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La “terapia d'urto” di Javier Milei funziona

Freedonia - Mer, 04/12/2024 - 11:09

Se recuperate il tag “Argentina” in questo blog e andate a spulciare i vecchi articoli, noterete che ce ne sono alcuni che andavano a “predire” la cosiddetta “argentinizzazione” dei Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti. Inutile dire che all'epoca la rotta intrapresa dal Paese, e incentivata dai vari governi che si sono succeduti, era quella di un'autodistruzione attraverso il potenziamento sotto steroidi dell'intrusione dello stato nella vita economica della gente comune. Socialismo dilagante potremmo chiamarlo e il resto del mondo prendeva appunti. Questo almeno fino al 2022, quando gli USA hanno ufficialmente cambiato rotta e successivamente l'Argentina ha scelto Milei come presidente. Il percorso vecchio di “argentinizzazione” è ancora in atto per l'Europa, mentre per gli Stati Uniti c'è quello nuovo intrapreso da Milei. Inutile dire che quest'ultimo è un esperimento statunitense per testare altrove le linee di politica necessarie per invertire anni di vandalizzazione della propria economia a opera della cricca di Davos. Questa tesi la trovate descritta meglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Soprattutto per analizzare misure da implementare in patria e tempistiche dei risultati. Prendiamo ad esempio il controllo sui prezzi degli affitti. Subito dopo essere entrato in carica, Milei ha abrogato la legge Lipovetzky e rapidamente si sono sentiti gli effetti: l'offerta di unità in affitto è aumentata di oltre il 170% e i prezzi reali degli affitti sono scesi del 40% rispetto ai livelli di ottobre 2023. È da notare non solo l'entità del miglioramento, ma anche l'effetto immediato dopo l'abrogazione della legge Lipovetzky. La dollarizzazione del Paese, poi, renderà obsoleta la banca centrale argentina. Ma è più di una riforma monetaria, è uno scudo istituzionale (soprattutto in questo momento storico in cui la FED ha finalmente il pieno potere decisionale sulla sua politica monetaria): rende le riforme pro-mercato difficili da invertire perché il costo delle cattive politiche non può essere oscurato dal denaro facile. La dollarizzazione frenerebbe l'inflazione galoppante e rafforzerebbe le istituzioni argentine contro le minacce ricorrenti delle politiche populiste. Getterebbe le basi per riforme economiche più ampie, rendendo possibile una prosperità a lungo termine. La dollarizzazione offre un'opportunità per rompere con i cicli distruttivi di inversione delle linee di politica del passato e instabilità economica, offrendo la possibilità di costruire una struttura economica più resiliente.

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di Michael Peterson

La scorsa settimana il presidente argentino, Javier Milei, ha sciolto l'Administración Federal de Ingresos Públicos (AFIP), il più grande ufficio fiscale della nazione. Il portavoce presidenziale argentino, Manual Adorni, ha annunciato che una nuova agenzia sostituirà l'AFIP, eliminando quasi 3.100 dipendenti pubblici e facendo risparmiare ai contribuenti argentini 6,4 miliardi di pesos argentini (circa $6,5 ​​milioni). Sebbene questa misura ridurrà le inefficienze burocratiche, è in gran parte simbolica e fa parte della più ampia missione di Milei di tagliare in modo credibile la spesa pubblica e liberalizzare le istituzioni argentine.

Riorganizzare la più grande agenzia fiscale della nazione è particolarmente significativo, perché sposta l'attenzione dai burocrati e celebra l'importanza degli imprenditori privati. Come spiega Adorni nella sua dichiarazione: “Ciò che appartiene a ogni argentino è suo e di nessun altro. Nessun burocrate dovrebbe essere delegato al potere di dire a un argentino cosa fare con la sua proprietà”.

Dopo decenni di linee di politica socialiste, l'Argentina sta attualmente attraversando il più serio aggiustamento economico sin dalla crisi del 2001, quando la nazione abbandonò il suo tasso di cambio fisso, il valore del peso colò a picco e con esso i risparmi degli argentini. El corralito, che significa “recinto per animali”, si riferisce alle misure soffocanti imposte dal ministro dell'Economia Domingo Cavallo nel 2001 per impedire i prelievi bancari. Nel giro di poche ore milioni di argentini avevano perso fino al 75% dei loro depositi in contanti, innescando rivolte e disordini diffusi in tutto il Paese.

“Dei $77.000 che avevo in banca, ne persi $40.000 nel corralito”, ricorda l'informatico Ricardo Lladós in un'intervista 20 anni dopo.

A differenza della crisi del 2001, che avrebbe potuto essere evitata con una migliore politica monetaria, gli attuali problemi economici dell'Argentina sono inevitabili. E a differenza dei suoi predecessori, Milei sta tentando di riformare le istituzioni argentine e impegnarsi in modo credibile per proteggere i diritti di proprietà. Ecco perché la sua capacità di mantenere le promesse è critica per il successo economico.

Ciò che l'amministrazione Milei spera di ottenere attraverso la liberalizzazione è a dir poco straordinario e rappresenta la sfida perenne che le nazioni hanno dovuto affrontare sin dalla crescita miracolosa dell'Europa occidentale nel XVIII secolo. Douglass North, economista premio Nobel, ha illustrato questa sfida in un famoso articolo scritto insieme a Barry Weingast, attribuendo il successo economico dell'Inghilterra alla Gloriosa Rivoluzione del 1688, quando la Corona si impegnò in modo credibile a proteggere i diritti di proprietà e a non espropriare la ricchezza privata ogni volta che lo desiderava. “I mercati liberi devono essere accompagnati da alcune restrizioni credibili alla capacità dello Stato di manipolare le regole economiche a proprio vantaggio e a vantaggio dei suoi elettori”, scrivono gli autori.

In veste di economista liberale classico, Milei comprende l'importanza di impegnarsi in modo credibile nelle riforme economiche. Sta tagliando i programmi governativi inutili che si sono metastatizzati in decenni di governo peronista; ha chiuso 13 ministeri governativi e licenziato più di 30.000 dipendenti pubblici, ovvero circa il 10% del totale.

La serie di tagli al bilancio di Milei ha generato risultati fiscali sbalorditivi. A meno di un anno dalla sua presidenza, ha fatto registrare il primo surplus di bilancio dell'Argentina in 12 anni; ha rapidamente ridotto il rischio della nazione del 10,4%, misurato dallo spread dei tassi d'interesse tra i titoli di stato statunitensi e argentini. Anche i salari reali sono in aumento e, naturalmente, l'inflazione mensile dell'Argentina è crollata da un picco di quasi il 26% a dicembre 2023 al 3,5% a settembre.

Abbiamo visto una “terapia d'urto” simile quando la Russia e i suoi stati satellite intrapresero importanti riforme di liberalizzazione negli anni '90. Contrariamente alla più credibile strategia di Milei, però, la Russia e i suoi vicini dell'Europa orientale rinnegarono le loro promesse di rispettare i diritti di proprietà, utilizzando invece la ricerca di rendite e gli scambi non di mercato per supportare artificialmente i settori improduttivi all'interno dell'economia. Questa “economia virtuale” ha soffocato le ambizioni post-sovietiche della Russia, limitando la concorrenza e incentivando la corruzione. Quando Boris Eltsin giurò di attuare serie riforme di mercato nei primi anni '90, i controlli sui prezzi rimasero in vigore per molti prodotti e i mercati neri prosperarono.

Peter J. Boettke, economista della George Mason University e studioso dell'Unione Sovietica, ha riassunto i fallimenti della Russia post-perestroika: “Perfino durante l'esperimento post-sovietico di terapia d'urto del libero mercato, il nuovo governo non è riuscito a stabilire il tipo di impegni politici e legali vincolanti richiesti [per la crescita economica]”.

La Polonia, d'altro canto, liberalizzò l'economia con successo perché eliminò l'impulso dello stato a stampare denaro e intervenire arbitrariamente nel settore privato. Nell'ottobre 1989 il neo-nominato ministro delle finanze polacco, Leszek Balcerowicz, avviò una serie di riforme di libero mercato tra cui la riduzione della spesa pubblica, la privatizzazione delle industrie statali e l'eliminazione dei sussidi statali. Mentre l'inflazione e la disoccupazione salirono immediatamente, il Paese si stabilizzò nel giro di due anni. Tra il 1992 e il 2019 la Polonia ha goduto di un tasso di crescita annuale medio del 4,7% e non ha mai sperimentato un declino economico, collocandosi prima dell'Australia come unica nazione OCSE ad aver sperimentato 28 anni consecutivi di crescita economica. L'imprenditorialità è sbocciata sulla scia delle riforme, ponendo fine a decenni di carenze endemiche nel giro di pochi giorni.

Come Balcerowicz, Milei ha ereditato un disastro macroeconomico. Quando ha ricoperto la sua carica, il rapporto debito pubblico/PIL dell'Argentina superava il 60%. Il divario del tasso di cambio, che misura la differenza tra i tassi di cambio ufficiali e non ufficiali del Paese, si aggirava intorno al 200% e il tasso di inflazione di base era del 230% e in aumento.

E come la Polonia, l'Argentina sta affrontando serie sfide economiche sulla scia della sua terapia d'urto. Oltre il 50% degli argentini vive in povertà, la disoccupazione è al 7,7% e molti cittadini stanno lottando contro l'insicurezza alimentare, con una stima di 1,5 milioni di bambini che perdono almeno un pasto al giorno.

Ma queste cifre non fanno che aumentare l'importanza dell'impegno credibile di Milei nel liberalizzare il suo Paese. Non solo deve continuare il suo programma di riforme, ma deve anche segnalare in modo credibile agli argentini che le sue linee di politica dureranno: le sue riforme devono durare più a lungo dei suoi successori e devono garantire che la proprietà privata venga rispettata per molto tempo.

Milei ha mantenuto la maggior parte delle promesse fatte durante la campagna elettorale, ma c'è ancora molto lavoro da fare. La sua promessa di dollarizzare l'economia non si è ancora concretizzata, invece i dollari vengono scambiati insieme ai pesos argentini, ma i primi non possono essere usati come moneta legale per pagare tasse o debiti. Milei non ha ancora chiuso completamente la banca centrale argentina, cosa che ha detto essere “non negoziabile” quando è entrato in carica. E i controlli valutari che rimangono in atto continuano a deprimere artificialmente i numeri dell'inflazione.

Ma l'impegno generale di Milei per la liberalizzazione della nazione ha alimentato il potenziale economico del Paese. Quando ha revocato il controllo dei prezzi degli affitti a gennaio, l'offerta di alloggi è salita di quasi il 200% e i prezzi degli affitti sono scesi del 40% a Buenos Aires, un chiaro segno che le riforme di libero mercato avvantaggiano le persone più a rischio nella società. L'indice EMBI dell'Argentina, una misurazione del rischio condotta da JPMorgan Chase, è sceso di quasi 1.000 punti, da 1.920 quando Milei è entrato in carica a 984 a ottobre. E, cosa più significativa, si prevede che il PIL crescerà tra il cinque e il sei percento l'anno prossimo, alimentato da maggiori investimenti e consumi, nonché dalla stabilità monetaria e dalle riforme del mercato del lavoro.

Quando Milei ha annunciato la revisione della più grande agenzia fiscale della nazione, non si è solo limitato a promettere di tagliare la spesa pubblica: si sta impegnando in modo credibile per la liberalizzazione del Paese licenziando burocrati affamati di tasse la cui missione era quella di punire imprenditori e creatori di ricchezza. Impegnandosi in modo credibile a trasformare le istituzioni economiche dell'Argentina, Milei sta preparando il terreno per la ripresa economica e l'esplosione imprenditoriale. Proprio come il programma di liberalizzazione della Polonia ha innescato una crescita miracolosa, le riforme di Milei otterranno lo stesso risultato se manterrà le sue promesse di ridurre l'intrusione dello stato nelle forze di mercato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Un piano per domare l’inflazione

Freedonia - Mar, 03/12/2024 - 11:07

Analisi come quella di oggi sono necessarie per capire i punti di partenza, ma poi è necessario ampliarle se si vuole comprendere appieno lo svolgersi degli eventi. Ecco perché il mio ultimo libro, Il Grande Default, colma una lacuna che per decenni ha attanagliato la metodologia Austriaca e aggiunge a essa, oltre al vaglio del sistema bancario ombra, anche elementi di geopolitica. Se la mia tesi è corretta, quindi, allora vedremo quanto descritto nell'articolo di oggi affiancato da un rafforzamento del dollaro, portando il DXY a 120. Questo forzerà i player ostili agli USA al tavolo delle trattative. Non c'è alcuna volontà a frantumare la fazione avversa in modo rapido, non gioverebbe a nessuno. Il suo strangolamento, inoltre, potrebbe passare dall'agganciamento dell'oro alle cedole dei titoli di stato americani. Attualmente gli Stati Uniti sono il più grande detentore di oro al mondo, ma esso è pesantemente sottovalutato nei registri contabili del governo federale. Il suo valore contabile è inferiore al 2% del suo valore di mercato (vale a dire, meno di $50/oz quando il suo valore di mercato è superiore ai $2600/oz). Offrire la riscattabilità dell'oro potrebbe anche aprire l'opzione per debiti a scadenza estremamente lunga (50 anni o più) e tassi d'interesse più bassi, perché il rischio più significativo per i prestiti al governo federale, la svalutazione dei dollari futuri, verrebbe eliminato. Questa è una di quelle proposte, riproposta da Judy Shelton nel suo ultimo libro Good as Gold, in grado di dare stabilità al sistema economico/finanziario americano e fare da segnapasso a una riduzione credibile del debito pubblico americano.

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di Jeffrey Tucker

Ora c'è finalmente una possibilità di onestà, dopo quattro anni di gaslighting, soprattutto quando s'è trattato di condizioni economiche. Per tutto questo tempo abbiamo sentito dai portavoce ufficiali, dalle agenzie governative e dai media generalisti che l'inflazione si sta raffreddando, calmando, scomparendo, migliorando, e così via. È stata tutt'altro che in peggioramento, almeno questo è quello che ci è stato detto.

Usciamo dal miasma di questi anni terribili e cosa succede? I dati più recenti sull'inflazione emergono e sono ancora terribili, persino peggiori di prima. Tutto sommato il potere d'acquisto del dollaro è sceso, nei dati ufficiali, di 22 centesimi in quattro anni.

(Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed; grafico: Jeffrey A. Tucker)

Questo è ciò che è stato detto e da solo è già abbastanza terribile. La realtà è probabilmente peggiore se si aggiungono tassi d'interesse, shrinkflation, nuove tasse e assicurazione sulla casa. Tutti questi altri elementi ci portano più vicini a 40 centesimi e oltre.

Per favore, lasciamo perdere ogni ragionamento fuorviante sulle motivazioni. Elon Musk lo ha riassunto bene in un post su X:

The excess government spending is what causes inflation!

ALL government spending is taxation. This is a very important concept to appreciate.

It is either direct taxation, like income tax, or indirect via inflation due to increasing the money supply. https://t.co/ypG9hm940Z

— Elon Musk (@elonmusk) November 14, 2024

Tutto si riduce al macchinario che stampa denaro. Il Congresso autorizza la spesa, il governo federale conia il debito e la Federal Reserve lo acquista con denaro che crea dal nulla. Il risultato è che tutte le unità monetarie esistenti vengono ridotte di valore, proprio come quando si mescola il succo d'arancia con l'acqua.

In realtà non è così complicato, soprattutto quando il nuovo denaro viene distribuito sotto forma di pagamenti diretti a individui e aziende. Ed è esattamente quello che è successo.

(Dati: Federal Reserve Economic Data (FRED), St. Louis Fed; grafico: Jeffrey A. Tucker)

Dove siamo ora? C'è un forte rischio di una seconda ondata d'inflazione l'anno prossimo. La FED ha immesso altri $1.100 miliardi nel sistema negli ultimi 12 mesi. Il Tesoro americano ha creato nuovo debito come mai prima, probabilmente nella speranza di aumentare il PIL prima delle elezioni. Il trucco non ha funzionato, ma ora la popolazione è bloccata con un conto da $35.000 miliardi.

L'inflazione è una bestia malvagia che non può essere controllata direttamente. Durante la campagna elettorale Trump ha parlato spesso di come sia stata la contingentamento del settore energetico a dare il via all'inflazione. Ciò è vero solo in parte, nel senso che i prezzi alle stelle del petrolio e del gas hanno fatto aumentare i costi dei trasporti. È stato un sintomo piuttosto che una causa. Inoltre i prezzi del petrolio e del gas in realtà non sono tanto alti in questo momento in termini reali.

Sì, il piano “drill baby drill” è necessario e dovrebbe essere attuato, ma non può risolvere il problema dell’inflazione, e tanto meno fare molto per prevenire una seconda ondata. Né esiste una soluzione praticabile tramite un controllo dei prezzi, anche quando è mascherata da legislazione “anti-gouging”.

Non c'è nulla che il governo federale possa fare per controllare direttamente i prezzi, e tanto meno impedirne l'aumento, dati i profondi problemi strutturali.

Però ci sono modi per minimizzare questi problemi, ad esempio dando un'occhiata a cosa ha fatto Javier Milei in Argentina: il problema dell'iperinflazione è stato convertito in bassa inflazione in un anno. Il suo è un caso di studio. La risposta è, quindi, porre fine alla creazione di debito con drastici tagli alla spesa, frenare le azioni della banca centrale e ispirare la crescita economica attraverso la deregolamentazione e l'eliminazione delle agenzie governative.

Sono tre passaggi. Passiamoli al vaglio uno per uno.

In primo luogo è essenziale porre fine alla creazione di debito. Ogni volta che il Congresso autorizza una spesa maggiore di quella che può permettersi, il Tesoro americano deve emettere debito. Questo è un obbligo statutario. Ciò significa che il Congresso deve approvare un bilancio in pareggio, subito.

Tutto questo si riduce alla commissione creata da Elon Musk: il Department of Government Efficiency. Non è un dipartimento ufficiale, lavorerebbe come un team di consulenza esterna. Ottimo. Probabilmente spingerà per una soluzione “in stile Twitter”: licenziare quattro dipendenti pubblici su cinque per ridurre direttamente i costi.

È un inizio, ma non è sufficiente. Ci deve essere anche una radicale eliminazione delle agenzie governative, ognuna delle quali può far risparmiare miliardi di dollari e forse migliaia di miliardi di dollari o più in totale. Deve avvenire immediatamente e tramite ordine esecutivo o tramite legislazione. In un modo o nell'altro, la spesa in eccesso rispetto alle entrate deve cessare.

Trump non è famoso per i tagli al budget. Non gli importava niente dell'argomento nel suo primo mandato. Dopo marzo 2020 era vulnerabile al fatto che si potessero spendere diverse migliaia di miliardi di dollari senza conseguenze per mantenere l'economia a galla durante i lockdown. È stato un errore, ma non lo ammetterà mai.

Questa volta ha una buona ragione per tagliare drasticamente il bilancio federale: ogni centesimo tagliato dal bilancio federale porrà fine al flusso di denaro verso quelle persone che stanno lavorando per indebolire la sua amministrazione. Nel dire questo non sto in alcun modo promuovendo una linea di politica dettata dalla vendetta, ma piuttosto attirando l'attenzione sulle realtà politiche. Il pareggio del bilancio ha il vantaggio collaterale di togliere i fondi all'opposizione.

In secondo luogo, se il Tesoro ferma lo tsunami dei buoni del Tesoro, la FED non sarà chiamata a ripulire l'eccesso con la creazione di denaro. Si possono guardare i grafici dell'anno scorso e vedere come l'amministrazione Biden-Harris stesse spendendo per promuovere una maggiore illusione economica in vista delle elezioni. Quello era il punto dei tanto agognati tagli dei tassi. Tutto questo deve finire.

C'è un pericolo che deriva dal togliere la ciotola del punch: potrebbe significare panico da parte del mercato obbligazionario e una spinta da parte dei media ad annunciare la recessione.

Ecco perché è fondamentale che il team di Trump si muova rapidamente per spiegare che in questo momento l'economia è in condizioni ben peggiori di quanto pubblicizzato. Il dirupo è molto profondo e sarebbe bene ridimensionare le aspettative di una rapida ripresa.

Non abbiamo bisogno di un tasso di crescita monetaria in calo; abbiamo solo bisogno di stabilità ora. Ciò non fermerà l'ondata di aumenti dei prezzi per il prossimo anno, ma può impedirne il peggioramento e porvi fine del tutto entro il 2026. A questo punto non c'è bisogno di preoccuparsi della “deflazione”, nonostante quanto urlerà la stampa finanziaria. Francamente essa, a questo punto, sarebbe un regalo per i consumatori americani.

Terzo, Trump deve riaccendere il motore della creazione di ricchezza dell'economia americana attraverso lo smantellamento delle regolamentazioni, più la completa eliminazione delle agenzie governative, come in Argentina. Il team di Trump ha bisogno di un elenco di 100 agenzie da eliminare immediatamente, e questo dovrebbe essere solo un inizio. Altre 100 dovrebbero essere portate sul ceppo del boia. Senza tutto l'intasamento normativo che causano, gli investimenti saliranno alle stelle.

Anche i tagli alle tasse (sul reddito e sui capitali) saranno d'aiuto. Il punto cruciale è l'attenzione rivolta all'aumento dell'offerta e dei posti di lavoro come un modo per superare le forze inflazionistiche. Anche in questo caso la stampa finanziaria urlerà che l'economia si “surriscalderà”, ma questa metafora è ormai stantia. L'effetto della crescita economica sull'inflazione è esattamente l'opposto: può seppellire gli effetti degli aumenti dei prezzi.

Non c'è molto tempo ed è una certezza che l'amministrazione Trump soccomberà se non agirà in modo deciso e rapido. La creazione di debito e la creazione di denaro devono finire e la crescita economica attraverso l'eliminazione delle agenzie governative e la deregolamentazione deve diventare la massima priorità. Tutto ciò avrà il vantaggio aggiuntivo di rendere Trump più popolare tra le persone che lo hanno eletto.

Il successo politico e la razionalità economica non sono incompatibili. In questo caso la nuova amministrazione Trump è molto fortunata: vanno di pari passo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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I limiti dell'opinione pubblica e il fallimento della democrazia

Freedonia - Lun, 02/12/2024 - 11:09

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Finn Andreen

Non sempre viene ammesso, ma il popolo non potrà mai essere rappresentato dalla classe politica. Tuttavia l'opinione pubblica la influenza, a volte anche fortemente. In tutti i sistemi politici la minoranza al potere deve tenere conto, a vari livelli, dell'umore pubblico espresso nei municipi, nei sondaggi, nelle elezioni, nelle dimostrazioni e, ora, nei social media.

Il governo più stabile e popolare non è, quindi, necessariamente quello più “democratico”, ma quello che considera meglio l’opinione pubblica e adatta le sue linee di politica a essa quando necessario. L’impopolarità e l’instabilità politica della maggior parte dei governi occidentali odierni sono in parte spiegate dal fatto che l’opinione pubblica è stata sempre più ignorata dalla minoranza al potere, mentre le elezioni si sono trasformate in rituali “mediatizzati”.

Il sistema politico cinese non è amico della libertà, ma è stabile e popolare proprio perché, secondo un accademico cinese, il Partito Comunista Cinese cerca di “tastare il polso del pubblico nella governance e riflettere la volontà pubblica”. In Occidente c'è una notevole frustrazione derivante dal fatto che la priorità è sempre data ormai all'agenda politica dell'attuale oligarchia cosmopolita e finanziaria.

Sebbene l'opinione pubblica si basi in gran parte sul buon senso, soffre purtroppo della diffusa ignoranza in materia di politica ed economia. Stereotipi e confusioni sul libero mercato sono comuni, di conseguenza la maggioranza è stata a lungo influenzata dalle idee socialiste moderne di interventismo statale e socializzazione forzata.

Persiste un comune malinteso sulla causalità dei problemi sociali ed economici. Un esempio è il libero scambio che la maggior delle persone in Occidente non supporta, anche se le barriere commerciali agiscono come una tassa su di loro e avvantaggiano solo alcuni settori o imprese politicamente connessi. La maggioranza viene danneggiata quando lo stato aumenta i dazi per proteggere interessi speciali, ma quando è consapevole di questo fatto, non si oppone perché confonde i propri interessi con quelli della minoranza dominante.


“Come si possono limitare le persone?”

Non sorprende, quindi, se una larga parte dell'élite in Occidente, in particolare i leader aziendali non politici, siano piuttostofavorevoli al libero mercato e al libero scambio rispetto al resto della società. Queste persone riconoscono che il capitalismo di libero mercato non avvantaggia solo loro stessi, ma anche la società nel suo complesso.

Infatti uno studio di cinquant'anni di verbali delle riunioni a porte chiuse della Mont Pélerin Society mostra che i suoi membri spesso esprimevano preoccupazioni sul fatto che “le legislature democratiche tendono a sconvolgere il libero mercato” votando per sussidi di welfare e assistenza sociale. Si chiedevano quindi: “Come si possono limitare le persone?”, poiché “la classe politica tende a intervenire nell'economia, distorcendo, o persino distruggendo, il meccanismo di mercato”.

La questione della limitazione della democrazia è emersa perché le persone tendono a votare in modi contrari ai propri interessi a lungo termine, portando a stagnazione economica e declino sociale di cui alla fine sarebbero profondamente insoddisfatte. Questo è ovviamente un punto altamente rilevante per le società occidentali odierne.

Ciò a cui sono arrivati, per deduzione, quelli della Mont Pélerin Society è l'idea espressa da Hans-Hermann Hoppe nel suo libro Democracy: the God that Failed: la democrazia introduce nella società una tragedia dei beni comuni. La maggioranza spesso non vuole che la spesa pubblica venga tagliata, nonostante gli evidenti segnali di inefficienza burocratica ed economica. Tende a votare per ulteriori espansioni dello stato sociale, cosa che a sua volta porta a un aumento della tassazione e della ridistribuzione, e che, a sua volta, soffoca l'economia. Questa spirale continua se il carico fiscale della maggioranza è ritenuto inferiore al valore presunto dei sussidi e dei servizi sociali che riceve. L'immigrazione di massa intensifica questo processo, poiché il tipico immigrato povero in Occidente ha tutto da guadagnare e nulla da perdere da una simile strategia di voto.


La crescita dello stato

L'avvento dell'era “democratica” è quindi strettamente legato alla crescita drammatica dello stato fin dall'inizio del XX secolo. La democrazia contribuisce a questa crescita burocratica poiché la maggioranza vota per linee di politica che richiedono o giustificano uno stato più grande. Questo statalismo cancerogeno nella società può essere misurato da numeri fuori controllo: entrate fiscali, debito pubblico, spesa pubblica e dipendenti pubblici.

Nonostante la rabbia piuttosto sciocca della maggioranza, l'aumento della spesa pubblica non si traduce automaticamente in servizi pubblici migliori. Al contrario, secondo l'effetto Baumol il costo relativo dei servizi tende ad aumentare, soprattutto nei servizi non di mercato delle amministrazioni statali. E, secondo la Public Choice Theory, gli incentivi dei dipendenti statali per una gestione buona ed equa nell'interesse pubblico sono deboli, il che porta a sprechi e inefficienza nel migliore dei casi e a corruzione nel peggiore.

Sfortunatamente questi punti non sono ben noti alla maggioranza degli elettori, di conseguenza molte persone sottovalutano quanto effettivamente contribuiscono finanziariamente allo stato rispetto a quanto ne ricevono. C'è una sconsideratezza ingenua riguardo alle tasse regressive come l'IVA e l'inflazione. Nel 1845 Frédéric Bastiat aveva già colto questi punti quando considerava la tassazione come un furto: “Per derubare le persone è necessario ingannarle. Ingannarle significa persuaderle che le si sta derubando per il loro tornaconto e indurle ad accettare, in cambio della loro proprietà, servizi fittizi o spesso peggiori”.


Votare per scambiare la libertà con la sicurezza

Le società occidentali hanno progressivamente votato per rinunciare alla libertà in favore di una presunta sicurezza fornita dallo stato. Molti erano convinti che Herbert Marcuse avesse ragione quando scrisse che “la perdita di libertà economiche e politiche che erano il vero risultato dei due secoli precedenti può sembrare un danno lieve in uno stato in grado di rendere la vita amministrata sicura e confortevole”. Tuttavia, sebbene ciò possa sembrare vero per un breve periodo, la vita in una democrazia moderna non può essere “sicura e confortevole” a lungo termine a causa del “processo di decivilizzazione” descritto sopra.

La libertà di voto contribuisce ironicamente alla perdita di libertà economica nell'Occidente “democratico”. Questo processo va contro l'opinione prevalente di equiparare democrazia e libertà, pertanto questo processo è l'opposto delle presunte “contraddizioni intrinseche” del capitalismo di Marx: è l'interventismo statalista che porta a tensioni economiche e sociali e che spinge la società verso la crisi e persino il collasso.

Questo risultato diventa inevitabile quando a sempre più persone nella società viene impedite di progredire economicamente, quando non riescono più a sbarcare il lunario e quando si trovano ad affrontare una crescente insicurezza, servizi sociali in declino e infrastrutture in rovina. O gli effetti nefasti dell'interventismo statale, tragicamente rafforzati dal processo democratico, diventano chiari per la maggioranza, oppure la spirale discendente della distruzione della ricchezza e del declino sociale continuerà. Si spera che le idee di libertà diventino di nuovo attraenti e che i benefici del vero capitalismo vengano compresi, a patto che il fallimento della democrazia verrà finalmente svelato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La ricostruzione della credibilità e della fiducia: la risposta americana alla tentazione di “stampare troppo”

Freedonia - Ven, 29/11/2024 - 11:04

 

 

 

di Francesco Simoncelli

Iniziamo oggi con questa citazione del 2002 di Ben Bernanke:

Il governo degli Stati Uniti ha una tecnologia, chiamata stampante monetaria (e, oggi, il suo equivalente elettronico), che gli consente di produrre quanti dollari desidera, praticamente a costo zero.

La domanda è: ci si può fidare degli esseri umani affinché resistano alla tentazione di stampare troppo? La risposta fino a oggi è stata “no”. Questo esperimento mentale, però, non è nuovo dato che i sistemi monetari “cartacei” o “monopolistici” sono venuti e se ne sono andati molte volte. L'arrivo è sempre stato divertente, le persone avevano più da spendere; era l'“andare” a essere doloroso, spesso concludendosi con depressioni, guerre, o rivoluzioni. Dopo la prima guerra mondiale, ad esempio, la Germania si trovò ad affrontare enormi debiti di guerra. Passò alla cartamoneta senza copertura in oro. Nel 1923 ci volevano 4.210.500.000.000 di marchi per acquistare un dollaro. La Francia nel 1960, dopo anni di eccesso simili, dovette sostituire il vecchio franco con uno nuovo, a 100 a 1. Cina, Jugoslavia, Argentina, Zimbabwe, Libano: tutte catastrofi sociali, politiche e finanziarie.

L'inflazione in Germania portò a un malcontento così diffuso che la gente si scontrava per le strade; i nazionalsocialisti di Adolf Hitler vinsero quelle risse e presero il controllo del Paese. L'instabilità finanziaria della Russia portò alla Rivoluzione bolscevica nel 1917; l'inflazione cinese negli anni '40 portò al potere Mao. Il 15 agosto 1971, negli Stati Uniti, arrivò lo shock di Nixon. Il nuovo dollaro sembrava proprio come quello vecchio, ma non aveva più alla sua base una asset reale. La maggior parte degli economisti annuì in segno di approvazione, così come il resto della popolazione.

Il credito sempre più economico ha reso redditizio prendere in prestito e speculare come mai prima. Per quanto la flessibilità del nuovo sistema monetario abbia permesso al commercio mondiale di svilupparsi in accordo col dinamismo incalzate di un'economia sempre più interconnessa e una divisione del lavoro sempre più specializzata, il lato negativo è stata un'altrettanta facilità con cui gli investimenti improduttivi hanno potuto proliferare. Consumatori, aziende, investitori e stati si sono indebitati sempre di più; hanno comprato case più grandi, auto migliori, più aerei da combattimento e portaerei, fusioni e acquisizioni, dotcom, ecc. Una corruzione subdola ha infettato l'intero sistema finanziario: il nuovo denaro era un credito delle banche, non un asset. Chi poteva prenderlo in prestito a un prezzo più basso? Grandi istituzioni, grandi banche, grandi aziende e stati. È così che aziende come BlackRock sono state in grado di superare le famiglie e acquistare migliaia di case; potevano prendere in prestito a tassi d'interesse più bassi.

Galleggiando su una marea di tassi d'interesse ultra bassi, il debito sembrava quasi senza peso, ma più ci si allontanava dal mare, più era difficile tornare sulla terraferma. Oggi anche un tasso d'interesse poco al di sopra dello zero percento è devastante per la maggior parte delle economie, Europa in prima linea. L'elevata sensibilità che le varie economie dell'Eurozona hanno nei confronti di tassi d'interesse più alti da parte della BCE è direttamente proporzionale alle grida dei politici, in particolare italiani, affinché ci sia un'inversione di tendenza. Ecco, prendiamo un attimo come caso di studio l'Italia. Oggi il debito pubblico italiano è quasi di €3000 miliardi e il Ministero di economia e finanza, cercando di mantenere bassi i pagamenti del debito, sta scegliendo un debito a breve termine, ad esempio titoli di stato annuali anziché a 10 anni. Il risultato è che una parte maggiore del debito totale viene “valutata al mercato” ogni anno e diventa più sensibile ai tassi d'interesse. Ciò significa che la BCE non può più “salvare il sistema”. Non può permetterselo, c'è troppo debito. Invece il suo vero obiettivo non è eliminare l'inflazione bensì gestirla, “monetizzare il debito”, riducendone il valore reale con aumenti dei prezzi sostenuti. Ma per farlo l'inflazione deve essere superiore al tasso di creazione di nuovo debito. Attenzione, però, cercare di gestire l'inflazione è come cercare di controllare una festa di quartiere in un brutto quartiere... i proiettili potrebbero volare in qualsiasi momento.


CONCLUSIONI FUORVIANTI

Chi vince? Chi perde? Chi decide? C'è l'analisi superficiale, politica, e ci sono le analisi più profonde della storia, ovvero l'analisi megapolitica. In pubblico la BCE combatte l'inflazione; in privato la incoraggia. Se continuiamo a seguire l'esempio italiano, allora scopriamo, ad esempio, che negli ultimi 17 anni la spesa assistenziale è aumentata del 17% a fronte di un aumento del PIL del 20%. Diversamente dal settore privato, però, la cui natura adattativa permette di rompere i vincoli passati, creare nuovi equilibri e quindi rendimenti acceleranti, la natura di quello pubblico gli impedisce di seguire lo stesso percorso. Ecco perché la Legge dei rendimenti decrescenti verrà portata sino all'esasperazione, dove i rendimenti diventeranno talmente negativi da richiedere una correzione tramite rottura del sistema. Infatti possiamo immaginare un simile esito quando leggiamo che nella manovra economica la classe media verrà surclassata. Togliere linfa vitale alla classe media significa azzoppare la formazione di capitale a favore di una sua consumazione immediata per far girare gli ingranaggi di uno stato sociale ipertrofico. Il benessere temporaneo percepito dai poveri è passeggero perché misure fiscali simili scaraventano nella povertà anche coloro che dovrebbero creare la ricchezza della nazione, andando quindi a ingrossare le fila di chi poi avrà necessità delle elemosine di stato. Da chi si prenderà poi? Dai poveri, ovviamente, visto che la loro dimensione sarà aumentata. Per quanto controintuitivo possa sembrare questo pensiero, ma lo è solo per gli italiani, è spiegato egregiamente da Chodorov in due dei suoi libri migliori: La radice di tutti i mali economici e Avanzamento e declino della società.

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Se alla non discrezionalità dei pagamenti dello stato sociale, cruciali per il tacito consenso all'architettura dello stato nazionale e del super stato UE, ci aggiungiamo anche quella dello stato militare, allora la ricetta per il disastro è servita. pic.twitter.com/uGp580n0qi

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) November 15, 2024

Ma il dato più sconcertante e terrorizzante di tutti è quello della produzione industriale: 24 mesi di calo senza freni.

La fuga di capitali finanziari dall'Europa agli Stati Uniti. L'istantanea della "race to the bottom" è tutta qui. Se poi ci aggiungiamo anche la componente energetica (https://t.co/A78nTGMeW3), diventa più chiaro perché l'epicentro del Grande Default è l'Europa. https://t.co/aCw11JktS7

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) November 18, 2024

Tutte queste cose suggeriscono che l'ultima cosa di cui ha bisogno l'economia italiana è più credito facile. Attualmente i prezzi al consumo stanno ancora salendo, e non dimenticatevi che l'aumento dei prezzi al consumo è un fenomeno cumulativo, ciononostante gli economisti discutono su quale dato sia il più importante e se l'opinione generale penda verso ulteriori tagli dei tassi o meno.

Il lettore sprovveduto potrebbe trarre una conclusione completamente falsata: che la BCE ha il potere di far pendere la bilancia nella direzione che desidera. Potrebbe pensare che possa sempre controllare i tassi d'interesse e, con una saggezza che supera ogni comprensione umana, possa guidare l'economia lungo il percorso verso la prosperità e la crescita per sempre. Come? Inflazionando ordinatamente con denaro a basso costo quando necessario e tagliando lo stimolo quando la crescita e l'inflazione minacciano di sfuggirle di mano. Ma non è così che funziona, perché dietro queste chiacchiere da notiziario c'è una storia molto diversa, con un inizio e una fine... e una morale. La genesi è avvenuta negli anni '50 circa, come ho documentato nel mio ultimo libro Il Grande Default, quando il mercato dell'eurodollaro è stato avviato e sottoposto progressivamente a leva. Nel tempo il denaro ombra creato, in particolare durante la fase di tassia zero nel 2009-2021, ha portato le persone a prendere in prestito molto più di quanto avrebbero fatto altrimenti. Oggi il debito totale, quello di famiglie, aziende e stati, sorpassa di diverse volte il PIL mondiale.

Credo che riusciate a vedere già il problema: più alto è il debito, più guadagni correnti bisogna usare per pagare gli interessi. Ad esempio, con un interesse del 5%, un Paese dovrebbe usare quasi il 20% del suo PIL solo per pagare gli interessi mentre truffa la generazione successiva lasciando l'importo principale non pagato. Infatti il rovescio della medaglia del prestito è il rimborso. Ciò significa, soprattutto, ridurre i programmi di assistenza sociale e dal punto di vista politico è impossibile apportare un tale cambiamento; come un alcolizzato, il Paese dovrà prima “toccare il fondo”. Ciò lascia l'inflazione come unica vera opzione. I banchieri centrali lo sanno: devono aumentare il tasso di inflazione, non diminuirlo, in modo che il valore reale del debito pubblico scenda a un livello più gestibile. Ecco perché la Lagarde, ad esempio, insiste ancora sul fatto che la mossa successiva sarà quella di abbassare i tassi e “combattere il cambiamento climatico” con il pompaggio monetario. Non è affatto un caso che Powell non parli di queste scempiaggini e, quando si sono ritrovati fianco a fianco in una conferenza l'anno scorso, lui l'abbia gelata sull'argomento dicendo che il mandato della FED è solo quello della stabilità dei prezzi e della piena occupazione.

Le persone comuni potrebbero anche non volere prezzi più alti, ma le persone che contano sì.


IN VISTA DELLA BANCAROTTA, TUTTI VOGLIONO L'INFLAZIONE

Finora i detentori di obbligazioni pensano di potersi fidare della BCE per proteggere i loro soldi. Buona fortuna con questo pensiero. La BCE, così come la BOE, compra/vende titoli distato americani a breve termine per tenere basso il differenziale tra i rispettivi tassi. Entrambe le banche centrali sono impegnate in questo tipo di gestione piuttosto che in quella delle rispettive giurisdizioni.

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Cosa non si vede? Il tasso di rendimento italiano è rimasto al di sopra del tasso swap europeo, mentre gli altri hanno si oscillato, ma al di sotto di esso. Questo significa, a sua volta, che il BTP è lo strumento obbligazionario meno affidabile rispetto agli altri.

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) November 24, 2024

La BCE, così come tutte le banche centrali, è un cartello a salvaguardia delle grandi istituzioni della società e il suo scopo principale è assicurarsi che abbiamo quanti meno grattacapi possibile. Tutte le grandi istituzioni vogliono l'inflazione. Lo stato ne ha bisogno per ridurre il valore reale del suo debito attuale e consentirgli di continuare a confiscare la ricchezza della nazione. Le grandi imprese perché possiedono i beni della nazione e per quanto tassi d'interesse e deficit ultra bassi causino inflazione, fanno salire i prezzi delle loro azioni; inoltre i concorrenti emergenti non riescono a ottenere finanziamenti, quindi le piccole aziende falliscono, mentre le grandi vengono salvate oppure ottengono sussidi. Anche la stampa preferisce l'inflazione all'“austerità”: un modo per finanziare le guerre e gli sprechi che ama così tanto.

Tutti questi player vogliono sopravvivere e crescere, concentrando ricchezza e potere nelle grandi istituzioni delle élite al comando. Ma la vera chiave per per comprendere questo amore è una: non hanno altra scelta. TINA. Dal punto di vista politico, non c'è alternativa. Questi potenti gruppi non accetterebbero mai i drastici tagli necessari per ridurre il debito. Non se non rispettano le loro condizioni. In una crisi del debito disordinata è difficile conservare la propria autorità e influenza. Ma come in tutte le avventure essa deve finire affinché ne possa iniziare una nuova. La previdenza sociale e il sistema pensionistico stanno andando in rovina, il debito sta aumentando più velocemente di quanto l'inflazione possa ridurlo.

Tutto è partito dalla tassa di soggiorno. Nessuna resistenza? Si va avanti. Accettare una tale porcheria ha legittimato come consuetudine una progressiva erosione della libertà individuale e della ricchezza personale. Le finestre di Overton vengono aperte sempre da lontano... https://t.co/3zOXdkAdbD

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) November 23, 2024

L'unica opzione è l'inflazione, più inflazione, un'inflazione sostenuta a livelli sufficientemente alti da ridurre il valore reale del debito.


BITCOIN, TETHER E LO SVINCOLO STATUNITENSE

Non è un caso che questo articolo sia stato aperto da una citazione di Bernanke. Egli ha rappresentato uno di quegli accademici posto nel suo ruolo da amministrazioni politiche ben consapevoli di quale dovesse essere il loro compito: vandalizzare il bilancio degli Stati Uniti e tenere aperti i rubinetti monetari dell'eurodollaro affinché i pasti gratis fossero infiniti per tutti... tranne gli stessi Stati Uniti che invece venivano spogliati di capitale finanziario e umano. Così è stata venduta l'illusione che l'euro potesse competere contro il dollaro sui mercati internazionali e che la Cina potesse diventare un punto di riferimento industriale nel mondo. Su questa scia “stampare troppo” è diventata una questione di grado, dove l'asticella poteva essere spostata sempre più in alto grazie a verbose figure accademiche pronte a giustificare una simile azione. Per non parlare della stampa finanziaria, prevalentemente un megafono della linea di politica inglese.

Ecco che figure come Greenspan, Bernanke e Yellen si sono avvicendate alla presidenza della FED, ma in realtà è sempre rimasta una linea di politica: non esisteva un “troppo” quando si stampava. La distensione post-anni '80 e '90 è stata dovuta all'internazionalizzazione totale dell'eurodollaro (compresa la Cina) e ha una fiducia cieca che i saldi ombra potessero andare a braccetto con la progressiva esoticità dei prodotti finanziari sfornati dai mercati finanziari. Il 2001, prima, e il 2008, poi, hanno dimostrato invece che la saturazione dei bilanci è un processo che guadagna velocità quando tale processo aveva raggiunto un punto critico in precedenza e per “mettere la polvere sotto i tappeti” si amplia la platea di coloro che possono fornirne di puliti (relativamente) da saturare. La gigantesca bolla immobiliare cinese è stata gonfiata in questo modo, tenuta gonfia poi emettendo i wealth management product (WMP). Anche il sogno europeo, un continente irreggimentato attraverso la burocrazia, è stato venduto alle folle come qualcosa di realizzabile e in netta rottura rispetto all'organizzazione identica  dell'URSS.

Come ho documentato nel mio ultimo libro, Il Grande Default, le tensioni militari e i giochi geopolitici sono derivati entrambi dal dissesto economico/finanziario alimentato dall'overleveraging del mercato dell'eurodollaro. La saturazione dei bilanci a tutti i livelli, l'impossibilità di effettuare saldi credibili nell'interconnessione finanziaria moderna e la scalata ostile nei confronti degli USA hanno generato una sfiducia progressiva che è culminata col disastro della Lehman. Le prime avvisaglie s'erano già viste con Bear Stearns. Ma, come già detto poco sopra, il compito degli accademici alla presidenza della Federal Reserve era spazzare lo sporco sotto i tappeti... o per meglio dire nel bilancio statunitense. Più che il denaro di riserva mondiale, lo zio Sam era diventato il bilancio di riserva mondiale in cui tutti gli altri player vi scaricavano i loro guai. Una situazione, questa, garantita dall'indicizzazione dei debiti mondiali al LIBOR. Anche se gli USA potevano, ad esempio permettersi, tassi d'interesse più alti durante una fase di rialzo degli stessi, l'ancoraggio indiretto all'Europa tramite il LIBOR garantiva che problemi economici di quest'ultima sconquassassero i primi.

I vari giri di quantitative easing sono stati un tentativo di ristabilire una fiducia che è andata man mano perdendosi in un sistema andato praticamente fuori controllo. L'enorme quantità di titoli tossici che circola over the counter è la sola cosa che preoccupa gli amministratori delegati e i consigli di amministrazione dei vari istituti finanziari, bancari e non. Ecco perché, ad esempio, nel 2019 gli USA hanno detto che il mercato dei pronti contro termine interno avrebbe accettato come garanzie collaterali solo i titoli di stato americani. La crisi del settembre 2019, la successiva crisi sanitaria e la crisi militare ora sono risposte di coloro che, per decenni, hanno prosperato con i pasti gratis dell'eurodollaro e che in quel momento si vedevano sfuggire una fonte “sicura” di finanziamenti. Gli USA, sin dal 2022, stanno lavorando per ricostruire quella fiducia, ma solo nei loro mercati finanziari; l'Europa e l'Inghilterra, spogliate di capitali finanziari ed energia a basso costo, sono costrette a parassitare il proprio bacino di ricchezza reale (rimanente) pur di sopravvivere alla prova del tempo e della storia.

La ricostruzione della fiducia nei mercati statunitensi rappresenterà, poi, un asso nella manica non indifferente al tavolo dei negoziati. La Feederal Reserve, così come il sistema bancario commerciale americano, stanno strangolando lentamente gli altri player che in passato hanno cercato di soverchiare la loro sovranità. Anche perché il motto delle istituzioni pubbliche resterà sempre uno: “Non agitare le acque”. Un crollo verticale e repentino dell'UE, ad esempio, non giova agli affari, nemmeno a quelli statunitensi; meglio un dissesto e una disgregazione lenti e progressivi. Questa agonia strisciante la si può percepire vistosamente nel declino della Germania. Questo tempo ha permesso agli USA di mettere ordine nelle proprie cose, mentre l'Europa l'ha usato per raddoppiare la dose di burocrazia e rapacità nei confronti del risparmio privato europeo. L'unica preoccupazione adesso dell'UE è quella dell'integrazione fiscale e dell'emissione comune di bond sovrani, senza di essi è finita.

Privata sia di capitali finanziari a basso costo che di energia a basso costo, la fiducia nel continente europeo vuole essere ricreata attraverso il controllo capillare e il trasferimento progressivo delle varie sovranità nazionali a Bruxelles. L'idea, infatti, è quella di perorare la causa di una formazione di capitale a livello pubblico.

La fuga di capitali finanziari dall'Europa agli Stati Uniti. L'istantanea della "race to the bottom" è tutta qui. Se poi ci aggiungiamo anche la componente energetica (https://t.co/A78nTGMeW3), diventa più chiaro perché l'epicentro del Grande Default è l'Europa. https://t.co/aCw11JktS7

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) November 18, 2024

Soluzione diametralmente opposta scelta dagli Stati Uniti, che invece seguiranno il percorso classico di una formazione di capitale a livello privato. Adesso che Washington ha messo ordine nella politica monetaria, e si accinge a farlo anche in quella fiscale, la dollarizzazione di una qualsiasi economia rappresenterà, a cascata, un passo deciso verso la stabilità finanziaria. Soprattutto ora che c'è stato un netto spostamento verso un'emancipazione dal mercato dell'eurodollaro. Questo singolo fatto sta facendo salire il DXY in rapporto a tutte le altre divise: ora se qualcuno ha fame di dollari, come la Cina che di recente ha emesso in Arabia Saudita obbligazioni denominate in dollari, deve fare i conti con la possibilità concreta che un indice del dollaro a 120 punti, ad esempio, possa strozzare qualsiasi ingegneria finanziaria al di fuori della nazione. Siamo in una fase di transizione attualmente e in tutte le fasi del genere c'è apertura negoziale così come mosse audaci per spingere alla trattativa le controparti. E quest'ultima è possibile solo se si sta vincendo la guerra economica. Agli Stati Uniti, infatti, sta bene che il resto del mondo voglia proseguire la strada della “de-dollarizzazione”, visto che questa in realtà è caratterizzata dalla vendita di titoli sovrani statunitensi per sostenere i tassi di cambio delle varie divise mondiali (yuan in primis) e di concreto non ha niente. Perché? Perché per la prima volta nella loro storia economica, gli USA stanno davvero dettando la linea: hanno il mercato dei capitali più liquido e il collaterale più solido.

Quest'ultimo fatto è rafforzato dalla volontà di legare Bitcoin al proprio mercato finanziario. Bitcoin, insieme all'oro, è l'anello mancante in quella catena che serve a ricostruire la fiducia e la credibilità economica che è andata persa sin dal 2008. La cinghia di trasmissione sarà Tether, asset che darà (indirettamente) stabilità a Bitcoin. Una dopo l'altra tutte le stablecoin ancorate al dollaro sono state uccise, tutte tranne Tether. Dopo l'indagine che ha sentenziato trasparenza nei bilanci della società, Tether è stato lasciato in pace. Non faccio fatica a credere che, essendo già utilizzato come volano di riferimento per il mondo delle criptovalute, diventerà il punto di raccordo col mondo legacy e interfaccia principale col mondo istituzionale. Gli esperimento col dollaro non si fermeranno qui, ma non vedremo una CBDC negli USA; molto probabilmente una concorrenza tra valute emesse dalle singole banche e che avranno tutte come punto di saldo il dollaro. In questo modo si donerà automatismo all'economia statunitense e la si potrà liberare dai ceppi instabili della stampa scriteriata di denaro. Così come la dollarizzazione dell'economia argentina, un “esperimento di laboratorio” statunitense, rappresenterà un modo per impedire ai governi futuri di sconquassare nuovamente i progressi fatti nella giusta direzione dall'amministrazione Milei, la bitcoinizzazione dell'economia americana rappresenterà un modo per impedire ai governi futuri di sconquassare nuovamente i progressi fatti nella giusta direzione dalla presidenza Powell.

L'obiettivo di lungo termine dovrebbe essere quello di riportare la Federal Reserve a essere quello che era quando venne istituita nel 1913, così come se la immaginò lo stesso Carter Glass: un “guardiano passivo”. L'automazione indiretta della politica monetaria tramite oro e Bitcoin, oltre a rispondere alla domanda che ci siamo posti all'inizio di questo pezzo, incarna la possibilità concreta di arrivare un giorno a sbarazzarsi completamente del sistema bancario centrale.


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Bitcoin: il gold standard dell'era digitale

Freedonia - Gio, 28/11/2024 - 11:00

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Michael Matulef

La natura del denaro è una delle questioni più inesplorate e vitali nella società moderna. Nel corso della storia diversi sistemi monetari sono sorti e sono caduti con il progredire della tecnologia e l'emergere di nuove forme di denaro superiori a quelle precedenti. Per aiutarci a comprendere questo fenomeno, dobbiamo porci la seguente domanda: “Chi controlla il libro mastro?” Mentre esploriamo la storia tecnologica del denaro e le sue varie incarnazioni, dal credito sociale ai sistemi coperti da merci, comprenderemo in che modo il controllo sul libro mastro monetario influisce sulla libertà individuale, sulla prosperità economica e sulla prosperità umana.

Diversi autori della Scuola Austriaca, come Carl Menger, Ludwig von Mises e molti altri, hanno scritto sulla funzione del denaro. In sostanza, esso consente lo scambio indiretto come mezzo per facilitare le transazioni. Nelle piccole comunità i sistemi di credito sociale possono regolare le risorse tramite lo scambio diretto; man mano che queste comunità crescono, lo scambio indiretto tramite denaro diventa essenziale. L'espansione della divisione del lavoro e della specializzazione richiede calcoli economici più complessi e la crescente sofisticazione dei desideri richiede transazioni indirette tra parti distanti. Lo scambio diretto si basa sulla fiducia e la familiarità tra le controparti, cose che vengono via via a mancare man mano che aumentano le dimensioni. Il denaro è nato per consentire alle comunità in crescita di raccogliere i benefici dell'espansione economica attraverso lo scambio indiretto. Senza denaro sano/onesto, la produttività e la specializzazione non possono essere coordinate in modo efficace. La Scuola Austriaca riconosce quanto sia fondamentale il quadro monetario in un'economia in evoluzione.

Alcune merci finiscono per essere selezionate come denaro all'interno delle economie di mercato in base alle loro proprietà monetarie. Detto in altri termini, il bene più vendibile, che ha il più basso tasso di utilità marginale decrescente, verrà scelto per facilitare il commercio indiretto. Le proprietà monetarie primarie (scarsità, durevolezza, portabilità, divisibilità, fungibilità e verificabilità) lasciano il posto alla vendibilità dei beni nel tempo e nello spazio. Conchiglie, perline, argento e oro sono tutti esempi di diverse merci che sono state utilizzate come diversi mezzi di scambio in base ai rispettivi punti di forza nelle sopraccitate proprietà monetarie.

Lyn Alden, nel suo recente libro Broken Money: Why Our Financial System is Failing Us and How We Can Make it Better, riesamina la questione di cosa sia il denaro attraverso la sua teoria del libro mastro:

La teoria del libro mastro osserva che la maggior parte delle forme di scambio vengono migliorate dall'avere un'unità di conto vendibile che può essere detenuta e trasferita sia nel tempo che nello spazio, e che questa implica l'esistenza di un libro mastro, letteralmente o in astratto. Le unità monetarie e il libro mastro che le definisce si basano su amministratori umani o su leggi naturali per mantenere la loro stabilità nel tempo e nello spazio.

Attraverso questa lente possiamo rispondere all'annosa questione di Cosa ha fatto lo stato al nostro denaro? La natura ingombrante dell'oro fisico come mezzo di scambio ha portato all'adozione della cartamoneta e, infine, della moneta fiat non più coperta da materie prime. Conservare, trasportare e verificare l'oro puro per le transazioni è diventato poco pratico man mano che le economie crescevano e si sviluppavano tecnologicamente. Il peso dell'oro e il rischio di furto hanno reso costoso lo stoccaggio; la verifica della purezza era difficile per il commercio quotidiano; trasportare oro per grandi transazioni era rischioso. La cartamoneta forniva un sostituto più leggero e portabile per l'oro, più pratico per lo scambio. Tuttavia dipendeva ancora dalle autorità centrali che garantivano riserve auree adeguate per mantenere la convertibilità. Ciò limitava la politica monetaria, poiché l'espansione della valuta era limitata dalle scorte di oro. Nel tempo i vincoli della convertibilità dell'oro frustrarono stati e banche centrali e la sua sospensione nel 1971 consentì un maggiore controllo sulla massa monetaria e sui tassi d'interesse, fornendo maggiore flessibilità politica. Ma senza la copertura delle materie prime, la moneta fiat comporta maggiori rischi di inflazione, iperinflazione e altre esternalità negative. La Alden ce lo spiega bene:

La tecnologia dei sistemi bancari e delle banconote cartacee in vari tagli coperte dall'oro ha migliorato l'effettiva divisibilità dell'oro. E poi, oltre a scambiare carta, le persone potevano “inviare” denaro tramite linee di telecomunicazione ad altre parti del mondo, utilizzando le banche e i loro registri come intermediari di custodia. Questo era il gold standard, la copertura delle valute cartacee e dei sistemi di comunicazione finanziaria con l'oro.

Per un sistema bancario coperto dal metallo giallo, l'unica parte del registro di cui i singoli utenti hanno il controllo sono le monete di metallo che hanno in tasca, e per questo si affidano alle proprietà del metallo stesso per conservare l'integrità del registro. Una volta che consegnano le monete al sistema bancario, iniziano a fare affidamento su una gerarchia di altre persone per controllare il loro denaro.

Nel contesto della teoria del libro mastro della Alden, l'offerta di oro è controllata dalla natura e dalle leggi naturali. La moneta fiat, al contrario, è controllata dall'amministrazione umana e inequivocabilmente dallo stato. Questa spiegazione è la semplice risposta a ciò che quest'ultimo ha fatto al nostro denaro: ha preso il controllo del libro mastro monetario sottraendolo alla legge naturale e ha utilizzato quel potere per facilitare la sua crescita metastatica. Inoltre ha esercitato questo controllo come uno dei suoi privilegi di monopolio esclusivo. Come sostenitori del libero mercato, dei diritti di proprietà individuale e del diritto all'autodeterminazione, nulla è più imperativo ai nostri tempi che separare il denaro dallostato. Il grande Friedrich A. Hayek, che sosteneva la denazionalizzazione del denaro, affermò:

Non credo che avremo mai più una buona forma di denaro se prima non lo togliamo dalle mani dello stato; non possiamo toglierla violentemente dalle sue mani, tutto ciò che possiamo fare è introdurre qualcosa, in modo subdolo e indiretto, che non possa fermare

Negli ultimi 15 anni c'è stato Bitcoin e ha continuato a svilupparsi in un modo subdolo e indiretto che Hayek aveva ipotizzato. Un sistema di contabilità decentralizzata che utilizza firme digitali crittografate per rafforzare il concetto di scarsità digitale, Bitcoin, come unità monetaria, rappresenta un bene al portatore nativo digitale, un concetto veramente rivoluzionario. Nel contesto della teoria del libro mastro della Alden, ella scrive:

L'oro è stato a lungo utilizzato come forma di difesa e risparmio, ma non è una forma di denaro transazionale utile nell'era digitale. La rete Bitcoin presenta un'alternativa più nuova e veloce, dove nessuno può creare bitcoin gratuitamente e quindi nessuno ha il potere del signoraggio.

Bitcoin colma il divario di velocità tra transazioni e regolamenti. Sin dall'invenzione e dall'implementazione dei sistemi di telecomunicazione intercontinentali nella seconda metà del XIX secolo, le transazioni sono state in grado di muoversi in tutto il mondo alla velocità della luce, mentre il denaro al portatore, scarso e auto-custodito (ad esempio, l'oro), poteva essere trasportato e verificato solo alla velocità della materia. Questo divario di velocità ha aperto un'enorme opportunità di arbitraggio per banche e stati, perché ha dato loro monopoli di custodia su pagamenti rapidi a lunga distanza. Bitcoin rappresenta il primo modo per regolare il valore scarso alla velocità della luce.

Mentre la politica può avere un impatto sul modo in cui interagiamo con il denaro a livello locale e temporaneo, è la tecnologia che ha un impatto sul modo in cui interagiamo con il denaro a livello globale e permanente. Con l'avvento di nuove tecnologie, alcuni tipi di registri diventano obsoleti e si estinguono, mentre nuovi tipi di registri nascono e diventano necessari. Ecco perché le nuove forme di denaro tendono a essere adottate ovunque, piuttosto che solo a livello locale. Con l'industrializzazione del mondo, l'oro ha prevalso su ogni altra merce; poi, con l'aumento della connessione del mondo tramite sistemi di telecomunicazione, le valute fiat hanno sostituito l'oro in ogni Paese. Ora che la scarsità digitale e la liquidazione digitale esistono come nuove forme di tecnologia, s'è di nuovo venuta a creare un'apertura per una nuova era monetaria.

Oggi l'uso di Bitcoin è principalmente quello di riserva di valore. Una possibile spiegazione è la Legge di Gresham, la quale afferma che quando due forme di valuta hanno lo stesso valore nominale, quella percepita come meno preziosa circolerà di più, mentre quella più preziosa verrà accumulata. Ciò aiuta a spiegare il ruolo attuale di Bitcoin: la sua offerta limitata e la sua valutazione volatile lo rendono “denaro buono” da detenere come asset, mentre le valute fiat con un valore percepito inferiore rimangono il mezzo di scambio comune. Tuttavia lo status monetario di Bitcoin potrebbe evolversi se aumentasse l'adozione.


CONCLUSIONE

Studiare la storia monetaria rivela che l'evoluzione del denaro riflette i progressi della tecnologia. Le società hanno selezionato diversi mezzi monetari in base alla forza delle loro proprietà monetarie, ovvero la loro vendibilità nel tempo e nello spazio. Esaminare chi controlla il registro per ogni sistema monetario fornisce utili informazioni: le leggi naturali governavano il registro di materie prime come l'oro, tuttavia l'avvento delle telecomunicazioni ha consentito alle transazioni finanziarie di avvenire molto più rapidamente rispetto alla liquidazione dei pagamenti in oro fisico. Ciò ha evidenziato i limiti del suo uso come denaro nell'era digitale, di conseguenza le società hanno adottato monete cartacee e digitali basate sul credito con registri controllati dall'amministrazione umana piuttosto che dalle leggi naturali. Nel tempo lo stato ha preso il controllo di questi registri, espandendo la sua autorità manipolando le valute fiat e rimuovendo completamente il loro legame dall'oro. Per contrastare la crescita incontrollata del potere statale, dobbiamo tornare a una moneta sana/onesta ancorata a una riserva di valore affidabile, con un registro che non può essere manipolato dallo stato. Utilizzare l'oro fisico come mezzo di scambio non è più pratico in un mondo sempre più digitale, pertanto deve essere sviluppata un'alternativa monetaria resistente alla censura per separare il controllo del denaro dallo stato. Negli ultimi 15 anni il registro pubblico distribuito di Bitcoin si è rivelato un affascinante esperimento nel campo del denaro digitale decentralizzato. A differenza delle valute tradizionali, il registro di Bitcoin non è controllato da una singola entità, invece si basa su una rete di individui che eseguono volontariamente il software Bitcoin per raggiungere un consenso sul protocollo. Questo approccio decentralizzato consente al mercato di decidere sulle proprietà della rete e delle unità monetarie. In definitiva, il mercato determinerà se Bitcoin è il più adatto come mezzo di scambio per l'umanità nel mondo digitale. Una domanda che dovremmo porci è questa:

Come sarebbe se una forma di denaro globale, digitale, solido, aperto e programmabile partisse da zero e diventasse ampiamente accetato come mezzo di scambio?

[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Dare vita alla “libertà”

Freedonia - Mer, 27/11/2024 - 11:09

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Barry Brownstein

Helen Keller perse la capacità di sentire e vedere prima di aver compiuto due anni. Nella sua autobiografia raccontò che acqua fu una delle prime parole che imparò: “Continuai a emettere suoni cercando di replicare foneticamente quella parola dopo che ogni altro linguaggio era andato perduto”. Il suo “desiderio di esprimersi” rimase forte nonostante le sue disabilità.

Poco prima di compiere sette anni la sua capacità di espressione fece un balzo in avanti grazie all'arrivo del'insegnante Anne Sullivan. Fu un giorno significativo che avrebbe plasmato il suo futuro. Frustrata dagli sforzi persistenti della Sullivan, la Keller distrusse la sua nuova bambola; dopo quello sfogo non c'era “tenerezza” e nessun sentimento di “dispiacere o rimpianto”.

La Sullivan portò la Keller fuori al pozzo e “mise la mano sotto il beccuccio”. Il punto di svolta avvenne quando la Sullivan scrisse acqua sulla sua mano:

All'improvviso sentii tornare una consapevolezza di qualcosa di dimenticato, un brivido di pensiero che tornava; compresi il mistero del linguaggio. Capii allora che “a-c-q-u-a” significava quel meraviglioso qualcosa di fresco che scorreva sulla mia mano. Quella parola viva risvegliò la mia anima, le diede luce, speranza, gioia, la liberò! C'erano ancora delle barriere, è vero, ma barriere che col tempo potevano essere spazzate via.

In quel momento tutto cambiò. Pianse e provò “pentimento” per la bambola che aveva rotto. Imparò rapidamente molte parole nuove e “per la prima volta desiderò ardentemente che arrivasse un nuovo giorno”. La Keller definì quel giorno del 1887 il suo “improvviso risveglio dell’anima”.

La libertà è una parola viva per voi e per le persone che conoscete? Una “parola viva” liberò la Keller, può fare lo stesso per noi? Come possiamo rendere la libertà una parola viva, anziché un semplice slogan da accantonare quando non è conveniente? Prima di spiegarlo, vorrei condividere un'altra storia.

Il noto economista Russell Roberts nel suo ultimo libro, Wild Problems, racconta la storia della decisione di Charles Darwin di sposarsi. Il processo decisionale di Darwin è familiare alla maggior parte di noi: creò una lista che soppesava i pro e i contro del matrimonio. Roberts riportò quel banale elenco e osservò che esso “ci dice di più su Darwin che sul matrimonio. La sua lista di pro e contro, in particolare i pro, è la lista che farebbe qualcuno che non si è mai sposato e non comprende il lato positivo della vita interiore di un uomo sposato”.

Nella sua immaginazione Roberts riflettè su come avrebbe potuto informare gentilmente Charles Darwin che la sua lista di pro/contro era insufficiente. Come tutti noi “Darwin era all'oscuro del futuro [...] Darwin era anche all'oscuro di quanta oscurità lo circondasse”.

Quando siamo pieni di idee sbagliate, non possiamo sapere ciò che non sappiamo. Decisioni come il matrimonio, scrisse Roberts, “vi cambieranno in modi che non potete immaginare, incluso ciò che vi interessa e ciò che vi porta gioia o tristezza, dolcezza o malinconia, sole o ombra”. Eppure Darwin stava vedendo la sua decisione attraverso una lente “esclusivamente personale”.

Roberts scrisse che “non c'è nulla nell'elenco di Darwin sulla devozione verso un altro essere umano o sull'amore”. Avrebbe voluto che Darwin capisse che il matrimonio avrebbe arricchito la sua vita quotidiana, essendo lui “ignorante” di questo potenziale.

Roberts pose ai suoi lettori due domande profonde: “Quale 'voi' dovreste prendere in considerazione quando decidete cosa è meglio per voi? Il voi attuale o il voi che diventerete?"

La storia di Darwin è pertinente alla nostra situazione attuale. Quando il concetto di libertà manca di significato, i suoi benefici sono al di là della nostra portata.

Come Darwin, potremmo ritrovarci bloccati se ci concentrassimo esclusivamente sui pro e contro della libertà per noi stessi. Per quanto apprezziamo alcuni dei vantaggi della libertà, potremmo preoccuparci di cosa accadrà se lo stato usa il suo potere per costringere gli altri a nostro discapito.

La libertà è viva nei cuori e nelle menti dei dipendenti o degli azionisti della Pfizer? Il modello di business della Pfizer dipende in parte dallo stato che promuove i suoi prodotti e protegge l'azienda da responsabilità legali. Sto usando questa azienda in particolare come simbolo di clientelismo.

Se la libertà di scelta della scuola rappresenta un rischio per la loro professione, a cosa serve la libertà per un membro del sindacato degli insegnanti in una scuola con scarsi risultati?

Potrei continuare, ma spero abbiate capito il punto. Attraverso i miei occhi la libertà sembrerà avere pro e contro. Come Darwin, potremmo essere preoccupati di ciò che sacrifichiamo senza cogliere i benefici trasformativi della libertà.

Se ci liberassimo dalla nebbia del “cosa ci guadagno?” potremmo forse trasformare la libertà in una parola viva?

Per una prospettiva più ampia, c'è bisogno che la filosofia morale impregni la nostra comprensione ed esperienza della libertà.

Nella sua “Lettera dalla prigione di Birmingham” del 1963, Martin Luther King si rivolse al filosofo Martin Buber per spiegare perché la segregazione “non è solo politicamente, economicamente e sociologicamente infondata, ma è anche moralmente sbagliata e peccaminosa”.

Nel suo celebre libro, I and Thou, Buber delineò due mentalità che guidano le nostre interazioni umane: “Io-tu” e “Io-esso”.

La dicotomia di Buber è istruttiva perché ne comprendiamo istintivamente il significato. Considerando le persone come “essi”, ai nostri occhi diventano oggetti che possono assistere od ostacolare il nostro progresso. Come trattiamo le persone quando non fanno nulla per noi in cambio? Un oggetto non è considerato come qualcosa di vivente. Al contrario, quando vediamo un altro individuo come tu, rispettiamo la sua umanità come facciamo con la nostra.

Applicando la filosofia morale di Buber, King scrisse: “Una legge ingiusta è un codice che non è in armonia con la legge morale [...] che non è radicato nella legge eterna e naturale”.

King ci fornì una regola concreta: “Una legge ingiusta è un codice che una maggioranza impone a una minoranza e che non è vincolante per sé stessa [...]. Una legge giusta è un codice che una maggioranza costringe una minoranza a seguire e che essa stessa è disposta a seguire”.

Spiegò che la segregazione era moralmente sbagliata perché “finisce per relegare le persone allo stato di oggetti. Quando scrisse “la segregazione distorce l'anima e danneggia la personalità”, non stava solo scrivendo delle vittime della segregazione, ma stava spiegando come la segregazione “dà al segregatore un falso senso di superiorità e al segregato un falso senso di inferiorità”.

Anche C. Terry Warner, un filosofo americano contemporaneo, è stato fortemente influenzato da Buber. Nel suo libro, Bonds That Make Us Free, Warner ha scritto: “Il tipo di persone che siamo non può essere separato da come interpretiamo il mondo che ci circonda [...]. Chi siamo è come siamo in relazione agli altri”.

Troveremo la nostra umanità o la perderemo a seconda dei valori che usiamo per vedere gli altri.

La lente Buber/King/Warner fornisce uno strumento istruttivo attraverso cui comprendere un risultato della politica: l'uso del potere coercitivo danneggia sia chi è costretto sia chi costringe.

Il risveglio della Keller avvenne quando trascese la sua prospettiva ristretta; solo allora trovò il suo scopo nella vita. Darwin si sposò e lui e sua moglie ebbero dieci figli.

La libertà prende vita quando lasciamo andare la nostra lista di pro/contro e la abbracciamo pienamente per il bene della nostra anima? Affidarsi semplicemente ai benefici economici non sarà sufficiente ai sostenitori della libertà per convincere gli altri che, attraverso di essa, le loro vite saranno trasformate e arricchite.

Warner ha scritto: “La nostra bontà intrinseca ha a che fare con la nostra capacità di rispettare e riverire gli altri”. Quando riveriamo gli altri, smettiamo di costringerli; mentre lo facciamo, troviamo la nostra bontà. Trovando la nostra bontà, la libertà diventa per noi una parola viva.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il futuro dell'oro dipenderà dalla Cina

Freedonia - Mar, 26/11/2024 - 11:06

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di Brendan Brown

È difficile esagerare l'importanza della Cina nel futuro dell'oro, anche se la relazione non è monocausale. L'attuale corso di Pechino sia in politica economica che geopolitica da quando la sua gigantesca economia in bolla si è trasformata in bust, a partire dal 2020 circa, ha avuto un impatto enorme sulla performance super-forte dell'oro. Al contrario, se il bust dovesse in qualche modo innescare un trionfo della libertà economica e politica in Cina, un continuo aumento dell'oro dipenderebbe, molto probabilmente, da un ulteriore crollo della fiducia generale nella moneta fiat.

Le radici della dipendenza dell'oro dalla Cina non figurano affatto nell'analisi convenzionale dell'FMI, soprattutto alla luce degli “investimenti sbagliati” in tal Paese. Secondo suddetta analisi l'enorme perdita di ricchezza privata, corrispondente all'improvvisa obsolescenza economica di 80 milioni di appartamenti vuoti, ha causato un forte aumento del surplus di risparmio nel settore privato della Cina, ponendo una doppia minaccia di deflazione: interna e squilibrio commerciale con il resto del mondo.


I mercati sono la soluzione

Come ridurre questa minaccia (secondo l'FMI)? I policymaker di Pechino devono scatenare un gigantesco stimolo fiscale e monetario. E non devono intraprendere azioni che alimenterebbero un surplus commerciale cinese sempre più grande sulla scia dello scoppio della bolla.

La premessa di queste prescrizioni è sbagliata, dato che non lascia spazio alla proverbiale mano invisibile. Sì, la rivelazione di investimenti sbagliati va di pari passo con una perdita diffusa di benessere percepito in Cina e ciò significa in primo luogo un'intorpidimento della spesa al consumo. La mano invisibile, in un'economia di mercato ben funzionante con moneta sana/onesta, incentiva nuova spesa in conto capitale nel bel mezzo della distruzione dello stesso.

Un calo dei saggi salariali in settori importanti dell'economia, accompagnato da un ampliamento delle opportunità di profitto percepite, porta a una ripresa degli investimenti aziendali, molti dei quali in nuove aree di attività. Il bust, e la conseguente cancellazione dello stock di capitale, significa che la Cina tornerebbe nella lista delle economie di mercato emergenti, dove il capitale è più scarso come fattore di produzione. In questa situazione attirerebbe maggiori afflussi di capitale con una controparte in surplus commerciali più piccoli o persino deficit commerciali.

Più in generale, in un'economia cinese post-bolla e con moneta sana/onesta, molti prezzi di beni e servizi scenderebbero ben al di sotto del loro percorso di lungo periodo, incentivando individui e aziende ad anticipare la spesa. I keynesiani che denigrano la “deflazione” non riescono a unire questi puntini e invece accolgono con favore gli aumenti dei prezzi, sintomatici invece di nuove restrizioni all'offerta.

Ci sono pochi indizi che la proverbiale mano invisibile del mercato operi in Cina nei modi descritti. Gli investitori stranieri, soprattutto negli Stati Uniti, sono altamente avversi al rischio per quanto riguarda l'investimento di capitale nell'economia cinese post-crisi, sia a causa dell'atteggiamento ostile di Pechino, sia per paura delle azioni delle autorità statunitensi.


Il regime cinese vede una maggiore inflazione come soluzione

In considerazione delle effettive restrizioni estere alla crescita delle esportazioni cinesi e dei gravi ostacoli a una ripresa spontanea degli investimenti aziendali, i policymaker di Pechino vedono solo una possibile via d'uscita dalla crisi economica: un aumento della spesa statale pagata tramite una tassazione camuffata (inflazione e repressione finanziaria).

La prospettiva di una probabile inflazione diventa ancora più forte se prendiamo in considerazione la stretta sui redditi reali in Cina dovuta all'intensificarsi della guerra economica contro gli Stati Uniti. Redditi ridotti senza una solida speranza di miglioramento in vista contribuiscono al malcontento socio-politico. La gerarchia a Pechino lo contrasterà con il cosiddetto stimolo monetario o con misure di economia pianificata.

Non c'è da stupirsi se i risparmiatori cinesi vedano l'oro come un rifugio sicuro, molto più del dollaro. I risparmiatori cinesi, come altri risparmiatori stranieri, sono anche consapevoli che gli Stati Uniti agiranno, ove possibile, contro gli istituti di deposito locali sospettati di finanziare attività proibite (ad esempio, aiutare l'economia russa). Sì, c'è la possibilità di cercare rifugio nello spazio digitale delle criptovalute, sebbene questo sia stato oggetto di divieti in Cina per molti anni.


Una rete di “bullion bank” con sede in Cina?

Le autorità cinesi non hanno problemi con la “fuga verso l'oro”, dove i settori privato e governativo detengono il metallo giallo in misura maggiore rispetto a qualsiasi altra nazione, compresi gli Stati Uniti; le partecipazioni totali private e statali arrivano fino al 15% dello stock aurifero estratto in tutto il mondo. Forse puntano sul fattore psicologico: detenere oro è sinonimo di benessere per il cittadino comune e questo potrebbe smorzare il malcontento socio-politico.

È possibile che le autorità cinesi possano portare la loro sponsorizzazione dell'oro come porto sicuro a un livello superiore: tollerare o addirittura incoraggiare la crescita di una rete di pagamenti basata sull'oro. Infatti ciò consisterebbe in istituti di custodia che emettono certificati di deposito con un'elevata copertura obbligatoria in oro fisico (anche il 100% per i certificati più sicuri). Questa rete di pagamenti potrebbe estendersi a Paesi amici della Cina (che rifiutano di schierarsi con gli Stati Uniti nella politica commerciale), molti dei quali facenti parte dei mercati emergenti. Shanghai sarebbe il probabile punto di consegna in questa rete per l'oro fisico.


Le opzioni limitate del Giappone

Per ovvie ragioni, in quanto alleato degli Stati Uniti, il Giappone non potrebbe far parte di tale rete. In generale, la domanda di oro come rifugio ha una componente asiatica crescente e importante, incluso il Giappone. Quest'ultimo si trova esposto al pericolo in una guerra economica tra Stati Uniti e Cina. Ad esempio, le azioni degli Stati Uniti contro le importazioni dalla Cina potrebbero avere una ricaduta sulle imprese cinesi che vendono in Paesi terzi, e il Giappone è in cima alla lista. Gli investitori giapponesi hanno tutte le ragioni per temere che uno yen a buon mercato e un'inflazione monetaria diventerebbero la risposta principale del loro governo, soprattutto dati i suoi enormi debiti.

A differenza della Cina, i titoli denominati in dollari detenuti in Giappone non sono soggetti a rischi politici e hanno funzionato bene come rifugio negli ultimi anni. Ciononostante potrebbero sorgere dubbi tra i giapponesi sul fatto che un percorso a senso unico possa continuare indefinitamente e ci sono scenari in cui le relazioni tra Tokyo e Washington potrebbero diventare molto più tese. Nonostante gran parte del dibattito pubblico sulla vicinanza tra Stati Uniti e Giappone, una terza via per Tokyo non è preclusa. Uno scenario plausibile sarebbe quello in cui le frizioni tra Stati Uniti e Giappone, tra cui la continua e crescente dipendenza di quest'ultimo dal petrolio e dal gas di Sakhalin, potrebbero mettere in discussione la partecipazione del Paese nipponico a una risposta militare contro la potenziale aggressione cinese a scapito di Taiwan.

In conclusione: l'enorme importanza della Cina per il futuro dell'oro non dipende solo dal suo impoverimento a causa della guerra economica contro gli Stati Uniti e dalla devastazione degli investimenti sbagliati, dipende anche dalla domanda come rifugio sicuro tra i risparmiatori in Asia orientale, consapevoli dei rischi derivanti dalla guerra economica tra Cina e Stati Uniti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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È in corso un'opera di cancellazione su Internet

Freedonia - Lun, 25/11/2024 - 11:08

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

I casi di censura stanno aumentando fino al punto d'essere considerati una cosa normale. Nonostante le controversie legali in corso e una maggiore attenzione pubblica, i social media sono stati più feroci che mai negli ultimi mesi. I podcaster sanno per certo cosa verrà immediatamente eliminato e discutono tra loro sui contenuti nelle zone grigie. Alcuni come il Brownstone Institute hanno rinunciato a YouTube in favore di Rumble, sacrificando un vasto pubblico se non altro per salvare i propri contenuti.

Non si tratta sempre di essere censurati o meno. Gli algoritmi odierni includono una serie di strumenti che influenzano la ricercabilità e la reperibilità. Ad esempio, l'intervista di Joe Rogan a Donald Trump ha totalizzato ben 34 milioni di visualizzazioni prima che YouTube e Google modificassero i loro motori di ricerca per renderla difficile da trovare, mentre soprassedevano persino su un malfunzionamento tecnico che ne impediva la visione a molte persone. Di fronte a ciò Rogan si è trasferito su X.

Districarsi in questo groviglio di censura e quasi-censura è diventato parte del modello di business dei canali d'informazione alternativi.

E questi sono solo i casi da prima pagina, sotto di essi si stanno verificando eventi tecnici che influenzano la capacità di qualsiasi storico anche solo di guardare indietro e raccontare cosa sta succedendo. Il servizio Archive.org, che esiste dal 1994, ha smesso di scattare immagini di contenuti su tutte le piattaforme. Per la prima volta in 30 anni abbiamo percorso una lunga striscia di tempo da quando questo servizio non ha più raccontato la vita di Internet.

Al momento in cui scrivo non abbiamo modo di verificare i contenuti pubblicati da tre settimane a questa parte e che hanno portato agli ultimi giorni delle elezioni più controverse della nostra vita. Non si tratta di partigianeria o discriminazione ideologica, nessun sito web viene archiviato in modi che siano accessibili agli utenti. Infatti l'intera memoria del nostro principale sistema informativo è solo un grande buco nero in questo momento.

I problemi su Archive.org sono iniziati l'8 ottobre 2024, quando il servizio è stato improvvisamente colpito da un massiccio attacco Denial of Service (DDOS) che non solo l'ha messo KO, ma ha anche introdotto un livello di errore che lo ha quasi eliminato completamente. Archive.org è tornato online, sì, ma solo in modalità “sola lettura” e ancora oggi è così. Si possono leggere solo i contenuti pubblicati prima dell'attacco, il servizio deve ancora riprendere l'attività di mirroring di qualsiasi sito su Internet.

In altre parole l'unica fonte sull'intero World Wide Web che rispecchia i contenuti in tempo reale è stata disabilitata. Per la prima volta dall'invenzione del browser web stesso, i ricercatori sono stati derubati della capacità di confrontare i contenuti passati con quelli futuri, strumento cruciale per chi esamina le azioni statali e aziendali.

È stato utilizzando questo servizio, ad esempio, che i ricercatori del Brownstone Institute hanno potuto scoprire esattamente cosa il CDC aveva detto su plexiglas, sistemi di filtraggio, schede elettorali per corrispondenza e moratorie sugli affitti. Tali contenuti sono stati poi cancellati da Internet, quindi accedere alle copie di archivio era l'unico modo per sapere e verificare cosa fosse vero. Lo stesso è accaduto con l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il suo disprezzo per l'immunità naturale, definizione di quest'ultima cambiata dall'oggi al domani. Siamo stati in grado di documentare le definizioni mutevoli solo grazie a questo strumento che ora è disattivato.

Ciò significa quanto segue: qualsiasi sito web può pubblicare qualsiasi cosa oggi e rimuoverla domani e non lasciare traccia di ciò che ha pubblicato, a meno che un utente da qualche parte non abbia fatto uno screenshot. Anche in quel caso non c'è modo di verificarne l'autenticità. L'approccio standard per sapere chi ha detto cosa e quando è ormai scomparso.

Sappiamo cosa state pensando: sicuramente questo attacco DDOS non è stato una coincidenza. Archive.org sospetta qualcosa del genere? Ecco cosa hanno dire:

La scorsa settimana, insieme a un attacco DDOS e all'esposizione degli indirizzi email degli utenti e delle password crittografate, il javascript del sito web di Internet Archive è stato deturpato, il che ci ha portato a chiuderlo per accedere e migliorare la nostra sicurezza. I dati archiviati di Internet Archive sono al sicuro e stiamo lavorando per riprendere i servizi. Questa nuova realtà richiede una maggiore attenzione alla sicurezza informatica e stiamo rispondendo. Ci scusiamo per la mancata disponibilità dei nostri servizi.

Stato profondo? Come per tutte queste cose, non c'è modo di saperlo, ma lo sforzo di spazzare via la capacità di Internet di avere una cronologia verificata si adatta perfettamente al modello di distribuzione delle informazioni degli stakeholder che è stato considerato prioritario a livello globale. La Declaration of the Future of the Internet lo dice chiaro e tondo: Internet dovrebbe essere “governato attraverso l’approccio multi-stakeholder, in cui i governi e le autorità competenti collaborano con il mondo accademico, la società civile, il settore privato, la comunità tecnica e altri”. Tutti questi stakeholder traggono vantaggio dalla capacità di agire online senza lasciare traccia.

Fortunatamente un membro di Archive.org ha scritto che “sebbene la Wayback Machine fosse in modalità di sola lettura, la scansione e l'archiviazione del Web sono continuate. Tali materiali saranno disponibili tramite la Wayback Machine man mano che i servizi saranno ripristinati”.

Quando? Non lo sappiamo. Prima delle elezioni? Tra cinque anni? Potrebbero esserci delle ragioni tecniche, ma se scansione/archiviazione sono andati avanti dietro le quinte, come suggerisce il tweet, gli screen risultanti dovrebbero essere disponibili in modalità di sola lettura ora... peccato che non lo siano.

Questa cancellazione della memoria di Internet sta avvenendo in più di un posto. Per molti anni Google ha offerto una versione cache del link che si stava cercando appena sotto la versione live. Hanno un sacco di spazio sui loro server, ma no: quel servizio è completamente scomparso. Infatti il servizio cache di Google è ufficialmente terminato solo una o due settimane prima del crollo di Archive.org, alla fine di settembre 2024.

Così i due strumenti più usati per la ricerca di pagine memorizzate nella cache di Internet sono scomparsi nel giro di poche settimane l'uno dall'altro e a poche settimane dalle elezioni del 5 novembre.

Altre tendenze inquietanti stanno trasformando sempre più i risultati delle ricerche su Internet in elenchi di narrazioni approvate dall'establishment e controllate dall'intelligenza artificiale. In passato lo standard web prevedeva che le classifiche dei risultati di ricerca fossero governate dal comportamento degli utenti, dai link, dalle citazioni e così via. Si trattava di metriche più o meno organiche, basate su un'aggregazione di dati che indicavano quanto fosse utile un risultato di ricerca per gli utenti di Internet. In parole povere, più persone trovavano utile un risultato di ricerca, più alto sarebbe stato il suo posizionamento. Google ora utilizza metriche molto diverse per classificare i risultati di ricerca, tra cui ciò che considera “fonti attendibili” e altre determinazioni opache e soggettive.

Inoltre il servizio più utilizzato che un tempo classificava i siti web in base al traffico ora non c'è più. Quel servizio si chiamava Alexa e l'azienda che lo aveva creato era indipendente. Poi nel 1999 fu acquistato da Amazon. Ciò sembrò incoraggiante e l'acquisizione sembrò premiare lo strumento che tutti usavano come una sorta di metrica di stato sul web. Era comune all'epoca prendere nota di un articolo da qualche parte sul web e poi cercarlo su Alexa per vederne la portata. Se era importante, uno ci avrebbe fatto caso, ma se non lo era a nessuno sarebbe importato.

Ecco come ha funzionato un'intera generazione di tecnici web. Il sistema funzionava nel miglior modo possibile.

Poi, nel 2014, anni dopo aver acquisito il servizio di ranking Alexa, Amazon ha fatto una cosa strana: ha inaugurato il suo assistente domestico (e dispositivo di sorveglianza) con lo stesso nome. All'improvviso tutti lo avevano in casa e scoprivano qualsiasi cosa dicendo “Hey Alexa”. C'era qualcosa di strano nel fatto che Amazon desse al suo nuovo prodotto il nome di un'azienda che aveva acquisito anni prima; senza dubbio c'era un po' di confusione causata dalla sovrapposizione dei nomi.

Ecco cosa è successo dopo. Nel 2022 Amazon ha rimosso lo strumento di classificazione web. Non lo ha venduto, non ha aumentato i prezzi, non ci ha fatto niente. All'improvviso lo ha reso completamente inutilizzabile.

Nessuno riusciva a capire perché. Era lo standard del settore e all'improvviso era sparito. Non venduto, solo spazzato via. Nessuno riusciva più a capire le classifiche dei siti web basate sul traffico senza pagare prezzi molto alti per prodotti proprietari difficili da usare.

Tutti questi punti che potrebbero sembrare non correlati se considerati individualmente, sono in realtà parte di una lunga traiettoria che ha spostato il nostro panorama informativo in un territorio irriconoscibile. Gli eventi del 2020-2023, con massicci sforzi di censura e propaganda globali, hanno notevolmente accelerato suddette tendenze.

Ci si chiede se qualcuno ricorderà com'era una volta. L'hacking di Archive.org sottolineano il punto: non ci sarà più memoria.

Al momento in cui scrivo, non sono state archiviate ben tre settimane di contenuti web. Ciò che ci stiamo perdendo e ciò che è cambiato è un mistero. E non abbiamo idea di quando il servizio tornerà. È del tutto possibile che non tornerà, che l'unica vera cronologia a cui possiamo fare ricorso sarà quella precedente all'8 ottobre 2024, la data in cui tutto è cambiato.

Internet è stato fondato per essere libero e democratico. A questo punto saranno necessari sforzi erculei per ripristinare quella visione, perché qualcos'altro la sta rapidamente sostituendo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Rischio in crescita nei mercati del credito e nel sistema bancario ombra

Freedonia - Ven, 22/11/2024 - 11:10

L'articolo di oggi potremmo considerarlo un addendum al mio ultimo libro, “Il Grande Default”, dato che va ad aggiornare la situazione nel sistema bancario ombra in base agli eventi che si sono svolti sin dalla sua pubblicazione. Leggendo suddetto libro si acquisiscono le basi per comprendere le meccaniche con cui opera tale settore, permettendo al lettore, poi, di affrontare letture più “impegnative” come la seguente. Fortunatamente l'esposizione di Johnson è chiara e lineare, quindi il lettore non avrà difficoltà a seguire il filo. Ciononostante avere un quadro generale coerente ed esaustivo in mente è un requisito minimo per comprendere come si sia evoluto il sistema finanziario al giorno d'oggi e quali rischi pone per il futuro. Per quanto possa sembrare, di primo acchito, una cosa negativa, bisogna tenere a mente un'identità importante: rischio = opportunità. E riuscire a identificare la natura del rischio ex ante e prima degli altri rappresenta una doppia opportunità.

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di Brent Johnson

La trasformazione dei servizi bancari e finanziari, dai tradizionali mercati pubblici e dal sistema bancario stesso, è stata significativa sin dalla crisi finanziaria globale del 2008.

Questo cambiamento ha rimodellato il panorama finanziario, poiché più attività che un tempo erano dominate da banche e mercati pubblici si sono spostate nei settori finanziari privati ​​e non bancari.

Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria, il mondo finanziario ha subito un grave crollo. Le banche, che erano state la spina dorsale dei prestiti e della liquidità, hanno smesso di fidarsi l'una dell'altra, cessando di concedere prestiti sui mercati overnight, cruciali per la liquidità a breve termine. Contemporaneamente i mercati pubblici hanno subito perdite immense, con l'indice S&P 500 che è crollato di circa il 50%.

Di conseguenza sia il sistema bancario che i mercati pubblici si sono congelati, diventando illiquidi e disfunzionali quasi da un giorno all'altro. Ciò che un tempo era stato un ecosistema finanziario altamente liquido e perfettamente funzionante si è bloccato.

Facciamo un salto al presente e assistiamo a un'evoluzione sorprendente: il settore finanziario non bancario, che comprende istituzioni come hedge fund, società di private equity e banche ombra, è cresciuto più del settore bancario tradizionale. Analogamente i mercati privati, come quelli per il private equity, il debito privato e i prestiti diretti, si stanno espandendo a un ritmo molto più rapido rispetto ai mercati pubblici.

Questa rapida crescita sta modificando radicalmente la struttura della finanza globale.

Un cambiamento di questa portata solleva questioni critiche sul potenziale impatto sulle future crisi finanziarie. Una questione chiave è che la valutazione del rischio è ora concentrata in mercati che sono intrinsecamente meno liquidi. Anche prima che si verifichi una crisi di liquidità, il sistema finanziario sta accumulando rischi in mercati che, per loro natura, sono più difficili da abbandonare rapidamente. Cosa succede quando questi mercati già illiquidi affrontano uno shock e diventano ancora meno liquidi, innescando potenzialmente una crisi?

Si prendano in considerazione i prestiti diretti, il credito privato e gli investimenti in private equity, tutti ampiamente concentrati nel settore finanziario non bancario. Se il sistema finanziario globale dovesse sperimentare una crisi della portata di quella del 2008, quando la liquidità si è prosciugata nei mercati pubblici altamente liquidi, cosa accadrebbe se il punto di partenza per la valutazione del rischio fossero i mercati privati molto meno liquidi?

Le conseguenze potrebbero essere più gravi e di maggiore vasta portata.

Questo saggio esplora la rapida espansione del settore finanziario non bancario e i vincoli di liquidità che caratterizzano i mercati privati.

Una delle principali preoccupazioni relative alle crisi di liquidità sono gli effetti a cascata, di secondo e terzo ordine, che possono venirsi a creare. Questi effetti si verificano quando i mercati percepiti come liquidi, mercati in cui gli investitori credono di poter facilmente acquistare e vendere asset, diventano improvvisamente illiquidi, intrappolando i partecipanti e causando diffuse interruzioni.

Tali effetti di secondo e terzo ordine spesso hanno un impatto su investitori, istituzioni e settori che normalmente si considererebbero isolati dalle attività finanziarie ad alto rischio.

Tuttavia l'interconnessione dell'ecosistema finanziario globale significa che gli shock in una parte del sistema possono rapidamente riverberarsi su altre, coinvolgendo attori apparentemente non correlati. Ecco perché comprendere il sistema bancario ombra, i mercati privati ​​e il sistema finanziario non bancario è fondamentale per valutare i rischi a cui è esposto il sistema finanziario nel suo complesso.

La crescente importanza dei mercati finanziari non bancari e privati ​​presenta nuove sfide per la gestione della liquidità e del rischio sistemico. Man mano che il sistema finanziario diventa più dipendente da questi settori meno liquidi, aumenta il potenziale per crisi di liquidità e i loro effetti a catena nell'economia globale, evidenziando l'importanza di monitorare e affrontare i rischi negli ecosistemi del sistema bancario ombra e del mercato privato.


Contesto: la crisi finanziaria globale

Non esistono due crisi finanziarie esattamente uguali, sebbene il comportamento e le emozioni umane siano sempre centrali in esse. Ogni crisi ha le sue caratteristiche uniche e, finché la natura umana rimarrà costante, i cicli di espansione e contrazione saranno inevitabili.

Date le valutazioni azionarie storicamente elevate di oggi, i paragoni con la crisi finanziaria globale del 2008 e la bolla delle dot-com della fine degli anni '90 sono scontati e l'attuale entusiasmo per l'intelligenza artificiale ricorda i periodi di euforia del passato. Tuttavia è importante ricordare che le valutazioni sono sintomi di condizioni di mercato più ampie, non le cause sottostanti. Ad esempio, durante la Mania olandese per i tulipani del 1636, un singolo tulipano nero era valutato diversi anni di stipendio, un indicatore che qualcosa non andava, ma non la radice del problema.

Individuare il momento esatto in cui inizia una crisi finanziaria è spesso possibile solo a posteriori. La crisi finanziaria globale è iniziata con il crollo di due hedge fund di Bear Stearns nel 2007? È stata innescata dalla caduta di Bear Stearns stessa? O forse il crollo della Lehman Brothers? Alcuni potrebbero persino sostenere che è iniziata con l'analisi di Meredith Whitney del 2008, la quale rivelò che Citigroup non era riuscita a conservare il suo dividendo. La risposta dipende dalla prospettiva: coloro che sono stati direttamente colpiti da questi eventi probabilmente darebbero tempistiche diverse.

Ciò che è fondamentale oggi è capire che confrontare le attuali condizioni di credito con quelle del 2008 è fuorviante.

Tutte le crisi di credito hanno una caratteristica comune: standard di prestito lassisti. Prima della crisi finanziaria globale i prestiti subprime rappresentavano circa il 3% dei prestiti ipotecari; nel 2007 erano saliti a quasi il 25%. Gli standard di prestito si deteriorarono così tanto che i default sulla prima rata del mutuo salirono a dismisura, ma questa era solo una parte del problema.

Altri attori chiave della crisi erano istituzioni come Fannie Mae, Freddie Mac e l'assicuratore ipotecario MBIA. Finché queste entità mantenevano i loro elevati rating creditizi, erano in grado di continuare a emettere prestiti a mutuatari che non erano in grado di rimborsarli. MBIA, ad esempio, sottoscrisse miliardi in passività detenendo solo $30 milioni in fondi degli azionisti.

Ma il vero punto di rottura si è verificato quando le grandi banche smisero di prestarsi denaro a vicenda da un giorno all'altro, spinte dalle preoccupazioni sulla liquidità delle controparti e sui loro bilanci eccessivamente indebitati. Bear Stearns, ad esempio, aveva $3 di capitale per ogni $100 di attivi, un rapporto di leva precario di 33:1.

Una volta che i regolatori sono intervenuti dopo la crisi, hanno cercato di impedire che si ripetesse imponendo regole più severe alle grandi banche attraverso il Dodd-Frank Act. Ciò ha ridotto le attività di trading e market making, allineando questi giganti della finanza. Ma come in ogni sistema finanziario, dove c'è domanda, l'offerta troverà una via. Questa volta sono intervenuti gli intermediari finanziari non bancari. In poco più di un decennio, questi ultimi sono cresciuti fino a diventare i maggiori finanziatori, superando le banche tradizionali.

La lezione qui è semplice: la domanda di credito non scompare, ma cambia. Capire dove va questa domanda è fondamentale per prevedere come potrebbero svilupparsi i rischi finanziari futuri.


La rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari

Oltre alla crescente pressione normativa sulle banche dopo la crisi del 2008, il prolungato contesto di tassi d'interesse è stato un importante catalizzatore per la rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari.

Con i tradizionali conti di risparmio e titoli di stato che offrivano rendimenti storicamente bassi, gli investitori hanno iniziato a cercare rendimenti più elevati attraverso canali alternativi. Gli intermediari finanziari non bancari hanno risposto offrendo una gamma di prodotti finanziari che fornivano rendimenti più interessanti, come obbligazioni garantite da prestiti (CLO), debito privato, fondi comuni d'investimento immobiliare (REIT) e altre opportunità di investimento che le banche, a causa di vincoli normativi, non fornivano.

Questo cambiamento ha consentito agli intermediari finanziari non bancari di colmare una lacuna nel mercato soddisfacendo la crescente domanda di prodotti d'investimento basati sul rendimento.

Poiché le banche sono diventate più limitate nella loro capacità di impegnarsi in attività più rischiose e ad alto rendimento a causa di normative post-crisi come il Dodd-Frank Act, gli intermediari finanziari non bancari sono intervenuti con offerte che non erano solo più redditizie, ma spesso anche più complesse e meno trasparenti. La flessibilità degli intermediari finanziari non bancari di operare con meno barriere normative è diventata un'alternativa interessante sia per gli investitori istituzionali che per quelli al dettaglio, affamati di rendimenti decenti in un mondo a tassi bassi.

Allo stesso tempo l'innovazione tecnologica ha accelerato la crescita degli intermediari finanziari non bancari, soprattutto attraverso l'ascesa delle società fintech. Queste aziende hanno rivoluzionato il settore dei servizi finanziari utilizzando analisi dei dati, intelligenza artificiale, blockchain e piattaforme digitali per fornire soluzioni finanziarie più efficienti e accessibili.

Le innovazioni fintech come piattaforme di prestito peer-to-peer, robo-advisor, servizi di gestione patrimoniale online e sistemi di pagamento digitale hanno sconvolto il modello bancario tradizionale. Queste tecnologie offrono servizi più rapidi, convenienti e su misura per il consumatore moderno, consentendo a privati ​​e aziende di accedere al credito, effettuare investimenti e gestire le proprie finanze senza affidarsi alle banche tradizionali. L'ascesa della tecnologia finanziaria ha reso gli intermediari finanziari non bancari ancora più importanti, offrendo un'infrastruttura più agile e reattiva alle richieste del mercato.

Tuttavia questa agilità comporta un compromesso in termini di supervisione.

Poiché gli intermediari finanziari non bancari sono soggetti a meno vincoli normativi rispetto alle banche tradizionali, possono accumulare rischi che potrebbero non essere visibili agli enti regolatori, o agli attori di mercato, fino a quando non è troppo tardi. Gli hedge fund, ad esempio, spesso adottano strategie ad alta leva finanziaria, le quali possono amplificare le perdite durante i periodi di volatilità del mercato. Il crollo di tali fondi può rapidamente trasformarsi in un'ampia instabilità finanziaria, poiché queste aziende sono strettamente interconnesse con banche e istituzioni finanziarie tradizionali attraverso vari canali di prestiti, derivati ​​e portafogli d'investimento.

Un esempio di ciò si è verificato nel 2020, durante la turbolenza del mercato innescata dalla pandemia di COVID-19. I fondi del mercato monetario, un tempo considerati investimenti stabili e a basso rischio, fecero registrare rapidi deflussi poiché gli investitori fuggirono verso asset più sicuri, evidenziando l'imprevedibile fragilità all'interno di alcuni punti del settore degli intermediari finanziari non bancari.

Gli effetti di ricaduta di questi deflussi si riversarono in tutto il sistema finanziario più ampio, sottolineando la natura interconnessa di banche e intermediari finanziari non bancari.

Data l'importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari, i policymaker e gli enti regolatori, tra cui la Federal Reserve e il Financial Stability Board (FSB), si sono preoccupati sempre di più per i potenziali rischi posti dalla crescente influenza di queste istituzioni. È in corso un dibattito se gli intermediari finanziari non bancari debbano essere soggetti allo stesso livello di controllo e supervisione delle banche tradizionali, in particolare quelle che sono cresciute abbastanza da rappresentare una minaccia significativa per la stabilità finanziaria.

La sfida per i regolatori è trovare un equilibrio tra l'incoraggiamento dell'innovazione e della crescita che gli intermediari finanziari non bancari apportano al sistema finanziario, garantendo al contempo che esse non diventino la prossima fonte di rischio sistemico.

Tuttavia la storia suggerisce che i regolatori sono spesso reattivi piuttosto che proattivi quando si tratta di affrontare potenziali crisi. Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi associati agli intermediari finanziari non bancari, l'intervento normativo potrebbe ritardare fino a quando non si siano già verificate perturbazioni finanziarie significative.

L'ascesa degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un profondo cambiamento nel sistema finanziario statunitense. La loro capacità di innovare rapidamente, operare con meno controllo normativo e soddisfare la domanda degli investitori per prodotti ad alto rendimento ha permesso loro di superare il settore bancario tradizionale sotto molti aspetti. Tuttavia la loro crescita richiede anche un esame più attento del loro ruolo nel mantenimento della stabilità finanziaria.

La mancanza di trasparenza sui bilanci e sulle attività degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un rischio, in quanto rende più difficile valutare le loro vulnerabilità e il potenziale di innescare un disagio finanziario più ampio. Man mano che gli intermediari finanziari non bancari continuano a espandersi, comprendere il loro impatto sull'ecosistema finanziario complessivo sarà fondamentale per prepararsi e mitigare i rischi di future crisi finanziarie.


Private Equity e mercati del credito

Il private equity e i prestiti privati ​​non solo sono cresciuti in termini di dimensioni, ma anche di complessità, diventando pilastri fondamentali della finanza globale.

Questi settori si sono evoluti in risposta ai cambiamenti normativi, ai progressi tecnologici e alla domanda mutevole degli investitori, riflettendo tendenze più ampie nel panorama finanziario.

Inizialmente il private equity era un campo di nicchia incentrato sul capitale di rischio per quelle aziende nelle loro fasi iniziali e per gli asset in sofferenza. Svolgeva un ruolo limitato nella finanza aziendale tradizionale. Col tempo il private equity è maturato in un settore sofisticato che ora impiega un'ampia gamma di strategie di investimento, tra cui leveraged buyout (LBO), growth equity, situazioni speciali, investimenti in sofferenza e investimenti infrastrutturali.

In particolare i leveraged buyout (LBO) sono diventati una caratteristica distintiva del private equity. Queste transazioni consentono alle aziende di acquisire società utilizzando un mix di capitale proprio e ingenti quantità di capitale preso in prestito, con l'aspettativa che il flusso di cassa della società target venga utilizzato per estinguere poi il debito.

L'ascesa degli LBO ha trasformato il modo in cui le società di private equity affrontano la creazione di valore, utilizzando la leva finanziaria per amplificare i rendimenti e al contempo prendere il controllo di grandi aziende consolidate. Questa strategia si è dimostrata immensamente redditizia, ma introduce anche livelli di rischio più elevati, in particolare in contesti economici incerti.

Negli ultimi anni le società di private equity sono passate da strategie puramente finanziarie, come la riduzione dei costi e la ristrutturazione, a un approccio operativo più pratico. Conosciuta come strategia di “valore aggiunto operativo”, le società di private equity ora sfruttano la loro competenza e le loro risorse di settore per guidare miglioramenti operativi, trasformazione digitale e sviluppo della leadership all'interno delle loro società in portafoglio.

Impegnandosi più attivamente nelle operazioni aziendali, le società di private equity stanno sbloccando nuove opportunità di crescita e generando rendimenti più sostenibili, distinguendosi dagli investitori tradizionali.

Inoltre le società di private equity stanno investendo sempre di più in settori guidati dalla tecnologia, come software, fintech, tecnologia sanitaria e infrastrutture digitali.

L'ascesa dei fondi di private equity focalizzati sulla tecnologia riflette il crescente riconoscimento che innovazione e analisi dei dati sono fondamentali per rimanere competitivi nell'economia moderna.

Adottando un processo decisionale basato sui dati e migliorando i processi di due diligence, le società di private equity sono ora meglio posizionate per identificare investimenti ad alto potenziale e massimizzare la crescita a lungo termine.

Allo stesso tempo i prestiti privati ​​sono diventati una componente critica della finanza alternativa, fornendo capitale alle aziende che potrebbero non qualificarsi per i prestiti bancari tradizionali. La rapida espansione del settore è una risposta diretta al rafforzamento normativo in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il quale ha limitato la capacità delle banche di impegnarsi in attività di prestito più rischiose.

I prestatori diretti, tra cui fondi di credito privati, hedge fund, società di sviluppo aziendale (SSA) e investitori istituzionali, offrono una vasta gamma di strumenti di debito, come prestiti senior garantiti, prestiti uni-tranche, finanziamenti mezzanini, prestiti ponte e debito subordinato. La flessibilità e la rapidità dei prestatori privati ​​nella sottoscrizione e nell'approvazione dei prestiti li hanno resi un'opzione interessante per le aziende che cercano di finanziare leveraged buyout, acquisizioni, espansioni, o rifinanziamento del debito. La loro capacità di offrire termini più personalizzati rispetto alle banche tradizionali ha permesso ai prestiti privati ​​di diventare una fonte di finanziamento significativa, in particolare per le aziende di medie dimensioni.

L'aumento dei prestiti privati ​​è stato anche alimentato dalla ricerca globale di rendimento in un contesto di tassi d'interesse bassi.

Gli investitori istituzionali, tra cui fondi pensione, compagnie assicurative e fondi di dotazione, hanno allocato sempre più capitale al debito privato in quanto esso offre interessanti rendimenti aggiustati al rischio e una bassa correlazione con i mercati azionari e a reddito fisso.

Questo afflusso di capitale ha consentito alle società di prestiti privati ​​di ampliare le proprie operazioni, concorrendo persino con le banche tradizionali su transazioni più grandi e complesse.

Anche l'innovazione tecnologica ha svolto un ruolo trasformativo sia nel private equity che nei prestiti privati.

Nel private equity i progressi nell'analisi dei dati, nell'intelligenza artificiale e nell'apprendimento automatico hanno rivoluzionato la ricerca di accordi, la due diligence e la gestione del portafoglio. Le aziende ora utilizzano strumenti sofisticati per valutare le tendenze dei mercati, prevedere le prestazioni aziendali e identificare opportunità di investimento ad alto potenziale.

Allo stesso modo nei prestiti privati l'ascesa delle piattaforme digitali ha democratizzato l'accesso al credito, consentendo alle aziende di ottenere prestiti tramite piattaforme online che collegano i mutuatari direttamente con gli investitori.

Questa innovazione ha semplificato il processo di prestito, ridotto i costi e aumentato la trasparenza.

A causa della loro significativa crescita, il private equity e i prestiti privati ​​stanno affrontando un controllo più attento da parte degli enti regolatori a causa delle preoccupazioni relative agli alti livelli di leva finanziaria, mancanza di trasparenza e potenziale accumulo di rischi sistemici.

Nel private equity l'uso del leveraged buyout ha sollevato interrogativi sull'impatto che gli elevati livelli di debito possono avere sulla stabilità finanziaria delle società acquisite, soprattutto durante le crisi economiche. Inoltre l'impatto del private equity sull'occupazione e sui salari ha suscitato diverse critiche, con alcuni che sostengono che le motivazioni di profitto a breve termine possono minare la sostenibilità aziendale a lungo termine.

Nel prestito privato la rapida espansione dei prestiti diretti e dei fondi di credito privati ​​ha suscitato preoccupazioni sull'accumulo di rischi di credito al di fuori del sistema bancario tradizionale. Poiché i creditori privati ​​operano con molti meno vincoli normativi, c'è meno visibilità sulle loro esposizioni al rischio.

Poiché queste istituzioni continuano a crescere e a diventare più interconnesse con le banche tradizionali e altre istituzioni finanziarie, le sofferenze nel mercato dei prestiti privati ​​potrebbero avere implicazioni di vasta portata per il sistema finanziario più ampio.

Il settore degli intermediari finanziari non bancari, di cui il private equity e i prestiti privati ​​sono componenti chiave, ha fatto registrare una crescita esplosiva sin dalla crisi finanziaria del 2008.

Con il settore degli intermediari finanziari non bancari ormai più grande di quello bancario tradizionale negli Stati Uniti, la sua traiettoria di crescita non mostra affatto segni di rallentamento.

Questa rapida espansione ha catturato l'attenzione dei regolatori, come il Financial Stability Board, sempre più preoccupati per i rischi sistemici posti dal settore bancario ombra. Dal punto di vista storico quadri normativi più rigidi, come il Dodd-Frank Act, sono stati emanati solo in risposta a crisi, come il crollo del 2008, quando è diventato chiaro che era necessaria una maggiore supervisione.

La loro rapida crescita e la complessità in continua evoluzione presentano sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano fornito nuove vie per investimenti e credito, la loro mancanza di trasparenza e supervisione normativa li rende vulnerabili ai rischi sistemici.

L'FSB riconosce la necessità di quadri normativi più rigidi per mitigare questi rischi, ma storicamente tali normative tendono a essere reattive, implementate solo dopo che si è verificata una crisi.

Una legge come la Dodd-Frank non sarebbe stata necessaria se l'amministrazione Clinton non avesse abrogato il Glass-Steagall Act negli anni '90, una legge originariamente promulgata dopo il crollo della borsa del 1929 per regolamentare il settore bancario. L'abrogazione ha rimosso la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, una mossa che molti sostengono abbia contribuito a quegli eccessi che hanno portato poi alla crisi finanziaria globale.

Oggi il settore degli intermediari finanziari non bancari è diventato un mutuatario sempre più importante, il che comporta due implicazioni significative.

In primo luogo la linea di demarcazione tra banche tradizionali e intermediari finanziari non bancari è diventata sempre più sfumata, anche se operano sotto regimi normativi diversi. Questa sfumatura crea ambiguità in merito alla supervisione del rischio.

In secondo luogo gli intermediari finanziari non bancari stanno contraendo prestiti a un ritmo molto più veloce rispetto al mercato generale, sollevando preoccupazioni sul fatto che il settore potrebbe essere diretto verso una crisi a sé stante.

La domanda è: le autorità di regolamentazione agiranno in tempo, o saranno di nuovo costrette a recuperare terreno quando ritmi di crescita come questi diventeranno insostenibili?

Inoltre le società di private equity e i creditori diretti sono diventati fonti vitali di credito per le piccole e medie imprese (PMI) e i leveraged buyout. Queste aree sono spesso considerate troppo rischiose, o ad alta intensità di capitale, per le banche tradizionali, il che sottolinea ulteriormente il ruolo crescente che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nel fornire credito laddove le banche sono diventate più avverse al rischio.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari continuano ad aumentare la loro influenza e la loro portata di prestito, cresce l'urgenza per gli enti regolatori di affrontare i loro rischi sistemici, prima che un'altra crisi finanziaria emerga dall'ombra.


Banche ombra e mercati privati: illiquidità

Il rischio di liquidità è una delle sfide più ardue affrontate dalle società di private equity e di credito privato, in gran parte determinato dalla natura illiquida dei loro investimenti, dalle dinamiche di mercato e dalle loro strutture di finanziamento.

Queste società investono principalmente in asset senza mercati secondari attivi, rendendo difficile convertire rapidamente gli investimenti in denaro. Mentre assumersi il rischio di illiquidità consente loro di perseguire rendimenti più elevati, le espone anche a notevoli vulnerabilità, soprattutto in periodi di stress finanziario o crisi economica.

Nel private equity le società acquisiscono partecipazioni in aziende private o si impegnano in leveraged buyout (LBO) di società quotate. Questi investimenti in genere comportano impegni pluriennali, con l'obiettivo di migliorare le operazioni, aumentare il valore e infine uscire tramite una vendita o un'offerta pubblica iniziale (IPO).

Tuttavia quando i mercati entrano in crisi, le strategie di uscita delle società di private equity spesso affrontano gravi vincoli.

In tali situazioni i potenziali acquirenti potrebbero sparire e i mercati delle IPO potrebbero chiudere, lasciando le aziende incapaci di vendere le loro partecipazioni a prezzi favorevoli o, in alcuni casi, incapaci di vendere affatto. Questa mancanza di liquidità crea sfide ardue da fronteggiare, bloccando il capitale molto più a lungo del previsto e potenzialmente facendo deragliare i cicli di investimento pianificati. Senza la possibilità di uscire dai loro investimenti, le società di private equity possono sperimentare una crisi di liquidità, in cui l'incapacità di generare flussi di cassa limita la loro possibilità di restituire il capitale agli investitori, perseguire nuovi investimenti, o soddisfare altri obblighi finanziari.

Allo stesso modo le società di credito privato ​​affrontano i propri rischi di liquidità.

Queste società forniscono prestiti ad aziende che spesso esulano dai canali bancari tradizionali, tra cui aziende di medie dimensioni e quelle con rating creditizi più bassi. Mentre questi prestiti in genere offrono rendimenti più elevati per compensare il rischio maggiore, presentano un importante compromesso: l'illiquidità. A differenza delle obbligazioni quotate in borsa, che possono essere acquistate e vendute rapidamente sui mercati secondari, il credito privato ​​non ha un mercato pronto, rendendo difficile per i creditori raccogliere denaro in tempi di necessità.

Durante i periodi di difficoltà finanziaria, questi rischi diventano ancora più evidenti. Le aziende che finiscono in guai economici potrebbero avere difficoltà a rispettare i propri piani di rimborso, o a rifinanziare il proprio debito, con conseguente aumento del tasso di inadempienze. Salendo queste ultime, il valore dei relativi prestiti può crollare, esponendo i creditori a perdite significative. L'incapacità di vendere, o ristrutturare, tempestivamente questi prestiti illiquidi aggrava il rischio di liquidità, poiché i creditori affrontano una pressione crescente per soddisfare i propri impegni finanziari.

Inoltre il crescente utilizzo di strutture di “payment-in-kind” (PIK), in cui i pagamenti degli interessi vengono capitalizzati anziché versati in contanti, aggiunge un ulteriore livello di complessità.

Mentre gli accordi PIK forniscono un sollievo temporaneo ai mutuatari posticipando i pagamenti in contanti, aumentano i rischi di liquidità per i creditori. Capitalizzare gli interessi anziché ricevere afflussi di cassa ritarda i ricavi e spinge i creditori in posizioni illiquide, limitando ulteriormente la loro capacità di generare liquidità quando necessario. In periodi di stress economico ciò può lasciare i creditori con crescenti obblighi ma opzioni limitate per reperire denaro, intensificando le vulnerabilità finanziarie in tutto il sistema.

Naturalmente un fattore chiave che esaspera il rischio di liquidità sia nel private equity che nei prestiti privati ​​è l'uso della leva finanziaria.

Le società di private equity spesso fanno affidamento sul debito per finanziare le acquisizioni, utilizzando il flusso di cassa dell'azienda acquisita per ripagare tale debito. Quando i flussi di cassa vacillano, o i tassi d'interesse aumentano, il servizio del debito diventa più difficile, costringendo le aziende a iniettare più capitale in società in difficoltà, o a vendere asset a un forte sconto.

Nel mondo del credito privato la leva finanziaria è presente sia nella struttura del prestito che nelle società mutuatarie. Se le condizioni economiche peggiorano, i mutuatari altamente indebitati potrebbero avere difficoltà a rimborsare i propri prestiti, portando a inadempienze e creando ulteriore pressione sulla liquidità per quei creditori che dipendono da rimborsi regolari per mantenere i propri impegni finanziari.

Un'altra dimensione del rischio di liquidità deriva dalla struttura del fondo stesso.

I fondi di private equity e di credito sono in genere chiusi, il che significa che gli investitori non possono accedere alla liquidità giornaliera come nei fondi comuni d'investimento o negli ETF. Gli investitori impegnano il capitale per un periodo stabilito, solitamente da 5 a 10 anni, aspettandosi distribuzioni dalle vendite di asset nel tempo.

Tuttavia se troppi investitori richiedono liquidità anticipata, questi fondi potrebbero essere costretti a liquidare asset in condizioni sfavorevoli, creando quello che è noto come un disallineamento di liquidità. Questo problema è spesso amplificato durante le crisi economiche, quando molti investitori cercano di ritirare i fondi simultaneamente, esercitando ulteriore pressione sui player sopraccitati per generare liquidità quando sono meno in grado di farlo.

La pandemia di COVID-19 ha fornito un esempio eccellente di questo disallineamento di liquidità. Durante le turbolenze nei mercati, molti investitori hanno cercato di ridurre la loro esposizione ad asset più rischiosi, cosa che ha esercitato una pressione significativa sui fondi di private equity e di credito privato per soddisfare tali richieste in un momento sfavorevole. Se costretti a vendite forzate, questi fondi possono spingere i prezzi degli asset verso il basso, innescando una spirale discendente che erode ulteriormente la fiducia degli investitori e aumenta le richieste di rimborso.

Le società di private equity e di credito privato si affidano anche a finanziamenti esterni da parte di banche o altri istituti finanziari per gestire le esigenze di liquidità ed eseguire accordi. Questa dipendenza lega ulteriormente queste società alle banche tradizionali e agli intermediari finanziari non bancari (NBFI), nonostante operino in quadri normativi diversi. In periodi di stress economico le banche possono inasprire le condizioni di prestito, o ritirare il credito, aggiungendo maggiore complessità alla gestione della liquidità per le sopraccitate società.

L'interconnessione dei mercati finanziari significa che i problemi di liquidità all'interno delle società di private equity e di credito privato possono avere implicazioni più ampie per l'intero sistema finanziario. Con la crescita di questi settori, si sono profondamente intrecciati con banche, investitori istituzionali e altri attori di mercato simili. Una crisi di liquidità in un'area può innescare scossoni più ampi, influenzando i prezzi degli asset, la disponibilità di credito e il sentiment degli investitori nell'intero ecosistema finanziario.

Per il settore NBFI, la gestione del rischio di liquidità è fondamentale, poiché influisce direttamente sulla loro stabilità operativa e sulla capacità di gestire lo stress finanziario. Gli intermediari finanziari non bancari, che includono entità come gestori patrimoniali, hedge fund, compagnie assicurative, società di private equity e fondi di credito privato, forniscono servizi finanziari essenziali senza lo stesso accesso alla liquidità della banca centrale o alle basi di deposito su cui fanno affidamento le banche tradizionali.

Questa mancanza di accesso rende la gestione della liquidità più impegnativa per gli intermediari finanziari non bancari, in particolare perché spesso detengono o finanziano attività illiquide come debito privato, immobili o partecipazioni azionarie in società private. Durante i periodi di volatilità, queste attività diventano ancora più difficili da liquidare, esponendo gli intermediari finanziari non bancari a un rischio di liquidità significativo se devono soddisfare improvvise richieste di denaro.

Molti intermediari finanziari non bancari affrontano un'ulteriore sfida derivante dalla loro dipendenza da finanziamenti a breve termine per finanziare investimenti a lungo termine. Questa discrepanza di finanziamento, in cui le passività sono a breve termine e gli attivi sono a lungo termine, li rende vulnerabili quando i mercati dei finanziamenti a breve termine si restringono o diventano più costosi.

Ad esempio, hedge fund e fondi di credito privato ​​spesso dipendono da accordi di riacquisto a breve termine (repo) o cambiali commerciali per finanziare le loro posizioni. Se questi mercati si prosciugano durante periodi di stress, gli intermediari finanziari non bancari possono affrontare gravi pressioni di liquidità e che minacciano la loro solvibilità.

Le fughe degli investitori o le richieste di rimborso di massa sono un altro importante rischio di liquidità per gli intermediari finanziari non bancari. I fondi di investimento, come i fondi comuni d'investimento, gli ETF e gli hedge fund, consentono agli investitori di riscattare i propri investimenti con breve preavviso. In periodi di incertezza una corsa degli investitori che cercano di ritirare il proprio denaro può costringere gli intermediari finanziari non bancari a vendere rapidamente asset a prezzi bassi, esasperando ulteriormente lo stress del mercato e indebolendo la fiducia degli investitori.

Data l'interconnessione degli intermediari finanziari non bancari con il sistema finanziario più ampio, le sfide di liquidità possono avere effetti di vasta portata. Molti di essi mantengono relazioni con banche e altre istituzioni tramite linee di credito, derivati ​​e altri strumenti finanziari.

Se un intermediario finanziario non bancario subisce una crisi di liquidità, l'impatto può diffondersi rapidamente ad altri attori di mercato, influenzando i prezzi degli asset e destabilizzando il sistema finanziario più ampio.

La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di gestire attentamente il rischio di liquidità all'interno di questo settore. Poiché queste istituzioni continuano ad assumere ruoli tradizionalmente ricoperti dalle banche, è aumentato il potenziale delle pressioni sulla liquidità in grado di creare fratture più ampie.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari forniscono servizi finanziari e creditizi essenziali, la loro dipendenza da asset illiquidi e finanziamenti a breve termine li rende particolarmente vulnerabili agli shock di mercato, rendendo il rischio di liquidità una preoccupazione centrale per la stabilità del sistema finanziario.


Conclusione

La trasformazione del panorama finanziario globale sin dalla crisi finanziaria mondiale (GFC) del 2008 è stata monumentale.

Il passaggio dai sistemi bancari tradizionali e dai mercati pubblici verso gli intermediari finanziari non bancari (NBFI) e i mercati privati ​​ha alterato in modo significativo la struttura e il funzionamento della finanza. Di conseguenza gli intermediari finanziari non bancari, tra cui hedge fund, società di private equity, fondi di credito privato ​​e società fintech, sono cresciuti fino a occupare una porzione più ampia dell'ecosistema finanziario, diventando attori principali nei prestiti aziendali, nella gestione degli investimenti e nella fornitura di liquidità.

Uno degli sviluppi più profondi è stata la rapida espansione dei mercati del private equity e dei prestiti privati. Questi settori si sono evoluti per soddisfare la domanda degli investitori di opportunità ad alto rendimento, offrendo un'ampia gamma di prodotti finanziari innovativi come leveraged buyout (LBO), credito privato e strutture di debito alternative. L'ascesa di questi mercati è una testimonianza dell'adattabilità della finanza e dell'incessante ricerca di rendimenti. Tuttavia non è priva di rischi significativi, in particolare nel regno della liquidità.

Il rischio di liquidità rimane una sfida critica per le società di private equity e di prestiti privati. Entrambi i settori si basano su asset illiquidi, come debito privato e partecipazioni azionarie, che sono difficili da convertire in denaro quando necessario.

Questa illiquidità intrinseca può diventare una vulnerabilità importante durante i periodi di stress finanziario, quando le condizioni di mercato peggiorano, le strategie di uscita vengono ritardate e le vendite di asset diventano limitate. La natura complessa e spesso opaca di questi investimenti aggrava ulteriormente il rischio, rendendo difficile per gli attori di mercato e gli enti regolatori valutare accuratamente l'entità dell'esposizione.

L'uso della leva finanziaria amplifica questi rischi.

Le società di private equity, in particolare, utilizzano ingenti quantità di debito per finanziare le acquisizioni, mentre i creditori privati ​​forniscono prestiti a mutuatari altamente indebitati. Quando le condizioni economiche peggiorano, la tensione sia per le aziende che per i loro mutuatari diventa acuta, portando a maggiori inadempienze, carenze di liquidità e a vendite forzate di asset. Questa situazione è esasperata dalle strutture “payment-in-kind” (PIK) che ritardano il flusso di cassa, creando ulteriore stress sulle posizioni di liquidità delle aziende.

Un altro aspetto cruciale del rischio di liquidità risiede nelle strutture dei fondi utilizzate da società di private equity e di credito privato. I fondi chiusi con opzioni di liquidità limitate possono affrontare un disallineamento di liquidità durante le crisi economiche, come si è visto durante la pandemia di COVID-19.

Gli investitori, che cercano di ritirare il capitale, possono costringere questi fondi a vendere asset a prezzi sfavorevoli, innescando ulteriori sconvolgimenti nei mercati. Inoltre la dipendenza delle società di private equity e di credito privato da finanziamenti esterni da parte di banche tradizionali, le lega strettamente al sistema finanziario regolamentato nonostante operino in quadri normativi diversi.

Man mano che private equity, prestiti privati ​​e intermediari finanziari non bancari continuano a crescere in influenza, aumenta anche la loro interconnessione con il sistema finanziario più ampio.

Questa interconnessione pone rischi sistemici.

Una crisi di liquidità all'interno di un settore potrebbe rapidamente ripercuotersi sull'intero panorama finanziario, portando a sconvolgimenti più ampi nei prezzi degli asset, nella disponibilità di credito e nel sentiment degli investitori. Gli effetti a catena di una crisi nei mercati privati, ​​o nel sistema bancario ombra, potrebbero indebolire la stabilità dell'economia globale, proprio come è successo con il crollo delle principali istituzioni finanziarie durante la crisi finanziaria del 2008, ma con meno preavviso a causa della minore visibilità.

Il punto di partenza per i mercati privati ​​è l'illiquidità, a differenza dei mercati pubblici il cui punto di partenza è la liquidità. Quando le cose diventano illiquide, e succede sempre, ciò rappresenterà un problema molto più grande per i mercati privati.

Nonostante il ruolo significativo che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nella finanza moderna, il quadro normativo che regola queste istituzioni è in ritardo rispetto alla loro crescente importanza. Gli intermediari finanziari non bancari operano con una supervisione molto inferiore rispetto alle banche tradizionali, il che aumenta i rischi associati alla leva finanziaria e all'illiquidità.

Mentre le lezioni delle crisi passate, come la crisi finanziaria globale, hanno portato ad alcuni miglioramenti normativi, la storia dimostra che le normative spesso seguono le crisi piuttosto che prevenirle.

Resta la questione se i policymaker possano attuare una supervisione più rigorosa del settore degli intermediari finanziari non bancari prima che emerga una crisi causata dalla liquidità.

In conclusione, l'ascesa degli intermediari finanziari non bancari e dei mercati privati ​​presenta sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano offerto nuove opportunità di investimento e credito, la loro intrinseca illiquidità e l'uso della leva finanziaria li rendono vulnerabili agli shock di mercato. La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di un approccio normativo proattivo per gestire i rischi di liquidità.

Solo affrontando queste vulnerabilità il sistema finanziario può sperare di mitigare l'impatto di future crisi, assicurando che i benefici dell'innovazione finanziaria non vadano a scapito della stabilità sistemica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Sfatiamo ulteriori 5 grandi equivoci su Bitcoin

Freedonia - Gio, 21/11/2024 - 11:00

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Nick Giambruno

Bitcoin confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.

Di recente ho sfatato i dieci equivoci più diffusi su di esso.

Oggi continuerò sfatandone altri cinque.

 

Equivoco n°11: Bitcoin è vulnerabile alla guerra nucleare e alle interruzioni di servizio

Anche se gli Stati Uniti e la Russia si impegnassero in una guerra nucleare totale, distruggendo gran parte dell'emisfero settentrionale, Bitcoin non perderebbe un colpo nell'emisfero meridionale.

Per avere anche solo una possibilità di fermare Bitcoin, ogni governo del mondo dovrebbe coordinarsi simultaneamente per chiudere l'intero Internet ovunque e poi tenerlo spento.

Anche in un tale scenario improbabile, la rete Bitcoin può andare avanti tramite segnali radio e reti mesh. Allo stesso tempo piccoli pannelli solari portatili possono alimentare i computer che gestiscono la sua rete, se le cosiddette condizioni normali vengono meno.

Inoltre una serie di satelliti trasmette costantemente la rete Bitcoin sulla Terra.

In breve, tutti gli aspetti di Bitcoin sono genuinamente decentralizzati e robusti.

A meno di un ritorno globale all'età della pietra, Bitcoin è inarrestabile.


Equivoco n°12: Bitcoin 2.0 o un “Bitcoin migliore”

In pratica, chiunque può provare a creare un “Bitcoin migliore” quando vuole.

Tutto quello che bisogna fare è prendere il codice open source, disponibile a chiunque, e apportare le modifiche desiderate.

Ma questo non significa che qualcuno seguirà il vostro esempio o apprezzerà la vostra nuova criptovaluta.

Ad esempio, posso facilmente creare un nuovo Bitcoin che aggiunge qualche fronzolo e decantarlo usando l'ultimo termine di moda: Bitcoin 2.0.

Ma questo non significa che posso ereditare le proprietà monetarie superiori del Bitcoin originale, le quali dipendono dalla credibilità della sua offerta, dalla sua estrema resistenza al cambiamento, ecc.

Ecco perché è improbabile che il mercato attribuisca un qualche valore a Bitcoin 2.0.

Ecco un altro modo di vederla.

Immaginate che qualcuno voglia cambiare le regole degli scacchi in modo che le pedine possano muoversi all'indietro. Chiamiamolo Scacchi 2.0.

Ovviamente chiunque potrebbe farlo in qualsiasi momento, ma ciò non significa che Scacchi 2.0 prenderà piede.

Ricordate, chiunque può creare una criptovaluta in pochi minuti.

Questa è la parte facile. Crearne una che nessuno controlla è la parte difficile.

In parole povere, nessun'altra criptovaluta si avvicina minimamente a sfidare l'immutabilità, la decentralizzazione, la resistenza alla svalutazione, la liquidità, gli incentivi economici, gli effetti di rete e, soprattutto, la credibilità della sua offerta di Bitcoin.

Ma supponiamo che arrivi una nuova criptovaluta che sia un vero concorrente di Bitcoin.

Per interromperne il dominio consolidato come rete monetaria, non dovrebbe essere solo un po' migliore, ma di ordini di grandezza migliore.

Secondo il famoso autore Jeff Booth, un nuovo concorrente di una rete consolidata deve essere almeno 10 volte migliore per convincere abbastanza persone ad abbandonare quella esistente e unirsi alla nuova rete.

Ci sono state affermazioni su un “Bitcoin migliore” per molti anni, di solito da parte di persone che non lo capivano o da promotori di altcoin poco raccomandabili.

Non sono propenso a credere a tali affermazioni finché non ci saranno prove concrete che qualcosa potrebbe potenzialmente avere proprietà monetarie di gran lunga migliori di Bitcoin.

Finora, niente ci è andato vicino.


Equivoco n°13: la SEC se la prenderà con Bitcoin

Date le sue dichiarazioni, è chiaro che la Securities and Exchange Commission (SEC) considera quasi tutte le criptovalute come titoli non registrati, rendendole vulnerabili ad azioni esecutive.

Ciò ha portato molti a credere erroneamente che la SEC se la sarebbe presa con Bitcoin.

La realtà è che Bitcoin è l'unica criptovaluta che NON è un titolo.

Il governo degli Stati Uniti ha chiarito che considera Bitcoin, e solo Bitcoin, una merce sotto la competenza della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e del Commodity Exchange Act.

Bitcoin è una merce perché è un asset senza qualcuno che lo emette.

Allo stesso modo, oro, argento, rame, grano, mais e altre merci hanno produttori, ma non hanno chi li emette.

Ogni altra criptovaluta diversa da Bitcoin ha chi la emette, ha anche fondatori identificabili, fondazioni, team di marketing e addetti ai lavori che possono esercitare un controllo indebito.

Bitcoin non ha nessuna di queste cose, proprio come il rame o il nichel non hanno un reparto marketing o un fondatore.

La SEC non potrebbe perseguire Bitcoin anche se volesse, perché non c'è nessuno da perseguire. Non c'è una sede centrale di Bitcoin, non c'è un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.

Ma presumendo che la SEC possa andare dietro a Bitcoin, non lo farà perché anch'essa ammette che Bitcoin non è un titolo e quindi non rientra nella sua sfera di competenza.


Equivoco n°14: violare la crittografia di Bitcoin

La crittografia di Bitcoin non è a rischio.

Se la sua crittografia lo fosse, sarebbe anche un problema esistenziale per ogni banca, sistema di brokeraggio, banca centrale, provider di posta elettronica e qualsiasi altro aspetto essenziale della vita digitale moderna.

Metterei questo rischio nella stessa categoria di un'invasione aliena, qualcosa di teoricamente possibile ma irrilevante per le decisioni di investimento odierne.

Ma supponiamo che un ipotetico problema di calcolo quantistico, o qualche nuova tecnologia, rappresenti una minaccia per la crittografia di Bitcoin.

Esiste una soluzione ipotetica: sarebbe possibile aggiornarla ottenendo il consenso dei nodi per renderla resistente al calcolo quantistico o a qualsiasi nuova tecnologia che rappresenti una minaccia esistenziale per essa.


Equivoco n°15: Bitcoin è troppo volatile per essere denaro

È essenziale chiarire innanzitutto che, sebbene il prezzo di Bitcoin sia volatile, il suo protocollo è la cosa più stabile, prevedibile e affidabile che io conosca nella finanza.

Sin dall'inizio di Bitcoin nel 2009, l'offerta totale di 21 milioni non è cambiata, la rete non si è mai fermata, i miner hanno continuato a creare un nuovo blocco ogni 10 minuti in media e chiunque è sempre stato in grado di utilizzare Bitcoin per inviare valore a chiunque, ovunque, senza bisogno di una terza parte di fiducia.

In breve, nonostante tutto ciò che è accaduto dal 2009, la rete Bitcoin non ha perso un colpo.

Detto questo, la monetizzazione non avviene dall'oggi al domani ed è intrinsecamente un processo volatile per il prezzo.

Mentre l'oro è una moneta consolidata, Bitcoin è una moneta emergente.

Ci sono voluti secoli affinché l'oro completasse il suo processo di monetizzazione. Bitcoin ha buone probabilità di completarlo in un periodo di tempo molto più breve, ed è già sulla buona strada.

Qualcosa non passa dall'avere nessun valore all'essere una moneta globale senza volatilità nel suo prezzo. Ad esempio, Bitcoin è passato da non avere alcun valore nel 2009 a oltre $67.000 nel 2021.

Non è raro che Bitcoin subisca correzioni del 50% o più, cosa che è accaduta otto volte. Inoltre ci sono state tre occasioni in cui Bitcoin è sceso dell'80% o più.

Ecco un grafico che mostra le maggiori correzioni di Bitcoin nel corso degli anni per mettere in prospettiva la sua volatilità.

Se si allarga lo sguardo e si osserva il quadro generale, la volatilità del prezzo di Bitcoin è stata principalmente al rialzo nel lungo termine.

È una serie di massimi e minimi più alti.

Sopportare la volatilità di Bitcoin è il prezzo che dobbiamo pagare per ottenere guadagni sproporzionati mentre si prosegue lungo il processo di monetizzazione.

Sarà un viaggio movimentato, come sulle montagne russe, ma credo che ricompenserà gli investitori pazienti.

Ci sono un paio di modi per aiutare a domare la volatilità del prezzo di Bitcoin.

Innanzitutto, invece di acquistare la quantità desiderata di Bitcoin in un'unica grande transazione, usate la media dei costi in dollari (MCD) per distribuirla nel tempo.

Ad esempio, supponiamo che vogliate investire $10.000 in Bitcoin. Invece di acquistare $10.000 in una volta, effettuate un acquisto di circa $192 ogni settimana per un anno.

La MCD riduce significativamente il rischio di acquistare troppo all'inizio di un ciclo e di non acquistare al minimo.

Ecco come la MCD può trasformare la volatilità di Bitcoin a vostro favore.

In secondo luogo, pianificate di risparmiare per almeno quattro anni, attraverso un ciclo di halving.

Raramente c'è stato un periodo in cui il prezzo di Bitcoin è stato inferiore a quello di quattro anni prima... ma, naturalmente, le performance passate non indicano risultati futuri.

Terzo, ogni volta che vedete volatilità nel prezzo di Bitcoin, chiedetevi due cose:

  1. Bitcoin ha ancora proprietà monetarie superiori (totale resistenza alla svalutazione ed estrema portabilità)?
  2. Bitcoin è ancora inarrestabile?

Se la risposta a queste due domande è “Sì”, non mi preoccuperei.

Man mano che l'adozione cresce e Bitcoin diventa più affermato come forma di denaro, la volatilità dovrebbe attenuarsi, ma probabilmente a un prezzo molto più alto.

Ecco perché dovreste acquistare Bitcoin prima che il resto del mondo capisca le sue proprietà monetarie superiori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Una risposta ai critici dell'economia Austriaca

Freedonia - Mer, 20/11/2024 - 11:08

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Eduard Bucher

Richard Duncan è stato di recente ospite sul podcast Wealth Formula per discutere della Scuola Austriaca. Nonostante duri solo 42 minuti, l'episodio è pieno di errori e fallacie.

Ciò che rende la discussione rilevante per gli Austro-libertari non è il fatto che questi due non sappiano nulla di economia Austriaca, ma che le loro critiche sono tipiche di chi la semplifica eccessivamente e la sposta all'estrema destra dello spettro politico.

Duncan sostiene quanto segue:

  1. Gli Austriaci partono dal presupposto che l'oro è denaro e che l'espansione del credito non può quindi continuare indefinitamente.

  2. Gli Austriaci credono che la crescita del credito porti a bolle economiche che alla fine scoppiano sempre: più credito significa più spesa al consumo e più investimenti, portando a una crescita della prosperità, ma quando la crescita del credito si ferma, come deve accadere con un gold standard, la bolla scoppia e il processo si inverte poiché la spesa al consumo, gli investimenti, l'occupazione e la prosperità si riducono.

  3. L’oro ha smesso di essere denaro nel 1968 e, da allora, il capitalismo si è trasformato in “creditismo”, cambiando il modo in cui funziona il nostro sistema economico: l’esplosione del credito che ha avuto luogo ha reso le economie degli Stati Uniti e del resto del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto altrimenti crescere.

  4. Gli Austriaci raccomandano di lasciare che questa bolla scoppi: “[Gli Austriaci ci dicono] che abbiamo peccato non sostenendo più il denaro legato all'oro e che, pertanto, dobbiamo subire la dannazione a causa di tutti i nostri peccati atroci”.

  5. Gli Austriaci non riescono a rendersi conto che la bolla attuale è così enorme che se scoppiasse, la civiltà collasserebbe. Se gli Stati Uniti adottassero un gold standard, o un Bitcoin standard, e non fossero in grado di stampare dollari, presto si troverebbero senza denaro a causa del loro deficit commerciale. Di conseguenza anche le economie di tutti i Paesi che prosperano grazie ai loro grandi surplus commerciali con gli Stati Uniti (principalmente la Cina) crollerebbero e acquisterebbero molti meno beni dagli Stati Uniti, causando il crollo anche dell'economia statunitense. Ciò porterebbe all'implosione dell'intera economia mondiale.

  6. Fortunatamente non c'è motivo per cui dovremmo permettere che la bolla scoppi perché abbiamo i mezzi per mantenerla gonfia indefinitamente, poiché l'oro non è più denaro.

  7. Per questo motivo gli Austriaci sono ingiustamente critici nei confronti del sistema di credito globale basato sul dollaro, il quale fornisce la liquidità responsabile della crescita degli ultimi 60 anni e che ha fatto uscire miliardi di persone dalla povertà.

Ciò che è significativo per gli Austriaci non è che questi punti assurdi nascondano una totale mancanza di familiarità con il corretto pensiero economico, ma piuttosto che una corretta confutazione di essi dovrebbe avere cognizione di ciò che dice l'oggetto confutato.

  1. Il credito non può espandersi indefinitamente perché alla fine porta all'iperinflazione e alla cessazione dell'uso del denaro in quanto tale: un aumento del credito non aumenta i beni e i servizi reali disponibili, ma solo la quantità di denaro che può essere scambiata per essi. Con l'aumento dei prezzi, l'unità monetaria perde potere d'acquisto, incentivando gli individui a ridurre i loro saldi di cassa e ad accelerare il loro comportamento di acquisto. Nessuno vuole più scambiare nulla per denaro e quest'ultimo diventa sempre più privo di valore, rischiando di far tornare la società al baratto.

  2. I crediti che derivano dal risparmio volontario non hanno questo effetto, perché le maggiori richieste sulla produzione avanzate dai debitori sono controbilanciate dalle minori richieste su di essa avanzate dai creditori. Indipendentemente dal fatto che il denaro assuma la forma di oro, moneta fiat, o qualsiasi altra cosa, l'espansione del credito non coperta dal risparmio reale induce un boom artificiale seguito da una crisi correttiva, come descritto nella teoria Austriaca del ciclo economico. Tuttavia senza espansione artificiale del credito, la crescita economica è organica, endogena e sostenibile.

  3. L'esplosione del credito che ha avuto luogo dal 1968 non ha reso le economie degli Stati Uniti e del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto essere altrimenti. Da un lato le economie sono cresciute grazie all'aumento del commercio, alla disponibilità di nuove tecnologie/tecniche di produzione e all'assenza di guerre su larga scala; tale crescita è indipendente dall'espansione inflazionistica del credito. Dall'altro lato, invece, l'espansione del credito è responsabile dell'offshoring industriale e prezzi più alti, allontanando le risorse produttive da quei processi in cui avrebbero servito meglio gli scopi più desiderati dei consumatori; tale crescita è semplicemente un trucco contabile, senza alcun riguardo nei confronti del cambiamento del potere d'acquisto, e ciò rappresenta in realtà una distruzione di valore che si concluderà con una recessione economica correttiva.

  4. L'attribuzione di un tono morale alle raccomandazioni Austriache è del tutto fuori luogo. Il compito della scienza è di chiarire connessioni causali e relazioni funzionali, non di raggiungere giudizi di valore normativi e verdetti morali. Gli economisti Austriaci, in quanto economisti, si limitano a sottolineare le differenze relative negli incentivi e nei panorami di possibilità associati a una moneta sana/onesta o a una moneta fiat.

  5. L'errore centrale in questo punto è il mito del sottoconsumo. Duncan ritiene che se gli americani smettessero di acquistare i prodotti delle fabbriche cinesi, queste ultime andrebbero in bancarotta. In realtà venderebbero ai successivi migliori offerenti a prezzi più bassi. I cinesi probabilmente consumerebbero di più a livello nazionale in aggregato, aumentando gli standard di vita locali e abbassando quelli degli americani. In risposta i prezzi scenderebbero, le tecniche di produzione cambierebbero e gli americani dovrebbero iniziare a produrre di più anche a livello nazionale. Man mano che l'economia americana crescerebbe in termini di capacità produttive, il valore del dollaro aumenterebbe di nuovo e consentirebbe agli americani di competere sul mercato mondiale per beni e servizi prodotti in altri Paesi e per i quali pagherebbero dollari che gli altri desidererebbero avere per acquistare i beni e servizi prodotti negli Stati Uniti. Il fatto che gli USA abbiano attualmente un deficit commerciale significa che gli americani stanno importando più di quanto esportino, il che non può durare in condizioni naturali.

  6. Le bolle non scoppiano perché finiscono i soldi, ma a causa dell'esaurimento di beni e risorse reali necessari a sostenerle. Man mano che il capitale viene consumato, i processi di produzione diventano relativamente meno indiretti, riducendo l'efficienza e le economie di scala. Non possiamo sapere come far crescere una bolla indefinitamente perché non abbiamo ancora scoperto come far scomparire la scarsità.

  7. Il sistema del dollaro non ha emancipato le persone dalla povertà. Immaginare che siano stati stampati e distribuiti milgiaia di miliardi di dollari ai poveri, sollevandoli così al di sopra della soglia di povertà, significa mettere il carro davanti ai buoi. Gli individui diventano più ricchi man mano che aumenta il loro accesso a beni e servizi, e quindi il problema centrale è quello della produzione e dell'accumulo di capitale. Ciò che ha emancipato miliardi di persone dalla povertà è un'espansione della divisione del lavoro, cosa che non è influenzata dalla quantità di denaro in circolazione. Qualsiasi quantità (fisiologica) di denaro andrà bene, e quindi un aumento dei crediti in dollari non può essere ritenuto responsabile di una riduzione della povertà.

In conclusione, quando si discute in pubblico è importante non impantanarsi in tecnicismi, ma concentrarsi sui principali difetti del ragionamento e, in modo rapido ed efficiente, evidenziare la fallacia in questione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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I 7 motivi per cui oggi è necessario un secondo passaporto

Freedonia - Mar, 19/11/2024 - 11:17

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di Nick Giambruno

Prima della prima guerra mondiale per viaggiare all'estero non era necessario il passaporto.

Era una verità evidente che un individuo sovrano poteva viaggiare ovunque volesse senza chiedere il permesso a nessuno.

Purtroppo oggi viaggiare non funziona più così.

La vostra cosiddetta libertà di movimento dipende dal consenso di più stati.

È necessario ottenere un passaporto dal governo del proprio Paese di origine, possibilmente uno che contenga i propri dati biometrici immutabili, un visto dal governo del Paese di destinazione e ulteriori visti dai governi di qualsiasi Paese di transito per arrivarci.

Oltre ai passaporti e ai visti, gli stati possono imporre condizioni mediche assurde e invasive per entrare nei loro territori, come ha dimostrato la psicosi di massa del Covid.

Invece di considerare il viaggio un diritto inalienabile, gli stati lo considerano un privilegio speciale concesso alla plebe, che può essere revocato se ci si comporta male, proprio come un adulto tratta la richiesta di un bambino di andare a casa di un amico.

In realtà i passaporti non facilitano i viaggi: sono strumenti per controllarvi e costringervi. Il mondo starebbe meglio senza di essi.

Purtroppo i passaporti non scompariranno.

Continuerete ad averne bisogno per viaggiare, quindi potreste anche averne più di uno affinché il ​​governo del vostro Paese avrà meno potere di controllarvi.

In breve, ottenere un secondo passaporto è fondamentale per liberarsi dalla dipendenza assoluta da qualsiasi Paese. Una volta ottenuta questa libertà, è molto più difficile per qualsiasi governo costringervi o controllare il vostro destino.

Tra le altre cose, avere un secondo passaporto vi consente di investire, gestire banche, viaggiare, vivere e fare affari in luoghi in cui altrimenti non potreste.

Indipendentemente da dove vivete, potete trarre beneficio dei vantaggi di diversificazione politica offerti da un secondo passaporto.

Ecco i sette principali motivi per cui tutti ne hanno bisogno.


Motivo n°1: neutralizzare le restrizioni ai viaggi

Un secondo passaporto impedisce allo stato di chiudervi dentro.

In caso contrario può sottoporvi agli arresti domiciliari e annullare il passaporto, anche se ne possedete solo uno.

Ad esempio, dopo che Castro salì al potere a Cuba, il suo governo fece sì che i cittadini facessero domanda per un visto di uscita per lasciare l'isola. Non veniva concesso facilmente.

Impedire alle persone di andarsene è sempre stato il segno distintivo di un regime autoritario.

Purtroppo questa pratica è in crescita nelle cosiddette democrazie liberali.

Si pensi alle restrizioni totalitarie di viaggio imposte da Canada, Australia e altri Paesi durante l'isteria di massa dovuta al Covid, cosa che hanno impedito ai relativi cittadini di partire a meno che non si sottoponessero a una procedura medica sperimentale.

Negli USA il governo può annullare il vostro passaporto se avete un modesto debito fiscale o se vi accusano di un reato. Non c'è bisogno di una condanna, basta un'accusa.

Molte persone pensano che i reati gravi consistano solo in atti come rapine e omicidi, ma non è così.

La montagna di leggi e regolamenti in continua espansione ha criminalizzato anche le attività più banali. Non è così difficile commettere un crimine come si potrebbe pensare, infatti molti “crimini” senza vittime.

L'avvocato per le libertà civili, Harvey Silverglate, ha scoperto che in media un americano commette inavvertitamente tre reati gravi al giorno.

Quindi se il governo degli Stati Uniti volesse annullare il vostro passaporto, potrebbe trovare qualche cavillo per farlo... a chiunque.

È come un vecchio detto dell'Unione Sovietica: “Mostrami la persona e ti mostrerò il crimine”.

Se avete idee politiche che non piacciono al vostro stato, non sorprendetevi se in qualche modo limita la vostra libertà di movimento.

Naturalmente questo non è un problema esclusivo del governo degli Stati Uniti.

Qualsiasi stato può revocare o annullare il passaporto dei propri cittadini per qualsiasi motivo ritenga opportuno.

Questo perché “il vostro” passaporto non è una vostra proprietà: è di proprietà del governo che lo ha rilasciato.

Avere un secondo passaporto aiuta ad attenuare questo rischio.


Motivo n°2: maggiori opzioni finanziarie

Un secondo passaporto apre le porte a maggiori servizi finanziari internazionali altrimenti non disponibili.

A causa delle gravose e invasive normative americane, molti, ma non ancora tutti, gli istituti finanziari stranieri ora respingono chiunque presenti un passaporto statunitense. Quindi, per essere un cliente gradito, potreste aver bisogno di un passaporto di un altro Paese.

Lo stesso vale per le persone in possesso di passaporti di altri Paesi con un bagaglio politico.

Buona fortuna nell'aprire un conto in una giurisdizione affidabile con un passaporto proveniente dall'Africa, dal Medio Oriente o da un Paese presente nella lista dei “cattivi” di Washington.

Un secondo passaporto potrebbe risolvere questo problema.


Motivo n°3: più viaggi senza visto

Richiedere un visto prima di un viaggio è una vera seccatura. Può essere frustrante, richiede molto tempo ed è costoso. Potrebbe anche essere negato.

Un secondo passaporto vi consente di accedere senza visto a più Paesi.

Nel mondo ci sono 227 Paesi ed entità politiche.

Il passaporto giapponese è il migliore al mondo per quanto riguarda i viaggi senza visto: vi consente di entrare in 193 destinazioni senza ottenere un visto in anticipo.


Motivo n°4: evitare contraccolpi della politica estera

Supponiamo che il vostro stato abbia la cattiva abitudine di ficcare il naso negli affari interni degli altri Paesi. Questo potrebbe rendervi un bersaglio se vi trovaste nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Esistono passaporti con un rischio minimo di contraccolpi in politica estera.

Quando è stata l'ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che prendeva di mira i titolari di passaporto svizzero o uruguaiano?


Motivo n°5: non dovete vivere come un rifugiato

Un secondo passaporto è un'assicurazione sulla mobilità per voi e la vostra famiglia.

Supponiamo che il vostro Paese d’origine “crolli”, come accadde in Russia negli anni ’20 o in Germania negli anni ’30.

I cittadini di Venezuela, Siria, Iraq, Yemen, Libia, Afghanistan, Ucraina e molti altri Paesi si trovano oggi ad affrontare lo stesso problema.

Dove andrete? Sarete accettati?

La verità è che qualsiasi Paese può trasformarsi in un Venezuela, o in qualcosa di peggio, più velocemente di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare o prepararsi.

Indipendentemente da quanto grave possa essere la situazione nel vostro paese d'origine, un secondo passaporto vi dà il diritto legale di vivere e lavorare altrove.

Vi garantisce che non dovrete vivere come un profugo altrove.


Motivo n°6: Rinuncia

Se decidete di rinunciare alla cittadinanza, avrete bisogno di un secondo passaporto.

Ciò potrebbe comportare enormi vantaggi fiscali e normativi se il vostro Paese d'origine grava sui suoi cittadini con tasse soffocanti e inevitabili... come accade negli Stati Uniti.

Ma non riguarda solo questi ultimi.

Diversi altri Paesi stanno valutando l'ipotesi di imporre un modello di tassazione simile basato sulla cittadinanza, in cui la rinuncia alla stessa è l'unica via d'uscita.

Un secondo passaporto vi garantisce di avere sempre la possibilità di emanciparvi.


Motivo n°7: Benefici generazionali

Una volta ottenuto un secondo passaporto, i vantaggi della diversificazione politica dureranno per generazioni.

Potete trasmettere più cittadinanze ai vostri futuri figli e nipoti.


Non è facile, ma necessario

Man mano che la disperazione aumenta, gli stati attuano politiche sempre più distruttive.

Lo stesso schema si è ripetuto più volte in tutto il mondo e nel corso della storia. È prevedibile come il cambio delle stagioni.

Quanto più peggiora la salute finanziaria di uno stato, tanto più distruttive diventano le sue linee di politica.

Questa è la radice del rischio politico: il rischio che lo stato metta a repentaglio il vostro benessere personale e finanziario.

Non è un segreto che il rischio politico stia aumentando in molte parti del mondo. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, in Canada e in Europa dove la spesa sociale e militare ha portato alla bancarotta la maggior parte degli stati.

Non importa quale partito sia al potere. Vanno tutti nella stessa direzione, anche se a velocità diverse.

Mi aspetto che gli stati imporranno presto ulteriori restrizioni ai viaggi.

Ottenere i vantaggi della diversificazione politica offerti da un secondo passaporto è fondamentale per garantire la propria libertà in un mondo in continuo cambiamento.

Sfortunatamente non esiste un modo per ottenere un secondo passaporto che sia allo stesso tempo veloce, facile ed economico.

Tuttavia ciò non rende meno urgente o cruciale l'ottenimento di uno.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il consenso al neoliberismo sta crollando

Freedonia - Lun, 18/11/2024 - 11:06

Il pezzo di oggi è uno di quelli che vi invito caldamente a leggere e rileggere perché rappresenta un'evoluzione di fatti di cui ho parlato spesso su queste pagine e che adesso iniziano a concretizzarsi. Molti di voi, cari lettori, ricorderanno il tanto citato saggio di Martin Van Creveld sul declino dello stato, ebbene l'articolo di oggi inserisce il tassello mancante in quell'analisi: cosa sostituirà lo stato-nazione? Van Creveld ci lasciava con questo quesito. Ovviamente non poteva far altro per i suoi tempi. Addirittura c'è stato l'autore Frank Chodorov che, prima di lui, aveva ipotizzato uno scenario simile. Avevano la sfera di cristallo? No, come ci ricorda Tucker il sistema dello stato-nazione trasportava sin dalla sua nascita i semi della sua stessa distruzione. L'istruzione pubblica ha lavorato alacremente per nascondere e ritardare la loro germogliazione. L'inevitabilità di questo evento, però, è sempre stata presente e, come ricordo anche nel mio ultimo libro, porterà a delle scelte economiche drastiche che richiederanno alla popolazione generale di essere preparata in anticipo. Almeno per sopravvivervi avendo un vantaggio su coloro che invece resteranno passivi sino alla fine. Il pezzo di oggi, invece, analizza i fattori sociali e istituzionali configurando un'evoluzione degli eventi che, molto probabilmente, ci faranno addirittura rimpiangere l'architettura dello stato-nazione. Anche perché, come affermo anche nel mio libro, senza un'accelerazione ulteriore della centralizzazione dei poteri, l'Europa è destinata a una dissoluzione caotica e precoce.

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di Jeffrey Tucker

La risposta mondiale al Covid è stata il punto di svolta nella fiducia pubblica, nella vitalità economica, nella salute dei cittadini, nella libertà di parola, nell'alfabetizzazione, nella libertà religiosa e di viaggio, nella credibilità dell'élite, nella longevità demografica e molto altro ancora. Cinque anni dopo la diffusione iniziale del virus che ha provocato dispotismi su larga scala, qualcos'altro sembra stia cadendo: il consenso del dopoguerra al cosiddetto neoliberismo. (Filosofia economico/politica, questa, in netto contrasto con quella Austriaca e libertaria, ndt.)

Il mondo come lo conoscevamo solo un decennio fa è in fiamme, esattamente come Henry Kissinger aveva avvertito in uno dei suoi ultimi articoli. Le nazioni stanno erigendo nuove barriere commerciali e affrontando rivolte cittadine come mai viste prima, alcune pacifiche, altre violente. Dall'altra parte di questo sconvolgimento c'è la risposta alla grande domanda: che aspetto ha la rivoluzione politica nelle economie industriali avanzate con istituzioni democratiche? Stiamo cercando di scoprirlo.

Facciamo un rapido excursus nella storia moderna per capire meglio le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Dall'apertura della Cina negli anni '80 all'elezione di Donald Trump nel 2016, il volume delle importazioni commerciali dalla Cina non ha fatto altro che crescere, decennio dopo decennio. È stato il segno evidente di una traiettoria generale verso la globalizzazione iniziata dopo la seconda guerra mondiale e accelerata con la fine della guerra fredda. Dazi e barriere commerciali sono diminuiti sempre di più, mentre i dollari come valuta di riserva mondiale hanno riempito le casse delle banche centrali mondiali. Gli Stati Uniti sono stati la fonte globale di liquidità che ha reso possibile tutto ciò.

Non senza pagare un costo enorme, però, poiché gli Stati Uniti nel corso dei decenni hanno perso i loro vantaggi manifatturieri in decine di settori industriali. Orologi, pianoforti, mobili, tessuti, abbigliamento, acciaio, utensili, costruzioni navali, giocattoli, elettrodomestici, elettronica di consumo e semiconduttori hanno tutti lasciato le coste degli Stati Uniti, mentre altri settori hanno iniziato ad avere difficoltà, in particolar modo le automobili. Oggi anche le tanto celebrate industrie “dell'energia verde” sono destinate a essere surclassate dalla concorrenza.

Questi settori sono stati in gran parte sostituiti da prodotti finanziari alimentati tramite il debito, dal settore medico pubblico, dai sistemi informatici, dall'intrattenimento e dall'istruzione finanziata dallo stato, mentre le principali esportazioni degli Stati Uniti sono diventate debito e prodotti petroliferi.

Molte forze si sono unite per far salire Donald Trump in cima alla catena di comando nel 2016, ma il risentimento contro l'internazionalizzazione della produzione era alto. Mentre la finanziarizzazione sostituiva la produzione nazionale e la mobilità di classe ristagnava, negli Stati Uniti ha preso forma un allineamento politico che ha lasciato sbalordite le élite. Trump si è impegnato sul suo problema preferito, ovvero erigere barriere commerciali contro i Paesi con cui gli Stati Uniti stavano registrando deficit commerciali, principalmente la Cina.

Nel 2018, e in risposta ai nuovi dazi, il volume degli scambi commerciali con la Cina ha subito il suo primo duro colpo, invertendo non solo una traiettoria di crescita di 40 anni, ma anche assestando il primo e più grande colpo al consenso neoliberista.

Poi è successo qualcosa che ha invertito l'inversione. Quel qualcosa è stata la risposta al Covid. Nel racconto di Jared Kushner (Breaking History) egli si recò dal suocero dopo il lockdown e gli disse:

Stiamo cercando di trovare rifornimenti in tutto il mondo. Al momento ne abbiamo abbastanza per arrivare alla prossima settimana, forse due, ma dopo potrebbe diventare davvero brutta la situazione, molto in fretta. L'unico modo per risolvere il problema immediato è ottenere i rifornimenti dalla Cina. Saresti disposto a parlare con il presidente Xi per disinnescare la situazione?

“Ora non è il momento di essere orgogliosi”, disse Trump, “odio che siamo in questa posizione, ma cerchiamo di trovare una soluzione”.

È impossibile immaginare il dolore che questa decisione deve aver causato a Trump, poiché ha significato il ripudio di tutto ciò in cui credeva profondamente e di tutto ciò che si era prefissato di realizzare come presidente.

Kushner continua:

Contattai l'ambasciatore cinese Cui Tiankai e proposi che i due leader parlassero. Cui era entusiasta dell'idea. Quando parlarono, Xi fu veloce a descrivere le misure adottate dalla Cina per mitigare il virus. Poi espresse preoccupazione per il fatto che Trump si riferisse al COVID-19 come “virus cinese”. Trump accettò di astenersi dal chiamarlo così se Xi avesse dato agli Stati Uniti la priorità rispetto ad altri nella spedizione di forniture. Xi promise di collaborare. Da quel momento in poi, ogni volta che chiamavo l'ambasciatore Cui per un problema, lui lo risolveva immediatamente.

Quale fu il risultato? Il commercio con la Cina salì alle stelle. Nel giro di poche settimane, gli americani indossavano mascherine sintetiche cinesi sul viso, avevano il naso tappato con tamponi cinesi e venivano curati da infermieri e dottori che indossavano camici cinesi.

Il grafico sul volume degli scambi commerciali con la Cina si presentava così. Si può osservare la lunga ascesa, la caduta dal 2018 e l'inversione del volume degli acquisti in seguito ai lockdown e agli interventi di Kushner. Non è durata a lungo, poiché le relazioni commerciali si sono interrotte e sono nati nuovi blocchi commerciali.

L'ironia, quindi, è evidente: il tentativo fallito di riavviare l'ordine neoliberista, se di questo si trattava, si è verificato nel mezzo di un'ondata globale di controlli e restrizioni totalitari. In che misura i lockdown sono stati impiegati per resistere all'agenda di disaccoppiamento di Trump? Non abbiamo risposte a questa domanda, ma osservare lo schema lascia spazio a speculazioni.

In ogni caso, le tendenze degli ultimi 70 anni si sono invertite, facendo approdare gli Stati Uniti in tempi nuovi, descritti dal Wall Street Journal:

Se si scoprisse che i dazi sulla Cina sono al 60% e quelli del resto del mondo sono al 10%, il dazio medio degli Stati Uniti, ponderato in base al valore delle importazioni, balzerebbe al 17% dal 2.3% nel 2023 e dall'1.5% nel 2016, secondo Evercore ISI, una banca d'investimento. Sarebbe la media più alta sin dalla Grande Depressione, dopo che il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act (1932), il quale innescò un'ondata globale di barriere commerciali. I dazi statunitensi passerebbero da quelli più bassi a quelli più alti tra le principali economie mondiali. Se altri Paesi reagissero, l'aumento delle barriere commerciali globali non avrebbe precedenti moderni.

Parlare dello Smoot-Hawley Act ci fa davvero sprofondare nella storia. A quei tempi la politica commerciale negli Stati Uniti seguiva la Costituzione degli Stati Uniti (Articolo I, Sezione 8). Il sistema originale garantiva al Congresso il potere di regolamentare il commercio con le nazioni straniere, tra gli altri poteri. Ciò aveva lo scopo di mantenere la politica commerciale all'interno del ramo legislativo per garantire una responsabilità sempre presente. Di conseguenza il Congresso rispose alla crisi economica/finanziaria imponendo enormi barriere contro le importazioni; la depressione peggiorò.

Era una convinzione diffusa nei circoli d'élite che i dazi del 1932 avessero avuto un ruolo principale nell'aggravamento della crisi economica. Due anni dopo iniziarono i lavori per trasferire l'autorità commerciale al ramo esecutivo in modo che quello legislativo non facesse mai più qualcosa di così stupido. La teoria era che il presidente avrebbe avuto più probabilità di perseguire una linea di politica di libero scambio e dazi bassi. Quella generazione non avrebbe mai immaginato che gli Stati Uniti avrebbero eletto un presidente che avrebbe usato il suo potere per fare l'opposto.

Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, un gruppo di diplomatici, statisti e intellettuali lavorò per garantire la pace. Tutti concordarono sul fatto che una priorità nel mondo del dopoguerra fosse quella di istituzionalizzare la cooperazione economica il più ampiamente possibile, sulla base della teoria secondo cui nazioni che dipendono l'una dall'altra per il loro benessere materiale avrebbero avuto meno probabilità di andare in guerra l'una contro l'altra.

Nacque così quello che venne chiamato l'ordine neoliberista. Consisteva in nazioni democratiche con stati sociali limitati che cooperavano dal punto di vista commerciale: barriere sempre più basse. In particolare i dazi vennero criticati come mezzi di sostegno fiscale e protezione industriale. Furono fondati nuovi accordi e istituzioni per essere gli amministratori del nuovo sistema: GATT, FMI, Banca Mondiale e ONU.

L'ordine neoliberista non è mai stato liberale nel senso tradizionale, è stato gestito fin dall'inizio da stati sotto il dominio degli Stati Uniti. L'architettura è sempre stata più fragile di quanto sembrasse. L'accordo di Bretton Woods del 1944, rafforzato nel corso dei decenni, ha coinvolto istituzioni come banche globali e un sistema monetario gestito dagli Stati Uniti che poi è crollato nel 1971. Il difetto in entrambi i sistemi aveva una radice comune: una moneta globale ma sistemi fiscali e normativi nazionali, cosa che ha quindi disabilitato i meccanismi di flow-to-specie che invece avevano bilanciato il commercio nel XIX secolo.

Una delle conseguenze è stata la perdita di produzione sopra menzionata, cosa che è coincisa con una crescente percezione pubblica che le istituzioni pubbliche stessero operando senza trasparenza e partecipazione dei cittadini. L'espansione dello stato militare dopo l'11 settembre e gli sbalorditivi salvataggi di Wall Street dopo il 2008 hanno rafforzato tale punto e preparato il terreno per una rivolta populista. I lockdown, che hanno avvantaggiato le élite, insieme alle rivolte dell'estate 2020, l'obbligo di vaccinazione e l'insorgere di una crisi migratoria, hanno rafforzato ancora di più suddetto punto.

Panico e frenesia, però, non spiegano il motivo per cui quasi tutti i Paesi occidentali stanno affrontando la stessa dinamica. Oggi la lotta politica nel mondo riguarda gli stati e i movimenti populisti contro il tipo di globalismo che ha portato una risposta mondiale al virus e alla crisi migratoria. Entrambe le risposte si sono rivelate sbagliate, in particolar modo il tentativo di vaccinare l'intera popolazione con un'iniezione che oggi è difesa solo dai relativi produttori e da coloro che sono al loro soldo.

Il problema della migrazione più la pianificazione pandemica sono solo due degli ultimi dati, ma entrambi suggeriscono una realtà minacciosa di cui molte persone nel mondo sono appena consapevoli. Gli stati che hanno dominato il panorama politico sin dal Rinascimento, e persino in alcuni casi nel mondo antico, hanno lasciato il posto a una forma di governo che possiamo chiamare globalismo. Badate bene, però, questo termine non si riferisce al commercio transfrontaliero. Riguarda il controllo politico: lontano dai cittadini e verso qualcos'altro che questi ultimi non possono controllare o influenzare.

Dal tempo del Trattato di Westfalia, firmato nel 1648, l'idea della sovranità statale ha prevalso nel mondo della politica. Non tutte le nazioni avevano bisogno delle stesse linee di politica, ciononostante avrebbero rispettato le differenze per raggiungere l'obiettivo della pace. Ciò implicava il permesso di diversità religiosa tra gli stati, una concessione che portò a uno sviluppo della libertà in altri modi. Tutta la governance finì per essere organizzata attorno a zone di controllo geograficamente limitate.

I confini giuridici limitavano il potere e l'idea del consenso avrebbe gradualmente dominato gli affari politici dal XVIII al XIX secolo fino a dopo la Grande Guerra, la quale avrebbe l'ultimo degli imperi multinazionali. Sarebbe rimasto in piedi un solo modello: lo stato-nazione in cui i cittadini avrebbero esercitato la sovranità ultima. Il sistema ha funzionato, ma non tutti ne sono stati contenti.

Per secoli alcuni degli intellettuali di più alto rango hanno sognato un governo mondiale come soluzione alla diversità delle linee di politica degli stati. È stata l'idea di riferimento per scienziati ed eticisti convinti della correttezza delle loro idee: un'imposizione mondiale come soluzione ottimale. L'umanità è stata abbastanza saggia da non tentare una cosa del genere, al di là delle alleanze militari e dei meccanismi per migliorare i flussi commerciali.

Nonostante il fallimento della gestione globale nel secolo scorso, nel XXI secolo abbiamo assistito all'intensificazione del potere delle istituzioni globaliste. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha scelto la risposta alla pandemia per il mondo intero. Le fondazioni e le ONG globaliste sono pesantemente coinvolte nella crisi dei migranti. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, creati come istituzioni per un sistema globale per denaro e finanza, stanno esercitando un'influenza sproporzionata sulla politica monetaria e finanziaria. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) lavora per ridurre il potere dello stato-nazione sulle politiche commerciali.

Poi ci sono le Nazioni Unite. Mi è capitato di essere a New York City qualche settimana fa quando si sono riunite le Nazioni Unite. Non c'è dubbio che sia stato il più grande spettacolo sul pianeta Terra: vaste zone della città sono state chiuse al traffico, con diplomatici e gente nel mondo della finanza arrivati ​​in elicottero sui tetti di hotel di lusso. I prezzi di tutto sono stati aumentati in risposta.

I partecipanti non erano solo statisti da tutto il mondo, ma anche le più grandi società finanziarie e mediatiche, insieme a rappresentanti delle più grandi università e organizzazioni no-profit. Tutte queste forze si riuniscono sovente come se volessero tutte far parte del futuro. E quel futuro è un governo globale in cui lo stato-nazione alla fine viene ridotto a puro orpello senza alcun potere operativo.

L'impressione che ho avuto lì è stata una di profonda separazione del loro mondo da quello del resto di noi. Sono “persone che vivono in una bolla”. I loro amici, coloro che li finanziano, i raggruppamenti sociali, aspiranti carrieristi in un tale mondo e grandi influencer sono distaccati non solo dalle persone normali, ma anche dallo stato-nazione stesso. L'atteggiamento di moda tra tutti loro è quello di considerare lo stato-nazione e la sua storia come sorpassati, fittizi e piuttosto imbarazzanti.

Un globalismo come quello che opera nel XXI secolo rappresenta uno spostamento e un ripudio del modo in cui la governance ha funzionato per mezzo millennio nella pratica. Gli Stati Uniti sono stati inizialmente istituiti come un Paese di democrazie localizzate che si sono poi unite sotto una confederazione libera. Gli Articoli della Confederazione non hanno creato alcun governo centrale, ma hanno piuttosto demandato alle ex-colonie il compito di istituire (o continuare) le proprie strutture di governance. Quando è arrivata la Costituzione, ha creato un attento equilibrio di controlli ed equilibri per limitare lo stato federale preservando al contempo i diritti di singoli stati. L'idea non era di rovesciare il controllo dei cittadini sullo stato-nazione, ma di istituzionalizzarlo.

Dopo tutti questi anni la maggior parte delle persone nella maggior parte delle nazioni, in particolare negli Stati Uniti, ritiene di dover avere l'ultima parola sulla struttura del sistema. Questa è l'essenza dell'ideale democratico, e non come fine a sé stesso, ma come garante della libertà, il principio che guida tutto il resto. La libertà è inseparabile dal controllo del governo da parte dei cittadini. Quando questo legame viene infranto, la libertà stessa viene gravemente danneggiata.

Il mondo odierno è pieno di istituzioni e individui ricchi che si ribellano alle idee di libertà e democrazia. Non amano l'idea di stati geograficamente limitati con zone di potere giuridico. Credono di avere una missione globale e vogliono rafforzare le istituzioni globaliste contro la sovranità delle persone che vivono negli stati-nazione.

Secondo questa gente ci sono problemi esistenziali che richiedono il rovesciamento del modello dello stato-nazione: malattie infettive, minacce pandemiche, cambiamenti climatici, mantenimento della pace, criminalità informatica, stabilità finanziaria, instabilità varie ed eventuali; sono sicuro che ce ne sono altre nella lista che dobbiamo ancora vedere. L'idea alla base è che questi problemi sono mondiali e sfuggono alla capacità dello stato-nazione di affrontarli.

Siamo tutti indotti a credere che lo stato-nazione non sia altro che un anacronismo che debba essere soppiantato. Tenete presente che questo significa necessariamente trattare la democrazia e la libertà come anacronismi. In pratica l'unico mezzo con cui le persone comuni possono frenare la tirannia e il dispotismo è attraverso il voto. Nessuno di noi ha alcuna influenza sulle politiche dell'OMS, della Banca Mondiale, o dell'FMI, tanto meno sulle fondazioni Gates o Soros. Nel modo in cui la politica è strutturata nel mondo oggi, siamo tutti necessariamente privati ​​dei diritti in un mondo governato da istituzioni globali.

Ed è proprio questo il punto: ottenere la privazione universale dei diritti della gente comune in modo che le élite possano avere mano libera nel regolare il pianeta come ritengono opportuno. Ecco perché diventa estremamente urgente per ogni persona che aspira a vivere in pace riconquistare la sovranità nazionale e dire no al trasferimento di autorità a istituzioni su cui i cittadini non hanno alcun controllo.

La devoluzione del potere dal centro è l'unica via attraverso cui possiamo ripristinare gli ideali dei grandi visionari del passato come Thomas Jefferson, Thomas Paine e l'intera generazione di pensatori illuministi. Alla fine le istituzioni di governo devono essere sotto il controllo dei cittadini e riguardare i confini di singoli stati, altrimenti nel tempo diventano tiranniche. Come affermò Murray Rothbard, abbiamo bisogno di un mondo in cui le nazioni esistano per consenso.

Ci sono molte ragioni per rimpiangere il crollo del cosiddetto consenso neoliberista e una forte motivazione per preoccuparsi dell'ascesa del protezionismo e dei dazi. Tuttavia ciò che hanno chiamato “libero scambio” (non la semplice libertà di comprare e vendere oltre confine, ma piuttosto un piano industriale gestito dallo stato) ha avuto anch'esso un costo: il trasferimento della sovranità dalle persone nelle loro comunità e nazioni a istituzioni sovranazionali su cui i cittadini non hanno alcun controllo. Non doveva andare così, ma è così che è andata alla fine.

Per questo motivo il consenso neoliberista costruito nel periodo postbellico conteneva i semi della sua stessa distruzione. Era troppo dipendente dalla creazione di istituzioni al di fuori del controllo delle persone e troppo dipendente dal dominio dell'élite sugli eventi. Stava già crollando prima della risposta alla pandemia, ma sono stati i lockdown, imposti quasi simultaneamente in tutto il mondo per sottolineare l'egemonia dell'élite, a esporre il pugno sotto il guanto di velluto.

La rivolta populista di oggi potrebbe un giorno apparire come l'inevitabile svolgimento degli eventi quando le persone diventano (nuovamente) consapevoli della privazione dei loro diritti. Gli esseri umani non si accontentano di vivere in gabbia.

Molti hanno previsto da tempo una reazione negativa ai lockdown e a tutto ciò che vi era associato. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarla nei fatti. Il dramma dei nostri tempi è tanto profondo quanto quello di qualsiasi altra grande epoca della storia: la caduta di Roma, il Grande Scisma, la Riforma protestante, l'Illuminismo e la caduta degli imperi multinazionali. L'unica domanda ora è se a questo giro finirà come l'America del 1776 o la Francia del 1790.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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The Menace of Tariffs

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Donald Trump is a strong believer in protective tariffs, and this is very bad news for those of us who support the free market. In Trump’s opinion, tariffs are a great idea. Here is what he said about them in an interview last month: “Trump has proposed a 10 percent across-the-board tariff on all imports and 60 percent on goods from China. During Tuesday’s remarks, he singled out imported cars for higher trade duties, saying he would slap a100, 200 or 300 percent tariff on cars made in Mexico. He also floated imposing 50 percent tariffs on goods to force companies to relocate operations to the U.S. to avoid the penalty.

‘First of all, 10 percent when you collect it is hundreds of billions of dollars … all reducing our deficit,’ he said. ‘But really, so there’s two ways of looking at a tariff. You can do it as a money-making instrument, or you can do it as something to get the companies. Now, if you want the companies to come in, the tariff has to be a lot higher than 10 percent because 10 percent is not enough. Guys, they’re not going to do it for 10, but you make a 50 percent tariff, they’re going to come in.’”

Trump discusses tariffs as if they were a way of improving the free market. In fact, though, as the great economist Murray Rothbard points out in Power and Market, tariffs directly attack the essence of the free market, namely that people gain through mutually advantageous trade. Rothbard proves this by a brilliant reductio ad absurdum argument: “The absurdity of the pro-tariff arguments can be seen when we carry the idea of a tariff to its logical conclusion—let us say, the case of two individuals, Jones and Smith.”

You might think that Rothbard has gone too far— aren’t individuals very different from nations? Isn’t a discussion of two-person trade irrelevant? But Rothbard has a convincing response. Often a very simple example. reveals the principle that underlies a much more complicated case. As he explains:

“This is a valid use of the reductio ad absurdum because the same qualitative effects take place when a tariff is levied on a whole nation as when it is levied on one or two people; the difference is merely one of degree. Suppose that Jones has a farm, ‘Jones’ Acres,’ and Smith works for him. Having become steeped in pro-tariff ideas, Jones exhorts Smith to ‘buy Jones’ Acres.’ ‘Keep the money in Jones’ Acres,’ ‘don’t be exploited by the flood of products from the cheap labor of foreigners outside Jones’ Acres,’ and similar maxims become the watchword of the two men. To make sure that their aim is accomplished, Jones levies a 1,000-percent tariff on the imports of all goods and services from ‘abroad,’ i.e., from outside the farm. As a result, Jones and Smith see their leisure, or ‘problems of unemployment,’ disappear as they work from dawn to dusk trying to eke out the production of all the goods they desire. Many they cannot raise at all; others they can, given centuries of effort. It is true that they reap the promise of the protectionists: ‘self-sufficiency,’ although the ‘sufficiency’ is bare subsistence instead of a comfortable standard of living.”

Rothbard next addresses a central point of pro-tariffs defenders like Trump, the alleged need to keep money at home.

“Money is ‘kept at home,’ and they can pay each other very high nominal wages and prices, but the men find that the real value of their wages, in terms of goods, plummets drastically. Truly we are now back in the situation of the isolated or barter economies of Crusoe and Friday. And that is effectively what the tariff principle amounts to. This principle is an attack on the market, and its logical goal is the self-sufficiency of individual producers; it is a goal that, if realized, would spell poverty for all, and death for most, of the present world population. It would be a regression from civilization to barbarism. A mild tariff over a wider area is perhaps only a push in that direction, but it is a push, and the arguments used to justify the tariff apply equally well to a return to the ‘self-sufficiency’ of the jungle.”

Trump said in his interview that high tariffs will encourage foreign firms to relocate to the United States, so that they can avoid paying the tariffs. What this argument ignores is that there is no benefit to American consumers in having firms located here rather than in foreign countries. What matters to consumers is getting the lowest price for the goods and services they want; and if the firm that offers the lowest price is in China rather than America, so what? Trump might counter this by claiming that locating in America opens up jobs for Americans, but this contention presupposes that a substantial number of American workers are unable to find jobs. What is the basis for this assumption? None is offered. Further, any gains that workers could get from new jobs are likely to be erased by the higher prices the tariffs will bring about. As the great economic journalist Henry Hazlitt said: “And this brings us to the real effect of a tariff wall. It is not merely that all its visible gains are offset by less obvious but no less real losses. It results, in fact, in a net loss to the country. For contrary to centuries of interested propaganda and disinterested confusion, the tariff reduces the American level of wages. Let us observe more clearly how it does this. We have seen that the added amount which consumers pay for a tariff-protected article leaves them just that much less with which to buy all other articles.

There is here no net gain to industry as a whole. But as a result of the artificial barrier erected against foreign goods, American labor, capital and land are deflected from what they can do more efficiently to what they do less efficiently. Therefore, as a result of the tariff wall, the average productivity of American labor and capital is reduced. If we look at it now from the consumer’s point of view, we find that he can buy less with his money. Because he has to pay more for sweaters and other protected goods, he can buy less of everything else. The general purchasing power of his income has therefore been reduced. Whether the net effect of the tariff is to lower money wages or to raise money prices will depend upon the monetary policies that are followed. But what is clear is that the tariff—though it may increase wages above what they would have been in the protected industries— must on net balance, when all occupations are considered, reduce real wages.

Only minds corrupted by generations of misleading propaganda can regard this conclusion as paradoxical. What other result could we expect from a policy of deliberately using our resources of capital and manpower in less efficient ways than we know how to use them? What other result could we expect from deliberately erecting artificial obstacles to trade and transportation?

For the erection of tariff walls has the same effect as the erection of real walls. It is significant that the protectionists habitually use the language of warfare. They talk of ‘repelling an invasion’ of foreign products. And the means they suggest in the fiscal field are like those of the battlefield. The tariff barriers that are put up to repel this invasion are like the tank traps, trenches, and barbed-wire entanglements created to repel or slow down attempted invasion by a foreign army.”

Let’s do everything we can to oppose tariffs. They make us all poorer.

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A Walk on the Supply Side

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

[Editor’s note: In this article, originally published in October 1984, Murray Rothbard critiques a problem with the economics of Republicans and conservatives. Namely, its proponents think they can have it both ways by cutting tax rates and increasing government spending, while somehow not running up huge deficits. Much of this is based on the so-called Laffer curve idea, which Rothbard regards with skepticism. Moreover, Rothbard notes that when most conservatives speak of “the gold standard” they mean a government regulated standard which is an ersatz version of the real thing. At the core of it all is a refusal to do anything at all about the enormous American welfare state. At the time, this sort of thing was called “supply-side economics.” Unfortunately, we find that today’s MAGA economics is in many ways a retread of the failed supply-side economics of old, and Rothbard’s critique remains important reading.]

Establishment historians of economic thought—they of the Smith-Marx-Marshall variety—have a compelling need to end their saga with a chapter on the latest Great Man, the latest savior and final culmination of economic science. The last consensus choice was, of course, John Maynard Keynes, but his General Theory is now a half-century old, and economists have for some time been looking around for a new candidate for that final chapter.

For a while, Joseph Schumpeter had a brief run, but his problem was that his work was largely written before the General Theory. Milton Friedman and monetarism lasted a bit longer, but suffered from two grave defects: (1) the lack of anything resembling a great, integrative work; and (2) the fact that monetarism and Chicago School Economics is really only a gloss on theories that had been hammered out before the Keynesian Era by Irving Fisher and by Frank Knight and his colleagues at the University of Chicago.

Was there nothing new to write about since Keynes?

Since the mid-1970s, a school of thought has made its mark that at least gives the impression of something brand new. And since economists, like the Supreme Court, follow the election returns, “supply-side economics” has become noteworthy.

Supply-side economics has been hampered among students of contemporary economics in lacking anything like a grand treatise, or even a single major leader, and there is scarcely unanimity among its practitioners. But it has been able to take 40 Making Economic Sense First published in October 1984. shrewd advantage of highly placed converts in the media and easy access to politicians and think tanks. Already it has begun to make its way into last chapters of works on economic thought.

A central theme of the supply-side school is that a sharp cut in marginal income-tax rates will increase incentives to work and save, and therefore investment and production. That way, few people could take exception. But there are other problems involved. For, at least in the land of the famous Laffer Curve, income tax cuts were treated as the panacea for deficits; drastic cuts would so increase stated revenue as allegedly to yield a balanced budget.

Yet there was no evidence whatever for this claim, and indeed, the likelihood is quite the other way. It is true that if income-tax rates were 98 percent and were cut to 90 percent, there would probably be an increase in revenue; but at the far lower tax levels we have been at, there is no warrant for this assumption. In fact, historically, increases in tax rates have been followed by increases in revenue and vice versa.

But there is a deeper problem with supply-side than the inflated claims of the Laffer Curve. Common to all supplysiders is nonchalance about total government spending and therefore deficits. The supply-siders do not care that tight government spending takes resources that would have gone into the private sector and diverts them to the public sector.

They care only about taxes. Indeed, their attitude toward deficits approaches the old Keynesian “we only owe it to ourselves.” Worse than that: the supply-siders want to maintain the current swollen levels of federal spending. As professed “populists,” their basic argument is that the people want the current level of spending and the people should not be denied.

Even more curious than the supply-sider attitude toward spending is their viewpoint on money. On the one hand, they say they are for hard money and an end to inflation by going back to the “gold standard.” On the other hand, they have consistently attacked the Paul Volcker Federal Reserve, not for Making Economic Sense 41 being too inflationist, but for imposing “too tight” money and thereby “crippling economic growth.”

In short, these self-styled “conservative populists” begin to sound like old-fashioned populists in their devotion to inflation and cheap money. But how square that with their championing of the gold standard?

In the answer to this question lies the key to the heart of the seeming contradictions of the new supply-side economics. For the “gold standard” they want provides only the illusion of a gold standard without the substance. The banks would not have to redeem in gold coin, and the Fed would have the right to change the definition of the gold dollar at will, as a device to fine-tune the economy. In short, what the supply-siders want is not the old hard-money gold standard, but the phony “gold standard” of the Bretton Woods era, which collapsed under the bows of inflation and money management by the Fed.

The heart of supply-side doctrine is revealed in its best-selling philosophic manifesto, The Way the World Works, by Jude Wanniski. Wanniski’s view is that the people, the masses, are always right, and have always been right through history.

In economics, he claims, the masses want a massive welfare state, drastic income-tax cuts, and a balanced budget. How can these contradictory aims be achieved? By the legerdemain of the Laffer Curve. And in the monetary sphere, we might add, what the masses seem to want is inflation and cheap money along with a return to the gold standard. Hence, fueled by the axiom that the public is always right, the supply-siders propose to give the public what they want by giving them an inflationary, cheap-money Fed plus the illusion of stability through a phony gold standard.

The supply-side aim is therefore “democratically” to give the public what they want, and in this case the best definition of “democracy” is that of H.L. Mencken: “Democracy is the view that the people know what they want, and deserve to get it good and hard.”

Note: The views expressed on Mises.org are not necessarily those of the Mises Institute.

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Gulag Archipelago

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

When I first announced that I was moving to Indonesia in late 2007, one friend looked puzzled. “Indonesia…is that in Bali?” he asked. Interestingly, living in Jakarta is a lot like Houston, without the Cajun food.

I stepped off the plane onto the tarmax on 14 February 2008, having boarded on a crisp winter’s monring in Houston, and into a swampy moldy morning in Jakarta. The arrival area was thick with clove cigarette smoke, and I didn’t encounter air conditioning — such as it was — until I was deep inside the terminal.

I fumbled my way to baggage claim, and after collectng my only bag, I turned to find 10 tiny brown men in blue shirts ready to usher my burden on their carts. Seeing that I would not escape unschathed, I selected one to take my bag.

On the way out, I stopped to exchange two of my six one-hundred dollar bills — my only surviving savings. The exchange rate was 10,000 rupiah to the US dollar, and I became an instant millionaire. The problem was that my new-found fortune was all in 100,000 rupiah notes, and most Indonesians had never even seen one, much less could make change for one.

At that time, there were few Indonesians who had travelled outside their home town, much less out of the counrty. The average day wage was $2, and a fresh college grad could expect to make $300 a month. There were a very select few in the upper class (earning more than $4,000/month), and everyone else was among the working poor.

Over the next 10 years, I watched the economy explode. Almost overnight, there was a vibrant middle class. People were buying their first cars. Younger generations were buying their own homes, leaving the previous two or three generations in the ancient family homestead. Foreign franchises, like Burger King, Subway, 7-11, Carrefour, and many others, were opening on a weekly basis.

Suddenly, Indonesians were travelling overseas and parents were sending their brood to univeristy in Australia, England, Taiwan, and the US. The city centre was on a building spree, the likes of which I hadn’t seen since the 1970s oil boom in Houston. New suburbs of semi-detached Euro-style housing were appearing everywhere, complete with (gasp) yards front and rear.

The government, giddy with the boom, started increasing taxes on everything, mostly to make up for all the losses due to corruption in the state-owned enterprises (SOEs). Indonesia dropped out of OPEC the year I got here, primarily due to the government demanding more and more slices of the oil and gas pie. There is no local oil industry, and the big internationals left rather than put up with the ever-increasing greed of the political types, and the constantly shifting regulatory quagmire.

Meanwhile, the rupiah had been sliding against the dollar, standing at about 15,000 and change to $1. That’s a 50% depreciation in less than 20 years. Prices began ballooning, after the government succumbed to IMF pressure to cut fuel subsidies. Taxes kept rising to pay for the loss of foreign investment compoumded by cancerous corruption and gross mismanagement in the SOEs.

NGOs were pushing the government to install more mass transit systems — high-speed trains, busways, MRT/LRT, etc., — primarily for the benefit of Chinese and European companies and “development” banks. The Indonesian sense of inadequacy and inferiority, inflamed by boundless political greed and corruption, led to outlandish borrowing to build the showroom transit systems that had no master plan or purpose, other than to look shiny and new for political photo ops.

Ultimately, this Me Too building boom culminated the last president declaring he would build a new capital city in the jungles of Borneo — all shiny, and spiffy, and “green,” and outrageously expensive (and riddled with corruption).

And then the Frankenvirus hit.

Read the Whole Article

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Will Washington Succeed in Opening More War Fronts for Russia?

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Western NGOs have sent the Georgian opposition political parties that they finance into the streets to protest the Georgian Dream Party’s sweep of the legislative elections. The Georgian Dream Party favors pragmatic relations with Russia, whereas the collection of small parties financed by the West want to create another Maidan Revolution to open a second front for Washington against Russia. See this.

Russia’s Foreign Minister Lavrov says that there is no reason to doubt that the West is trying to push Georgia into war with Russia. See this.

Putin-the-Unready rejects claims that Russia interfered in the Georgian election. Putin still hasn’t learned that the role of good democrat makes no impression on the West. Will Putin’s toleration of hostile actions against Russia lead to the opening of a second front against Russia?

The US Defense Department Inspector General has reported that Congress has appropriated $182 billion for Ukraine since February 2022, $43.84 billion of which went for governance and development. “Governance and development” could mean bribes paid to Ukrainians to support military conflict with Russia.

Ukraine has been fighting Russia with Western weapons and targeting information for close to three years. But Putin doesn’t count this as the West being at war with Russia. Drones hitting deep into Russia also don’t count as the West being at war with Russia. The war doesn’t start until Washington begins firing missiles into Russia. Apparently, some weapons are war weapons and some are not.

Standing aside from Washington’s destabilization and overthrow of the Ukrainian government in 2014 has left Putin with an ever-widening war that will be difficult to end without Putin making concessions. What will these concessions be?  Washington now has a stake in the outcome, and Trump cannot stand an agreement the media can turn into a Trump defeat from giving in to Putin. The media and Democrats will say that it proves Trump was a Putin agent after all.

The tense situation between Russia and the West cannot be resolved until the conflict in Ukraine is resolved. This dilemma and the huge expense in lives and money associated with the three year war could all have been avoided if Putin had not come up with such an impractical course of action as a limited military operation that allowed Kiev to continue the war.  We would have a better situation today if Putin had struck hard enough to bring the conflict to a quick end before the West could get involved with its prestige committed.

Putin’s dilly-dallying has made Russia look weak, and it has given Washington time to stir up new fronts for Russia in Georgia and Abkhazia. There will be a price to be paid for this dilly-dallying.

Meanwhile the US Democrat Party has revived the “Russian agent” hoax. This time the targets are Elon Musk and Tulsi Gabbard.

See this, this, and this.

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The Face at the Front Desk Changes, the Corporation Remains the Same

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Obama continued and expanded Bush’s most evil policies. Trump continued and expanded Obama’s most evil policies. Biden continued and expanded Trump’s most evil policies. Now Trump is preparing to keep the streak going. The face at the front desk changes, but the corporation stays the same.

Trump’s insanely pro-Israel cabinet of bloodthirsty Iran hawks suggests that Trump is going to expand the evils of the Biden administration in the middle east. This is a great example of the point I often make that the empire uses Democrats and Republicans the way a boxer uses the jab-cross combo to set up knockout blows.

Democrats and Republicans are different from one another, not in the ways they claim to be different, but in the same way the jab and the cross are used differently in boxing. The jab, thrown with the left hand for an orthodox fighter, is used as a range-finding weapon which can stun or blind the opponent to open them up for a crushing power blow from the right hand. That power blow is called a cross, which is often set up by the jab in the classic “one-two” combination you learn on day one in boxing.

The two parties are not the same, but they are used in conjunction with one another toward the same end, and, most importantly, they are both being used by the same boxer to punch you right in the fucking face. You’ll hear people try to argue that Democrats are better because it sometimes hurts less when they’re in office, but that’s exactly the same as saying it’s a good boxing strategy to let your opponent jab you in the face because it hurts less than the cross. You can’t understand boxing if you see your opponent’s fists as two opposing forces and think you can side with one against the other. You can’t understand US politics in that way for the exact same reason.

Any decent boxer will tell you they’d rather fight an opponent with a powerful cross than a masterful jab, because an opponent with a great jab will stifle your offense while allowing their offense to be much more effective — including their cross. The two-armed monster of the US oligarchy will keep using both fists to punch you in the face until you stop staring at its hands and trying to calculate which one you’d rather be smashed by, and start focusing on knocking that motherfucker’s head off.

Israel regularly bombs buildings full of civilians and then sends sniper drones to go pick off the survivors, including children.

It’s the most liberal thing ever how Democrats who’ve been completely ignoring Gaza are pointing to the news of Israeli plans to annex the West Bank and going “HAHAHA see what happens when you stupid Muslims and leftists refuse to support Kamala??”

Like, the West Bank is already an occupied territory. West Bank annexation would have been very escalatory a couple of years ago, but compared to everything that’s happened in the last thirteen months it’s barely a blip. The way these Democratic Party loyalists spent months frantically telling everyone to shut up about an active genocide are now going “Are you happy now?? Israel’s gonna CHANGE THE PAPERWORK on the West Bank!” says so much about their worldview.

The only intellectually honest reason to support Trump is because you’re a garden variety Republican and you support standard Republican agendas like lower taxes on the rich and low tolerance for human diversity. There is no honest basis to support Trump on antiwar grounds, or because you want the swamp of corruption to be drained from Washington. This was obvious to anyone who paid attention the last time he was president, but it is glaringly obvious now from all the warmongering swamp monsters he’s been packing his cabinet with.

This narrative so-called “MAGA Republicans” have about themselves as some new special breed of Republican who are meaningfully different from the Republicans of the past simply is not born out by any kind of material evidence. They’re not draining the swamp. They’re not fighting the deep state. They’re not ending the wars. They’re doing all the gross stuff Republicans have always tried to do while LARPing as brave rebels.

I despise the entirety of the Republican Party; it’s one of the most evil things humanity has ever produced. But in a sense I actually respect the Republicans who don’t pretend to be anything different from what they’ve always been more than I respect the frauds who pretend they’re waging some kind of populist insurgency against the establishment. At least the Ben Shapiros and the Fox News weird hair pundits are honest about who they are and what they’re doing.

Trump supporters tell me, “At least Trump might end the Ukraine war!”

Trump probably will end the Ukraine war eventually; if he doesn’t the next president will. Ukraine has already lost and the US needs its resources to prepare for war with China over Taiwan, so it’s only a matter of time before the proxy war is brought to a conclusion. The empire was always going to leave Ukraine a smoldering wreck after a senseless, stupid, insanely dangerous war that could easily have been avoided with a few low-cost concessions and a little diplomacy.

Trumpers have been fixated on Ukraine because it’s one of the wars that can be pinned more on the other party (even though Trump himself played a major role in paving the way to that war while he was president), but what matters is what happens after that war ends. Everything about Trump’s foreign policy cabinet picks indicates all that war machinery will be redirected toward Iran, China, and who knows where else once Washington stops pretending it’s going to help the Ukrainians kick Putin in the balls and retake all their territory. Stop looking for excuses to paint this warmongering empire goon as some kind of antiwar hero and watch what the war machine actually does.

The western empire behaves irrationally because it is ultimately run by irrational forces.

The gears of capitalism are turned by the blind pursuit of profit.

Plutocrats and interest groups lobby and bribe in the blind pursuit of power and control.

Empire managers blindly continue the policies and agendas of the previous generation of empire managers, moving war machinery and control mechanisms around the world pursuing planetary domination for its own sake.

And all the individuals running this operation are deeply unconscious people — more unconscious even than the average human — whipped about by forces within themselves that they’re not at all aware of like unresolved trauma and maladaptive coping mechanisms.

The empire is flying blind, which is why it looks like it’s flying blind. It’s why it’s doing completely irrational things like destroying the biosphere we all depend on for survival, continuing to work toward global hegemony despite all the evidence that this will fail, continuing to make life harder and harder for the people who live under it despite growing discontent and revolutionary sentiment swelling in the background, and preparing for an unwinnable and self-destructive war with China.

The empire is behaving illogically because it is illogical. The gears are turning themselves. There is ultimately no man behind the curtain, no scheming manipulators unleashing all these evils to advance some grand plot which will benefit them. They’re more like bacteria in a petri dish mindlessly consuming the food scientists placed there without slowing down as supplies begin to dwindle. They might have elaborate rationales and narratives to justify why they’re doing what they’re doing, but ultimately they don’t know. They are doing it because they are swept up in the momentum of forces which they do not understand, both internally and externally.

The challenge facing us is to become a conscious species. A species that is responsive rather than reactive, driven not by primitive unconscious impulses and habit but by an alert and truth-based relationship with reality. That’s what’s being asked of us here in this slice of spacetime. That is the existential hurdle we must find some way to get past. And the western empire is the largest and most concrete manifestation of that obstacle.

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My work is entirely reader-supported, so if you enjoyed this piece here are some options where you can toss some money into my tip jar if you want to. Go here to find video versions of my articles. If you’d prefer to listen to audio of these articles, you can subscribe to them on SpotifyApple PodcastsSoundcloud or YouTubeGo here to buy paperback editions of my writings from month to month. All my work is free to bootleg and use in any way, shape or form; republish it, translate it, use it on merchandise; whatever you want. The best way to make sure you see the stuff I publish is to subscribe to the mailing list on Substack, which will get you an email notification for everything I publish. All works co-authored with my husband Tim Foley.

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English Outsider on Trump’s Cabinet of Curiosities and How Little It Matters

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Referring to Judge Napolitano discussion with Col Lawrence Wilkerson about Trump and the Defense Department (video) English Outsider writes:

“Yes, the man all hoped would give the quietus to the neocons seems to be appointing neocons himself.

Mercouris has made some valuable preliminary observations on the subject of Trump’s appointees so far. Risking paraphrasing him (the reference is to his video of a couple of days back), he considers that these appointments are made mainly to ensure Trump has in place those loyal to him, that consideration over-riding any question of whatever foreign policy stance the prospective nominees may hold.

As said, these are preliminary or tentative conclusions arrived at by Mercouris but I believe they make very good sense. Following on from Mercouris’ conclusions are I believe further conclusions on the subject of these somewhat hawkish proposed nominees.

1. It no longer matters what US foreign policy is with respect to Ukraine and maybe with respect to the ME.

The Russians are going to get their “demilitarisation and denazification” in Ukraine whatever the West does or attempts. That has long been apparent and is now apparent to all. So the views of the Trump nominees on Ukraine, and the views of Trump himself on Ukraine, no longer matter when it comes to changing facts on the ground.

Similarly in the ME, whether the appointees are Israel Firsters or not also no longer matters. It looks as if Israel is heading for defeat, but whether it is so or not the outcome can’t be altered by the US. Neither Biden nor Trump are going to authorise open and declared war on behalf of Israel and if they did, it’s doubtful that American military power is sufficient to change that outcome.

In addition, open and active war against Iran, for instance, would lead to an increase in oil prices and to significant damage to American ships and bases. That is not something Biden has been prepared to risk so far and Trump even less: it would damage his credibility were he to open his Presidency with a major war having given the impression, in his election campaign, that he was opposed to one.

So there’s nothing much the US or the West as a whole can do to alter the outcome either of the Ukrainian war or of the conflict in the ME. I haven’t read “The Art of the Deal” but I’m sure that Trump recognises that when you sit down to play, the first priority is to recognise the strength of your own hand. Whatever the US hawks may believe, the Pentagon will know that in either case we in the West hold no aces.

2. Given that military impotence the US politicians can follow the example of the Europeans. They can make what threats they please knowing they will not risk putting those threats into practice. We’ve seen Macron threatening French boots on the ground knowing he’s never going to declare war on Russia. We see Scholz and Starmer still impeccably resolute, knowing they will never be at risk of having to back up words with deeds. Now we will see US politicians – have in fact been seeing them for some time – doing the same.

But it’s not all sound and fury signifying nothing. In the case of the ME the American politicians have to bear in mind the strength of the voting bloc made up of the Evangelicals, Christian Zionists, Mormons and the various religious sects for who Israel First is an article of faith. That voting bloc is large, in the tens of millions. It was not one Biden wished to offend. It was a necessary component in the portion of the electorate that carried Trump to victory. They need the rhetoric even if the reality falls short of their expectations. By proposing Israel Firsters, and vociferous Israel Firsters at that, Trump has given them that rhetoric.

3. After the defeat in Ukraine, and what looks very likely to be defeat in the ME, the first priority of the politicians will be to save face.

The UK politicians, as we see have seen in the UK press, have their alibi ready for Ukraine. “We would have won had the Americans not let us down. They should have permitted deep strikes. They should have put boots on the ground. They should have threatened nuclear”. That alibi ignores the fact that none of those courses would have been practicable. But it will probably serve and most of the UK electorate will be content with it.

No doubt such alibis will be coming out of Europe. It is essential for Trump to have a similar alibi. None can say whether the war will end before Trump’s inauguration but if it doesn’t, if it’s the Trump administration that has to confess defeat, the Democrats will undoubtedly attempt to lay the blame for that defeat at his door. By proposing hawks and thus adopting hawkish rhetoric, Trump will be able to avoid that reproach.

…………………

Are those fair conclusions to draw from Mercouris’ observation? Pretty squalid conclusions, if so, but then that’s politics. But for me, my judgement of the success of the Trump Presidency will be on quite other grounds. I stated that judgement on Colonel Lang’s old site and state it here:

This final stage of the Ukrainian war is leading to quite appalling casualties. The genocide in the ME is not only a tragedy for those suffering. It is an ineradicable stain on Western civilisation and future generations will look back in horror at what we supported and often encouraged.

Trump’s Presidency will be judged not by the success of his internal reforms. It will be judged by the extent to which he managed, even before his inauguration, to bring these horrors to an end.”

Reprinted with permission from Moon of Alabama.

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Why Trump Wants His Own Generals

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

According to an article in the Wall Street Journal, “The Trump transition team is considering a draft executive order that establishes a ‘warrior board’ of retired senior military personnel with the power to review three- and four-star officers and to recommend removals of any deemed unfit for leadership.” The article cites Trump’s vow to fire “woke generals” — that is, generals who are reputed to be promoting “diversity” in the military at the expense of readiness.

There is another possibility, however, one that is much more discomforting — that Trump is consolidating his power as president and knows that a loyal military establishment will solidify and reinforce that consolidation of power.

According to an October 22, 2024, article in The Atlantic, in a private conversation in the White House heard by two people, Trump stated, “I need the kind of generals that Hitler had. People who were totally loyal to him, that follow orders.” The same article, however, points out that a Trump spokesman named Alex Pfeiffer denied that Trump ever said that. “This is absolutely false,” Pfeiffer declared.

However, regardless of whether Trump made the statement or not, the sentiment expressed in the statement is consistent with Trump’s mindset and modus. Trump is a man who demands absolute loyalty from his acolytes and will not brook opposition or dissent.

Trump learned the importance of having the national-security establishment on his side after he lost the 2020 presidential election to Joe Biden. Unwilling to acknowledge that he had been defeated fair and square, Trump insisted that the election had been “stolen” from him. It is a claim, of course, that he and his acolytes make to this very day. Given that conviction, it was clear that the last thing that Trump wanted to do was vacate the office of the presidency in 2021. After all, if he was certain he won the election, why wouldn’t he insist on staying in office?

That’s obviously why he sat back and simply watched while his protesting supporters were barnstorming the Capitol on January 6. He was clearly hoping that their protests would result in a final certification that Trump had won the election. That was also clearly why he was pressuring officials in various states to certify him as the winner of the election.

It was the national-security establishment, however, that ultimately put the quietus to Trump’s hope to remain as president after the 2020 election. On Tuesday, January 12, 2021— six days after the January 6 protests — the Joint Chiefs of Staff issued a phenomenal memorandum denouncing the Capitol protests and declaring Biden to the winner of the election.

I wrote about this remarkable memorandum on January 13, 2021, in an article entitled “The Pentagon Speaks.” Once the JCS issued that memo, Trump knew that his goose was cooked. In my opinion, it was at that point that Trump decided to throw in the towel and relinquish power to Biden.

What would have happened, however, if the Joint Chiefs of Staff had ruled otherwise? What if the JCS had decreed that the 2020 election had, in fact, been stolen from Trump and declared him to be the winner?

In that case, in my opinion, there is little doubt that Trump, not Biden, would have been president from 2020-2024. After all, who would have been able to stand against the Pentagon and the rest of the national-security establishment? The Supreme Court? The Congress? Joe Biden and the Democratic Party? Don’t make me laugh. They wouldn’t have dared. When it comes to sheer power, no one is any match for the national-security branch of the federal government.

Thus, Trump, who threw in the towel after the issuance of that remarkable memorandum and ended up vacating power, surely learned a valuable lesson from that experience: A ruler who has the support of his national-security establishment will easily be able to accomplish whatever he wants to accomplish, especially if his actions are constitutionally dubious.

It’s also worth noting that once Trump surrounds himself with generals who are loyal to him, everyone else within the military, the CIA, and the NSA will fall into line. The fact is that soldiers obey orders. Despite the fact that they all take an oath to support and defend the Constitution, the military believes that when they obey the orders of their commander in chief, they are simultaneously supporting and defending the Constitution. That’s why, for example, every soldier, from top to bottom, obeyed President George W. Bush’s order to invade Iraq, notwithstanding the lack of the constitutionally required congressional declaration of war and, at the same time, convinced themselves that they were supporting and defending the Constitution. The fact that this time around there is no question that Trump was legitimately elected president will solidify that mindset of loyalty and “patriotism” within the military. Make no mistake about it: The military-intelligence establishment will fall into line and obey whatever orders Trump issues.

Given Trump’s authoritarian and dictatorial proclivities, and given his intention to declare “national emergencies” to justify his exercise of extraordinary “emergency” powers, and given his desire to punish his enemies, and given his obvious intention to politicize the Justice Department to go after political opponents, and given his campaign promise to ferret out and deport more than 10 million illegal immigrants, and given the fact that he doesn’t brook criticism or dissent, it is not difficult to see why Trump would want to secure the loyalty of the national-security establishment as part of an effort to consolidate power.

Do you see why America’s Founding Fathers were strongly opposed to a large, permanent military establishment because of the dangers it poses to freedom, why President Eisenhower focused our attention on the threat to our freedom and well-being posed by the “military-industrial complex,” and why President Kennedy went to war against the national-security establishment? We can’t say we haven’t been warned.

Reprinted with permission from The Future of Freedom Foundation.

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