L'incontro tra le idee economiche e Bitcoin
Nel tentativo di comprendere meglio le fondamenta intellettuali di ciò che alla fine è diventato noto come Bitcoin, abbiamo finora esplorato la competizione tra valute proposta dall'economista F. A. Hayek e l'idea di costruire un “mondo alla John Galt nel cyberspazio”. Abbiamo poi esplorato le radici anarchiche tramite David D. Friedman, con importanti contributi degli autori di fantascienza Robert Heinlein e Vernor Vinge. Ognuno di questi individui è stato esplicitamente citato almeno una volta da Timothy C. May, il quale gestiva la mailing list Cypherpunk per tutti gli anni '90 e ha costruito la tesi per mercati online supportati da una crittografia avanzata, un pubblico interconnesso a livello mondiale, una sorta di valuta su Internet che avrebbe facilitato il commercio e l'avvento di uno stato di anarchia.
Ma per fare un ulteriore passo in avanti, dobbiamo esplorare le influenze intellettuali che gli economisti Lawrence H. White e George Selgin hanno avuto su almeno due dei più importanti cypherpunk: Nick Szabo e Hal Finney.
Nick Szabo è il responsabile dell'ingegnerizzazione di un paio di tentativi di una valuta nativa su Internet prima di Bitcoin: “The God Protocols” (1999) e “bit gold” (2005, ora considerato un precursore diretto di Bitcoin). Hal Finney ci provò col suo tentativo nel 2004 chiamato “Reusable Proofs of Work” (RPOW). Nessuno di questi tentativi fu effettivamente programmato fino a un prodotto finito; furono semplicemente concettualizzati per iscritto e (nel caso di RPOW) con quantità minime di codice. Nonostante né Szabo, né Finney siano stati citati nel whitepaper di Bitcoin, Satoshi ha successivamente affermato che Bitcoin era un'implementazione del “bit gold” di Szabo (insieme al “b-money” di Wei Dai). Quanto a Finney, fu il primo destinatario di una transazione bitcoin da Satoshi stesso e twittò il famoso “Running bitcoin” l'11 gennaio 2009, appena otto giorni dopo che Bitcoin era venuto alla luce. In sintesi, sia Szabo che Finney hanno dato contributi significativi all'evoluzione di idee che hanno inevitabilmente portato a ciò che ora chiamiamo Bitcoin.
Ma per costruire una valuta digitale solida e scalabile, non bisogna solo possedere competenze in programmazione e crittografia, bisogna anche capire cosa rende buona una forma di denaro. Il blog di Szabo, “Unenumerated”, si tuffa nella storia del denaro (tra molti altri argomenti) e un suo pezzo molto letto (da bitcoiner e simili), “Shelling Out”, contiene riferimenti all'economista del XIX secolo Carl Menger, il quale scrisse dell'emergere spontaneo del denaro. Ma è interessante notare che Szabo e Finney avevano anche studiato il lavoro di Lawrence H. White e George Selgin.
Le influenze di White e Selgin sui principali cypherpunk
Un tema di ricerca comune nelle carriere di White e Selgin è la concorrenza tra valute, un tema affrontato per la prima volta da F. A. Hayek durante gli anni '70 con il suo importante libro The Denationalisation of Money.
Negli anni Novanta White e Finney ebbero uno scambio amichevole di idee tramite tre articoli pubblicati sulla rivista Extropy. Finney, in un articolo del 1993, sosteneva che Internet avrebbe reso possibile una valuta nativa su di esso (non supportata da denaro fiat o beni nel mondo reale); White, nel 1995, rispose di essere scettico, tirando fuori la difficoltà di allontanarsi dall'effetto di rete delle valute fiat; Finney rispose per le rime nel 1996.
Nel 2010 Finney fece riferimento al libro di Selgin del 1988, The Theory of Free Banking, come una delle sue principali influenze. “George Selgin ha elaborato in dettaglio la teoria del free banking competitivo”, scrisse Finney, “e sostiene che un tale sistema sarebbe stabile, resistente all'inflazione e autoregolante”.
In un'apparizione nel podcast What Bitcoin Did di Peter McCormack datata 2019, Szabo attribuisce sia a White che a Selgin il merito di aver plasmato il suo pensiero:
Stavo facendo ricerche sulla storia del denaro e stavo andando a ritroso, parte di essa riguardava il private banking, dove le banche emettevano denaro, cambiali, banconote e George Selgin e Larry White erano le figure principali che si sono occupate di questi temi. È stato stimolante, ma poi ho letto anche come sia fallito il tutto e usurpato dalle banche centrali. Poi più tardi, forse 100, 200 anni dopo, le banche centrali hanno inaugurato il denaro fiat.Oltre alla mailing list cypherpunk, alla fine degli anni '90 White e Selgin erano partecipanti di una mailing list privata e separata con alcuni dei più importanti cypherpunk chiamata “Libtech”. Szabo racconta che “io, Wei Dai, Hal Finney, Larry White, George Selgin e pochi altri eravamo in una mailing list che ho creato chiamata Libtech ed è lì che ho inventato Bitgold [sic], e Wei Dai ha inventato b-money, e abbiamo avuto grandi discussioni”.
In un thread su Twitter del 2019, Szabo ha anche attribuito a White e Selgin il merito sia del pensiero di Finney che del suo su come un sistema free banking potesse funzionare con uno standard Bitcoin, suggerendo che le tecnologie Layer 2, come Lightning Network, forniscono un modo più trustless per realizzarlo.
White e Selgin su Bitcoin
Sia White che Selgin criticano Bitcoin da angolazioni diverse. Per White la moneta ideale è quella con un potere d'acquisto stabile (un punto ripetutamente sottolineato anche da Hayek), mentre la moneta ideale di Selgin “stabilizzerebbe la spesa nominale” (mi dice via email) “pur consentendo al livello dei prezzi di variare in accordo coi cambiamenti nella produttività totale”.
Nel nuovo libro di White, Better Money: Gold, Fiat, or Bitcoin?, egli scrive che “[poiché la curva di offerta di Bitcoin] è verticale, l'impatto degli spostamenti della domanda è interamente sul prezzo e per niente sulla quantità. In questo senso la volatilità del potere d'acquisto è insita nel design di Bitcoin. Il mio punto di vista è che la volatilità del suo potere d'acquisto ne rende molto improbabile l'uso diffuso come mezzo di scambio [...] ma solo il tempo ce lo dirà”.
Selgin definisce Bitcoin una “moneta merce sintetica”, il che significa che, come la moneta fiat, qualsiasi uso non monetario è meno ovvio, ma come una merce “è naturalmente o inevitabilmente scarso” (secondo lui “il semplice uso come investimento” è non monetario). Sostiene inoltre che il vantaggio di una moneta merce sintetica “è proprio che ricorrendo ad essa si può evitare di lasciare la gestione del denaro alle banche centrali, o alle forze cieche della natura. Invece l'offerta è determinata una volta per tutte da vincoli organizzati artificialmente. Un sistema monetario di merce sintetica potrebbe funzionare meglio dei sistemi monetari fiat, o delle potenziali alternative alla moneta merce classica”, ma sottolinea l'improbabilità che uno stato adotti un tale sistema.
Nel 1989 White suggerì la possibilità di una politica monetaria con un programma di offerta predeterminato, proponendo una soluzione al “problema della garanzia” di Ronald Coase. Come spiegato nel nuovo libro di White, per comprendere tale problema possiamo pensare a potenziali acquirenti che potrebbero essere titubanti nell'acquistare, ad esempio, un'opera d'arte di un artista nel presente, sapendo che egli potrebbe comunque riprodurre copie dell'opera d'arte e venderla a un prezzo inferiore (seppur superiore al suo costo marginale di produzione). Una soluzione per calmare i potenziali acquirenti sarebbe che l'artista numerasse ogni opera d'arte (#7 di 100, ecc.). Satoshi ha costruito qualcosa di simile nella politica monetaria di Bitcoin. White scrive che “nonostante abbia riconosciuto, molti anni prima dell'introduzione di Bitcoin, che un impegno sulla quantità avrebbe potuto, in linea di principio, risolvere il problema di Coase per una moneta irredimibile e di libero mercato, [...] non avevo previsto che un tale dispositivo potesse o sarebbe stato utilizzato per creare effettivamente un mezzo di scambio”.
In una presentazione tenuta al Center for Market Education in Malesia, White ammette che la volatilità del potere d'acquisto di Bitcoin potrebbe smorzarsi se il suo utilizzo come mezzo di scambio aumentasse sostanzialmente, poiché tale utilizzo significherebbe una domanda meno volatile. Sottolinea inoltre che puntare su uno standard Bitcoin aiuterebbe molto.
Conclusione
Gli sforzi compiuti nel corso della loro carriera da Lawrence H. White e George Selgin per comprendere meglio il denaro hanno contribuito in ultima analisi al clima di idee che ha plasmato il pensiero di almeno due dei più importanti cypherpunk (Nick Szabo e Hal Finney), i quali hanno lavorato per rendere realtà Bitcoin.
Resta da vedere se la sua volatilità rimarrà un ostacolo all'eventuale adozione diffusa come mezzo di scambio. Poiché Bitcoin è un sistema altamente decentralizzato e antifragile, senza asset dal mondo reale che possono essere sequestrati per chiuderlo, e poiché ha già raggiunto una discreta scala a livello mondiale, (a me) sembra essere l'unico candidato realistico (“in modo furbescamente indiretto”, come proponeva Hayek) a introdurre qualcosa che lo stato non può fermare. Pertanto la volatilità potrebbe essere il prezzo che dobbiamo pagare per vincere la partita nel lungo termine.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Questo non è capitalismo
La parola capitalismo non ha una definizione incontrovertibile e dovrebbe essere ritirata definitivamente dai vocabolari. Ovviamente ciò non accadrà, perché troppe persone hanno investito nel suo uso e abuso.
Ho smesso da tempo di cercare di imporre le mie definizioni sulla comprensione di qualcun altro, considerando le dispute sui termini e sulle definizioni dei dizionari come una distrazione dal vero dibattito su concetti e ideali.
Lo scopo di quanto segue non è definire con precisione cosa sia il capitalismo (il mio amico C. J. Hopkins non è il solo a descriverlo come liberatorio, un tempo, ma ora divenuto rapace), ma evidenziare i modi in cui i sistemi economici del mondo industrializzato hanno imboccato una svolta contro l'etica del volontarismo.
Facciamo finta di concordare su una descrizione unica di un'economia capitalista: sistema di scambio volontario e contrattuale di titoli di proprietà che consente l'accumulo di capitale, evita la pianificazione dall'alto verso il basso e rimanda ai processi sociali rispetto alla pianificazione statale.
Si tratta, idealmente, del sistema economico di una società basata sul consenso.
Si tratta ovviamente di un sistema ideale. Così descritto è inseparabile dalla libertà e proibisce la pianificazione statale, l'espropriazione e i privilegi legali per alcuni rispetto ad altri. Come si confronta lo status quo con questa descrizione? In innumerevoli modi i nostri sistemi economici non sono all'altezza.
Quello che segue è un breve elenco di tutti i modi in cui il sistema attuale non si concilia con un modello ideale di mercato capitalistico.
- I governi sono diventati i principali clienti delle piattaforme tecnologiche e mediatiche, instillando un'etica di deferenza politica e cooperazione che ha portato a sorveglianza, propaganda e censura. Ciò è avvenuto gradualmente, tanto che molti osservatori non hanno notato la svolta. Hanno mantenuto la loro reputazione di aziende capitaliste intraprendenti, anche se una piattaforma dopo l'altra è caduta per diventare serva del potere statale. È iniziato tutto con Microsoft, si è esteso a Google, è arrivato ad Amazon con il suo servizio web in particolare, e si è fatto strada su Facebook e Twitter; normative e barriere all'ingresso hanno consolidato l'intero settore della tecnologia digitale. Nel corso del tempo queste aziende hanno mantenuto la loro reputazione di disruptor con un ethos libertario, anche se sono state sempre più impiegate al servizio delle priorità del sistema. Quando Trump è entrato in carica nel 2016, e il brasiliano Jair Bolsonaro e il britannico Boris Johnson sembravano formare una forza di resistenza populista, è iniziata la repressione. Con i lockdown tutte queste piattaforme sono entrate in azione per alimentare il panico, mettere a tacere il dissenso e fare propaganda per iniezioni non testate e inutili. Il fatto era compiuto: tutte queste istituzioni sono diventate fedeli servitori di un impero corporativo. Ora sono collaboratori a pieno titolo del complesso censura-industriale, mentre i pochi emarginati come X e Rumble stanno subendo un'enorme pressione per conformarsi di nuovo. Il CEO di Telegram è stato arrestato per non aver fornito una backdoor ai governi Five-Eyes, mentre le nazioni della NATO stanno indagando e arrestando per il semplice atto di postare meme irrispettosi. La tecnologia digitale è l'innovazione più notevole ed entusiasmante dei nostri tempi, tuttavia è stata intimidita e ridotta a uno strumento nelle mani del potere statale.
- Gli Stati Uniti hanno un cartello medico che collabora con agenzie di regolamentazione e istituzioni ufficiali per imporre veleni al pubblico, prezzi esorbitanti, per collaborare con cartelli aziendali e bloccare alternative, e per promuovere dipendenza e cattiva salute. Gli interventi nel settore sono innumerevoli: dalle licenze agli obblighi dei datori di lavoro, ai pacchetti di benefit obbligatori, ai finanziamenti governativi, al sostegno finanziario di aziende farmaceutiche che finanziano e controllano le stesse agenzie che dovrebbero regolamentarle. I segni e i simboli dell'economia di mercato esistono ancora, ma in un modo altamente distorto che rende quasi impossibile la pratica medica indipendente. Non è socialismo e non è capitalismo, ma qualcos'altro, come un cartello medico privato che lavora a braccetto con il potere coercitivo pubblico. E la coercizione non riguarda la promozione della salute, ma la promozione della dipendenza dai prodotti farmaceutici.
- Gli Stati Uniti hanno un sistema educativo finanziato principalmente dal governo, il quale blocca la competizione, forza la partecipazione, fa perdere tempo agli studenti e spinge un programma politico di conformità e indottrinamento. La scuola pubblica negli Stati Uniti nasce a fine Ottocento, ma le caratteristiche obbligatorie sono arrivate molti decenni dopo, insieme al divieto di lavoro per gli adolescenti. Questo in seguito si è trasformato in università finanziate dallo stato che hanno arruolato quote sempre maggiori della popolazione nel sistema, gravandole con un fardello di debito enorme che non può essere ripagato. Le famiglie che cercano alternative finiscono per pagare più volte: attraverso tasse e mancati guadagni. L'intervento dello stato nei servizi educativi è massiccio, cancellando tutte le normali forze capitalistiche e lasciando una pianificazione statale pervasiva. L'intero sistema è talmente pessimo che quando sono stati introdotti i lockdown, insegnanti, dirigenti e anche molti studenti hanno accolto con favore l'opportunità di darsi una tregua da tutto questo. Molti insegnanti non sono tornati a lavoro e il sistema nel suo complesso è ora peggiore che mai, con alternative private che spuntano ovunque e l'istruzione parentale ora più comune che mai. Ciononostante regolamenti e obblighi impediscono la piena fioritura di un sistema basato sul mercato.
- Sussidi agricoli creano industrie che schiacciano le piccole aziende e sono al soldo dell'apparato normativo, imponendo cibo cattivo al pubblico. Chiunque lavori nell'agricoltura lo sa. Il mondo agricolo ha seguito la strada del settore tecnologico e sanitario, diventando pesantemente cartellizzato e lavorando a braccetto con i burocrati. Ogni giorno piccole aziende agricole vengono cacciate dal mercato con costi di conformità e indagini, al punto che persino i venditori di latte fresco temono di bussare alla porta delle persone. In nome della mitigazione delle malattie, milioni di polli vengono macellati e gli allevatori temono anche un solo test positivo di qualche malattia infettiva. Ciò ha ulteriormente consolidato la grande industria che è sempre più dipendente da prodotti farmaceutici brevettati, insetticidi e fertilizzanti. Quando Robert F. Kennedy Jr. e tanti altri parlano di una crisi di salute pubblica negli Stati Uniti, il sistema alimentare dalla produzione alla distribuzione gioca un ruolo importante, cosa che a sua volta alimenta il cartello sanitario sopra menzionato.
- Un sistema di tassazione complicato e confiscatorio che punisce l'accumulo di ricchezza e blocca la mobilità sociale in tutte le direzioni. Il governo federale da solo ha da sette a dieci principali forme di tassazione federale in categorie come reddito, salari, profitti, consumo, successioni e donazioni, dazi doganali, ecc. A seconda di come le si conta, ce ne sono 20 o più. È qualcosa di notevole dato che solo 115 anni fa c'era una sola fonte di finanziamento federale: i dazi. Una volta che il governo federale ha messo le mani sui redditi con il 16° emendamento, il resto è storia. E questo non conta i finanziamenti a livello statale e locali. Sono impiegati come metodi di pianificazione e controllo, senza che nessun settore sia immune dalla necessità di inchinarsi di fronte ai propri padroni fiscali affinché concedano sgravi o agevolazioni fiscali. Il risultato netto è una forma di servitù commerciale e industriale.
- I tassi di cambio fluttuanti (nati nel 1971) danno al governo federale fondi illimitati, creano inflazione e valute che non aumentano mai di valore, e forniscono capitale di investimento alle banche centrali estere garantendo che i conti internazionali non si stabilizzino mai. Questo nuovo sistema ha fatto esplodere il potere dello stato, espansosi senza limiti, e ha interrotto il normale funzionamento del commercio internazionale. Il debito pubblico elude tutte le normali forze di mercato e i premi di rischio, proprio perché è coperto dal potere di creare inflazione a scapito della popolazione. Ciò fornisce ai politici, ai guerrafondai e ai totalitari tra noi un assegno in bianco con cui effettuare infiniti salvataggi bancari, sussidi e altre buffonate finanziarie. È proprio questo cambio di paradigma, insieme alla manipolazione dei tassi d'interesse, che ha dato origine a quella che viene chiamata finanziarizzazione, tanto che la grande finanza ha divorato gran parte di quello che un tempo era un settore industriale sano negli Stati Uniti. Ai vecchi tempi il meccanismo del flusso prezzo-metallo (descritto da David Hume a Gottfried Haberler) bilanciava i conti per garantire che il commercio si traducesse in un beneficio reciproco. Ma con il sistema monetario fiat il debito è diventato una fonte infinita di finanziamenti a livello internazionale che ha distrutto innumerevoli industrie statunitensi che invece un tempo prosperavano. Nel 2000 $1.800 miliardi, ovvero il 17,9% del debito totale statunitense, erano di proprietà straniera. Nel 2014 quella cifra è cresciuta fino a $8.000 miliardi, ovvero il 33,9% del debito totale, la percentuale più alta nella storia degli Stati Uniti, e tale è rimasta negli ultimi dieci anni. Questo non è libero scambio, ma imperialismo e finisce per produrre una reazione come quella che vediamo oggi. La soluzione offerta è quella dei dazi, che si trasformano nell'ennesima forma di tassazione. La vera soluzione è un bilancio in pareggio e la chiusura del rubinetto monetario della Federal Reserve, ma tutto questo non entra nemmeno nel dibattito pubblico.
- Il sistema giudiziario invita a contenziosi estorsivi e può essere fronteggiato solo da chi ha tasche profonde. Al giorno d'oggi il contenzioso riguarda un gioco a lungo termine che può riguardare qualsiasi cosa, reale o immaginaria, basta solo che un potenziale querelante possa assemblare un caso giudiziario. Gli imprenditori, soprattutto quelli piccoli, vivono nella paura quotidiana di questa minaccia costante. E questo è diventato il mezzo con cui gli standard di assunzione DEI sono diventati la normalità; sono istituiti da manager avversi al rischio per paura di finire in bancarotta a causa di contenziosi giudiziari. L'ironia è che i veri malfattori, come i produttori farmaceutici, sono indennizzati contro le azioni legali, trasformando i tribunali in giocattoli per i rapaci.
- Un sistema di brevetti che garantisce cartelli e blocca la concorrenza per tutto, dai prodotti farmaceutici al software fino ai processi industriali. Questo è un argomento troppo vasto per questo saggio, ma sappiate che c'è una lunga storia di pensatori di libero mercato che consideravano il potere dei brevetti come uno strumento di cartellizzazione industriale, del tutto ingiustificato da qualsiasi standard di libertà commerciale. La “proprietà intellettuale” non è una proprietà in quanto tale, ma la creazione di una finta scarsità tramite regolamentazione. Basta leggere lo studio di Fritz Machlup del 1958 per comprendere la portata della falsificazione qui contenuta, o leggere ciò che Thomas Jefferson disse sulla mercificazione delle idee: “Che le idee si diffondano liberamente dall'uno all'altro in tutto il mondo, per l'istruzione morale e reciproca e per il miglioramento della nostra condizione, è un progetto peculiare e benevolo dalla natura; quando essa le ha create, come il fuoco, le ha rese espandibili in tutto lo spazio senza densità in alcun punto e, come l'aria che respiriamo, si muovono senza corpo fisico, impossibili da confinare”. La corruzione scaturita dalla proprietà delle idee non può essere sopravvalutata. Un settore dopo l'altro ne ha limitato la concorrenza, conferito privilegi a potenziali monopolisti, ostacolato l'innovazione e troncato apprendimento e innovazione. Questo è ovviamente un argomento difficile, ciononostante impossibile da evitare. A questo proposito consiglio vivamente la lettura di un monumentale trattato di N. Stephan Kinsella: Legal Foundations of a Free Society. La cattura dei pensatori pro-capitalisti da parte della teoria dei brevetti rappresenta una grave breccia nella storia e nei giorni nostri.
- Per quanto riguarda i diritti di proprietà autentici, sono più deboli che mai e possono essere ignorati o addirittura aboliti con un colpo di penna, tanto che nemmeno i proprietari di case possono sfrattare gli inquilini o le piccole imprese possono aprire i battenti. Ciò era la norma nei Paesi più poveri con governi dispotici, ma ora lo è anche nell'Occidente industrializzato, tanto che nessun imprenditore può essere certo dei propri diritti sulla propria impresa. Questa è la conseguenza devastante dei lockdown. È così grave che i vari indici di libertà economica devono ancora adattare le loro metriche alla nuova realtà. Ovviamente non esiste alcun capitalismo in quanto tale se milioni di aziende possono essere chiuse per capriccio delle autorità sanitarie pubbliche.
- Un bilancio federale sostiene più di 420 agenzie che dominano l'intera società commerciale, facendo lievitare i costi di conformità per gli imprenditori e creando enorme incertezza sulle regole del gioco. Piccoli tentativi di “deregolamentazione” non possono nemmeno iniziare a risolvere il problema principale. Non esiste prodotto o servizio realizzato negli Stati Uniti che non sia soggetto a una qualche forma di diktat normativo. Se ne capita uno, come le criptovalute, viene fatto a pezzi finché solo le aziende più conformi sopravvivono. E questo accade in tal settore sin dal 2013 e il risultato è stato quello di convertire uno strumento dirompente e senza stato in un settore ossessionato dalla conformità che serve principalmente l'industria finanziaria.
Dovete prendere in considerazione tutti questi fattori la prossima volta che qualcuno denuncia il sistema statunitense come il miglior esempio di capitalismo. Potrebbe trattarsi solo di marketing, una rivoluzione nell'uso delle risorse, ma anche questo è stato corrotto per servire gli interessi del potere. Solo perché qualcosa è disponibile sul mercato non significa necessariamente che sia un prodotto della matrice volontaria dello scambio.
Non sono qui per discutere del significato di una parola, ma per richiamare l'attenzione su quella che tutti possono definire un'imposizione egemonica sulla libertà commerciale da parte del potere statale, a volte anche con la cooperazione degli attori dominanti in ogni settore.
Non sono sicuro che un sistema del genere abbia un nome preciso nel XXI secolo, a meno che non vogliamo tornare al periodo tra le due guerre ed etichettarlo come corporativismo o semplicemente come fascismo. Ma nemmeno questi termini si adattano del tutto a questa nuova modalità di dispotismo basato sulla sorveglianza e digitalizzato, una che fornisce ricompense per le imprese private che si collegano al potere statale e punizioni brutali per quelle che invece non lo fanno.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Cosa si è ottenuto stampando $6.500 miliardi?
Prima che i poteri forti possano tornare al vechio copione monetario, la domanda è: cosa è stato realizzato sin dall'agosto 2008 con l'aumento di $6.500 miliardi nel bilancio della FED?
Quando si tratta di misurare la produzione reale nell'economia statunitense (beni manifatturieri, energia, estrazione mineraria e gas, elettricità e altre utenze) la risposta è: nulla. L'indice della produzione industriale oggi si attesta appena al di sopra del suo livello dell'agosto 2008; a essere precisi è salito solo dello 0,15% annuo negli ultimi 16 anni.
Si tratta di un brusco calo rispetto al trend precedente: tra il 1950 e il 2008 l'indice della produzione industriale è aumentato del 3,50% all'anno. Un pompaggio monetario senza precedenti e il conseguente abbassamento dei tassi d'interesse hanno generato un tasso di crescita della produzione industriale pari solo al 4% del suo livello storico, e non per un anno o due, ma per la maggior parte del primo quarto del XXI secolo.
Indice della produzione industriale, dal 1950 al 2024I pianificatori monetari keynesiani direbbero che la stagnazione della produzione industriale non ha importanza, perché sono riusciti a mantenere il PIL totale in espansione a un ritmo rispettabile. Tra il secondo trimestre del 2008 e il secondo trimestre del 2024 il PIL reale è salito da $16.900 miliardi a $22.900 miliardi, o dell'1,91% annuo, secondo le statistiche ufficiali. Ciò era ben al di sotto del ritmo di crescita del 3,41% annuo nello stesso intervallo dal 1950 al 2008, ma al 56% della sua media storica si trattava di un'inezia macroeconomica.
Poi, quando si guardano i dati interni, il PIL reale è pesantemente popolato da artifici statistici, soprattutto quando si tratta degli indici dell'inflazione utilizzati per sgonfiare i dati nominali di spesa e produzione. E, se si sottostima l'inflazione, si può facilmente trasformare qualcosa di brutto in qualcosa di apparentemente bello.
Ad esempio, la componente dei beni nel PIL reale è aumentata da $3.370 miliardi nel secondo trimestre del 2008 a $5.450 miliardi nel secondo trimestre del 2024. Tale aumento di $2.080 miliardi equivale a un ritmo di crescita complessivo del 3,05% annuo, andando ad aumentare notevolmente la cifra del PIL reale.
Ma, attenzione, perché i conti ufficiali del PIL affermano anche che il tasso d'inflazione per questa componente è stata in media solo del +0,73% annuo per l'intero periodo di 16 anni, inclusa l'enorme impennata sin dal 2021. Chiunque abbia trascorso gli ultimi dieci anni e mezzo nel mondo reale sa che non è così.
Con molta probabilità abbiamo avuto un tasso medio di inflazione dei beni pari almeno al 2,0% nel periodo 2008-2024, il che significa che la componente dei beni nel PIL reale è probabilmente cresciuta di $1.100 miliardi, non di $2.000 miliardi.
Allo stesso modo i conteggi ufficiali affermano che la componente sanitaria del PIL, pari a $2.740 miliardi (secondo trimestre 2024) è cresciuta del 2,68% in termini reali negli ultimi 16 anni da un livello di $1.790 miliardi nel secondo trimestre del 2008. Ciò potrebbe sembrare ragionevole, finché non si nota che la cifra nominale per la spesa sanitaria al consumo personale è stata sgonfiata all'1,95% annuo.
Il settore sanitario è un disastro inflazionistico dovuto al fatto che il massiccio sistema di rimborso governativo neutralizza totalmente i normali controlli e bilanciamenti del mercato. Quindi ci vuole davvero coraggio da parte del BLS quando afferma che l'inflazione dell'assistenza medica è stata inferiore al 2% annuo.
Ad esempio, le spese ospedaliere per giorno di degenza sono più che triplicate dall'inizio del secolo e hanno raggiunto una media del +3,4% all'anno tra il 2008 e il 2022. E questo aumento rappresenta pura inflazione, dato che è standardizzata per giorno di degenza e probabilmente non c'è stato alcun cosiddetto aumento edonistico nella “qualità” dei ricoveri ospedalieri e dei trattamenti negli ultimi anni. Anzi, molto probabilmente è stato il contrario.
Spese ospedaliere per paziente al giorno negli Stati Uniti, dal 1995 al 2022Supponiamo che l'inflazione sanitaria sia stata in media del 3,0% nel periodo 2008-2024. Anche questa cifra rappresenterebbe un rallentamento considerevole rispetto all'aumento del 4,2% annuo dell'indice dei prezzi al consumo per l'assistenza medica nei 16 anni precedenti (dal 1992 al 2008). Con l'ObamaCare e le enormi espansioni di Medicaid che hanno colpito il mercato dopo il 2009, non c'è alcuna ragione di credere che l'inflazione dell'assistenza medica si sia attenuata.
In ogni caso, un aumento del deflatore sanitario di appena il 3,0% annuo nel periodo di 16 anni ridurrebbe la cifra del PIL reale per la spesa sanitaria al consumo personale a $2.320 miliardi a partire dal secondo trimestre del 2024. A sua volta ciò ridurrebbe la crescita reale nel periodo dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2024 a soli $530 miliardi, o appena la metà della cifra ufficiale (+$950 miliardi).
Poi abbiamo la componente degli investimenti aziendali, dove i dati ufficiali del PIL reale mostrano un aumento da $2.060 miliardi nel secondo trimestre del 2008 a $3.390 miliardi nel secondo trimestre del 2024. Di nuovo, questo aumento di $1,330 miliardi non è da poco, rappresentando un robusto ritmo di crescita del 3,18% annuo.
Però bisogna credere che l'inflazione dei beni strumentali negli ultimi 16 anni sia stata in media, beh, solo dello 0,99% annuo. Come diavolo ha fatto un'economia che ha sperimentato un'inflazione generale di circa il 2,6% annuo dal 2008 al 2024, anche secondo il 16% trimmed mean CPI, a generare un'inflazione inferiore a due quinti di quella cifra (0,99%) nel settore dei beni strumentali?
Diciamo “edonica”? E anche delocalizzazione.
In altre parole, ritenete che i prezzi della componente principale della spesa in conto capitale delle aziende odierne, ovvero computer, periferiche e semiconduttori, siano crollati del 75% sin dal 1993?
Sì, la potenza, la velocità e le capacità dei computer sono aumentate enormemente sin dal 1993, ma nessuno compra più un IBM PS/2, un Compaq Deskpro, un Apple Macintosh LC III, o un Packard Bell Legend. Quindi bisogna acquistare le capacità avanzate dei marchi e dei modelli odierni, che vogliate tutti i fronzoli o meno.
In breve, per quanto ne sappiamo, i PC standard costavano circa $700-$1.000 all'epoca e oggi vanno da $1.000 a $1.500. Quindi i prezzi sono aumentati di circa il 75%, non diminuiti del 75%. La differenza è l'edonica, per la quale né i redditi aziendali né quelli dei consumatori possono permettersi una franchigia extra.
Indice dei prezzi all'importazione per computer, periferiche e semiconduttori, 1993-2024Infine abbiamo l'incremento perenne delle cifre del PIL grazie alla “produzione” governativa di beni e servizi. I pianificatori centrali keynesiani nella contabilità nazionale ritengono assiomatico che lo stato converta il reddito estratto dal settore privato in valore aggiunto tramite il settore pubblico.
Le tasse estratte dal settore privato hanno avuto origine nella produzione del settore privato, quindi i keynesiani nella contabilità nazionale accreditano al PIL del settore pubblico ciò che equivale a una sorta di produzione “rinata”. Un doppio conteggio praticamente.
Inoltre anche se si volesse dare credito al 22% del PIL governativo rappresentato dalla spesa per la difesa, o al 61% rappresentato dai servizi governativi statali e locali, questa “produzione” potrebbe non riflettere affatto un valore aggiunto reale. E lo stesso vale per i $10 miliardi di produzione annuale della TSA, i quali includono i 2 miliardi di scarpe esaminate ogni anno senza alcun risultato.
Il PIL reale attribuibile al settore pubblico nel secondo trimestre del 2024 ammontava a $3.940 miliardi, una cifra che è aumentata di $526 miliardi sin dal secondo trimestre del 2008. In senso lato, ciò ha costituito una “crescita”, se non si è troppo pignoli su cosa si conta.
Tuttavia la produzione governativa è composta in gran parte da stipendi e salari dei burocrati. Nel 2008 la retribuzione dei dipendenti pubblici ammontava a $1.130 miliardi, distribuiti a 22,483 milioni di dipendenti per $50.000 a testa. Entro il secondo trimestre del 2024, la retribuzione governativa è salita a $1.860 miliardi, pari a $80.000 a testa per i 23,29 milioni di dipendenti pubblici.
Quindi la retribuzione statale è aumentata negli ultimi 16 anni di almeno il 3,0% annuo. C'è una certa difficoltà a capire come la contabilità nazionale sia arrivata a un deflatore dell'1,94% annuo per la difesa e un deflatore per il settore pubblico, nel suo complesso, al 2,38% annuo. Infatti come diavolo si può misurare l'inflazione dello stato quando non ci sono prezzi sul 99% della sua produzione?
Tuttavia, anche alla luce della contabilità nazionale, il PIL reale nel settore pubblico è cresciuto solo dello 0,9% annuo dal 2008 al 2024. Quindi se si effettua un aggiustamento anche modesto all'inflazione sottostimata, si può facilmente arrivare a una cifra di $3.400 miliardi per la produzione del settore pubblico nel secondo trimestre del 2024. A sua volta ciò significherebbe una crescita reale pari a zero nel settore pubblico negli ultimi 16 anni, non l'aumento di 526 miliardi di dollari riportato dalle statistiche governative.
Naturalmente ci sono anche dubbi riguardo la provenienza di queste voci. Ad esempio, nel grande conto da $3.465 miliardi per l'edilizia abitativa e le utenze della spesa al consumo personale, ben il 58%, o $2.020 miliardi, è rappresentato dall'affitto imputato dei proprietari di case. Vale a dire, le ipotesi azzardate del BLS su quanto pagherebbero di affitto 50 milioni di proprietari di case negli Stati Uniti se loro si trasferissero in una tenda da qualche parte e affittassero il loro castello a prezzi di mercato.
Le prove sono schiaccianti sul fatto che il PIL reale non sia cresciuto da $16.943 miliardi nel secondo trimestre del 2008 a $22.919 miliardi nel secondo trimestre del 2024, o dell'1,91% annuo. Infatti se si effettuano le seguenti correzioni realistiche, il PIL reale è cresciuto a malapena negli ultimi 16 anni, registrando un ritmo di crescita di appena l'1,2% annuo.
Aggiustamento dei conti ufficiali del PIL reale per il periodo dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2024:
• Supponiamo un'inflazione dei beni del 2,0% annuo rispetto allo 0,73%: -$983 miliardi
• Supponiamo un'inflazione sanitaria del 3,0% rispetto all'1,95%: -$417 miliardi
• Supponiamo un deflatore degli investimenti fissi aziendali del 2,0% rispetto allo 0,99%: -$493 miliardi
• Supponiamo un'inflazione superiore a quella ufficiale e una crescita pari a zero del settore pubblico: -$526 miliardi
• Inflazione totale e altri aggiustamenti ai conti della contabilità nazionale: -$2.419 miliardi
• Livello del PIL reale aggiustato, secondo trimestre 2024: $20.500 miliardi
• Tasso di crescita del PIL reale aggiustato, 2008-2012: 1,20% annuo
In totale, dopo $6.500 miliardi di denaro stampato negli ultimi 16 anni, l'economia di Main Street non ha nulla di cui vantarsi. È cresciuta a un ritmo molto tiepido, dallo 0,15% (produzione industriale) all'1,2% (PIL reale aggiustato), nella migliore delle ipotesi. E questo solleva la questione sul dove sia effettivamente finita tutta la generosità monetaria.
L'avviso spoiler dovrebbe essere già abbastanza evidente. È finita in una speculazione dilagante, bolle finanziarie a Wall Street, investimenti sbagliati per Main Street e regali allo Schema Rosso di Ponzi e ad altri venditori esteri in cui è stata delocalizzata la produzione statunitense.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Abbiamo bisogno di un’inflazione al 3%? Crescita economica e deflazione
di Paul Cwik
“Finché è mantenuta entro certi limiti, l’inflazione è un ottimo supporto psicologico per una politica economica che vive del consumo di capitale”.
~ Ludwig von Mises, Socialism, pp. 448-9
Cosa causa la crescita economica? Una riduzione dei dazi? Un taglio delle tasse? Una riduzione della burocrazia? Sebbene ciascuna di essi possa stimolare o incoraggiare la crescita economica, nessuna la genera. La crescita economica è il risultato di un imprenditore che impiega un nuovo metodo che riduce i costi di produzione. I costi possono essere ridotti in diversi modi: risorse appena scoperte, una nuova tecnica che fa risparmiare tempo, nuove specializzazioni della manodopera. E, spesso trascurate, sono le riduzioni dei costi, che derivano dall’allocazione delle risorse secondo la Legge del vantaggio comparato.
Per chiarire, supponiamo che ci sia un imprenditore che possa produrre 1.000 unità di stoffa al giorno. Se questo imprenditore spende $5.000 al giorno in salari e manutenzione dei beni strumentali, il suo costo medio di produzione sarà di $5 per unità di stoffa. Supponiamo inoltre che il prezzo di mercato per ciascuna unità sia di $6, lasciando all'imprenditore un tasso di rendimento del 20% (escludendo altri costi e tasse). Supponiamo ora che si sviluppi un miglioramento dei beni strumentali (es. individuazione di una nuova fonte di cotone, un aumento delle competenze dei lavoratori, un aggiustamento della produzione per tenere conto della Legge del vantaggio comparato; il punto importante è che il costo di produzione diminuisce). Quando il costo di produzione diminuisce, l'imprenditore deve prendere una decisione: potrebbe provare a intascare il profitto aggiuntivo, ma se lo fa, perderà un guadagno molto maggiore; se, invece, abbassa il prezzo richiesto, attirerà i clienti lontano dai suoi concorrenti, le sue vendite aumenteranno e anche i suoi ricavi aumenteranno (quando si “rubano” clienti ad altri concorrenti la domanda è “elastica”, pertanto quando il prezzo si abbassa i ricavi dell’azienda aumenteranno).
L’azienda prospera e tutti gli stakeholder vincono. I lavoratori diventano più produttivi e, di conseguenza, i loro salari reali aumenteranno. I clienti possono acquistare più stoffa a prezzi più bassi e anche gli investitori e i fornitori migliorano le loro condizioni man mano che l’azienda prospera. Nel corso del tempo i concorrenti dovranno adottare miglioramenti simili (o superiori), o altrimenti andare incontro al fallimento. La società nel complesso migliora grazie alla riduzione dei costi da parte dell’imprenditore.
La crescita economica non è omogenea in tutta l’economia. La crescita è “disomogenea”, perché dipende dall’entità delle riduzioni dei costi e dai settori in cui si verificano. Di conseguenza i prezzi di alcuni beni diminuiranno drasticamente, mentre altri diminuiranno solo leggermente e alcuni potrebbero aumentare. L’aggregato complessivo mostrerà una deflazione dei prezzi, un altro modo per dire che il potere d’acquisto degli attori economici aumenterà. Questo risultato significa che più persone hanno di più da spendere: possono acquistare più beni e servizi oppure risparmiare il nuovo surplus. Man mano che i prezzi si adeguano a livello microeconomico, gli squilibri di mercato scompaiono rapidamente. Nel complesso quando l’economia cresce, assistiamo a una deflazione dei prezzi generale.
Questa conclusione è importante perché ci dice che non esiste alcuna ragione economica per espandere l’offerta di denaro. Qualsiasi ammontare di essa andrà bene. Sebbene la moneta sia soggetta alle stesse regole di domanda e offerta, come tutti gli altri beni economici, è diversa in un aspetto fondamentale: quando viene utilizzata, non scompare. Al contrario, quando uso (consumo) una mela, questa poi non esisterà più; si esaurirà. Quando guido la mia macchina, anche questa si consuma, sebbene a un ritmo molto più lento. Quando invece è il denaro a essere utilizzato, non si esaurisce nel processo: un dollaro è esattamente lo stesso prima e dopo il suo utilizzo. Mentre la forma fisica può subire una certa usura, il valore nominale dell’unità monetaria non soffre di questo degrado. In altre parole, il potere di spesa di un dollaro contante usurato nel mio portafogli e di un dollaro digitale nel mio conto corrente sono esattamente equivalenti tra loro.
Perché alcuni sostengono che sia necessario aumentare l’offerta di denaro? Sebbene non vi sia alcuna ragione economica per farlo, esiste una ragione politica. Ci si potrebbe altresì chiedere perché un criminale falsifica il denaro. La risposta è ovvia: vuole aumentare il suo potere d’acquisto a costi contenuti. La stessa logica valeva per l’antica ricerca alchemica di trasformare il piombo in oro. Indipendentemente da chi può creare nuova moneta, che si tratti di un falsario, di un mago, o della banca centrale, si applica lo stesso principio economico: chi ottiene per primo il nuovo denaro vince e chi lo ottiene per ultimo perde. Questo principio è chiamato Effetto Cantillon, descritto per la prima volta all'inizio degli anni '20 del Settecento. L'Effetto Cantillon dimostra che quando la nuova moneta viene spesa per la prima volta, viene scambiata ai prezzi correnti. Il nuovo acquirente reindirizza beni e servizi a suo vantaggio, sottraendoli a usi alternativi.
Nella seconda fase altre persone entrano in possesso della nuova quantità di denaro. Anch'esse lo spendono, sottraendo beni e servizi a usi alternativi, e queste azioni esercitano una pressione al rialzo sui prezzi. Non tutti i prezzi ne risentono nella stessa misura (è raro, ma alcuni prezzi potrebbero addirittura scendere). Hayek (1969) ci chiese di immaginare il miele che viene versato su un piatto, si accumula in un punto e poi si diffonde lentamente verso l’esterno. Man mano che la nuova moneta si diffonde in tutta l’economia, non lo fa in modo uniforme o allo stesso ritmo, ma in modo graduale dato che un’analisi aggregata macroeconomica non coglierà l’impatto di questi effetti microeconomici. Se il nuovo denaro venisse iniettato in un settore economico diverso, o anche in un momento diverso, i risultati sarebbero diversi. Il punto importante è che alcune persone si troveranno di fronte a prezzi più alti, senza aver avuto ancora accesso al nuovo denaro. Di conseguenza la loro ricchezza reale diminuisce. L’Effetto Cantillon mostra come coloro che ottengono per primi i nuovi soldi sono i vincitori e mostra anche come coloro che li ottengono per ultimi sono i perdenti. La ricchezza viene trasferita da coloro che ricevono i soldi per ultimi a coloro che li ricevono per primi.
Nella nostra economia chi è il primo a utilizzare la nuova moneta? Oggi il denaro che usiamo è scoperto. È creato dal nulla. Anche se non abbiamo bisogno di incantesimi magici per trasformare il piombo in oro, possiamo creare quantità illimitate di nuovo denaro premendo i tasti di un computer presso la banca centrale e il sistema bancario commerciale. La banca centrale provvede alla politica fiscale dei governi e al sistema finanziario e bancario commerciale. Sono queste le istituzioni a ricevere per prime i nuovi soldi. I loro guadagni sono a spese di tutti gli altri. Ogni nuovo dollaro diminuisce il potere d’acquisto di tutti gli altri dollari; la ricchezza di tutti gli altri si dissolve. Quindi, sì, c’è un motivo per espandere l’offerta di denaro e c’è una ragione per convincere la popolazione che un tasso di inflazione al 3% è migliore di uno al 2%. Sfortunatamente il motivo non è buono, a meno che, ovviamente, non facciate parte del piccolo gruppo che riceve per primo i nuovi soldi.
L’Effetto Cantillon dimostra l’impatto a breve termine dell’espansione monetaria. Se l’espansione monetaria persiste, essa porterà a un ciclo economico. La conseguenza a lungo termine delle politiche monetarie espansionistiche è una riduzione del risparmio, consumo di capitale, un tenore di vita futuro inferiore e possibilmente il crollo della valuta stessa.
L’inflazione è una linea di politica e in quanto tale può essere cambiata, pertanto non c’è motivo di cedere all’inflazione. Se la si considera un male, allora bisogna smetterla. Bisogna pareggiare il bilancio dello Stato. Naturalmente l’opinione pubblica deve appoggiare questo punto; gli intellettuali devono aiutare la gente a capirlo. Con il sostegno dell'opinione pubblica è certamente possibile che i rappresentanti eletti dal popolo abbandonino una linea di politica inflazionistica.[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Tutte le micce finanziarie conducono a...
Nel mio ultimo pezzo ho esaminato come le azioni siano diventate molto costose. Viviamo in un'era di bolle: 1999, 2008, 2021 e ora, solo tre anni dopo, una nuova bolla... questa volta concentrata nei “Magnifici 7”, le azioni delle grandi aziende tecnologiche. Ma alcune cose succedono sempre, infatti le bolle scoppiano sempre. E probabilmente non passerà molto tempo prima che scoppi anche la bolla dell'intelligenza artificiale, quindi le persone che speravano di arricchirsi rapidamente, grazie alla nuova tecnologia, diventeranno più povere, e in fretta, grazie al vecchissimo ciclo di espansione e contrazione. Ed ecco un'altra cosa che succede sempre: quando il costo del credito aumenta, aumentano anche i fallimenti. Quest'anno, con tassi di interesse sostanzialmente più alti rispetto a qualche anno fa, gli avvocati fallimentari sono tornati in azione. Per quanto possa essere scontata la digressione di questo pezzo, come immagineranno i lettori più stagionati, ecco il colpo di scena: non parleremo di Stati Uniti. Non principalmente. Oggi sul proverbiale “banco degli imputati” ci finiranno gli inglesi.
La maggior parte degli occhi del mondo, infatti, sono puntati sulla FED e le sue decisioni in termini di politica monetaria, soprattutto quando bisogna determinare (a livello ufficiale) la presenza di una recessione o meno. A livello mondiale, soprattutto dopo il 2022, Powell & Co. sono davvero l'ago della bilancia, in particolar modo perché gli USA hanno il mercato dei pronti contro termine più liquido del mondo e ciò è vitale per il rifinanziamento della pletora di derivati esistenti. Dopo il 2019 l'accesso è consentito solo tramite asset statunitensi: titoli del Tesoro statunitensi, per la precisione. Questo, di conseguenza, fa sì che i rischi di recessione (prima finanziaria, poi economica) gravino di più sulle spalle degli altri player. Infatti pochi parlano della situazione in Inghilterra.
La maggior parte del risparmio, ad esempio, è concentrato nella top 5 delle grandi banche inglesi (es. HSBC, Barclays, ecc.) e basta un evento insignificante affinché questi giganti dai piedi d'argilla colino a picco. Cosa diventata evidente con la recente crisi dei Gilt e dei fondi pensione inglesi. Bisogna rendersi conto che con l'arrivo del 30 settembre e la fine del LIBOR la City di Londra verrà prosciugata dal capitale finanziario. L'unica cosa che rimarrà sarà il flusso monetario basato sulle assicurazioni, ma anche quello ha subito un duro colpo con la storia della discriminazione nei confronti dei russi. Cosa rimane quindi? Un Paese con una grave crisi sociale il cui passo è dettato dalla disintegrazione a livello economico/finanziario e non è un caso che la Banca d'Inghilterra abbia fatto enorme incetta di titoli del Tesoro statunitensi (venduti soprattutto dalla Cina per stabilizzare lo yuan sul mercato dei cambi e forse anche per l'ancora presente sudditanza nei confronti degli inglesi sin dalle guerre dell'oppio). Chi fa fatica a capire cos'è il denaro, farà fatica a raccapezzarsi nelle vicende economiche odierne. Il balzo sin dal 2019 nei possedimenti inglesi di titoli di stato USA è sufficiente per capirlo. E non si tratta solo dei possedimenti della Banca d'Inghilterra, ma anche di quelli delle sue appendici: Lussemburgo, Isole Vergini, Isole Cayman, ecc. Il tutto funzionale a mantenere in piedi la facciata che la BCE può ancora difendere l'euro e i rendimenti obbligazionari europei. La FED e la BOJ hanno tutte le armi a loro disposizione per debellare la piaga dell'eurodollaro. Non solo, ma per quanto i media generalisti e indipendenti continuino a puntare sulla (presunta) debolezza dell'economia statunitense, ci sono poche parole su quella inglese. Cari lettori, qui chi ha tutto da perdere e ha i conti sballati è la City di Londra, destinata a diventare un deserto finanziario. Tutto il terrore per questo fato e per la devastazione economica incalzante sono incarnati nel sopraccitato balzo sin dal 2019.
Occhio, quindi, che il mercato dei cambi è sopravvalutato e la presunta forza delle altre divise (sterlina, euro) nei confronti del dollaro è un fuoco di paglia. I rischi di recessione sono molto più vicini all'Europa di quanto si dica sulla stampa generalista.
IL 1971 RIVISTO E LA FINE DELLA “BOJ PUT”
Facciamo un passo indietro. Bisogna sempre farlo, non solo perché il passato ci aiuta a capire il presente e direzionare meglio il futuro, ma anche perché fornisce maggiori tasselli a chi aveva il quadro generale chiaro ma necessitava di ulteriori dettagli per tirare coerentemente tutte le somme. Si cita spesso il 1971 come l'anno in cui gli Stati Uniti hanno abbandonato definitivamente le ultime vestigia del denaro coperto. I motivi addotti dalla maggior parte degli analisti indipendenti comprendono la stupidità, l'avidità e l'incompetenza. La storia finirebbe qui se analizzassimo le cose secondo un'ottica puramente teorica: la pianificazione centrale porta con sé i semi della propria distruzione. All'atto pratico, però, esistono due tipi di conseguenze: intenzionali e inintenzionali. Perché la vera domanda è questa: e se gli Stati Uniti, o per meglio dire una parte di essi, abbia lavorato per vandalizzare il Paese a vantaggio di qualcun altro?
Dalla finanziarizzazione violenta dell'economia statunitense sin dagli anni '80 fino allo scoppio della bolla immobiliare nel 2008, la discesa negli inferi economici è come se fosse stata perseguita in modo sconsiderato e, peggio ancora, volontario, senza alcun freno a tutte quelle azioni giudicate, fino a poco prima che venissero prese, assurde e prive di giustificazione accademica. Una di queste decisioni è il quantitative easing. Nella crisi finanziaria del 2009 la FED di Bernanke intervenne abbassando i tassi d'interesse, salvando molti grandi debitori, tra cui alcune delle più grandi banche di Wall Street, e riducendo la fila di coloro che sarebbero finiti in bancarotta. Ciò non doveva accadere, tutti lo giudicavano errore; Bernanke, si dice, cedette al panico e preparò il terreno per una crisi ancora più grande in seguito: i tassi d'interesse più bassi della storia hanno incoraggiato quasi tutti a indebitarsi ancora di più. Davvero ha ceduto al panico? Per 3 volte consecutive? E che dire della Yellen? Non ha imparato niente dall'esperienza del suo predecessore?
E nessuno è andato più in fondo nel buco del debito del governo degli Stati Uniti, aggiungendo $25.000 miliardi in nuovo debito sin dal 2009. E ora il governo federale stesso è sopraffatto e la FED non è né in grado di salvare i mutuatari o gli investitori del mercato azionario con più debito, né vuole farlo. Questa è una novità molto importante: nel 2000, e di nuovo nel 2008, la FED fornì supporto alle azioni abbassando il suo tasso di riferimento di 500 punti base e “stampando” denaro per coprire i deficit. Ma questo prima che l'uomo nero dell'inflazione si scatenasse. Infatti quando si hanno già $35.000 di debiti, e si conta di aggiungerne altri $16.000 nei prossimi 10 anni, tassi d'interesse più alti non sono ciò di cui si vorrebbe leggere nelle notizie del mattino. Anche al 5% il costo degli interessi potrebbe essere di $2.500 miliardi all'anno. E quando bisogna prendere in prestito sempre più soldi, solo per stare al passo con i pagamenti degli interessi sul debito precedente, quella è la strada sicura verso la bancarotta.
Anche agli occhi di un profano è chiaro che la FED impedirà a qualsiasi costo una cosa del genere. Non “stamperà” più soldi solo per impedire che i prezzi delle azioni colino a picco, o alcune aziende di alto profilo vadano fallite. Ecco un punto di riferimento facile per capire la tempistica di un eventuale nuovo intervento della FED: quando il mercato obbligazionario statunitense, non quello azionario (di cui a Powell non interessa nulla), diventerà “bidless”.
È quindi chiaro che da un lato abbiamo una fazione della ragione, dove la FED e Powell vedono all'orizzonte una crisi catastrofica per il dollaro e gli Stati Uniti, e dall'altro una fazione della distruzione, dove il Ministero del Tesoro e la Yellen sono intenzionati a prendere in prestito una cifra pari a più del 5% del PIL ogni anno per i prossimi 10 anni. E questi numeri dipendono da una navigazione serena, senza tempeste fastidiose. In caso di recessione (quasi garantita), il governo federale prenderà in prestito e spenderà di più. La cosa ovvia da fare è evitare il disastro abbassando il tasso di crescita del debito e il modo ovvio per farlo è pareggiare il bilancio federale. Cosa impedisce alla fazione della distruzione di farlo? Beh, a parte il nome stesso, il fatto che coloro che dipendono dalla scarnificazione economica degli USA finiranno loro nel tritacarne.
Se fino alla “Greenspan put” ci si interrogava ancora sulle ragioni per cui una nazione dominante come gli USA avessero continui e sempre più ravvicinati nel tempo guai economici sotto forma di crisi economiche/finanziarie, dopo di essa è stato chiaro che esisteva una parte dell'America che stava sabotando dall'interno la prosperità della nazione stessa. L'arma di questo delitto si chiama mercato dell'eurodollaro; il mandante è la City di Londra. Non è un caso, infatti, che con la finanziarizzazione del mercato statunitense la City sia diventata uno snodo fondamentale per il capitale finanziario. Per quanto possa sembrare paradossale questo fenomeno ha una spiegazione: l'indicizzazione dei debiti mondiali avveniva attraverso il LIBOR. Quindi se da un lato si possiede la capacità d'impostare i tassi mondiali e dall'altro si possiede anche la capacità di manipolare (esternamente) l'offerta della valuta di riserva mondiale, il risultato è la materializzazione di una serie di pasti gratis infiniti a scapito della nazione più potente del mondo.
Per quanto potesse essere gigantesca questa artificiosità, essa era destinata pur sempre a fallire. Infatti gli abusi di questi sistemi quasi mai vengono percepiti da coloro che li sfruttano; un po' come gli schemi Ponzi, coloro che li attuano difficilmente riescono a scappare col maltolto. Alla fine vengono sempre catturati. Perché? Perché finiscono per credere alle loro bugie. Lo stesso è accaduto con l'eurodollaro e i mercati finanziari: un'esplosione di derivati che ha intaccato i bilanci di ogni entità finanziaria esistente, dalla più piccola e (apparentemente) insignificante alla più grande. Questo, a sua volta, ha significato una marea crescente di liquidità ombra necessaria per tamponare le falle che man mano sono emerse nel sistema. Per gli Stati Uniti è diventata una questione di vita o di morte, ovviamente. L'Inghilterra non ha mai mollato la sua colonia e l'aveva riconquistata tramite la finanza. Il 2019 è stato un anno importante, perché ha segnato ufficialmente l'inizio del rimpatrio della politica monetaria statunitense: la crisi dei pronti contro termine ha conferito in tutto e per tutto la natura di denaro al collaterale, in particolare i titoli di stato americani. Quello era solo il primo passo, il secondo è arrivato nel 2022 col SOFR (indicizzazione dei debiti in accordo a un parametro nazionale) e il rialzo dei tassi, con relativo prosciugamento della liquidità ombra. Almeno è iniziata, dato che essa è immensa dopo tutte le manipolazioni accumulate. Il terzo passo è stata l'uccisione della “BOJ put”.
Le istituzioni europee e inglese si sono concentrate sul lato lungo della curva dei rendimenti dei titoli obbligazionari statunitensi, in questo modo, sopprimendo tale lato, hanno soppresso di riflesso il loro lato lungo che non potevano permettersi salisse. Una condizione particolarmente favorevole alla Lagarde che ha sempre fatto l'equilibrista affinché i rendimenti dei bond europei rimanessero in un certo range. Il tutto si teneva in piedi grazie a uno yen sottovalutato: prendere in prestito in yen, sottoporre a leva il trade e infine comprare altri titoli. Inutile dire che anche il carry trade dello yen andava a favorire gli esterni e metteva nei guai la nazione, così come l'eurodollaro usava la ricchezza interna degli USA e la trasferiva all'esterno affinché coloro che sfruttavano la riserva frazionaria in tale mercato credessero che l'azzardo morale non avesse costi reali. I prezzi dell'energia e l'approvazione ai minimi per il governo Kishida hanno materializzato le frustrazioni delle famiglie giapponesi che si sono dovute involontariamente sobbarcare il prezzo di tutta questa ingegneria finanziaria. Il rialzo dei tassi della BOJ è arrivato in un momento in cui la FED era bombardata mediaticamente affinché tornasse ad abbassare i tassi ed è servito ai suoi scopi: drenare liquidità senza rialzare essa stessa i tassi. Il cappio intorno al collo della BCE e della Banca d'Inghilterra si stringe sempre di più.
Infatti sin dallo scorso aprile, anche la BNS è servita allo scopo di far guadagnare tempo alla BCE e alla BOE. Tagliando i tassi due volte e svalutando il franco svizzero, ciò è servito ad allentare la pressione finanziaria sull'Europa. Ritengo che anche questo supporto è ormai saltato, vista l'evoluzione dei cambi, e l'unico supporto che rimane alla BCE adesso è solo quello della BOE.
Quale migliore occasione, quindi, di tumulti per le strade da usare come scusa per l'ennesima emergenza e permettere all'esecutivo di avere carta bianca su ogni aspetto della vita socioeconomica inglese? Magari una nuova tassa che vada a gravare sul patrimonio immobiliare. Già le finanze delle famiglie inglesi sono sotto pressione, ulteriore spinta significherebbe la perdita di un asset sopravvalutato (immobili) ma che rallenterebbe lo scoppio della bolla immobiliare inglese sulla valanga di immigrati che sono entrati nel Paese negli ultimi anni. L'Italia da questo punto di vista è l'avanguardia. In sintesi, l'unica carta rimasta da giocare alla BOE è quella di tener gonfia la bolla immobiliare per dare l'illusione che esista ancora collaterale nel Paese degno di essere usato per una politica monetaria espansiva. La FED, come avevo anticipato all'inizio di quest'anno, effettuerà un taglio dei tassi. Molto probabilmente di 25 bps. Giusto per scontentare tutti e seguire il mercato dei rendimenti obbligazionari. Ma non sarà Powell a contrastare il QE della Yellen, ora, bensì il QT della BOJ. E non dimentichiamoci che il Giappone è il primo al mondo a detenere titoli di stato americani in riserva.
DECLINO
Questo spazio divulgativo non fa altro che unire i puntini, come vedere le costellazioni nel cielo notturno: la Cintura di Orione, il Grande Carro, ecc. Alcune sono evidenti, altre sono più difficili da vedere, con stelle deboli e lontane. Ma ci sono sempre degli schemi: crescita e depressione, rialzo e ribasso, guerra e pace, declino e caduta. Alcuni di questi sono schemi molto lunghi. Quando una nazione/stato/impero invecchia, le sue élite si trovano al vertice del potere e della ricchezza. Non importa in quale direzione guardino, c'è solo la discesa. Diventano timorose, tutto è una minaccia: un virus, un mercato ribassista, la Russia, la Cina... il futuro stesso.
Una delle cose più assurde accadute all'inizio di questo mese è stata che i liberi pensatori nel parlamento inglese hanno proposto nuovi modi per censurare il dibattito sui social media. Una delle ragioni addotte è stata che i legislatori pensano che essi stiano “rimbecillendo i giovani”. Davvero? Non il New York Times, non Paul Krugman, non le scuole pubbliche, non i genitori che lasciano che i loro figli sprechino tempo con i gadget elettronici. Tipico di un impero degenerato in fase avanzata, i politici inglesi sono ansiosi di proteggersi da qualsiasi novità. Un altro schema: nel tempo le élite sono inclini a diventare corrotte e incompetenti (stupide e malvagie). Favoriscono la guerra e l'inflazione, in parte come un modo per impedire al futuro di arrivare e in parte come un modo per continuare a trasferire più ricchezza e potere a sé stessi. L'aumento dell'offerta di guerra e inflazione porta a un calo del loro valore. Alla fine le élite non possono vincere una guerra (ad esempio Vietnam, Iraq, Afghanistan, Ucraina), né controllare l'inflazione.
In teoria, una democrazia dovrebbe risolvere il problema del decadimento al vertice. Gli elettori dovrebbero “buttare fuori gli incompetenti” ed eleggere nuovi leader più vigorosi. Ma dove sono questi nuovi leader? Nelle comunità più piccole la democrazia sembra funzionare, ma, in pratica, in un governo di grandi dimensioni, i partiti politici, l'amministrazione pubblica, la stampa, la City di Londra, i potenti donatori, i lobbisti, gli interessi speciali organizzati e l'industria della potenza di fuoco, tutti si uniscono per bloccare il cambiamento. Si finisce con leader geriatrici e linee di politica disastrose.
Inflazione e guerra, guerra e inflazione, malvagio e stupido, sciocco e furfante. Anche questi sono degli schemi. La Spagna, parte dell'Impero asburgico, fu il primo impero su cui non sarebbe mai tramontato il sole. Aveva le Filippine a est, l'America centrale e meridionale a ovest e in Europa era l'egemone, la nazione indispensabile del suo tempo. Quando i terroristi inglesi iniziarono ad attaccare le navi spagnole, Filippo II decise di intraprendere un'azione energica e risoluta. Il suo era l'impero più grande dell'epoca, con il più grande budget militare del mondo e l'equivalente del XVI secolo di una valuta di riserva. La Spagna riceveva carichi di oro e argento dal Nuovo Mondo, stimolando così l'economia del Vecchio Mondo con denaro appena coniato. Tutto questo vi suona familiare? I lettori più attenti noteranno due temi importanti.
Innanzitutto, l'inflazione. O, più in generale, la malattia olandese... comunemente intesa come il paradosso che si verifica quando la fortuna, ovvero trovare miliardi in oro e argento, trasforma la vostra economia in un caos. Di solito pensiamo all'oro come a una protezione contro l'inflazione; in questo caso, invece, ne fu la causa. In genere l'oro protegge dall'inflazione perché è molto difficile da ottenere: bisogna trovarlo ed estrarlo, e poiché l'oro è quotato sul mercato come tutto il resto, la quantità disponibile come denaro tende ad aumentare in linea con tutto il resto e a un ritmo più o meno pari alla crescita del PIL. Se le scorte scarseggiano, il prezzo dell'oro aumenta e i minatori sono spinti a lavorare di più; se c'è “troppo” oro il suo prezzo tende a scendere e l'attività mineraria non è più redditizia.
Fu solo un furto e un colpo di fortuna che gli spagnoli trovarono tanto oro e argento in superficie nelle mani degli Aztechi e degli Inca e riuscirono a sequestrarlo e a spedirlo in Spagna. L'avventuriero Pizarro catturò il capo Inca, Atahualpa, per esempio. Il conquistador chiese una stanza piena d'oro per il suo rilascio. L'Inca riempì diligentemente la stanza, ma Pizarro lo uccise comunque. Questo aumento della massa monetaria spagnola ebbe un effetto immediato, rese la Spagna ricca, e un effetto secondario, causò un'inflazione che rese la Spagna povera. Essa era ancora ricca nel luglio del 1588, quando la sua grande flotta si radunò e salpò verso nord, verso la Manica. Con 137 navi era destinata a scortare chiatte piene di soldati, cavalli, cibo e armi dalle Fiandre attraverso la Manica per un'invasione dell'Inghilterra. Si trattava più o meno della stessa forza navale che aveva vinto la battaglia di Lepanto nel 1571, una battaglia cruciale dell'Europa cristiana contro gli infedeli del mondo musulmano. E fu combattuta alla vecchia maniera: con spade, coltelli, moschetti e pistole. Questa era la battaglia che l'Armada di Filippo II era pronta a combattere di nuovo.
Il che ci porta al nostro secondo tema: le sorprendenti, e in gran parte sgradite, svolte della guerra. La sorpresa per l'Invincibile Armada fu che gli inglesi non combatterono come gli ottomani, o i romani, o i greci prima di loro. La battaglia di Gravelines non fu solo l'ennesima battaglia di fanteria, basata su piattaforme galleggianti mosse da schiavi delle galee. Inosservati dalla maggior parte del resto del mondo, gli inglesi avevano fatto progressi tecnici: le loro navi erano più piccole, più veloci, ma con meno potenza di fuoco. Si erano già dimostrate efficaci nelle mani di corsari inglesi, come Sir Francis Drake: arrivavano al nemico da sopravvento e questo lasciava la loro preda sguarnita. Invece di lanciare rampini e cercare di abbordare la nave nemica, gli inglesi cercavano di affondarla (o, meglio ancora, abbatterne gli alberi e distruggerne il timone in modo che fosse indifesa). Per prima cosa dispersero la formazione spagnola al largo di Calais inviando brulotti tra le imbarcazioni ormeggiate; gli spagnoli andarono nel panico, tagliarono le ancore e dispersero la flotta. Poi, alla Battaglia di Gravelines, il giorno seguente, le due flotte si fronteggiarono. Gli spagnoli eseguirono la manovra che avevano usato con tanto successo a Lepanto: spararono una volta i loro cannoni e si prepararono ad abbordare le navi nemiche. Potevano sparare solo una volta perché i loro cannoni non erano stati predisposti per essere ricaricati, non nel vivo della battaglia. Gli inglesi, nel frattempo, mantennero le distanze e continuarono a sparare. Quando finirono le munizioni, avevano danneggiato e/o affondato così tante navi dell'Armada che la battaglia era stata effettivamente vinta.
Dopotutto l'Armada era vincibile. Il vento soffiava da sud e diede agli spagnoli una via di fuga verso nord. Le navi sopravvissute, molte in pessime condizioni, cercarono di navigare attorno alla Scozia e all'Irlanda per ricongiungersi alla penisola iberica senza incontrare navi da guerra inglesi. Molte invece si arenarono in Irlanda, dove furono depredate e i marinai uccisi senza pietà. Altri morirono di freddo, fame e malattia. Pochi riuscirono a tornare in Spagna. E mentre la guerra fece i suoi danni, il nuovo denaro ne fece ancora di più: innescò un modello di azioni e reazioni ormai familiare. I conquistadores si impossessarono di enormi nuove quantità di oro e argento e questo aumento della massa monetaria fece aumentare i prezzi in Spagna e Portogallo del 500% nei successivi 150 anni. L'aumento dei prezzi, insieme ai tassi d'interesse più alti, costrinse l'imperatore spagnolo a prendere in prestito sempre più denaro solo per mantenere in attività il suo costoso impero. Il denaro facile rappresentò anche un sostituto per la produzione reale nella penisola iberica: gli spagnoli e i portoghesi avevano denaro, potevano acquistare cose, non avevano bisogno di produrle. “Lascia che siano gli altri a faticare”, potrebbero essersi detti l'un l'altro. “Noi conquistiamo”.
Ma trascurando il proprio commercio e le proprie manifatture, gli spagnoli e i portoghesi esposero il fianco a una “Grande Perdita”. Quando l'Invincibile Armada salpò il flusso di nuovo denaro dalle colonie era già in declino. Dopo la battaglia di Gravelines anche il potere spagnolo affondò e non si riprese mai più. La guerra e l'inflazione li avrebbero condannati a 4 secoli di marginalità e di miseria.
CADUTA
Non crediate nemmeno per un momento che l'impero britannico si fosse disciolto all'indomani della fine della seconda guerra mondiale. Le mani si erano ritirate, ma i fili restavano ancora attaccati. Nemmeno gli USA stessi erano davvero liberi, ma ancora una colonia. La vera dichiarazione d'indipendenza è arrivata nel marzo 2022, guarda caso un paio di settimane prima scoppiò la guerra tra Russia e Ucraina. Come già detto, guerra e inflazione sono due dei principali protagonisti di un impero in disfacimento.e quello inglese non fa eccezione. Oltre a riciclare quantità enormi di denaro da usare per cercare di sopravvivere ai venti economici contrari (es. debito pubblico, rendimenti decrescenti, ecc.), la guerra serve anche ad abbattere un qualsiasi tipo di opposizione popolare alle decisioni dello stato. I giovani uomini vengono mandati al fronte, cosicché in patria rimangano solo donne e vecchi. Non solo, ma è una questione ormai anche di sopravvivenza finanziaria, si a per Londra che per Bruxelles.
Il paravento della guerra, per quanto costoso, serve anche a giustificare la cosiddetta economia delle emergenze: una situazione “temporanea” infinita in cui gli stati in bancarotta le tentano tutte per rimanere a galla. Uno di questi tentativi significa calpestare lo stato di diritto. Ecco perché, tra gli altri, furono gli inglesi a far saltare il banco dei negoziati di pace in Turchia. Spogliata della sua capacità di intermediare flussi finanziari significativi, la City di Londra si appresta a perdere quell'importanza che aveva avuto finora grazie a liquidità estorta con l'inganno ai danni degli Stati Uniti e del Giappone. Lo stesso vale per Bruxelles. La guerra è l'unico mezzo attraverso il quale i soldi fluiscono ancora in Europa ed ecco anche perché da quest'ultima si sono alzate le grida di maggior dolore quando Johnson, lo speaker della Camera negli Stati Uniti, s'è rifiutato di firmare l'ennesimo pacchetto di aiuti all'Ucraina. La guerra in Ucraina è una polizza di assicurazione contro il fallimento siglata da Londra, oltre a essere un modo per staccare l'Eurasia dall'Europa.
A tal proposito, pensate a cosa è successo due mesi fa, durante le trattative di rinnovo dei titoli di debito dell'Ucraina. Per evitare il default del Paese i maggiori investitori (Pimco, Amundi, Blackrock, fondi pensione inglesi, ecc.) hanno raggiunto un accordo per un haircut delle loro posizioni del 37%. Solo l'Inghilterra s'è esposta per $10 miliardi in aiuti militari, $7 miliardi in aiuti finanziari e s'è fatta garante per diversi prestiti all'Ucraina tramite la Banca Mondiale. Succede, poi, che due giorni dopo Fitch declassa il debito ucraino a “C”. Panico tra i bondholder sopra elencati! Al che, una settimana dopo, il presidente ucraino firma un ordine di sospensione “temporaneo” del pagamento dei debiti della nazione.
Val la pena di sottolineare un altro fatto accaduto a luglio. In un seminario sponsorizzato dalla stessa Banca d'Inghilterra s'è parlato esplicitamente che la stessa potesse ampliare la platea di titoli acquistabili o ammissibili nel mercato pronti contro termine. Non mi sorprenderebbe se tra questi nuovi titoli ammissibili ci fossero anche i bond ucraini. Come se il bilancio della BOE non fosse già sommerso a causa dell'aumento dei tassi dei titoli di stato inglesi (Gilt). Un assaggio di questo tracollo ce l'abbiamo avuto nell'autunno del 2022 quando l'allora governo Truss presentò il cosiddetto “mini budget”. Pollice verso da parte dei mercati e vendita di Gilt sui mercati. Inutile dire che le istituzioni più colpite sono risultati i fondi pensione, i quali hanno dovuto vendere ingenti posizioni obbligazionarie A LEVA per soddisfare le margin call che fioccavano. La BOE è stata costretta a intervenire per apporre una rete di sicurezza sotto la sterlina e sotto i Gilt.
Qui ci sono tutti i presupposti affinché la sterlina subisca un durissimo colpo, nonché il mercato obbligazionario inglese dato il livello di rischio a cui è esposta la Banca d'Inghilterra insieme alla pletora di investitori istituzionali al seguito. Naturalmente non saranno i protagonisti di questa ubriacatura di azzardo morale a pagare per le conseguenze. Sta di fatto, comunque, che con la fine della “FED put”, della “BOJ put” e del LIBOR Inghilterra ed Europa si contendono il primato nell'attuale race to the bottom.
CONCLUSIONE
La Gran Bretagna si sta giocando il tutto per tutto. L'economia è messa male, la situazione sociale interna è molto difficile. Il sistema dell'eurodollaro, che è controllato da Londra, è andato in crisi nel 2008 e non si è più ripreso; ora Washington, o almeno una parte facente capo alla FED, sta rimpatriando la politica monetaria sotto l'egida americana. Non solo, ma con l'indicizzazione dei debiti americani con un tasso di riferimento interno (SOFR), la City di Londra sta nell'effettivo perdendo molto potere finanziario. Nel frattempo i BRICS si stanno allontanando dai vincoli che avevano con l'eurodollaro. Non mi sorprenderebbe se vedessimo un'inversione della Brexit e un riavvicinamento con Bruxelles, soprattutto perché lo scontro con la Russia ormai è esistenziale.
Tutte le micce finanziarie conducono a... Londra.
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Decentralizzazione e Bitcoin
Dalla fine degli anni '80 fino all'inizio degli anni 2000, i cypherpunk, un gruppo di crittografi, matematici, informatici e attivisti, hanno lavorato per costruire quello che chiamavano un “cripto-mondo-anarchico alla John Galt nel cyberspazio”. Questo luogo virtuale sarebbe stato uno in cui individui da tutto il mondo avrebbero potuto comunicare e commerciare, con diritti di proprietà protetti, contratti rispettati e una propria valuta digitale nativa. A questi cypherpunk viene attribuito il merito di aver avuto un coinvolgimento significativo nello sviluppo di progetti come Tor, remailer anonimi, PGP per la crittografia delle e-mail, OTR per la crittografia delle chat, BitTorrent, Wikileaks, il mercato Silk Road e, naturalmente, Bitcoin, sia durante l'esistenza formale del gruppo che in seguito.
Poiché l'esistenza stessa di Bitcoin deriva dall'insieme di idee a cui hanno aderito questi cypherpunk, vale la pena esplorarne le radici anarchiche.
Secondo Timothy C. May, uno dei fondatori del movimento cypherpunk e uno dei membri più influenti, la cripto-anarchia era un concetto che traeva ispirazione dal lavoro dell'economista David D. Friedman, dello scrittore di fantascienza Vernor Vinge e della filosofa Ayn Rand.
Il libro di Friedman, The Machinery of Freedom, pubblicato per la prima volta nel 1973 e giunto ora alla terza edizione, sostiene l'anarco-capitalismo, esplorando il modo in cui varie società nel corso della storia, e a vari livelli, hanno protetto la proprietà, risolto le controversie, fatto rispettare i contratti e fornito difesa senza l'intervento dello stato.
Dall'opera di Vinge, May trasse ispirazione dal racconto True Names. E, a quanto pare, anche Friedman ebbe un impatto sul pensiero di Vinge. In un'intervista quest'ultimo citò The Machinery of Freedom di Friedman come una delle sue fonti di ispirazione, affermando che quel libro gli innescò una profonda “rivoluzione intellettuale interna”.
Le ispirazioni di Friedman per l'anarchia
Da dove veniva l'anarchia di David Friedman? I suoi genitori, Milton e Rose Friedman, non erano certamente anarchici.
In una e-mail a me indirizzata confermava che il romanzo di finzione di Robert Heinlein, The Moon is a Harsh Mistress, è stata un'influenza primaria. In un'intervista sul suo libro Friedman afferma che:
[...] forniva un quadro fittizio di una società in cui la legge e l'applicazione della stessa sono endogene [...] fatte all'interno del sistema [...]. Per quanto ne sapevo, era un quadro internamente coerente [...]. Questo è tutto quello che potevo capire [dalla] lettura, non c'è una ragione particolare per cui non avrebbe dovuto funzionare in quelle circostanze [...]. Una volta che mi sono convinto che era possibile avere una società in cui la legge e l'applicazione della stessa erano interne al sistema di mercato piuttosto che imposte dall'esterno, ciò mi ha portato a interessarmi alla questione di come si potesse avere l'equivalente nel mondo reale.Friedman sottolinea anche che se avesse avuto maggiori conoscenze di storia e antropologia all'epoca, forse non avrebbe avuto bisogno della narrativa di Heinlein per giungere a queste conclusioni, poiché in seguito scoprì che non mancavano esempi nel mondo reale.
F. A. Hayek è stata un'altra influenza. In una conversazione registrata Friedman sottolinea la “distinzione tra un'organizzazione e un ordine autogenerato”. Lui (Friedman) era incuriosito dall'idea che “un'economia di mercato non ha uno scopo” nel modo in cui lo hanno i club o le aziende. Questo per dire che molti individui, con i loro diversi scopi, potrebbero comunque coordinare i loro piani. Nelle parole di Friedman: “Un insieme di persone che hanno scopi diversi interagiscono e coordinano comunque le loro attività”.
In particolare Friedman dedicò The Machinery of Freedom sia a Heinlein che a Hayek (tra gli altri).
L'influenza di Friedman su May
Timothy May sostenne una società cripto-anarchica già nel 1988 nel suo Crypto Anarchist Manifesto e in seguito menzionò ripetutamente Friedman e The Machinery of Freedom nella mailing list cypherpunk e in altri scritti.
Ma oltre all'anarchia in generale, May avrebbe anche avuto l'opportunità di imbattersi negli scritti di Friedman sul denaro. La seconda edizione del libro di Friedman, The Machinery of Freedom, pubblicato nel 1989 e all'incirca nel periodo in cui i cypherpunk erano appena agli inizi, contiene un capitolo intitolato The Market for Money. Questo capitolo (che cita anche il lavoro dell'economista Lawrence H. White) sostiene che “invece di discutere se lo Stato debba tornare al gold standard, dovremmo invece riflettere se esso debba produrre denaro” e che il denaro lasciato alla sfera del settore privato potrebbe essere concepito in modo che “non si basi sulla saggezza o sulla benevolenza delle persone incaricate di gestirne l'offerta”. Qui vediamo l'idea di Hayek di competizione tra vari tipi di denaro integrata nelle più ampie idee anarchiche di Friedman, che furono rapidamente abbracciate dai cypherpunk.
La passione di May per la cripto-anarchia era condivisa anche da un altro cypherpunk e ingegnere informatico, Wei Dai, il cui saggio del 1998, “b-money”, descriveva come avrebbe potuto funzionare una criptovaluta (e, tra l'altro, era elencato nei riferimenti del whitepaper di Bitcoin di Satoshi Nakamoto). Dai scrisse nel suo saggio che “sono affascinato dalla cripto-anarchia di Tim May”.
Nota a margine: sebbene May si fosse imbattuto nelle idee di Murray Rothbard (un altro pioniere del pensiero anarco-capitalista), non trovo alcun accenno a lui in nessuno dei suoi scritti dell'era cypherpunk. Quindi gli scritti di May sull'anarco-capitalismo, che assumono un nuovo volto come “cripto-anarchia”, chiariscono che Friedman è stata l'influenza primaria.
L'influenza (successiva) di Timothy C. May su Friedman
May notò che Friedman stava iniziando a interessarsi all'accoppiamento di idee tra crittografia e anarchia. Scrisse nella mailing list cypherpunk di come Friedman “si fosse convertito” alla cripto-anarchia e tenne un discorso sull'argomento a Los Angeles.
Friedman dichiarò in una presentazione all'Independent Institute nel 2001 che “la storia di queste idee è che le ho rubate da un gruppo di persone chiamate 'cypherpunk', di cui il principale esponente è Tim May, che ne ha rubate alcune a me [...] e poi io le ho rubate di nuovo a lui”. Friedman ha persino dedicato il suo libro, Future Imperfect, a May (tra gli altri) e, infatti, esso tratta i contributi di Friedman a molte delle stesse idee di cui si occupavano i cypherpunk.
Conclusione
Timothy May immaginò — e alcuni cypherpunk chiave lavorarono per creare — una società digitale (a volte) nascosta (ispirata alle opere di fantasia di Ayn Rand e Vernor Vinge) che sarebbe essenzialmente esistita in uno stato di anarchia (ispirata da David Friedman). Nel contesto del cyberspazio ciò significava che individui da tutto il mondo, con scopi molto diversi, potevano coordinare i loro piani grazie all'interconnettività dei computer, al software open source e alle innovazioni tecnologiche nella crittografia.
Bitcoin stesso è una valuta che potrebbe essere considerata come uno stato di anarchia. È stato progettato, ma la sua governance decentralizzata opera in modo tale che nessuna singola parte (né i miner, né i nodi, né i programmatori, né gli utenti, né gli exchange, né i provider di wallet, né i processori di pagamento) lo possa controllare. Di conseguenza ha regole oggettive che ogni parte deve seguire, ma come protocollo è completamente senza stato.
La lettura di Heinlein permise a Friedman di immaginare una società “in cui la legge e l'applicazione della stessa erano interne al sistema di mercato piuttosto che imposte dall'esterno”, e quando cominciò a scavare, trovò molti esempi concreti nella vita reale.
Oltre alla finzione, ha anche portato l'idea di un “ordine autogenerato” alle sue logiche conclusioni: all'anarchia, più in là di quanto Hayek si sentisse a suo agio a spingerla. Il suo modo creativo di pensare a come gli individui con fini molto diversi potessero coordinare i loro piani è stato determinante nel pensiero dei cypherpunk, le cui idee e il cui lavoro alla fine hanno portato a ciò che ora chiamiamo Bitcoin.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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I mercati tremano mentre il capitale monopolista persegue un colpo di stato attraverso il settore tecnologico
Si nota una grave omissione nell’elenco dei sospetti responsabili del terremoto di inizio agosto nei mercati globali: il cosiddetto “capitale monopolistico” capace di stimolare un cambiamento tecnologico significativo ed eludere il potenziale controllo benevolo da parte della proverbiale mano invisibile del libero mercato.
Nel valutare l’accusa contro il capitale monopolistico, è importante il concetto di rivoluzione e la sua differenziazione da un colpo di stato. La rivoluzione inizia dal basso in mezzo a un’ondata di nuove idee e azioni individuali; il suo continuo progresso significa, ad un certo punto, un ribaltamento dello status quo. Un colpo di stato, al contrario, descrive un cambiamento di sistema determinato da un complotto da parte di un gruppo all’interno delle attuali élite.
La distinzione è forse più evidente nel caso della politica. Ryan McMaken ha sottolineato come la “Rivoluzione d’Ottobre del 1917 in Russia”, in cui i bolscevichi presero il potere, fu un colpo di stato e non una rivoluzione. Possiamo estendere il concetto anche al cambiamento tecnologico.
Le grandi rivoluzioni tecnologiche dei tempi moderni, forse già dalla stampa fino alla digitalizzazione, sono tutte iniziate dal basso. Nella fase iniziale hanno incluso una grande partecipazione di innovatori che erano in concorrenza in tutte le fasi, dalla progettazione di base alle applicazioni finali. Anche la concorrenza con la tecnologia pre-rivoluzionaria rimaneva feroce: una serie di concorrenti che utilizzavano le tecnologie precedenti dei beni strumentali esercitavano un freno all’adozione precipitosa e dispendiosa di nuove tecnologie ancora non sperimentate e sottosviluppate, operando audaci tagli dei prezzi in modo da salvare parte dei rendimenti nonostante l’obsolescenza.
Prendiamo in considerazione l’alternativa a tale rivoluzione dal basso: il cambiamento tecnologico guidato dall’alto, sebbene con innovazioni ancora spontanee in alcune aree di applicazione. I monopolisti, gli oligopolisti, o i governi sono quindi responsabili del processo di introduzione di nuove tecnologie, il che significa un colpo di stato piuttosto che una rivoluzione. Il processo presenta rischi particolari, come vedremo nel caso presente dell’Intelligenza Artificiale (IA).
Le grandi aziende tecnologiche esistenti che controllano già le piattaforme gateway per Internet stanno giocando un ruolo chiave sia nelle innovazioni tecniche (sviluppando i modelli linguistici), sia nell’impiego di ingenti capitali per implementarle. La spesa di sole 5 grandi aziende tecnologiche – Alphabet, Apple, Amazon, Meta e Microsoft – per l’intelligenza artificiale è stata pari a $60 miliardi nel secondo trimestre del 2024, in aumento del 65% rispetto all’anno precedente.
I commentatori sottolineano l’importanza della FOMO (paura di perdere qualcosa): gli attuali monopolisti temono l’erosione dei profitti da parte dei nuovi entranti nel settore tecnologico se non agiscono per primi, salvaguardando le “kill zone” attorno ai loro prodotti e servizi esistenti. Sì, ci sono molti unicorni tra le start-up che cercano di applicare l’intelligenza artificiale, ma questo è molto più a valle nel processo di cambiamento tecnologico e non rappresenta una minaccia per il profitto dei monopolisti tecnologici. Infatti è vero il contrario, data la probabile struttura delle tariffe di monopolio per l’accesso agli input chiave.
I commentatori e anche i grandi economisti si sono esposti all’accusa di ossequiosa acquiescenza di fronte al cambiamento tecnologico, qualunque sia la sua forma. Alcuni hanno lodato il ruolo del potere monopolistico nell’accelerare il processo. Possiamo risalire alla conversione di Schumpeter, a differenza dei suoi primi scritti, quando disse che il potere monopolistico temporaneo è benefico nell'intensificare il processo di distruzione creativa e il cambiamento tecnologico.
L’ossequiosità evidente negli atteggiamenti sociali nei confronti di coloro che guidano il cambiamento tecnologico, anche se brutto sotto tutti gli aspetti chiave, può essere spiegato dalla percezione che la rivoluzione tecnologica sia intrinseca al modo in cui il capitalismo costruisce la prosperità nel tempo. Conosciamo tutti quei grafici che mostrano l'esplosione della crescita economica negli ultimi duecento anni e che accompagnano il nuovo fenomeno delle ondate di cambiamento tecnologico.
Tuttavia tutto ciò non vuol dire che le rivoluzioni più grandi e rapide siano sempre una cosa buona. La mano invisibile del mercato influenza il ritmo e la portata del cambiamento tecnologico in modo da massimizzare il possibile tenore di vita nel tempo, ma questo non significa né addentrarsi troppo velocemente nella foresta dell’ignoto piuttosto che trarre vantaggio dal passare del tempo per conoscere gli aspetti negativi, né abbandonare le tecnologie precedenti che significano l’immediata obsolescenza del capitale sociale preesistente. Non vi è alcuna garanzia che in ogni occasione la mano invisibile riuscirà in questaa missione – ma per quanto riguarda la democrazia possiamo dire che rappresenta una proposta migliore rispetto alle alternative.
L’evidenza empirica a favore di condizioni non competitive che stimolano il cambiamento tecnologico è, nella migliore delle ipotesi, ambigua. Inoltre dovremmo diffidare degli economisti che affermano come una tautologia che un progresso tecnologico più rapido è sempre meglio di un progresso tecnologico più lento. La mano invisibile dovrebbe frenare oltre che incentivare, le forze di mercato determinano il ritmo del cambiamento tecnologico, inclusa l’applicazione in modo altamente decentralizzato (non tra una cabala di oligopolisti) di una vasta gamma di attività economiche a livello aziendale.
Anche in presenza di una moneta sana/onesta e mercati altamente competitivi è possibile che la mano invisibile prenda il sopravvento su gravi errori nel percorso del cambiamento tecnologico. Ovviamente all’inizio tutti potrebbero non riuscire a prevedere gli intoppi e i grandi costi che ne conseguirebbero. E i guardrail del capitalismo del libero mercato potrebbero cedere nel contesto della nuova tecnologia, consentendo la formazione di potenti monopoli e il verificarsi di molti illeciti, soprattutto per quanto riguarda il calpestio dei diritti di proprietà preesistenti (inclusa la proprietà di informazioni private).
Illustriamo queste preoccupazioni parlando della rivoluzione informatica, iniziata negli anni '90 e in condizioni inizialmente altamente competitive, ma quasi continuamente in condizioni di inflazione monetaria. Non è plausibile che la portata della vulnerabilità del nuovo software ai virus fosse evidente nei primi anni – o l’entità delle risorse che dovevano essere impiegate nella difesa e le possibili inadeguatezze. Tuttavia una volta che la reale entità dei costi diventa evidente, non si può tornare indietro.
L’inflazione monetaria ha paralizzato, o distorto seriamente, la mano invisibile. Una caratteristica dell’inflazione dei prezzi degli asset è la ricerca di rendite. Soprattutto in un contesto di tassi d'interesse molto bassi, gli investitori rimangono estasiati dalla possibilità che emerga un flusso di rendite monopolistiche a lungo termine; le aziende che promettono questo come parte della loro narrativa speculativa godono di un premio. La portata del monopolio nella rivoluzione informatica è nota: effetti di rete e creazione di piattaforme gateway. E la persistente inflazione dei prezzi degli asset ha favorito la crescita del capitale monopolistico. Gli investitori affamati di rendimenti hanno messo in palio grandi premi sul capitale delle imprese per raggiungere un flusso di rendite monopolistiche a lungo termine.
Negli ultimi anni, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, i capitalisti monopolisti hanno acquisito nuove possibilità per pianificare un colpo di stato tecnologico. Una rivelazione sulla portata della malevolenza è ora evidente nella disputa legale tra Elon Musk, come co-fondatore e finanziatore chiave originale di Open AI, e il suo amministratore delegato Sam Altman. Musk accusa Altman di aver sostenuto ingannevolmente che Open AI fosse un istituto di ricerca senza scopo di lucro e non un'impresa che successivamente sarebbe stata ceduta a Microsoft.
Non è plausibile che i colpi di stato guidati dai monopoli portino a un ritmo ottimale di progresso tecnologico che invece potrebbe emergere con una moneta sana/onesta e un capitalismo competitivo. Sul mercato ha regnato un ottimismo estremo riguardo ai potenziali profitti di monopolio (in questo esempio tramite Chat GPT) derivanti da tali “complotti tra oligopolisti” – da qui tutto il brusio sui magnifici sette e sulla produttività che ci aspetta.
Il pessimismo però può scoppiare all’improvviso, come abbiamo visto all’inizio di agosto. Il bambino disinformato può gridare che l'imperatore è nudo. Quale sarà il ritorno di quelle decine di miliardi di investimenti effettuati dai monopolisti sull’intelligenza artificiale? Tali dubbi si moltiplicherebbero se l’inflazione monetaria stesse effettivamente perdendo forza, forse perché il ritmo dei prezzi degli asset non è più al ribasso dato che le condizioni di offerta si sono generalmente normalizzate a due o tre anni dalla pandemia. Le autorità monetarie dovranno lavorare di più (in termini di esercizio della restrizione monetaria) per raggiungere il loro obiettivo di inflazione al 2% rispetto a quanto avvenuto nel periodo 2023-2024.
In conclusione: il cambiamento tecnologico legato all’intelligenza artificiale si sta verificando sotto il controllo dei monopolisti che governano le grandi piattaforme gateway e ha le caratteristiche di un colpo di stato piuttosto che di una rivoluzione. Il colpo di stato è stato caratterizzato da un’ondata di enormi spese da parte delle Big Tech. Di recente è emersa la preoccupazione che ciò sia andato ben oltre ciò che può produrre buoni rendimenti in futuro, quindi si prospetta una notevole instabilità finanziaria e un brusco risveglio economico.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Il populismo supera il merkelismo in Sassonia e Turingia
di Tom Luongo
Quasi altrettanto importanti delle elezioni presidenziali americane di quest'anno sono le elezioni statali in Germania questo mese. Tutti gli stati che sono andati, o andranno, alle urne sono roccaforti del partito outsider anti-globalista Alternativa per la Germania (AfD).
Ma perché le elezioni statali nell'ex-Germania dell'Est sarebbero così importanti?
Non perché il populismo sia popolare, anche se questa è una cosa positiva in assoluto.
C'è molto di più in gioco qui di quanto non sembri a prima vista, a causa dei capricci della costituzione tedesca. Ci arriverò tra un minuto.
Ieri gli elettori della Sassonia e della Turingia hanno quasi scatenato il panico nella coalizione tedesca al potere, rischiando di farla crollare dato che hanno votato in massa per l'AfD.
Il problema è che non è stato abbastanza per causare un terremoto politico. Sembra che la campagna di demonizzazione dell'Afd sia stata abbastanza efficace da preservare lo status quo politico in Germania, almeno per un altro po' di tempo ancora, sebbene ciò significhi coalizioni instabili in Sassonia e Turingia.
Il Brandeburgo è alle porte il 22 e anche lì le cose si mettono male per il governo Scholz a Berlino.
L'establishment politico tedesco, in gran parte affiliato alla cricca di Davos, sapeva che l'AfD avrebbe fatto bene in queste elezioni. I risultati precedenti e le macchinazioni nel 2019 erano necessari per tenerla fuori dal governo in Turingia. L'AfD si aspettava di vincere, e ha vinto, lì, mentre in Sassonia si sarebbe trattato dell'affluenza alle urne per decidere se avrebbe battuto l'Unione Cristiano-Democratica (CDU).
Hanno fallito per un solo punto, nonostante un'affluenza alle urne molto alta, superiore al 73%.
Per tutto il 2024 è stato creato uno scandalo dietro l'altro per depistare gli elettori, aumentando la retorica della cosiddetta “estrema destra” mentre si tirava fuori ogni tipo di bufala sui loro piani di deportare tutti e linciare gli immigrati.
Se pensate che la retorica dei Democratici che circonda Project 2025 e Der Trumpenfuhrer qui negli USA sia esagerata, allora non avete letto la stampa tedesca. È gemella di quella britannica nel suo tenue rapporto con qualsiasi cosa che possa assomigliare alla verità.
Da dieci anni ormai c'è un cordone sanitario attorno all'AfD, con tutti gli altri partiti che si rifiutano di formare coalizioni con esso. Gli obiettivi dell'AfD questa volta erano meno ambiziosi della vittoria delle elezioni ed è un bene per la costruzione del partito stesso e per il futuro, ma purtroppo il futuro dell'Europa è adesso.
Senza una maggioranza assoluta non riuscirebbe mai a prendere il potere e la sua dirigenza non si faceva illusioni che le cose sarebbero cambiate se ci fosse riuscito.
L’eredità della Merkel – La tripletta di veti del globalismo
Per comprendere la situazione attuale bisogna tornare al ciclo elettorale 2017-19, quando l'allora cancelliera Angela Merkel fece di tutto per congelare l'AfD e consegnare una maggioranza effettiva nella camera alta tedesca, il Bundesrat, al Partito Verde.
Il Bundesrat ha attualmente 69 seggi ed è composto da ciascuno degli stati della Germania. I seggi sono ripartiti in base alla popolazione di ogni stato, con i partiti in ogni governo statale che ottengono rappresentanza nel caucus di quello stato.
L'AfD ha ottenuto il 24% dei voti rispetto al 2019, ma se gli altri partiti riescono a mettere insieme una coalizione del 51% dei seggi nel parlamento della Turingia, formano un governo. Di conseguenza i 4 seggi della Turingia nel Bundesrat verrebbero distribuiti a ciascun partito in quella coalizione. In questo caso si tratta dei comunisti di Die Linke, i Verdi (e globalisti) e la CDU di centro-destra ma ugualmente globalista.
Ma ecco il punto cruciale e la chiave per capire perché questa volta il successo dell'AfD non è sufficiente: gli stati membri del Bundesrat votano in blocco. Ripeto: gli stati membri del Bundesrat votano in blocco.
Ciò significa che se i Verdi controllano un seggio nel governo di uno stato, possono porre e porranno il veto su qualsiasi cosa con cui non sono d'accordo. Lo stesso vale per qualsiasi partito con una maggioranza nei caucus statali e, arrivando alle elezioni di ieri, i Verdi controllano 44 dei 69 seggi nel Bundesrat; i socialdemocratici (SPD) del cancelliere Olaf Scholz ne controllano 42 e l'altro partito con potere di veto è la CDU (43 seggi).
Questi tre stati rappresentano 12 seggi e un'eliminazione dei Verdi in queste tre elezioni eliminerebbe altresì il loro potere di veto. Lo stesso accadrebbe per la SPD. Vi ricordo che sono i due partiti principali nel governo nazionale.
Facciamo un po' di calcoli sulla coalizione.
Dopo i risultati di ieri i Verdi sono fuori in Turingia, ottenendo meno del 5%. Sono riusciti a spuntarla (mi chiedo come?!) in Sassonia con il 5,1%. La SPD è stata massacrata, ma ha ancora una possibilità di essere inclusa in entrambi i governi (si vedano i risultati della Sassonia qui sotto).
Non esiste una coalizione praticabile in Turingia senza l'AfD, a meno che il partito di Sahra Wagenknecht (BSW) e Die Linke (DL) non facciano squadra con la CDU (47 seggi su 88). Una coalizione DL/CDU/SPD non raggiungerebbe la maggioranza per 4 seggi.
Ma se i populisti di sinistra e di destra scoprissero di avere più cose in comune che no e comprendessero il quadro generale, allora AfD/BSW sarebbe la scelta naturale. Ciò sottrarrebbe 4 seggi sia ai Verdi (40 seggi) che alla SPD (38 seggi). Tuttavia dubito che ciò sia possibile. La CDU romperebbe con l'establishment, anche solo per ammettere che il merkelismo è un fallimento.
Ma se l'obiettivo principale è ripristinare le origini della sovranità tedesca, qualunque cosa riescano a mettere insieme in Turingia non ha importanza, perché i Verdi sono fuori.
Non aspettatevi una soluzione a questo problema prima delle elezioni nel Brandeburgo, dato che il vero problema qui è la Sassonia.
Dovreste aspettarvi che la CDU faccia quello che gli viene detto dalla cricca di Davos e formino qualsiasi coalizione debbano fare. Ma con la notizia odierna che la Volkswagen sta chiudendo una fabbrica importante nel Paese, la CDU è in un vero e proprio pasticcio politico. C'è aria di cambiamento?
Il problema è che ha bisogno di 61 seggi. CDU/Verdi/SPD sono 58 seggi e aggiungendo DL arrivano a 64 seggi. È Die Linke, quindi, l'ago della bilancia? Forse.
La coalizione più pulita sarebbe quella formata da CDU/BSW/SPD, con BSW che tiene in ostaggio il veto della SPD.
A causa di alcuni imbrogli post-elettorali, l'AfD non è riuscita ad ottenere i 41 seggi necessari per bloccare le nomine governative che richiedevano una maggioranza dei 2/3.
Con più di un terzo dei seggi l'AfD avrebbe potuto bloccare tutte le decisioni che richiedevano una maggioranza dei due terzi. Ad esempio, i giudici costituzionali vengono eletti dal parlamento con una maggioranza dei due terzi. Il partito aveva annunciato l'intenzione di utilizzare questo mezzo il più spesso possibile per “influenzare il governo”.Inoltre AfD/BSW non ha una maggioranza (55 seggi) come in Turingia. E a meno che la leadership di DL non sia pronta a saltare sul carrozzone populista, il che è improbabile dato che BSW è letteralmente una costola di DL, allora non c'è una coalizione praticabile per AfD in modo da escludere i partiti maggiori.
Mi aspetto che la pressione esercitata dalla leadership della CDU per costringere la SPD e i Verdi a entrare nel governo sarà epocale, simile a quella messa in atto dalla Merkel nel 2019, perché se questi due partiti escono, la SPD perde il suo diritto di veto (34 voti nel Bundesrat) e i Verdi sono sull'orlo dello stesso esito tra tre settimane nel Brandeburgo (ora scesi a 36).
Se la SPD e la CDU sono intenzionate a porre fine al merkelismo e al caos da lei lasciato, allora possiamo aspettarci che, dopo alcune trattative, si formi una coalizione CDU/SPD/BSW, ma non prima delle elezioni del 22 nel Brandeburgo.
Se questi risultati dei sondaggi saranno confermati, è probabile un altro scontro tra CDU/SPD/BSW, indipendentemente dal fatto che i Verdi riescano a spuntarla con un leggero vantaggio del 5%.
In tutti questi esiti Sahra Wagenknecht continuerà a rappresentare l'ago della bilancia e la sua separazione da Die Linke ha rappresentato un punto di svolta nella politica elettorale tedesca.
A quel punto la SPD sarà indebolita ma con ancora il suo veto intatto; i Verdi non riusciranno a raggiungere la soglia dei 35 voti, scendendo a 32 seggi nel Bundesrat; Olaf Scholz avrà mantenuto il potere e superato una grande tempesta politica; la CDU si rafforzerà e l'AfD potrebbe entrare nella camera alta tedesca con 4 seggi sotto il suo controllo.
TL;DR – Ruota tutto attorno al mercato obbligazionario sovrano
Alla fine il successo dell'AfD ha aperto le porte alla fine dell'eredità di Angela Merkel. Se l'attuale governo di Berlino sopravviverà o meno è un altro discorso per un altro giorno. È anche un tema su cui non credo di essere qualificato per commentare.
Quello che posso dire, però, è che nulla di ciò che accadrà in Germania metterà a repentaglio il mercato dei Bund tedeschi, la chiave per mantenere intatta l'UE stessa nella sua forma attuale. I mercati non hanno reagito ai titoli istrionici della stampa sulla vittoria dei nasisti nella Germania dell'Est, quindi è ovvio che non considerano l'AfD come un problema.
I Verdi hanno ormai esaurito le forze, dopo essere stati duramente rimproverati dall'elettorato per aver condotto il Paese alla deindustrializzazione, ai disordini sociali e alla guerra in Ucraina.
Ora la CDU e la SPD possono tornare a servire i loro veri padroni, i giganti industriali tedeschi, ed è quello che credo stia realmente guidando questi cambiamenti. Sono stati i più grandi perdenti in questo epilogo del merkelismo.
E Christine Lagarde, che ha speso miliardi di dollari per cercare di sopprimere i rendimenti obbligazionari europei, sarà costretta a non dire nulla e a non fare nulla. Sebbene possa sembrare che l'AfD stia ricevendo un colpo basso, e in realtà è così, ha anche aperto la porta a un cambiamento di direzione per la Germania, uno che la allontana dalla bancarotta e dal crollo.
Se stamattina fossi Alice Weidel alla sede centrale dell'AfD, accetterei la vittoria e proverei a costruire ponti.
C'è ancora la forte possibilità che la CDU si turi il naso e lavori con lei in Turingia, ma solo dopo che Sassonia e Brandeburgo saranno risolti. Se ciò accadrà, possiamo supporre che la politica estera e interna tedesca si allontaneranno rapidamente da ciò che la Commissione UE sta chiedendo a gran voce a Bruxelles: più guerra, più integrazione fiscale/politica e più riciclaggio di denaro per tutte le loro cattive scommesse.
E sospetto che adesso ci siano molte persone infelici nella City di Londra, ma questo sarà il tema di un altro articolo.
E se pensate che io stia esagerando nelle mie conclusioni, allora questa notizia sull'UE che importa più gas dalla Russia che dagli USA per la prima volta dall'inizio della guerra in Ucraina dovrebbe permettervi di riflettere meglio. La Germania ha bisogno di energia a basso costo per voltare pagina, e chi pensate che sia veramente responsabile per far sì che ciò accada? E chi pensate che ci fosse dietro il suo suicidio?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Le persone con vite prive di significato cercano potere sugli altri
Uno dei miei scambi più memorabili con uno studente è avvenuto durante una lezione sui principi di economia. Parte del compito di quella settimana riguardava i capitoli di The Rational Optimist di Matt Ridley. Quest'ultimo paragonò gli standard di vita di un lavoratore medio oggi con quelli del Re Sole, Luigi XIV, nel 1700 e alcuni dei miei studenti più antistorici erano increduli davanti alla descrizione della povertà opprimente della persona media.
Il re aveva uno stile di vita opulento rispetto ad altri: aveva ben 498 lavoratori che preparavano ciascuno dei suoi pasti, ciononostante il suo tenore di vita era ancora una frazione di quello che sperimentiamo oggi.
Ridley delineava i miracoli della specializzazione e dello scambio nel nostro tempo: una cornucopia quotidiana al supermercato, comunicazioni e trasporti moderni, abbigliamento per tutti i gusti. Se togliamo i nostri paraocchi e vediamo quante persone ci forniscono servizi abbiamo “molti più dei 498 servitori a nostra completa disposizione”.
Poi avvenne il memorabile scambio: uno studente disse che avrebbe preferito vivere nel 1700 se avesse avuto più soldi e potere sugli altri. La mia prima reazione fu divertita, pensavo che lo studente stesse esercitando le sue abilità di umorismo. Invece no, per lui avere potere era un attributo di una vita con un significato.
Se solo la mentalità del mio studente fosse un'aberrazione...
Durante il regno di Luigi XIV il matematico e filosofo francese Blaise Pascal diagnosticò il motivo di una certa brama di potere. Nei suoi Pensieri Pascal scrisse: “Ho detto spesso che l'unica causa dell'infelicità dell'uomo è che non sa stare tranquillo nella sua stanza”. Spiegò anche che dall’incapacità di stare seduti da soli nasce la tendenza umana a cercare il potere come diversivo.
Pascal ci chiede di immaginare un re con “tutte le benedizioni di cui potreste essere dotati”. Un re se non ha “distrazioni”, “mediterà e rifletterà su ciò che è”. L’ipotetico re sarà infelice perché “è destinato a pensare a tutte le minacce che lo attendono, alle possibili rivolte, infine alla morte e alla malattia”.
“Ciò che la gente vuole non è la vita facile e pacifica che ci permette di pensare alla nostra infelice condizione. Ecco perché la guerra e le alte cariche sono così popolari”.
Pascal sosteneva che gli individui cercano di essere “distratti dal pensare a ciò che sono”. Direi che una scelta migliore di parole è cosa fanno di sé stessi.
Lascerò che sia il lettore a determinare a quanti politici moderni si applicano le idee di Pascal. Grazie alle sue intuizioni possiamo comprendere perché il conflitto è una caratteristica della politica e non un problema.
Pascal non risparmiò i sentimenti di nessuno. Alcuni “cercano distrazioni e occupazioni esterne e questo è il risultato del loro costante senso di miseria”. Per loro “il riposo risulta intollerabile a causa della noia che produce. [Loro] devono allontanarsene e bramare l’eccitazione”.
Una persona in grado di esercitare il potere coercitivo può usare la propria mente “miserabile” e moralmente non sviluppata per creare miseria infinita per gli altri perché l’esercizio del potere la distrae dai suoi fallimenti come essere umano.
Molti dei Padri fondatori dell'America avevano un'istruzione classica e comprendevano i pericoli del potere. John Adams scrisse: “Il pericolo può arrivare da qualsiasi essere umano. L’unica massima di un governo libero dovrebbe essere quella di non fidarsi di nessun essere umano che vive per il potere e che quindi può mettere in pericolo la libertà di tutti”.
Possiamo superare il nostro “senso di miseria” e il bisogno di “eccitazione” non attraverso i mezzi perversi della ricerca del potere, ma dando significato alla nostra vita.
Viktor Frankl, l'autore di Man's Search for Meaning, capì l'importanza di avere una vita con un significato e quanto sia dannoso quando tale spinta viene contrastata. Sottolineò quanto sia facile “disperarsi per l’apparente insensatezza della propria vita”.
Non c’è da stupirsi se coloro che sono insoddisfatti desiderino essere distolti da ciò che hanno fatto della loro vita. Ciò che Frankl scrisse è coerente con Pascal: “A volte la volontà frustrata è indirettamente compensata dalla volontà di potere”.
Frankl aggiunse: “In altri casi, il posto della volontà frustrata viene preso dalla volontà di piacere”. Allo stesso modo Pascal scrisse: “La gioia principale di essere un re è essere circondato da persone che cercano continuamente di distrarlo e di procurargli ogni tipo di piacere [...] e di impedirgli di pensare a sé stesso”. Pascal e Frankl capirebbero perché qualcuno dovrebbe prendere il telefono ogni tot. minuti: il comportamento disadattivo è un tentativo di grattare un prurito esistenziale.
Frankl capì anche perché le persone sarebbero diventate seguaci di leader autoritari. I movimenti di massa attirano seguaci che non riescono a dare un significato alle loro vite e lo prendono in prestito da un dittatore.
Tra i modi in cui Frankl credeva che potessimo dare un significato alle nostre vite c'erano azioni mirate, sforzi creativi e amore per gli altri. L’attività imprenditoriale – la ricerca di nuovi modi per soddisfare i bisogni più urgenti dei consumatori – è un terreno fertile. Sebbene il capitalismo sia un meccanismo per creare un significato, anche il termine stesso è ripugnante per alcuni e quindi non riescono ad avvalersi delle sue opportunità.
Frankl scrisse: “Sempre più persone oggi hanno i mezzi per vivere, ma non hanno alcun significato per cui vivere”.
Per troppo tempo abbiamo sognato un sogno dal quale ora ci stiamo svegliando: se solo miglioressimo la situazione socioeconomica delle persone, tutto andrà bene, le persone saranno felici. La verità è che quando la lotta per la sopravvivenza si è attenuata, è emersa una domanda: sopravvivere per cosa?Frankl definì l’assenza di significato un “vuoto esistenziale” e ci avvertì che “sta aumentando e diffondendosi al punto che, in verità, può essere chiamata una nevrosi di massa”.
Ciò che Frankl osservò la potremmo chiamare una crisi del nostro tempo. Molte persone credono senza motivo di essere vittime e gli esperti le incoraggiano a pensare in questo modo. Frankl aveva una definizione anche per questo: “fatalismo nevrotico”.
Il fatalismo nevrotico nasconde un fatto fondamentale della vita umana: le persone che danno un significato alla propria vita non cercano la “libertà dalle condizioni”, ma si rendono conto di avere la “libertà di prendere posizione nei confronti delle condizioni”.
Il re autoritario di Pacal, o molti dei politici di oggi, non hanno alcun significato nella loro vita ma ne trovano uno falso esercitando potere sugli altri, scatenando guerre, emanando editti, punendo i nemici, ecc. Allo stesso modo coloro che sono impegnati nell'esecuzione degli ordini vivono vite prive di significato, prendendolo in prestito da coloro che li guidano. Questo ciclo non virtuoso è una minaccia per la libertà. Se invece fosse virtuoso non ci sarebbe richiesta di leader che impongono la propria volontà sugli altri.
Allora dove ci porta tutto questo? Siamo disposti a dare un significato alla nostra vita prendendo posizione nei confronti delle condizioni e delle sfide che affrontiamo?
L'imperativo di Frankl è rispondere alla chiamata di ciò che la vita ci chiede. Le sue esperienze gli insegnarono che “non importa cosa ci aspettiamo dalla vita, ma piuttosto cosa essa si aspetta da noi”.
Le persone cercheranno il potere, ma finiranno per dipendere dai seguaci. Le persone che danno un significato alla propria vita sono immuni al richiamo di questa sirena.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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The American Way of War
The purpose of the war is “extermination, not of soldiers alone, that is the least part of the trouble, but the people.”
- Letter from General Sherman to Mrs. Sherman, July 31, 1862
“[H]ad the Confederates somehow won . . . they would have found themselves justified . . . in stringing up President Lincoln and the entire Union high command for violation of the laws of war, specifically for waging war against noncombatants.”
- Lee Kennett, Marching Through Georgia: The Story of Soldiers and Civilians during Sherman’s Campaign, p. 286.
“Distinguished military historian B.H. Liddell Hart observed that the code of civilized warfare which had ruled Europe for over two hundred years was first broken by Lincoln’s policy of directing the destruction of civilian life in the South.”
- Charles Adams, When in the Course of Human Events, p. 116.
In When in the Course of Human Events: Arguing the Case for Southern Secession Charles Adams wrote of how the first Geneva Convention on War took place in 1863, followed by three more, with the last one being in 1949. The 1863 convention codified the laws of war as were understood at the time to say: 1) Attacking defenseless cities and towns was a war crime; 2) Plundering and wantonly destroying civilian property was a war crime; and 3) Only necessities could be taken from a civilian population, and they had to be paid for. Some historians, Adams wrote, claimed that these laws were the laws of war for four centuries and that they were all broken by the Lincoln regime. The lawlessness of the Lincoln regime, in other words, set the stage for the military atrocities of the twentieth century.
Most Americans have been taught to ignore the Lincoln regime’s war crimes by repeating Sherman’s CYA quip, “war is hell.” But there is a clear historical record of rape, murder, torture, arson, and the bombing of civilian occupied cities by the Union army. See for example War Crimes Against
Southern Civilians by Walter Brian Cisco; The Civil War by Shelby Foote; Union Terror by Jeffrey Addicott; and South Carolina Citizens in Sherman’s Path by Karen Stokes for starters.
There you will learn that there was so much murder, arson and theft in Missouri that vast sections of the entire state were uninhabited by the war’s end. Entire towns, including my former town of Bluffton, South Carolina, were burned to the ground with every private residence set ablaze by U.S. Army “soldiers.” The Union Army was an army of pyromaniacs, rapists, and thieves.
In August of 1863 Charleston, South Carolina was not defended by Confederate forces when a six-month bombardment of the city commenced, exploding more than 22,000 artillery shells in the city. Unexploded shells were still being found a century later.
Sherman ordered the four-day bombardment of Atlanta in the Fall of 1864 when it was only occupied by women, children, infants, and elderly men, with his artillerists targeting homes where they spotted human habitation. As many as 5,000 artillery shells rained down on Atlanta’s civilian population in a single day. Corpses littered the streets, something that Sherman called “a beautiful sight.” Thousands of surviving residents were homeless at the onset of winter.
Such war crimes were committed by Lincoln’s army, with his direction and full knowledge, for the duration of the war. It is said that when the Prussian military invited Sherman’s sidekick, General Phil Sheridan, to present a lecture on the American way of war the Prussians – no shrinking violets – were shocked and disgusted by how he described the murder, rape, plunder, and arson that occurred under his command in the Shenandoah Valley.
Just three months after Robert E. Lee surrendered the Army of Northern Virginia General Sherman was put in charge of the “Military District of the Missouri,” which was all land west of the Mississippi River. His orders were to essentially wage a campaign of genocide against the Plains Indians, which he did for the next twenty-five years, killing some 45,000 of them, women and children included, and placing the rest in concentration camps called “reservations.” In 1891, the year of his death, Sherman expressed his regrets that his army did not kill every last Indian. He is famously associated with the genocidal quip, “The only good Indian is a dead Indian.” He did all this, he once said, “to make way for the [government-subsidized] railroads,” of which he was a major stockholder.
During the Philippine Insurrection (1889) the U.S. Army killed some 200,000 Filipinos, with some estimates that a million civilians were killed. That was after the Spanish-American War also massacred thousands of civilians.
All of this was brought to mind when I recently ran across a 2010 book entitled Hellstorm: The Death of Nazi Germany, 1944-1947 by Thomas Goodrich. (There is also a YouTube video, “Hellstorm: The Genocide of Germany”). It is a hard book to read because it describes the results of the American way of war (imitated by the Russians, British, and Germans as well) combined with twentieth century military technology.
Goodrich starts by writing of how Hitler’s 1925 Mein Kampf promised to rid Germany of all “Jewish influence” if he were to ever obtain political power. This naturally “alarmed Jews worldwide . . .” Influential Jewish businessmen first organized an international boycott of the German economy and of course denounced the National Socialist German Workers Party (the Nazis). That quickly turned into what the organizer of the boycott called a “holy war” against “cruel and savage beasts,” i.e., all Germans.
Goodrich quotes Hollywood script writer Ben Hecht as writing that a “cancer” flourishes in the world in the form of “Germany, Germanism, and Germans.” They are “murderers, foul and wanton,” said the Hollywood movie script writer. “Germany must perish,” added Theodore Kaufman in a book of that title. He argued that, after the war, “all German men and women should be sterilized” to eliminate the disease of “Germanism and its carriers.” The New York Times praised this as “A Sensational Idea” while the Washington Post labeled it “A provocative theory.”
Franklin D. Roosevelt made these calls for “extermination” and genocide official when he endorsed the so-called “Morgenthau Plan,” named after his Treasury Secretary Henry Morgenthau. The plan called for the complete destruction of Germany after the war by the dismantling of all industry and the confiscation of massive amounts of land, among other things. The plan estimated that the result would be death by starvation of some 50 million Germans. Their hope was that “within two generations Germany would cease to exist.” When others expressed shock at such a barbaric proposal, Morgenthau snapped, “They asked for it. Why the hell should I worry about what happens to their people?” Morgenthau obviously wasn’t worried about what might happen to him in the afterlife.
Winston Churchill also endorsed the plan and, it goes without saying, so did Stalin. Goodrich claims that Hitler considered the war to be a war against “Jewish Bolshevism” since “Lenin, Trotsky, and many other Russian [communist] revolutionaries were Jewish.”
Hellscape vividly describes the carpet bombing of civilian-occupied Dresden, Germany, where tons and tons of bombs were dropped by the Royal Air Force (RAF) and the U.S. Airforce on the defenseless city. Literally thousands of bombers dropped phosphorous bombs on the city, creating a hellish inferno that melted bodies almost instantly, literally broiling them alive. The entire city was described as “one huge glowing wave.” There were thousands of dead bodies everywhere and the stench of burnt, decaying flesh was nauseating, said survivors. The animals in the Dresden zoo were incinerated along with everyone else caught above ground.
Knowing that people would flee to a large public park outside of the city the RAF dropped tons of high explosive bombs there. American bombers followed up by strafing the civilians in the park with their machine guns. This whole scene was repeated day after day as though the objective was to murder every last human being in Dresden. Goodrich cites estimates of some 400,000 civilians killed in Dresden alone.
This mass murder of defenseless citizens was gleefully and fiendishly repeated in Hamburg and many other German cities near the end of the war when there was little or no military resistance. “What had taken the German nation over two millennia to build, had taken its enemies a mere six years to destroy,” Goodrich concludes.
Goodrich writes of how Stalin considered Russian prisoners of war to be traitors since his order was to fight to the death. The American authorities after the war helped Stalin enforce his rule with “operation keelhaul,” which returned thousands of Russian prisoners of war back to Stalin. “[T]he entire Cossack nation had been delivered to the Soviets. Within days, most were either dead or bolted into cattle cars for the one-way ride to Siberia” and slave labor. Over five million Soviet citizens were returned to Stalin and “delivered to torture and slavery.” General Eisenhower supervised all of this with a collection of concentration camps that held the prisoners before handing them over to Stalin. Thousands of them were intentionally starved to death in the camps, writes Goodrich.
Stalin wasn’t the only newly-anointed slave owner. “When France requested slaves as part of its war booty, Eisenhower transferred over 600,000 Germans east.” And “like the Americans, the French starved their prisoners.” Several hundred thousand prisoners in Great Britain “were transformed into virtual slaves” as well. Eventually, “at least 800,000 German prisoners died in the American and French death camps” after the war.
One of the more sickening sections of Hellstorm is the description of the massive rape of German women and girls that occurred for several years. I will spare the reader of the gory stories and details. The Russians were the primary perpetrators, while American soldiers boasted that rape was not necessary; it was easy to bribe starving and destitute German women with a mere candy bar or a few slices of bread. “A bit of food, a bar of chocolate, or a bar of soap seems to make rape unnecessary,” an American soldier is quoted as saying very matter-of-factly. “By the summer of 1945, Germany had become the world’s greatest slave market where sex was the new medium of exchange.”
As I said, this is a hard book to stomach, but it is also a necessary book to read to understand the realities of the American way of war that was introduced the world in the 1860s and which, because of its “success,” was imitated by murderous tyrants – and their propaganda mouthpieces — the world over during the twentieth century. War crimes and their “ends-justify -the-means” rationales are so routine today that propagandists for the current Israeli war of genocide in Gaza have nonchalantly advocated the “Dresdenizing” of Gaza and the subsequent murder of thousands of women, children, and infants.
The post The American Way of War appeared first on LewRockwell.
How Do You Explain This?
Acording to the ethnological/anthropological literature, our archaic ancestors would have nearly all been diagnosed with O.D.D. That’s “Oppositional Defiant Disorder.” That is, our distant relatives had serious “problems with authority” — in other words, they had problems with being told what to do.
Like this – – –
Briggs (1970:55-58) tells us in detail how religious services were conducted in iglus [igloos] and how Inuttiag (in the role of religious coordinator) tried at certain points to get his tiny congregation to stand. The community initially conformed, but then more and more people began to disregard his orders until the majority were ignoring him. At that point, he simply stopped trying to command them. –Christopher Boehm, Hierarchy in the Forest, (Cambridge, Massachusetts: HARVARD UNIVERSITY PRESS 1999) p. 54
Is it a big deal to stand on cue during a church service? It was for our ancestors. But they were even more sensitive than that – – –
“Egalitarianism [among the !Kung of the Kalihari] is not simply the absence of a headman and other authority figures, but a positive insistence on the essential equality of all people and a refusal to bow to the authority of others …” (Lee 1979:457) quoted in (Boehm 1999:61) In fact to the !Kung, even just the arrogance of leadership amounts to a crime.
Such “oppositional” behavior was given a name in early America — Drapetomania — to explain why slaves, who lived an “idyllic existence” after all, would try to escape.
Such “problems with authority” were first diagnosed as a mental disorder in the Shrinks’ Bible, DSM III in 1980 as OD (Oppositional Disorder) and later, in 1987’s DSM III-R as full-blown O.D.D.
In fact, however, such so-called problems with authority are almost certainly reasonable, desirable — and genetic.
Because of the way we’ve been taught to think, however, this is hard for most of us to accept. Hollywood, John Wayne movies, cop shows, etc. but especially the hidden curriculum in government schools. One tell-tale result that shows up in our thinking as a result is, for example, the fallacy of the chief – – –
“There is a basic fallacy concerning Indian leadership of which nearly all are guilty. For purposes of discussion, we can refer to it as the ‘fallacy of the chief.’ Sometime in the pioneer era, we fell victim to the belief that the prevailing pattern of political organization among all American Indians was hereditary dictatorship; in other words, that a ruler from a particular lineage exercised unlimited power over a group of obedient subjects. … So ingrained is this belief that today the average tourist, when visiting an Indian reservation, is likely to ask ‘which one is the chief?’ … The North American Indians had ‘chiefs’ but often these were mere advisors and virtually never dictators. Except in emergencies, they had no power over the lives and property of their fellows.” –James E. Officer, Journal of American Indian Education, Volume 3 Number 1
And, from the “other” side – – –
“Before the white man came, we Indians had no chiefs. We had leaders, of course, men and women chosen by consensus for their wisdom and courage. The idea of a pyramidal hierarchy with a single person at the top was European. When whites first demanded to speak to a “chief,” my ancestors didn’t quite know how to respond. They pushed somebody out in front as spokesman–not necessarily the brightest or the bravest guy around, just someone willing to talk to the strangers and find out what they wanted in our country. But as far as the whites were concerned, he was our monarch, a sort of petty king, and therefore entitled to special privileges.” –Russell Means, Where White Men Fear to Tread (Los Angeles, Ca: General Publishing Group December 1996) p. 222
In fact, groups without permanent chiefs or leaders, that is without permanent established hierarchy, were first recognized in the late 19th Century by early ethnographers and anthropologists – – –
“With the help of Morgan (1877), scientific anthropology emerged in the nineteenth century as a robust but tiny discipline that faced the enormous task of explaining nonliterate cultures and their natural history to a world of urban literates.” … These small local groups [“bands” and “tribes”] had no leaders with any real authority; in contrast to the societies of their [sixteenth century] discoverers, every individual seemed to come and go just as he or she pleased. It became clear that when people live in small, locally autonomous groups, they are almost always “equalitarian.” … Strict equality was practiced with respect to political relations among adult males. Leaders were weak and merely assisted a consensus-seeking process when the group needed to make decisions (Knauft 1991)(Boehm 1999:30 & 31).”
And this strict political equality and no established hierarchy phenom wasn’t just an anomaly caused by chance observations of a few outside-the-box groups – – –
Modern anthropology therefore faced a dilemma. Politically equalized [egalitarian] bands and tribes had been found on every continent, so this anomaly could not be explained as some kind of local historical development. They were found in a bewildering array of ecological niches, so environmental influences did not seem to be a major determinant: egalitarians foraged, farmed, and herded animals. They also used many different residence and descent rules and a variety of kin terms. (Boehm 1999:30)
And further, this acephalous condition existed for several million years – – –
It is safe to say that with the advent of the Neolithic era most foragers became tribesmen. However, by no means did tribal societies always turn into chiefdoms [hierarchies -lrw]. Indeed the bulk of ethnographic descriptions on record today are of tribal societies whose egalitarianism extends back to the acquisition of domestication, and farther back into the Paleolithic era.” (Boehm 1999:90&91)
Contrast this “without much hierarchy,” “every individual seemed to come and go just as he or she pleased” situation in the “new world” with its contemporary hierarchical situation in feudal, monarchical England, culminating in The Statute of Artificers (1563) and The Act of Settlement (1662) which froze people (in the feudal version of the caste system,) to their parish (county), class, and job. [1]
So even as early as the 16th Century these acephalous (without heads) groups baffled and stunned more than just our anthropologists and ethnologists – – –
Politically, nations like the Arawaks–without monarchs, without much hierarchy–stunned Europeans. In 1516 Thomas More’s Utopia, based on an account of the Incan empire in Peru, challenged European social organization by suggesting a radically different and superior alternative. –James W. Loewen, LIES MY TEACHER TOLD ME, (New York, NY: Touchstone 1996), p. 67<c:\usr\wp_docs\trolley\tribes~1\wk\03_hiera.wk></c:\usr\wp_docs\trolley\tribes~1\wk\03_hiera.wk>
And with that, we can jump forward and take a look at modern civilized man (and woman, etc.) – – –
Bob Altemeyer, Associate Professor, Department of Psychology, University of Manitoba, measured the human tendency to be what he calls “authoritarian followers.” Authoritarian followers are pretty much what they sound like. They’re folks who have strong tendencies to blindly follow asserted “authorities,” especially “official” authorities and adhere strongly to conventional notions. We might fantasize that in the extreme, these folks would stand on their heads if so cued by Inuttiag.
You can check yourself out with Prof. Altmeyer’s honed test starting on page 17 of the .pdf version of his thought provoking work, The Authoritarians.
According to this measure, the higher the score, the more likely you are to find yourself standing on your head in Inuttiag’s corner if so commanded. Here’s what Prof. Altmeyer found – – –
The lowest total possible [score] would be 20, and the highest, 180, but real scores are almost never that extreme. Introductory psychology students at my Canadian university average about 75. Their parents average about 90. Both scores are below the mid-point of the scale, which is 100, so most people in these groups are not authoritarian followers in absolute terms. Neither are most Americans, it seems. Mick McWilliams and Jeremy Keil administered the RWA scale to a reasonably representative sample of 1000 Americans in 2005 for the Libertarian Party and discovered an average score of 90.3. Thus the Manitoba parent samples seem similar in overall authoritarianism to a representative American adult sample. My Manitoba students score about the same on the RWA scale as most American university students do too.
Prof. Altmeyer explains the relevance like this – – –
Since [authoritarian] followers do virtually all of the assaulting and killing in authoritarian systems–the leaders see to this most carefully–we are dealing with very serious matters here. Anyone who follows orders can become a murderer for an authoritarian regime. But authoritarian followers find it easier to bully, harass, punish, maim, torture, “eliminate,” “liquidate,” and “exterminate” their victims than most people do. –pg. 58
And a little more troubling, Stanley Milgram, a Yale psychologist and researcher, devised a rather notorious experiment. He demonstrated that a “teacher,” who was, unknowingly, the actual subject of the experiment, would essentially electrocute the fake subject — who was good at feigning electrocution — when told to do so by a white-coated scientist authority figure – – –
The details of Milgram’s experiments are fascinating; but the upshot is that six out of every ten human beings will kill you if told to do so by a person they perceive as being in authority over them. They may have a great many qualms about it, and exhibit a tremendous inner resistance to it -the traumatizing effects on the participants was the excuse given for declaring such experiments “unethical” by the psychological community- but six out of ten will still do it, and so there is really little need to “wonder” about the Nazis or the Soviets any longer. –Hank Parnell, Forbidden Fruits of the Tree of Knowledge
And like this for example, a little closer to home – – –
“For what concerns me in this inquiry is not the public image of Anglo-American idealism that was shattered by the Dresden raid, but the crime against humanity which was perpetrated. That it was decided to bomb a city of no military value simply in order to impress Stalin. That a fire storm was deliberately created in order to kill as many people as possible, and that the survivors were machine-gunned as they lay helpless in the open –all this has been established without a shadow of a doubt. What remains is to ask how decent, civilized politicians enthusiastically approved such mass murder and decent, civilized servicemen conscientiously carried it out.” –R.H.S. Crossman, Apocalpse at Dresden, Esquire, November 1963
This was followed up by nuking Hiroshima and, three days later, Nagasaki. As five-star general and U.S. President Dwight Eisenhower nailed it, “…the Japanese were ready to surrender and it wasn’t necessary to hit them with that awful thing.”
And then more recently there were the battles of Fallujah and then the gratuitous torture at Guantanimo Bay, Abu Grabe and the other “black” sites run by the United States Government during the Iraq so-called “War.” And currently (2023-2024 A.D.) the U.S. Government enabled on-going Zionist UN-declared genocide/massacre of over 40,000 native Palestinian men but mostly women and children. Etc.
And then there’s this: Although it normally takes about six years of vaccine testing to prove safety and only 22% pass the first hurdle, and although early results showed a completely unprecedented level of vaccine injury and death as reported by VAERS, whole populations allowed themselves to be “locked down” and injected with the deadly, inadequately tested, new mRNA technology COVID 19 vaccine and allowed their personal lives and economy to be completely disrupted for several years , all on the say-so of elected liars, bureaucrats, and certain white-coated authority figures.
It’s these sorts of things that tend to give native American song writer, poet, speaker and vocalist John Trudell a lot of coin when he suggests – – -
The Great Lie is that this is civilization. It’s not civilized. It has literally been the most blood-thirsty brutalizing system ever imposed upon this planet. …Or if it does represent civilization, and that is truly what civilization is, then the Great Lie is that civilization is good for us. –John Trudell
Can we have the good without the bad?
With modern civilization sorely beset by hierarchy and authoritarian followers, the question is, what changed, morphed, and/or converted folks who wouldn’t even stand on cue for a church service into authoritarian follower lemmings who will electrocute fellow humans on demand, machine-gun civilians laying helpless in the open, torture prisoners, unnecessarily nuke entire cities, and allow themselves to be “locked down” and jabbed with an inadequately tested mRNA vaccine at the direction of elected liars, bureaucrats and white-coated authority figures?
How do YOU explain this?
In Parts II and III I’ll take a shot at a few answers and you can see if we agree.
HERE for updates, additions, comments, and corrections.
AND, “Like,” “Tweet,” and otherwise, pass this along!
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Fed Tells Wall Street, Giddy-Up! Again!
This is getting just plain sick, and not in the good sense as the millennials use the term. With gold, the Dow and home prices at all-time highs, other US equity indices and cryptos near all-times highs, and a bubble in Mag 7 stocks more extreme that the 1999-2000 Dotcom Bubble ever was, the Fed is actually fixing to cut rates at its next meeting.
Giddy-Up! Or as the astute folks at Northman Traderdinged,
Now that our ‘restrictive’ monetary policy has brought asset prices back to 200% market cap to GDP and home prices are at their highest price levels ever let’s begin the next easing cycle and loosen financial conditions so we can safely embark onto the next asset bubble.
The very prospect of restarting the printing presses is testimony to both the Fed’s unremitting arrogance and its utter servility—witting or not—to the speculators, gamblers and entitled greedmeisters of Hedge Fund Land.
Of course, the impending September cut is supposedly a preemptive move to “get ahead of the curve” with respect to a softening labor market and economy. Yet that’s just the arrogance of it.
When has the Eccles Building ever been ahead of the curve? When has it ever had the clairvoyance to see more than a few weeks down the road or to even actually comprehend where the blooming, buzzing $28 trillion mass of the US economy, and the even more opaque $105 trillion global economy in which it is inextricably enmeshed, actually stood…..last week, last month or even last quarter?
A cogent testimony to the Fed’s inability to time its interest rate machinations was recently provided by Ryan McMaken. Almost without exception the recessions which inexorably follow the Fed’s exercises in “stimulus” are almost always underway when it belatedly begins one of its perennial rate-cutting cycles.
In fact, if anything, the fact that the Fed now plans to start cutting rates is one of the strongest recession signals we can get.
If we look back at the relationship between rate cuts and recessions, we see that in almost every case that recessions begin shortly after the Fed starts a cycle of rate cuts. The fed started cutting the Fed funds rate in 1989. Then we got the recession of the early 90s. In late 2000, the fed started the rate cuts again. We got a recession in 2001. The Fed did it again in late 2007. The recession began in December 2007, followed by a financial crisis several months later. This relationship even holds for the 2020 recession because even without COVID there would have been a recession in late 2020. The Fed had begun to ease the target rate in summer 2019.
Besides, why in the hell do they think that lowering the money market rates by a mere 100 or 200 basis points over the next six months in the context of an economy that is mired in nearly $100 trillion of public and private debt will make any difference at all with respect to output, jobs and sustainable income growth?
Do they really want over-extended businesses, households and governments all over America to borrow even more money and to increase their already extended leverage burdens even further?
Have they ever looked at the chart of combined US public and private debt below, and not become bothered about the relentless “direction of travel”, to appropriate Powell’s phrase at Jackson Hole.
Well, the “direction” of debt travel, and more importantly, the leverage ratio to national income (GDP) has been relentlessly skyward since Nixon did the dirty deed in August 1971. At the time, the total public and private debt stood at just $1.7 trillion (black line) and amounted to147% of GDP (purple line). The latter comprised a healthy, sustainable ratio that had more or less hovered around that level since 1870.
After 53 years of purely fiat central bank money and what Jim Grant calls the “PhD Standard, however, the total US debt today is up nearly 6o-fold to $99.2 trillion and the leverage ratio has soared to 351% of GDP.
Nor is the latter ratio just a case of gee wiz financial math. The 150% debt/GDP ratio on the eve of the Fed’s extended foray into bad money had previously prevailed through a century of economic thick and thin, wars, crises and numerous short-lived recessions prior to 1914. But growth and prosperity never got side-tracked or diluted, averaging more than 3.5% per annum for 100 years— even after you average in all the pre-1971 recessions and depressions, including the “Great Depression”.
Perchance there was some magic, therefore, in a financial arrangement that kept debt— especially government and household debt—tightly in check. Yet at the time-tested 150% of GDP standard, the total public and private US debt today would be just $42 trillion, not $99 trillion.
And that yields a number that no Fed head and Wall Street Keynesian cheerleader has ever even heard before—let alone ruminated about its implications. To wit, the US economy is now burdened with $57 trillion of excess debt relative to what would have prevailed under the gold-based sound money regime prior to August 1971.
As the man said, do ya think that might make a difference? Might that not help explain why productive investment, economic growth and living standard gains have slowed sharply, decade after decade in recent times?
Total US Public and Private Debt Outstanding And % Of GDP, 1954 to 2024
Apparently, when you have an open-ended remit to peg and manipulate money market interest rates at will, rate cuts become just like the proverbial carpenter’s hammer. That is, everything looks like a nail, and besides, cheap, cheaper and even cheaper money is cost free at the Eccles Building because it can be printed from thin air, as opposed to being derived from real money savings extracted from hard earned income.
In short, it’s so damn easy to print money and then deny, temporize and rationalize any resulting episodic inflation breakouts that contemporary Keynesian central bankers never have to wrestle with the three damning truths which undergird their destructive regime of monetary central planning. To wit—
- They are not adding to long-term growth and societal living standards, but subtracting from it by fostering dead-weight economic loss due to speculation, bubbles, malinvestments and deeply falsified pricing signals in the financial system.
- They do not smooth and ameliorate the business cycle booms and busts, but actually cause them by fueling credit-based financial bubbles on Wall Street which go bust and excess demand on main street which causes goods and services prices to rise artificially.
- They are not needed to supply “reserves” to the banking system because mandatory reserve requirements were completely abolished in March 2020. In basic respects, therefore, the Fed is the monetary appendix of the modern economy—it is a nearly vestigial organ.
Accordingly, the monetary elephant in the room ought to be damn obvious by now. In fact, history will someday show that via a breathtaking leap in mission creep, the tiny cabal of bankers, economists, Keynesians (we do not repeat ourselves), Wall Street wannabe’s and government apparatchiks who comprise the Federal Reserve Board, staff and regional branches insist on recklessly pursuing Mission Impossible.
That is to say, with the traditional “banker’s bank” functions of supplying reserves to member banks now long gone, they have arrogated to themselves the macro-managementmof the entire GDP by the week, month, quarter and even year. But that can’t be done, and does not need to be done.
When it comes to employment, incomes, business investment, housing starts and all the other dimensions of the GDP, the free market can do the job with alacrity. Twelve self-important fools sitting on the FOMC can’t even remotely hold a candle to the awesome capacities of free men (and women and theys) operating on the free market.
By contrast, the FOMC can’t even begin to fathom the moving forces and endless, intricate feedback loops which are dense-packed into the fully integrated $105 trillion global economy. Indeed, in today’s world the FOMC resembles nothing so much as a race-car driver roaring down the track with his windshield painted black.
So while the Fed accomplishes nothing useful or constructive, its recurring attempts to improve upon the free market’s level of employment and output or forestall recessionary contractions which its own actions have caused, does have one utterly baleful impact. To wit, it causes relentless inflation of financial assets, but most especially so-called “risk assets” traded in the stock market as either individual stocks, index funds or now thousands of sector ETFs, which have no economic purpose other than to provide the Wall Street casino with another line of slot machines.
In any event, upwards of 88% of risk assets are now held by the top 10% of households— a figure which has been rising inexorably ever since Greenspan fired up the printing presses in the basement of the Eccles Building during the infamous 24% stock market meltdown on Black Monday, October 19, 1987.
So if you want to know who the Fed is really working for, it is the 13 million wealthiest households depicted by the purple area in the chart below. But most especially it bestows its gift of asset inflation upon the 130,000 ultra-wealthy households which comprise the top 0.1%, as depicted in the black area, and which own nearly 25% of all equities and related risk assets.
Share of Corporate Equities And Mutual Find Shares Held By The Top 10% and Top 0.1% Of Households
Needless to say, when it comes to the Fed’s real job, it do get the job done. Since Greenspan launched the modern era of hybrid Keynesian/wealth effects based central banking in the late 1980s, the average net worth of households in the top 0.1% has risen from a bountiful $17 million in 1989 to a typical UN nation-sized $155 million as of Q1 2024.
That’s right. The real wages and net worth of the bottom 50% of households has been essentially stagnant since the late 1980s. But Greenspan, Bernanke, Yellen and now Powell have seen fit to inflate the bejesus out of financial securities and risk assets, thereby causing wealth accretions at the tippy-top of the economic ladder that are literally unspeakable.
So did we say that the Fed resembles a vestigial organ?
Yes, we did, and one that is in dire need of a legislative surgeon.
Net Worth Per Household of The Top 0.1%, 1989 to 2024
Reprinted with permission from David Stockman’s Contra Corner.
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The Significance of the Passage of Time
DANA BASH: “You’ve been Vice President for three and half years. The steps that you are talking about now, why haven’t you done them already?” KAMALA: “I’m very proud of the work we have done.”
She was speaking, you understand, but the main thing you noticed was the musical quality of her voice: sonorous, resonant, like one of the more obscure woodwind instruments, an alto clarinet or a basset horn, producing a sound like unto creamy dressing over the familiar word-salad of iceberg lettuce.
It would be ungentlemanly to bang on the particulars of Kamala Harris’s CNN interview performance, so I’ll proceed. The nocturne was 18-minutes long, all that survived from the 41-minutes CNN actually recorded, so you might wonder a little about the notes not played. The leitmotif throughout was “my values have not changed,” meaning, disregard any dissonance you might detect in the velvet honk of my voice. Mind the significance of the passage of time, not the music, Altogether, as nocturnes should, it had a soporific effect.
And now candidate Kamala Harris will go back to hiding on her campaign bus, which makes a different statement than, say, hiding in the basement a la “Joe Biden,” 2020. It’s the difference between going nowhere fast and going nowhere at all — though both concepts apply to the condition of the USA during the four years of “Joe Biden” (loved and revered by his comrades in the Party of Chaos, who threw the president under the very bus Kamala is hiding in).
Did you think Kamala would still be rising on the joyful billows of hot air that blew out of the Democratic Convention? Like so many of the magic tricks in the party’s repertoire, that one was a spoof of artificial levitation, to give the appearance of something holding up, like, say, the US economy, when there is actually nothing underneath. Nothing real, that is. What’s giving the economy its appearance of loft has been “Joe Biden” pouring government money into scores of party-connected NGOs as pure grift. The main effect of that is the inflation that everybody notices. Meanwhile, nobody gets hooked up to promised broadband and only eight EV charging stations get built for $7.5-billion allocated to the Department of Transportation.
The current prank, though, is to artificially pump-up Ms. Harris in the polls in the attempt to justify the coming ballot fraud to be executed two months from now, as engineered by election lawfare maestro Marc Elias, now on the Harris campaign payroll. That is, an effort to obviate any apparent discrepancies between actual poll numbers and harvested ballots flooding in at two o’clock in the morning on Nov 6.
As it happens, Ms. Harris’s poll numbers have begun to sink the past week, as the tactic of hiding the candidate from the press has backfired. As of August 29, Nate Silver has her chance of winning down at 42.7 to Mr. Trump’s 56.7. Voters have begun to notice that the candidate represents nothing except whatever happened the past four years in Biden-Land — which is to say, open borders, war for the sake of arms profiteers, flagrant censorship, inflation, cratering business activity, and overt DOJ political persecutions. Martin Armstrong, for instance, has estimated Kamala Harris’s true polling number in the ten percent range. Yikes.
So, what was the net effect of the CNN interview with Ms. Harris? It couldn’t have helped. They had to get her out of hiding, considering the significance of the passage of time in an election campaign. Even the in-the-tank news media was starting to complain about her holing-up on the bus. Dana Bash was surprisingly harsh at times when the veep confabulated about her plans to “fix” America’s problems, like asking, “Why haven’t you done that already?” The answer was the bizarre, “We can do what we’ve accomplished so far.” Roger that.
You’re probably wondering: how Mr. Trump will play this? He’d best be polite about it and assume that the voters can see and understand the obvious: that the Democrats have put up an especially inadequate candidate who can’t explain away the fiascos of the past four years. He doesn’t have to rub in so hard that it seems cruel. His own policy intentions are a quite clear alternative to four years of hoaxes, pranks, trips, gaslighting, and grift. Installing Ms. Harris without any input or votes from the party rank-and-file was about as desperate an affront to “our democracy” as anyone could imagine, like something straight out of the old Soviet politburo, picking an Andropov or a Chernenko. Mr. Trump should remind audiences of this at every opportunity if the Democrats keep yapping about “our democracy,” which seems to be all they’ve got.
Something is slip-sliding out there, perhaps the solidarity of the news media. Even The New York Times dissed Kamala Harris — Bret Stephens called her interview “vague and vacuous” the day after. One thing you have to give CNN credit for: they didn’t show a whole lot of Kamala Harris cackling in her trademark manner — to cover that mental vacuum. The cackle has been getting very mixed reviews, anyway, when you disconnect it from the fake “joy” trope. Maybe a laugh-riot is what’s in the missing 23-minutes that CNN edited out of the 41-minute recording.
Reprinted with permission from Kunstler.com.
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Donald Trump and the Sovereign Rights of God
Many Catholics, on both sides of the political spectrum, continue to struggle with how to cast their votes in November. Some conservative Catholics struggle with the Republican Party’s changed platform and wonder if they can still vote for a Party that’s no longer pro-life. Some liberal Catholics struggle with the impact of excessive immigration on the urban poor and wonder if they can still vote for a Democratic Party that ignores it.
Several highly respected Catholic authors have written on the subject, and walking through their various perspectives provides us an opportunity to sort out and clarify the issues. In this article, I look at some of these perspectives, specifically ones by philosopher Edward Feser, theologian R.R. Reno, and commentator Kennedy Hall.
Let’s start with Dr. Feser. In his Catholic World Report piece titled “Donald Trump has put social conservatives in a dilemma,” he argues that the changes Trump made to the Republican Party’s platform constitute a complete betrayal of the pro-life cause and have turned it into what is now a moderate pro-choice Party. This creates a dilemma for social conservatives.
If they vote for Trump and he wins, they send the message that the Party’s position on abortion is secondary to other issues and that the Party can take their votes for granted even without a commitment to life, something Feser argues “would likely do positive harm, indeed grave and lasting damage, to the pro-life cause going forward and to social conservatism in general.” But if they don’t vote for Trump, they make it easier for the far more extreme Democrats to win, thereby consciously contributing to a greater evil. So, what’s a Catholic to do?
Feser answers the question by first outlining the gravity of the betrayal by Trump, arguing against the theory that it’s nothing more than political expediency. Trump went far beyond what Feser believes was necessary to win the election, not just toning down the right to life of the unborn but positively embracing their murder by supporting the abortion pill and IVF.
He also argues against the idea that Catholics can, in good conscience, vote for him based on his position on other issues. There is a hierarchy of issues in Catholic teaching: the sanctity of life and marriage take priority over issues like the economy and foreign policy. One cannot ignore the former because he approves of the latter.
Having demonstrated that, he then presents in the second half of his article teachings from then-Cardinal Ratzinger and then-Bishop Burke on what we must do when facing such a choice. In short, where our vote will make a difference in the outcome, we must vote for the lesser of two evils, but we must not do so without loudly voicing our opposition to the evil the Party stands for. Otherwise, we are complicit in that evil. Feser is adamant that voting for the lesser of two evils does not satisfy our moral duty: we must also make our protest of the evil known. To not do so would give scandal.
What does that mean then regarding how we should vote? It means, he concludes, that if you live in a swing state where your vote will affect the outcome of the election, you have a moral duty to vote for Donald Trump as the lesser of two evils, but if you live in a blue state where your vote doesn’t matter, your moral duty is to vote for a third-party candidate who is pro-life. This not only supports the pro-life cause, but it sends a message to the Republican Party.
For Feser, the key issue in the election is abortion and doing all we can to limit it, while also protecting the long-term political influence of the pro-life movement. Retaining this political power is essential, Feser argues; if it’s lost, social conservatives will “lose their ability to fight against the moral and cultural rot accelerating all around us.”
Reno, in his First Things article titled “The Republican Party Sidelines the Pro-Life Cause,” argues, as Feser does, that the Republican Party did not have to go as far as it did in the platform. He argues they failed to do the job of properly assessing what is possible. He gives a list of how the Party could have indicated continued support for the right to life of the unborn yet still defuse the Democrats’ ability to paint them as extreme on the abortion issue.
But unlike Feser, Reno argues that we need to be realistic in our demands from politicians. We are free to focus on principle and have an obligation to witness to the sanctity of human life, but they must deal with reality and have a duty to pursue realistic objectives. They must balance their principles with prudence.
He argues that it is “counterproductive moralizing to denounce politicians who refuse to promise what cannot be done.” For example, he argues that “for pro-life advocates to denounce politicians who are otherwise supportive of the cause of life, because they refuse to commit to banning mifepristone [to which a supermajority of Americans support legal access], is simply unrealistic.” We, too, must learn to balance principle with prudence.
He notes that “this is a confusing moment for pro-life politics. For decades, overturning Roe received most of the attention.” But now the issue moves to the states and the movement faces a new danger: “that our politicians will abandon us if we are not prudent and/or that we in our outrage, will abandon them.” He calls everyone to instead “meet this challenging moment with clarity and wisdom.”
Thus, for both Feser and Reno, the focus is on preserving and protecting the future of the pro-life cause and of retaining the movement’s influence in the Republican Party. We should not abandon them when political realities require them to compromise to win elections. Rather, we must be prudent, giving them our support but being vocal in our continued defense of the unborn and opposition to the evil of abortion.
Assumed by both authors is the belief that the way we bring about an end to abortion in America is through political action, especially through political action designed ultimately to affect public policy at the national level to make abortion illegal.
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Could the Zionist State of Israel Disappear Within a Year?
In a stunning interview with Judge Andrew Napolitano, former CIA Analyst Larry Johnson quotes high-level Israeli government officials as stating their concern that if Israel maintains its current warmongering ways, the Zionist State could disappear within one year. Johnson also describes the radical religious zealotry of many Israelis behind the nation’s infatuation with war. (A very similar zealotry exists within a majority of evangelical churches, by the way.)
Johnson also explains why the miscreant Benjamin Netanyahu will never end Israel’s wars: He knows that as soon as the war(s) ends, he will be arrested and tried for multiple criminal acts within Israel (not counting the international war crimes of which he is accused) and probably spend the rest of his life in prison. Bottom line: Netanyahu is purposely keeping Israel’s wars alive for his own personal self-preservation.
Here are some of the excerpts from Judge Nap’s interview with Larry Johnson:
Napolitano: Is Israel committing National Suicide, Larry?
Johnson: Sure appears that way. You know when you’re in a fight, and particularly in a war, the last thing you want to do is to be fighting a civil war, be warring against each other at home.
You’ve got the head of the military, basically the Israeli military, the IDF spokesman, coming out and opposing Netanyahu. You’ve got the head of Mossad opposing Netanyahu, and Mossad is like the Israeli version of the CIA. You have the Shin Bet, which is, I describe it as, it’s like the FBI with a CIA twist, because it’s really, it’s not so much a law enforcement outfit as it is a domestic intelligence/domestic security outfit. All of them are coming out and condemning Netanyahu. And Netanyahu in turn has been calling them cowards and weaklings.
And then in addition to that, you’ve got some very prominent members or former members of the Israeli Defense Force. There’s General Yitzhak Brik, he put an op-ed in Haaretz over the weekend. And, boy, he didn’t pull any punches. He came out and said that Israel, if it keeps on this path, it’s going to collapse within a year, that the country will come apart at the seams. [Emphasis added]
Napolitano: Well, some of this stuff that General Brik said is strategic, and some of it is personal. For example, he said of Prime Minister Netanyahu, “He has lost his humanity, morality, norms, values and sense of responsibility.” That’s about as harsh as you can get. He’s not talking about Netanyahu’s personality; he’s talking about his decisions to slaughter innocents and to use reservists and the IDF with which to do so.
Johnson: Right.
Napolitano: Does Netanyahu and his crew have an academic or theological guru, a rabbi, who preaches all of this at the same time he preaches blowing up mosques and busloads of Arabs?
Johnson: Yeah, not Netanyahu. Netanyahu, he’s all about power and taking care of himself. But the Smotrich and the Ben-Gvir, yes, this Rabbi Dov Lior, he’s been quite influential and quite extreme. So, there’s a religious dimension to this; we can’t discount that. I think the tendency is for many Western pundits not to delve into the religious aspects of this. But they’re real as far as these people are concerned. And that’s what’s driving them. I mean, part of their premise is that they actually have a covenant with God, and that that was established 3,000 years ago, and they have a right to this land, and they have the right to do whatever they need to do to eliminate those who are not chosen of God to live there. And so, when you take a religious belief like that and then translate it into policy, of course you can kill Palestinian children, because they’re just refuse in the way that you need to clear out.
And so that’s part of what has the head of Shin Bet so alarmed. And he said, “Look, I grew up in a family of Holocaust survivors, and, you know, we believed in never again.” But he goes, “My G-d, what I’m seeing coming out of these Jewish mouths about Jewish supremacy, and not just that, ‘Hey, we’re smarter, we’re more accomplished,’ but actually, ‘We are human beings; you are not human beings.’” He says that mindset is what alarms him, and that has taken hold among a big segment within Israel. That’s the danger.
Napolitano: Is this a majority view, this Messianic belief? “God the Father gave us this land, and we can crush and destroy any thing or any person who stands in our way. We can establish our own morality because we are the chosen.”
Johnson: Yeah, apparently. At least it’s over 50% now within Israel. And again, that number may go up as Israelis who were secular are leaving Israel, coming back to the United States, going to Europe, going to other places, because they don’t embrace that. As they leave, that means those who do believe that become a larger percentage of the population.
Note: Within a few months after October 7, it was well documented that over 500,000 Israelis had left Israel out of a total population of just over 9 million. But just yesterday, Col. Douglas Macgregor suggested to Judge Andrew Napolitano that Israel’s population today is 4½ to 5 million. If that’s true, it would mean that around half of the Israeli population has fled the country since Israel’s genocidal war against Gaza began.
The IDF are not killing guys that are decked out in body armor and carrying, you know, RPGs. They’re killing women and children by and large, and the images are appalling. They’re horrific. I mean, just in recent days, the actual pictures of babies burned. I mean it’s sickening. Babies missing chunks of their heads.
Now we heard the Israelis after October 7th talk about, “Oh, Hamas killed 40 children.” We’ve never seen a single picture; we’ve never heard a single name. But what’s coming out of Palestine is names and pictures that are horrific. And it’s establishing a reality. And this is taking a toll on these Israeli soldiers.
Napolitano: Netanyahu wants war! Netanyahu and his religious zealotry folks believe that this is the time God ordained for them to kill everybody that’s impeding them.
Johnson: The United States could put a halt to this immediately. You tell Netanyahu, “Okay, the military aid is done, and we’re cutting you off economically. You’re not going to get another drop until you sit down and do a serious negotiation with the Palestinians.”
Read this part of the interview again:
General Yitzhak Brik, put an op-ed in Haaretz [an Israeli newspaper] over the weekend. And, boy, he didn’t pull any punches. He came out and said that Israel, if it keeps on this path, it’s going to collapse within a year.
This Israeli general is not the first Israeli to say this. And he won’t be the last. Many Middle East experts are saying that Israel is on a path of self-destruction. If Col. Macgregor is correct in suggesting that half of Israel’s population has already fled the country, the only logical reason for such a massive and spontaneous exodus would be because they expect the State of Israel to soon collapse.
I urge readers to watch my three-message DVD on this very subject. These messages were delivered shortly after the start of the Israeli genocidal war against Gaza. The title of the DVD is End-Time Israel.
And the radical warmongering doctrines of Christian Zionism in America are basically the same as the radical warmongering doctrines of Jewish Zionism in Israel. The only difference is the Jewish warmongers are going to war in an effort to bring forth the Messiah, while Christian warmongers are going to war in an effort to bring back the Messiah. But both Christian and Jewish Zionists believe that God wants them to kill all of the Palestinian people in the name of their Messiah.
I ask my fellow evangelicals who are so enraptured (sorry for the pun) with Prophetic Futurism and who believe that Zionist Israel is Biblical Israel and that the land of Palestine belongs to Zionist Israel: Have you ever studied Romans Chapter Eleven without reading Scofield’s (or Ryrie’s or MacArthur’s) Zionist-inundated notes?
Here is what Romans Chapter Eleven really teaches about God’s chosen people and the land.
Beyond that, have you ever met a Palestinian? Have you ever spoken with a Palestinian Christian? Have you ever seen a Palestinian family? Have you ever met a Palestinian pastor? Have you ever worshiped with a Palestinian Christian congregation?
I have. I met hundreds of them when I traveled and spoke across Palestine.
And let me tell you that, on the whole, you will not find a more gentle, humble, gracious, peace-loving people anywhere on earth. Palestinian Christians put American Christians to shame! And while Palestinian Christians are being slaughtered, American Christians cheer for the slaughterers.
If the American people had endured one percent of what the Palestinians have endured under the heavy heels of Israeli occupation, they would have been in an all-out war decades ago.
But I digress.
Let’s go back to the Israeli general’s prediction that, if Israel continues on the same warmongering path, it could cease to exist within a year.
I believe Judge Napolitano was right when he said that, as long as Benjamin Netanyahu is prime minister, there will be no peace agreement, no stoppage of the war. And the truth is, the way the demographics of the Israeli population are shaping up, there would be no change to Israel’s war lust no matter who is prime minister. As many within Israel have said, Israel is a racist, apartheid state that is driven by the emotions of hate and Jewish supremacy.
And when you look at U.S. policies regarding Israel and Palestine, it matters little who is elected president or elected to Congress. Israeli money controls them all.
But my big question is for evangelical Christians: What are they going to do when Israel ceases to exist, as the Israeli general and Israeli Shin Bet chief predict? Everything they believe the Bible teaches regarding prophecy is Israel-based. EVERYTHING!
The “bless Israel and be blessed” doctrine. The Pre-Tribulation Rapture. The Antichrist. The Seven-Year Tribulation. The Second Coming. The Millennium. The Old Testament King David reigning again in Jerusalem. The “everlasting” Jewish nation. It’s all Israel-based. Most evangelical pulpits, most evangelical colleges and seminaries, most evangelical authors, most evangelical radio broadcasters and television broadcasters, most evangelical podcasters, and most evangelical publishers are immersed in Israel-based prophecy.
What are they going to do when God destroys godless Zionist Israel as He destroyed the apostate Old Covenant temple? And when I say destroy Zionist Israel, I’m not talking about the Jewish people; I’m talking about the Zionist government and state. For over one thousand years—before the Zionist state was created in 1948—Jews, Muslims and Christians in Palestine lived peacefully side by side. The creation of the Zionist state has led to nothing but the ethnic cleansing and genocide of the Palestinian people and has become nothing more than a breeding ground for war throughout the entire region.
I urge readers to read renowned Israeli historian Ilan Pappe’s blockbuster book, The Ethnic Cleansing of Palestine.
Without a Zionist state, what would evangelical pastors and professors teach about the End Times? What would millions of evangelical Christians and thousands of evangelical churches do?
Evangelicals are going to wake up one day and realize that everything John Darby and Cyrus Scofield told them about prophecy was a lie, that everything Dallas Theological Seminary taught them about prophecy was a lie, that every prophecy book they read was a lie, that every prophecy sermon they heard was a lie. What will they do on that day?
They will throw away Clarence Larkin’s charts. They will throw away Jerry Jenkins’ and Hal Lindsey’s books. And they will throw away John Hagee’s and Robert Jeffress’ prophecy DVDs. That’s what they will do.
Reprinted with permission from Chuck Baldwin Live.
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The Loss of Good Manners
The other day I quite literally ran into a teenager (or rather the teenager ran into me) at our local grocery store.
Predictably, the teenager was looking down on her phone and using a combination of short, skipping, hopping steps and a fast walk to charge down the aisle, weaving between shopping carts and human beings, oblivious of the living, breathing world immediately beyond her phone. Her fingers were moving furiously across the phone which seemed to survive the very hard thrust of her fingers – and she was grimacing to herself.
I have only myself to blame, perhaps, since on that day (of all days), I decided to forgo the ubiquitous luxury of a shopping cart and walk into the grocery store at a brisk pace, to pick up just the bananas we needed. Never again will I venture forth into any grocery store without the protective shield of a shopping cart!
I did see the teenager dodging multiple carts, her curls bouncing into her eyes whilst she expertly held the curls back with intermittent swipes of one of her busy hands. For a brief moment however, no longer than the proverbial blinking of the eye, my gaze was averted from this charging bull (or cow). And BAM! Her phone and then her shoulder rammed into my right side.
“I’m sorry” I said through the pain, as she whizzed past. She did a half turn (as if in a waltz), barely looked up – and whirled past me, silent as a post, to the waiting gaggle of her friends (who seemed to welcome her by saying “no way,” “no way” “no way” again and again). I marvelled at her multitasking skills – not only was she able to dodge multiple objects on her way to me, she could text, hold back her curls and ram into me, all within a few seconds!
I try never to say things like – “when I was your age;” or, “you have no idea what it was like when I was young;” or, “your generation needs everything handed to them;” etc. etc. I am willing to admit that this generation is in fact better than my own, in such things as their willingness to accept the disabled into their inner circles, to be colour blind in their acceptance of other human beings (and to display these magnificent virtues without fanfare and with a certain agnostic nonchalance).
But the loss of good manners is surely something I am entitled to comment on – since every day, I see the deleterious and decaying influence of the collective loss of one of our Christian civilization’s greatest gifts to the world.
It is not that other great civilizations are not good mannered. No doubt they would argue that manners like beauty lives in the eyes of the beholder. But the teaching of good manners as an institution of good upbringing in our homes was a well drilled exercise that started when we could barely walk and continued (with many corrections) until we were beyond the influence of our parents and elders. The institution of good manners in turn was built upon the values and ideas conveyed across the generations and centuries, in the pages of the New Testament.
I remember quite clearly when I was twelve or thirteen years old and my father and I hailed an elderly neighbour who was shuffling by slowly, in front of our home. “Hello Tom,” I said cheerfully – and immediately regretted it, as my father jerked my arm sharply down and hissed, “that is not Tom for you. That is Mr. Robertson!” Instinctively, I shouted out again, “Hello Mr. Robertson!” Mr. Robertson slowly turned and waved his hand – as if to acknowledge that he knew my father’s discipline and correction had been applied! What would my father have thought if he heard my sons refer my wife and I as “you guys!”
Even in the lawless North American wilderness which has been accurately portrayed in the Western motion pictures of the 1940s and 1950s, gentlemen routinely stood up when a lady entered the room; some even doffed their hats and hastily removed the pipes from their mouths and pointed them downward. As recently as when I was growing up (there I go again!), we would (unthinkingly) offer our seat on a full bus to a lady (young or old); the lady would smile, say “thank you,” and sit down on the seat we had vacated.
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OFAC’s Banality of Evil: Small US Agency Victimizes Millions of Foreign Innocents
As tourists complete their strolls to the White House from the east along Pennsylvania Avenue, they pass a relatively unremarkable, columned office building that overlooks Lafayette Square — oblivious that, behind its walls, bureaucrats are quietly inflicting poverty, illness and death on innumerable innocents around the world.
The Freedman’s Bank Building doesn’t house CIA or Department of Defense officials, but rather the US Treasury’s little-known Office of Foreign Assets Control (OFAC). Instead of orchestrating airstrikes or insurgencies, these bureaucrats impose mass suffering via economic warfare, collectively serving as the tip of the spear that is America’s ever-expanding economic sanctions regime.
The term “banality of evil” was coined by intellectual Hannah Arendt after she observed the 1961 trial of Adolf Eichmann, the Nazi official who, from his post atop the inscrutably-named Office IV B 4, oversaw the grim logistics of funneling Jews into German concentration camps.
Arendt said she was struck to find Eichmann “neither perverted nor sadistic,” but “terrifyingly normal.” Rather than a rabid ideologue or psychopathic antisemite, Arendt found herself observing a boring bureaucrat whose diligent performance of his assigned duties was largely motivated by a mere desire for career advancement. “The deeds were monstrous, but the doer – at least the very effective one now on trial – was quite ordinary, commonplace, and neither demonic nor monstrous,” Arendt later wrote.
Arendt’s characterization sparked great controversy. In subsequent decades, some historians have challenged her assessment of Eichmann, and philosophers have wrestled with her proposition that one can do evil without being evil.
Whatever the appropriateness of Arendt’s application of “the banality of evil” to Eichmann, it’s safe to say the individual employees of OFAC — mostly lawyers — similarly aren’t perceived by people around them as malevolent. If you live in the vicinity of the capital, an OFAC worker might be the congenial coach of your child’s soccer team or a friendly face at a volunteer event.
However, regardless of their personalities and sincere convictions that they’re engaged in public service, the stark reality is that many OFAC employees spend their workdays carrying out the mass victimization of people who’ve done no harm to the United States or its citizens. To paraphrase Arendt, these people may be quite ordinary, but their deeds are monstrous.
Considering, just for starters, the direct and indirect effects of the invasion of Iraq, the Pentagon’s Central Command has arguably caused the most 21st-century harm to innocents of any organization in the world. However, staffed with a mere 300 or so bureaucrats, OFAC is surely the leader on a harm-per-employee basis.
Sanctions are often perceived as a welcome alternative to war. In fact, they are merely a different form of war — one that can also produce dead bodies and misery on a grand scale, with the vast majority of the victims having no responsibility for their governments’ supposedly offending actions. (While sanctions are also deployed against terrorists and drug cartels, my focus here is on economic warfare waged against entire countries.)
The power of American sanctions springs from the US dollar’s domination of international trade and finance. As the Washington Post recently explained:
“To deal in dollars, financial institutions must often borrow, however temporarily, from U.S. counterparts and comply with the rules of the U.S. government. That makes the Treasury Department, which regulates the U.S. financial system, the gatekeeper to the world’s banking operations. And sanctions are the gate.”
Sanctions come in a variety of flavors, including the freezing of assets, barring of financial transactions, and blocking of exports or imports. There are also “secondary sanctions” aimed at non-American parties who dare to conduct business with a sanctions target.
Though they’ve long been part of the American arsenal, sanctions use rose sharply during the 1990s and exploded after 9/11 with the “war on terror” and the accompanying surge in US foreign interventionism and regime-change campaigns. In 2000, there were 912 designated entities; by 2021, there were 9,421.
Via the International Emergency Economic Powers Act of 1977, presidents have broad, unilateral power to impose sanctions to “deal with an unusual and extraordinary threat” to national security. The determination of what constitutes such a threat also rests in the president’s hands, and they unsurprisingly apply an expansive interpretation.
Sanctions can also originate in Congress. Eager to bolster their national security credentials and curry the favor of interest groups like pro-Israel organizations, legislators introduce them with abandon: In the 117th Congress that ended in January 2023, members introduced more than 350 sanctions bills.
“It is way, way overused, and it’s become out of control,” former Senate Foreign Relations Committee staffer Caleb McCarry told the Post, casting OFAC employees as victims. “They are good professionals who have all this political work being shoved on them. They want relief from this relentless, never-ending, you-must-sanction-everybody-and-their-sister, sometimes literally, system.”
Washington’s bipartisan sanctions compulsion surely causes OFAC employees some workplace stress and perhaps a few skipped happy hours. For countless innocents in targeted countries, OFAC-enforced sanctions cause everything from unemployment, ruined career aspirations, financial insecurity and poverty to depression, hunger, disease and death.
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The Middle East’s Roots Lie in the Fall of the Ottomans w/ Eugene Rogan
This interview is also available on Rumble and podcast platforms.
Modern borders represent mere lines in the sand when understanding the deep history behind the forces that drew them. In the contemporary Middle East, nations such as Syria, Lebanon, Iraq, Egypt, and most notably Palestine, cannot be fully understood without delving into the region’s intricate past—especially the pivotal role of the Ottoman Empire’s influence. Eugene Rogan, the Professor of Modern Middle Eastern History at the University of Oxford, joins host Chris Hedges to discuss his book, “The Fall of the Ottomans: The Great War in the Middle East,” and explain how the modern geopolitical makeup of the region came to be.
While not the sole source of all conflict in the modern Middle East, studying the Ottoman Empire is essential for understanding both the region and the European powers that dominated during that era. World War I, in particular, marked a pivotal moment in the formation of modern nation-states. Britain, Russia, and France emerged as key beneficiaries of the early 20th-century battles that reshaped global power dynamics.
Rogan provides an in-depth analysis of the complex relationships between monarchs, religious leaders, ambassadors, and consuls, highlighting their crucial roles in shaping the region’s historical developments. His detailed and thorough examination provides a clear picture of how the region evolved as a result of the decline of the Ottoman Empire.
Rogan tells Hedges, “Britain had maintained that the preservation of the Ottoman Empire was in the best interest of the British Empire, that it was a buffer state that bottled up Russia, kept it out of the Mediterranean world, and that, were this Ottoman State to collapse, all that geo-strategic territory in the Mediterranean world would soon become the stuff of European rivalries that could lead to the next major European war.”
On the question of Palestine, Rogan notes, “Protestants in Britain, Catholics in France, Orthodox in Russia, all wanted a claim to the holy cities and the holy places of Palestine, and so Palestine was painted a kind of brown and internationalized.”
Rogan delves into the Zionist project, tracing its origins through collaboration with the British Empire and examining its evolving connection with the United States. He highlights the growing involvement of the U.S. in the region, which it thrusted itself into at the close of the 20th century and the dawn of the 21st.
Credits Host:Chris Hedges
Producer:Max Jones
Intro:Diego Ramos
Crew:Diego Ramos, Sofia Menemenlis and Thomas Hedges
Transcript:Diego Ramos
Transcript
Chris Hedges: Welcome to The Chris Hedges Report. “The past is never dead,” William Faulkner writes in his novel Requiem for a Nun. “It’s not even past. All of us labor in webs spun long before we were born, webs of heredity and environment, of desire and consequence, of history and eternity.” Perhaps nowhere, historically, is this truer than in the Middle East. The fall of the Ottoman Empire — which for six centuries stood as the greatest Islamic empire in the world — in the wake of World War I saw the victorious imperial powers, especially Britain and France, carve up the Middle East into protectorates, spheres of influence and colonies. The imperial powers created new countries with borders drawn by diplomats in the Quai d’Orsay and the British Foreign Office who had little understanding of the often autonomous and at times antagonistic communities they were attempting to herd into new countries. They sponsored the colonization by Zionist settlers from Europe in the land of Palestine, setting off a conflict that continues with savage intensity today in the occupied Gaza
and the West Bank. They propped up autocratic dictators and monarchs – their descendants still
ruling countries such as Saudi Arabia and Jordan — to do their bidding, crushing the aspirations
of democratic independence movements. They flooded, and continue to flood, the region with
weapons to pit ethnic and religious factions against each other in the great imperial game that
often revolved, and still revolves, around control of Middle Eastern oil. The heavy-handed
intervention in the Middle East, often based on false assumptions and a gross misreading of the
political, cultural, religious and social realities, later exacerbated by the disastrous interventions
by the United States, have led to over a century of warfare, strife and immense suffering of
millions. It is impossible to grasp the conflicts of today in the Middle East if we do not examine
the causes and roots. There are three books that are vital to this understanding, David Fromkin’s
A Peace to End All Peace: Creating the Modern Middle East 1914-1922, Robert Fisk’s The
Great War for Civilization and Eugene Rogan’s The Fall of the Ottomans: The Great War in the
Middle East. We speak today with Eugene Rogan, the Professor of Modern Middle Eastern
History at the University of Oxford about his book The Fall of the Ottomans and the creation of
the modern Middle East.
Eugene Rogan: Well, first off, Chris, thank you so much for having me on, and it’s a real pleasure getting to have a little time to talk over the book with you. And, you know, as you rightly point out, it’s a book that had kind of family roots to it. It was a moment of exploration, having spent my career studying the Middle East and to better understand the Middle East of the 20th century, I was drawn into studying the Ottoman Empire, because all the origins of the modern Middle East can be traced back to the previous state that had ruled this area. So to answer your question, you know, the Ottomans first make their entry into the Arab world in 1516 and 1517, when they turf out the then ruling Mamluk Empire, based in Cairo. They had an empire that spanned all of Egypt, greater Syria and the Hejaz, Red Sea province of the Arabian Peninsula. And they were able to, you know, the Ottomans were able to draw on gunpowder technology to affect a total decimation of Mamluk ranks.
Mamluk’s knights in the old fashion, you know, they were trained in swordsmanship and in horsemanship, and they thought that real men fought like chivalric knights, and they found themselves up against real men with guns, and men with guns won. And that was to take the Middle East down the road of being part of what was then the largest, most successful Islamic empire in the world, and for a Europe or America that’s used to thinking of the West as dominant, I assure you that that Ottoman Empire was the most terrifying state in the whole of the Mediterranean basin, and was to remain so right through until the 18th century. Their last drive on a European capital would be in the 1680s when they laid their last siege to Vienna. So it’s just a corrective, you know, before we write this Ottoman Empire off and assume that it was slated to lose in the First World War, this was one very powerful empire that spanned three continents, and, you know, was basically the scourge of Europe right up until the 18th century. Chris, I assume you’d like shorter answers, rather than for me to go on with, great long speeches.
Chris Hedges: No, I’d rather that you go on. There’s no time constraint here.
Eugene Rogan: All right, very good.
Chris Hedges: So they get up to the gates of Vienna, but then they’re as you write, they’re rolled back. This is all before World War I. So the empire begins a kind of slow disintegration on the eve of the war, perhaps you can just explain what happened.
Eugene Rogan: Well, basically what happens is Europe takes off. I mean, the Ottoman Empire was a perfectly strong and viable empire in its own right, but it found its European neighbors taking off with two major developments. One is the enlightenment, and just the new ideas that spill into politics and how to organize a country better, more efficiently, better at raising tax money, and how to develop cities and whatnot. And then the other, of course, is going to be the Industrial Revolution. And those two developments, coming in the end of the 18th century, are going to impel Europe into a high gear that leaves the Ottoman Empire far behind. And in the 19th century, the Ottomans become increasingly aware that every time they go to the battlefield with their European neighbors, they’re losing and they’re losing territory. It starts with losing territory in the Crimea to Russia, they begin to lose territories to the Habsburgs in Vienna and the Ottomans begin to ask, what is it going to take for us to revitalize this one dominant empire?
And in the 19th century, they settled on a reform program. It spans the years 1839 to 1876, where they just try to affect a root and branch reform of the governments and the economy of the Ottoman Empire, so that they might be able to take advantage of the new ideas of the Enlightenment, the new technologies of industrial Europe, and re-emerge as a player and as a power. But by the time they reach the 20th century, the challenges the Ottomans are facing are almost insurmountable. The gulf between where they stand and where the European neighbors stood was almost unbridgeable. And you know, if you’re trying to buy the technology for your own development from your adversaries, it’s a game you’ll never win. You’ll never overtake Britain and France by trying to buy their own technologies or ideas, they’ll always keep you one step behind. And I think that’s where the Ottomans found themselves in the beginning of the 20th century, as they were sort of coming into their first real conflict of total war with the most powerful states of Europe in World War I.
Chris Hedges: And so on the eve of World War I, there are all sorts of independence movements in the Balkans, the Ottomans are pushed back. Maybe you can explain a little bit about how that happened, and they ultimately built an alliance with Germany. One of the interesting conflicts, of course, within the British government, was that it had been a cornerstone of British policy to essentially leave the Ottoman Empire intact. This is, you know, that battle is lost by the end of World War I, but so just get us up to the eve of the war.
Eugene Rogan: So among the ideas to come out of the European enlightenment, nationalism was to be one of those contagious. And for a multinational, multi-ethnic empire like the Ottomans, it was really an existential threat. Nowhere was that more apparent than in the Balkans. We’re starting with Greece’s uprising in the 1820s. You’ll have a century between 1820s Greece right up until Albania declares its bid for independence in 1913, where virtually every Christian majority territory of the Balkan Peninsula seeks its independence from the Ottoman Empire. All those are territories the Ottomans had conquered from the Byzantine Empire, going back to the 14th and 15th centuries and by the 20th century, you know, on the eve of war, they pretty much lost every last bit of their European territories except a little bit of Thrace, which is that little piece of Europe in modern Turkey, which Istanbul straddles. And, you know, in 1908 the reformists come back to power in a revolution which overturns Sultan Abdul Hamid II, who had, in many ways, tried to put the power right back into the Sultanate and take it away from government, the Young Turk Revolution 1908 reverses that.
It’s a moment where I think many in the Ottoman Empire believed there would be a process of renewal, particularly binding the Muslims of the Empire, recognizing the Balkans were a lost cause. But in the course of the first years after that revolution, the Ottomans were just hammered by a succession of wars. The Italians make a bid for Libya. They want their own patch of imperium in North Africa and invade the territory, to squeeze the Ottomans to finally give up on Libya, the Italians lean on their relations in Montenegro to rise in what becomes the First Balkan War. The Ottomans are thrashed in the First Balkan War of 1912 and then this is when they really lose most of their remaining Macedonian and Albanian and Thracian territories in the Balkans. And then there’s a second Balkan War in 1913 where the Ottomans take advantage of the Balkan states like Bulgaria and Greece and Serbia falling out among themselves over the division of loot, like so many thieves, and are able to reclaim the city of Edirne, and that little stretch of Thrace, as I said before, is still part of modern Turkey. So the Ottomans are just rocked.
By 1914, their economy was, you know, exhausted. They took $100 million loan from France to try and rebuild their economy. Their army was broken. They reached out to Prussia to help them rebuild the Ottoman army. And they needed to reach naval parity with their great adversary, Greece, and they reached out to the British for help with rebuilding their navy. They even commissioned two state of the art dreadnoughts from the Harland shipyards in Northern Ireland. So the Ottomans, by the time they reach 1914, have had enough with revolution and war. They’re counting on a period of calm and peace so they can try and rebuild their empire, their military, their navy, to withstand the challenges of the 20th century. But they just weren’t left much of a breathing period from that sort of autumn and spring of 1914 to the guns of summer in August of 1914.
Chris Hedges: And just a little footnote, Trotsky covered the Balkan War. His book’s actually very good, and then used whatever three or four months there to, after the Bolshevik Revolution, make him Minister of War. So one of the things about the Ottoman Empire is that it, and you make this point in your book about you know, once the war begins, is the diversity of nationalities, ethnicities, not just Shia and Sunni, but Christian, Yazidi, Kurdish, that incorporated, they played such a major role after the war when Sykes–Picot essentially when they redrew the maps and created these modern Middle States. But you also note that the battles in the Middle Eastern battlefields, you say, were often the most international of the war. Australians, New Zealanders, every ethnicity in South Asia, North African, Senegalese and Sudanese made common cause with French, English, Welsh, Scottish, Irish soldiers against Turkish, Arab, Kurdish, Armenian, Circassian and their German and Austrian allies.
I mean, that was one aspect of the war, which I didn’t know. The other was a point you make, for instance, on the I think it’s on the Gallipoli campaign, where you talked about how you could be on the Western Front, it could be dormant for months. That wasn’t true in places like Gallipoli. So talk a little bit about, and I think that when we see the creation of the modern Middle East, especially when the imperial powers went in, in order for their own ends, they started pitting these groups, ethnicities—and that’s my dog there, sorry— that these ethnicities, one against the other, but talk about that international aspect.
Eugene Rogan: Oh, it’s one of the most interesting things about studying the First World War from the perspective of the Middle East. I argue that it’s really the Middle East that turned a European conflict into a world war. If you look to what went on in both the Pacific Theater and in the African theater of the war, it really had nowhere near the depth of gravity of the First World War in the Middle East. And I think the expression I use in the book as I describe these battlefields with all these different nations and nationalities as a virtual sort of Tower of Babel, and that just meant that some of those battlefields were absolute chaos, and this gives rise to some funny anecdotes. You know, one of my favorites from Gallipoli was very early after the Allied landing in the beaches of Gallipoli, which went off very badly. They they found themselves coming up against deeply entrenched Ottoman forces who were waiting for them and mowed them down with machine gun fire, or else they found themselves trying to scale cliffs that their maps just hadn’t prepared them for. So they arrived often separated where soldiers and commanders were not together. Soldiers without commanders often really don’t know how to take initiative in the battlefield, and in one case, a group of brown men come up to British commanders and asked to, you know, meet their commanding officers. And so the lieutenants take them to the captains, and the captains take them to the major. And these guys maintain that they’re Indian soldiers looking for their colonel, and instead, they wind up capturing like five or six British officers, because those were Turks in disguise pretending to be Indian soldiers, taking advantage of the credulity of these confused Tower of Babel soldiers. So yeah, it’s an element of the First World War that, you know, you think about the battlefields of the Somme, you know, Germans and Frenchmen and Englishmen fighting against white men. That was not the Middle East. The Middle East was truly a battlefield of diversity.
Chris Hedges: Let’s talk a little bit about the Ottomans were kind of agnostic as to who their allies would be. They ended up, of course, aligned with Germany, almost by default. The Germans also sent quite a bit of money so the Ottomans could build their forces. But I think, as you said, the main concern was the preservation of the empire they had left. They didn’t, it doesn’t appear that they really cared at that point, which of the warring powers would ensure that. Is that correct?
Eugene Rogan: Well, I mean, if anything, there was a tendency to see Germany as a more reliable ally than either Britain or France. You’re dead right. On the outbreak of war, the Ottomans were willing to cut a deal with virtually any great power to enter into a defensive alliance and protect the territory from the fallout of war. They knew that in February of 1914, Russia’s government had passed policy that in the cloud of war or the fog of war, Russia would seek to take the city of Constantinople, the Ottoman capital, under Russian rule, as well as the vital straits between the Black Sea and the Mediterranean. These are the Bosphorus, the Sea of Marmara, and the Dardanelles themselves. This is a really important sea corridor for all of Russia’s exports, from Ukraine and Russia, to the Mediterranean world. And of course, you know, the coming war, it was going to be an important line of communications, were it open, between the Entente powers. So Russia had geo-strategic as well as cultural reasons for wanting to try and seize these Ottoman territories. And they wanted to make this bid because they’d seen how in two Balkan Wars, the Ottomans have proved quite weak. And I think Russia was worried that maybe the Greeks would get to Constantinople first, as protectors of the Eastern Orthodox Church, Russia really wanted Constantinople, the Hagia Sophia Basilica, and all of the Byzantine treasures to come to their credit.
So, you know, with these drivers, the Ottomans were very concerned to keep their longest standing rival, Russia, at arms length. And if they could have carved a deal with France, who, as I just said, had given the Ottomans, in the spring of 1914, a $100 million loan. Or the British, who, as I just said underwrote a mission to help rebuild the Ottoman Navy, and had commissioned, you know, dreadnoughts for the Ottoman navy. If they could have gotten the British or the French to sign a deal that would protect their lands against the Russians, they would have done it. But of course, there’s no way that the British or French were going to guarantee Ottoman territory against their ally, Russia. Germany, by contrast, had no territorial ambitions in the Ottoman Empire. They never colonized an inch of Ottoman land. The French had, the British had, the Russians had. And so, they were militarily strong. They were technologically strong, very ahead of most of European powers. And if you were taking a bet, if you were a betting man, Chris, in the opening days of summer war of 1914 you might well have thought that Germany was going to win that war. I think the Ottomans made a bid to go with Germany, in the hope that their bet would pay off and that they’d be among the victors being able to reclaim lands that they’d lost to the Balkan neighbors, or to Russia, or islands to Greece, having been on the winning side of the First World War in siding with Germany. But the question is, what did the Germans get out of making an alliance with a country that most of Europe really did see as the sick man of Europe? And I guess that’s the harder one to explain.
Chris Hedges: Well, the British certainly furthered that process by seizing the dreadnoughts.
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Through the Revolving Door – How the Fourth Estate Vanished
John O’Sullivan is one of the grand old men of literature-posing-as-journalism. Plus, if you want to start a newspaper from scratch, a big, national newspaper, like say, Canada’s putatively conservative National Post, you call John. He has worked everywhere of note.
John O’Sullivan is editor-at-large of National Review, editor of Australia’s Quadrant, founding editor of The Pipeline, and President of the Danube Institute. He has served in the past as associate editor of the London Times, editorial and op-ed editor for Canada’s National Post, and special adviser to Margaret Thatcher. He is the author of The President, the Pope and the Prime Minister: Three Who Changed the World
I am running short – 1-3 minute reads – excerpts from a new book, Against the Corporate Media, 42 Ways the Media Hates You – a book of essays to which I contributed, along with forty-one others on just what happened. It will be published on September 10th. My purpose is that you come away from this somewhat enlightened as to what the hell happened, and how a once respectable profession became seedy and dishonest. The book provides a clear direction towards root and branch reform. And perhaps you will buy the book.
Through the Revolving Door – How the Fourth Estate Vanished
An excerpt from Against the Corporate Media, coming Sept. 10 from Bombardier Books. “Through the Revolving Door: How the Fourth Estate Vanished,” by John O’Sullivan:
For most of my lifetime the balance of temperaments in newsrooms, both in America and the U.K., has been weighted—this is plainly not a scientific judgment—strongly toward the bohemian, rebellious, and creative, and away from the respectable, conformist, and administrative on something like 70 lines to 30 lines. That division strikes me today as a pretty good corporate personality mix if you want to produce a lively, controversial, and unpredictable newspaper, magazine, television, or internet current affairs program. It didn’t track too well with partisan political divides between liberals and conservatives—which was a good thing because it meant that the common journalistic mission could and sometimes did override politics and ideology. Most newsrooms had a liberal majority but relaxed ideological attitudes. Bohemian Tories were more popular than liberal ideologues, for instance, and the most significant question you could ask about any newsroom was “Does it have an esprit de corps?”
That had less to do with the administrative virtues—important though getting expenses paid on time is to basic morale—than with bold and courageous editorial leadership shown by people as different as Arnaud de Borchgrave in The Washington Times, Roger Wood on the New York Post, Andrew Neil on the London Sunday Times, and Colin Welch as deputy editor of the Daily Telegraph. All of them had the necessary buccaneering self-confidence to drive their papers to excel in challenging not only governments but also all the respectable people, institutions, opinions, and causes mired in groupthink and self-congratulation—whom the Brits summarize ironically as “the Great and the Good”—who exercise enormous social and cultural power but too often get a pass when criticisms are being handed out.
Though we didn’t all realize it at the time, the era from the early 1980s to the start of the century was a golden age of journalism financially, technically, and creatively. And that produced freer countries and better governments. Those active in the press of those days drew a high card in the lottery of life.
You really can’t hate them enough.
So, what went wrong? Many things, as we’ll see, but one unnoticed cause was that even in those glory days, journalism wasn’t a particularly good launching pad for a career in high society (in which, incidentally, there are many mansions, not only on Park Avenue but also in Harvard, Yale, Princeton, Stanford, Washington, Los Angeles, and London). That didn’t sit well with the growing number of lawyerly minded and socially ambitious journalists who were entering the trade not as copy boys but as former editors of Ivy League papers on special entry programs. They wanted more, better, and earlier avenues to the top than were offered by the relatively few senior positions in major media corporations.
That was hard to fashion directly but what they found was a sidedoor—a revolving door in fact between government and the media and vice versa. Opening it allowed reporters, editors, and columnists to leave the media to serve in government, and politicians to exchange jobs on Capitol Hill for jobs in the newsroom, and a few especially ambidextrous people to go back and forth through it several times as their talents permitted, or the voters insisted.
Opening that door was an important moment in the decline of American journalism, after which the door’s locks were permanently removed and the traffic through it increased exponentially. And it happened publicly at a 1988 dinner at the Washington Press Club in honor of David Broder, The Washington Post’s political correspondent, who was well-regarded by all as a good man and a scrupulous reporter but neither a revolutionary nor a reactionary.
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