; sebbene interconnesse, in teoria il biglietto verde potrebbe perdere la prima senza perdere la seconda. Il “frullato del dollaro”, almeno nel medio termine, significa che non perderà lo status di valuta di riserva.
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Scatenare un Bitcoin standard
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione aiudio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/scatenare-un-bitcoin-standard)
La transizione dagli standard fiat allo standard Bitcoin, sebbene altamente auspicabile, non è inevitabile né necessariamente imminente. I tempi e l'avvenimento di questi cambiamenti dipendono dalle scelte di adozione effettuate da individui, organizzazioni ed enti pubblici. Queste decisioni sono influenzate non solo da considerazioni razionali, ma anche da fattori emotivi e irrazionali (avidità e paura soprattutto). La volontà collettiva, formata dalle intenzioni di una massa critica dotata di capitale e capacità di azione sufficienti, gioca un ruolo cruciale nel soppiantare le banche centrali e le strutture di potere consolidate a favore di un nuovo sistema incentrato su Bitcoin. Nonostante l'evidente superiorità tecnica, economica ed etica di Bitcoin rispetto ad altre forme di denaro, questa lotta sarà senza dubbio ardua, con un esito tutt'altro che scontato.
Ciononostante è fondamentale riflettere sulle conseguenze che questa potenziale rivoluzione, se realizzata (come tutti auspichiamo), potrebbe avere su ogni aspetto dell'esistenza sociale. Queste implicazioni spaziano dalla natura degli stati e delle relazioni internazionali al funzionamento dei sistemi economici, ai sistemi di valori prevalenti e persino al mercato energetico e all'innovazione tecnologica. In questo articolo, senza la pretesa di essere esaustivi, intendiamo esplorare brevemente alcuni di questi aspetti e suggerire possibili traiettorie.
Bitcoin e sistema bancario a riserva frazionaria
Come correttamente previsto da Hal Finney, un ipotetico Bitcoin standard sarebbe incompatibile con le banche centrali, ma non necessariamente con un sistema bancario a riserva frazionaria. I limiti algoritmici al numero di transazioni per blocco impediranno certamente al Layer 1 di fungere da sistema di pagamento al dettaglio. Col tempo, verranno eseguite meno transazioni, e queste saranno di valore molto elevato (in pratica, solo le balene o le grandi istituzioni pubbliche e private, dati gli elevati costi, potranno permettersele).
Una qualche forma di free banking 2.0 su Layer 2 sarebbe quindi inevitabile nel medio-lungo termine per un sistema monetario basato su Bitcoin. In assenza di una banca centrale come prestatore di ultima istanza e con una verificabilità delle riserve molto più semplice rispetto all'oro, questo sistema di riserva frazionaria Layer 2/Layer 3 sarà molto più fragile dell'attuale sistema a riserva frazionaria, supportato da moneta a corso legale, banca centrale e da una sostanziale indistinguibilità tra base monetaria e offerta di moneta più ampia. Ciò non farà che rafforzare l'importanza del Layer 1 come solido fondamento del sistema monetario, analogamente al ruolo svolto dall'oro nei millenni passati.
Implicazioni macroeconomiche
Ceteris paribus, nel medio termine l'adozione di un ipotetico Bitcoin standard dovrebbe attenuare significativamente le fluttuazioni del ciclo economico, prevenendo un indebitamento eccessivo, investimenti improduttivi e bolle nel settore privato, le quali portano a crisi sistemiche. La repressione monetaria si tradurrebbe inoltre in tassi di crescita reale delle economie molto più lenti, ma costanti nel medio-lungo termine. In assenza del motore dell'espansione monetaria e creditizia, ovvero le politiche inflazionistiche delle banche centrali, la crescita nominale della produzione all'interno di un Bitcoin standard sarà modesta, ma la crescita reale rimarrà significativa. In altre parole, qualsiasi aumento della produttività multifattoriale si tradurrà in un calo dei prezzi al consumo misurati in satoshi piuttosto che in un aumento della produzione nominale. In questo contesto, anche nel breve termine, la crescita economica dipenderà da fattori demografici, ecologici ed economici piuttosto che da fattori monetari o creditizi.
A questo proposito, con il Bitcoin standard si assisterà a un graduale spostamento di ricchezza dal settore finanziario, oggi divenuto vorace, all'economia reale e produttiva. Ciò in conseguenza al significativo ridimensionamento dei mercati obbligazionari e monetari (riduzione del livello di indebitamento delle economie) e, successivamente, dei profitti dell'intero settore.
Tra le attività che subiranno il ridimensionamento maggiore ci sono i sistemi centralizzati di pagamento e compensazione, gli istituti di credito tradizionali, gli agenti fiduciari come i notai (sostituiti da smart contract su Layer 2 e 3 di Bitcoin) e coloro che si occupano di intermediazione finanziaria, immobiliare e assicurativa.
Al contrario, tutto ciò che sfrutterà il potenziale dei Layer di Bitcoin (per gli smart contract) e della DeFi vivrà un vero e proprio boom.
Implicazioni (geo)politiche
Per quanto riguarda l'immutabilità della base monetaria, essa costringerebbe gli stati a una rigorosa disciplina fiscale, poiché verrebbe meno l'opzione di monetizzare deficit o debito come forma di finanziamento della spesa pubblica. Ciò influenzerà profondamente la capacità degli stati di fornire assistenza sociale o di condurre guerre. In assenza di una stampante monetaria e, quindi, dell'insidiosa tassa chiamata inflazione, la pressione fiscale e l'allocazione della spesa pubblica diventeranno oggetto di serie negoziazioni e controversie politiche, poiché incideranno direttamente sulle tasche dei cittadini/sudditi/contribuenti.
Da un lato, ciò potrebbe incoraggiare forme di democrazia più dirette (facilitate dalla diffusione di blockchain e DAO) per dare ai cittadini maggiore voce in capitolo nelle decisioni fiscali e di spesa. Dall'altro, un mondo basato sul Bitcoin standard potrebbe portare a un panorama geopolitico molto più frammentato e apolare, data l'intrinseca insostenibilità del mantenimento di apparati statali ampi e inefficienti, più simili al feudalesimo medievale. Invece dell'aristocrazia spada/sangue/toga, le balene Bitcoin diventerebbero la classe sociale dominante, dove i no-coiner costituirebbero una sorta di nuova servitù della gleba. I primi, individui, famiglie e istituzioni con ingenti depositi in Bitcoin (creati nelle prime fasi di adozione di questa tecnologia, ovvero nei primi due decenni della sua esistenza), sarebbero in grado di fornire welfare, lavoro e protezione ai cittadini/sudditi in cambio di lealtà, servizi e obbedienza al loro dominio “feudale”. La stragrande maggioranza della popolazione i cui antenati sono arrivati troppo tardi per adottare e convertire il proprio capitale fiat in Bitcoin (per varie ragioni ideologiche o pratiche, inclusi vincoli economici), si troverà alla base della piramide e sarebbe costretta a guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte o (più probabilmente, dati i progressi tecnologici) grazie alla generosità, più o meno interessata, di balene filantropiche. Questa dinamica si applicherebbe anche a livello internazionale: ci sarebbero regioni o nazioni pioniere che, avendo adottato Bitcoin per prime come moneta a corso legale, godrebbero di un significativo vantaggio in termini di ricchezza relativa che sarebbe difficile da eguagliare per i “ritardatari”.
Queste non sarebbero necessariamente le nazioni attualmente dominanti; infatti alcune potrebbero addirittura non esistere più in futuro. Il risultato finale sarebbe un sistema internazionale molto più frammentato di quello attuale, costituito da un mix di città-stato democratiche, socialiste o oligarchiche, feudi cripto-aristocratici incentrati su singole famiglie e vaste regioni anarchiche. Tutte queste entità sarebbero in competizione/cooperazione tra loro, formando un panorama geopolitico-ideologico completamente nuovo e in continua evoluzione. Le vecchie affiliazioni identitarie (nazionali, ideologiche e religiose) si sovrapporrebbero e si mescolerebbero con nuove identità basate sull'interpretazione della rivoluzione Bitcoin. Dati i presupposti tecnologici e i fondamenti ideologici della cultura Bitcoin, potrebbe emergere una religione “coiner”, legata ad alcuni aspetti rituali e di fede già intravisti tra i suoi convinti sostenitori (es. immacolata concezione, decentralizzazione, adorazione di Satoshi, infallibilità algoritmica). In ogni caso, il Bitcoin standard imporrebbe alle società che lo adottano alcune norme economiche che influenzano da vicino la moralità pubblica. Tra queste il senso del limite, l'etica del risparmio, la prudenza negli investimenti, la visione a lungo termine, l'onestà nelle transazioni commerciali, la responsabilità individuale, la disciplina fiscale e, naturalmente, l'indipendenza e l'incorruttibilità della moneta dai poteri statali.
Nodi, mining e geopolitica
I nodi sono il cuore della rete Bitcoin e, pertanto, riceverebbero un'attenzione significativa da parte dei poteri politici. Il controllo dei nodi completi (e quindi dei potenziali miner) all'interno di un territorio specifico da parte delle autorità pubbliche sarebbe estremamente importante per rivendicare la sovranità interna e influenzare la scena internazionale. Naturalmente, date altre variabili, le nazioni in grado di produrre energia a costi inferiori, o su scala maggiore, avrebbero un vantaggio nell'allocazione e quindi nel controllo di quote significative dell'hashrate globale di Bitcoin. Un'eterna lotta per il controllo dell'hashrate globale sarà il nuovo centro delle controversie geoeconomiche. Detto questo, non è affatto garantito che la maggior parte delle entità politiche territoriali sarà in grado di esercitare questo controllo, ed è incerto come lo faranno.
Sebbene la legittima coercizione fisica possa sembrare la scelta ovvia, data la natura specifica degli stati, potrebbe non essere necessariamente l'approccio più efficace in un panorama geopolitico più frammentato e competitivo di quello attuale. Grazie all'elevata mobilità di Bitcoin e ai vincoli fiscali imposti agli stati tradizionali da questo sistema monetario, miner e balene potrebbero facilmente scegliere di trasferirsi altrove se i loro diritti di proprietà e la loro libertà imprenditoriale finissero in pericolo, trovando rifugio in giurisdizioni più libertarie. D'altro canto uno scenario diverso potrebbe aprirsi per quelle nuove entità statali “neo-aristocratiche” costruite attorno a una o più balene; in questo caso il monopolio sull'attività di mining e sulle risorse energetiche necessarie potrebbe essere più pronunciato, dato l'immenso potere economico detenuto dai loro organi di governo.
Implicazioni sul mercato energetico
Bitcoin non è una valuta merce, ma una valuta energetica. Il potere che racchiude è l'energia consumata per crearlo e trasferirlo. In quanto linfa vitale del nuovo paradigma monetario, quindi, l'energia sarà ancora più al centro del sistema economico rispetto a oggi. Ciò influenzerà radicalmente il progresso nel settore energetico, generando una corsa all'innovazione tecnologica sia dal punto di vista dell'estrazione che del risparmio energetico. Un'intera gamma di fonti energetiche precedentemente trascurate perché antieconomiche potrebbero diventare convenienti e accessibili grazie al loro utilizzo per l'attività di mining. Si pensi al sole nei deserti africani e asiatici, ai giacimenti di metano e gas naturale in località remote, all'energia geotermica proveniente da vulcani e geyser, o persino ad alcuni sistemi basati sul moto ondoso e sulle differenze di temperatura nelle profondità degli oceani.
Con una domanda di energia in continua crescita, ci sarà un crescente incentivo a generare più energia e a farlo in modo più efficiente, in un circolo virtuoso che potrebbe portare a una grande rivoluzione energetica, avvicinando potenzialmente l'umanità a una civiltà di livello 2 sulla scala di Kardashev, contribuendo a elettrificare il pianeta anche nei luoghi più remoti. Un'altra probabile conseguenza di un Bitcoin standard sarà l'inversione dei ruoli tra produttori e consumatori di energia. I maggiori consumatori di energia (le mining farm) diventeranno col tempo i principali produttori di energia, in un'integrazione verticale di asset e infrastrutture energetiche che, partendo dal basso, assimilerà l'intero settore energetico. Resta da vedere se questo porterà a una maggiore o minore concentrazione rispetto alla decentralizzazione dei produttori di energia, ma dipenderà certamente dalle dinamiche commerciali del settore del mining.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Smascherato il piano di censura della USAID: il Global Engagement Center ha collaborato con il governo britannico e i mass media
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/smascherato-il-piano-di-censura-della)
America First Legal (AFL) ha pubblicato nuovi documenti ottenuti attraverso il contenzioso in corso contro il Global Engagement Center (GEC) del Dipartimento di Stato americano, i quali smascherano una vasta operazione di censura sostenuta dal governo federale per mettere a tacere gli americani con il pretesto della “disinformazione” e “malinformazione”. I documenti rivelano un'inquietante alleanza tra il Global Engagement Center, l'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), il Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo britannico (FCDO) e le organizzazioni di censura nei media, tutte impegnate a collaborare per manipolare il dibattito pubblico, controllare le narrazioni e sopprimere la libertà di parola.
Il Global Engagement Center, costretto a chiudere nel dicembre 2024, era stato progettato per “combattere la disinformazione all'estero”. Tuttavia, attraverso le richieste di Freedom of Information Act (FOIA), America First Legal ha scoperto che il Global Engagement Center era impegnato in propaganda sponsorizzata dallo stato, avvalendosi ripetutamente di persone provenienti da organizzazioni mediatiche private. Inoltre la causa intentata da America First Legal contro il Global Engagement Center ha rivelato che la USAID aveva creato un “Manuale sulla disinformazione” il quale elogiava esplicitamente le strategie di censura implementate dal settore privato e raccomandava ulteriori tattiche di censura.
I nuovi documenti pubblicati da America First Legal mostrano:
• Il Global Engagement Center e la USAID hanno coordinato gli sforzi per censurare la “disinformazione sul COVID-19” e contrastare la “propaganda sul COVID-19”.
• Il Global Engagement Center ha collaborato con i funzionari del Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo britannico nelle attività di disinformazione.
• Il Global Engagement Center ha collaborato con i mass media, tra cui Poynter e NewsGuard, che hanno fornito campioni del loro strumento di intelligenza artificiale chiamato Misinformation Fingerprints, progettato per identificare e classificare i siti web in base alla loro “disinformazione” percepita.
I. Il Global Engagement Center e la USAID si sono coordinati per contrastare la “propaganda e la disinformazione sul COVID-19”
In un'email alla USAID, il “Liaison Planner to USAID” del Global Engagement Center affermava che quest'ultimo avrebbe dovuto “sostenere il dialogo e la connettività in questi tempi senza precedenti” per aiutare a contrastare la “disinformazione” che circondava il COVID-19, nonostante la missione autodefinita della USAID fosse “quella di estendere l'assistenza ai Paesi che si stanno riprendendo da un disastro, che cercano di uscire dalla povertà e che si impegnano in riforme democratiche”.
I documenti dimostrano che il Global Engagement Center ha comunicato con diverse divisioni della USAID, tra cui “TF 2020-COVID 19”, “Sviluppo digitale”, “Asia Bureau ES Taskers”, “Asia Outreach”, “Conflict Prevention and Stabilization (CPS) Policy” e “CPS Africa”.
Inoltre Global Engagement Center e USAID hanno collaborato su progetti di “contropropaganda” e “prodotti di disinformazione e relativi al COVID-19”, i quali spaziavano da una dimostrazione del “KHARON” (programma di analisi del rischio) al monitoraggio delle narrazioni di “disinformazione” sulle elezioni presidenziali del 2020 in Moldavia.
II. Coordinamento con i censori di Internet: NewsGuard e Poynter
Due giorni dopo le elezioni presidenziali statunitensi del 2020, il direttore generale di NewsGuard Technologies, Matt Skibinski, ha avviato una catena di email per promuovere i servizi di NewsGuard. Tra queste figuravano:
• L'allora direttrice di Park Advisors, Christina Nemr, un'ex-studentessa del Dipartimento di Stato dell'amministrazione Obama. Secondo il suo profilo LinkedIn, Park Advisors “ha progettato e guidato iniziative pubblico-private multimilionarie per affrontare le minacce alla sicurezza nell'ambiente informatico, colmando il divario tra le tecnologie emergenti e le esigenze operative del mondo reale. Ha costruito e gestito una piattaforma globale che ha valutato e collegato strumenti con sfide mission-critical, supportandone l'adozione da parte dei governi”.
• La Commissione per le piccole imprese della Camera ha scoperto che Park Advisors ha ricevuto un accordo di cooperazione da parte del Global Engagement Center per un valore di oltre $6 milioni. Park Advisors ha poi distribuito subappalti a diverse aziende, tra cui NewsGuard, l'Atlantic Council e il Global Disinformation Index, un progetto finanziato da George Soros che ha generato elenchi di siti web conservatori ed esortato le aziende pubblicitarie a boicottarli. Insieme, questi gruppi, non soggetti a restrizioni internazionali come lo era il Global Engagement Center, hanno testato prodotti di disinformazione, i quali hanno poi portato alla creazione del “Disinfo Cloud”, una piattaforma non classificata e utilizzata dal governo federale degli Stati Uniti, dall'Unione Europea, dal governo del Regno Unito, dal governo australiano e dal governo estone “per contrastare la propaganda avversaria e la disinformazione”.
• Dipendenti governativi del Dipartimento di Stato, della National Security Agency (NSA) e pezzi del Dipartimento della Difesa, tra cui il National Security Innovation Network (NSIN), lo US Cyber Command e lo US Army European Command.
Skibinski mostrava esempi del nuovo programma pilota Global Engagement Center/US Cybercommand Testbed (Misinformation Fingerprints). Questo programma utilizzava l'intelligenza artificiale e l'apprendimento automatico per monitorare la “disinformazione”. La relazione della Commissione per le Piccole Imprese della Camera dei Rappresentanti spiega che “non esisteva alcuna protezione per garantire che le risorse federali non venissero utilizzate per sviluppare e promuovere tecnologie che avrebbero avuto un impatto a livello nazionale”.
Sebbene NewsGuard affermi di essere un giusto arbitro della veridicità, una ricerca della Foundation For Freedom Online rivela come gestisca il braccio esecutivo dell'industria della censura, classificando i siti web in base alla quantità di “disinformazione” che ciascuno di essi pubblica.
Inoltre il 4 febbraio 2021 Vonda Wolcott, Senior Program Manager presso l'Institute for War and Peace Reporting, ha messo in contatto l'esperto di Monitoraggio e Valutazione del Global Engagement Center con Baybars Orsek di Poynter. America First Legal ha dimostrato come Poynter finanziasse un'operazione globale sotto falsa bandiera di “fact-checker” internazionali che si dichiaravano indipendenti ma che in realtà erano una fitta rete finanziata da Poynter e dal Global Engagement Center.
Questa email dimostra quanto Global Engagement Center e Poynter abbiano collaborato strettamente con l'esperto offerto dal primo per “illustrare [a Poynter] il nuovo manuale Monitoraggio e Valutazione del Global Engagement Center”.
III. Funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno condiviso informazioni con un governo straniero
Un'email dell'8 gennaio 2021 mostra la distribuzione di presunte “informazioni false” provenienti da email del Dipartimento di Stato americano a funzionari ufficiali del governo britannico presso il Ministero degli Esteri, del Commonwealth e dello Sviluppo britannico. America First Legal aveva precedentemente denunciato un coordinamento tra altre organizzazioni pro-censura e i governi degli Stati Uniti e del Regno Unito per censurare le opinioni dei cittadini americani.
Questi documenti dimostrano ulteriormente gli sforzi del Global Engagement Center, ora defunto, per sopprimere la cosiddetta “disinformazione”, spesso attraverso la collaborazione con agenzie governative, governi stranieri, ONG e mass media per mettere a tacere le voci dissidenti.
America First Legal continuerà a lottare per denunciare la censura e difenderà sempre il Primo Emendamento.
Dichiarazione di Andrew Block, consulente legale senior di America First Legal:
La partnership tra USAID e il Global Engagement Center è una cattiva notizia per il popolo americano. Se si aggiunge il fatto che si stavano coordinando con i responsabili della censura online, NewsGuard e Poynter, si può iniziare a capire quanto questa alleanza innaturale fosse pericolosa per la libertà di parola e di espressione. Per fortuna il Global Engagement Center è stato chiuso e la USAID sta venendo smantellata, ma i legislatori dovrebbero prendere atto di questo esempio quando prendono in considerazione misure legislative volte a garantire che il governo federale serva i principi e gli interessi americani.[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Siamo tutti affetti da sindrome post-traumatica?
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/siamo-tutti-affetti-da-sindrome-post)
Non è possibile quantificare con esattezza quanto trauma mentale e psicologico esista oggi nel Paese e nel mondo, e non mi fiderei di nessuno studio che ci abbia provato a quantificarlo. Ma una cosa è chiara, abbiamo perso l'equilibrio nella conoscenza di qualcosa che gli scienziati credevano da tempo di poter sapere: se e in che misura un'economia stia crescendo e prosperando, o stia andando nella direzione opposta.
Sembra che tutti stiano improvvisando, ultimamente. Da quando i lockdown hanno interrotto l'informazione, è stato difficile distinguere tra un'evoluzione positiva e una negativa.
I notevoli ribassi subiti dai principali indici finanziari negli ultimi due mesi sembrano aver innescato un cambiamento nel sentimento pubblico, da indifferente a cupo. Probabilmente questo non ha nulla a che fare con l'enorme ricchezza detenuta nei conti pensionistici.
Ogni aggiornamento della pagina sembra portare altre cattive notizie.
Questo ha a sua volta influenzato la propensione alla spesa e le prospettive in generale.
Eppure c'è qualcosa di strano che sta accadendo: l'inflazione è effettivamente in calo rispetto al trend quadriennale e mostra i dati migliori sin dal 2020. Anche l'indice dei prezzi al consumo (IPC) riflette questo dato. Le prospettive occupazionali nel settore privato stanno leggermente migliorando.
Perché il sentiment dei consumatori è improvvisamente crollato? È strano perché ci sono scarse prove di un cambiamento improvviso, a meno che non siano i dazi a essere la causa, il che è inverosimile (secondo me).
Una possibile teoria: la popolazione soffre di una forma di disturbo da stress post-traumatico economico, un termine clinico per quello che un tempo veniva chiamato stanchezza da battaglia e shock da bombardamento. È ciò che accade allo spirito umano di fronte a qualcosa di inaspettato, terribile e in definitiva traumatizzante. Ci sono fasi di recupero che vanno dalla negazione, alla rabbia, alla contrattazione e alla depressione, con l'accettazione come fase finale.
Potremmo essere arrivati a questo punto. Da anni ormai i media nazionali e le agenzie governative sostengono che tutto va bene. L'inflazione si sta raffreddando, la crescita dell'occupazione è forte, la ripresa è alle porte. Innumerevoli articoli sui media hanno lamentato il divario che separa i dati reali dalle percezioni dell'opinione pubblica. Siamo stati incoraggiati a credere che “chiudere l'economia” non sia stato poi così grave, solo qualcosa che si fa prima di riaccenderla.
Smettetela di lamentarvi! Siete ricchi!
È stato il picco del gaslighting economico, qualcosa di cui molti di noi si lamentano ormai da cinque anni.
Nel 2024 il Brownstone Institute ha commissionato uno studio più approfondito e ha rilevato che gli Stati Uniti erano in recessione tecnica dal 2022 e senza una vera ripresa sin dal 2020. Gli autori sono giunti a questa conclusione esaminando i dati sui prezzi del settore piuttosto che le sottostime del Bureau of Labor Statistics. Li hanno confrontati con una stima realistica della produzione e hanno mostrato tutto il loro lavoro. Nessuno ha mai contestato lo studio.
Questo è anche il quinto anniversario del più grande trauma delle nostre vite, i lockdown che hanno distrutto milioni di aziende, chiuso ospedali e chiese, limitato la circolazione e decimato la vita economica. Nessuno avrebbe mai pensato che una cosa del genere fosse possibile.
È stato un trauma pari a quello di un tempo di guerra. Ancora oggi la gente è riluttante a parlarne, proprio come il nonno non ha mai parlato delle sue esperienze durante la Seconda guerra mondiale.
Eccoci qui oggi, disperatamente vicini a ritrovare la normalità e con questo è arrivato un campanello d'allarme per quanto riguarda le finanze delle famiglie. Il reddito reale è in calo, i risparmi sono in calo, le bollette sono in aumento, i tagli sono necessari. Sono stati rinviati per anni, mentre i mass media strombazzavano le glorie della ripresa di Biden che invece non esisteva o era un ologramma alimentato dal debito.
Ora arriva l'indice sulla fiducia dei consumatori dell'Università del Michigan: dopo tre anni di grandi guadagni, stranamente coincidenti con la presidenza Biden, adesso mostra un crollo tremendo, stranamente coincidente con l'insediamento di Trump. Ciò che lo rende particolarmente strano è che l'inflazione è in realtà inferiore ora rispetto a quattro anni fa. Gli ultimi dati non mostrano nulla di tutto ciò.
Vi mostrerei un grafico, ma l'Istituto per la Ricerca Sociale dell'Università del Michigan non pubblica i suoi dati più recenti per un mese intero. Bisogna pagare per averli. Ecco perché nessun servizio pubblico di grafici può fornirvi quei dati. Ehi, devono pur guadagnare qualcosa, no? Chi può biasimarli per questo?
Beh, c'è un problema, uno che non mi sarei mai aspettato. Ho sempre pensato che i dati dell'Università del Michigan fossero più affidabili di quelli di un'agenzia federale. Sembrano provenire dalla “vera” America, uno stato di passaggio con veri scienziati indipendenti.
È bastata una rapida occhiata su Grok per scoprire che l'Istituto per la Ricerca Sociale, e questo sondaggio in particolare, è uno dei principali destinatari dei finanziamenti federali. Provengono dal National Institutes of Health, dalla National Science Foundation, dalla Social Security Administration e da altri.
Il totale ammonta a circa $100 milioni all'anno, dalle vostre tasche alle loro. Poi vendono i loro dati al settore privato – che derivano da un sondaggio su 1.000 persone – realizzando un profitto. Questa storia prima era sconosciuta e, in verità, nessuno ha mai pensato di mettere in discussione dati gloriosi e oggettivi provenienti dai migliori capoccioni che abbiamo.
In passato non mi sarebbe mai venuto in mente di esaminare le fonti di finanziamento per questo tipo di ricerca. Ma le cose stanno cambiando: ora capiamo il meccanismo. Il governo federale vi tassa, alimenta le università e le ONG, queste generano ricerca e propaganda per alimentare la macchina burocratica, e il ciclo continua. Gli esempi sono innumerevoli e hanno portato a una valanga di scienza fasulla negli ultimi cinque anni.
Non abbiamo prove dirette che gli ultimi dati sul sentiment dei consumatori siano falsi. Potrebbero essere del tutto reali, un'indicazione che solo ora le persone si stanno svegliando da uno stato onirico di negazione e confusione durato quattro anni – sintomatico di stress post-traumatico o di shock post-traumatico dovuto al trauma dei lockdown. D'altra parte viene da chiederselo, dato che ora sappiamo che questo centro di ricerca è in realtà a sussidio federale.
L'altro giorno ero al bar di un aeroporto e un uomo mi ha chiesto del mio braccialetto di sensibilizzazione. C'è scritto: “Non sarò più messo in lockdown”. Si chiedeva cosa significasse.
Sapendo che probabilmente era ancora nella fase di negazione, gli ho spiegato che cinque anni prima tutti i nostri diritti erano stati cancellati, l'economia era stata fatta crollare deliberatamente e la vita era stata stravolta da decreti, in attesa dell'uscita di un nuovo vaccino che non avrebbe funzionato ma che tutti erano stati costretti a iniettarsi comunque.
Ho cercato di non dare troppo nell'occhio o di non dilungarmi troppo, quindi ho lasciato perdere.
La sua risposta: “Sì, che schifo”.
Lunga pausa.
Ha poi proseguito: “Non abbiamo ancora fatto i conti con tutto questo, vero?”
“No”, ho risposto.
È tornato alla sua birra e non ha detto altro.
I giorni prima del lockdown sono stati davvero il nostro ultimo momento di innocenza.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Potere istituzionale: il racconto di due visioni del mondo
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/potere-istituzionale-il-racconto)
Potere e governance raramente mirano a servire il pubblico, ma a preservare il controllo. Un commento sul mio ultimo articolo, Il prezzo della convenienza, lo riassumeva perfettamente: “Il problema cambia completamente quando lo stato decide di volerti controllare invece di servirti”.
Ciò descrive uno schema che sta diventando sempre più chiaro: una società divisa non tra sinistra e destra, ma tra coloro che credono che le istituzioni governative abbiano buone intenzioni ma necessitino di riforme, e coloro che capiscono che consolidare il potere e il controllo è la loro natura intrinseca.
Il mio percorso personale verso questa comprensione è stato graduale. In decenni di esperienza nel settore tecnologico, ho visto come sistemi pensati per democratizzare l'informazione potessero trasformarsi in strumenti di sorveglianza e controllo.
Guardando indietro, è chiaro che stavamo costruendo l'infrastruttura per un monitoraggio e un controllo sociale senza precedenti, anche se ci ho messo un po' a rendermene conto. Come molti nel settore delle dot-com (come lo chiamavamo all'epoca), credevo che stessimo democratizzando l'informazione e connettendo l'umanità. Invece stavamo creando gli strumenti perfetti per la sorveglianza di massa e il controllo sociale.
I segnali di questo schema più ampio erano ovunque: guerre infinite scatenate sulla base di premesse false, la porta girevole tra aziende e stato, la costante erosione della privacy. Come molti, inizialmente li ho visti come bug piuttosto che come caratteristiche del sistema.
L'illusione del riformatore
Essere realistici sulla natura del potere non rende pessimisti. Capire come funzionano realmente i sistemi è il primo passo verso la costruzione di alternative migliori. Ma questa illusione è potente perché offre speranza: se solo riuscissimo a riformare il sistema, tutto funzionerebbe come previsto.
Questo modello di crescita istituzionale segue un ciclo prevedibile che sfrutta la psicologia umana: in primo luogo emerge un problema (reale o artificiale) che innesca una reazione pubblica, in genere paura o indignazione, infine le autorità implementano “soluzioni” pre-pianificate che espandono il loro controllo. Si consideri quanto segue:
• COVID: Problema (emerge il virus), Reazione (paura pubblica), Soluzione (ampliare i poteri statali, interventi medici obbligatori);
• Crisi finanziaria: problema (crollo del mercato), reazione (panico economico), soluzione (salvataggi e controllo ampliato del sistema bancario centrale);
• Terrorismo: problema (attacchi dell'11 settembre), reazione (paura e incertezza), soluzione (sorveglianza di massa e guerre senza fine).
Le misure temporanee di “emergenza” diventano permanenti, eppure cadiamo ripetutamente in questo schema perché offre la consolazione di un'azione apparente.
Questa visione del mondo sostiene che quando lo stato fallisce, ciò è a causa di corruzione, incompetenza o controlli insufficienti. La soluzione è sempre di più: più controllo, più regolamenti, più esperti “qualificati” (come ho approfondito in L'illusione degli esperti). È un programma di riforma perpetuo che non si chiede mai se l'istituzione stessa possa essere il problema.
Pensiamo adesso a come tutto ciò si traduce in pratica. La FDA non riesce a proteggerci dai farmaci pericolosi, quindi chiediamo maggiore autorità per la FDA. La SEC non riesce a prevenire le frodi finanziarie, quindi ne espandiamo i poteri normativi. Il Dipartimento dell'Agricoltura non riesce a proteggere i piccoli agricoltori, quindi gli diamo più potere sulla produzione alimentare. Ogni fallimento diventa una giustificazione per espandere le stesse istituzioni che hanno fallito.
Questa mentalità riformista, per quanto convincente, trascura una verità fondamentale sul potere stesso.
La consapevolezza del realista
Mentre i riformatori inseguono il miraggio di una migliore supervisione, i realisti comprendono ciò che Machiavelli aveva capito secoli fa: il potere cerca di preservarsi e di espandersi.
La Rivoluzione americana fu innescata da tirannie molto meno invasive di quelle che oggi accettiamo silenziosamente. Una tassa sul tè e qualche soldato nelle case private scatenarono una rivolta; oggi rinunciamo alle nostre comunicazioni private, ai dati di geolocalizzazione e all'autonomia medica senza quasi protestare.
Non si tratta di individui malintenzionati. Molte persone entrano al servizio dello stato con un sincero desiderio di aiutare le proprie comunità. Il problema è sistemico. Proprio come la FDA inevitabilmente serve le aziende farmaceutiche e la SEC protegge Wall Street, ogni ente di regolamentazione alla fine serve la struttura di potere che presumibilmente dovrebbe monitorare.
Osservate come si ripete questo schema. Lo stato crea una scarsità artificiale nell'assistenza sanitaria attraverso restrizioni di licenze e brevetti, poi si propone come soluzione ai costi elevati. Svaluta la moneta stampandola all'infinito, poi scarica l'inflazione sulle imprese private. Ogni crisi diventa un'opportunità di espansione, ogni fallimento una giustificazione per un maggiore controllo.
Un tempo promettenti per democratizzare l'informazione, le piattaforme tecnologiche sono invece diventate gli strumenti perfetti per il controllo centralizzato, come dimostra la loro collaborazione con le agenzie governative durante il COVID. Abbiamo assistito a un coordinamento senza precedenti tra agenzie governative e piattaforme tecnologiche per sopprimere opinioni mediche dissenzienti, persino da parte di esperti altamente qualificati. La censura si è estesa alle discussioni sulle origini dai laboratori, sull'efficacia delle mascherine e sui trattamenti alternativi – posizioni poi confermate dalle prove. Queste etichette di “disinformazione” sono state cancellate dalla memoria con il cambiamento della narrazione, ma il precedente per il controllo è rimasto.
Lo stesso schema si ripete in ogni ambito. Le valute digitali delle banche centrali vengono pubblicizzate come convenienti e sicure, ma rappresentano un potenziale senza precedenti per la sorveglianza e il controllo finanziario. Analogamente le politiche climatiche creano quadri normativi complessi che favoriscono le grandi aziende, ampliando al contempo la sorveglianza attraverso obblighi di tecnologia “smart”. Ogni cosiddetta “soluzione” rafforza il potere centralizzato, scaricando i costi su chi è meno in grado di sostenerli.
L'inversione di scopo
Ogni agenzia governativa mina sistematicamente la propria missione dichiarata, non per incompetenza, ma per disegno intenzionale. Il Dipartimento della Difesa – forse nel rebranding più riuscito della storia – rinominato dal suo nome originale, Dipartimento della Guerra, ci ha tenuti in un conflitto perpetuo, consumando il più grande bilancio militare della storia e fallendo il suo settimo audit consecutivo nel 2024. Il Dipartimento dell'Istruzione ha supervisionato un calo dei punteggi dei test e dei tassi di alfabetizzazione, con solo il 34% degli studenti di quarta elementare che leggono a livello scolastico. Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani presiede una nazione in cui i tassi delle malattie croniche sono raddoppiati sin dal 1980.
Persino il Dipartimento del Tesoro, incaricato di mantenere la stabilità della nostra valuta, ha assistito a un calo del 96% del potere d'acquisto del dollaro sin dal 1913. L'Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) spesso protegge le aziende inquinanti, limitando al contempo le soluzioni a livello individuale e comunitario. La FDA funge da dipartimento marketing dell'industria farmaceutica piuttosto che da agenzia per la tutela dei consumatori, con il 45% del suo budget per la revisione dei farmaci proveniente dalle commissioni dell'industria farmaceutica.
Questa non è incompetenza; è una progettazione intenzionale. Ogni agenzia diventa un meccanismo per concentrare il potere proprio negli stessi settori che dovrebbe regolamentare.
Rivendicare la sovranità
L'Islanda medievale prosperò per 300 anni senza un governo centralizzato, dove le controversie venivano risolte attraverso un sofisticato sistema di tribunali e risarcimenti, anziché con sanzioni statali. La Lega Anseatica, una rete di città commerciali libere, dominò il commercio nordeuropeo per tre secoli attraverso accordi commerciali volontari e patti di mutua difesa, anziché attraverso il controllo statale, a dimostrazione del fatto che la cooperazione volontaria può creare una prosperità duratura.
Oggi stiamo assistendo all'emergere di versioni moderne. Le reti alimentari locali stanno aggirando l'agricoltura industriale controllata dalla burocrazia. I giornalisti indipendenti stanno aggirando i controlli dei media aziendali. Stanno emergendo economie parallele basate sullo scambio diretto e sulla fiducia della comunità piuttosto che sul controllo centralizzato. I soli mercati agricoli su piccola scala sono cresciuti da 1.755 a oltre 8.600 negli ultimi due decenni, migliorando la sicurezza alimentare, riducendo l'impatto ambientale e mantenendo la ricchezza all'interno delle comunità.
Queste non sono solo proteste contro il sistema attuale: sono progetti per un futuro più libero. Ogni cooperativa di homeschooling e ogni rete commerciale locale dimostrano come la prosperità umana avvenga in modo spontaneo quando le persone collaborano volontariamente.
La vera battaglia non è tra i nemici artificiali presentati dalle organizzazioni giornalistiche di parte, progettate per dividerci, ma tra coloro che ancora credono nella benevolenza del potere centralizzato e coloro che lo vedono per quello che è. Il primo gruppo continua a cercare di riformare un sistema il cui scopo primario è il controllo. Il secondo gruppo è impegnato a costruire alternative. La vera soluzione non sta nella riforma, ma nella creazione. Ogni iniziativa locale, ogni rete indipendente, ogni atto di cooperazione volontaria indebolisce la presa del controllo centralizzato. La questione non è se possiamo riparare istituzioni in rovina; è se costruiremo alternative migliori prima che la prossima crisi giustifichi un potere centralizzato ancora maggiore.
La buona notizia? Una volta che vedete il sistema per quello che è, non potete più non vederlo. Con ogni azione decentralizzata, ogni rete costruita e ogni comunità rafforzata, piantiamo i semi di un vero cambiamento. La sovranità non viene data, viene rivendicata.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
In che modo gli inglesi hanno venduto il globalismo all'America
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/in-che-modo-gli-inglesi-hanno-venduto)
Il 13 aprile 1919 un distaccamento di cinquanta soldati britannici aprì il fuoco sui manifestanti ad Amritsar, in India, uccidendone a centinaia.
I soldati erano indiani, in uniforme britannica.
Il loro comandante era un inglese.
Quando il colonnello Reginald Dyer diede l'ordine, cinquanta indiani aprirono il fuoco sui loro connazionali senza esitazione e continuarono a sparare per dieci minuti.
Questo si chiama soft power.
Su di esso è stato edificato l'Impero britannico.
Il soft power è la capacità di sedurre e convincere gli altri a fare ciò che non vogliono.
Alcuni lo chiamerebbero controllo mentale.
Grazie all'uso del soft power, un piccolo Paese come l'Inghilterra è riuscito a dominare Paesi più grandi e popolosi.
Persino i potenti Stati Uniti cedettero all'influenza britannica in modi che la maggior parte degli americani non comprese.
Per più di cento anni noi americani siamo stati spinti inesorabilmente verso la globalizzazione, contro i nostri interessi e contro la nostra naturale inclinazione.
La spinta verso la globalizzazione proviene principalmente da gruppi di facciata britannici che si spacciano per think tank americani. Tra questi il più importante è il Council on Foreign Relations.
Origine del Council on Foreign Relations
Il Council on Foreign Relations è nato dal Movimento della Tavola Rotonda britannico.
Nel mio ultimo articolo, “Come gli inglesi hanno inventato il globalismo”, ho spiegato come i leader britannici iniziarono a formulare piani per un governo globale nel corso del XIX secolo.
Grazie ai finanziamenti del Rhodes Trust, nel 1909 venne fondato un gruppo segreto chiamato Tavola Rotonda. Fondò sezioni nei Paesi di lingua inglese, tra cui gli Stati Uniti, per promuovere una federazione mondiale di popoli di lingua inglese uniti in un unico superstato.
L'obiettivo a lungo termine della Tavola Rotonda, come chiarito da Cecil Rhodes nel suo testamento del 1877, era raggiungere la pace nel mondo attraverso l'egemonia britannica.
Nel frattempo Rhodes cercò anche (e cito) il “recupero definitivo degli Stati Uniti d'America come parte integrante dell'Impero britannico”.
I Dominion
Si scoprì che le colonie anglofone della Gran Bretagna non volevano far parte della federazione di Rodhes. Volevano l'indipendenza.
Così i membri della Tavola Rotonda proposero un compromesso: offrirono lo status di “Dominion”, o una parziale indipendenza.
Il Canada doveva essere il modello. Aveva ottenuto lo status di Dominion nel 1867 e ciò significava che si autogovernava internamente, mentre la Gran Bretagna gestiva la sua politica estera. I canadesi rimanevano sudditi della Corona.
Gli inglesi proposero lo stesso accordo anche alle altre colonie di lingua inglese.
Era prevista una guerra contro la Germania, quindi i membri della Tavola Rotonda dovettero agire in fretta.
La Gran Bretagna aveva bisogno di placare i Dominion con l'autogoverno, in modo che accettassero di fornire truppe per la guerra imminente.
L'Australia divenne un Dominion nel 1901, la Nuova Zelanda nel 1907 e il Sudafrica nel 1910.
Corteggiare gli Stati Uniti
Gli Stati Uniti rappresentavano una sfida particolare. Eravamo indipendenti dal 1776. Inoltre i nostri rapporti con la Gran Bretagna erano stati burrascosi, rovinati da una sanguinosa Rivoluzione, dalla Guerra del 1812, dalle dispute di confine con il Canada e dall'ingerenza britannica nella nostra Guerra Civile.
A partire dagli anni Novanta dell'Ottocento, gli inglesi lanciarono un'offensiva di pubbliche relazioni chiamata “Grande riavvicinamento” per promuovere l'unità anglo-americana.
Nel 1893 il magnate dell'acciaio di origine scozzese, Andrew Carnegie, chiese apertamente un'“Unione anglo-americana”. Sostenne il ritorno dell'America all'Impero britannico.
Nel 1901 il giornalista britannico, W. T. Stead, sostenne la necessità di creare “Stati Uniti di lingua inglese nel mondo”.
Una soluzione “canadese” per l’America
Dal punto di vista britannico il Grande Riavvicinamento fu un fiasco.
Quando la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania nel 1914, le truppe arrivarono da ogni angolo dell'Impero ma non dall'America. Gli Stati Uniti inviarono truppe solo nell'aprile del 1917, dopo due anni e mezzo di accanite pressioni britanniche.
Per gli inglesi quel ritardo era intollerabile. Dimostrava che non ci si poteva fidare degli americani per prendere decisioni importanti.
La Tavola Rotonda cercò una soluzione “canadese”, manipolando gli Stati Uniti per ottenere un accordo di tipo Dominion, con la Gran Bretagna che controllava la nostra politica estera.
Tutto ciò doveva essere fatto in silenzio, attraverso canali segreti.
Durante i colloqui di pace di Parigi del 1919, gli agenti della Tavola Rotonda collaborarono con anglofili statunitensi accuratamente selezionati (molti dei quali membri della Tavola Rotonda) per ideare meccanismi formali in modo da coordinare la politica estera statunitense e britannica.
Il meccanismo di controllo
Il 30 maggio 1919 venne fondato l'Anglo-American Institute of International Affairs (AAIIA), con filiali a New York e Londra.
Per la prima volta fu istituita una struttura formale per armonizzare al massimo livello le linee di politica degli Stati Uniti e del Regno Unito.
Tuttavia il momento storico era pessimo. In America stava crescendo un sentimento anti-britannico, molti accusavano l'Inghilterra di averci trascinato in guerra. Allo stesso tempo i globalisti inglesi denunciavano gli americani come scansafatiche per non aver sostenuto la Società delle Nazioni.
Poiché l'unità anglo-americana era temporaneamente in discredito, nel 1920 i membri della Tavola Rotonda decisero di separare le filiali di New York e Londra, per salvare le apparenze.
Dopo la separazione la filiale londinese fu ribattezzata British Institute of International Affairs (BIIA). Nel 1926 il BIIA ricevette uno statuto reale, diventando il Royal Institute of International Affairs (RIIA), comunemente noto come Chatham House.
Nel frattempo, nel 1921, la filiale di New York divenne il Council on Foreign Relations.
Dopo la separazione da Chatham House, il Council on Foreign Relations continuò a collaborare strettamente con la controparte britannica, nel rispetto di un rigido codice di segretezza denominato “regole di Chatham House”.
L'agenda del Council on Foreign Relations
Il Council on Foreign Relations afferma sul suo sito web di “non prendere posizioni istituzionali su questioni politiche”, ma questo non è vero.
“L'impronta dell'internazionalismo” è evidente in tutte le pubblicazioni del Council on Foreign Relations, osserva il politologo britannico, Inderjeet Parmar, nel suo libro del 2004 “Think Tanks and Power in Foreign Policy”. Negli scritti del Council on Foreign Relations è evidente anche una marcata ostilità a ciò che esso definisce “isolazionismo”.
Parmar conclude che il Council on Foreign Relations persegue due obiettivi:
- Unità anglo-americana
- Globalismo
Si tratta degli stessi obiettivi stabiliti nel testamento di Rhodes, il quale auspicava un'unione globale anglo-americana così potente da “rendere in seguito impossibili le guerre [...]”.
“La nave madre”
Protetto dalle “regole di Chatham House”, il Council on Foreign Relations ha a lungo operato nell’ombra e la sua stessa esistenza è sconosciuta alla maggior parte degli americani.
Ciononostante nel corso degli anni sono trapelate voci sul suo potere.
“Poche istituzioni di spicco nella società americana sono state messe alla gogna con tanta costanza quanto il Council on Foreign Relations”, scrisse lo storico Robert J. McMahon nel 1985. “Per i complottisti di destra, così come per i critici radicali di sinistra, l'organizzazione con sede a New York ha spesso evocato il timore di una piccola élite che tira i fili della politica estera americana con una certa cattiveria”.
In realtà il controllo del Council on Foreign Relations sulla politica estera degli Stati Uniti non è un complotto, ma piuttosto un fatto ben noto tra gli addetti ai lavori di Washington, i quali hanno soprannominato il Council on Foreign Relations “il vero Dipartimento di Stato”.
Nel 2009 il Segretario di Stato Hillary Clinton ammise di aver ricevuto istruzioni dal Council on Foreign Relations definendo la sede centrale di New York “la nave madre”.
Parlando presso il suo nuovo ufficio a Washington, la Clinton dichiarò: “Sono stata spesso nella sede principale di New York, ma è positivo avere una sede distaccata proprio qui, a due passi dal Dipartimento di Stato. Riceviamo molti consigli da questo organo, quindi significa che non dovrò andare lontano per sentirmi dire cosa dovremmo fare e come dovremmo pensare al futuro”.
Il Council on Foreign Relations contro Trump
Trump non condivideva l'entusiasmo di Hillary per i “consigli” britannici.
Al contrario le politiche di Trump si opponevano espressamente alle posizioni britanniche sul cambiamento climatico, sulle frontiere aperte, sugli accordi commerciali truccati e sulle guerre senza fine. La politica “America First” di Trump incarnava ciò che il Council on Foreign Relations definisce “isolazionismo”.
Tutto ciò era troppo per gli inglesi e i loro collaboratori statunitensi.
È nata la “Resistenza” anti-Trump.
Il 16 giugno 2015 Trump annunciò la sua candidatura alla presidenza.
Verso la fine del 2015 l'agenzia britannica di intercettazioni, il GCHQ, avrebbe scoperto delle “interazioni” tra la campagna di Trump e l'intelligence russa.
Nell'estate del 2016 il GCHQ trasmise questo “materiale” all'allora capo della CIA, John Brennan.
Un titolo del 13 aprile 2017 del quotidiano britannico The Guardian annunciava con orgoglio: “Le spie britanniche sono state le prime a individuare i legami del team di Trump con la Russia”.
L'articolo spiegava: “Fonti di intelligence statunitensi e britanniche riconoscono che il GCHQ ha avuto un ruolo iniziale e di primo piano nell'avvio dell'indagine dell'FBI su Trump e la Russia [...]. Una fonte ha definito l'agenzia britannica di intercettazioni il 'principale informatore'”.
Così l’intelligence britannica ha preparato il terreno per l’inchiesta Mueller e per l’impeachment del “Russiagate” più di un anno prima dell’elezione di Trump.
Richieste di ammutinamento militare
Solo 10 giorni dopo l'insediamento di Trump nel 2017, la rivista Foreign Policy chiese un “colpo di stato militare” contro il nuovo presidente.
L'articolo del 20 gennaio 2017 recava il titolo “3 modi per sbarazzarsi del presidente Trump prima del 2020”. In esso la professoressa di diritto Rosa Brooks chiedeva l'impeachment di Trump o la sua rimozione ai sensi del 25° emendamento.
Come ultima risorsa, disse la Brooks, si poteva provare un metodo “che fino a poco tempo fa avrei ritenuto impensabile negli Stati Uniti d’America: un colpo di stato militare [...]”.
Foreign Policy è di proprietà della famiglia Graham, la cui matriarca Katharine Graham contribuì a rovesciare Nixon quando era direttrice del Washington Post.
I Graham sono degli esperti di Washington. Non avrebbero mai invocato un “colpo di stato militare” senza il via libera della “nave madre”.
Destabilizzare l'America
La prova della complicità del Council on Foreign Relations è arrivata nel novembre 2017, quando la rivista Foreign Affairs ha fatto eco a Foreign Policy esortando i “leader militari di alto rango” a “resistere agli ordini” di Trump e a prendere in considerazione la sua rimozione ai sensi del 25° emendamento.
Foreign Affairs è la rivista ufficiale del Council on Foreign Relations.
Durante la presidenza Trump il Dipartimento degli Esteri lo accusò ripetutamente di instabilità mentale, esortando i “leader militari” e i “funzionari di gabinetto” a tenersi pronti a estrometterlo.
Provenienti dalla “nave madre”, questi incitamenti avevano un'autorità insolitamente forte. Soffiarono sulle fiamme della retorica di Washington fino a livelli indicibili, scuotendo la nazione e affermando l'insurrezione e il colpo di stato come la “nuova normalità” nella politica statunitense.
Considerata l'innegabile discendenza britannica del Council on Foreign Relations, la retorica della rivista Foreign Affairs solleva interrogativi sulle motivazioni britanniche.
Chiaramente Whitehall considerava Trump una minaccia esistenziale. Ma perché? Perché le obiezioni di Trump sulla politica commerciale erano considerate così minacciose per gli interessi britannici da giustificare un ammutinamento militare?
Neutralizzare la minaccia americana
Credo che la risposta si possa trovare negli scritti originali del gruppo Rhodes.
Nel suo libro del 1901, The Americanization of the World, il giornalista britannico W. T. Stead, stretto collaboratore di Rhodes, sosteneva che l'Inghilterra avesse solo due scelte: fondersi con l'America o essere sostituita da essa.
La scelta era chiara: unirsi agli Stati Uniti avrebbe potuto salvare la Gran Bretagna, mentre qualsiasi tentativo di competere con gli Stati Uniti si sarebbe concluso solo con una sconfitta.
Già negli anni Novanta dell'Ottocento, i leader britannici sapevano che sorvegliare il loro Impero era diventato troppo costoso. Concedere l'autogoverno ai Dominion permise di risparmiare denaro, rendendoli responsabili della propria difesa, ma la spesa militare era ancora troppo elevata.
Nel 1906 il banchiere britannico Lord Avebury si lamentò del fatto che gli Stati Uniti si stessero arricchendo a spese della Gran Bretagna. Mentre gli Stati Uniti traevano profitto dalla Pax Britannica, la Gran Bretagna spendeva il 60% in più dell'America per le sue spese militari, per garantire la sicurezza del mondo per gli affari.
Oggi, grazie al Council on Foreign Relations, la situazione è capovolta a favore della Gran Bretagna.
Ora l'America controlla il mondo, mentre gli investitori britannici si arricchiscono grazie alla Pax Americana. La spesa militare britannica è ormai una frazione della nostra.
Alla luce di questi fatti, diventa più facile capire perché gli inglesi non vogliono che Trump rovini la situazione.
I nuovi imperialisti
Le élite britanniche non si accontentavano di scaricare il costo dell'impero sull'America, volevano anche mantenere il controllo della politica imperiale, ottenendo così la botte piena e la moglie ubriaca. Con l'aiuto del Council on Foreign Relations, sono arrivate molto vicine a raggiungere questo obiettivo.
Il movimento “Nuovo Imperialismo” in Gran Bretagna mira a ricostruire l'influenza globale del Regno Unito, appoggiandosi alle forze armate statunitensi. Lo storico britannico Andrew Roberts annunciò questo nuovo movimento in un articolo del Daily Mail dell'8 gennaio 2005.
Il titolo riassume bene la loro filosofia: “Ricolonizzare l'Africa”.
Sostenendo che “l'Africa non ha mai conosciuto tempi migliori che durante il dominio britannico”, Roberts invocava senza mezzi termini la “ricolonizzazione”. Affermava che importanti statisti britannici sostenevano “in privato” questa linea di politica, ma “non si sarebbero mai sognati di approvarla pubblicamente [...]”.
Roberts si vantava che la maggior parte delle dittature africane sarebbero crollate al “semplice arrivo all’orizzonte di una portaerei proveniente da un Paese di lingua inglese [...]”.
Non specificò quale “Paese anglofono” avrebbe dovuto fornire portaerei per simili avventure, ma ve lo lascio immaginare.
La rivoluzione incompiuta dell'America
Sono passati più di cento anni da quando W. T. Stead avvertì che la Gran Bretagna avrebbe dovuto fondersi con l'America, o essere sostituita da essa. Poco è cambiato.
Le élite britanniche si trovano ancora di fronte alla stessa scelta. Non possono accettare un mondo guidato dagli americani, quindi devono trovare il modo di controllarci.
Da parte nostra, non dobbiamo accettare il loro controllo.
La sfida della nostra generazione è quella di rompere l'incantesimo del soft power britannico.
Completiamo l'opera della nostra rivoluzione incompiuta.
I nuovi imperialisti spingono CANZUK
Sedici anni dopo aver annunciato il “Nuovo Imperialismo”, Andrew Roberts e i suoi compagni imperialisti continuano a sostenere il sogno di Cecil Rhodes di un'unione di lingua inglese.
In un editoriale sul Wall Street Journal dell'8 agosto 2020, Roberts promosse il cosiddetto Trattato CANZUK, il quale mira a unire Canada, Australia, Nuova Zelanda e Gran Bretagna in un superstato globale “in grado di stare fianco a fianco con gli Stati Uniti” contro “una Cina sempre più revanscista”.
Come sempre, Roberts sta facendo progetti per noi.
Come al solito, i suoi piani prevedono di trascinarci in guerra.
Le élite britanniche non ci capiranno mai
Nel suo libro del 2006, A History of the English-Speaking Peoples Since 1900, Roberts suggerisce con leggerezza che l'America potrebbe vivere meglio sotto una monarchia.
Un governo monarchico ci avrebbe risparmiato il trauma del Watergate; un monarca sarebbe intervenuto e avrebbe licenziato Nixon, proprio come la regina Elisabetta II licenziò il primo ministro australiano Gough Whitlam nel 1975.
Non c'è bisogno di alcun processo democratico.
Roberts non arriva a capire come un simile intervento reale sarebbe stato recepito dalla “maggioranza silenziosa” che aveva votato per Nixon e lo aveva sostenuto.
MAGA contro MABA
In conclusione, Trump ha voluto realizzare il programma “Make America Great Again” (MAGA) ripristinando la nostra indipendenza e autosufficienza.
Il Council on Foreign Relations si propone di rendere l'America di nuovo britannica (MABA).
È semplice.
Se c'è una cosa che ci hanno insegnato gli anni di Trump è che MAGA e MABA non vanno d'accordo.
Nel momento in cui abbiamo un presidente che difende la sovranità americana, gli inglesi impazziscono, spingendo il nostro Paese sull'orlo della guerra civile.
È chiaro che non possiamo essere “grandi” e “britannici” allo stesso tempo.
Dobbiamo scegliere l'uno o l'altro.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Il valore fondamentale di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-valore-fondamentale-di-bitcoin)
In questo articolo spiegherò come Bitcoin sia strutturato come il TCP/IP, i due protocolli alla base di Internet. Senza protocolli, non ci sarebbe rivoluzione digitale e le nostre vite sarebbero radicalmente diverse.
In tutto il testo troverete estratti da Valley of Code di Flavio Copes che utilizzerò per spiegare perché il valore di Bitcoin risiede più nel protocollo che nell'asset in sé.
Il sito di Flavio è dedicato alla programmazione e all'apprendimento di altre competenze legate al web. Diversi anni fa mi sono imbattuto nel suo lavoro e sono rimasto molto colpito dalla semplicità con cui uno dei suoi tutorial spiegava il fondamento di Internet: il TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol).
In passato ho scritto alcuni articoli correlati qui e qui. In questo aggiornamento spero di spiegare il valore fondamentale che sta dietro l'importanza di Bitcoin/bitcoin.
I fattori fondamentali sono più importanti del prezzo.
Nel lungo termine i fondamentali sono il vero motore di qualsiasi asset; si basano su una bassa preferenza temporale (Bitcoin Standard). Sebbene questo mantra sia un principio fondamentale della comunità Bitcoin, si osservano ancora comportamenti orientati al mercato fiat e con un'elevata preferenza temporale... soprattutto verso la fine dei mercati rialzisti.
Questo è il classico comportamento del TradFi. Un'emozione umana che sono quasi convinto non riusciremo mai a eliminare finché il prezzo sarà parte dell'equazione. Il “denaro”, o meglio la valuta, ci fa fare cose folli!
Ciò che mi ha colpito della descrizione di Flavio è stata la semplicità con cui ha spiegato un argomento piuttosto complesso, e la sua efficacia nel descrivere Bitcoin. Sono passati più di vent'anni da quando mi sono immerso in protocolli, architettura di rete e altri dettagli correlati. Questo è stato un buon ripasso. Una descrizione basilare di Internet è la seguente:
Al centro di Bitcoin troverete molte di queste stesse caratteristiche, con nodi collegati in rete per supportare gli indirizzi dei wallet Bitcoin che effettuano transazioni, compilate ed elaborate da miner che agiscono in modo simile agli ISP tradizionali (Internet Service Provider). Essi confermano e raggruppano le transazioni in modo che i trasferimenti avvengano attraverso la rete Bitcoin.
Questa tecnologia ci sta facendo passare da una società industriale a una digitale, e il passaggio è tanto drastico quanto l'ultimo salto da una società agraria a una società industriale (XVIII-XX secolo).
I futuri vincitori saranno ricompensati altrettanto generosamente e i perdenti si troveranno altrettanto debilitati quanto coloro che hanno assistito all'ultimo grande trasferimento di ricchezza. L'unica cosa certa è che opereremo tutti in un “nuovo mondo” con standard diversi.
Il potere del mondo digitale è che tutto sarà connesso.
In un mondo interconnesso il valore della rete è molto più potente di quello di silos scarsamente interconnessi. La differenza nel XXI secolo è che abbiamo “reso di nuovo grande la matematica”. La statistica basata sulla Legge della potenza (crescita esponenziale) e la Legge di Metcalfe sono i motori della nuova era, che opera con i dati come il nuovo petrolio.
Abbiamo già assistito a questa storia: l'evoluzione e l'adozione dell'Internet tradizionale (TCP/IP). Abbiamo visto cosa succede quando informazioni, affari e comunicazioni vengono resi accessibili a quasi tutti, ovunque. Ora, con l'avvento di Bitcoin, vedremo la stessa cosa accadere con il denaro. In pratica, avremo una moneta API.
Nel nuovo mondo banche, portafogli digitali, nodi, persone, aziende, media, ecc. avranno tutti un indirizzo che potrà inviare dati o ricevere denaro. Crea opzionalità. Qualcosa di vero per le persone.
Non abbiamo mai avuto una situazione simile prima con questo livello di potenziale integrazione, ma abbiamo visto le ramificazioni della digitalizzazione in quasi tutti i settori. Quest'ondata sarà molto più grande e molto più drastica, soprattutto se si considera il potenziale dell'intelligenza artificiale, ma questo esula dall'ambito di questa discussione.
Le reti locali (digitali) sono ormai una parte fondamentale delle nostre vite. Una rete locale di qualche tipo influenza praticamente tutto ciò che facciamo. Poiché le nostre reti sono ancora piuttosto isolate, è fantastico avere accesso, ma non altrettanto quando non possiamo connetterci. A meno di non disporre di un FTP, di un cloud o di un accesso remoto a un server, potremmo essere esclusi.
Leggendo tra le righe, sembra molto simile alla situazione attuale del sistema bancario.
In generale i banchieri, in particolare quelli nelle banche centrali, hanno respinto la trasformazione digitale con regolamentazione, burocrazia e interessi fasulli per una serie di ragioni. Lascio a voi indovinarle, anche se sono piuttosto ovvie.
Bitcoin e altre criptovalute stanno colmando non solo il divario tra denaro frammentato e disconnesso, ma stanno anche aprendo la strada a una nuova infrastruttura digitale più connessa, più integrata e più disponibile dell'attuale configurazione TCP/IP.
Certo, alcune sono più sicure (Bitcoin) di altre (crypto), ma insieme daranno vita a una nuova ondata di innovazione che aprirà la strada ai prossimi Google, Amazon, Netflix, ecc.
Il protocollo Bitcoin funziona allo stesso modo del TCP, ma con sicurezza e crittografia come fondamento basilare. Restituendo la proprietà all'utente anziché alla piattaforma.
Una comunicazione più diretta, tra pari, avviene senza la necessità di un intermediario che storicamente ha sottratto i dati per il proprio tornaconto personale, o ha imposto una qualche forma di censura ogni volta che alla piattaforma è sembrato opportuno farlo.
Questa è fondamentalmente la differenza del protocollo Bitcoin, che si basa sul TCP/IP, il protocollo Internet tradizionale.
Per semplificare le cose su Internet, non dobbiamo ricordare indirizzi IP, server, ecc. dobbiamo solo digitare il nome del dominio (google.com, espn.com, enterwebsitename.com) e le informazioni verranno visualizzate.
Bitcoin è attualmente (e sta cambiando rapidamente) in uno stato in cui inseriamo gli indirizzi IP e dobbiamo conoscere i dettagli dei server, ecc. MA questo cambierà e sta cambiando. Immagino che, presto, la prossima ondata porterà una serie di applicazioni con un'interfaccia utente/esperienza utente migliore, in modo che gran parte di queste informazioni rimanga nascosta.
Si stanno iniziando a vedere nomi di dominio e funzioni di email a pagamento simili a quelle con cui ci sentiamo a nostro agio sull'Internet tradizionale. È così che Bitcoin diventa mainstream: quando i lunghi e complessi indirizzi vengono rimossi, proprio come non è più necessario usare indirizzi IP su internet.
Un amico, Mark Jeftovic, che gestisce un'attività di domini Internet tradizionali, ha svolto alcuni studi preliminari su come potrebbero apparire i domini nell'ecosistema Bitcoin. Questo tipo di innovazione è in arrivo ed è necessaria se vogliamo che 4-6 miliardi di persone accedano a Bitcoin.
Ciò che è importante quando si fa riferimento a queste prime RFC di Internet è che sono strutturate esattamente come i Bitcoin Improvement Process. Queste RFC sono il modo in cui la DARPA costruì le prime fasi di Internet. RFC 793
Era il modo in cui hanno votato e discusso intellettualmente quali *standard* fossero necessari per gestire un sistema informativo funzionale e accessibile a tutto il mondo. Erano alcuni degli “hackerì” più intelligenti tra i più intelligenti, impegnati a costruire un sistema che avrebbe alimentato la successiva grande ondata dell'evoluzione umana: la rivoluzione digitale.
Quindici anni fa, Satoshi fece lo stesso. Chiunque fosse, lui, lei, loro o qualsiasi gruppo che abbia creato il protocollo Bitcoin, comprese il valore di costruire un sistema globale.
Sembra che Satoshi abbia copiato questo modello, scoprendo anche come incorporare la crittografia. Soprattutto Satoshi ha risolto il problema della doppia spesa. Per la prima volta il denaro digitale non poteva essere copiato, consentendo allo stesso e ai dati di vivere sulla stessa catena. A mio parere, questo ha implicazioni molto più profonde del cloud computing e abbiamo un riferimento a come è andata a finire.
Entrando in una nuova era, abbiamo creato una moneta digitale in grado di sfruttare nuove fonti di energia, integrare e alimentare meglio il commercio, e proseguire una storia di innovazione tecnologica in tutto il mondo. Non solo in aree centralizzate del globo.
Oggi gli sviluppatori di Bitcoin Core portano avanti questa fiaccola, “hackerando” e portando avanti dibattiti di alto livello ed estremamente intelligenti per costruire un sistema monetario più connesso e sicuro.
Come con il TCP/IP, Bitcoin è alla ricerca di un protocollo secondario (livello 2) che sia l'opzione più leggera, veloce, meno macchinosa e più economica. UDP mi ricorda il protocollo Lightning Network, o potenzialmente Fedimint o qualsiasi altro livello 2 che alla fine diventerà: “Più veloce, ogni pacchetto inviato è più leggero, poiché non contiene tutte le informazioni necessarie in TCP, e ha un processo di handshake più leggero. Lo svantaggio è che UDP non è affidabile quanto TCP”. RFC 768
Nel sistema monetario tradizionale, il denaro funziona più o meno allo stesso modo. Negli Stati Uniti abbiamo l'oro come valuta di base, mentre i titoli del Tesoro e i dollari come valuta di base più leggera e veloce (livello 2). In Cina lo yuan è la valuta di base e il renminbi il livello 2.
The structure of the relationship between $RMB & $CNY is very interesting when ???? at it through the lense of #Lightning ⚡️to #Bitcoin.
Especially, when considering most hashing power, early adoption, trading and funding originated in the East as well.https://t.co/2FxRmEhKtK pic.twitter.com/zoumay9mqz
Sebbene Bitcoin sia un protocollo innovativo, è solo un'ulteriore aggiunta per connettere meglio i nostri sistemi globali, le persone e il denaro. È anche un caso di “niente di nuovo sotto il sole”.
Con l'innovazione il tempo, i nomi, la tecnologia e il denaro cambiano, ma le emozioni umane no. Il viaggio sarà lo stesso, ma diverso a seconda dei nostri comportamenti e delle raccomandazioni di chi si sente minacciato.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Tokenizzazione: la nuova frontiera per i mercati dei capitali
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/tokenizzazione-la-nuova-frontiera)
Il mondo delle criptovalute ha un valore enorme! La tokenizzazione digitale degli asset, resa possibile dalla struttura crypto-blockchain, può aumentare l'efficienza nei mercati dei capitali, oliando così gli ingranaggi che muovono l'economia.
Le nostre opinioni sulle criptovalute e sulle meme coin non sono cambiate, ma la tokenizzazione degli asset digitali è diversa e potrebbe ridisegnare radicalmente i mercati finanziari a vantaggio dei mercati dei capitali e dell'economia.
Che cos'è la tokenizzazione?
La tokenizzazione degli asset è l'atto di digitalizzare la proprietà di un asset. A un livello molto alto, non è poi così diverso dal modo in cui la vostra banca gestisce un conto corrente. Essa non ha un caveau pieno di contanti, invece ha un computer con una serie di 1 e 0 che rappresentano il vostro saldo di cassa. Le banche, in sostanza, digitalizzano il nostro denaro.
I token di asset digitali rappresentano asset del mondo reale, proprio come gli 1 e gli 0 delle banche rappresentano il vostro denaro. La gamma di asset che possono essere tokenizzati è illimitata. Prima di entrare nei dettagli della tokenizzazione degli asset, vale la pena condividere alcuni esempi unici di come la tokenizzazione degli asset avvantaggi i venditori e gli acquirenti dei token. Prendiamo in considerazione le seguenti possibilità...
Diritti di proprietà cinematografici
Un produttore cinematografico può emettere token per finanziare la produzione di un film. Questo non solo finanzierebbe la relativa creazione, ma potrebbe anche consentire al produttore una maggiore libertà artistica, evitando le grandi case di produzione che spesso dettano i budget e molti aspetti del film.
In cambio del loro finanziamento, i possessori di token potrebbero ricevere una percentuale dei futuri incassi del film e i diritti, anche parziali, sul film stesso. Inoltre potrebbero anche ricevere biglietti omaggio per la première come bonus.
Sviluppo di farmaci
Uno scienziato o un'azienda farmaceutica potrebbero reperire capitali per la ricerca su un nuovo farmaco antitumorale tramite token. In cambio del finanziamento, i proprietari dei token potrebbero ricevere i diritti e i ricavi futuri derivanti dal farmaco. Ciò non solo fornirebbe una nuova fonte di finanziamento per l'industria farmaceutica, ma rappresenterebbe anche un nuovo modo per i cittadini di donare a una causa a cui tengono e da cui potrebbero trarre un beneficio economico.
Arte
Un dipinto potrebbe essere tokenizzato per condividere la proprietà di un'opera o di una collezione d'arte. I possessori di token, da parte loro, potrebbero ricevere entrate se l'opera d'arte viene affittata ai musei. Inoltre i possessori di token sono proprietari di una frazione di un'opera d'arte di valore. Sebbene le entrate possano o meno avvantaggiare il possessore di token, alcuni attribuiscono un notevole valore non finanziario al possesso di tali opere d'arte.
Guadagni futuri di un atleta
Un atleta sedicenne con un talento eccezionale nel baseball, ma con pochi soldi, potrebbe trasformare in token i suoi futuri guadagni nel baseball. I possessori di tali token che sanno individuare il talento in giovane età possono fornire un reddito al ragazzo nel presente e condividere i suoi guadagni se un giorno dovesse arrivare alle Major League.
Camere d'albergo
Un investitore o un'azienda potrebbe acquistare un hotel e finanziarne l'acquisto con i token delle singole camere. I possessori dei token potrebbero ricevere entrate future ogni volta che la camera viene affittata. Inoltre i token potrebbero garantire all'investitore uno sconto per quella camera o per altre di proprietà del proprietario dell'hotel.
Ecco alcune altre idee per evidenziare quanto sia vasto e distintivo il potenziale di raccolta e investimento di capitali:
• Esplorazione subacquea di relitti
• Diritti sui podcast
• Valori di compensazione sulle emissioni di anidride carbonica
• Vigneti
• Vincite dei giocatori di poker
• Un brevetto o un copyright
• Camion che trasportano cibo
• Macchine arcade/distributori automatici
• Una squadra sportiva
Nelle sezioni seguenti approfondiremo un po' i dettagli della tokenizzazione. Tuttavia, che voi smettiate di leggere qui o meno, speriamo che l'insegnamento che trarrete da questo articolo è che il processo di tokenizzazione apre nuove porte a chi è alla ricerca di finanziamenti. Allo stesso tempo aumenta significativamente il numero di opportunità di investimento uniche e diversificate per gli investitori.
In parole più semplici, rende i mercati dei capitali più efficaci!
Come funziona
Di seguito è riportato un riepilogo passo passo del processo di tokenizzazione:
• Identificazione della risorsa: selezionare una risorsa tangibile o intangibile da tokenizzare.
• Verifica della proprietà e della conformità legale: confermare il legittimo proprietario della risorsa e la conformità legale e normativa con la relativa vendita.
• Definizione della struttura: scegliere le proprietà del token, come il suo valore, la sua divisibilità e il numero da emettere.
• Creazione di uno smart contract: sviluppare uno smart contract basato su blockchain per governare l'emissione, le regole e i diritti di trasferibilità del token.
• Conio dei token: rendere attivo lo smart contract sulla blockchain e generare i token digitali.
• Vendita dei token: commercializzare e vendere i token. Esistono numerosi modi per farlo, tra cui un'offerta iniziale di coin (ICO), un'offerta di security token (STO), una vendita privata o l'emissione diretta a specifici investitori o stakeholder. Ai token si applicano tutte le norme di accreditamento e qualificazione degli investitori.
• Gestione e trading: consentire ai possessori di token di fare trading ed eventualmente riscattare i token mantenendo la completa trasparenza di tutte le attività sulla blockchain.
Piattaforme e luoghi dove scambiare i token
Piattaforme specializzate e gli exchange trasformano i token digitali da un'idea in un meccanismo di finanziamento fino a un asset negoziabile.
Le piattaforme dei token sono come una fabbrica del proprio prodotto: include avvocati, analisti tecnici e back office responsabili della creazione della sicurezza digitale. Pertanto è qui che i token vengono creati, ospitati e gestiti. Ciò comprende la conformità normativa, l'avvio di smart contract e la creazione di token. Ethereum, Binance Smart Chain, Polygon e Solana sono alcune delle piattaforme più grandi. L'emittente di token è principalmente responsabile della gestione delle attività relative alla piattaforma.
Gli exchange di token, come le borse valori, sono il luogo in cui essi vengono scambiati dopo la loro creazione sulle piattaforme. Alcuni esempi includono Coinbase, Binance e Kraken. Trader, investitori e broker/dealer sono i principali utenti degli exchange.
Alcune aziende, come tZERO, offrono sia servizi di piattaforma che di exchange. Inoltre sono broker-dealer specializzati registrati presso la SEC per token digitali.
L'importanza della tecnologia blockchain risiede nella sua capacità di offrire una trasparenza maggiore rispetto all'attuale sistema finanziario. La proprietà di un token e l'intera cronologia delle transazioni sono accessibili a chiunque. Inoltre le piattaforme e gli exchange garantiscono che i token siano vincolati a un asset e verificati da fonti di dati esterne per garantire il valore e la veridicità degli asset che li supportano. Infine qualsiasi pagamento agli investitori o all'emittente può essere effettuato istantaneamente. Questo evita il processo di liquidazione che richiede diversi giorni o settimane e mesi di pratiche burocratiche, che molte transazioni di asset attualmente comportano.
Riepilogo
Ecco i principali vantaggi della tokenizzazione digitale:
• Migliore liquidità
• Più trasparenza
• Accesso al mercato 24 ore su 24
• Riduzione dei costi
• Frazionalizzazione
• Rende i mercati dei capitali più inclusivi per finanziatori e investitori
• Amplia il bacino delle attività investibili
In base a tali vantaggi, la tokenizzazione digitale rappresenta un significativo miglioramento rispetto all'attuale sistema finanziario. Nonostante le prospettive promettenti, però, il processo di adattamento è lento. Affinché il mercato dei token possa competere con i mercati dei capitali tradizionali, sono necessarie normative più esplicite e una maggiore comprensione e fiducia nella blockchain da parte degli investitori al dettaglio e istituzionali. Spetterà allo stato, al settore finanziario e alle alleanze degli investitori definire linee guida, normative e governance per contribuire a creare una base solida e affidabile.
I benefici economici della tokenizzazione sono enormi. I mercati finanziari per asset liquidi e illiquidi saranno più efficienti, più economici da finanziare e negoziare e meno esclusivi. Se la tokenizzazione decollerà come pensiamo, i benefici potrebbero essere sostanziali per i mercati dei capitali, ma soprattutto per l'economia e la popolazione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Guerra commerciale: i dazi servono per sconfiggere il globalismo
Mentre i globalisti e la stampa generalista reagiscono ai dazi americani con la consueta isteria, i produttori americani hanno reagito con sollievo. Sotto la mentalità “America Last” di Joe Biden e Kamala Harris, i Paesi esteri erano liberi di sfruttare le scappatoie della Sezione 232 per inondare l'industria nazionale dell'alluminio e dell'acciaio con prodotti a basso costo. Canada, Messico e Australia si sono alleati con lo Stato profondo per ottenere esclusioni ed esenzioni, a scapito dei lavoratori americani. Le esportazioni di alluminio dall'Australia verso gli Stati Uniti sono aumentate drasticamente e, allo stesso tempo, Cina e Russia hanno sfruttato scappatoie per far passare l'alluminio attraverso Messico e Canada e inondare il mercato americano. A seguito di ciò Alcoa ha annunciato la chiusura definitiva della sua fonderia nello stato di Washington. Tra le altre chiusure figurano lo stabilimento Century Aluminum in Kentucky, che ha interrotto la produzione nel 2022, e Magnitude 7 Metals in Missouri, costretta a chiudere nel 2024. Molti globalisti sostengono che i dazi sull'alluminio aumenteranno i costi per i consumatori. Si tratta della stessa argomentazione che abbiamo sentito durante la prima amministrazione Trump; non era vera allora e non lo è nemmeno oggi. I dazi non hanno avuto alcun impatto sulla quantità di acciaio o alluminio consumata, non hanno indebolito l'economia e non hanno causato ingenti perdite di posti di lavoro. Al contrario l'utilizzo della capacità produttiva per l'alluminio è aumentato durante il primo mandato Trump e ora sono stati annunciati importanti investimenti nell'industria siderurgica. Mentre alcune aziende attaccano i dazi, altre dicono ai loro investitori che “se tutti i Paesi dovessero ricevere un dazio, l'impatto per noi sarebbe nullo”. E mentre alcuni globalisti proprietari di fonderie di alluminio in Canada attaccano i dazi al 25%, la realtà è che Trump è stato eletto per riportare posti di lavoro ben retribuiti nel settore manifatturiero negli USA, e questo è un impegno che intende mantenere come sottoprodotto alla guerra contro la cricca di Davos. Come ha ripetuto più volte, l'America ha smesso di sovvenzionare il Canada e il resto del mondo. Il cuore di tutta questa storia, comunque, è che la produzione di alluminio e acciaio è fondamentale per la base industriale della difesa americana e la continua dipendenza dai fornitori stranieri ha reso vulnerabili gli americani in un modo a dir poco imbarazzante.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/guerra-commerciale-i-dazi-servono)
Fin dai tempi di Herbert Hoover e dall'inizio ufficiale della Grande Depressione, il concetto di dazi è stato demonizzato da gran parte del mondo accademico e dalla maggior parte delle ideologie economiche moderne. È in realtà un ambito in cui globalisti ed economisti di libero mercato tendono ad allinearsi (sebbene ogni gruppo abbia motivazioni molto diverse).
I sostenitori della filosofia di libero mercato di Adam Smith o Ludwig Von Mises e la sua Scuola Austriaca hanno le stesse probabilità di opporsi ai piani di Donald Trump di qualsiasi altro globalista presente nelle aule di Davos.
Innanzitutto dobbiamo chiarire cosa sono i dazi: sono tasse sulle imprese internazionali che importano beni da altre nazioni. Queste tasse sono concepite per costringere le imprese a importare da Paesi al di fuori dell'elenco sanzionato o a produrre beni a livello nazionale. I bersagli principali dei dazi sono in realtà le imprese; i bersagli secondari sono i Paesi inclusi nell'elenco dai dazi.
Gli economisti Austriaci, opponendosi ai dazi, partono dal presupposto che le grandi aziende siano entità di “libero mercato”. Presumono anche che la globalizzazione sia un prodotto del libero mercato.
Adam Smith potrebbe aver assistito alla corruzione del mercantilismo, ma non aveva idea della mostruosità del globalismo moderno e di come avrebbe finito per pervertire l'ideale del libero mercato. Lo stesso vale per Mises. Il loro sostegno al commercio globale era condizionato dall'idea che l'interferenza dello stato fosse sempre la radice dei problemi.
Non hanno tenuto conto della sfumatura dei confini tra aziende, stati e ONG, del governo ombra delle multinazionali di Davos e della manipolazione dei mercati in nome del “libero scambio”. Non avrebbero nemmeno potuto immaginare la creazione di organizzazioni come l'FMI, la Banca Mondiale, la BRI, ecc., all'epoca in cui elaborarono le loro teorie economiche.
Dopo la conferenza di Bretton Woods, Mises avrebbe continuato a mettere in discussione le motivazioni del nuovo “ordine globale” e degli accordi commerciali in vigore. Si sarebbe anche opposto ad alcuni aspetti del globalismo prima della sua morte, lasciando gli Austriaci a dibattere sui meriti del “globalismo buono” e del “globalismo cattivo”.
La realtà è che non esiste un “globalismo buono”. Non esiste perché le entità che dettano il commercio globale colludono invece di competere. Non sono realmente interessate al libero mercato, sono interessate al monopolio globale. E le multinazionali sono la chiave di questo monopolio.
Adam Smith criticò l'idea di “società per azioni” (corporation), ma molti Austriaci e anarco-capitalisti difendono le società internazionali come se fossero un'evoluzione del progresso del libero mercato. Non è così. Le multinazionali (e le banche centrali) sono costrutti socialisti, autorizzati dagli stati e dotati di una protezione speciale. La loro immunità alle restrizioni costituzionali serve gli interessi statali e i cavilli legali statali servono gli interessi delle multinazionali.
Questo è l'opposto del libero mercato. Lo ripeto: nelle condizioni attuali i conglomerati globali NON sono organizzazioni di libero mercato. Lo distruggono, invece, utilizzando partnership starali per eliminare la concorrenza.
Il COVID e l'ascesa della propaganda woke negli Stati Uniti sono esempi perfetti della collusione tra aziende e stati per istituire l'ingegneria sociale e cancellare la libera partecipazione economica. Chiunque non sospetti di queste entità dopo tutto quello che è successo, a questo punto è irrecuperabile.
Queste aziende agiscono anche come sifoni di ricchezza: risucchiano denaro dei consumatori in un Paese solo per depositarlo in altri Paesi invece di reinvestire quella ricchezza (dopo la sua spartizione) nell'economia da cui dipendono per le vendite. In altre parole, le multinazionali agiscono come una sorta di macchina di ridistribuzione della ricchezza che sottrae denaro e posti di lavoro agli americani e li distribuisce in tutto il mondo a scapito degli stessi americani.
In qualità di intermediari di questo schema di ridistribuzione della ricchezza, le aziende generano enormi profitti, mentre le persone su entrambe le estremità dello scambio ricevono ben poco in cambio. Il Messico potrebbe sembrare avvantaggiato dagli squilibri commerciali del NAFTA, ma non è così: il popolo messicano e il suo tenore di vita godono di benefici minimi; le aziende che lo sfruttano per la manodopera ne traggono il vantaggio, insieme ad alcuni funzionari statali corrotti.
A sua volta il PIL degli Stati Uniti e la nostra presunta ricchezza nazionale continuano ad aumentare grazie alle multinazionali. Ma la maggior parte di questo aumento di ricchezza non finisce nelle tasche degli americani, bensì in quelle dello 0,0001% delle élite. Più a lungo persiste la globalizzazione, più ampio diventa il divario di ricchezza. Questo è un fatto innegabile e credo che la maggior parte delle persone, sia a sinistra che a destra, concordi su questo punto, ma nessuno vuole prendere decisioni difficili e intervenire.
La sinistra pensa che la soluzione sia un apparato statale più grande e una maggiore regolamentazione. I conservatori pensano che la soluzione sia un apparato statale più piccolo e meno regolamentazione. I conservatori sono più vicini al punto, ma nessuna delle due soluzioni affronta il problema fondamentale della collusione tra stati e conglomerati.
Tenete presente che gli Stati Uniti hanno applicato dazi per centinaia di anni. La parola con la “D” non è diventata una brutta parola fino alla creazione delle società per azioni, del sistema della Federal Reserve e dell'imposta sul reddito.
Quindi concordo con i miei amici economisti della Scuola Austriaca su quasi tutto, ma quando si lamentano dei dazi di Trump, devo ricordare loro che la situazione non è così semplice come rissunto dalla formuletta “l'interferenza statale è dannosa”. Il sistema attuale ha bisogno da tempo di una correzione di rotta e il libertarismo fiscale non la fornirà. Pensano di difendere il libero mercato, ma non è così.
Un altro problema chiave del globalismo è l'interdipendenza forzata. Se ogni nazione produce un'ampia quantità delle proprie risorse necessarie, ha una creazione di posti di lavoro interni resiliente e decide di scambiare beni in eccesso tra di esse, allora i mercati globali hanno senso. Ma cosa succede quando ogni nazione è costretta, attraverso accordi commerciali, a fare affidamento su ogni altra nazione per i bisogni economici fondamentali della propria popolazione?
Allora dobbiamo riesaminare il valore del globalismo in generale.
L'interdipendenza economica internazionale è una forma di schiavitù, soprattutto quando sono coinvolte aziende e intermediari delle ONG. Solo la ridondanza delle risorse e il localismo promuovono veri mercati liberi e libertà individuale. I dazi possono contribuire a stimolare la produzione e il commercio locali e a rendere le comunità più autosufficienti. Detto questo, ci sarà un costo.
I paragoni tra Donald Trump e Herbert Hoover sono dilaganti e risalgono al 2016. Durante il primo mandato di Trump, avevo lanciato l'allarme: l'accelerazione del declino fiscale e la crescente stagflazione avrebbero potuto essere scaricati sulle sue spalle e attribuiti alle linee di politica dei conservatori. In altre parole, l'anti-globalizzazione sarebbe stata ritenuta responsabile della distruzione finanziaria causata dai globalisti. Continuo a credere che questo programma sia ancora in atto.
Hoover fu accusato di aver aggravato la Grande Depressione con i suoi dazi Smoot-Hawley. In realtà, la Grande Depressione si diffuse a causa di una serie di decisioni politiche delle principali banche e di aumenti dei tassi da parte della Federal Reserve (l'ex-presidente della FED, Ben Bernanke, lo ammise apertamente nel 2002). All'epoca non importava chi ne fosse la causa: Hoover era presidente e quindi era il capro espiatorio.
La stessa situazione potrebbe verificarsi per Trump se non sta attento, e tutti i conservatori ne saranno incolpati per estensione. È importante ricordare che la produzione statunitense è stata indebolita da decenni di interferenze statali a sostegno della globalizzazione, insieme a un potere aziendale incontrastato. Limitare le aziende con i dazi non sarà sufficiente: devono anche esserci incentivi per invertire i danni causati da decenni di corruzione statale.
Non riesco a pensare ad altro modo per ricostruire la base produttiva americana abbastanza rapidamente da contrastare gli inevitabili aumenti di prezzo che deriveranno dai dazi. Sconfiggere l'inflazione richiederebbe uno sforzo nazionale senza precedenti per rilanciare la produzione manifatturiera, specificatamente per i beni di prima necessità. I dazi da soli non basteranno a farlo.
Abbiamo bisogno di beni di consumo, energia e immobili ORA, non tra diversi anni. Altrimenti, a lungo termine, i dazi non faranno che peggiorare la situazione. I libertari hanno ragione a mettere in guardia dagli effetti negativi sui consumatori americani, ma la soluzione non è lasciare che le aziende facciano ciò che vogliono e che il globalismo continui incontrastato. La soluzione è spezzare il globalismo e tornare a un modello di indipendenza nazionale.
Infine c'è la questione del dollaro e del suo status di valuta di riserva mondiale. Dopo Bretton Woods, il tacito accordo prevedeva che l'America avrebbe agito come pilastro militare del mondo occidentale (e a quanto pare come la vacca da mungere da parte dei consumatori del mondo). In cambio gli Stati Uniti avrebbero goduto dei vantaggi derivanti dal possedere la valuta di riserva mondiale.
Quali vantaggi? In particolare il dollaro avrebbe potuto essere stampato ben oltre qualsiasi altra valuta per decenni senza subire gli effetti immediati dell'iperinflazione, poiché la maggior parte di quei dollari sarebbe stata detenuta all'estero. Lo scioglimento della NATO e una guerra commerciale potrebbero innescare la fine di questo accordo. Ciò significa che tutti quei dollari detenuti in banche estere potrebbero riversarsi negli Stati Uniti e causare un'inflazione.
Lo status di riserva è stato a lungo il tallone d'Achille degli Stati Uniti e prima o poi dovrà finire. Basti pensare che i globalisti si stanno preparando a questo cambiamento almeno dal 2008 con i DSP e le CBDC. La scorsa settimana l'UE ha annunciato che distribuirà CBDC al dettaglio entro la fine dell'anno. Sanno cosa sta per succedere. Una guerra commerciale richiederà non solo all'amministrazione Trump di agevolare l'aumento della produzione interna, ma anche di promuovere un nuovo sistema monetario basato sulle materie prime per proteggersi dalla caduta del dollaro.
Nel frattempo i singoli cittadini e comunità dovranno prepararsi al crollo della globalizzazione. Ciò significa produzione locale di beni, commercianti al dettaglio che cercano fornitori locali, persone che scambiano beni e servizi attraverso reti di baratto, ecc. I leader politici dovrebbero valutare l'introduzione di titoli garantiti da materie prime per compensare qualsiasi potenziale danno al dollaro. Dovrebbero anche sfruttare maggiori risorse naturali per migliorare l'industria locale.
C'è molto da fare e poco tempo per farlo.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Pandemonio sui dazi... facciamo chiarezza su cosa conta davvero
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/pandemonio-sui-dazi-facciamo-chiarezza)
Molto è stato detto nelle ultime settimane riguardo i dazi, ma senza un quadro generale coerente di quello che sta succedendo si perde il motivo per cui stanno accadendo determinate cose. Non si tratta di irrazionalità, perché secondo alcuni analisti tutto quello che conta sarebbe la teoria. No, non è un mondo prefetto questo, così come non è possibile seguire alla lettera un qualsiasi manuale teorico. Che sia di libero mercato o meno. Questa è la natura dell'essere umano in fin dei conti, dell'imprevedibilità dell'azione umana. Ci avvicineremo sempre alla teoria, quanto più possibile, ma non avremo mai un percorso “da manuale”. Sottolineo, a scanso di equivoci, che la teoria deve essere un punto di partenza per tutti, allo stesso modo. L'efficienza del libero mercato non si discute, il relativo meccanismo di allocazione delle risorse economiche scarse può avvenire con efficienza e precisione in un ecosistema in cui gli imprenditori hanno accesso libero e non fuorviato alle informazioni economiche necessarie. Nessuno mette in discussione la distorsione dei prezzi come fattore scatenante degli errori economici e, di conseguenza, di una misallocation di capitale. Qual è il problema con questo impianto teorico? Perché sulla carta è vero, ma non è riflesso completamente nella realtà? Nel momento in cui si ha una nazione che mette sul piatto, volente o nolente, il proprio bacino della ricchezza reale e permette agli altri attori economici di sfruttarlo a proprio vantaggio, è possibile emendare a suddette regole. Sia chiaro: per quanto apodittiche le leggi dell'economia non possono essere violate, questo a sua volta significa che l'aggiramento di suddette leggi è temporaneo e strettamente correlato all'erosione del sopraccitato bacino.
Finché va avanti sembra che ci sia un'eccezione alle regole e che possa andare avanti per sempre; poi arriva un momento critico che ricorda di come il nostro mondo è finito e non esiste alcun albero di Cuccagna a cui attingere sempre. Questa verità è stata chiara agli USA nel momento in cui hanno compreso le profonde implicazioni del sistema del dollaro offshore. Perché pensate che la Cina fosse uno dei maggiori detentori di titoli sovrani americani altrimenti? Uno dei centri famoso per l'intermediazione degli eurodollari è Hong Kong. E di quale colonia ha fatto parte (e fa ancora parte)? Regno Unito. Tutte le strade portano a Londra, soprattutto quella degli eurodollari. Di conseguenza non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e guardare ai mercati come la massima espressione di un consenso libero delle azioni coordinate degli individui: c'è sempre stato un recinto all'interno del quale si è agito, o che è stato accuratamente manipolato. L'ambiente di mercato può essere più o meno libero, ma non esiste un estremo.... in entrambe le direzioni. In fin dei conti, è la natura umana; l'essenza dell'azione stessa degli individui. Se non fosse così, tutte le nazioni avrebbero condizioni di partenza identiche e non ci sarebbero mercati del lavoro in cui la manodopera è pagata una miseria mentre il prodotto finito, passando per le varie filiere industriali, subisce ricarichi sproporzionati.
Mi rendo conto che quest'ultimo punto porta con sé un certo grado di etica al suo interno, quindi rivolgiamoci direttamente ai rapporti di potere tra nazioni: esistono le banche centrali e l'evoluzione economica ci ha portati a vivere in un mondo manipolato ad hoc in cui addirittura i Paesi cercano di sfruttare un vantaggio competitivo per “fregare il vicino” (beggar thy neighbour). I carry trade sono essenzialmente questo. La Cina e il Sud-est asiatico l'ha fatto tramite il mercato del lavoro; i grandi centri finanziari, come la City di Londra, l'hanno fatto tramite l'ingegneria finanziaria e l'eurodollaro. Non è affatto un caso che il picco della cosiddetta globalizzazione sia coinciso con l'inizio dei lavori del SOFR americano. Il colonialismo non è mai finito e i colonizzatori, Europa e Inghilterra, non hanno mai smesso di esercitare la loro influenza sulle proprie colonie storiche. Per quanto possano essersi ritirati a livello di facciata, sono diventati “partner commerciali”, “alleati strategici”, ecc. La Cina è stata lasciata “sorgere” per fungere da strumento, di ricatto anche talvolta. I salari sono bassi in Europa perché essa si arricchisce principalmente con l’export e quindi non si interessa al mercato interno e di conseguenza della capacità di spesa dei lavoratori. In Italia i salari sono al palo per un basso tasso di capitalizzazione delle imprese e la maggior parte della ricchezza prodotta la divora lo stato, quindi le imprese hanno poche risorse da investire in innovazione e attrezzature. I salari sono bassi anche per la concorrenza asiatica che costringe i lavoratori a condizioni poco umane.
Gli Stati Uniti hanno detto “Basta!”. I fattori “correttivi” implementati dall'amministrazione Trump nei confronti del resto mondo sono una manovra per emanciparsi dal giogo finanziario che rendeva gli USA i “salvatori” del mondo. Così come rendeva la FED il prestotre di ultima istanza del mondo. I colonialisti, così facendo, si sono garantiti un lasso di tempo in cui hanno governato senza patemi d'animo tenendo ben pasciuta e senza pensieri la popolazione sottostante. C'è dell'ironia qui: la mano invisibile del mercato di “smithiana” memoria, agendo tramite gli USA che fanno i loro affari e pensano principalmente al benessere della nazione, “aiuteranno” anche le altre di nazioni a migliorare le proprie condizioni smantellando tutte quelle architetture che erano considerate assodate nel mondo globalizzato di ieri. Il passo finale spetterà a loro, ovviamente, perché anche la “non azione” è una scelta.
È sacrosanto mirare ad avere un interventismo minore sui mercati, o addirittura nullo... ciò non vuole dire ignorare le meccaniche di sudditanza coloniale che ancora operano nel mondo. Se la Cina non ha preso ancora Taiwan è perché non gli è stato dato il permesso di farlo; sviluppare la propria industria dei chip è stato un modo per ovviare a questo “inconveniente” e crearsi una alternativa per tempi peggiori. Nessuno vuole essere una vittima sacrificale. A differenza di altri, loro l'hanno letto (e capito) Sun Tzu e sanno che, oltre a sfruttare la debolezza del nemico, ciò significa non sfoggiare le proprie attraverso la retorica magniloquente sui successi.
Ma, anche così, non è la Cina l'obiettivo finale dei dazi. Il piano generale degli USA è quello di isolarsi finanziariamente da un sistema che per decenni ha sfruttato la sua di forza per “regalarla” al resto del mondo. L'ordine monetario e finanziario uscito fuori dalla Seconda guerra monidale ha reso ipertrofico il mercato dei dollari offshore e sin dal 2008 non si è più ripreso. O per meglio dire, la Legge dei rendimenti decrescenti ha fatto il suo corso. Come accaduto nel 1985 con gli Accordi del Plaza, c'è bisogno di un nuovo reset solo che stavolta è necessario eliminare la fonte di azzardo morale alla radice: la FED si riprende in casa la sua politica monetaria e sfrutta per davvero adesso il “privilegio esorbitante” del dollaro. Un cambiamento epocale che non si pensava fosse possibile si sta dipanando sotto i nostri occhi.
Oggi vi permetterò di avere le idee chiare, quindi.
L'OBIETTIVO OLTREOCEANO
L'obiettivo oltreoceano è quello di continuare ad avere quante più fonti aperte da cui fluiscono gli eurodollari affinché la City di Londra possa sottoporli a leva e controllare di conseguenza il flusso di dollari al margine che circolano all'estero. Il sistema finanziario estero, che ha piramidato la sua esistenza su questo meccanismo per decenni, ne ha bisogno disperatamente soprattutto ora che l'amministrazione Trump ha iniziato a mettere ordine nei conti fiscali della nazione (mentre la FED ha iniziato a farlo nel 2022 nella componente monetaria). Non importa lo stock di dollari, quello che davvero è importante è il flusso di dollari al margine. E questo lo sappiamo dalla classica ABC dell'economia ed è stata una verità sin dalla rivoluzione marginalista di Menger: il prezzo di ogni cosa è impostato al margine. Di conseguenza se questo flusso viene prosciugato, è necessario, per chi ne trae la propria sopravvivenza economica/finanziaria, trovare nuovi modi affinché continui a scorrere. L'essenza dei vari surplus commerciali, Cina in primis, nei confronti degli USA non sono stati altro che un modo per far continuare a scorrere il flusso di dollari all'estero. È attraverso di essi che possono essere pagate le cedole di titoli denominati in dollari emessi all'estero.
Guardate adesso alla curva dei rendimenti statunitense. C'è un pesante avvallamento tra i titoli a brevissimo e a medio termine, mentre il back-end è schizzato in alto. La seguente ipotesi non sarà verificata fino a quando non usciranno i prossimi dati del TIC, però di fronte a un'amministrazione Trump che prosciuga la fonte principale dei tuoi finanziamenti “gratis” vendi titoli sovrani americani, specialmente quelli a più lunga scadenza (trentennali), e compri quelli sul front-end. In questo modo la stampa ha magicamente un parametro per gridare “recessione!”. Chi, sin da quando Powell ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi, ha comprato più titoli sovrani americani? Secondo gli ultimi dati disponibili, dal 2021 al dicembre 2024 le banche che si possono associare a Europa e Inghilterra hanno comprato ogni anno $1.100 miliardi netti in titoli di stato americani. Perché l'hanno fatto? In modo da tenere un tetto ai rendimenti obbligazionari oltreoceano. La percezione di stabilità viene data dal tenere tali rendimenti in certe fasce di prezzo e al di fuori di esse i derivati sui tassi d'interesse iniziano a segnalare “pericolo” con tutti i relativi rischi di vendite al margine che ne conseguono. Queste “linee di demarcazione” si possono vedere negli 83 centesimi “difesi” nel cambio EUR/GBP, per tre anni è stato “difeso” il rendimento del 2,5% sul decennale tedesco, il 3% sul decennale francese, ecc.
Per tutto il tempo che la Yellen è stata in carica del Dipartimento del Tesoro ha condotto una yield curve control in concomitanza con la Lagarde, ma adesso che la prima non è più lì ecco che le cose sono diventate preoccupanti oltreoceano: la seconda deve impedire che i rendimenti sovrani europei schizzino in alto, o accelerare il crollo del mercato obbligazionario europeo tramite spesa pubblica incontrollata ed euro digitale. Se torniamo per un momento all'agosto dell'anno scorso, quando il Ministro delle finanze giapponese ha venduto dollari per comprare yen portando l'indice di quest'ultimo da 161 a 140 e causando una serie di default, sin da allora è stato abbattuto il cartry trade sullo yen e gli europei si sono ritrovati una nuova gatta da pelare nel difendere il livello 155 nel cambio EUR/YEN (e non andasse più in basso).
E questo spiega anche come mai il cambio EUR/USD sia salito oltre 1.10 più recente. Se hai già un cambio basso, come fai poi a permetterti di stampare vagonate di soldi, svalutare la divisa e portare amenità con il “piano di riarmo”?
Sin da quando Powell ha iniziato una sorta di restringimento della politica monetaria “sotto traccia” nel giugno 2021, ho iniziato a riflettere su quale potesse essere il motivo e le relative implicazioni di una mossa del genere in opposizione a quanto accadesse nel resto del mondo. Allora le politiche monetarie delle varie banche centrali erano ancora coordinate e una rottura di quel cartello era a dir poco inverosimile. La separazione tra i mercati europei e quelli americani avrebbe significato una determinazione del prezzo del dollaro negli Stati Uniti, non più in Europa o a Londra. Washington non è mai stato in grado di fare una cosa del genere in tutto il suo passato. La mia conclusione: è questa la “seconda” dichiarazione d'indipendenza americana? Tutti gli indizi raccolti finora puntano in tale direzione. Questo a sua volta significa che mettere in ordine i conti della nazione vuol dire anche mandare in bancarotta la cricca di Davos. Come? Mettendo sotto pressione i globablisti che governano il Canada, mettendo sotto pressione Starmer, mettendo sotto pressione la NATO, mettendo sotto pressione i Five Eyes, ecc.
Tutto si riduce al flusso di dollari all'estero e i dazi sono uno strumento a tal proposito.
L'OCCASIONALITÀ DEI CRASH DEI MERCATI
Ovviamente sarebbe miope affermare che tutto questo sia stato messo in piedi dall'amministrazione Trump o da lui stesso. Dietro c'è un consorzio di grandi banche della East coast che fin dal 2019 hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Dopo il 2008 era chiaro a tutti che fosse necessario un reset del sistema post-Seconda guerra mondiale... il problema era: sotto l'egida di chi sarebbe stato governato il mondo? Se le CBDC erano un segnale, questo avrebbe significato che il comparto bancario commerciale statunitense sarebbe stato spazzato via. La spinta principale degli USA a mettersi di traverso alla cricca di Davos è stato sostanzialmente questo, perché significava altresì che non avrebbero più fatto parte della classe dirigente. Lo slogan “bonificare la palude” significava rimuovere le incrostazioni dello Stato profondo e sopratutto tutti quegli agenti “infiltrati” che non facevano il “bene” della nazione.
L'innesco fu acceso da JP Morgan quando a settembre del 2019 alimentò la crisi dei pronti contro termine rifiutandosi di accettare come garanzia collaterale titoli europei. Jamie Dimon diede il via al distaccamento tra il sistema bancario europeo e quello americano in attesa che il SOFR sarebbe entrato a pieno regime successivamente. Allarmata da quell'evento monumentale la cricca di Davos ha scatenato letteralmente l'inferno, sia a livello economico che sociale, e la guerra contro gli USA venne scatenata allora. L'attesa della riconferma di Powell durata più di 6 mesi e i piani di stimolo fiscale furono tentativi per forzare la mano alla FED e rompere il consorzio di suddette banche. Fortunatamente per queste ultime la loro capillarità a livello territoriale ha resistito e sono riuscite a reggere il colpo fino al 2022. Se Powell ha agito come ha fatto era perché sapeva di “avere le spalle coperte”.
Il crash del 2019 poteva sembrare l'ennesima Bear Stearns, così come quello del 2023 con le banche di San Francisco, invece faceva parte di un disegno molto più grande che per forza di cose richiedeva dolore economico. Così come nel 1934 vennero lasciate fallire migliaia di piccole banche per avere la giustificazione e istituire la FDIC. Lo stesso vale per il crash più recente sui mercati azionari. Un'intera generazione di trader è stata cresciuta secondo il credo fasullo che i mercati sarebbero sempre saliti, che ogni correzione sarebbe stata assorbita dalla stampante monetaria della banca centrale. La storia del DOGE ci sta insegnando che il pompaggio monetario principale scaturiva dal Dipartimento del Tesoro che a sua volta costringeva la FED a intervenire e di conseguenza tenere liquido il flusso di dollari che scorreva all'estero, alimentando di conseguenza livelli di leva finanziaria esorbitanti. Una volta che questo flusso è stato interrotto, o per meglio dire, viene gestito dal tasso deciso dalla Federal Reserve e non più dal tasso deciso al di fuori di essa, il panico risultate è tutto all'estero. La prova? Tutte le altre banche centrali hanno tagliato i tassi più rapidamente rispetto alla FED. Infatti finché il mercato obbligazionario statunitense non diventerà bidless, la FED resterà a bordo campo. Per quanto la stampa voglia farlo credere invece, in realtà le cose stanno all'opposto soprattutto se si guarda l'ultima asta dei trentennali.
Inoltre se si vuole avere un proxy per capire quando la FED abbasserà i tassi, il seguente grafico è tutto ciò di cui avete bisogno.
Il range di riferimento sarà tra 3-3,5%. Non tornerà più allo 0%. I tassi reali inoltre saranno influenzati dalla retorica ottimista negli USA (“andremo su Marte!” ad esempio), cosa che li sta pian piano abbassando. Un termometro di ciò è la popolarità di Trump negli USA.
Guardate a quello che fanno, non quello che dicono. E con ciò mi riferisco al fatto che per quanto possa sembrare che ci sia maretta tra l'amministrazione Trump e la FED, in realtà non c'è. C'è coordinamento (anche perché sappiamo che dietro Trump c'è il consorzio delle banche della East coast). Questo significa che molto probabilmente a giugno la FED taglierà nuovamente i tassi. La cosa davvero unica di questo periodo, comunque, sarà la scissione tra il dollaro che circolerà internamente e quello che circolerà esternamente, a livello internazionale. Di questo a Trump non importa niente ed è quello la cui offerta si sta restringendo e per cui Bruxelles e la City si stanno stracciando le vesti.
La pianificazione centrale è fallimentare, ovvio. Ma qui la domanda è una: gli americani credono davvero che la linea di politica di Trump sia fallimentare?
E dopo Argentina e Vietnam, le prime nazioni a presentarsi alle porte dell'amministrazione Trump, è arrivata la Francia. E l'elenco si è subito allungato. Questa storia mi ha ricordato il primo episodio della prima stagione di Black Mirror: prima nessuno avrebbe voluto cedere le armi (commerciali) agli USA... una volta che l'orologio ha iniziato a correre e si vedeva che Trump faceva sul serio ci si è adeguati. Avevate dubbi? Stesso copione già visto con Powell nel 2022 quando ha iniziato il ciclo di rialzo dei tassi. Allora ci mise diversi mesi a “convincere” i mercati che faceva sul serio, adesso hanno imparato la lezione. Ricordate, Power policy.
LA PRIORITÀ
Seguendo tale linea di politica, le turbolenze vengono affrontate a testa alta. Infatti Bessent è stato chiaro nella sua ultima intgervista da Carlson: parafrasando le sue parole, ciò che conta per l'amministrazione Trump è il mercato obbligazionario e la gestibilità dell'enorme debito pubblico. Sia la FED che l'attuale classe politica non si faranno spaventare da correzioni nei mercati azionari. A tal proposito i rapporti P/E sono ancora fuori scala, quindi aspettarsi un altro bel crash nel comparto azionario non solo è necessario ma anche fisiologico. Senza farsi spaventare neanche da nuove buzzword come col “basis trade”. Prima di tutto uno dovrebbe domandarsi dove gli hedge fund hanno preso gli asset necessari per poi sottoporre a una leva più alta di quella media i propri bilanci in un momento storico incerto come quello di oggi (la risposta è che i loro bilanci fanno parte del cosiddetto “sistema bancario ombra” nutrito ad hoc da leggi come la Dodd-Frank... approvata, guarda “il caso”, dall'amministrazione Obama). Inoltre, come ho scritto sopra, l'avvallamento nella curva dei rendimenti che ci presenta un'inversione (artificiale) tra il front-end e il medio termine (biennale) non è motivo di panico perché i tassi nei mercati dei pronti contro termine non sono stressati.
Lo ripeto, sono stati venduti titoli sul back-end della curva, preso dollari e, per non far salire quest'ultimo rispetto all'euro, sono stati comprati i titoli sovrani a breve-medio termine. In un anno in cui giungono a maturazione $7.000 miliardi in obbligazioni da rinovare, eventualmente, trovarsi per le mani la percezione di recessione tra il pubblico (come se non ce ne fosse stata una sin dal 2008 e che solo adesso ne vengono affrontate le conseguenze) è un ostacolo non indifferente da superare. La cricca di Davos, sebbene abbia come obiettivo finale il flusso di dollari all'estero, deve adesso screditare l'attuale amministrazione Trump dato che le sue azioni sono risultate la giusta medicina per il ritorno al benessere interno e di conseguenza una sobrietà finanziaria all'estero. È questo che rappresenta la fine della “globalizzazione”: la fine dell'interconnessione finanziaria dove gli Stati Uniti rappresentano il prestatore/creditore di ultima istanza del mondo intero... senza conseguenze derivanti da una corretta ponderazione del rischio.
Paradossalmente, quindi, essa è la prima a volere tassi di riferimento alti negli USA: è consapevole che ora esistono barriere al flusso di dollari che scorrono all'estero, quindi deve fare affidamento sulle banche centrali che controlla, come la BCE e la BoE. Facedo apparire queste ultime proattive e “responsabili”, si conferisce la percezione (errata ovviamente) che la FED, rialzando o tenendo i tassi dove sono ora, sia invece irresponsabile e inaffidabile. Visto che ci troviamo in un ambiente economico in cui l'inflazione è commodity driven (vi basta guardare la correlazione tra l'IPC e i futures sulla benzina), e non credit driven (almeno non attualmente), Powell sarà in grado di tagliare di 25 punti base.
Il copione è quello già visto durante la presidenza Reagan, dove anch'egli agì velocemente nei primi mesi della sua carica per sistemare l'equazione fiscale e portare dalla sua la Federal Reserve di Volcker. Le azioni del DOGE, gli sprechi scoperti da quest'ultimo, vanno nella stessa direzione per avere successivamente carte da giocare durante le elezioni del prossimo anno. Uno degli aspetti su cui l'amministrazione Trump ha avuto maggiore successo è stato quello di smascherare i veri nemici dell'America: la classe dirigente canadese, la classe dirigente europea e la classe dirigente inglese. Uno degli aspetti su cui ha avuto minore successo è stato il mancato arresto eclatante di qualche pezzo grosso all'interno dello Stato profondo americano.
Questa è una guerra e non tutte le battaglie possono essere vinte; a volte bisogna anche tirarsi un attimo indietro e far fare la mossa successiva all'avversario. La guerra verrà vinta una volta che la cricca di Davos sarà mandata in bancarotta e verrà fortemente ridimensionato il potere che dispone, e quest'ultimo dipende da come può utilizzare a suo vantaggio l'arbitraggio tra valute. Non è un caso che il Forex sia il mercato più grande di tutti, data la leva presente, e che sia intermediato in gran parte a Londra. L'amministrazione Trump, finora, non ha fatto altro che smascherare il modo in cui la cricca di Davos acquista consensi nel sottobosco degli stati, nelle incrostazioni burocratiche che alimenta, ed è così che può agire liberamente. Ecco perché in politica circolano le stesse facce da anni e la gente si chiede chi mai li possa votare. Una volta, però, che si ferma il flusso di denaro che può essere sequestrato da agenti malevoli e si prosciugano quei bacini attraverso i quali si indirizzavano artificialmente le linee di politica di una nazione, Stati Uniti in particolare, il risultato è quanto di più auspicabile ci si possa aspettare.
Se questa gente non verrà fermata, qui e ora, saranno guai per tutti. E i mercati dei capitali sono la chiave.
CONCLUSIONE
Non esiste il mondo perfetto. La teoria è un'indicazione della giusta direzione, ma poi c'è l'azione umana. Questo passaggio pare sfuggire a molti. Questo per dire che ultimamente leggo molti analisti e commentatori che rimangono fermi sulla teoria senza voler affrontare la realtà pratica delle cose. Allora facciamo così, andiamo fino in fondo alla teoria.
I dazi, nessuno può negarlo, sono tasse e deviano artificialmente il corso dei mercati. Ora, torniamo all'epoca degli economisti che per primi hanno messo giù le tesi riguardo questo argomento (Smith, Ricardo). In un gold standard se l'oro è trattato $40 più in alto a Pechino rispetto a Londra, gli arbitraggisti si muoveranno per comprare oro in quest'ultima città e spedirlo in Cina. In questo modo l'ampiezza dell'arbitraggio che s'è venuto a creare man mano si riduce fino a scomparire. Se suddetti analisti credono nei mercati e nel loro dinamismo non possono negare questo fenomeno. Il libero mercato fa una cosa meglio di tutti gli altri sistemi: permette di trarre vantaggio dagli arbitraggi. Volete un esempio più recente: l'evoluzione di Bitcoin. Quando iniziarono a spuntare fuori i primi exchange, si vennero a creare anche grandi possibilità di arbitraggio tra di essi data la differenza di prezzo che proponevano. È la chiusura degli arbitraggi tra di essi, attraverso gli “speculatori”, che ha aiutato a stabilizzarne il prezzo nel tempo.
Quando esiste un arbitraggio che “si rifiuta” di chiudersi, e che dovrebbe chiudersi, c'è qualcosa che impedisce che accada. Inutile dire che bisogna liberarsene di quel qualcosa. Il surplus commerciale subito dagli USA a vantaggio delle grandi economie del primo mondo (Cina, Europa, Inghilterra) s'è rivelato un arbitraggio che “s'è rifiutato” di chiudersi. Cosa gli impediva di chiudersi: normative, multe mascherate da dazi, costo del lavoro, costo degli input, ecc. Come si cerca di risolvere tutte queste cose in un colpo solo? Imponendo reciprocità nei trattamenti commerciali. È il miglior modo per affrontare la cose? Non lo so. Ma questa è la “Power policy” e bisogna farsene una ragione perché il mondo è mutato sin dal 2022.
Infatti la cosa meno compresa di tutte, e che fino al 2022 ho faticato anche io a comprendere, è il sistema degli eurodollari: il principale ostacolo alla chiusura del sopraccitato arbitraggio. Ecco perché il mio ultimo libro, Il Grande Default, verte su questo tema e grazie a questo esercizio diventa più facile mettere insieme tutti i puntini. Avendolo scritto io questo libro, è ovvio che cerchi di pubblicizzarlo quanto più possibile. Ma al di là di ciò rappresenta un manuale che permette di diradare quella nebbia di inconsapevolezza che ancora aleggia tra i commentatori comuni. Lasciamo stare la stampa. Per quanto si possa “attaccare” l'amministrazione Trump per certe linee di politica, qui non si tratta di “ciò che si vede”. Già dal mio secondo manoscritto pubblicato, La fine delle fallacie economiche, vi ho insegnato a vedere “ciò che non si vede”. Infatti si tratta del consorzio delle banche della East coast che infine hanno individuato la causa principale del continuo sprofondare degli USA in crisi. Uno dei punti cardine che leggerete nel libro è la differenza tra LIBOR (tasso a cui veniva determinato il prezzo del dollaro offshore secondo il “giudizio” della City di Londra) e il SOFR (tasso a cui viene determinato il prezzo del dollaro in base a fattori interni). È un caso secondo voi che i dazi sono entrati in vigore all'inizio di aprile e l'ultimo contratto intermediato dal LIBOR è scaduto il 30 marzo? La portata della guerra commerciale è più ampia di quanto leggete sulla stampa.
Riuscire a manipolare la domanda di dollari all'estero rappresentava uno strumento di potere non indifferente per la City. Ora invece ciò che accade negli USA rimane negli USA: non sono più le banche europee e inglesi a impostare il prezzo del dollaro all'estero, ma quelle statunitensi e la FED. Inutile dire che la City e Bruxelles sono i perdenti forti, dato che non possono più accedere, come prima, a un dollaro più economico. Questo a sua volta significa che, internamente, il dollaro potrà essere indebolito, mentre all'estero potrà essere lasciato salire per fungere da meccanismo di “persuasione” (e a tal proposito entrano in gioco i dazi). Sobrietà finanziaria, ponderazione reale del rischio e correzioni violente se necessario... ma soprattutto non più gli USA a salvaguardare tutte le operazioni finanziarie del mondo e pagarne il prezzo (in termini di ricchezza reale risucchiata all'estero) in caso di fallimento.
È questo il cambiamento gigantesco nella “globalizzazione” che sta avvenendo nel sottobosco e non notato; è questo “mondo” che gli USA stanno abbandonando e riformando. L'interconnessione finanziaria degli anni pre-2022 era una certezza di importare le debolezze economiche altrui e “pagare di tasca propria” per risolverle. Sono queste connessioni che vengono tagliate, come sta accadendo nel mercato dell'oro ad esempio: il metallo giallo estratto negli USA rimane lì e non viene più spedito in Svizzera o a Londra attraverso il COMEX.
Dopo la contrazione dell'offerta di eurodollari da parte della FED con l'avvio del SOFR, per tutte quelle nazioni che usavano tale mercato come volano attraverso il quale accedere a dollari facili e nascondere sotto il tappeto (degli USA però) i loro problemi, era fondamentale mantenere un avanzo commerciale nei confronti degli USA. Questo permetteva ai dollari di fluire all'estero attraverso di esso, impedendo agli arbitraggisti di chiudere questo divario (es. imposizioni commerciali non reciproche europee, armonizzazione fiscale col resto del mondo, ecc.). Era vero per l'Europa ed è ancor più vero per il Canada.
A livello teorico non c'è niente di male nell'emettere titoli denominati in dollari (all'estero), dopo tutto il biglietto verde è l'asset più affidabile e liquido rispetto a tutti gli altri della sua categoria. Il problema è quando si “strumentalizza” un asset e l'eurodollaro è uno di quelli più strumentalizzati. Affinché questo pasto gratis possa continuare a fluire nella City di Londra e a Bruxelles è vitale che gli USA continuino ad avere un deficit commerciale col resto del mondo, in modo che quest'ultimo possa essere usato per avere il flusso necessario di dollari con cui pagare le cedole dei titoli denominati in dollari. Il Canada diventa un proxy attraverso il quale si instaura un carry trade tra il dollaro canadese e quello statunitense (si prende in prestito nel primo a tassi inferiori e si investe nel secondo che ha rendimenti superiori).
Il Canada in questo frangente sta diventando esso stesso un “sistema bancario ombra” offrendo i propri bilanci tramite i quali la cricca di Davos possa continuare a ricevere finanziamenti a basso costo.
Il rally recente dell'euro e la vendita di T-bond americani da parte degli europei (in modo da creare un avvallamento tra il front-end della curva e il back-end e permettere alla stampa di gridare “recessione negli USA!”) è uno step in questo percorso, in questa guerra. La pistola fumante nell'attesa dei dati TIC? I tassi europei sono scesi, l'euro è salito e lo yuan è sceso. L'Eurozona (esclusa la Svizzera) + Regno Unito controllano $3.400 miliardi in titoli sovrani americani; la Cina circa $750 miliardi. L'obiettivo dei dazi è fondamentalmente uno: ridurre l'avanzo commerciale PERENNE da parte degli altri Paesi, Europa in particolar modo (ecco perché il 20% sui beni europei). Chi è davvero nei guai è l'UE. Perché? Perché in questa guerra c'è bisogno di collaterale e non ce l'ha. I capitali finanziari scorrono a ovest, negli USA; non c'è accesso a una fonte d'energia a basso costo. Senza questi elementi l'UE non può procedere alla liquidazione. L'unica cosa che può fare è appoggiarsi all'intermediazione dei cambi, uno dei più grandi mercati al mondo (e più sottoposto a leva), per cambiare la percezione di investitori e risparmiatori.
In questo contesto la Cina cercherà di scendere a patti con gli USA, Xi non è in una posizione politica confortevole. Non credo ci sarà un avvicinamento con l'UE, per quanto la classe dirigente europea possa volerlo. Se ciò fosse possibile i cinesi avrebbero aperto e aprirebbero il proprio mercato dei capitali. Ricordate, i mercati dei capitali sono un buon “predittore” dei movimenti politici.
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Bitcoin & Marx: due teorie geopolitiche in competizione
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-and-marx-due-teorie-geopolitiche)
Marx ci disse che la rivoluzione sarebbe stata decentralizzata: i poveri si sarebbero stancati della grande iniquità del capitalismo e le poche migliaia di ricchi avrebbero sofferto per la ribellione mondiale che avevano fomentato con la loro avidità.
La creazione di banche centrali e il controllo dell'offerta di denaro avrebbero imposto, poi, l'avvento del comunismo. La centralizzazione della ricchezza porta a una rabbia decentralizzata; il rovesciamento sarebbe stato inevitabile. La classe sociale sarebbe stato il fattore decisivo e le persone di ogni ceto sociale e sesso nelle nazioni più sviluppate si sarebbero ribellate per prime. Le tessere del domino sarebbero cadute finché i Paesi meno sviluppati non si sarebbero industrializzati, avrebbero subito le stesse disuguaglianze e sarebbero diventati comunisti a loro volta.
Naturalmente non è andata così. Lenin adattò il marxismo alle proprie esigenze e, con l'aiuto dei simpatizzanti comunisti negli Stati Uniti, il comunismo fu attuato dall'alto nella Russia sottosviluppata. Le tessere del domino crollarono con violenza. Un Paese dopo l'altro cadde o uscì dal comunismo per via di interessi verticisti o esterni durante la Guerra Fredda, sempre a spese dei cittadini e raramente per loro volontà.
Ironicamente il comunismo è sempre stato sostenuto dalla forza fisica e dagli interessi economici imposti dall'alto, proprio le stesse persone che Marx stesso disprezzava. Versioni o elementi del comunismo esistono ora in Cina e negli Stati Uniti. La prima era un sistema inizialmente povero, ora distopico, che gioca al capitalismo; i secondi sono un sistema che lotta tra il politicamente corretto, un conservatorismo lasco e una banca centrale.
Satoshi Nakamoto, pseudonimo del creatore (o dei creatori) di Bitcoin, non rilascia dichiarazioni politiche. Nel suo whitepaper di nove pagine e nei suoi post pubblici abbiamo appreso come funziona Bitcoin e se potesse avere successo – con ciò intendo un elevato volume di transazioni elaborate e l'incapacità delle entità di attaccare e delegittimare la rete.
È tuttavia assodato che la politica monetaria deflazionistica e la struttura peer-to-peer di Bitcoin affondano le radici nelle intuizioni di economisti Austriaci come Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e altri, pensatori che svilupparono il loro lavoro in netto contrasto con Marx e la piega storico-politica del suo materialismo dialettico. Non sorprende quindi che siano emerse teorie sulle implicazioni politiche dell'adozione di Bitcoin.
Secondo una di esse, i Paesi più sviluppati, in particolare gli Stati Uniti, sono i più vicini alla stampante monetaria. La banca centrale più forte è quella che gestisce la valuta di riserva mondiale. I pochi che gestiscono quella banca centrale possono stampare quantità illimitate di denaro e riciclarlo a proprio vantaggio. Tali interessi non si allineeranno mai con quelli dei loro popoli, e in particolare mai con quelli dei Paesi costretti a vincolarsi all'attuale valuta di riserva globale. Il dollaro, non vincolato all'oro o ad altre valute forti, si sgonfierà fino a scomparire. Anche le altre banche centrali che stampano moneta ne soffriranno... di più, però. La loro moneta si svaluterà e anche il dollaro a cui fanno riferimento si svaluterà.
La gente se ne accorgerà e se ne stancherà. Si renderà conto di non poter risparmiare il valore delle dure giornate di lavoro e ritirerà il proprio denaro dalle banche a riserva frazionaria che ne consentono l'incessante stampa. Lo investirà in un bene durevole, inizialmente oro e infine Bitcoin.
Lentamente, poi improvvisamente, la rivoluzione sarà decentralizzata. I cittadini dei Paesi sviluppati investiranno in Bitcoin, ma, essendo vincitori relativi nel gioco della moneta fiat, lo useranno come valuta per ultima. Allo stesso modo gli stati dei Paesi più sviluppati non prenderanno sul serio Bitcoin, o gli saranno ostili. Ma i cittadini dei Paesi poveri, e quelli con valute svalutate, si orienteranno per primi verso Bitcoin. I poveri si renderanno conto che la sua volatilità non è poi così negativa quando la valuta del loro Paese si iperinflazionerà molto più rapidamente. La sua politica monetaria è quantomeno trasparente. Chissà cosa succede negli uffici delle banche centrali?
I cittadini dei Paesi più piccoli e poveri conserveranno il loro valore in bitcoin e lo utilizzeranno per effettuare transazioni. Gli stati più piccoli e poveri capiranno che Bitcoin offre loro una via d'uscita dall'approccio svalutativo della moneta fiat. Le tessere del domino cadranno. I ricchi delle banche centrali saranno rovesciati, sostituiti dai poveri che hanno avuto bitcoin per primi. I Paesi sviluppati saranno gli ultimi ad accorgersene. E infine, grazie alla politica monetaria deflazionistica di Bitcoin, i Paesi poveri avranno un vantaggio in questo Nuovo Mondo Arancione. Un giorno vivremo in un paradiso di libero mercato, dove nessuno avrà il controllo sulla massa monetaria e le economie potranno crescere insieme al Popolo.
In entrambe le teorie, la situazione economica porta a un fenomeno emotivo/culturale decentralizzato, vale a dire una lotta contro un oligopolio corrotto.
Ma anche per quanto riguarda Bitcoin, le cose non sono andate come previsto. Quando Nayib Bukele, presidente di El Salvador e leader del partito Nuevas Ideas, ha reso il suo Paese il primo ad adottare Bitcoin come moneta a corso legale, l'interesse dei cittadini di El Salvador per Bitcoin era praticamente pari allo 0%. Solo pochi bitcoiner dei Paesi sviluppati, che si erano stabiliti nella turistica spiaggia di El Zonte, sapevano qualcosa di Bitcoin. Oggi il tasso di adozione di Bitcoin da parte dei cittadini di El Salvador è superiore al 35% e in aumento, grazie in parte al wallet Chivo e in parte a iniziative no-profit come Mi Primer Bitcoin. Il domino di El Salvador è crollato principalmente a causa di interventi imposti dall'alto e, per quanto povero sia il Paese, l'altra sua moneta a corso legale è il dollaro statunitense, la valuta di riserva mondiale. Sebbene El Salvador non abbia il controllo sulla politica monetaria del dollaro, sta sicuramente ottenendo risultati migliori adottandolo rispetto a Venezuela o Libano, le cui valute sono terribilmente svalutate al momento in cui scrivo.
Inoltre ci sono evidenti falsità. Gli Stati Uniti non hanno adottato Bitcoin come moneta a corso legale, ma ne possiedono sicuramente molti. L'IRS ne detiene il possesso. Si dice persino che altre agenzie governative confischino, conservino e acquistino bitcoin di tanto in tanto, cosa particolarmente facile per un Paese che stampa regolarmente moneta.
L'elenco dei Paesi che minano bitcoin, alcuni dei quali sono conservati piuttosto che venduti, è troppo lungo per essere stilato. Quindi i Paesi sviluppati, che riconoscano o meno pubblicamente l'importanza di Bitcoin, vi investono. Tanti saluti al vantaggio per i Paesi poveri.
Infine c'è anche l'aspetto geopolitico dell'utilizzo di Bitcoin. La Russia lo accetta in cambio di gas naturale e gli Emirati Arabi Uniti sono favorevoli a questo asset. Entrambi sono ben lontani dall'essere Paesi poveri o sottosviluppati. Dall'altra parte la Nigeria non è ricca. I nigeriani effettuano transazioni in Bitcoin più di chiunque altro, fatta eccezione per gli americani. Eppure il loro governo è ostile, arrivando persino a imporre la propria CBDC, l'e-Naira, alla popolazione. Nel frattempo cittadini esperti in Argentina e Libano minano e risparmiano in Bitcoin, mentre i loro governi non sembrano vederne l'urgenza.
Quindi, Bitcoin, o meglio la teoria economica di Bitcoin, è destinata a una storia oscura e onnipresente come quella del comunismo? Esiste una teoria che possa comprendere la traiettoria di questo asset? Inoltre, dato che Bitcoin, per sua natura, sfida le banche centrali e, per estensione, alcuni principi del comunismo, dovremmo aspettarci che si sfidino a vicenda a livello geopolitico, giusto?
Quale struttura di incentivi economici vince? È una vittoria soft, che costringe Paesi come la Cina ad adattarsi alla rete senza sacrificare la propria struttura politica? O elimina del tutto la centralizzazione? O Bitcoin verrà spazzato via da qualche ingegnosa circostanza che nessuno di noi ha ancora previsto? Allo stato attuale Bitcoin è certamente sfavorito, il cui principale vantaggio è la sua decentralizzazione attraverso il meccanismo di consenso Proof-of-work. Nel frattempo la moneta fiat ha presa su tutte le principali istituzioni del mondo, comprese le forze armate necessarie per ottenere ciò che si vuole.
Le teorie geopolitiche che circondano Bitcoin si basano sul presupposto che non possa essere fermato. Essendo una rete informatica, chiunque può gestire un nodo, chiunque può effettuare transazioni con chiunque altro e chiunque può minare per proteggere la rete e guadagnare denaro. Si tratta, infatti, della rete informatica più sicura mai costruita, con un uptime del 99,99999999% e zero attacchi riusciti.
Le leggi non possono impedire alle persone di usare Bitcoin. Sebbene sia possibile tracciare gli acquisti effettuati sul registro, consentendo agli stati di arrestare o danneggiare chi viola tali leggi, teoricamente le persone abbandoneranno tali luoghi e si trasferiranno dove possono effettuare transazioni con la valuta che preferiscono. Chi tenta di attaccare la rete appropriandosi dell'hashrate scoprirà di guadagnare di più supportandola piuttosto che investire energie per contrastarla.
Il fatto che si tratti di hard money significa che tutti, compresi coloro che lo disprezzano, alla fine opteranno per conservare il proprio valore all'interno della rete, evitando così di volerla sabotare e perdere la propria ricchezza. Solo i pochi più vicini alla stampante monetaria hanno più da perdere passando a un Bitcoin standard. Non possono navigare in un mondo in cui perdono il controllo della moneta dominante. Se non riuscite a batterli, unitevi a loro.
Sarei negligente se non menzionassi la teoria del maggiore Jason Lowery, la quale, sebbene controversa, offre un punto di vista avvincente: man mano che Bitcoin si insinuerà in ogni angolo, gli stati lo adotteranno e lo useranno come arma geopolitica, sublimando la motivazione a entrare in guerra. Al contrario, ci saranno hashrate contrapposti e divisioni geopolitiche simili a quelle del mining di Bitcoin. Si tratta di una sorta di compromesso tra le due idee, in cui Bitcoin viene cooptato dalle autorità attuali – membri della banca centrale inclusi – ma troverà il modo di sviare i loro incentivi a proprio favore.
Nella misura in cui riusciranno ad accumulare i bitcoin rimanenti e a tentare di dominare la rete conquistando l'hashrate, il “gioco” economico proposto da Lowery potrebbe concretizzarsi. Sebbene esistano diverse critiche valide alla tesi di Lowery, una versione di tale evento potrebbe verificarsi. Secondo Limpwar i Paesi che adottano per primi Bitcoin come moneta a corso legale, tentando di sfruttarlo contro altri Paesi, potrebbero trovarsi intrappolati. I Paesi avversari potrebbero vendere i propri bitcoin durante le recessioni a un Paese concorrente, facendo crollare ulteriormente il potere d'acquisto di quel Paese nel breve termine. Se a ciò seguisse un'iniziativa militare, potrebbe fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta.
Allo stesso modo un governo potrebbe accumulare bitcoin proprio per una simile risposta contro il suo popolo. Mentre la sua gente si impegna in una rivoluzione, avendo principalmente investito i propri beni in Bitcoin, quel governo potrebbe vendere una somma sostanziale di bitcoin, indebolendo il patrimonio della sua gente. Forse altri Paesi o cittadini li acquisterebbero, aumentandone ancora una volta il prezzo; forse ci vorrebbe più tempo del previsto. Come abbiamo visto, i mercati ribassisti possono durare più di un anno e bastano poche balene per far variare drasticamente il prezzo. Non c'è ancora motivo di credere che l'economia di Bitcoin si comporterà diversamente in futuro.
La mia posizione è che imporre un framework a Bitcoin indichi una mancanza di integrità. La rete prospererà dove sarà necessaria e vacillerà dove non lo sarà. Non è ancora ovvio che sarà ugualmente necessaria ovunque, o che avrà lo stesso valore ovunque. I Paesi del Golfo, ad esempio, potrebbero accumulare bitcoin, ma non avere la necessità di spenderli, preferendo effettuare transazioni nella loro valuta fiat, ancorata al valore delle loro risorse naturali e digitali. I cittadini di tali Paesi potrebbero fare lo stesso, non sentendo la necessità di effettuare transazioni internazionali e non avendo alcun forte incentivo economico a utilizzare bitcoin.
I Paesi in difficoltà potrebbero essere altrettanto lenti ad adottare Bitcoin, preferendo reprimere i propri cittadini, i quali potrebbero non essere disposti a soffrire per le transazioni con asset digitali. La popolazione cinese potrebbe subire un destino simile. Agli amanti di Bitcoin questa potrebbe sembrare una stupidaggine geopolitica a medio termine, ma molti Paesi si lasciano andare a simili stupidaggini.
E infine: un'economia basata su Bitcoin apparirebbe radicalmente diversa da quella odierna? Sembra molto probabile che l'economia, con un Bitcoin standard, sarà simile a quella del sistema fiat. Qualsiasi cambiamento significativo a un sistema del genere richiederebbe generazioni, e persino tali cambiamenti potrebbero essere iterazioni del sistema attuale, piuttosto che la visione radicale di pochi appassionati di Bitcoin. Ci sarà ancora il credito. Molte persone preferiranno lasciare il proprio denaro agli intermediari. I Paesi avranno ancora organi centrali che gestiranno l'acquisto, la vendita e il possesso di bitcoin, insieme alle modalità di gestione legale della rete e delle transazioni che essa gestisce. Forse i Paesi spenderanno meno di quanto facciano oggi, o si concentreranno meno sul PIL, ma è davvero così assurdo credere che, quando si arriverà al dunque, i Paesi non continueranno a spendere più di quanto hanno? Prima della Prima guerra mondiale credevamo che spendere più denaro di quanto un Paese avesse fosse impossibile, ma l'Europa continuò a sostenere la guerra per quello che si credeva fosse un tempo incredibilmente lungo. Bitcoin non sarà mai in grado di eliminare un tale istinto umano. Volere è potere.
Quindi, forse Bitcoin vincerà sulla centralizzazione, sul comunismo e sulla minaccia di un'inflazione infinita nel lungo termine. Nel breve e medio termine, forse un aggiustamento chiropratico della società sarà riconoscibile, per chi di noi sta osservando.
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Marx credeva che ogni cultura e politica fosse costruita sulla struttura economica di un popolo. La nostra economia ci definisce e la sua progressione storica, dal baratto tribale al feudalesimo, al libero mercato, al comunismo e oltre, è inevitabile. C'è un numero diverso da zero di bitcoiner che presuppone anche una teleologia storica per Bitcoin, di fatto dissentendo da Marx solo su quale inevitabilità aspettarsi: Comunismo o Bitcoin. Rosso o Arancione. Molti, ma non tutti, i massimalisti di spicco sono cristiani. Hegel, che ispirò il materialismo dialettico di Marx (e dato l'ateismo di quest'ultimo, un'altra forma di fanatismo religioso), prese in prestito dalla teologia cristiana per concepire la Fenomenologia dello Spirito. Ha quindi senso che entrambi vedano nell'economia una sorta di salvatore della storia. Entrambi, quindi, credono che solo la loro risorsa, o approccio, vincerà e che una nuova politica ne trarrà ampiamente ispirazione. Che una nuova politica derivi dall'uno o dall'altro non è solo possibile, ma dimostrato: il marxismo ha ispirato a sua volta virulenti correnti politiche. Bitcoin potrebbe benissimo fare lo stesso.
Ma credere che solo il loro approccio finirà per prevalere – quello di Marx a causa della fondamentale (e necessariamente in continua crescita) disuguaglianza generata dal continuo prelievo di chi ha da chi non ha, e quello di Bitcoin perché nessun altro asset è un depositario, un trasferitore e un protettore di energia e valore superiore – è a dir poco miope. Potrebbe essere vero, invece, che l'intera inquadratura di questo problema sia errata. Forse l'economia non è la base su cui si costruiscono le sovrastrutture culturali e politiche – che l'economia influenzi solo alcune, ma non quasi tutte, le funzioni di una società. Credere diversamente ci pone in una prospettiva troppo ristretta, rischiando di perdere di vista le radici di altre questioni culturali o politiche. Affrontare una questione del genere richiederebbe di interrogarsi sul se, come credeva Marx, tutte le questioni filosofiche derivino fondamentalmente dal mondo materiale e se le nuove filosofie possano emergere solo da nuove condizioni materiali.
In ogni caso, vediamo che entrambe le filosofie non hanno funzionato come ci si aspettava. E, per la prima volta da quando Marx scrisse, abbiamo una reale applicazione dell'economia Austriaca. Quest'ultima non ha mai avuto una possibilità politica contro il fanatismo del marxismo fino all'avvento di Bitcoin. Tuttavia, dato che il marxismo è fondamentalmente una filosofia del risentimento, e sebbene Bitcoin possa sostituirlo, è irrealistico credere che lo eliminerà del tutto.
I lavoratori del mondo che continuano a nutrire risentimento, anche se Bitcoin vince, o ne contamineranno alcuni elementi con la loro filosofia (anche la tecnologia può essere spinta in direzioni inaspettate) oppure aspetteranno la prossima occasione.
Tra 300 anni chissà cosa ne sarà di Bitcoin? Chissà se l'integrità di un sistema del genere durerà, o se le banche centrali non solo rimarranno, ma prospereranno in una nuova forma?
Il fanatismo per i massimalisti non è infondato. Bitcoin ha rivoluzionato il panorama economico di interi Paesi e ha salvato la ricchezza di molti. Promette di rivoluzionare il tessuto stesso del denaro e il modo in cui gestiamo l'energia.
Eppure sembra che nessuna teoria chiara possa racchiuderlo. Bitcoin sta riempiendo, lentamente ma inesorabilmente, un grande spazio dove un tempo c'era l'oceano. Continuerà a riempire ogni spazio finché non navigheremo con esso, come i pesci fanno con l'acqua? E chissà se altre teorie economiche simili non continueranno a competere. Ma la strada per arrivarci sarà lunga e accidentata, e senza dubbio le tessere del domino non cadranno in nessuno dei modi che possiamo immaginare.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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I tagli alla spesa non indeboliranno l'economia degli Stati Uniti, la rafforzeranno
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/i-tagli-alla-spesa-non-indeboliranno)
La proiezione del modello GDPNow della Federal Reserve Bank di Atlanta per la crescita del PIL reale nel primo trimestre del 2025 mostra ora un crollo al -1,5%. Ciò segna una significativa revisione al ribasso rispetto alla precedente stima del 2,3% del 19 febbraio 2025.
Un declino così enorme è strano. Come siamo passati dal +2,3% al -1,5% in meno di un mese? Questo tipo di crollo in un'economia grande come quella degli Stati Uniti è estremamente raro.
La reazione immediata della stampa è stata quella di definirla l'inizio di una “recessione targata Trump” e di attribuirne la colpa alle linee di politica del presidente. È interessante notare che il 1° giugno 2022, GDPNow aveva stimato la crescita del secondo trimestre del 2022 a +1,3%; il 1° luglio 2022 era scesa a -2,1%, uno spostamento di 3,4 punti percentuali in 30 giorni. Come l'ha definita la stampa? “Paura della crescita”. Una cosa simile è accaduta nel terzo trimestre del 2021: la stima è scesa dal 6,1% (30 luglio) al 2,3% (1° ottobre), un calo di 3,8 punti in due mesi.
Nel 2022 il PIL reale è sceso per due trimestri consecutivi sotto l'amministrazione Biden. Secondo il Bureau of Economic Analysis, il primo trimestre aveva visto un calo del -1,6% nel tasso annuo, seguito da un calo dello 0,6% nel secondo trimestre. Centinaia di analisti, commentatori ed economisti, insieme all'NBER, hanno rapidamente dichiarato che non si trattava di una recessione. È esilarante, quindi, leggere le centinaia di commenti che sostengono che l'Atlanta Fed NowCast stia sottintendendo che le linee di politica della nuova amministrazione stiano causando una recessione.
Come ho scritto qualche mese fa, gli Stati Uniti sono in recessione nel settore privato da mesi. Tuttavia un aumento anomalo della spesa pubblica durante un periodo di crescita e una politica di prestiti rischiosa hanno portato a un PIL ipertrofico.
Gli Stati Uniti hanno avuto un aumento del PIL nominale di $7.590 miliardi tra il 2021 e il 2024 rispetto a un aumento di $8.470 miliardi del debito pubblico. Ciò ha segnato la peggiore crescita del PIL aggiustata all'accumulo di debito pubblico sin dagli anni '30.
Molti analisti avvertono che gli sforzi del Department of Government Efficiency (DOGE) causeranno una recessione se la spesa pubblica verrà ridotta in modo aggressivo. Sebbene tagliare la spesa possa “ridurre” il PIL, non danneggerà la crescita economica; anzi la rafforzerà.
Dobbiamo ricordare che la spesa pubblica degli Stati Uniti, finanziata dall'aumento del debito federale, ha rappresentato circa il 22-25% della crescita totale del PIL degli Stati Uniti nel periodo 2021-2024. Questo straordinario aumento della spesa pubblica nel mezzo di una ripresa ha portato a un debito pubblico record ed è stata la causa principale della crescita dell'offerta di denaro e, con essa, dell'esplosione dell'inflazione che gli americani stanno subendo oggi.
Uno studio di ricerca del MIT Sloan, pubblicato il 17 luglio 2024 da Mark Kritzman et al., intitolato “I determinanti dell'inflazione”, ha concluso che la spesa federale è stata il motore principale dell'impennata dell'inflazione nel 2022, stimando che sia stata da due a tre volte più significativa di qualsiasi altro fattore.
La spesa pubblica era fuori controllo, provocando un'impennata della crescita della massa monetaria e l'inflazione cumulativa subita dagli americani negli ultimi quattro anni è stata superiore al 20,9%, con prezzi di generi alimentari e benzina in aumento di oltre il 40%.
La spesa pubblica eccessiva non è stata solo la causa dell'aumento della crescita dell'offerta di denaro e dell'impennata dell'inflazione, ma ha anche portato a un aumento del debito di $8.470 miliardi e a un percorso insostenibile verso la rovina finanziaria se le linee di politica fossero rimaste le stesse. Secondo il Congressional Budget Office, senza cambiamenti gli Stati Uniti avrebbero accumulato deficit per $12.600 miliardi tra il 2025 e il 2030. Si prevedeva che le spese per interessi netti sarebbero aumentate da $881 miliardi nel 2024 a $1.200 miliardi entro il 2030, anche ipotizzando l'assenza di recessioni o aumenti della disoccupazione.
Il taglio della spesa pubblica è essenziale per ridurre i prezzi, tenere sotto controllo l'inflazione e fermare l'imminente disastro delle finanze pubbliche. Nel 2024 è diventato evidente che le misure di entrate non avrebbero ridotto il deficit federale degli Stati Uniti. I deficit sono sempre un problema di spesa.
Dobbiamo ricordarci che la crescita del PIL del 2,8% nel 2024 rifletteva quasi $2.000 miliardi in prestiti, un rapporto spesa/crescita di circa uno a uno e un percorso pericoloso verso una crisi del debito.
Il PIL privato dovrebbe misurare l'economia, poiché la spesa pubblica e il debito non guidano una crescita produttiva. Eliminare la spesa pubblica può darci un quadro più accurato della realtà del settore produttivo in America. Le ultime stime della Federal Reserve di Atlanta mostrano un massiccio calo delle esportazioni nette (-3,7%) dovuto a un forte aumento delle importazioni, un piccolo calo del consumo di beni (-0,09%) ma servizi forti (+0,62%) e aumenti della spesa pubblica (+0,34%) e un sano aumento degli investimenti (+0,62%). Il fattore sorprendente è un crollo anomalo delle esportazioni e un aumento delle importazioni che potrebbero essere rivisti, perché il deficit commerciale a dicembre 2024 è salito di $98,4 miliardi e il PIL non ha riflesso un crollo importante delle esportazioni nette. La cosa preoccupante è che la spesa pubblica continua a essere eccessiva e gli Stati Uniti stanno registrando un deficit annuo di $2.500 miliardi.
Gli Stati Uniti non entreranno in recessione a causa del cambio di amministrazione, ma a causa delle spese eccessive degli anni di Biden. Ridurre la spesa federale, il deficit e l'accumulo di debito è essenziale per recuperare la salute dell'economia.
L'aumento del PIL dovuto a spesa pubblica e debito non significa favorire la crescita: è la ricetta per il disastro.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Soros e la USAID: un matrimonio diabolico
Le ultime settimane sono state caratterizzate da manifestazioni di dissenso nei confronti dell'amministrazione Trump. Dagli attacchi vandalici alle Tesla in giro per strada agli incendi degli stabilimenti industriali della stessa casa automobilistica, il sentimento contrario e di protesta sta emergendo con una certa violenza. Non solo, ma due fine settimana fa abbiamo sentito dai canali informativi ufficiali che in gran parte delle grandi città americane erano scesi in piazza manifestanti per esprimere il loro dissenso nei confronti di Trump. Giornali, telegiornali e giornalisti hanno subdolamente fatto intendere che tutte queste cose sono squisitamente “spontanee”. Lasciatemi essere campanilista nei confronti del lavoro che svolgo su queste pagine (virtuali): senza la voce analitica di uno come me, non ci sarebbe scampo dai megafoni della propaganda mainstream; spazi divulgativi come i miei dovrebbero essere supportati affinché possano continuare a operare nonostante i venti contrari provenienti da mancanza di sponsor e dalla facilità con cui potrebbero essere perfidamente silenziati (“shadow ban”, spinta più in basso nei risultati di ricerca, ecc. cosa già accaduto dal 2021 al 2024). Detto questo, ecco servita l'ennesima confutazione dell'informazione generalista: si scopre infatti che c'è coordinamento nel sottobosco dell'estrema sinistra per quanto riguarda la devastazione mirata di Tesla. Non solo, ma ciò vale anche per le altre manifestazioni di protesta contro Trump e la sua amministrazione, in America e nel resto del mondo (oltre alle “rivoluzioni colorate” in Georgia, Moldavia, Serbia, Romania). Infatti la realtà è ben diversa da quella disegnata e diffusa dai canali d'informazione ufficiali. Sto esagerando? Allora leggetevi questo lungo articolo del Time dove si riporta, prove estese alla mano, l'esistenza di una rete sotterranea di coordinamento e finanziamento facente riferimento alla sinistra e allo Stato profondo. Lo smantellamento della USAID, quindi, e il licenziamento di fannulloni nella macchina pubblica sono passi nella giusta direzione. Sebbene lo Stato profondo non resterà a guardare, una pubblico attento e con spirito critico nei confronti di ciò che legge è essenziale affinché esso non riacquisti forza e attiri dalla sua parte anche chi è stato accuratamente fuorviato da un'informazione mainstream distorta e (convenientemente) omissiva.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/soros-e-la-usaid-un-matrimonio-diabolico)
La recente attenzione rivolta alla USAID e le rivelazioni esplosive sulla reale destinazione delle sue spese rappresentano sicuramente un regalo di Natale anticipato per Rand Paul, quando arriverà il momento di preparare il suo rapporto annuale Festivus.
Dal finanziamento dell'insegnamento ai giornalisti dello Sri Lanka su come evitare il “linguaggio binario di genere” ai cambiamenti di sesso in Guatemala, all'attivismo LGBT in Armenia, Giamaica, America Latina, Uganda, tra innumerevoli altri, l'agenzia si comportava più come un'organizzazione di attivisti che altro. C'è anche dell'ironia nella rivelazione che molte cosiddette “Organizzazioni non governative” (ONG) ottengono la maggior parte dei loro finanziamenti dal governo federale.
Altre cose che saltano all'occhio includono il finanziamento di Sesame Street in Iraq, laboratori di drag show per migranti venezuelani in Ecuador, la promozione del turismo in Tunisia ed Egitto, la sensibilizzazione degli africani sui cambiamenti climatici e l'insegnamento alla popolazione del Kazakistan su come difendersi dai troll su Internet.
L'elenco potrebbe continuare per centinaia di pagine, ma il concetto è chiaro.
Anche i progetti di aiuti che potrebbero essere considerati più legittimi sono macchiati dalla politica e questo grazie a George Soros. Nel 2017 la Heritage Foundation ha svelato come Soros avesse sfruttato la sua influenza per mettere vincoli agli aiuti umanitari erogati dalla USAID, tutti i quali richiedevano ai destinatari di sottoscrivere un'agenda politica di estrema sinistra, specialmente nei Paesi che non la volevano:
[...] ma stanno emergendo prove che negli ultimi otto anni [a partire dal 2009], Soros, la sua Open Societies Foundations (OSF) e le loro numerose affiliate più piccole hanno ricevuto denaro dei contribuenti statunitensi tramite USAID e che quest'ultima ha reso OSF il principale esecutore dei suoi aiuti.Fu nel 2009 che la USAID iniziò a vincolare i fondi per lo sviluppo ai Paesi che assumevano posizioni progressiste sui diritti gay/transgender, tra le altre cause di sinistra, tra cui anche la legalizzazione della prostituzione e la depenalizzazione delle droghe (non nel modo in cui molti libertari vorrebbero, ma piuttosto secondo il modello “San Francisco”). Ciò accadde ai Paesi africani e ai Paesi europei “dall'Irlanda alla Macedonia”.
Heritage ha anche scoperto che, nonostante alcuni aiuti da parte della USAID siano aiuti umanitari, abbiamo decenni di dati che dimostrano che non hanno migliorato la crescita economica e lo sviluppo nei Paesi finanziati. Quindi non c'è davvero alcun problema a buttare via il proverbiale bambino con l'acqua sporca quando si tratta di eliminare la USAID.
Per quanto scandalosi siano alcuni dei progetti progressisti e caricaturali in cui la USAID ha investito, dare fuoco ai soldi non è nemmeno lontanamente una delle loro attività più distruttive.
Ecco alcuni esempi.
Albania
L'Albania è la nazione più colpita dalla corruzione amministrativa nella regione, con il 57% dei cittadini a cui vengono richieste tangenti occasionalmente e il 47% che prende parte a transazioni corrotte. In collaborazione con USAID, la Open Society Foundations (OSF) di Soros ha contribuito con $60 milioni tra il 2000 e il 2015 ai cosiddetti sforzi di riforma della giustizia in Albania, e l'OSF ha stanziato i fondi.
Gli sforzi di riforma hanno ampiamente aiutato il Partito Socialista a consolidare il potere. Esso è guidato dal Primo Ministro Edi Rama, fotografato con Alex Soros quasi ogni mese, e che lo chiama suo “fratello”. Un documento dell'OSF redatto nel 2013, l'anno in cui Rama ha assunto il potere come Primo Ministro, ha delineato come riformare la Costituzione albanese. La riforma giudiziaria USAID-Soros-Rama è stata completata nel 2016.
Una revisione degli sforzi per quanto riguarda la riforma giudiziaria nel luglio 2021, esattamente cinque anni dopo la sua promulgazione, mostra come siano stati scarsamente all'altezza del linguaggio roseo che l'OSF e i socialisti hanno usato per promuoverla. I risultati sono stati devastanti:
• I tentativi dell'OSF e del Partito Socialista di impadronirsi della Corte Costituzionale e dell'Alto Ispettorato della Giustizia albanesi hanno lasciato l'opinione pubblica senza di essi per quasi quattro anni.
• Le Corti d'appello e le Corti di primo grado hanno solo un quarto dei giudici di cui hanno bisogno, e la Corte Suprema metà. Di conseguenza si stima che ci vorranno due decenni per smaltire l'arretrato di oltre 100.000 casi legali, 36.000 dei quali sono in attesa di essere esaminati dalla Corte Suprema.
• L'High Judicial Council ha esternalizzato l'amministrazione dei fascicoli della Corte Suprema all'East-West Management Institute, finanziato da Soros e USAID, gestito dall'ex-moglie di Rama, che è anche ex-presidente dell'OSF. L'East-West Management ha ricevuto oltre $270 milioni dalla USAID.
• Le riforme pongono le reti delle ONG sotto la competenza del Partito Socialista.
• La corruzione è aumentata. Il prezzo delle opere pubbliche con denaro del bilancio statale in Albania costa tra 6 e 8 volte di più rispetto alle opere pubbliche eseguite in “campi simili” con il finanziamento delle banche europee.
Si può solo immaginare quanto disastrosa sia stata a livello locale l'ingerenza di Soros nel sistema giudiziario americano: all'estero è stata ben peggiore.
La rivoluzione colorata nella Macedonia del Nord
Nella piccola nazione della Macedonia del Nord (formalmente Macedonia), che ha una popolazione di poco meno di 2 milioni, Soros, attraverso la sua Fondazione Open Society Macedonia (FOSM) e le sue attività sostenute dalla USAID, ha creato canali di informazione per promuovere la propaganda di sinistra e ha fondato 80 organizzazioni con lo stesso obiettivo, tra cui think tank, associazioni di giornalisti, gruppi che promuovono l'aborto, la droga e gli elementi più stravaganti dell'agenda LGBT. La FOSM era composta in gran parte da persone provenienti dall'ala “riformista” del partito comunista.
Sul tavolo erano previsti anche metodi diretti per un cambio di governo.
Nel 2015 l'Unione socialdemocratica di Macedonia e Soros (con l'aiuto della USAID) hanno finanziato gruppi per avviare una Rivoluzione colorata e rovesciare il partito conservatore al potere VMRO-DPMNE, in carica sin dal 2006. Durante le proteste gli attivisti di sinistra hanno apertamente esultato per il loro sostegno a Soros, indossando magliette con la scritta “esercito di Soros”. Un giornalista che ha posato per una foto indossando una delle magliette ha anche condotto uno show televisivo che promuoveva la rivoluzione colorata nella Macedonia del Nord, e alla fine della trasmissione è stato esposto il logo della USAID.
Guatemala
Una relazione di Judicial Watch ha rivelato come la USAID abbia incanalato milioni di dollari in programmi allineati con gli obiettivi di OSF in Guatemala. Le reti di Soros hanno speso oltre $100 milioni in America Latina dal 2015, con la “riforma della giustizia” come interesse principale. Rispetto al PIL OSF spende in Guatemala oltre il doppio di quanto spende la USAID nel Paese, cosa che ha fortemente allineato le iniziative di ritorno di Soros e ne ha finanziate direttamente alcune, come la Commissione internazionale contro l'impunità.
Come molte cosiddette organizzazioni anti-corruzione finanziate da Soros, tale Commissione è stata trasformata in un'arma contro i leader di destra del Paese e promuove “riforme” di estrema sinistra. Le loro azioni hanno portato alle dimissioni di un presidente a cui Soros si opponeva, Otto Perez Molina del partito di centro-destra Patriot Party, e hanno anche preso di mira il suo successore, Jimmy Morales del partito di destra National Convergence Front.
Negare, negare, negare
Cosa ha da dire OSF a riguardo? “Le affermazioni secondo cui le Open Society Foundations, fondate da George Soros, ricevono finanziamenti dalla USAID, o dirigono il finanziamento di un'agenzia governativa statunitense multimiliardaria, sono palesemente false”.
I bugiardi mentono, ma la documentazione no.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Il prezzo della convenienza
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-prezzo-della-convenienza)
Immaginate: il vostro smartphone si spegne mentre siete in viaggio e all'improvviso vi ritrovate impotenti, incapaci di navigare, pagare o persino accedere alla prenotazione dell'hotel. Non è un'ipotesi; è la nostra realtà. Secondo il “Digital 2024 Global Overview Report” di DataReportal, la persona media trascorre ora oltre 7 ore al giorno sui dispositivi digitali, con il 47% che segnala ansia quando è separata dai propri telefoni. Quello che una volta era un piccolo inconveniente è ora diventata una crisi, rivelando quanto profondamente abbiamo integrato la tecnologia nella nostra esistenza quotidiana, dall'ordinare un caffè al dimostrare la nostra identità.
George Orwell immaginava una distopia di sottomissione forzata, ma gli è sfuggito qualcosa di cruciale: le persone rinunciano volontariamente alle proprie libertà per le comodità. Come spiega Shoshana Zuboff in “The Age of Surveillance Capitalism”, questa disponibilità a barattare la privacy per la comodità rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui il potere opera nell'era digitale. Non abbiamo bisogno che il Grande Fratello ci osservi: invitiamo la sorveglianza nelle nostre case tramite altoparlanti smart, telecamere di sicurezza ed elettrodomestici connessi, tutto in nome di una vita più facile. Non solo accettiamo questa sorveglianza; l'abbiamo interiorizzata come un compromesso necessario. “Non preoccupatevi”, ci viene detto, “i vostri dati sono al sicuro e in cambio riceverete consigli migliori e servizi più smart”. Ci siamo talmente abituati a essere osservati che difendiamo i nostri osservatori, sviluppando un attaccamento quasi patologico agli stessi sistemi che ci limitano.
Pensate alla sicurezza aeroportuale. Dopo l'11 settembre gli americani hanno accettato procedure TSA sempre più invasive, le quali promettevano sia sicurezza che comodità. Due decenni dopo ci togliamo diligentemente le scarpe, addestrati come animali obbedienti a seguire il teatrino della sicurezza perché un idiota ha cercato di nascondere esplosivi nei suoi stivali quasi 25 anni fa; ci sottoponiamo a scansioni di tutto il corpo e consegniamo le bottiglie d'acqua, ciononostante la sicurezza aeroportuale non è né comoda né più efficace. Proprio come ci siamo tolti le scarpe senza fare domande negli aeroporti, abbiamo ceduto senza fare domande le nostre informazioni più riservate in cambio della promessa di comodità.
Ho assistito in prima persona a questo cambiamento durante i miei due decenni nel settore della tecnologia. Quando Google ha lanciato Gmail, pubblicizzandolo come un servizio “gratuito”, ho avvisato gli amici che in realtà stavano pagando con i loro dati. Il vecchio adagio si è rivelato vero: quando qualcosa è gratuito, non siete un cliente, bensì il prodotto. Molti hanno riso, dandomi del paranoico.
Un video satirico chiamato “The Google Toilet” ha catturato perfettamente questo momento, mostrando come saremmo disposti a barattare i nostri dati più intimi per la comodità. Il video sembrava assurdo quando è stato realizzato 15 anni fa, ora sembra profetico. Oggi quella stessa azienda, che ho dimostrato profondamente legata alla comunità dell'intelligence sin dalla sua nascita, traccia la nostra posizione, ascolta le nostre conversazioni e sa di più sulle nostre abitudini quotidiane dei nostri amici più cari. Anche dopo che Snowden ha rivelato l'entità della sorveglianza digitale, la maggior parte delle persone ha scrollato le spalle. La comodità valeva il costo, finché non abbiamo scoperto che non erano in gioco solo i nostri dati, ma la nostra capacità stessa di vivere in modo indipendente.
La tirannia di quando tutto è “smart”
Secondo Consumer Reports oltre l'87% dei principali elettrodomestici venduti nel 2023 includeva funzionalità “smart”, rendendo quasi impossibile trovare modelli base. Quando di recente ho avuto bisogno di un'asciugatrice, ho scoperto che quasi tutti i modelli erano “smart”, richiedendo connettività Wi-Fi e integrazione con app. Non volevo un'asciugatrice che potesse twittare; ne volevo solo una che asciugasse i vestiti. Quando l'idraulico è venuto a installarla, perché ovviamente non ho mai imparato a farlo da solo, si è lamentato che gli serviva una laurea in ingegneria solo per riparare gli elettrodomestici moderni.
Non si tratta solo di asciugatrici. Ogni articolo domestico sta diventando smart: termostati, maniglie delle porte, lampadine, tostapane. Mio padre sapeva smontare e rimontare il motore di un'auto nel nostro garage. Oggi non si può nemmeno cambiare l'olio in alcuni veicoli senza accedere al sistema informatico dell'auto. Abbiamo perso più delle semplici competenze meccaniche: abbiamo perso la sicurezza di provare a riparare le cose da soli. Quando tutto richiede software specializzati e strumenti proprietari, il fai da te diventa impossibile per progettazione.
La perdita della scrittura corsiva esemplifica questo declino. Oltre ai suoi benefici per le capacità cognitive, non si tratta solo di calligrafia; si tratta di continuità culturale e indipendenza. Una generazione incapace di leggere il corsivo diventa dipendente dalle traduzioni digitali della propria storia, che si tratti della Dichiarazione di Indipendenza o delle lettere d'amore dei nonni. Questa disconnessione dal nostro passato non è solo comoda; è una forma di amnesia culturale che ci rende più dipendenti da versioni aggiustate e digitalizzate della storia.
La visione del movimento fai da te, ovvero dare alle persone gli strumenti per creare, riparare e comprendere il mondo fisico che le circonda, offre un modello per resistere alla dipendenza ingegnerizzata. Le comunità stanno già creando biblioteche di utensili dove i residenti possono prendere in prestito attrezzature e imparare riparazioni di base. Stanno emergendo garage di riparazione di quartiere, dove le persone si riuniscono per riparare oggetti rotti e condividere conoscenze. Le cooperative alimentari locali e gli orti comunitari non riguardano solo i prodotti biologici, ma anche come nutrirci senza catene di fornitura aziendali. Anche semplici azioni come la gestione di raccolte di libri fisici e registri cartacei diventano radicali quando incombe la censura digitale. Non si tratta solo di hobby, ma di atti di resistenza contro un sistema che trae profitto dalla nostra impotenza.
La natura fiat del controllo digitale
Proprio come le banche centrali dichiarano il valore della valuta per decreto, le aziende tecnologiche ora dichiarano cosa costituisce la comodità nelle nostre vite. Non siamo noi a scegliere questi sistemi, ci vengono imposti, proprio come la moneta fiat. Volete un elettrodomestico “stupido”? Spiacente, questa opzione è stata dichiarata obsoleta. Volete riparare i vostri dispositivi? Sono stati progettati per non esserlo ed essere buttati.
Ho esplorato più a fondo questo concetto dei sistemi imposti in un precedente saggio, esaminando come la scarsità e il controllo artificiali si estendano ben oltre il denaro, fino a cibo, salute, istruzione e informazione. Gli stessi principi che consentono alle banche centrali di stampare la valuta dal nulla ora consentono alle aziende tecnologiche di dichiarare cosa è “necessario” nella nostra vita quotidiana.
Questo non è un semplice progresso tecnologico, è un sistema di controllo. Proprio come la moneta fiat trae valore dalla convinzione collettiva, la “comodità” moderna trae il suo fascino non dall'utilità genuina, ma dalla necessità artificiale. Ci viene detto che abbiamo bisogno di dispositivi smart, archiviazione cloud e connettività costante, non perché siano utili a noi, ma perché sono utili al sistema che trae profitto dalla nostra dipendenza.
La spinta verso una società senza contanti rappresenta l'espressione massima di questo controllo. Come scrissi due anni fa in “From Covid to CBDC”, l'eliminazione della valuta fisica non riguarda solo l'efficienza, ma la creazione di un sistema in cui ogni transazione può essere monitorata, approvata o negata. Le valute digitali delle banche centrali (CBDC) promettono praticità, costruendo al contempo l'architettura per una sorveglianza e un controllo finanziari assoluti.
Proprio come i green pass hanno normalizzato la presentazione di documenti per partecipare alla società, i pagamenti esclusivamente digitali normalizzano l'idea che le nostre transazioni richiedano l'approvazione istituzionale. Immaginate un mondo in cui i vostri soldi hanno una data di scadenza, in cui gli acquisti possono essere bloccati in base al vostro punteggio di credito sociale, o in cui i vostri risparmi possono essere disattivati se pubblicate un'opinione sbagliata online. Queste non sono ipotesi: il sistema di credito sociale in Cina dimostra già come il denaro digitale possa diventare uno strumento per far rispettare la conformità.
La morte del movimento “fai da te”
Per un breve momento tra la fine degli anni Duemila e l'inizio del decennio del 2010, sembrava che potessimo resistere a questa ondata di dipendenza ingegnerizzata. Il movimento fai da te è emerso, esemplificato da spazi come il 3rd Ward a Brooklyn, un vasto spazio di lavoro collettivo di 30.000 piedi quadrati in cui artisti, artigiani e imprenditori potevano accedere a strumenti, apprendere competenze e creare una comunità. Piattaforme online come Kickstarter sono emerse contemporaneamente, consentendo ai creatori di mettere insiene un pubblico e finanziare progetti innovativi direttamente, aggirando i tradizionali gatekeeper.
Ciononostante qualcosa è cambiato. La chiusura di 3rd Ward nel 2013 ha segnato più della fine di uno spazio di lavoro: ha rappresentato la commercializzazione stessa dell'etica del fai da te. Quello spazio aveva insegnato lezioni fondamentali sull'istruzione sostenibile guidata dalla comunità e sulla condivisione delle competenze, ma queste lezioni sono andate perse quando il movimento è diventato sempre più orientato al profitto. Mentre alcuni elementi positivi rimangono, gran parte della sostanza del movimento fai da te è stata sostituita dalla creazione performativa: invece di creare davvero qualcosa, ci siamo accontentati di guardare gli altri creare qualcosa su YouTube. C'è qualcosa di profondamente umano nell'impulso a creare, a costruire, a capire come funzionano le cose, eppure la modernità ci ha rimodellati da creatori a spettatori, contenti di sperimentare la creatività indirettamente. L'autentica spinta dall'autosufficienza si è trasformata in contenuti attentamente curati, con i “creatori” che sono diventati influencer che vendono l'estetica dell'artigianato piuttosto che le competenze stesse.
La domanda ora è se ci stiamo davvero illuminando a vicenda attraverso queste piattaforme, o se stiamo semplicemente seguendo il modello di OnlyFans di mercificazione (e degradazione) di ogni interazione umana.
Personaggi digitali e perdita di sé
I social media non hanno solo trasformato la nostra vanità in un'arma, ma ci hanno trasformati da esseri umani in performance digitali. I nostri telefoni sono diventati macchine di propaganda portatili per i nostri marchi personali. Una ricerca interna di Meta ha rivelato che Instagram peggiora i problemi di immagine corporea per il 32% delle ragazze adolescenti, eppure continuiamo ad abbracciare queste piattaforme. Fotografiamo ogni pasto prima di assaggiarlo, documentiamo ogni momento di vacanza invece di viverlo e creiamo l'illusione di vite perfette mentre siamo seduti da soli nei nostri appartamenti, sorseggiando vino e intorpidendoci con Netflix.
Le implicazioni per la salute sono sbalorditive. Secondo uno studio del CDC del 2023, i tassi di depressione tra i giovani adulti sono raddoppiati sin dal 2011, con gli aumenti più netti correlati ai modelli di utilizzo dei social media. Stiamo barattando la vera connessione umana con colpi di dopamina digitale, conversazioni reali con reazioni emoji ed esperienze autentiche con post accattivanti. La comodità della connessione digitale istantanea ha creato una generazione più connessa ma più isolata che mai.
Man mano che perfezioniamo le nostre performance digitali, ci affidiamo sempre di più a strumenti artificiali per mantenere queste personalità attentamente create, il che ci porta a una forma di dipendenza ancora più profonda.
La trappola dell'IA
Forse la cosa più allarmante è la nostra crescente dipendenza dall'intelligenza artificiale. Stiamo esternalizzando il nostro pensiero all'IA, ma così facendo, rischiamo di erodere la nostra stessa autonomia cognitiva. Nello modo stesso in cui abbiamo permesso alla nostra forza fisica di indebolirsi affidandoci alla tecnologia, la nostra forza mentale sta diventando flaccida, inutilizzata e atrofizzata.
Gli studenti ora si rivolgono a ChatGPT prima di tentare di risolvere i problemi da soli. I professionisti si affidano all'IA per scrivere e-mail, report e presentazioni senza sviluppare autonomamente queste competenze critiche. Gli scrittori si affidano sempre di più all'assistenza dell'IA piuttosto che affinare la propria arte. Ogni volta che ci rimettiamo all'IA per compiti che potremmo svolgere da soli, non stiamo solo scegliendo la comodità, stiamo scegliendo di lasciare che un'altra capacità umana si atrofizzi.
Proprio come abbiamo dimenticato come riparare i nostri dispositivi, rischiamo di dimenticare come pensare in modo profondo e indipendente. Il pericolo non è che l'IA diventi troppo intelligente, ma che diventeremo troppo dipendenti da essa, incapaci di analizzare, creare o risolvere problemi senza assistenza digitale. Stiamo costruendo un mondo in cui il pensiero indipendente diventa raro quanto l'abilità meccanica, in cui l'autosufficienza cognitiva è vista come inefficiente piuttosto che essenziale.
Riconquistare la libertà
La soluzione non è rifiutare tutta la tecnologia, ma comprendere il vero costo della comodità. Prima di adottare ogni nuova innovazione “smart”, chiedetevi:
• A quale capacità sto rinunciando?
• Posso essere autosufficiente se questo sistema fallisce?
• La comodità vale la dipendenza?
• Qual è il vero prezzo, in termini di privacy, competenze e autonomia?
• In che modo questa tecnologia plasma il mio comportamento e il mio pensiero?
Bisogna coltivare attivamente l'indipendenza insieme all'innovazione, imparare le tecniche di riparazione di base, conservare copie fisiche di documenti importanti, e libri, perché, data l'ascesa del complesso industriale della censura, non possiamo essere sicuri di quanto a lungo saranno disponibili in formato digitale. Imparare a leggere una mappa, scrivere senza intelligenza artificiale e sopravvivere qualora Internet dovesse venire meno. La vera libertà non si trova nell'avere tutto a portata di mano, ma nel mantenere la capacità di vivere senza quelle comodità quando necessario.
L'ironia non mi sfugge qui. Ho trascorso decenni come knowledge worker nel settore della tecnologia, esattamente dove la società mi voleva: davanti agli schermi, a creare prodotti digitali, diventando proprio il tipo di specialista che ora sto criticando. Come molti della mia generazione, ho imparato un po' di programmazione di base prima di imparare a riparare un rubinetto che perdeva o a coltivare il mio cibo. Amo ancora la tecnologia e credo nel suo potenziale di automatizzare compiti banali, liberandoci in modo da perseguire forme più elevate di creatività e connessione, ma questa promessa diventerà vuota se sacrifichiamo le nostre capacità fondamentali nel processo.
L'aspetto più pericoloso di questo compromesso non è la perdita di privacy, è la perdita di consapevolezza che stiamo perdendo qualcosa. Non stiamo solo perdendo competenze e privacy; stiamo perdendo la capacità di riconoscere cosa significhi essere indipendenti. La domanda non è se la comodità valga il costo della libertà, è se riconosceremo ciò che abbiamo perso prima di dimenticare di averlo mai avuto.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Come gli inglesi hanno inventato il globalismo
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/come-gli-inglesi-hanno-inventato)
La maggior parte dei patrioti concorda sul fatto che stiamo combattendo qualcosa chiamato “globalismo”.
Ma di cosa si tratta?
Innanzitutto è un'invenzione britannica.
Il globalismo moderno nacque nell'Inghilterra vittoriana e fu in seguito promosso dai socialisti fabiani britannici.
È ormai il sistema di credenze dominante nel mondo odierno.
George Orwell lo chiamò Socing.
Nel suo romanzo, 1984, Orwell predisse un futuro in cui l'Impero britannico si sarebbe fuso con gli Stati Uniti per formare l'Oceania, un superstato guidato da un'ideologia malvagia chiamata Ingsoc (abbreviazione di Socialismo inglese).
La distopia di Orwell si basava sulla sua conoscenza dei reali piani globalisti.
“Federazione del Mondo”
Con l'espansione del potere britannico nel XIX secolo, il dominio globale sembrava inevitabile.
Gli amministratori imperiali elaborarono progetti per un mondo unito sotto il dominio britannico.
La chiave per far funzionare tutto questo era unire le forze con gli Stati Uniti, proprio come descritto da Orwell nel suo romanzo.
Molti anglofili negli Stati Uniti erano più che entusiasti di aderire a questo piano.
“Siamo una parte, una grande parte, della Grande Gran Bretagna la quale è destinata a dominare questo pianeta [...]” affermava con entusiasmo il New York Times nel 1897, durante i festeggiamenti per il Giubileo di Diamante della Regina Vittoria.
Nel 1842 Alfred Tennyson, che presto sarebbe diventato il poeta ufficiale della regina Vittoria, scrisse la poesia “Locksley Hall”. Immaginava un'età dell'oro, fatta di pace, sotto una “legge universale”, un “Parlamento dell'uomo” e una “Federazione del mondo”.
Le parole di Tennyson prefiguravano la Società delle Nazioni e l'ONU. Ma egli non inventò questi concetti, si limitò a celebrare i piani già in corso tra le élite britanniche.
Generazioni di globalisti britannici hanno amato la poesia di Tennyson come se fossero le Sacre Scritture. Winston Churchill la elogiò nel 1931 come “la più meravigliosa di tutte le profezie moderne”. Definì la Società delle Nazioni un compimento della visione di Tennyson.
Imperialismo liberale
Un altro leader britannico influenzato dalla poesia di Tennyson fu il filosofo John Ruskin.
Nella sua prima lezione a Oxford nel 1870, Ruskin elettrizzò gli studenti dichiarando che il destino della Gran Bretagna era “regnare o morire”, ovvero governare il mondo o essere governata da altri.
Con queste parole, Ruskin diede vita a una dottrina che presto sarebbe stata conosciuta come “imperialismo liberale” — l’idea che i Paesi “liberali” dovessero conquistare quelli barbari per diffondere i valori “liberali”.
Un aggettivo migliore sarebbe “imperialismo socialista”, poiché la maggior parte delle persone che hanno promosso questo concetto erano in realtà socialisti.
Ruskin si definì “comunista” prima che Marx terminasse di scrivere Il Capitale.
Secondo Ruskin, l'Impero britannico era il veicolo perfetto per diffondere il socialismo.
Il socialismo di Ruskin era stranamente mescolato all'elitarismo. Esaltava la superiorità delle razze “settentrionali”, intendendo con ciò i Normanni, i Celti e gli Anglosassoni che avevano costruito l'Inghilterra. Vedeva l'aristocrazia, non la gente comune, come l'incarnazione della virtù britannica.
Ruskin era anche un occultista e (secondo alcuni biografi) un pedofilo. In questo senso, le sue eccentricità assomigliavano a quelle ancora di moda in certi circoli globalisti odierni.
Il Trust di Rhodes
Gli insegnamenti di Ruskin ispirarono una generazione di statisti britannici.
Uno dei più devoti seguaci di Ruskin fu Cecil Rhodes (1853-1902). Da studente universitario, Rhodes ascoltò la lezione inaugurale di Ruskin e ne scrisse una copia, che conservò per il resto della sua vita.
In veste di statista, Rhodes promosse aggressivamente l'espansione britannica. “Più del mondo abitiamo, meglio è per la razza umana”, disse.
Nel suo testamento Rhodes lasciò una fortuna per promuovere “il dominio britannico in tutto il mondo”; il consolidamento di tutti i Paesi di lingua inglese in un'unica federazione; e — nelle stesse parole di Rhodes — “il recupero definitivo degli Stati Uniti d'America come parte integrante dell'Impero britannico”.
Tutto ciò avrebbe dovuto portare alla “fondazione di un potere così grande da rendere in futuro impossibili le guerre e promuovere i migliori interessi dell’umanità”, concluse Rhodes nel suo testamento.
Pertanto la pace mondiale sarebbe stata raggiunta attraverso l'egemonia britannica.
Negli anni Novanta dell'Ottocento la maggior parte dei leader britannici era d'accordo con Rhodes.
La tavola rotonda
Dopo la morte di Rhodes nel 1902, Alfred Milner prese il controllo del suo movimento, fondando gruppi segreti chiamati “Tavola Rotonda” per fare propaganda a favore di una federazione mondiale di Paesi di lingua inglese.
In ogni Paese bersaglio, compresi gli Stati Uniti, i membri della Tavola Rotonda reclutavano leader locali affinché fungessero da “caproni di Giuda”. Un caprone di Giuda è un animale addestrato per condurre gli altri al macello.
Infatti la Tavola Rotonda stava conducendo le persone a un vero e proprio massacro. Ci si aspettava una guerra contro la Germania. La Tavola Rotonda cercò impegni da ogni colonia di lingua inglese per inviare truppe quando sarebbe giunto il momento. Australia, Canada, Nuova Zelanda e Sudafrica acconsentirono.
La prima guerra mondiale spinse il mondo verso la globalizzazione, dando vita alla Società delle Nazioni.
Tutto questo fu voluto; un progetto britannico.
Generazioni di scolari hanno imparato che Woodrow Wilson era il padre del globalismo, ma gli “ideali” di Wilson gli sono stati propinati da agenti britannici.
Una guerra per porre fine alle guerre
Il 14 agosto 1914, solo 10 giorni dopo che l'Inghilterra aveva dichiarato guerra, lo scrittore H. G. Wells scrisse un articolo intitolato “La guerra che porrà fine alla guerra”. “[Q]uesta è ora una guerra per la pace [...]”, scrisse, “mira a un accordo che ponga fine a questo genere di cose per sempre”.
Wells ne pubblicò una versione in formato libro nell’ottobre del 1914 e aggiunse: “Se i liberali di tutto il mondo [...] insisteranno per una conferenza mondiale alla fine di questo conflitto [...] potrebbero [...] istituire una Lega per la pace che controllerà il globo”.
Wells non inventò l'idea di una “Lega della Pace”, stava semplicemente promuovendo la politica ufficiale britannica. Wells era un agente segreto del War Propaganda Bureau britannico (noto come Wellington House).
Agenti britannici alla Casa Bianca
I leader britannici capirono che la loro Lega per la pace non avrebbe mai funzionato senza il supporto degli Stati Uniti. Per questo motivo l'intelligence britannica fece sforzi particolari per penetrare nella Casa Bianca di Wilson, il che si rivelò sorprendentemente facile.
Il consigliere più vicino a Wilson era il “colonnello” Edward House, un texano con forti legami familiari con l'Inghilterra.
Durante la guerra civile il padre di House, nato in Gran Bretagna, fece fortuna come forza di blocco, barattando cotone con munizioni britanniche per armare le truppe ribelli.
Il giovane Edward House e i suoi fratelli frequentarono college inglesi.
Mentre consigliava il presidente Wilson, il colonnello House lavorò a stretto contatto con le spie britanniche, in particolare con Sir William Wiseman, il capo della stazione statunitense per il Secret Intelligence Service (SIS) britannico. House, Wiseman e Wilson divennero amici intimi, trascorrendo persino le vacanze insieme.
L'idea di una “Lega delle Nazioni” venne da Sir Edward Grey, ministro degli Esteri britannico. In una lettera del 22 settembre 1915, Grey chiese al colonnello House se il presidente potesse essere convinto a proporre una Lega delle Nazioni, poiché l'idea sarebbe stata meglio accolta se proveniva da un presidente degli Stati Uniti.
Quando Wilson partecipò alla Conferenza di pace di Parigi nel 1919, Wiseman e House erano lì accanto e guidavano ogni sua mossa, insieme a una schiera di altri funzionari britannici e statunitensi, tutti impegnati nel programma globalista e molti dei quali direttamente legati alla Tavola Rotonda.
La “relazione speciale”
L'ex-ufficiale del SIS, John Bruce Lockhart, in seguito definì Wiseman “l'agente di influenza di maggior successo che gli inglesi abbiano mai avuto”. Lo storico britannico, A. J. P. Taylor, scrisse che “lui [Wiseman] e House resero realtà la 'relazione speciale'”.
Molti storici sostengono che la “relazione speciale” tra USA e Regno Unito iniziò solo dopo la Seconda guerra mondiale, con la creazione della NATO e dell’ONU. Tuttavia Taylor sottolineò che i semi della “relazione speciale” furono piantati prima, alla Conferenza di pace di Parigi nel 1919.
A Parigi i funzionari degli Stati Uniti e del Regno Unito concordarono segretamente di coordinare la politica, in modo che entrambi i Paesi agissero come un'unica cosa. Per facilitare questo piano furono creati due think tank, Chatham House (Regno Unito) e il Council on Foreign Relations (Stati Uniti).
Con grande dispiacere dei globalisti britannici, il Senato degli Stati Uniti si rifiutò di unirsi alla Società delle Nazioni. Ci volle un'altra guerra mondiale, e il talento persuasivo di Winston Churchill, per trascinare infine gli Stati Uniti nel governo globale, tramite la NATO e l'ONU.
Winston Churchill, padre del globalismo moderno
La visione di Churchill del governo globale era stranamente simile a quella di Cecil Rhodes e della Tavola Rotonda. Churchill invocava un'“organizzazione mondiale” sostenuta da una “relazione speciale” tra i Paesi di lingua inglese.
Il 16 febbraio 1944 Churchill avvertì che, “a meno che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non si uniscano in una relazione speciale [...] nell’ambito di un’organizzazione mondiale, ci sarà un’altra guerra distruttiva”. Di conseguenza l’ONU fu fondata il 24 ottobre 1945.
Tuttavia l'ONU non era sufficiente. Cecil Rhodes e la Tavola Rotonda avevano sempre sostenuto che il vero potere dietro qualsiasi governo globale dovesse essere un'unione di popoli di lingua inglese. Churchill ripeté questo piano nel suo discorso sulla “cortina di ferro” del 5 marzo 1946.
Churchill avvertì che l'ONU non aveva “forza armata internazionale”, o bombe atomiche. Gli USA dovevano quindi unirsi alla Gran Bretagna e ad altri Paesi di lingua inglese in un'alleanza militare, sostenne Churchill. Nessun'altra forza avrebbe potuto fermare i sovietici.
“Associazione fraterna dei popoli di lingua inglese”
Churchill affermò che “l’organizzazione mondiale” era inutile senza “l’associazione fraterna dei popoli di lingua inglese. Ciò significa una relazione speciale tra il Commonwealth e l’Impero britannico e gli Stati Uniti”.
Le parole di Churchill portarono al Trattato NATO del 1949 e all'accordo “Five Eyes” che unì gli sforzi di intelligence di USA, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Passo dopo passo, Churchill ci avvicinò sempre di più al superstato globale che Orwell chiamava Oceania.
Autodefinitosi “anarchico Tory”, Orwell odiava il comunismo sovietico. Se avesse voluto, avrebbe potuto scrivere 1984 come una specie di Alba Rossa britannica, con l'Inghilterra che gemeva sotto l'occupazione sovietica. Ma non era questo il suo messaggio.
Orwell mise in guardia da un pericolo più vicino a casa: i globalisti britannici e il loro piano per un'unione di Paesi di lingua inglese guidata dall'ideologia Ingsoc.
Per molti aspetti, il mondo in cui viviamo oggi è il mondo previsto da Orwell.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La BCE prepara il terreno per il lancio dell'euro digitale
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-bce-prepara-il-terreno-per-il)
La Banca centrale europea sta gettando le basi per il lancio della sua moneta digitale (CBDC) all'ingrosso e al dettaglio: l'euro digitale. Christine Lagarde, presidente della BCE, ha condiviso questo aggiornamento durante la sua ultima conferenza stampa. “La presidente Lagarde ha sottolineato che l'euro digitale è 'più rilevante che mai'”, ha twittato la BCE.
La Lagarde ha sottolineato che l'euro digitale, la soluzione CBDC dell'UE, è destinato al lancio nell'ottobre 2025, a condizione che superi la fase legislativa che coinvolge le principali parti interessate, tra cui la Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio. Particolarmente assente da questo processo è la popolazione, nonostante l'impatto significativo che questa iniziativa avrà sulla vita quotidiana.
???????? CBDC in EU will launch in Oct. 2025.
Wholesale & retail.
???????? Israel is following EU’s footsteps - preparing for CBDC with a new 110 page design document. pic.twitter.com/fUr1CkBRmy
Perché il tema dell'euro digitale è più attuale che mai?
Potrebbe essere collegato al recente annuncio di Ursula von der Leyen, “ReArm Europe”, il quale propone la creazione di un esercito dell'UE? Questa iniziativa richiede circa €800 miliardi di finanziamenti, denaro che l'UE non ha. Le opzioni? Estrarlo dagli stati membri dell'UE e dai loro cittadini, o stampare nuovi fondi tramite la BCE. In entrambi i casi, è tempo di riscaldare la stampante monetaria della BCE!
We are living in dangerous times.
Europe‘s security is threatened in a very real way.
Today I present ReArm Europe.
A plan for a safer and more resilient Europe ↓ https://t.co/CYTytB5ZMk
Inoltre l'UE ha introdotto la “Savings and Investments Union”, con l'obiettivo di reindirizzare €10.000 miliardi in “risparmi inutilizzati” dai cittadini per finanziare la crescita militare e rafforzare l'industria della difesa europea. “Trasformeremo i risparmi privati in investimenti necessari”, ha twittato la von der Leyen. Se questo non vi ha già scioccato, cercherò di essere più chiaro: si tratta di una chiara violazione dei diritti della proprietà privata e una confisca implicita della ricchezza degli europei, mentre vengono usati senza mezzi termini i loro fondi come l'UE ritiene opportuno, incluso il finanziamento di un complesso militare-industriale senza nemmeno chiamare in causa gli elettori.
Se l'UE sta accelerando verso un collettivismo totalitario, come suggerisce questa affermazione, allora una CBDC sarebbe uno strumento potente, che consentirebbe un controllo più stretto sui soldi degli europei: un interruttore “on/off” e capacità di programmazione.
If most of your money is still in fiat the bank / stocks / mortgaged real estate etc. - they don’t need your permission.
They want you owning nothing, despaired & numb.
You may want to consider a permissionless, unconfiscatable, easily mobile & liquid digital asset such as… pic.twitter.com/K2xjTpcyS7
Christine Lagarde ha di recente fatto campagna al Parlamento europeo, sostenendo che l'euro digitale è necessario per ridurre la dipendenza dell'UE dalle soluzioni di pagamento estere. Le banche europee devono innovare i metodi di pagamento, ma la preoccupazione principale dell'UE non è solo la dipendenza da giganti della tecnologia, come Google Pay o Apple Pay, ma il potenziale per un'adozione diffusa di protocolli globali decentralizzati come Bitcoin.
La BCE sta osservando le tendenze geopolitiche, notando che gli Stati Uniti stanno abbracciando criptovalute, Bitcoin e stablecoin, tecnologie che rappresentano un rischio per il controllo centralizzato. Non sorprende che stiano scegliendo una strada diversa. Secondo la Reuters: “Le banche dell'Eurozona hanno bisogno di un euro digitale per rispondere alla spinta del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a promuovere le stablecoin” come parte di una strategia più ampia. Il membro del consiglio della BCE, Piero Cipollone, ha rafforzato questa posizione, affermando: “Questa soluzione disintermedia ulteriormente le banche poiché perdono commissioni, perdono clienti [...]. Ecco perché abbiamo bisogno di un euro digitale”.
In conclusione, i recenti programmi della Lagarde e della Von der Leyen mirano a promuovere un controllo più centralizzato, rafforzando al contempo la gerarchia, la governance e la struttura degli incentivi dell'UE: questo è sempre stato il loro ruolo.
Nuovo sondaggio sull'euro digitale
The ECB continues campaigning for the digital Euro, a centralized European payment mechanism - to 'decrease dependency on external forces'. #CBDC pic.twitter.com/ovlkYX0bsQ
— Efrat Fenigson (@efenigson) March 15, 2025La BCE ha di recente pubblicato i risultati di un sondaggio sugli atteggiamenti dei consumatori nei confronti delle CBDC, condotto tra 19.000 europei in 11 Paesi dell'Eurozona. I principali risultati includono:
- Mancanza di interesse: la maggior parte degli europei non è interessata all'euro digitale poiché i metodi di pagamento esistenti soddisfano già le loro esigenze.
- Gli europei sono aperti alla propaganda: sebbene l'interesse pubblico sia basso, il sondaggio ha rilevato che gli europei sono ricettivi all'istruzione e alla formazione basate su video. Lo studio della BCE suggerisce che i video correlati alle CBDC potrebbero favorire un'adozione diffusa rimodellando le convinzioni dei consumatori. La relazione afferma: “I consumatori a cui viene mostrato un breve video che fornisce una comunicazione concisa e chiara sulle caratteristiche principali dell'euro digitale hanno sostanzialmente più probabilità di aggiornare le proprie convinzioni [...] il che aumenta la loro probabilità immediata di adottarlo”. Non c'è da stupirsi se la BCE abbia aumentato i suoi contenuti video sull'euro digitale dalla fine del 2024. Ad esempio:
- Preferenza per i metodi di pagamento esistenti: “Gli europei hanno una forte preferenza per i metodi di pagamento esistenti e non vedono alcun beneficio reale in un nuovo tipo di sistema di pagamento”. Sebbene questa scoperta suoni come una spinta positiva, può fungere da precursore per una tattica di integrazioni tecnologiche. Tattica “Se non puoi batterli, unisciti a loro” – simile alla CBDC cinese ovvero l'e-CNY al dettaglio.
Fonte: Banca centrale europea
Propaganda for European CBDC, the digital euro, has began. Be aware. pic.twitter.com/wStnfrZROZ
— Efrat Fenigson (@efenigson) November 14, 2024Un recente articolo su Euromoney ha evidenziato l'integrazione dell'e-CNY con le app più popolari della Cina (DiDi, Meituan, Ctrip, WeChat Pay e Alipay), una mossa che ha facilitato la sua adozione diffusa. Nonostante le difficoltà iniziali, l'e-CNY ora vanta 180 milioni di utenti e un valore di transazione cumulativo di $1.000 miliardi. Ho di recente esplorato questo argomento in modo approfondito con Roger Huang nel mio podcast.
Non solo al dettaglio, anche all'ingrosso
Sul fronte CBDC all'ingrosso l'UE sta sperimentando la tecnologia di registro distribuito (DLT) per interconnettere istituzioni finanziarie in tutta Europa e oltre. Ciò segue il lavoro esplorativo condotto dall'Eurosistema tra maggio e novembre 2024. Le loro sperimentazioni hanno coinvolto 64 partecipanti, tra cui banche centrali, operatori del mercato finanziario e operatori di piattaforme DLT che hanno condotto oltre 50 esperimenti.
La Lagarde insiste sul fatto che l'euro digitale è una forma di denaro contante, cosa che inganna gli europei disinformati sui rischi delle CBDC: esse sono basate sull'autorizzazione, sono soggette a micro livelli di controllo tramite date di scadenza, geofencing e programmabilità. Se gli europei non riconoscono questi pericoli, non resisteranno all'euro digitale. Inquadrandolo come “denaro digitale”, la BCE garantisce un'accettazione pubblica più fluida con poco o nessun clamore pubblico.
[2025] Europeans!
Are you ready for “YOUR Digital Euro”?
Christine Lagarde is prepping you to the next phase of EU’s CBDC, which is everything *but* a form of cash (nice try though). pic.twitter.com/t6mG5liw26
Per essere chiari, il denaro contante in sé è una moneta fiat, controllata centralmente, facilmente svalutabile e soggetta a inflazione. Ogni volta che l'emittente espande l'offerta di denaro, i cittadini soffrono di un potere d'acquisto in calo, venendo essenzialmente derubati dallo stato.
“Regole per te, ma non per me”
Mentre i cittadini sono vincolati dallo stato di diritto, le élite spesso ne evitano le conseguenze. Un esempio lampante è Christine Lagarde, che è stata dichiarata colpevole di negligenza per aver approvato un massiccio pagamento finanziato dai contribuenti al controverso imprenditore francese Bernard Tapie. Tuttavia ha evitato una condanna al carcere. Il Guardian ha riferito nel 2016: “Un tribunale francese ha condannato il capo del Fondo monetario internazionale ed ex-ministro del governo, la quale deve sborsare una multa da €15.000 e ha rischiato fino a un anno di prigione. Ma ha deciso che non doveva essere punita con la detenzione e che la condanna non avrebbe costituito un precedente penale. [...] L'FMI gli ha dato il suo pieno sostegno”.
La mia previsione per la CBDC dell'UE
Nonostante il disinteresse pubblico, la BCE (e altre banche centrali) andranno avanti con le loro CBDC. Per mantenere l'illusione del coinvolgimento pubblico, condurranno sondaggi e creeranno strumenti di coinvolgimento. Ma alla fine l'euro digitale sarà integrato nei metodi di pagamento esistenti e nelle app per i consumatori, proprio come ha fatto la Cina con l'e-CNY. Questa strategia guiderà l'adozione anche senza un entusiasmo pubblico diretto.
Dopotutto stiamo giocando al gioco della “democrazia”, giusto?
L'analista geopolitico, Alex Krainer, ha di recente twittato in merito: “Questa è un'ottima notizia; Christine Lagarde e Ursula von der Leyen non hanno mai affrontato qualcosa che non hanno completamente rovinato. Spero che continuino con la loro eccellente performance. Buona fortuna”.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Perché si parla così tanto di recessione adesso?
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-si-parla-cosi-tanto-di-recessione)
Puntuali come un orologio, ecco che ritornano le discussioni su una recessione. L'annuncio arriverà presto e sarà confermato entro l'estate. La Federal Reserve di Atlanta ha da poco rivisto le sue previsioni di output per il primo trimestre, prevedendo una contrazione del -2,8%. È accaduto tutto all'improvviso. Solo una settimana prima gli stessi strumenti (GDPNow) avevano previsto un aumento del 2% dell'output nel primo trimestre.
A questo punto molte persone probabilmente staranno ignorando tutte queste previsioni e i grandi numeri che provengono dagli esperti pagati dai contribuenti. Hanno toppato molto e per tanto tempo, ciononostante Wall Street è commossa da tali report di dati, anche quando i problemi con essi sono evidenti. Come si dice, i numeri potrebbero essere falsi, ma sono tutto ciò che abbiamo.
La base su cui si fonda questa previsione riguarda la spesa per l'edilizia ed è davvero difficile giustificarla basandosi sui dati del settore che non mostrano nulla del genere.
Il mio pensiero: questo è un gioco di attribuzione delle colpe. Le analisi commissionate dal Brownstone Institute, ma che possono essere state intuite anche da qualsiasi adulto negli ultimi quattro anni, documentano una recessione tecnica sin dal 2022 sulla base di una lettura più chiara dei dati. Non c'è mai stata una chiara ripresa sin da marzo 2020, quando l'economia globale è stata deliberatamente gettata in una depressione forzata.
Da allora i dati macroeconomici raccolti in modo convenzionale hanno avuto ben poco senso.
Ci sono molti problemi. I dati di output convenzionali contano la spesa pubblica, anche quando è basata sul finanziamento tramite debito che è in ultima analisi finanziato dalla stampa di denaro, come contributo positivo al PIL. Proprio in questi anni si è assistito al più grande aumento della spesa pubblica che abbiamo mai registrato.
Ovviamente ha distorto i dati del PIL per anni.
C'è un altro problema: gran parte della “crescita” negli ultimi quattro anni è consistita nella riparazione graduale e iterativa dei danni causati dai lockdown e dai blocchi della supply chain. Rompere le cose e aggiustarle non conta come progresso complessivo, ma nel modo in cui viene raccolto il PIL, lo conta invece.
Questo fattore ha distorto i dati sulla produzione per anni.
Tutti i dati del PIL devono essere aggiustati all'inflazione se davvero devono avere un significato. Questo è risaputo, meno risaputo è che lo stesso deve accadere alla spesa al dettaglio, agli ordini di fabbrica e agli acquisti di beni durevoli. Non ha alcun senso considerare i prezzi più alti come aumenti significativi della spesa.
Ciò che conta è quale misura dell'inflazione si usa rispetto alla quale il PIL viene aggiustato per ottenere poi il PIL reale. Da anni ormai l'indice dei prezzi al consumo è stato notevolmente sottostimato su intere classi di beni e anche sull'intero indice. Arrivati a questo punto, è fuori discussione. Quanto sia stato sottostimato è una questione dibattuta. I dati convenzionali mostrano un calo del 22% del potere d'acquisto in quattro anni, ma potrebbe essere più vicino al 30% o più, raggiungendo in certi punti livelli molto più alti.
Anche utilizzando una misura prudente, sottostimandola e combinandola con il PIL non aggiustato, si genera un contesto macroeconomico in rosso per tre anni: una recessione tecnica.
Quando abbiamo pubblicato il nostro studio, mi aspettavo un tremendo contraccolpo da parte degli economisti del settore e di altri. Quello che abbiamo visto invece è stato il silenzio. Ciò mi ha lasciato sbalordito finché non ho capito che quasi tutti sanno che le cose stavano così.
In altre parole, Trump ha ereditato un ambiente economico che è stato definito meraviglioso per anni, ma che in realtà è stato estremamente debole e profondamente danneggiato. Era una trappola: negare la debolezza economica per quattro anni, quando invece era ovvia, poi una volta che il nuovo presidente sarebbe entrato in carica farla diventare trasparente e dire la verità su quanto le cose siano brutte.
Il problema con la cultura statunitense è che c'è una sovrapposizione mediatica tra le condizioni economiche e chiunque si trovi in carica in quel momento. Non è affatto una coincidenza che la recessione sembri colpire esattamente mentre Trump è entrato in carica. Sarà attribuita alle sue linee di politica: dazi, tagli alla spesa, sconvolgimenti governativi, o semplicemente incertezza in generale.
È come se qualcuno si accorgesse che la casa è in disordine non appena arriva la squadra delle pulizie e desse la colpa a loro di tutti i problemi.
D'altro canto, è decisamente troppo presto per dichiarare che siamo in qualche modo fuori dai guai. C'è ancora molta strada da fare, e Trump ha ragione a esortare alla pazienza e persino a suggerire, come ha fatto nel suo discorso al Congresso, che ci sarà dolore economico lungo il cammino.
La retorica impetuosa sull'alba di una nuova età dell'oro è entusiasmante, ma prematura. Il bilancio deve essere sistemato, le agenzie governative devono essere frenate e tagliate, le normative devono essere abrogate, le agenzie sanitarie devono essere smantellate, tutte le tasse devono essere abbassate o abolite.
Per quanto riguarda i dazi, è facile seguire il ragionamento qui: poiché è più economico produrre la maggior parte delle cose nella maggior parte degli altri Paesi rispetto agli Stati Uniti, principalmente a causa della forza del dollaro, il loro impiego è progettato per pareggiare i conti. È un tentativo di ricreare il vecchio regolamento contabile che avevamo prima della fine del gold standard. La teoria è che questo dimostra un certo margine di competitività per la produzione statunitense, probabilmente attraendo capitale straniero per investimenti nazionali.
Questo mi sembra un metodo tortuoso per aggirare un problema più importante che risale a un sistema monetario internazionale in crisi. Detto questo, non c'è un pulsante da premere per risolvere il problema, almeno non uno che io riesca a vedere. L'effetto più immediato di questi dazi sarà quello di aumentare i costi per gli importatori e i consumatori statunitensi. Nel complesso, questa è una scommessa rischiosa. Non sono certo il solo a temere che questa iper-attenzione sui dazi, molto prima di una riforma delle tasse e della spesa, sia sproporzionata, riflettendo un'idiosincrasia personale della stampa nei confronti di Trump piuttosto che un chiaro pensiero economico.
I dazi diventeranno anche un capro espiatorio. Se all'improvviso verrà annunciata una recessione, se il PIL del primo trimestre dovesse davvero scendere in modo così violento, i dazi e quindi Trump si ritroveranno nel mirino delle critiche. Questa dovrebbe essere una preoccupazione politica primaria per la sua amministrazione.
Detto questo, Trump è sulla strada giusta nel sottolineare che abbiamo appena vissuto la peggiore inflazione degli ultimi 48 anni e forse della storia americana. È stato sottoposto a severi controlli per questa affermazione, ma è del tutto difendibile. Lo stesso vale per tutti questi indicatori economici, dall'inflazione al mercato del lavoro. La realtà è ben peggiore di quanto le agenzie abbiano segnalato per molti anni.
Ricordate: ci sono forti ragioni per credere che siamo in recessione tecnica più alta inflazione da anni ormai. Ammetterlo ora è una questione di tempismo politico. La nebulosità che circonda i dati e i messaggi economici sta diventando sempre più stratificata e complicata, e ci vuole una vera sofisticatezza per vederlo.
Le sofferenze nascoste degli ultimi quattro anni sono state in gran parte taciute e quindi le tribolazioni improvvisamente annunciate adesso sono probabilmente esagerate.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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L'UE vuole usare la guerra come scusa per aumentare il debito
Perché in quest'ultimo mese i mercati sono rimbalzati in Europa e scesi negli Stati Uniti? Non a causa dei dazi. Se così fosse le obbligazioni sarebbero salite in Germania e Giappone e le azioni che beneficiano di tali dazi sarebbero altresì salite. La risposta è più semplice: gli attori di mercato stanno scommettendo su una FED aggressiva e su una BCE e una PBOC molto accomodanti. Seguite la stampante monetaria. Molti attori di mercato hanno paura dell'inflazione persistente, ma puntano i flussi di capitale verso quei mercati che potrebbero trarre vantaggio da una maggiore stampa di denaro, come nel caso europeo, e da piani di stimolo, come la Cina. Tuttavia questa è una scommessa pericolosa, soprattutto perché si fonda su un massiccio piano di spesa e allentamento monetario. Lo abbiamo già visto prima. La pianificazione centrale non funziona mai e le illusioni che ne conseguono sono tante. Questa volta non è diverso. Non sarà diverso nemmeno con la Cina, perché la sua sovraccapacità e le criticità nel settore immobiliare derivano da precedenti piani di “stimolo”. Gli attori di mercato avranno bisogno di più di semplici tagli ai tassi. Avranno invece bisogno di vedere i tassi reali scendere, l'inflazione sotto controllo e i deficit pubblici tagliati. Gli errori passati della BCE e della PBOC hanno creato le attuali turbolenze. Gli investimenti devono concentrarsi sui fondamentali reali e meno sul seguire la stampante monetaria, perché il problema della distruzione economica conseguente è molto più grande dei presunti benefici dell'espansione attesa.
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di Finn Andreen
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lue-vuole-usare-la-guerra-come-scusa)
L'élite politica e finanziaria europea sa che la guerra in Ucraina è persa, ma vuole usarla come un'opportunità per raggiungere l'indipendenza strategica dagli Stati Uniti. Come ha detto il futuro cancelliere della Germania, Friedrich Merz, subito dopo la sua vittoria elettorale del 23 febbraio: “Sarà una mia priorità assoluta rafforzare l'Europa il prima possibile affinché possa gradualmente raggiungere l'indipendenza dagli Stati Uniti”.
Una tale indipendenza strategica ha bisogno di soldi e investimenti, molti, non solo per potenziare la difesa ma anche molto altro, come energia e innovazione; settori in cui l'Europa è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina. Per avere il pretesto e implementare questo piano di spesa, l'idea della classe dirigente europea è di assicurarsi che la guerra in Ucraina non finisca troppo in fretta. In questo modo il conflitto può essere usato per giustificare l'iniezione artificiale di denaro necessario nelle moribonde economie dell'UE.
In primo luogo c'era la questione di fornire €20 miliardi in supporto militare aggiuntivo all'Ucraina e che le regole fiscali autoimposte dall'UE venissero allentate utilizzando l'attuale “clausola di salvaguardia” in caso di circostanze “eccezionali”, come la falsa scusa della “difesa dell'Ucraina”. Come si legge su Bloomberg: “In base a questo piano, le nazioni dell'UE sarebbero esentate dai limiti di debito e deficit quando finanziano le spese militari. Ciò segna un cambiamento fondamentale nella politica finanziaria del continente, poiché tali esenzioni erano precedentemente impossibili in base alle regole dell'UE”.
Infatti la classe dirigente europea non vuole seguire le regole fiscali arbitrarie dell'UE stessa: per Parigi il limite del 3% al deficit di bilancio è politicamente doloroso; per Berlino il limite massimo del 60% in termini di debito/PIL è un vincolo artificiale.
Poi si è parlato di un pacchetto di difesa da €700 miliardi. Newsweek ha affermato che: “Baerbock ha detto che il pacchetto potrebbe valere circa €700 miliardi”. Anche il presidente francese Emmanuel Macron lo ha confermato il 2 marzo 2025: “Daremo mandato alla Commissione europea di definire le nostre esigenze di capacità per una difesa comune. Questo massiccio finanziamento raggiungerà probabilmente le centinaia di miliardi di euro”.
Lo slogan ufficiale di “aiutare l’Ucraina a difendersi” fornirà all’élite politica e finanziaria dell’UE una scusa per aprire di nuovo a tutta forza i rubinetti della Banca centrale europea e inondare l’intera economia europea di denaro “gratis” e puntellare le sue fragili economie, come fece dopo la crisi del 2011, nel 2021 e con il Green New Deal.
Doping delle economie dell’UE con obbligazioni congiunte
Questa volta l'idea è quella di utilizzare obbligazioni UE congiunte. Reuters scrive: “Gli importi maggiori dovranno provenire da un qualche tipo di finanziamento centralizzato, perché la maggior parte dei bilanci in Europa è relativamente tesa, in particolare in Italia e Francia”. Come affermato nel rapporto Draghi del settembre 2024: “L'UE dovrebbe muoversi verso l'emissione regolare di asset sicuri comuni per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri e per aiutare a integrare i mercati dei capitali. Pertanto l'emissione comune dovrebbe nel tempo produrre un mercato più profondo e più liquido nelle obbligazioni UE”.
I bond europei congiunti sono essenzialmente emissioni obbligazionarie la cui garanzia è rappresentata dall'intera Eurozona e comporterebbero quindi un basso rischio e un tasso d'interesse inferiore rispetto ai bond UE a livello nazionale. Ciò è percepito come necessario affinché l'UE possa reggere la concorrenza con gli Stati Uniti e la Cina, i quali hanno già mercati dei capitali unificati, come ha chiarito un discorso di Draghi alla Commissione UE lo scorso anno.
Ci sono tre fonti principali di finanziamento della guerra: stampare denaro, aumentare le tasse e prendere in prestito. Mettere a disposizione “centinaia di miliardi” per l'UE si baserebbe probabilmente sul debito emesso da obbligazioni congiunte. Bloomberg ha scritto che, se la spesa fosse finanziata con aumenti delle tasse o tagli in altre aree, ciò potrebbe cancellare qualsiasi impatto positivo, o peggio. Qualsiasi spesa immediata per l'esercito non aiuterebbe l'Europa, perché verrebbe spesa principalmente per acquistare armi statunitensi.
Pertanto ciò che la classe dirigente europea ha in mente ora è mettere in atto quanto affermato da Merz: un'indipendenza strategica dagli Stati Uniti attraverso un ingente investimento in obbligazioni congiunte, emesse e utilizzate nel lungo termine per rafforzare lentamente l'industria europea, non solo nel settore della difesa, ma anche in altri.
Il piano dell’UE riguarda la centralizzazione del controllo finanziario
In un certo senso questa emissione di maggiori debiti è solo l'Unione Europea che emula il manuale degli Stati Uniti: usare la guerra per i benefici dei capitalisti clientelari, “capendo” infine come sfruttare cinicamente la guerra in Ucraina proprio come hanno fatto gli Stati Uniti dal 2022 alimentando il loro complesso militare-industriale. Ma, affinché ciò accada, la guerra non deve finire troppo presto per la classe dirigente europea, motivo per cui vengono fatti sforzi per rovinare — scandalosamente — qualsiasi piano di pace degli Stati Uniti e far sì che la guerra continui.
Questo piano è il tipico piano di spesa militarista keynesiano che gli stati europei avevano adottato già dalla prima guerra mondiale in poi, e non solo i fascisti e i nazisti, come dimostrò John T. Flynn nel suo libro, As We Go Marching.
Le conseguenze nel tempo di questa frenesia di spesa pubblica saranno tanto disastrose per l'Europa quanto ovvie per gli studenti della Scuola austriaca. Porteranno, come sempre, inflazione dei prezzi e svalutazione dell'euro, gonfierà bolle, distorceranno le economie dell'UE, porteranno a investimenti sbagliati e, ultimo ma non meno importante, abbatteranno le piccole imprese, la spina dorsale delle economie europee. Serviranno solo a rimandare la risoluzione dei problemi strutturali dell'UE, sia economici che politici. Ciò è particolarmente vero per la Francia.
Ma tutto questo è irrilevante per la classe dirigente europea, perché dal loro punto di vista questa spesa aumenterà artificialmente il PIL nei numerosi stati membri, creerà posti di lavoro nei settori della difesa e dell'energia in tutta Europa e quindi assorbirà parte della disoccupazione sistemica, un prodotto di decenni di pesante interventismo statale. Ciò consentirà un'ulteriore centralizzazione delle economie europee nelle mani di Bruxelles, poiché spingerà verso piattaforme di difesa comuni invece del frammentato mosaico di fornitori di difesa che esiste oggi in Europa. Come al solito, gli interessi della minoranza dominante divergono dagli interessi della maggioranza disorganizzata e governata.
Infine renderà gli attuali politici dell'UE più popolari di adesso (il che, bisogna ammetterlo, non è difficile da immaginare), e ne trarrà beneficio la loro carriera e molto probabilmente anche il loro patrimonio personale attraverso tutte le tangenti che riceveranno. La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e molti altri parassiti burocratici nell'UE, conoscono bene questo tipo di “business”.
Questo, almeno, sembra essere il piano. Non ci sarà tanta opposizione politica, poiché sarebbe un suicidio politico opporsi a un piano che “non solo renderà l'Europa di nuovo grande, ma anche più sicura (dalla Russia)!” La vittoria della CDU di Merz in Germania ha già reso più leggera la potenziale opposizione politica di AfD.
Questo è l'ennesimo caso che dimostra che i cittadini occidentali, in particolare in Europa, devono capire meglio che la creazione di denaro, sia attraverso il debito o in altro modo, e la successiva immissione nell'economia, non andrà a loro vantaggio. I benefici trascurabili e passeggeri di tali linee di politica non possono mai giustificare il loro vero obiettivo di sostenere enormi burocrazie e aumentare il loro controllo sulla società. È quindi più urgente che mai continuare a diffondere la conoscenza e la saggezza dell'economia Austriaca.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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La Francia sprofonda sempre più nello statalismo
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di Ulrich Fromy
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-francia-sprofonda-sempre-piu-nello)
Éric Lombard, ministro dell'Economia e delle Finanze francese, propone un'impressione di sé sempre più negativa con le sue dichiarazioni sull'economia e sul ruolo dello stato nella società. Queste posizioni sono un perfetto riflesso del divario tra la classe politica francese, i difensori dello statalismo e un mondo che sta seguendo una strada completamente opposta: una strada di libertà, liberalizzazione economica, desideroso di ridurre il peso dello stato nella vita degli individui... In breve, stiamo assistendo a una rinascita delle idee liberali in Occidente mentre Paesi come la Francia sprofondano sempre più nello statalismo. Questo dogmatismo teologico nel socialismo e nello statalismo potrebbe rivelarsi poco saggio in un mondo in cui leader politici come Milei, Orban e Trump tendono a concordare sul fatto che la presenza eccessiva dello stato sia esattamente il pericolo.
Lo statalismo contro il buon senso economico
In un'intervista sul canale televisivo BFMTV del 17 gennaio 2025, il ministro dell'Economia francese Éric Lombard ha discusso la strategia economica del governo per il 2025. Durante questa intervista ha affermato che:
Gli investimenti sul clima richiederanno molti sforzi che non saranno sempre redditizi, e questo probabilmente porterà a un calo della redditività delle aziende, ed esse dovranno accettarlo [...]. Questi investimenti sono necessari perché altrimenti il riscaldamento globale ucciderà l'economia.Questo breve passaggio illustra perfettamente fino a che punto il Ministro dell'Economia non sappia nulla di economia. Questi “investimenti non redditizi” sono aberrazioni economiche che non dovrebbero esistere in circostanze normali. Infatti mobiliteranno risorse, capitale, lavoro e tempo in progetti che gli imprenditori in un libero mercato non avrebbero mai intrapreso.
In un libero mercato l'azione imprenditoriale è sempre guidata dalla ricerca del profitto. È questo il modo sbagliato di procedere? Ovviamente no. Questa ricerca del profitto consente la migliore allocazione possibile delle risorse scarse nel sistema produttivo. L'imprenditore avrà tutto l'interesse a utilizzare risorse limitate (terra, lavoro, capitale, tempo) in modo efficiente per raggiungere il suo obiettivo, che è quello di soddisfare i consumatori, e quindi tutti noi. Il calcolo economico e i segnali di prezzo guidano l'imprenditore in questa ricerca di redditività. Se le risorse vengono utilizzate in modo efficiente e i consumatori sono soddisfatti, l'imprenditore viene ricompensato con profitti. Al contrario, se non riesce a soddisfare i consumatori, viene punito con perdite. Mises scrisse:
Il progresso economico [...] è opera dei risparmiatori, che accumulano capitale, e degli imprenditori, che lo trasformano in nuovi usi. Gli altri membri della società godono dei vantaggi del progresso, ma non solo non vi contribuiscono in alcun modo anzi pongono ostacoli sul suo cammino.Nel caso degli investimenti non redditizi assunti da Éric Lombard, comprendiamo che lo stato non intende conformarsi agli imperativi della realtà. Ci vuole il monopolio dello stato sul denaro, sulla spesa e sugli investimenti per giustificare tali progetti che vanno contro il buon senso economico. Ad esempio, l'impossibilità di posticipare l'uso dell'energia prodotta nel tempo senza un'adeguata capacità di stoccaggio, costi di manutenzione proibitivi, intermittenza e incertezza della produzione, ecc. Alla fine la realtà raggiungerà sempre questi progetti puramente ideologici, i quali possono solo portare a sprechi irrecuperabili di risorse e tempo.
Per adattarsi al meglio alla transizione ecologica e all'urgenza che può rappresentare, c'è una sola soluzione: lasciare che il libero mercato risponda a queste sfide da solo, senza alcun “aiuto” da parte dello stato. Un calcolo economico sano e libero promuoverà l'allocazione ottimale delle risorse scarse. Questo vale anche per il tempo umano, che è la risorsa ultima e più scarsa nell'economia. Solo il libero mercato è in grado di massimizzare il suo utilizzo per affrontare nel miglior modo possibile questa “emergenza climatica”.
“Siamo un Paese fatto di stato”
Pochi giorni dopo il ministro dell'Economia francese ha ribadito sul canale televisivo LCI che “la Francia non è un Paese liberale, siamo un paese fatto di stato, di protezioni” e dovrebbero “essere guardinghi nei confronti delle persone che sono riluttanti a pagare le tasse poiché mettono a repentaglio il futuro dei nostri figli”. “Trump” — ritirandosi dall'accordo di Parigi — “ci sta mettendo tutti in pericolo”. Ancora una volta la sua dichiarazione è abbastanza chiara: il ministro dell'Economia francese non sa nulla di economia. Infatti il liberalismo non è sinonimo di insicurezza, così come “protezione da parte dello stato” non è sinonimo di sicurezza. In realtà è esattamente il contrario.
In primo luogo, manipolando i prezzi e intervenendo costantemente nel processo economico, lo stato non fa che indebolire e destabilizzare il libero mercato. Le risorse sono allocate male, i segnali dei prezzi sono distorti, gli individui non trovano più il loro vero posto nell'economia e le crisi sono inevitabili. Ad esempio, una società che consente alla sua banca centrale di manipolare il prezzo intertemporale del capitale in modo completamente discrezionale invierà costantemente segnali sbagliati agli imprenditori sulla reale disponibilità di capitale e sulla volontà dei consumatori di spendere il loro reddito oggi o domani.
Sebbene i loro effetti non siano immediatamente evidenti, sono comunque disastrosi a lungo termine, poiché portano agli inevitabili cicli di boom/bust. Questi cicli sono caratterizzati da falsi boom economici che portano inevitabilmente alla recessione, un severo e necessario riadattamento del mercato alla realtà dell'economia e alla reale disponibilità di fattori di produzione scarsi. Alla fine l'interventismo è sempre una fonte di incertezza e instabilità, anche se i burocrati francesi credono fermamente che non sia così.
Al contrario il liberalismo rende gli individui più sicuri e resilienti. Il libero mercato consente a ogni individuo di perseguire le proprie ambizioni integrando un complesso sistema di cooperazione basato sulla divisione del lavoro e sulla specializzazione delle competenze. Una società in cui tutti trovano il loro posto per servire al meglio gli altri è una società prospera e, quindi, più sicura. È ovvio per chiunque sia interessato agli studi dell'azione umana e dell'economia che il progresso non può essere pianificato a tavolino. È un processo spontaneo, il risultato delle azioni soggettive di tutti gli individui nell'ambiente di mercato, ognuno guidato dal proprio interesse personale.
Innumerevoli ostacoli al progresso
Il progresso non può essere organizzato [...]. La società non può fare nulla per aiutare il progresso. Se carica l'individuo di catene indistruttibili, se circonda la prigione in cui lo rinchiude con muri insormontabili, ha fatto tutto ciò che ci si può aspettare da essa. Altrimenti il genio troverà presto un modo per conquistare la propria libertà uscendo dalla lampada.Ciò che Éric Lombard dimostra con le sue recenti dichiarazioni è la sua incomprensione del fallimento delle linee di politica interventiste nel processo economico, cosa che può solo produrre risultati mediocri perché non segue le realtà del mercato. I risultati saranno sempre mediocri perché l'imperativo dei risultati reali, i profitti derivanti dalla soddisfazione del consumatore, è assente. Di conseguenza non ha senso per lo stato investire in un settore in cui il settore privato è già coinvolto, dato che quest'ultimo sarà sempre più veloce ed efficiente, come impone la concorrenza.
La tragedia di queste avventure inutili risiede soprattutto nella perdita definitiva di risorse e tempo per l'economia francese. La tragedia è che l'alternativa, ovvero gli usi veramente produttivi del capitale, non verrà mai presa in considerazione, tutto a causa dell'interventismo statale. Esso non è altro che un sabotaggio permanente del progresso reale, che può venire solo dal libero mercato. Purtroppo con un tale ministro dell'economia, il futuro della Francia non sembra affatto luminoso. Questa è una vergogna per il luogo di nascita di rinomati pensatori liberali come Turgot, Say e Bastiat.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Il piano diabolico dell'UE andrà avanti a tutti i costi
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-piano-diabolico-dellue-andra-avanti)
Oggi vorrei aggiungere una parola al vocabolario e far fare un passo avanti a tutti coloro che cercano di comprendere le politiche pubbliche. Il cinismo mette in discussione le motivazioni degli altri; la mia nuova parola, “cinicetticismo”, l'unione di cinismo e scetticismo, è un modo per evitare di essere danneggiati da esse. Nella vita pubblica le persone affermano di migliorare il mondo. “Fai questo”, dicono alcuni; “fai quello”, dicono altri. Il cinicetticismo ci dice cosa sta realmente accadendo: qualunque cosa propongano non funzionerà e le persone che lo suggeriscono sono delle frodi. Un buon esempio è l'inflazione: quante promesse sono state fatte in merito al fatto di voler migliorare il benessere pubblico? Eppure apprendiamo che, in Italia, i salari reali sono in discesa e la povertà è aumentata.
La BCE ha promesso di rilanciare l'economia abbassando i tassi, ma li ha tenuti troppo bassi per troppo tempo. La crescita del PIL ha rallentato e ora non può rialzarli per “combattere” l'inflazione; c'è troppo debito. Tassi più alti farebbero crollare l'economia europea. L'UE, infatti, è il più fulgido esempio adesso delle conseguenze della linea di politica “Inflate or die”. L'unica scelta per la BCE è quella di stampare in modo da abbassare il valore reale del debito.
Cosa fare al riguardo? Il cinicetticismo può proteggervi, infatti se lo si sviluppa diviene particolarmente prezioso per valutare le politiche pubbliche e i loro effetti sulla vostra ricchezza. Come diceva Ronald Reagan, la frase più pericolosa che potevate sentire era: “Sono un agente dello stato e sono qui per aiutare”. Il cinicetticismo vi dice che qualsiasi cosa l'apparato pubblico stia promuovendo sarà una truffa e un fallimento. La maggior parte delle questioni non ha molta importanza, ma due di esse contano molto: la guerra e il denaro. “Ci dobbiamo riarmare per difenderci ed essere sicuri”, dicono in coro i burocrati dell'UE; “i tassi più bassi ci renderanno più ricchi”.
Il cinicetticismo suggerirebbe di non crederci.
LE BASI APODITTICHE DELL'INFLAZIONE
Ricordiamo cos'è l'inflazione: un fenomeno sempre e comunque monetario, tanto per citare Friedman e non essere accusato di partigianeria. La cinghia di trasmissione tra tutte le informazioni economiche nell'ambiente di mercato è fortemente influenzata da quella merce che fa da minimo comun denominatore tra le varie altre, anche se i beni di consumo, in un frangente di tempo “X”, non dovessero avere grosse fluttuazioni in termini monetari. Per l'articolo di oggi è superfluo sottolineare/spiegare l'imprescindibilità del denaro come cinghia di trasmissione delle informazioni all'interno dell'ambiente economico. Di conseguenza l'interventismo artificiale nella domanda/offerta di denaro causa scossoni che devono essere assorbiti dall'intera struttura economica e, in particolar modo, dagli attori di mercato (soprattutto coloro che ricevono per ultimi gli assestamenti dato che sono i più penalizzati). Questo fenomeno ingloba tutti gli asset: dai beni di consumo a quelli di capitale. Sì, ciò include anche materie prime, case e automobili. Il singolo atto di poter distorcere l'offerta di denaro rappresenta un vantaggio competitivo non indifferente che ha conseguenze impreviste lungo un lasso di tempo imprecisato. Di norma il riverbero dell'interventismo monetario ha un ritardo di 18 mesi prima che si manifesti completamente nell'economia più ampia, ma il suo perdurare si espande molto più a lungo dato che suddetto interventismo può accumulare tante variazioni nel breve periodo, ma nel lungo gli effetti sono proporzionalmente imprevedibili in base alla quantità di tali variazioni. Di conseguenza la reazione del sistema bancario centrale a un determinato fenomeno è SEMPRE in ritardo, dato che esse non controllano alcunché se non l'influenza del breve periodo ed ecco perché nel lungo i prezzi tendono a essere “appiccicosi”. Paradossalmente questa motivazione è stata sventolata dai keynesiani per richiedere maggiore interventismo. E ancora più paradossale dover citare lo stesso Keynes che ci spiegava il motivo di ciò: “Solo una persona su un milione capisce il fenomeno inflazione”.
La manipolazione dell'offerta di denaro è il motivo principale dell'inflazione dei prezzi conseguente, ma ce ne sono anche altri. Ad esempio, l'iper regolamentazione. La creazione di un'impalcatura burocratica che capillarmente vuole normare/regolare l'ambiente economico (perché la sua espansione inevitabile lavora con la Legge di Parkinson) crea una distorsione/deformazione del sistema prezzi a causa dell'arbitrarietà con cui vengono sfornate nuove leggi. L'obsolescenza per decreto di determinati output ricade nel famoso caso della “finestra rotta” di Bastiat, dove la distruzione di capitale viene trattata come trasformazione necessaria affinché la burocrazia possa avere voce in capitolo in questioni più grandi di essa. Come sappiamo già da “The Use of Knowledge in Society”, la conoscenza dispersa all'interno dell'ambiente di mercato richiede un certo grado di alertness che è caratteristico di quegli imprenditori di successo in grado di anticipare quanto più correttamente possibile la domanda dei clienti. Ciò richiede la capacità di saper raccogliere quegli input che davvero “hanno valore”, ma la scarsità di quella capacità di “unire i puntini” (o per meglio dire gli input) è ciò che rende unici solo una manciata di grandi imprenditori. Ciò a sua volta significa un'allocazione delle risorse economiche scarse quanto più in accordo con le esigenze degli attori di mercato, un processo in grado di essere concluso con efficienza tramite, ad esempio, il sistema profitti/perdite. O più in generale dal calcolo economico. La burocrazia è sganciata da questo calcolo, di conseguenza, nel momento in cui emette i suoi editti, si arroga prepotentemente il diritto di “avere ragione” a prescindere. Ciò significa a sua volta misallocation di risorse scarse che vengono deviate artificialmente dagli usi più urgenti percepiti dagli attori di mercato e di conseguenza subiscono un rialzo dei prezzi.
Poi abbiamo un terzo motivo: l'abbassamento della qualità/quantità, o altrimenti detto “shrinkinflation”. Questo segue logicamente i primi due ed è uno stratagemma messo in campo nel momento in cui un'attività cerca disperatamente di sopravvivere. In fin dei conti, le attività economiche sono attività “organiche” essendo un'estensione della creatività e dell'esperienza della persona trasformate in qualcosa di tangibile nel mondo fenomenico tramite l'azione umana. E l'istinto di sopravvivenza è innato in tutti gli esseri organici.
Queste motivazioni sono assolutamente vere perché dedotte logicamente dall'assioma dell'azione umana. Queste sono le cause del fenomeno, da non confondere con gli effetti: disonestà, comfort, logistica, miglioramenti/peggioramenti tecnologici, ecc. Non solo, ma sono il motivo cruciale per cui non c'è stata alcuna ripresa finora.
L'obiettivo più importante dei keynesiani è stato farvi pensare che le conseguenze dell'inflazione fossero le cause. Solo l'aumento dell'offerta di denaro, alimentato dalla crescente spesa pubblica, crea inflazione. Gli stati continueranno a spendere e ad aumentare deficit e debito, le banche centrali continueranno a stampare e daranno la colpa a tutt'altro. Il sordido furto dei risparmi tramite l'inflazione e la progressiva erosione degli stessi man mano che questo processo s'è incancrenito a causa del denaro fiat, è già adesso la rappresentazione di quella realtà fabbricata e riassunta dal motto “non avrai nulla”... e ovviamente “sarai infelice”, dato che ultimamente i sicofanti di regime che imbrattano le pagine dei giornali si chiedono sempre più come mai i giovani sono depressi. La risposta che accomuna tutte le cause: il denaro fiat, il quale crea una società fiat svuotata progressivamente da tutto. L'essenza fiat trascina e consuma tutto quello che s'è creato, è un buco nero per i valori sociali, la scuola, l'educazione, l'alimentazione, il benessere psicologico, l'intrattenimento, ecc.
Se davvero i sicofanti di regime volessero aiutare i giovani e alleviare le cause psicologiche dei loro disagi, dovrebbero iniziare opponendosi all'euro digitale e aumentare la consapevolezza riguardo le alternative decentralizzate.
GIOCHI A SOMMA (SOTTO)ZERO
La linea di politica della BCE, sin dalla sua nascita, è stata quella di “stimolare” l'economia con tassi d'interesse sempre più bassi. Ma dopo la più forte medicina “stimolante” mai somministrata, dal 2012 al 2022, il paziente si è ammalato di più: i tassi di crescita sono scesi e il debito è aumentato. Ma la BCE ha imparato dai suoi errori? No. Sta abbassando di nuovo i suoi tassi, e mentre alimenta prestiti a basso costo alle sue banche affiliate, l'economia reale è bloccata con tassi d'interesse reali più alti. I creditori temono una maggiore inflazione; vogliono tassi d'interesse più alti per proteggersi.
Di recente c'è stato un importante selloff sui mercati obbligazionari europei, per niente menzionato dalla stampa finanziaria generalista. Altrimenti, poi, come riuscirebbero a vendere ai gonzi le nuove obbligazioni SURE con cui finanziare il piano da €800 miliardi della Commissione europea?
Il nostro nuovo credo, il cinicetticismo, ci aiuta a spiegarlo. La politica e gli investimenti sono entrambi giochi a somma zero oggi. Si vince non perdendo, ovvero non diventando una vittima. Come? In politica il modo per evitare di essere delle vittime è votare per politici che ridurranno il peso della spesa pubblica. E negli investimenti, la cosa più importante è evitare la “Grande Perdita” e restare in gioco. Ad esempio, le persone che acquistano titoli di stato a lunga scadenza, contando sul fatto che la BCE le ripaghi in tempo utile con denaro che conserva il suo potere d'acquisto, sono le principali vittime.
Non ci credete? Comprate titoli di stato italiani a 10 anni e teneteli fino alla scadenza. Chi l'ha fatto nel 2020, ad esempio, sulla scia delle campagne pubblicitarie “patriottiche”, è più che sommerso.
Inoltre gli annunci delle ultime settimane, con l'euro digitale e la Savings and Investments Union, hanno praticamente reso chiaro anche alle teste di legno quale sia il piano dell'UE: c'è bisogno della guerra in Europa in modo da dare la colpa ai russi per lo stato pietoso in cui versano i mercati dei capitali, questo servirà da innesco per mandare in bancarotta (di proposito) il continente ed emettere nuovi titoli (es. perpetual bond) con cui ripartire daccapo poi. Affinché questo piano possa andare a buon fine, la classe dirigente europea ha bisogno di accedere a garanzie collaterali, in particolar modo energia (che non hanno), ed ecco perché ultimamente sono salite alla ribalta voci che vorrebbero il Canada unirsi con la UE. Con l'arrivo di Carney il Canada potrebbe trasformarsi in un avamposto della cricca di Davos, infatti già si stanno stilando piani affinché esso tenga quanto più liquido possibile il mercato degli eurodollari. Ma Trump e i NY Boys non sono degli idioti, quindi la retorica a proposito di una annessione statunitense di Canada e Groenlandia è indirizzata principalmente a rompere questa alleanza in formazione.
Per arrivare a queste deduzioni mi basta guardare ai mercati dei capitali e chiedermi non perché si muovano, bensì come si muovano. La forma principale di risparmio in Europa sono i bund tedeschi e i Btp italiani. Negli ultimi 3 anni la Yellen e la Lagarde hanno messo in piedi un processo di yield curve control per contrastare il rialzo dei tassi di Powell, in modo da disinnescare l'esplosione del mercato dei titoli sovrani europei (i rendimenti di questi ultimi rispetto alla controparte statunitense). Questa operazione ha tenuto aperti i rubinetti della liquidità internazionale affinché affluisse in Europa e tenesse in piedi l'illusione che i titoli sovrani europei avessero mercato nonostante le difficoltà delle relative economie (permettendo altresì ai fondi pensione europei di rimanere finanziati). Ora che quei rubinetti sono chiusi, grazie al taglio degli sprechi da parte del DOGE, l'unica cosa che rimane alla classe dirigente europea è la nazionalizzazione “coatta” dei risparmi dei contribuenti in modo da sostenere il mercato obbligazionario, mentre la BCE si occupa dell'euro. Questo a sua volta rende ragionevolmente attraenti i titoli sovrani europei tra gli investitori e permette ai relativi stati di non soffrire per costi di finanziamento esosi; inoltre l'apparenza è che non c'è crisi e che i rendimenti sono positivi al netto dell'inflazione.
I dazi di Trump hanno rotto l'incantesimo. La capacità beggar thy neighbour (rendimenti obbligazionari più bassi rispetto al livello dove dovrebbero trovarsi realmente e valuta più debole di quanto dovrebbe essere) viene smantellata. L'euro, e tutte le macchinazioni che finora l'hanno tenuto a galla, sono sopravvissute grazie all'ingegneria finanziaria, in particolare negli ultimi 15 anni, la quale è stata esclusivamente funzionale a mantenere vivi gli eurodollari e il conseguente spolpamento indiretto del bacino della ricchezza reale degli Stati Uniti. Oltre a questa verità ne sta uscendo fuori un'altra: la Francia è il burattinaio politico nell'UE.
Quando la classe dirigente europea piagnucola, significa che si sta andando nella giusta direzione. Quando questi cretini approvavano le armi di ricatto nei confronti degli USA (es. GDPR, DSA, DMA), la stampa se ne stava buona al suo posto parlando di “digitalizzazione” dell'economia. Anche quei giornalisti “liberali” che adesso fanno gli indignati di fronte ai “dazi americani”, e allo stesso tempo dicono di approvare l'amministrazione Trump, si sono ben guardati dal criticare/approfondire questi aspetti. Balle, quindi: erano dazi nei confronti degli USA e un modo di estorcere ricchezza da chi crea valore aggiunto. Le multe dell'UE, quindi, nei confronti dei “colossi” tecnologici americani, altro non sono che un pizzo mafioso richiesto da una banda di cretini che sta giocando col fuoco.
La stessa “agenda green” è un gigantesco ricatto normativo nei confronti degli USA. Ma questo aspetto sfugge ad analisti e giornalisti “furbi”, i quali non vedono un millimetro oltre il loro naso... o non vogliono vederlo. Il Paese a cui farebbe davvero male l'elettrificazione dei veicoli sarebbero gli USA. Pensateci: se guidate per 1000 km in Europa siete già in un'altra nazione; se lo fate negli USA siete ancora nello stesso stato, forse anche contea. La popolazione europea, i contribuenti europei, sono sempre stati la carne da cannone in questa scalata ostile di Bruxelles e Londra nei confronti degli USA; sono stati la base, il collaterale, attraverso cui piramidare e sottoporre a leva le imbecillità normative partorite sinora.
Se davvero Londra e Bruxelles avessero voluto mettersi al pari degli USA dal punto di vista economico e commerciale, allora avrebbero dovuto deregolamentare, abbattere le tasse, tagliare la spesa pubblica. Insomma l'influenza stessa della classe dirigente europea sarebbe dovuta indietreggiare. Per questa gente, che è colonialista nell'anima, non esiste niente del genere. Quindi la scelta è stata quella di infiltrarsi nelle stanze dei bottoni statunitensi e demolirli dall'interno.
I dazi sono un modo diretto da parte degli USA di dire “No” a questa distopia e alla rapina del valore aggiunto da loro creato. Ciò che rimane alla classe dirigente è piagnucolare e un manipolo di sicofanti sulla carta stampata e sui social che danno sfogo al loro isterismo.
FEBBRE GIALLA
L'oro sta facendo ciò che dovrebbe fare: anticipa l'inflazione e offre protezione a risparmiatori/investitori. Tuttavia, cari lettori, attenzione: anche i “tori” e gli amanti dell'oro possono diventare “irrazionalmente esuberanti”. Arriverà il momento in cui le persone saranno euforiche per l'oro: i tassisti vi racconteranno delle azioni minerarie che hanno appena acquistato; le persone si vanteranno di “quando sono entrati”; vi diranno che l'oro “sta andando sulla luna”. Il prezzo salirà così tanto che sarete in grado di acquistare l'intera lista di azioni Dow Jones per sole 5 once d'oro. Sarà allora che uno dovrebbe essere felice di scaricare il proprio oro e acquistare azioni.
Ma questo (probabilmente) avverrà tra qualche anno. Nel frattempo sia le azioni che l'oro hanno stabilito nuovi record, ciononostante il quadro fondamentale non è cambiato: il rapporto Dow/oro era a 20 tre anni fa; oggi è a 16; le azioni hanno perso il 20% del loro valore reale. Devono perdere un altro 70% (in termini di oro) prima di diventare veri affari. E su questo potete contare sulle banche centrali. La BCE non aveva motivo di tagliare i tassi il mese scorso... se non che sta cercando di causare inflazione, non di eliminarla. Negli ultimi tre anni l'inflazione dei prezzi è stata più di tre volte superiore a quanto la BCE (presumibilmente) volesse. Vale a dire, con un aumento annuo del 2%, i prezzi dovrebbero essere circa il 6% più alti di quanto non fossero nel 2021; invece sono, ufficialmente, più alti del 20%.
Ufficiosamente, i prezzi sono ancora più alti. Il Tempo, ad esempio, ci dice che il costo di alcune materie prime è letteralmente schizzato alle stelle. O basta guardare ai veicoli. La Fiat Panda, l'autovettura più popolare in Italia, costava in media circa €12.000 nel 2021. Con un'inflazione del 2%, il prezzo del modello di quest'anno dovrebbe essere di circa €13.000. Invece no: si parte da circa €16.000, un aumento del 35% e una erosone reale del potere d'acquisto degli stipendi (nonché del tempo).
E per quanto riguarda l'edilizia abitativa? I tassi ipotecari più bassi hanno convinto gli acquirenti di case a sottoscrivere mutui basati su prezzi gonfiati e basse rate mensili. Poi, nel 2008, i prezzi delle case sono crollati, gli istituti di credito sono andati in bancarotta e milioni di famiglie hanno perso le loro case. Le banche centrali abbassarono ulteriormente i tassi e li ancorarono sotto lo zero, in termini reali, per un lasso di tempo di 10 anni. Ciò, ovviamente, ha portato a una maggiore inflazione immobiliare e poi, all'assurda situazione in cui le persone avevano difficoltà sia ad acquistare che a vendere una casa. La parentesi del SuperBonus non ha fatto altro che aggiungere più distorsioni economiche a quelle esistenti. Nonostante tutti gli “stimoli” escogitati non c'è stata alcuna ripresa... anzi il bacino dei risparmi reali ha continuato a contrarsi. È questa la situazione che si viene a creare quando entrano in scena gli affari “lose-lose” (o vicendevolmente svantaggiosi): la Legge dei rendimenti decrescenti entra nella sua fase negativa, ovvero per ogni unità di debito creata ne viene (progressivamente) erosa una di PIL. Ecco perché, come scrivevo sopra, l'UE ha disperatamente bisogno di un default da cui ripartire in seguito. E senza ripresa la classe dirigente europea non ha alcun potere di leva sui suoi pari esteri.
Ma scrutiamo un po' più da vicino il settore immobiliare. Una casa media costava circa €1600 al m² nel 1998. Con un'inflazione al 2% quella cifra oggi dovrebbe essere di circa €2500 al m². Invece se prendiamo una città campione a caso, ad esempio Roma, siamo ben al di sopra; per non parlare di Milano. E ora la BCE ha iniziato un nuovo ciclo di allentamento e questo ha fatto gridare al miracolo gli analisti immobiliari, i quali affermano che ciò renderà più facile per le persone acquistare una nuova casa. Il risultato reale? Prevedendo una maggiore inflazione i creditori hanno aumentato i tassi dei mutui a lungo termine rendendo le case meno accessibili che mai!
In altre parole l'inflazione reale dei prezzi al consumo è ben oltre il 2% e per riportarla all'obiettivo di riferimento la BCE dovrebbe portare il tasso effettivo dell'inflazione dei prezzi al di sotto del 2% per diversi anni. In che modo farlo visto che una variazione mensile negativa della stessa inflazione dei prezzi scatenerebbe grida isteriche di “deflazione”?
CONCLUSIONE
Il nostro nuovo credo (il cinicetticismo) ci avverte che le cose non sono sempre come vorremmo che fossero e non sono nemmeno sotto il nostro completo controllo. Quando i risparmi e i fondi pensione sono per la maggiore allocati in titoli sovrani, e le pensioni sono il più grande schema Ponzi e la più grande spada di Damocle pendente sul collo dei conti pubblici, un haircut è l'unica cosa che ti risolve questi problemi... oltre ad avere una platea di investitori e risparmiatori che non hanno alternative. Questo significa che verrà ingegnerizzata una nuova crisi del debito sovrano attraverso la spesa folle in difesa e altre follie fiscali, molto probabilmente sulla scia di un'operazione false flag per incolpare la Russia e distrarre chi deve essere fregato; il tutto per resettare il mercato dei titoli sovrani europei. Nella cricca di Davos non ci sono stupidi e si sono preparati per entrambi gli scenari, ovvero quello ostile alla loro visione e quello favorevole. Quest'ultimo avrebbe significato che gli USA sarebbero scesi in guerra contro la Russia e il crollo dei mercati dei capitali sarebbe stato affibbiato al conflitto mondiale; nel primo caso, invece, avrebbe significato grandi stimoli fiscali “per la difesa”, per il “cambiamento climatico”, la messa in discussione della NATO e tutte le provocazioni di questo mondo affinché la Russia li attaccasse.
Secondo quest'ottica un tale reset porterebbe anche la tanto agognata ripresa affinché le persone tornino a badare ai propri affari, contente di quel poco che si ritrovano e lasciano “lavorare” la classe dirigente. Quest'ultima farà di tutto pur di rimanere in carica e non finire nella pattumiera della storia. Perché è questo che significa una sconfitta dell'Europa in Ucraina, per quanto quest'ultima sia già fallita e fatta a pezzi. La Russia, infatti, ha già combattuto contro la NATO e ha vinto. Ecco perché se la può prendere comoda e rimanere ferma nelle sue richieste; ecco perché “benedice” gli Stati Uniti nel momento in cui vogliono sbarcare in Groenlandia. Non dovrebbe essere una mianccia diretta? No. La visione di USA e Russia è quella di un ritorno agli “equilibri” della Guerra fredda ma senza le tensioni geopolitiche e commerciali, rendendo l'artico un punto di snodo per le nuove rotte mercantili. Di conseguenza gli europei possono essere sottoposti a dazi fino alla morte senza grandi contraccolpi oltreoceano, riducendo quel surplus commerciale che gli europei hanno ottenuto in modo fraudolento.
Chi è un lettore stagionato del mio blog sa che una delle critiche più feroci alle linee di politica fiscali e monetarie degli Stati Uniti è arrivata dal sottoscritto. Questo è stato vero fino al 2022, quando il cambio di passo è stato evidente e concreto. Tale inversione di tendenza mi ha spinto a rivedere il libro che poi avrei pubblicato due anni dopo, spiegando cosa stava succedendo. Così è nato “Il Grande Default”. Con il SOFR, infatti, gli USA possono bere il “frullato” del dollaro senza dare peso alle conseguenze come invece accadeva prima. Esiste ancora una narrativa che sottolinea le difficoltà economiche e finanziarie degli USA, ma gli manca la prospettiva più ampia. Chi ha letto il mio libro sa da dove si alzano queste voci e cosa vogliono raggiungere; coloro ignari, invece, fantasticano di un declino del dollaro a favore di un'ascesa dei BRICS e dello yuan.
Favole. Qual è la domanda che non si pongono? La seguente: E tutti gli altri? È vero, lo zio Sam ha un problema di debito pubblico, la Federal Reserve ha un problema di bilancio a causa di titoli comprati in precedenza ora sommersi e il resto del mondo non sta comprando titoli sovrani americani come faceva in passato. Ma... e tutti gli altri? Anch'essi hanno tutti questi problemi e anche di più. Il governo federale ha un debito pubblico di $36.000 miliardi, ma il resto del mondo, tutte le altre nazioni non solo hanno il loro debito pubblico (gigantesco) ma ANCHE debiti denominati in dollari da saldare. E questo è il mercato degli eurodollari; se non capite come funziona questo sistema, allora state guardando il singolo albero piuttosto che l'intera foresta. Il resto del mondo è in debito non solo nella propria divisa, ma anche in dollari, e non esclusivamente nei confronti degli Stati Uniti bensì tra di essi. Non potendo stampare dollari questo li rende molto più suscettibili al default rispetto al Paese che li può stampare.
Inoltre quando emergono difficoltà economiche ci si aggrappa a quella cosa di cui si ha più bisogno, non a quella cosa che si desidera. La reputazione degli USA è leggendaria da questo punto di vista: il luogo dove il capitale è trattato meglio. Non solo, ma le altre banche centrali del mondo, nonché quelle commerciali, hanno riserve in dollari e titoli denominati in dollari. Nel caso in cui ci dovesse essere un evento catastrofico a livello di Dipartimento del Tesoro USA o altro, i bilanci dei player esteri verrebbero fatti letteralmente a pezzi. La FED non possiede alcun titolo denominato in una divisa estera (così come sta facendo Tether), le altre banche centrali invece sì. Anche qualora si tirasse in ballo l'oro come copertura attiva gli USA sarebbero comunque avvantaggiati dall'alto delle loro 8000 tonnellate e dall'afflusso di oro da Londra.
Quindi, prima di lanciarsi in scenari futuri fantasiosi in cui i BRICS diventano magicamente il punto di riferimento del mondo oppure il dollaro e l'economia statunitense vanno in acuta sofferenza, meglio capire come funziona davvero il mondo. Fortunatamente ci sono testi che facilitano il compito.
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