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Il modello boom/bust di Milton Friedman: la corda di chitarra

Freedonia - Mar, 05/03/2024 - 11:11

 

 

di Frank Shostak

Alcuni economisti sono del parere che sia possibile migliorare la nostra comprensione della realtà attraverso una metafora. A questo proposito il leader della scuola di pensiero monetarista, Milton Friedman, era del parere che la metafora della corda di chitarra avrebbe potuto aiutare a svelare il segreto dei cicli economici.

Secondo questa metafora, più forte è la tensione verso il basso, più forte sarà la risalita della corda. Friedman concluse quindi che un forte crollo è seguito da un forte boom.

Per Friedman ciò che contava era avere un modello in grado di replicare le fluttuazioni dei dati; non gli interessava se il modello fosse corrisposto al mondo reale.

L'obiettivo finale di una scienza positiva è lo sviluppo di una teoria o di un'ipotesi che produca previsioni valide e significative su fenomeni non ancora osservati. [...] La domanda rilevante da porsi riguardo ai presupposti di una teoria non è se siano realistici, poiché non lo sono mai, ma se costituiscano un’approssimazione sufficientemente buona per lo scopo in questione. E a questa domanda si può rispondere solo verificando se la teoria funziona, cioè se fornisce previsioni sufficientemente accurate.

Friedman sosteneva che, analogamente a quanto accade con la corda di una chitarra, più l’economia viene colpita, più forte dovrebbe rimbalzare. Nel suo modello una forte contrazione della produzione è seguita da una grande espansione; una lieve contrazione, da una lieve espansione.

Seguendo tale modello, Friedman concluse che non c'è alcuna connessione tra l’entità di un’espansione economica e l’entità della successiva contrazione economica.

Vari studi sembravano aver confermato il modello di Friedman. Il 4 novembre 2019 Bloomberg fece riferimento a uno studio di Tara Sinclair che utilizzava tecniche matematiche avanzate che sembravano confermare l’ipotesi di Friedman: negli Stati Uniti le recessioni profonde sono seguite da forti riprese, ma non il contrario. Secondo Bloomberg altri ricercatori avevano ottenuto risultati simili per altri Paesi. Secondo questo modo di pensare le opinioni di Ludwig von Mises e Murray Rothbard, dove la dimensione di un bust è correlata alla dimensione del boom precedente, sono false.

È tuttavia discutibile che vari metodi statistici e matematici possano dimostrare o confutare una struttura di pensiero. Questi metodi sono un altro modo di descrivere gli eventi, ma non di spiegarli. Non ci dicono quali sono le cause delle oscillazioni nei dati, bensì descrivono solo le loro fluttuazioni.


Cicli boom/bust e la banca centrale

Riteniamo che il quadro analitico di Friedman manchi della definizione di cicli boom/bust.

Secondo Ayn ​​Rand:

Una definizione è un'affermazione che identifica la natura delle unità sussunte in un concetto. Si dice spesso che le definizioni stabiliscano il significato delle parole. Questo è vero, ma non esatto. Una parola è semplicemente un simbolo visivo-uditivo utilizzato per rappresentare un concetto; una parola non ha altro significato se non quello del concetto che simboleggia, e il significato di un concetto consiste nelle sue unità. Non sono le parole, ma i concetti che l’uomo definisce – specificandone i referenti. Lo scopo di una definizione è quello di distinguere un concetto da tutti gli altri concetti e quindi di mantenere le sue unità differenziate da tutti gli altri.

Lo scopo di una definizione è quindi quello di distinguere un dato gruppo di cose da altre. Dato che una definizione fornisce l'essenza di un particolare concetto, ovviamente non possono essere arbitrarie. In ogni momento è determinata dai fatti della realtà, nel contesto della propria conoscenza.

Per accertare la definizione dei cicli di espansione e contrazione è necessario identificarne l’essenza: la forza trainante alla loro base. È utile tornare indietro nel tempo, quando è iniziato il fenomeno del ciclo boom/bust. Secondo Murray Rothbard:

Prima della rivoluzione industriale, avvenuta intorno alla fine del XVIII secolo, non si verificavano periodi di boom e depressione regolarmente ricorrenti. Si verificava un'improvvisa crisi economica ogni volta che qualche re muoveva guerra o confiscava le proprietà dei suoi sudditi; ma non vi era traccia di fenomeni peculiarmente moderni di oscillazioni generali e abbastanza regolari nelle fortune economiche, di espansioni e contrazioni.

Sembra che il ciclo boom/bust sia in qualche modo legato al mondo moderno. Ma qual è il nesso? Riteniamo che la fonte dei ricorrenti cicli di espansione e contrazione si riveli essere il presunto “protettore” dell’economia: la banca centrale.

Le sue linee di politica, volte a correggere le conseguenze indesiderate che derivano dai suoi precedenti tentativi di stabilizzare l’economia, sono fattori chiave dietro i ricorrenti cicli di espansione e contrazione.

I funzionari nelle banche centrali si considerano l’entità responsabile e autorizzata a portare l’economia sul percorso di una crescita economica stabile e di prezzi stabili (decidono quale dovrebbe essere il “giusto” percorso di crescita stabile). Di conseguenza qualsiasi deviazione da tal percorso determina le risposte di suddetti funzionari in termini di orientamento più restrittivo o più accomodante.

Queste risposte agli effetti delle linee di politica precedenti sui dati economici danno origine alle fluttuazioni del tasso di crescita dell’offerta di denaro e, di conseguenza, ai cicli ricorrenti di boom/bust.

Si osservi che la politica monetaria allentata della banca centrale, che si traduce in un’espansione dell’offerta di denaro, mette in moto uno scambio di nulla per qualcosa, il che equivale a una deviazione del risparmio reale da attività che creano ricchezza ad attività che la sprecano. Nel processo questa deviazione indebolisce chi crea ricchezza reale e questo a sua volta indebolisce la loro capacità di far crescere il bacino complessivo dei risparmi reali.

L’emergere di attività sulla scia di una politica monetaria allentata è ciò che incarna un “boom” economico. Tuttavia una volta che la banca centrale restringe la propria politica monetaria, ciò rallenta la deviazione del risparmio reale verso chi spreca ricchezza reale. Le attività nate sulla scia della precedente politica monetaria allentata ricevono meno sostegno; finiscono nei guai e ne emerge una crisi economica.

Da ciò possiamo dedurre che l’essenza dei cicli boom/bust è la politica monetaria della banca centrale.


La forza del boom determina la forza della crisi

Si osservi che durante una crisi economica si verifica la liquidazione di varie attività emerse durante il boom precedente. Quante più attività di questo tipo sono nate durante il boom economico, tanto maggiore sarà la necessità di ripulirle – di conseguenza tanto maggiore sarà la recessione economica.

Si noti ancora una volta che gli aumenti dell’offerta di denaro sono il risultato della politica monetaria accomodanti della banca centrale. Questi aumenti danno luogo a diverse attività che non riescono a reggersi “con le proprie gambe”. Le chiamiamo bolle.

Pertanto un atteggiamento monetario allentato da parte della banca centrale e un conseguente aumento dello slancio dell’offerta di denaro portano all’emergere di attività in bolla, mentre un atteggiamento più restrittivo le fanno scoppiare. 

Si noti che senza accertare l'essenza dell'oggetto d'indagine si potrebbero elaborare tutti i tipi di modelli di questo mondo “convalidati” mediante metodi statistici e matematici. Si osservi ancora una volta che senza accertare l’essenza dei cicli di espansione e contrazione, qualsiasi cosiddetta convalida, ovvero la “tortura dei dati”, sarà di natura opinabile.

Per Friedman tutto va bene finché il modello riesce a fare previsioni accurate. Dato che egli non stabilì l’essenza dei cicli di espansione e contrazione, è discutibile che il suo quadro analitico possa accertarne le cause. Di conseguenza la sua conclusione, secondo cui le forti recessioni precedono i forti boom e non il contrario, è a dir poco carente.


Conclusioni

Vari studi che utilizzano tecniche matematiche avanzate hanno presumibilmente confermato l'ipotesi di Milton Friedman secondo cui forti recessioni aprono la strada a forti boom. Tuttavia questi ultimi non precedono le prime. Secondo questo modo di pensare, opinioni come quelle presentate da Ludwig von Mises e Murray Rothbard, dove la dimensione di un bust è correlata alla dimensione del boom precedente, sono false. Dato che Friedman non definì l’essenza dei cicli di boom/bust, è opinabile se il suo quadro analitico possa spiegare le cause dei cicli di boom/bust. Di conseguenza la conclusione di Friedman secondo cui le forti recessioni precedono i forti boom, e non il contrario, è discutibile.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La scandalosa persecuzione nei confronti di Julian Assange

Freedonia - Lun, 04/03/2024 - 11:08

 

 

di Connor O'Keeffe

Due settimane fa c'è stato il secondo e ultimo giorno di quello che potrebbe essere il processo di estradizione definitivo a Julian Assange. Da quasi cinque anni il governo degli Stati Uniti sta lavorando per far estradare negli Stati Uniti il ​​fondatore di Wikileaks, accusato di aver violato la legge sullo spionaggio.

Ispirato dalla pubblicazione dei Pentagon Papers di Daniel Ellsberg nel 1971, Julian Assange ha fondato Wikileaks nel 2006. La visione di Assange era quella di sviluppare un portale online in cui gli informatori potessero presentare prove di illeciti aziendali o governativi senza doversi identificare o rischiare di esporsi. Una volta inviati, team di volontari e giornalisti avrebbero analizzato i documenti per determinarne la legittimità; se poi ritenuto autentico, avrebbero pubblicato il materiale direttamente su Internet in modo che le persone avessero potuto vederlo.

Negli ultimi quindici anni Wikileaks ha svelato una serie di storie importanti. Molte delle informazioni provenivano dai diari di guerra in Afghanistan e Iraq, insieme alle cosiddette soffiate dai diplomatici, tutti pubblicati nel 2010. I documenti trapelati rivelavano che non solo il governo degli Stati Uniti aveva commesso numerosi crimini di guerra in Iraq e Afghanistan nel primo decennio di guerra al terrorismo, ma c’erano stati sforzi ufficiali per insabbiarli.

I diari di guerra in Iraq hanno anche portato alla luce molti dettagli sull'uso della tortura da parte della Central Intelligence Agency (CIA). E, come scrive il giornalista Keven Gosztola nel suo eccellente libro sul caso di Assange, dopo che il presidente Barack Obama si rifiutò di perseguire chiunque fosse coinvolto, o di risarcire i sopravvissuti, le soffiate dai diplomatici hanno rivelato che i funzionari americani “si erano intromessi nei sistemi giudiziari francesi, tedeschi, italiani e spagnoli per proteggere gli agenti della CIA, gli ufficiali militari statunitensi e i funzionari dell’amministrazione Bush dai procedimenti giudiziari” legati al programma di tortura.

Nel 2016 decine di migliaia di e-mail di alti funzionari democratici e del Comitato nazionale democratico sono trapelate a Wikileaks. Contenevano rivelazioni politicamente dannose per la campagna elettorale di Hillary Clinton – come dettagli su una serie di discorsi privati ​​che il candidato aveva tenuto ai dirigenti di Wall Street – e persino alcune prove di vera e propria corruzione, come il fatto che il Comitato Nazionale Democratico avesse condiviso le domande imminenti con la Clinton prima dei dibattiti delle primarie.

3rd email shows CNN's Donna Brazile rigging Clinton v Sanders debate by leaking more questions to Clinton in advance https://t.co/v9ScXfB1zb pic.twitter.com/d1SpNQgl3n

— WikiLeaks (@wikileaks) October 31, 2016

Un anno dopo l’organizzazione fondata da Assange cancellò ogni possibilità d'essere vista di buon occhio da parte della Casa Bianca di Donald Trump quando pubblicò i cosiddetti documenti Vault 7. Le fughe di notizie dettagliavano aspetti delle capacità di guerra informatica da parte della CIA, in particolare la capacità dell'agenzia di monitorare e controllare a distanza le auto più recenti, le smart TV, i personal computer, i browser web e la maggior parte degli smartphone.

Le fughe di notizie fecero infuriare l'allora direttore della CIA Mike Pompeo. In risposta rivolse l'attenzione dell'agenzia ad Assange, a cui era stato concesso asilo presso l'ambasciata ecuadoregna a Londra cinque anni prima. La CIA convinse UC Global, la società spagnola responsabile della sicurezza dell'ambasciata, a registrare segretamente Assange, anche mentre incontrava i suoi avvocati, e a spedire le registrazioni alla CIA: un piano di cui il capo della società sarebbe stato successivamente accusato nei tribunali spagnoli.

E secondo uno straordinario articolo di Yahoo News a firma di Zach Dorfman, Sean Naylor e Michael Isikoff, la CIA di Pompeo avrebbe poi “complottato per rapire il fondatore di Wikileaks” convincendo i dipendenti della UC Global a lasciare “accidentalmente” la porta dell'ambasciata aperta. Inoltre “alcuni alti funzionari della CIA e dell’amministrazione Trump hanno addirittura discusso dell’uccisione di Assange, arrivando al punto di richiedere "bozze" o "opzioni" su come assassinarlo”. Secondo le deposizioni dei dipendenti della UC Global, il piano migliore era avvelenarlo.

Evidentemente è stato scelto un approccio diverso. Nel 2018 gli Stati Uniti incriminarono Assange per aver cospirato per ottenere materiale riservato nel 2010. Un anno dopo l'Ecuador ne revocò l'asilo, portando al suo arresto nell'aprile 2019 da parte della polizia di Londra. Il mese successivo gli Stati Uniti chiesero l’estradizione e aggiunsero diciassette accuse di spionaggio contro Assange.

Il processo di estradizione si è trascinato per quasi cinque anni, in gran parte a causa delle preoccupazioni sulla sicurezza di Assange durante la custodia. E sulla base dei resoconti di Dorfman, Naylor e Isikoff, questa è una preoccupazione molto ragionevole.

Ci sono tanti aspetti assurdi e scandalosi di ciò che il governo degli Stati Uniti ha fatto, sta facendo e intende fare a Julian Assange. Il principale tra questi è il fatto che tutto ciò di cui i pubblici ministeri vogliono accusarlo ai sensi della Legge sullo spionaggio ricade nell'attività giornalistica legale e comune. Il fatto che i giornalisti spesso cerchino, ottengano e pubblichino materiale riservato è la ragione per cui il governo degli Stati Uniti è stato riluttante a perseguire il fondatore di Wikileaks. Se il giornalismo di Assange è un crimine, lo è altrettanto gran parte del giornalismo sul New York Times, sull’Associated Press e su ogni altro importante organo d'informazione del Paese.

Stranamente il procuratore capo degli Stati Uniti ha cercato di eludere questo fatto scomodo suggerendo che Assange non aveva diritto di appellarsi al Primo Emendamento perché è australiano. Ma ricordate una cosa: lo stanno accusando di violazione della Legge sullo spionaggio, una legge statunitense. In altre parole, i pubblici ministeri statunitensi ritengono che un giornalista straniero che opera al di fuori degli Stati Uniti debba rispettare la legge statunitense, ma che il governo statunitense non sia vincolato dalle proprie leggi perché quello stesso giornalista è uno straniero che opera al di fuori degli Stati Uniti.

Julian Assange non è una spia, né un terrorista e né un agente democratico o repubblicano. È un giornalista che ha previsto il potenziale di Internet per dare potere e proteggere gli informatori (il sistema d'invio anonimo immaginato da Assange e dai suoi colleghi è ora standard in tutto il settore dell'informazione).

Il motivo per cui Assange è stato sottoposto a varie forme di detenzione per quasi dodici anni non è perché abbia commesso realmente dei crimini, ma perché ha messo in imbarazzo l’establishment politico.

Oggi quello stesso establishment politico finge indignazione per il presunto omicidio del dissidente russo Alexei Navalny, così come per l’incarcerazione del reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich a Mosca, il tutto mentre cerca di gettare un giornalista occidentale in isolamento per il resto della sua vita per aver osato rivelare storie davvero incriminanti.

Spetta a quelli di noi che hanno davvero a cuore la verità e che si oppongono non solo ai misfatti dei regimi stranieri che i nostri governi vogliono rovesciare ma, cosa più urgente, all’autoritarismo già all’opera nei nostri Paesi, chiedere a chi è al potere nel Regno Unito e negli Stati Uniti di attenersi ai principi che finora hanno solo finto d'incarnare. E tutto inizia con il far cadere le accuse contro Julian Assange.

Se si rifiutano di farlo, ciò rivelerà di più su di loro di quanto potrebbe fare qualsiasi giornalista dissidente.


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“Credere obbedire combattere”, il precetto del nuovo mercato obbligazionario europeo

Freedonia - Ven, 01/03/2024 - 11:07

 

 

di Francesco Simoncelli

La cosa straordinaria è che nessuno pensa che ciò che sta accadendo sia davvero straordinario, ovverosia fuori dall'ordinario: cose che una volta consideravamo criminali, ora sono rispettabili e, soprattutto, perseguibili come buona pratica. I peccati sono ora considerati virtù; la stupidità, l’incompetenza e la corruzione sono ormai prerequisiti per ricoprire una carica pubblica. Gli acquisti di titoli sovrani in Europa, in particolare in Italia, fanno segnare cifre sostenute, come se gli investitori non se ne preoccupassero. I bilanci statali non vengono più presi in considerazione, né inseriti in un calcolo ossequioso profitti/perdite; non viene fatto alcun tentativo per allineare i deflussi alle entrate. Invece, in una forma d'improvvisazione della tenuta dei conti, la spesa pubblica italiana corre senza freni, senza alcuna discussione seria a riguardo o dissenso. Il governo italiano è come un'auto piena di ubriachi che sfreccia lungo l'autostrada mentre discutono su cosa ascoltare alla radio.

Ancora più straordinario, le persone continuano a prestare denaro al governo italiano, in una sorta di delirio mistico che aspetta con irrequietezza un taglio dei tassi della BCE. E che ci crediate o no, c'è stato un tempo in cui la gente pensava che l'omicidio di massa e la distruzione di massa fossero al di sotto del disprezzo. Sebbene l’ONU li abbia solennemente messi fuori legge entrambi, oggi sono caratteristiche rispettabili della politica estera. Dopo aver vissuto il 2023, mi chiedo: come può il 2024 superare questi traguardi? Quale cosa sciocca, maligna e spaventosa accadrà quest’anno? Piuttosto che fingere di poter conoscere il futuro, diamo un’occhiata a che tipo di sorprese potrebbe valer la pena di prepararsi.

In primo luogo, un capitombolo del sistema bancario europeo. Questo è un fattore che va analizzato più a fondo, dato che si tratta dello sviluppo su cui ruota tutta la propaganda di guerra europea e gli sforzi fiscali messi in campo per dare respiro alla BCE affinché non sia la prima a distaccarsi dal vagone “rialzo dei tassi” avviato dalla FED. Perché se dovesse essere la prima a farlo, allora è game over per l'UE e i suoi sogni di pianificazione centralizzata. Come ripetuto spesso su queste pagine, il vero malato economico nel mondo finanziario è il sistema bancario commerciale europeo. Inutile dire che gli stress test non sono affidabili come strumento di diagnosi di un malessere nel sistema bancario commerciale. Di conseguenza per tenerlo in piedi sono necessarie costanti iniezioni di liquidità affinché si abbia la percezione che esso sia ben puntellato in caso di shock "esogeno". La cancrena che sobbolle sotto la superficie è stata alimentata da anni di tassi d'interesse negativi, i quali hanno creato una pletora di titoli tossici (una volta che sono stati rialzati i tassi di riferimento) che tengono sommersi i bilanci delle varie banche europee. Nessuno è spaventato dalle banche americane, ma tutti sono spaventati dalle banche europee e dalla loro condizione di mina vagante. Data l'interconnessione moderna del sistema finanziario, un crollo che avviene in un angolo remoto del mondo da parte di un player di cui nessuno aveva avuto notizia fino a quel momento può far vacillare un'istituzione di rilievo dall'altro capo del mondo. A tal proposito rileggere la storia di LTCM è propedeutico.

E come se non bastasse, ciò s'inserisce in un quadro geopolitico che vede scontrarsi Stati Uniti ed Europa.

1/ A un certo punto qualcuno in Europa s'è svegliato e ha capito che s'erano persi uno sviluppo tecnologico/industriale (hardware, software, innovazione) cruciale del XXI secolo. Adesso l'UE tenta di stare al passo a colpi di burocrazia, multe e sanzioni.https://t.co/ZUKlIWAbSK

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 19, 2024

2/ Al solito, qual è lo scopo? Dato che in UE sono inesistenti aziende tecnologiche competitive, il tentativo è quello di muovere una guerra commerciale ai grandi poli industriali elettronici (americani e asiatici).

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 16, 2024

Altra tessera che s'inserisce nel mosaico più ampio che descrivo sin da quando Powell ha rialzato i tassi: esiste una corrente megapolitica che vuole vandalizzare gli USA (sostenuta dall'UE) e un'altra che vuole ricostruirli lungo binari sostenibili.https://t.co/y9T7fkm6jp

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 13, 2024

La paura di contagi sistemici è quella che sta guidando personaggi di spicco, come Bezos ad esempio, a scaricare le azioni delle proprie società e incamerare liquidità. Per quanto siano le banche europee l'anello debole all'interno del sistema finanziario mondiale, questa gente non vuole finire nel fuoco incrociato. Infatti per quanto la stampa generalista abbia enfatizzato il fallimento di alcune banche americane l'anno scorso, esse si trovavano tutte nel distretto di competenza della FED di San Francisco. Nessuna banca è fallita nel distretto di competenza della FED di New York. Al contrario il deterioramento dei bilanci bancari europei non ha confini demarcati e passa per Francia, Germania, Italia, ecc. Stando così le cose è necessaria una giustificazione credibile affinché il denaro continui a scorrere ora che Powell ha chiuso i rubinetti del mercato dell'eurodollaro: la guerra in Ucraina, o per meglio dire, un riciclaggio attraverso di essa. Tutta la fanfara dei media generalisti di questi giorni riguardo la morte di Navalny è stata solo una sporca strumentalizzazione dell'evento affinché si creasse la giustificazione morale e si accettasse/accelerasse l'emissione di titoli pari a €100 miliardi per “aiutare” l'Ucraina.

Bisogna mantenere l’Ucraina in vita per giustificare la spesa di altri €100 miliardi da riciclare nelle banche francesi e tedesche sull'orlo del fallimento, sedute su ingenti perdite derivanti da tutto il debito acquistato durante il periodo della NIRP.

Facciamo un passo indietro e spieghiamo meglio questa faccenda e perché l'élite europea ci tiene tanto. La leadership dell’UE, la quale abbraccia fortemente l'agenda della cricca di Davos, ha lavorato per conferire alla Commissione europea il potere d'imporre tasse potere attraverso l’emissione di obbligazioni e un meccanismo fiscale centralizzato. L'impianto di questa architettura è stato testato dopo il COVID con le obbligazioni SURE. E badate bene, non esiste scoperta dei prezzi in questo tipo di mercato, dal momento che sono un enorme strumento politico: danno alla Commissione Europea la possibilità d'imporre tasse per pagare la cedola dello 0,1% su di essi. Nonostante tutta la grancassa con cui sono stati presentati alla platea degli investitori questi ultimi sono ancora seduti su perdite del 40% su tali titoli. Se il primo giro viene venduto con uno sconto del 40-50%, quale cedola si dovrà offrire per convincere qualcuno ad acquistare il giro successivo? E questo è uno dei motivi per cui c’è tanta urgenza affinché le banche centrali, la BCE più di tutte, abbassi i tassi.

Fonte

L’UE non può permettersi di raccogliere il capitale di cui ha bisogno per completare i suoi piani d'integrazione fiscale con una BCE costretta al 4,5% per tenere il passo della FED. C'è disperata necessità che questi tassi tornino vicini allo zero per finanziare i grandi sogni di un futuro totalitario senza idrocarburi. La linea di politica di tassi “più alti più a lungo” di Powell sta mettendo sotto pressione non solo il sistema bancario europeo, ma anche i suoi obiettivi politici. Niente di tutto questo è lontanamente sostenibile ai tassi attuali e per chiunque pensi che gli Stati Uniti siano più vulnerabili rispetto all’UE, vi invito a prendere in considerazione l'inabissarsi dell'euro nel commercio internazionale. Si parla tanto di de-dollarizzazione, infatti, ma nei numeri reali c'è una de-euroizzazione.

Questi titoli di guerra sono supportati dai soliti sospetti della militarizzazione dell’UE: il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. E, date le premesse, spenderanno tutto il capitale politico necessario per imporre questa architettura ai cittadini europei. Inoltre ora dovrebbe essere chiaro che questo è il motivo per cui ce l'hanno a morte con Viktor Orban per aver bloccato il pacchetto di aiuti da €50 miliardi all’Ucraina.

"O con noi, o contro di noi" è l'essenza di quella farsa in Europa che ancora alcuni hanno il coraggio di chiamare democrazia.https://t.co/nrA8iOTl6A

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) January 26, 2024

Questo è solo l’inizio dei piani dell'élite europea/cricca di Davos per trasferire la sovranità dalle mani degli stati membri a Bruxelles, ma per vendere tutto questo agli investitori devono dimostrare al mondo di avere sotto controllo tutte le voci ribelli. Il debito sovrano è garantito attraverso la tassazione e la capacità produttiva della popolazione; l’UE non ha nessuna delle due. E questo, a sua volta, ci porta alla seconda sorpresa a cui eventualmente prepararsi: l'implementazione effettiva dell'euro digitale. Le voci di una CBDC europea, infatti, si stanno facendo sempre più insistenti. Questa accelerazione è proporzionale al tempo che si esaurisce nella clessidra della cricca di Davos per trovare una fonte alternativa all'eurodollaro con cui finanziarsi. Senza contare che rappresenta un modo per sottrarre quote di mercato a Visa e Mastercard; non dimenticate la guerra in atto tra USA ed Europa (a ciò bisogna aggiungere anche la mela avvelenata delle aziende europee che delocalizzano negli Stati Uniti, le quali si portano dietro il coacervo di burocrazia emanato dall'UE). E dati i pericoli insiti nell'euro digitale, ci sarà una particolare rapacità nei confronti dei risparmi degli individui, dei loro investimenti, delle loro energie e, soprattutto, del loro tempo. Quest'ultimo è la variabile che la cicca di Davos vuole disperatamente. Ora che Powell ha chiuso i rubinetti dei dollari fantasma, tutti quei progetti distopici che avevano in mente stanno andando in frantumi. Ecco perché quest'anno volevano “ricostruire ponti”. JP Morgan, e Dimon in particolare, ha mostrato loro un bel dito medio. A casa loro. Gli USA andranno avanti per la loro strada, cercando di ricostruire i mercati dei capitali interni e isolandosi ancor di più dal resto del mondo dal punto di vista energetico/economico (es. accorciando le supply chain). Il problema è che la cricca di Davos, insieme a tutti quelli che si abbeveravano dalla fonte degli eurodollari, preferiscono veder bruciare il mondo piuttosto che darsi per vinti. E questo è qualcosa che tutti sanno nel mondo della megapolitica. Ecco perché il mondo si sta pericolosamente riarmando.

Il segretario generale della Nato Stoltenberg: “Il confronto con la Russia potrebbe durare decenni, accelerare produzione di armi”

China’s Shipyards Are Ready for a Protracted War. America’s Aren’t.

'Mosca ha usato per la prima volta il missile ipersonico Zirkon'

L'Iran lancia missile balistico a lungo raggio da una nave

Biden administration is leaning toward supplying Ukraine with long-range missiles

Ciò rappresenta la terza sorpresa da prendere in considerazione: una guerra più grande e più pericolosa. Finora la guerra reale è rimasta circoscritta nell'ambito finanziario, con qualche esplosione di guerra cinetica a macchia di leopardo. Speriamo che rimanga tale e che il riarmo sia solo una politica di rischio calcolato. Ma, soprattutto, speriamo che la cricca di Davos esaurisca tempo e denaro prima di una guerra cinetica su larga scala. Tale esito potrebbe realizzarsi se si verificasse la quarta sorpresa: tassi d'interesse ancora più alti. Oltre ai deficit attuali i vari governi del mondo hanno debiti che ora devono essere rifinanziati a tassi d'interesse molto più alti. I grandi acquirenti istituzionali di obbligazioni vorranno protezione dalle evidenti crisi future. Default, inflazione, o semplicemente tassi più alti sono tutti buoni motivi per richiedere rendimenti più elevati. Gli Stati Uniti si sono preparati a questa eventualità e non a caso Powell è stato il primo a rialzare i tassi di riferimento della FED nel 2022 quando è stato ufficializzato, qualche mese prima, il SOFR ovvero l'indicizzazione dei debiti statunitensi non più tramite uno strumento internazionale (LIBOR) bensì nazionale. In questo modo sono stati colti due piccioni con una fava: far vedere che il vero malato del mondo è l'UE, e non gli USA, forzare la mano del Congresso a mettere ordine nel lato fiscale dell'equazione.

Ed ecco la "prova provata" di quello che dico spesso: la FED, dopo aver messo ordine sul lato monetario dell'equazione, sta cercando d'influenzare la messa in ordine anche di quello fiscale. Attualmente il Congresso e l'amministrazione Biden sono un coacervo d'infiltrati/vandali. https://t.co/iF5RAzlaOH

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 6, 2024

La quinta sorpresa: la recessione. I media generalisti dicono agli investitori che non ci sarà né un hard landing, né un soft landing; anzi non ci sarà alcun atterraggio e i prezzi degli asset finanziari rimarranno alti... presumibilmente per sempre. Ma la combinazione di tassi d'interesse più alti, fallimenti aziendali e consumatori a corto di soldi porterà infine a quella recessione che si sta negando. Quando scrivo “porterà” intendo sui titoli dei giornali e nei notiziari, dato che in crisi/recessione ci siamo già nei fatti... i numeri invece, beh, quelli possono essere aggiustati.

2/ Ovviamente questa gente che s'impegna per innalzare il picco della stupidità umana non si chiede "a che prezzo". Ce lo dice l'Handelsblatt qual è.https://t.co/9u4C1QtgXo

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 7, 2024

I rischi principali, cari lettori, sia nel mercato azionario, nel mercato obbligazionario, nell’economia o nella geopolitica, hanno tutti come risultato guai più grossi all'orizzonte. Ognuno di essi, da solo o insieme, provocherebbe una crisi di tale portata, se ufficializzata, da ridurre le entrate fiscali a fronte di una spesa pubblica crescente. I deficit pubblici dovrebbero, quindi, essere gonfiati ulteriormente, i tassi d'interesse salirebbero, le aziende, sopravvissute fino a quel momento con le unghie e i denti, fallirebbero, le azioni crollerebbero e il clamore – probabilmente panico, di tagliare i tassi d'interesse e tornare ad acquistare debito pubblico con denaro fasullo – sarebbe irresistibile. Attenzione, come sempre, a un particolare: chi brama di tagliare i tassi è la BCE, non la FED. Gli USA, come ripeto spesso, si trovano in vantaggio in quella famosa gara al ribasso, anche nota come race to the bottom, rispetto all'Europa, la quale invece guida la carovana verso l'abisso.

“Inflate or Die”, il ritornello rimane lo stesso. Nei prossimi mesi vedremo più note basse che alte, più “Die” che “Inflate”, ma quello sarà solo un preludio. Potremmo definirlo una sorta di riscaldamento, mentre l'orchestra accorda gli strumenti, prende il ritmo per intonare una sinfonia e inizia a suonare un motivo che ricalca le note dell'Argentina pre-Milei.


LA SINFONIA DELLA DISTRUZIONE

Sui mercati il 2023 ci ha ricordato che ci sono sempre sorprese. Chi avrebbe mai pensato che le azioni avrebbero dato vita a uno dei più grandi mercati rialzisti di sempre mentre allo stesso tempo i tassi d'interesse stavano salendo al ritmo più veloce della storia economica? E chi avrebbe potuto prevedere un aumento così forte del “costo del denaro” senza una recessione (ufficiale)? In realtà la risposta per tutti può essere solo una: la liquidità.

Queste erano “sorprese”, ma nessuna di esse cambia il quadro di riferimento: guardare oltre i movimenti del mercato e i titoli politici. Ciò che voglio descrivere sono le tendenze di base a lungo termine che determinano il corso della storia: la “megapolitica”.

Nei mercati la tendenza primaria è cambiata. È vero, i prezzi delle azioni sono vicini ai massimi storici, ma non se aggiustati all’inflazione e sebbene accadano molte cose sorprendenti, il cosiddetto Trend Primario riflette un movimento più importante. Dai tori agli orsi, dall’avidità alla paura, dall’ottimismo alla disperazione: l’epoca delle bolle seriali è finita. Certo, ci saranno ancora delle bolle ma non saranno tenute gonfie dal ciclo del credito o dalla FED. Ci sono schemi per tutto. Quando ascoltate un brano musicale, ad esempio, potete anticipare dove andrà a finire anche se non l’avete mai sentito prima. Le storie hanno un inizio e una fine, eroi e cattivi, fallimenti e successi. Esistono due modelli fondamentali per gli esseri umani – maschio e femmina – e ognuno di essi segue la stessa sequenza di base: dalla nascita alla morte, dalle ceneri alle ceneri. Non ci sono eccezioni. Anche i tassi d'interesse seguono schemi e i rendimenti hanno toccato il minimo storico nel luglio 2020. Da allora i rendimenti (e i tassi d'interesse) sono saliti, anche se non così in alto come probabilmente dovrà accadere alla fine.

Mettendo tutto ciò in prospettiva, il ciclo dei tassi d'interesse – dal massimo al minimo e viceversa – ha iniziato il suo ultimo viaggio di andata e ritorno all’incirca negli anni '50: ci sono voluti tassi più alti per i primi 30 anni e giù per i successivi 40. Perché ci sia voluto così tanto tempo, è opinabile; tutto quello che si sa per certo è che i tassi d'interesse gettano una lunga ombra e voi non volete rimanere bloccati all'interno di tale ombra. Potreste pensare che questo ciclo di rialzo dei tassi finirà presto, poiché la BCE inizierà a tagliarli entro la fine dell’anno. Ma nel profondo, al di là delle voci e dei titoli dei giornali, qualcosa è cambiato. La BCE potrebbe tagliare i tassi, ma il proverbiale genio dell’inflazione è ormai fuori dalla lampada. L’aumento dell’offerta di denaro porta a prezzi al consumo più alti e ora tutti lo sanno. Pertanto è improbabile che i tassi reali, aggiustati all’inflazione, vedano di nuovo qualcosa di simile ai minimi del 2020-2021 nel corso della nostra vita.

E questo aspetto dovrebbe far riflettere non poco coloro che continuano a essere fuorviati dalla propaganda italiana riguardo “l'investimento” in titoli di stato. Diversamente dagli investimenti in azioni od obbligazioni legati ad attività nel settore privato, che puntano a sviluppare/migliorare la capacità produttiva della relativa industria e quindi (indirettamente) ne beneficia anche il resto della popolazione, “investire” in titoli sovrani significa sviluppare/migliorare la rapacità del fisco. Infatti un'azienda che emette titoli punta a migliorare il flusso di cassa aggiungendo valore; i titoli sovrani, invece, puntano a migliorare il flusso di cassa togliendo valore... anche a chi ha investito in essi. Questa è una distinzione che fa fatica a farsi strada nell'immaginario collettivo, sottoponendo tutti indistintamente a una partita di giro ridicola col solo scopo di far sopravvivere e giustificare lo spreco sistematico rappresentato dalla spesa pubblica. Questo piccolo, ma importante, elemento di consapevolezza serve a mettere meglio in prospettiva questa breve digressione che farò sul cosiddetto Btp Valore. Già è iniziata la pubblicità a favore della prossima emissione, ma ci sono dei punti che val la pena di considerare per smascherare la propaganda al soldo di questo strumento tutt'altro che conveniente. Come prima cosa salta all'occhio la volontà di incanalare questi titoli nelle tasche dei cosiddetti “piccoli risparmiatori”, in modo da toglierli dalle mani degli “speculatori esteri” Detto in parole povere, questa affermazione serve a due cose: dare una parvenza di stabilità al mercato obbligazionario italiano, soprattutto ora che la BCE ha un equity negativo ed è legata mani e piedi nei confronti di un taglio dei tassi, e arginare l'azione dei bond vigilantes.

Ci sono voluti solo 7 giorni affinché la prima notizia avesse il seguito scontato nella seconda. In passato ci voleva di più. Anche questo è un sintomo della Legge dei rendimenti decrescenti.
1) https://t.co/rOyWCWrP3P
2) https://t.co/eVMJ0BfhWj

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 24, 2024

La presenza di quest'ultimi è un bene, non un male, perché impedisce a chi emette i titoli di adagiarsi sugli allora e riduce la possibilità che il capitale consegnato nelle sue mani venga sprecato. Gli italiani sono pessimi vigilanti da questo punto di vista, basta ad esempio guardare lo stato in cui languono le infrastrutture del Paese per capire che gli investimenti in tali titoli non verranno usati per potenziare/migliorare/sviluppare il territorio, ma dirottati altrove e quindi sperperati. Poi emerge una fede quasi dogmatica nel fatto che la BCE abbia raggiunto il picco per quanto riguarda il rialzo dei tassi e quindi questi strumenti andranno a rappresentare un ottimo mezzo per migliorare anche il rendimento del capitale iniziale. Peccato che chi osserva i mercati inverta causa ed effetto, dato che le banche centrali seguono le banche commerciali e non viceversa. E queste ultime ci suggeriscono, dalle loro azioni, che il rialzo dei tassi non è affatto finito. Soprattutto perché non hanno fiducia nella capacità industriale del Paese.

E questo ci porta a inserire nell'analisi anche la produzione industriale dell'Italia, la quale è stata a dir poco deprimente l'anno scorso e non ci sono margini di miglioramento all'orizzonte (se si considera anche il caos nel Canale di Suez che non ha prospettive di risoluzione affatto brevi). Se poi si aggiungono anche il flop dei veicoli elettrici (il cui incentivo alla produzione è puramente artificiale), la burocrazia dilagante dell'UE e la mancanza di creazione di valore aggiunto all'interno dell'UE in termini di tecnologia digitale, ci sono tutti gli elementi affinché si guardino questi strumenti finanziari per quello che in realtà sono: un gigantesco buco nell'acqua e un dolore economico per tutti.

1/ Finché gli incentivi statali scorrono a pacchi, allora ci si può baloccare con visioni future psichedeliche. Mondi fatti di colonnine a ogni angolo, emissioni 0 e mini pale eoliche che oltre a produrre energia ti tolgono la polvere da sotto il tappeto.https://t.co/sctCtGrVTw

— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) February 14, 2024

Un altro sviluppo “megapolitico” a cui stiamo assistendo è il declino dell’impero occidentale. Non importa cosa pensate o cosa volete, anche gli imperi hanno cicli di vita. E quello occidentale pare abbia iniziato la fase di declino intorno al 1999; da allora le sue guerre sono state dei disastri, la crescita del suo PIL è stata quasi dimezzata, la sua linea di politica estera un disastro e il suo debito è cresciuto a dismisura. Probabilmente la parte più notevole di questo elenco di fallimenti è quella meno sottolineata: il debito. Chi avrebbe mai immaginato che l'Occidente – la zona più ricca e potente del mondo – non potesse permettersi di pagare i propri conti e dovesse gravare le generazioni future con migliaia di miliardi di debiti? Il declino di un impero può essere gestito con garbo, o vergognosamente; o l’impero si tira indietro di propria volontà, oppure viene smantellato; o esegue una ritirata ordinata, oppure subisce una disfatta disastrosa.

Il modo più intelligente per gestire la situazione è tagliare drasticamente le spese, pareggiare il bilancio, contingentare il sistema bancario centrale e non farsi coinvolgere in guerre costose e impossibili da vincere. Insomma, adottare la cosiddetta cura Milei. Gli imperi, tuttavia, sono come i tossicodipendenti. Sì, anche questo fa parte degli schemi sopraccitati. Sono corrotti, incompetenti e alla disperata ricerca della prossima soluzione facile.


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I pericoli di un Bitcoin sintetico

Freedonia - Gio, 29/02/2024 - 11:10

 

 

da Bitcoin Magazine

Tenete ancora i vostri bitcoin su un exchange?

Lasciate che vi racconti una storia di cosa succede quando li tenete lì. Potreste rimanere sorpresi di sapere cosa significa per le vostre partecipazioni.

Chiamiamo il nostro personaggio Bill. Egli osserva con cautela bitcoin da anni, sentendone parlare di sfuggita e leggendo articoli. Dopo aver inavvertitamente risparmiato un sacco di soldi, decide infine di comprarne qualcuno. Un amico gli ha detto di dare un'occhiata a Coinbase, Binance o un altro exchange popolare e “affidabile” per acquistarli.

Quindi Bill crea un account e carica una sua foto, i suoi documenti, il numero di previdenza sociale, l'indirizzo e ogni altro dettaglio rilevante sulla sua vita fino a raggiungere la schermata “Acquista Bitcoin”. Poi pensa tra sé e sé: “Non ho bisogno d'imparare tutti questi complicati dettagli tecnici sui wallet hardware e sull'autocustodia: voglio solo che i miei bitcoin siano al sicuro”.

Bill esamina il sito web dell'exchange e decide che gli esperti di sicurezza dell'exchange, con le loro fantastiche contromisure crittografiche all'avanguardia, siano più bravi di lui a proteggere i suoi bitcoin.

Bill è molto soddisfatto di sé stesso dopo aver preso questa decisione: non solo l'exchange gli facilita investire in bitcoin, ma gli dà tranquillità sapendo che qualcun altro è responsabile della protezione dei suoi beni da qualsiasi tipo di furto o attività dannosa. Dopotutto, perché dovrebbe preoccuparsi di cose del genere quando invece ci sono professionisti che possono occuparsene?

Da allora Bill è abbastanza a suo agio con l’idea di fidarsi degli exchange: le sue coin ora sono al sicuro dai suoi stessi errori!


QUANDO LA FIDUCIA SCOMPARE: LA CADUTA DI FTX

Poi una mattina Bill guarda il telegiornale e scopre che l'exchange FTX aveva appena sospeso i prelievi ed era a riscio di perdita “accidentale” per $10 miliardi, circa un terzo della sua capitalizzazione di mercato.

Come può un'azienda con il proprio logo sulla facciata di un grande stadio e un amministratore delegato invitato da CNBC, Bloomberg e addirittura finito davanti al Congresso (!) degli Stati Uniti per parlare delle risorse digitali e della regolamentazione, perdere – o probabilmente rubare – così tanto sotto gli occhi di tutti?

Fonte

Ora Bill è bloccato tra l'incudine e il martello. Sebbene sospettoso del proprio exchange, impostare il proprio wallet hardware continua a sembrare difficile e spaventoso. Richiede d'investire in un dispositivo fisico, acquisire le conoscenze necessarie per proteggerlo adeguatamente e tenere traccia del backup della frase seed. Anche se apprendesse le nozioni di base, c'è ancora il rischio di smarrire il suo dispositivo o di archiviare in modo improprio il suo backup e perdere l'accesso ai suoi bitcoin.

FTX è stato scioccante, ma sicuramente l'exchange di Bill non si comporterebbe mai allo stesso modo. La gente se ne accorgerebbe prima e lui avrebbe il tempo di uscire... giusto?


MOTIVI PER TOGLIERE I PROPRI BITCOIN DAGLI EXCHANGE

È chiaro che affidare i propri bitcoin a un exchange comporta il rischio di svegliarsi una mattina e scoprire che non ci sono più. Se invece usate un waller hardware, questo non può accadere.

Tuttavia c'è un altro grande motivo per cui è importante togliere i propri bitcoin dagli exchange: il prezzo.

In che modo l'autocustodia potrebbe influenzare il prezzo di Bitcoin? Tutto in economia dice che l’acquisto e la vendita influenzano il prezzo di mercato di un bene, non chi lo detiene. Tuttavia l'autocustodia è molto importante per valutare il prezzo e ha a che fare con qualcosa che chiamerò “BTC sintetico”.


LA PROSSIMA GRANDE NOVITÀ: BITCOIN SINTETICI

Diamo un'occhiata a come funziona un exchange facendo un esempio ipotetico con uno chiamato ExchangeCorp, posseduto e gestito da un allegro imprenditore di nome Bernie. ExchangeCorp crea un modo semplice per acquistare bitcoin e assume un team di esperti in sicurezza per assicurarsi che gli hacker siano tenuti a bada. Nel corso del tempo e attraverso grandi campagne di marketing, ExchangeCorp conquista la fiducia di trader e investitori, convincendone molti a depositare i propri bitcoin sull'exchange.

Quando gli utenti conservano i propri bitcoin su ExchangeCorp, l'Ad Bernie e il suo team mantengono il controllo su tali coin. I clienti hanno un diritto su di esse: possono accedere e vedere il loro saldo, nonché richiedere di prelevarle. Tuttavia se Bernie vuole trasferire tali coin ad altr, è tecnicamente in grado di farlo senza il permesso dei clienti.

Quando Bernie guarda i saldi nel caveau di ExchangeCorp, è felice di vedere decine di migliaia di bitcoin che i suoi clienti hanno depositato. Dato che ExchangeCorp sta andando bene, entrano sempre più bitcoin che in uscita.

Quindi Bernie ha un'idea: potrebbe prestare alcune di quelle coin dei clienti, guadagnare interessi e ottenere le coin indietro senza che nessuno se ne accorga. Diventerebbe più ricco e il rischio che un numero sufficiente di clienti di ExchangeCorp chiedano prelievi tutti in ​​una sola volta per portare a zero il saldo del suo caveau è minuscolo. Quindi Bernie presta migliaia di coin qua e là agli hedge fund e alle imprese.

Le banche tradizionali sono persino peggiori di ExchangeCorp. E dal marzo 2020 possono prestare il 100% dei vostri soldi!

Ora c'è un'altra serie di affermazioni da considerare. I clienti vantano un credito nei confronti dei loro bitcoin presso ExchangeCorp, ma quest'ultimo non ha più i bitcoin veri e propri: vanta solo un credito sulle coin che ha prestato. Ciò che i clienti ora hanno è un credito su bitcoin sintetici detenuti da ExchangeCorp e i bitcoin veri si trovano nelle mani dei mutuatari.

È qui che le cose si fanno strane. Tutti i clienti di ExchangeCorp pensano ancora di avere un diritto diretto sui bitcoin reali detenuti in modo sicuro da ExchangeCorp, mentre invece essi si trovano nelle mani di coloro che hanno preso in prestito da ExchangeCorp, e quelle entità lo stanno svendendo sul mercato.

Cosa succede quando ExchangeCorp presta una grande quantità di bitcoin depositati dai suoi clienti? Molti bitcoin extra iniziano a fluttuare nel mercato, perché gli investitori che pensano di detenere bitcoin reali detengono solo BTC sintetici. Tutta quell’offerta extra di bitcoin sul mercato assorbe la pressione di acquisto, che ne sopprime il prezzo.

Diamo un'occhiata a un semplice grafico domanda/offerta:

Quando i BTC sintetici entrano nel mercato, poiché gli attori di mercato non sono consapevoli che questa nuova offerta non è reale, hanno lo stesso effetto di un aumento dell’offerta di bitcoin reali, finché la frode non viene scoperta.

Questa storia ipotetica assomiglia in qualche modo alle recenti notizie su FTX?


I BITCOIN SINTETICI AL CENTRO DELLA FRODE DI FTX

La storia di ExchangeCorp e Bernie è esattamente la storia di FTX e del suo fondatore Sam Bankman-Fried, redatta con alcuni complessi da salvatore del mondo, studi sulle droghe e orge poliamorose.

Prestando i fondi dei clienti, FTX ha sostanzialmente gonfiato l'offerta di bitcoin approfittando della fiducia riposta dagli utenti in esso. FTX ha creato tonnellate di BTC sintetici.

Quanti ne avrebbe potuti creare? Non possiamo essere sicuri delle cifre esatte data la sua contabilità assolutamente orribile, ma la stima seguente suggerisce che FTX aveva 80.000 BTC sintetici sui suoi libri contabili: bitcoin dovuti ai clienti che non erano coperti da bitcoin reali.

Ciò rappresentva uno sbalorditivo 24% dei circa 330.000 nuovi bitcoin creati quell’anno attraverso il mining. Si trattava di un sacco di bitcoin extra che entravano nel mercato di cui nessuno, a parte un piccolo gruppo di addetti ai lavori di FTX, era a conoscenza!

Quick math:
-330k BTC mined / year this halving era
-FTX has -$1.4B in BTC on books, meaning 80k BTC
-Assuming incurred this year, means FTX "increased" BTC supply issuance 25% this year
-Others likely did same

No wonder we're under prior cycle highs.
Halving math interference.

— Jesse Myers (Croesus ????) (@Croesus_BTC) November 17, 2022

È impossibile dire dove sarebbe andato il prezzo senza che l’offerta extra di bitcoin entrasse nel mercato, ma possiamo essere quasi certi che il prezzo sarebbe salito più in alto rispetto al 2021.

Sebbene il crollo di FTX sia recente, la sua storia ci fornisce moniti riguardo i pericoli degli asset sintetici e la manipolazione dei prezzi. La storia dell’incapacità dell’oro di resistere alla cattura centralizzata, ad esempio, può dirci dove è diretto Bitcoin se continuiamo a fidarci degli exchange e di terze parti che li detengono al nostro posto.


LA CADUTA DELL'ORO

Un tempo l'oro veniva utilizzato nelle transazioni quotidiane: basta una visita a un museo di storia per vedere le collezioni di antiche monete d'oro che un tempo circolavano nei mercati locali. La narrativa tradizionale riguardo la scomparsa dell’oro come valuta di transazione ci dice che era diventato troppo ingombrante, o troppo prezioso, per continuare a funzionare bene come mezzo per acquistare generi alimentari e altri beni di consumo giornalieri.

Tuttavia questa storiella omette alcuni componenti chiave che emergono solo quando tracciamo l’evoluzione dalle monete d’oro alle banconote cartacee e ai conti bancari digitali.

Secoli fa, le banche iniziarono a prendere l’oro dei clienti in cambio di banconote, offrendo loro una misura di sicurezza e un mezzo più conveniente per effettuare transazioni. Tuttavia affidare a una banca il proprio metallo prezioso significava che essa poteva prestarlo o fare cattivi investimenti senza il consenso del depositante. Quando una banca si trovava intrappolata tra cattivi prestiti e un alto tasso di prelievi da parte dei depositanti, doveva dichiarare bancarotta e chiudere, lasciando molti clienti senza un soldo con crediti sintetici sull’oro che a quel punto non valevano più nulla.

Poi sono arrivate le banche centrali per “risolvere” il problema delle banche in bancarotta. Le banche centrali detenevano oro a nome delle persone e delle banche commerciali, dando loro banconote come ricevute per il loro oro. Nel 1960 le disponibilità ufficiali delle banche centrali rappresentavano circa il 50% di tutte le riserve auree estratte, con le relative banconote in circolazione. Alle banche commerciali e agli individui non importava, dal momento che ogni banconota era convertibile in un determinato peso d’oro dalla banca centrale che l’aveva emessa.

Avete fatto caso alla nota in alto a sinistra? Questa banconota da $5 della Federal Reserve, conosciuta anche come banconota da $5, è rimborsabile in oro.

Ciò avrebbe funzionato bene, se non fosse stato per il fatto che le banche centrali, in particolare la Federal Reserve negli Stati Uniti, iniziarono a creare più banconote di quanto oro ci fosse a copertura. Creare più banconote di quanto la FED avesse in oro equivaleva essenzialmente a creare oro sintetico, poiché ogni banconota era un credito su quell’oro. Farlo in segreto significava che la FED stava manipolando il prezzo dell’oro, data l’offerta extra circolante di cui il mercato non era a conoscenza. Quando molti depositanti di oro presso la Federal Reserve – come il governo francese – iniziarono a mettere in discussione le riserve auree in suo possesso e a creare la minaccia di una corsa agli sportelli, il governo degli Stati Uniti dovette intervenire.

Nel 1971 tutto ciò giunse al culmine con lo shock di Nixon. Una sera il presidente Nixon annunciò che gli Stati Uniti avrebbero temporaneamente smesso di convertire le banconote in oro.

Questa sospensione temporanea dei prelievi non è mai stata revocata. Poiché tutte le valute erano collegate all’oro attraverso gli Stati Uniti dollari in base agli accordi di Bretton Woods, lo shock di Nixon fece sì che il mondo intero abbandonasse immediatamente il gold standard. Tutte le valute erano ora solo pezzi di carta, invece di banconote che davano al detentore un diritto su una certa quantità d'oro.

Fonte

Ciò è stato realizzabile solo perché l’oro, nel tempo, è stato depositato nelle banche commerciali e poi nelle banche centrali. Una volta che le banche centrali sono entrate in possesso della maggior parte dell’oro, hanno potuto manipolarne il prezzo e rimuoverlo completamente dal commercio quotidiano. La gente comune ha scelto la comodità delle banconote piuttosto che la sicurezza di detenere oro, e ne ha pagato il prezzo.

Invece di una moneta neutrale coperta da un metallo prezioso difficile da estrarre e impossibile da sintetizzare, le valute sono diventate facili da stampare e quindi altamente politicizzate. Mantenere il dollaro in cima alla catena alimentare non richiedeva più moderazione e buona gestione per garantirne il sostegno in oro. Invece sono state necessarie spedizioni militari e una forte attività di polizia per garantire che i vari e cittadini del mondo continuassero a utilizzare il dollaro per effettuare transazioni.

Un ritorno all’oro a questo punto sarebbe poco pratico: le reti commerciali mondiali coprono una distanza troppo grande e le transazioni avvengono a una velocità troppo elevata. Con la valuta cartacea e, infine, con i sistemi bancari digitali, ciò che abbiamo guadagnato in velocità e comodità lo abbiamo perso in solidità e neutralità. Di conseguenza abbiamo perso i nostri risparmi, la nostra coesione sociale e le nostre istituzioni politiche.


IMPEDIRE LA CADUTA DI BITCOIN

Togliere i vostri bitcoin dagli exchange non è solo una buona pratica per la vostra sicurezza, ma protegge anche il prezzo di Bitcoin. Le nostre libertà dipendono dal fatto che gli individui abbiano il controllo sulla propria ricchezza. Quando la affidiamo ad aziende o stati, ripercorriamo la strada già percorsa dall’oro.

Grazie alla divisibilità e alla natura digitale di Bitcoin, è possibile superare gli ostacoli che hanno impedito all’oro di sostenere la nostra economia moderna e interconnessa. Bitcoin può supportare un mercato mondiale, ma ci arriverà solo se ognuno di noi possiede il proprio bitcoin.

Non lasciate che banchieri e burocrati manipolino il prezzo di Bitcoin: toglieteli dagli exchange e metteteli sul vostro hardware/software wallet.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Le regole fiscali non compromettono gli investimenti, ma lo sperpero degli stati sì

Freedonia - Mer, 28/02/2024 - 11:04

 

 

di Mihai Macovei

Per evitare che il debito pubblico salisse alle stelle sulla scia della crisi finanziaria mondiale del 2009, la Germania inserì un “freno al debito” nella sua costituzione. Tale freno pone limiti rigorosi ai livelli del debito pubblico e limita l’indebitamento dello stato. Questa regola fiscale raggiunse il suo scopo e il debito pubblico seguì un percorso discendente, calando di circa 15 punti percentuali in rapporto al prodotto interno lordo (PIL) sin dalla sua introduzione. Tuttavia lo stato l'ha sospesa durante la pandemia e ha contratto ulteriori €370 miliardi di debito nel 2020 e nel 2021. Ha anche cercato di aggirare suddetta regola in diverse occasioni istituendo fondi fuori bilancio, come un fondo speciale da €100 miliardi per spese militari durante la guerra in Ucraina.

Nel 2022 il parlamento tedesco ha deciso di trasferire circa €60 miliardi dal debito inutilizzato e contratto durante la crisi sanitaria in un nuovo fondo per il clima e finanziare la transizione verde della Germania. Con sorpresa di tutti, la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato illegale questa mossa, lasciando i politici a grattarsi la testa su come pagare i sussidi previsti. Invece di rendersi conto che la carenza di finanziamenti è dovuta principalmente a un sistema di welfare gonfiato e a un’economia stagnante, i verdi e i politici di sinistra danno la colpa al freno all’indebitamento e cercano di sbarazzarsene.


Le regole possono migliorare la performance fiscale

Il freno al debito tedesco limita l’indebitamento strutturale netto dello stato allo 0,35% del PIL all'anno, ma mantiene una certa flessibilità consentendo ulteriori prestiti durante le recessioni. Inoltre la norma può essere sospesa in caso di calamità naturali o situazioni di emergenza, com'è avvenuto dal 2020 al 2022 a causa della pandemia. Il freno al debito tedesco è molto più severo del quadro fiscale dell’Unione Europea, il quale consente invece un deficit strutturale pari al 3% del PIL all’anno. La normativa fiscale tedesca è una delle più severe al mondo, sia per il suo obiettivo numerico che per il suo ancoraggio costituzionale.

Anche la Svizzera ha introdotto un freno all’indebitamento più di vent’anni fa. La norma fu approvata da un’ampia maggioranza di elettori in un referendum costituzionale e successivamente servì da modello per il governo tedesco. Inoltre i cantoni svizzeri beneficiano di una lunga tradizione di regole fiscali e di autonomia fiscale decentralizzata. Un altro esempio calzante è quello della Svezia, anch’essa ha un rigido quadro fiscale basato su regole numeriche, come un obiettivo di surplus strutturale di bilancio pari allo 0,3% del PIL e un tetto del debito pubblico pari al 35% del PIL.

Negli ultimi trent’anni le regole fiscali sono diventate molto popolari e il numero di Paesi che le hanno introdotte è passato da meno di dieci nel 1990 a oltre un centinaio nel 2021, secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). L’adozione di regole fiscali è stata spesso guidata da crisi finanziarie ed economiche che hanno innescato forti aumenti del debito pubblico; diversi Paesi dell’UE hanno adottato norme nazionali analoghe al quadro fiscale comune dell’UE stessa.

Con un numero così elevato di Paesi che utilizzano regole fiscali, ci si potrebbe chiedere perché il debito pubblico sia cresciuto a dismisura in tutto il mondo negli ultimi anni. La risposta è semplice: la definizione delle regole fiscali è fondamentale e, in molti Paesi, le regole sono troppo morbide o la loro attuazione è troppo permissiva. Le regole fiscali sono efficaci solo quando sono accompagnate da un forte impegno politico, da una solida base giuridica per garantirne un’adeguata applicazione e da un rigoroso monitoraggio da parte di istituzioni fiscali indipendenti.

Un’indagine condotta dall’Amministrazione federale delle finanze svizzera ha concluso che le regole migliorano la performance fiscale in termini di migliori saldi di bilancio, riduzione del debito e riduzione della volatilità della spesa. Inoltre la ricerca empirica ha dimostrato che le regole fiscali sono associate a previsioni di bilancio più accurate e a un miglioramento dei rating dei titoli sovrani. Ciò spiega perché anche i Paesi con regole fiscali più morbide, come l’Australia e i Paesi Bassi, beneficiano comunque di una migliore pianificazione di bilancio a medio termine e di migliori risultati fiscali. Negli ultimi anni il debito pubblico è sceso a livelli moderati in Germania e in altri Paesi con regole fiscali – nonostante la pandemia e la guerra in Ucraina – mentre è cresciuto raggiungendo livelli molto elevati negli Stati Uniti e nel Regno Unito (Grafico 1). Di fatto il Government Accountability Office degli Stati Uniti raccomanda agli stessi d'introdurre regole fiscali rigorose e di correggere il loro “percorso fiscale insostenibile a lungo termine”.

Grafico 1: debito pubblico. Fonte: dati del “ World Economic Outlook Database ”, Fondo monetario internazionale, consultati il ​​31 gennaio 2024


Le regole fiscali non compromettono gli investimenti pubblici

Nonostante il suo successo, il freno al debito è finito oggetto di forti critiche sia da parte degli esperti che dei politici di sinistra in Germania. Lo descrivono come “troppo zelante” e una “camicia di forza” sugli investimenti pubblici, mettendo in pericolo l’ecologizzazione e la modernizzazione dell’economia tedesca. Per diverso tempo il freno al debito è stato il capro espiatorio dei sottoinvestimenti tedeschi nelle infrastrutture: ferrovie, ponti, scuole e infrastrutture digitali.

Questo non è vero. In primo luogo, i €60 miliardi rappresentano solo circa l’1,5% del PIL e difficilmente rappresentano un punto di svolta in un Paese come la Germania dove il governo spende ben il 50% del PIL. In secondo luogo, se la Germania non riesce a finanziare gli investimenti pubblici con questa enorme dotazione di bilancio, allora il problema è altrove: consumi pubblici eccessivi, spesa sociale eccessiva, burocrazia asfissiante e normative ambientali.

Come controesempio, in Corea gli investimenti pubblici in rapporto al PIL sono più del doppio che in Germania, mentre la spesa pubblica totale è circa la metà (cioè il 25% del PIL), e non ci sono molte lamentele nei confronti delle infrastrutture coreane. In terzo luogo, la regola fiscale tedesca è piuttosto flessibile in quanto persegue un obiettivo di deficit strutturale nel corso del ciclo economico e consente clausole di salvaguardia in caso di emergenza in modo da non penalizzare gli investimenti in tempi di aggiustamento fiscale.

In linea di principio, le regole fiscali non costituiscono un ostacolo agli investimenti pubblici; garantiscono solo che quest’ultimo sia finanziato in modo trasparente dalle entrate fiscali e non dai deficit pubblici e dal debito galoppante. La stessa indagine dell’Amministrazione federale delle finanze svizzere ha mostrato che la maggior parte degli studi esaminati suggerisce che le regole fiscali possono compromettere gli investimenti pubblici solo se applicate rigidamente, mentre le regole fiscali con flessibilità incorporata non compromettono gli investimenti pubblici. In realtà si può sostenere che disciplinando i consumi correnti, riducendo l’onere del debito e minimizzando il costo del capitale, le regole fiscali offrono maggiore margine di manovra per gli investimenti, sia pubblici che privati. Il Grafico 2 mostra che i Paesi con regole fiscali rigide, come Svizzera e Svezia, hanno in realtà investimenti pubblici più elevati rispetto ai più dissoluti Regno Unito e Stati Uniti, mentre la Germania non resta molto indietro.

Grafico 2: Investimenti pubblici. Fonte: dati tratti da “Government at a Glance 2023”, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, consultati il 31 gennaio 2024


Investimenti pubblici & investimenti di mercato

Un elemento chiave che la maggior parte degli esperti sembra ignorare è che non tutti gli investimenti pubblici sono utili e produttivi. È un dato di fatto, gli investimenti pubblici possono essere piuttosto dispendiosi se sono motivati ​​politicamente, mal pianificati, gestiti burocraticamente e soggetti a frode e corruzione. Secondo il Fondo monetario internazionale i Paesi sprecano in media circa un terzo della spesa per le infrastrutture a causa di inefficienze, e la perdita può arrivare fino alla metà in quei Paesi a basso reddito. Secondo Murray Rothbard gli investimenti pubblici rappresentano una deviazione delle risorse economiche dai loro usi più produttivi determinati dagli individui nei processi di mercato. Attraverso un’errata allocazione dei fattori di produzione, l’utilità sociale ed economica della spesa pubblica può essere negativa in molti casi.

Le inefficienze degli investimenti pubblici sono certamente più limitate nel caso della Germania che nei Paesi a basso reddito. Tuttavia la transizione della Germania verso la neutralità dell'anidride carbonica entro il 2045 è un progetto motivato politicamente. La sua giustificazione scientifica e le azioni politiche proposte sono altamente discutibili e non hanno nulla a che fare con le preferenze dei consumatori. La maggior parte degli “investimenti verdi” sono in realtà un mucchio di sussidi per fabbriche di veicoli elettrici e batterie, infrastrutture di ricarica, piste ciclabili, capacità di produzione di idrogeno e altri progetti che gli individui altrimenti non avrebbero intrapreso.

Inoltre il fondamento democratico di questo mega progetto nazionale è molto fragile. La transizione verde comporta un prezzo enorme, stimato in circa €6.000 miliardi, ovvero il 150% del PIL tedesco. Normalmente richiederebbe un voto tramite referendum piuttosto che l’attuazione tramite decisioni dall’alto da parte di politici vicini al Partito dei Verdi. Quest'ultimo ha ottenuto solo il 15% dei voti nelle ultime elezioni e da allora il suo sostegno pubblico è diminuito. Come gli svizzeri, anche la maggioranza dei tedeschi sostiene invece il freno all'indebitamento, secondo un sondaggio dell'emittente ZDF.

Probabilmente è giunto il momento che le élite politiche tedesche riconoscano che la loro ambiziosa agenda verde è difficilmente sostenibile, dato il debole potenziale di crescita del Paese e l’enorme fardello del suo stato sociale. Invece di rimuovere il freno all’indebitamento e finanziare gli enormi costi della transizione verde attraverso la porta sul retro, dovrebbero piuttosto chiederne l’approvazione pubblica in modo democratico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Milei ha dimostrato che le idee contano

Freedonia - Mar, 27/02/2024 - 11:03

La presenza di Milei a Davos era strettamente legata al tema di quest'anno di tale incontro: “Ricostruire ponti”. La cricca, che come facciata ha questo forum annuale, ha realizzato di essersi spinta troppo oltre nelle proprie ambizioni di un controllo capillare della società, scatenando come sottoprodotto una guerra (al momento solo finanziaria) tra le élite del mondo. Chiamiamola una tregua. Per quanto non demordano nel voler applicare la loro visione, hanno dovuto altresì rendersi conto che il socialismo/collettivismo può comprare tempo, ma esso è scarso e, se non adeguatamente allocato, porta inevitabilmente al fallimento di quei piani presumibilmente ben congegnati. Per quanto possano essere abbondanti le risorse economiche della popolazione da cui attingere, esse sono destinate a esaurirsi. Questa è la lezione che ha ricordato Milei, nella teoria; a quella pratica c'ha pensato Jamie Dimon. Il messaggio di questi due era: “Non ci possono essere ponti con i socialisti”; anche in astratto, rimane pur sempre un problema di manutenzione. Milei, dal suo canto, per dimostrare questo punto non ha dovuto far altro che ricordare la storia del suo Paese: il modello peronista di pianificazione macroeconomica ha portato l’Argentina a fondo. Ciò significa che è tra le nazioni peggiori in termini di libertà economica, con misure deplorevoli riguardo apertura al commercio, politica monetaria e protezione della proprietà. Una volta l’Argentina era nella fascia più alta delle nazioni più ricche del mondo, ora si trova a fianco di Paesi del calibro di Libia, Serbia e Mauritius. Le forze della megapolitica che fanno riferimento alla cricca di Davos stanno utilizzando motivazioni diverse per tenere in piedi la struttura del furto sistematico: razza, immigrazione, cambiamento climatico, valuta digitale, ecc. Queste idee sono state impiantate dalle élite attraverso figure di spicco e i media generalisti, finanziate con fondi pubblici. Più i loro tentativi spingono verso un'accelerazione, più dimostrano la loro disperazione. E tutto sommato è un bene, dato che ciò è sintomo di un’opportunità per puntellare, invece, quelle idee su cui poggia la civiltà occidentale. Se Mises definì il ventesimo secolo il secolo del socialismo, noi potremmo definire il ventunesimo come il secolo del libertarismo.

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di G. Patrick Lynch

Javier Milei è andato al World Economic Forum e ha dominato facilmente il palco, rimproverando la Gente di Davos con arguzia e saggezza. Mentre la maggior parte dei partecipanti arrivava con i propri jet privati, Milei ha preso un volo commerciale sfoggiando le sue tipiche basette e un sorriso leggermente malizioso. Insieme al suo aspetto unico, un'altra sua caratteristica sono i costanti moniti sui fallimenti del collettivismo. E francamente nessun altro leader politico presente all’evento poteva dire di saperne di più sui pericoli delle economie collettiviste. Se non avete mai sentito uno dei discorsi, o visto una delle sue apparizioni in TV, vi esorto caldamente a farlo. In particolare, poi, quello tenuto a Davos.

L’ampiezza della sua conoscenza della storia e della teoria economica è notevole. Rimarrete commossi dalla passione che mette nelle sue discussioni e presentazioni e vi chiederete perché altri leader politici non possono eguagliare le sue capacità ed energia. I politici non sono stupidi, tutt'altro, ma il loro idealismo tende a erodersi mentre inseguono i voti lasciando dietro di sé i loro principi. Non Milei. Potrebbe non riuscire nella sua missione di smantellare la burocrazia sclerotica e la disfunzionale banca centrale argentina, ma è stato fermamente chiaro su ciò in cui crede e su ciò che sta cercando di fare: salvare l’Argentina da quasi un secolo di governance fiscale e monetaria distruttiva.

A Davos ha iniziato presentando la tesi di Angus Deaton sull’importanza dei sistemi di mercato nel promuovere lo sviluppo economico sin dal 1800. Ha anche citato, per nome, Israel Kirzner, e sembrava quasi Ayn Rand quando ha descritto gli imprenditori come eroi e i burocrati parassiti. Milei ha evidenziato come dare la giusta importanza ai fallimenti dello stato sia fondamentale e ha respinto le affermazioni neoclassiche sui presunti fallimenti del mercato. Era quasi come se il suo pubblico fosse la Mont Pelerin Society, non Davos.

I media internazionali hanno cercato di collegare Milei all’ex-presidente Donald Trump, al populismo di destra e ad altri politici anti-establishment. Non c’è dubbio che Milei stia affrontando le élite argentine, e Trump e i suoi sostenitori stanno trasmettendo un messaggio anti-élite simile a chiunque sia disposto ad ascoltarlo. È anche vero che Trump e tanti suoi sostenitori (come il presidente della Heritage Foundation, Kevin Roberts, intervenuto anch'egli al World Economic Forum) abbiano cercato di adulare Milei con tanti complimenti sui social media riguardo il suo discorso a Davos. Anche se il campo di Trump potrebbe allinearsi con Milei, le politiche offerte dai nazionalisti economici hanno poca, se non nessuna, somiglianza con il coraggio economico del parvenu argentino. Piuttosto che sul risentimento economico offerto dai populisti americani di destra, le politiche di Milei si basano sulla sua conoscenza di un pensiero economico sano e di successo, sebbene politicamente impopolare.

Le idee di Milei sono un insieme coerente di principi interconnessi basati su un impegno incondizionato a favore del libero mercato, a favore di un'economia politica liberale classica. Lui, insieme a milioni di argentini, ha sperimentato per anni come un intervento statale pervasivo danneggi gravemente un’economia. Dopo la sua vittoria su una piattaforma volta a invertire il furto e la mala gestione, Milei deve ora affrontare gli interessi radicati che hanno tratto vantaggio da questa vasta rete di capitalismo clientelare. Milei sarà fortunato se riuscirà anche solo a fermare l'emorragia e rimettere in carreggiata l'Argentina.

Il libero scambio rimane un fattore chiave nel produrre crescita, per quanto alcune persone vogliano distorcere i fatti al riguardo.

La popolarità di Milei tra i giovani di tutta l'America Latina è dovuta alla scintilla di speranza che ha fornito loro in Paesi impantanati per anni proprio nell'ingerenza politica che i nazionalisti desiderano espandere. Forse lo stile e la sostanza di Milei potrebbero contagiare Trump e i populisti conservatori, imaprando qualcosa da lui.


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Ben fatto, Trump! Lo spreco nel pacchetto da $118 miliardi dell'Unipartito era nato morto

Freedonia - Lun, 26/02/2024 - 11:14

 

 

di David Stockman

Il grande talento di Donald Trump nell’arena politica è far esplodere le cose e, in questo caso più di altri, tale attributo si è rivelato estremamente utile. Ci riferiamo al suo colpo mortale nei confronti del cosiddetto pacchetto di riforme bipartisan sull’immigrazione e al pot-pourri di finanziamenti da $118 miliardi che ne è derivato.

Sebbene la fine di questo pacchetto abbia il carattere di una demolizione incontrollata piuttosto che di un’iniziativa politica mirata, presenta alcune virtù collaterali salvifiche. Forse la folle guerra per procura di Washington contro la Russia in Ucraina fallirà per mancanza di finanziamenti, incoraggiando così i capi più sani di mente dell'esercito ucraino a mandare Zelensky nel suo rifugio della CIA in America Centrale e a negoziare una spartizione pacifica di un Paese messo insieme da Lenin, Stalin e Krusciov.

Allo stesso modo, Israele ha bisogno solo di aumentare le tasse di 2-3 punti percentuali del PIL per generare i $14 miliardi in aiuti che lo Zio Sam non fornisce. Anche così, però, il bilancio della difesa di Israele rappresenterebbe un peso molto inferiore sul suo PIL da $550 miliardi rispetto ai primi 50 anni della sua esistenza.

Inoltre quando all’elettorato israeliano verrà mostrato che la combriccola di Netanyahu non ha un bancomat nel Campidoglio degli Stati Uniti, potrebbe iniziare a eleggere governi disposti a perseguire onestamente un modus vivendi con la popolazione palestinese e i vicini arabi.

Per quanto riguarda i $10 miliardi extra per gli aiuti umanitari, è una bella liberazione. Si tratta di una mancia del 20% in aggiunta ai $50 miliardi già presenti nel bilancio federale per gli aiuti esteri e l’assistenza alla sicurezza, nessuno dei quali contribuisce alla sicurezza interna dell’America.

Quindi mettendo fine alle componenti del pacchetto “avventure all’estero” si risparmierebbero $85 miliardi e si costituirebbe un primo passo verso la sanità fiscale sulle rive del Potomac.

Ma l’ironia è che lo spreco ancora più grande nel pacchetto sono i $20 miliardi necessari per fermare la cosiddetta invasione di immigrati. Solo che l’“invasione” è autoinflitta da un sistema di controllo dell’immigrazione americano completamente distrutto che invita letteralmente milioni di migranti a venire al confine degli Stati Uniti e infrangere la legge con il pretesto di chiedere “asilo” ai sensi del diritto e delle tutele internazionali.

Quindi basta sistemare il sistema dell'immigrazione e non ci sarà nemmeno bisogno dei $30 miliardi dell'attuale bilancio federale per i relativi Dipartimenti, per non parlare del 50% extra, o $15 miliardi, forniti a queste agenzie dall'accordo del Senato.

Il punto di partenza, quindi, è riconoscere che la stragrande maggioranza dei 2,43 milioni di persone arrestate durante gli “incontri” al confine sudoccidentale nell’anno fiscale 2022 erano migranti economici, non rifugiati politici. Per dirla tutta, ben 808.400 di loro, ovvero il 33%, erano solo di nazionalità messicana. Ma da quando Washington ha dichiarato che il nostro vicino del sud è uno stato fuorilegge dal quale i suoi cittadini devono fuggire per paura nei confronti della propria vita e incolumità fisica?

Certo, ci sono un numero modesto di persone che sono vittime dei feroci cartelli della droga, ma attenzione: i cartelli della droga messicani sono stati favoriti anche a Washington, a causa della sua idiota guerra alla droga. Quindi basta abrogare le leggi sulla droga, e smantellare la DEA e le sue agenzie collegate, e non ci saranno più i signori della droga messicani da cui fuggire.

Allo stesso modo, altri 705.500 degli arrestati in questi “incontri” provenivano dall’America centrale. Molti dei Paesi che si trovano lì potrebbero essere definiti stati semi-falliti in cui la criminalità è piuttosto elevata, ma in realtà non si tratta di oppressione politica e non sono molto diversi dalla maggior parte delle principali città degli Stati Uniti.

Ad esempio, 213.000 di questi incontri sono avvenuti con migranti provenienti dall’Honduras, dove il tasso di omicidi era di 36 su 100.000 abitanti nel 2022, rendendolo il peggiore di tutti in America Centrale. Oltre a ciò, i 231.565 incontri che hanno coinvolto migranti provenienti dal Guatemala riguardavano un Paese il cui tasso di omicidi era di appena 17 su 100.000 abitanti; i 163.876 incontri con migranti nicaraguensi provenivano da un Paese con un  tasso di omicidi di 6,7 ogni 100.000 abitanti; e i 97.030 di El Salvador fuggivano da un Paese il cui tasso di omicidi era di appena 8,0 ogni 100.000 abitanti.

Anche nel caso del Messico, cartelli della droga e tutto il resto, il tasso di omicidi nel 2022 era di 25,0 su 100.000 abitanti.

Il tasso di omicidi nelle principali città degli Stati Uniti è molto più alto a quello del Messico e dell’America centrale. Di seguito sono riportati i tassi di omicidi ogni 100.000 abitanti per alcune importanti città degli Stati Uniti nel 2021, così come il tasso di 6,3 ogni 100.000 abitanti per gli Stati Uniti nel loro insieme. Il tasso complessivo degli Stati Uniti è evidentemente nella stessa misura di El Salvador/Nicaragua, suggerendo che, mentre gran parte dell’America centrale potrebbe trarre vantaggio da un sistema giuridico più forte, stiamo parlando solo di grado, non del presunto incubo di caos omicida che spesso si è addotto come giustificazione per spiegare le orde di richiedenti asilo al confine degli Stati Uniti.

Infatti ognuna di queste città americane ha un tasso di omicidi più alto dello stesso Messico, la presunta fonte di omicidi e caos al confine degli Stati Uniti; e anche tassi che sono molto, molto più alti di quelli di tutta l’America centrale, ad eccezione dell’Honduras.

Tasso di omicidi ogni 100.000 abitanti nelle prime 10 città degli Stati Uniti nel 2021: 

• St. Louis: 64,0

• Baltimora: 58,6

• Detroit: 41,0

• Milwaukee: 42,5

• New Orleans: 40,6

• Cleveland: 33,7

• Atlanta: 32,0

• Los Vegas: 31,4

• Memphis: 27,1

• Newark: 25,6

• Stati Uniti: 6,3

Infatti altri tre Paesi dell’emisfero occidentale nell’elenco sopra suggeriscono chiaramente che non sono gli omicidi e i dittatori da cui i migranti fuggono, piuttosto dal socialismo e dalla povertà. Ben 462.000, ovvero il 19% degli “incontri” nell’anno fiscale 2022, sono avvenuti con cittadini di Cuba, Haiti e Venezuela. I rifugiati politici dalle carceri di Castro lasciarono l'isola per Miami decenni fa, quindi i fuggitivi di oggi sono semplicemente vittime della povertà comunista, come è essenzialmente il caso anche di Haiti e del Venezuela.

Infatti se si guarda al PIL pro capite dei principali Paesi dell’America Latina da cui arrivano la stragrande maggioranza degli “incontri” al confine degli Stati Uniti, è dannatamente evidente che si tratta di forze economiche sotto forma di carenza di manodopera qui e profonda povertà là. Rispetto al PIL pro capite degli Stati Uniti pari a $65.425 nel 2022, ecco le cifre comparabili per 11 principali fornitori di migranti dell’America Latina. In tutti i casi il rapporto varia da più di 40:1 a un minimo di 6:1 (rispetto al paradiso comunista di Cuba).

PIL pro capite 2022: 

• Haiti: $1.600

• Nicaragua: $2.090

• Honduras: $2.750

• El Salvador: $4.700

• Venezuela: $3.980

• Guatemala: $ 5.475

• Ecuador: $6.300

• Perù: $6.475

• Colombia: $6.500

• Cuba: $7.490

• Messico: $10.820

• Stati Uniti: $65.425

Inutile dire che i rifugiati economici provenienti da questi Paesi sono incentivati ​​a fingere di arrivare per ottenere asilo politico. Questo perché non esistono quote di immigrazione legale, o carte verdi, per i lavoratori non qualificati e non stagionali oltre ai 4.300 all'anno consentiti nelle categorie EW3 ed EW8.

Naturalmente questo è un piccolo buco nel sistema legale delle quote. I geni di Washington hanno ritenuto opportuno ammettere legalmente un totale di 1.018.349 di immigrati nel 2022, ma solo lo 0,4% di questi rientrava nelle categorie di quote per lavoratori non qualificati e poco qualificati.

Eppure queste ultime categorie sono esattamente quelle in cui l’America registra una grave carenza di manodopera. Quindi non sorprende affatto se milioni di rifugiati economici a sud del confine vogliano migrare qui nella tradizione storica di lavorare sodo, costruirsi una vita migliore e contribuire alle tasse e a tutti gli altri aspetti della società americana.

In pratica, i 2,43 milioni di migranti “arrestati” dalla polizia di frontiera nell’anno fiscale 2022 sono stati costretti da una follia normativa a:

• Infrangere la legge attraversando il confine per essere arrestati.

• E poi richiedere lo status di asilo attraverso una procedura burocratica contorta che può richiedere mesi, se non anni, per essere completata e che esige dai richiedenti il fornire prove esaustive riguardo l'effettivo pericolo nel loro Paese d’origine, quando ciò che conta davvero è la loro capacità di lavorare, vivere e diventare buoni cittadini degli Stati Uniti.

Inoltre, in contrasto con il semplice limite per l’ingresso di lavoratori non qualificati, ecco un riepilogo delle categorie normative attraverso le quali i restanti 1.013.998 di immigrati legali sono arrivati ​​in America nel 2022. E la stragrande maggioranza di questi è arrivata con visti concessi nei consolati statunitensi all’estero, in modo ordinario facendosi timbrare i documenti allo sportello di controllo passaporti dei cittadini non statunitensi.

E nessuno di quei 1.013.998 di persone ha aggiunto un briciolo alla brulicante “invasione” dei confini.

Immigrati legali nel 2022 per le principali categorie normative: 

Parenti stretti di cittadini statunitensi: 428.268

• Altre preferenze basate sulla famiglia: 166.041

• Dottorati di ricerca e operai specializzati e loro familiari: 265.933

• Rifugiati e richiedenti asilo: 83.096

• Lotteria della diversità: 43.233

• Iracheni e afgani impiegati dal governo americano: 11.911

• Vittime di criminalità e altre categorie politiche: 15.536

Lavoratori non qualificati: 4.351

Inutile dire che quanto sopra è solo un riassunto della mostruosità normativa che passa per il sistema nazionale di controllo delle quote di immigrazione. Se si selezionano le 428.268 carte verdi emesse sotto la voce “parenti stretti”, ad esempio, si ottengono i seguenti numeri.

Carte verdi 2022 emesse per parenti prossimi di cittadini statunitensi per categoria di quota: 

• R1/R6/CR1/CR6/B1/B6, Coniugi di cittadini statunitensi: 222.565

• W1/W6, altri coniugi, vedove o vedovi: 1.201

• CF1/F1, fidanzate e fidanzati: 14.846

• IR2/IR7/CR2/CR7, Figli di cittadini statunitensi: 52.163

• IH3/IH8/IH4, Adottati in base alla Convenzione dell'Aja: 971

• IR3/IR4/IR8/IR9, Orfani adottati all'estero: 571

• IR5/IR0, genitori di cittadini statunitensi maggiorenni: 132.428

• IBO, genitori di cittadini statunitensi maltrattati all'estero: 77

• Altro: 3.446

E queste sono le categorie normative più semplici e dirette. A titolo di confronto, si consideri solo la ripartizione della quota 2022 per i 162.514 lavoratori di Prima e Seconda Priorità ammessi legalmente in base alle “preferenze basate sull’occupazione”:

• E11/E16, Lavoratori con capacità straordinarie: 7.499

• E12/E17: Professori o ricercatori eccellenti: 4.447

• E13/E18. Dirigenti o manager multinazionali eccezionali: 10.290

• E21/E25. Professionisti con titoli di studio avanzati: 54.491

• E14/E15/E19/E20/E22/E23/E27/E28, Coniugi e figli delle quattro categorie sopra indicate: 85.787

Proprio così. La più grande carenza nell’economia americana oggi è quella dei lavoratori poco qualificati e non qualificati, eppure i burocrati di Washington hanno fatto spazio a 20 volte più coniugi e figli di professori, dirigenti, laureati e lavoratori con abilità “straordinarie” rispetto ai semplici vecchi lavoratori comuni.

In una parola, i lobbisti della Silicon Valley e delle aziende Fortune 500 si sono assicurati di poter ottenere tutti i dottorati di ricerca e i dipendenti high-tech di cui hanno bisogno attraverso un processo ordinato di elaborazione dei visti nei consolati all’estero. Indubbiamente Facebook e Google hanno pagato fior di quattrini ai lobbisti e agli avvocati di Washington che hanno mantenuto aperte le porte delle loro carte verdi.

Ma se siete un operaio, non così tanto. In primo luogo, siate pronti a rischiare la vita e l’incolumità fisica e a essere privati di ogni centesimo che avete dai “coyote” che vi portano al confine con gli Stati Uniti e poi vi presentate all’arresto e alla detenzione in campi di concentramento improvvisati. Successivamente pianificate di rimanere nel limbo per mesi, se non anni, in attesa dell'udienza per l'asilo mentre pagate le spese degl iavvocati; e poi molto probabilmente finirete per essere rimandati a casa quando non potrete dimostrare di essere stati sufficientemente in pericolo, ad esempio, in Costa Rica, il nuovo punto caldo per i vacanzieri americani alla moda.

Dall’altra parte un datore di lavoro a corto di manodopera a Kansas City potrebbe ritenere che l’attuale  costo di $217 per un biglietto dell’autobus dalla Costa Rica all’aeroporto locale sia un vero affare, poiché ammonterebbe a sole 29 ore di busta paga con il salario minimo. Cioè, un costo di assunzione molto modesto coincidente con l'occupazione di posti di lavoro in un magazzino di Kansas City, in un fast food, o in un cantiere edile.

Allo stesso tempo il migrante economico potrebbe anche considerare un biglietto aereo da $217 un vero affare rispetto alla tariffa da $3.000 a $15.000 addebitata dai coyote per il pericoloso viaggio dalla Costa Rica al Rio Grande, per non parlare dei mesi e persino degli anni. nel processo di richiesta di asilo.

E questa possibilità porta direttamente all’aspetto molto più importante: se ci fosse un’altra categoria di controllo dell’immigrazione, magari etichettata “GW10”, che sta per “Lavoratore ospite, percorso di 10 anni verso la cittadinanza”, ci sarebbero delle orde al confine? No.

L’Unipartito sarebbe finalmente libero dalla battaglia su come razionalizzare e riformare il programma di asilo. Non litigherebbe più sul limite delle 5.000 ammissioni di asilo al giorno come tetto o livello minimo, né litigherebbe più su come calcolare i limiti secondari settimanali e annuali, o come riavviare il flusso di asilo una volta attivata la chiusura delle frontiere e innumerevoli altri inutili guai legislativi e normativi.

La risposta è No perché un programma GW10 smaschererebbe lo sporco segreto dell'intero fenomeno dell'“invasione” dei confini. In altre parole, un programma GW10 potrebbe essere elaborato attraverso le 249 ambasciate e consolati statunitensi sparsi in tutto il pianeta: meccanismi burocratici ordinati che elaborano letteralmente milioni di domande all’anno sia per visti di viaggio temporanei che per visti di immigrazione permanente, giorno dopo giorno.

Invece i richiedenti asilo devono arrivare al confine tra Texas e il Sud-ovest piuttosto che accedere a questo sistema locale perché, beh, i consolati statunitensi non sono in grado di spiegare prontamente l’insulto implicito al Paese ospitante. Dopotutto concedere asilo a cittadini presumibilmente “perseguitati” presso il consolato americano a Città del Messico, ad esempio, equivarrebbe ad aiutare e favorire presunti nemici dello stato messicano.

Proprio così. Ci sono centinaia di categorie di persone che si rivolgono ai consolati statunitensi per ottenere visti di viaggio, ricongiungimenti familiari, permessi di lavoro, permessi di studio, permessi sportivi, permessi legati all'intrattenimento, all'insegnamento e molto altro, ma non per fuggire dall’oppressione del proprio Paese.

Infatti la disconnessione è così evidente che vale la pena sottolineare i Paesi di origine dei 55.882 immigrati legali nell’anno fiscale 2022 nell’ambito della Lotteria della Diversità, che da soli hanno rappresentato 13 volte più carte verdi nell’anno fiscale 2022 rispetto all’intera categoria dei lavoratori non qualificati.

Questi immigrati sono arrivati ​​qui a decine di migliaia attraverso un'ordinata lotteria con sede nei consolati statunitensi condotta in più di 170 nazioni sparse in tutto il pianeta. E la lotteria ha prodotto più carte verdi “diversità” solo per Algeria e Albania rispetto al numero totale di lavoratori ammessi nelle quote di lavoratori non qualificati (EW3/EW8).

Immigrati della lotteria della diversità per l'anno fiscale 2022 per Paese: 

• Algeria: 2.380

• Albania: 2054

• Camerun: 1.705

• Congo: 903

• Kenia: 1.157

• Sudan: 1.704

• Arabia Saudita: 450

• Yemen: 625

• Afghanistan: 723

• Marocco: 2.559

• Ruanda: 661

• Togo: 838

• Zimbabwe: 1.142

• Siria: 240

• Cambogia: 166

• Giordania: 713

• Mongolia: 196

• Armenia: 1.308

• Kazakistan: 865

• Moldavia: 481

• Fiji: 537

• Cuba: 612

• 147 altre nazioni: 34.863

• Lotteria della diversità totale: 55.882

In breve, tutti questi nuovi titolari della carta verde nella lotteria della diversità sono stati processati nei consolati e nelle ambasciate statunitensi dei Paesi indicati. Non c’è stata congestione al confine, nessuna violazione della legge, nessun arresto, nessuna incarcerazione temporanea, nessuna attesa prolungata nella fase di richiesta di asilo.

In altre parole, la risposta non è un programma di trattamento dell’asilo più ampio, più severo e più costoso secondo il cosiddetto compromesso bipartisan, ma un cambiamento politico che ridurrebbe drasticamente i 2,5 milioni di “incontri” annuali al confine sudoccidentale reindirizzando il flusso dei migranti per motivi economici a un processo di candidatura GW10. Nel caso del Messico, ad esempio, ci sono 10 consolati sparsi in tutto il Paese, come mostrato di seguito, e ci sono strutture simili in tutta l'America centrale e meridionale, così come nel resto del mondo.

Nell’ambito di un sistema di politica dell’immigrazione che includesse un programma su larga scala per i lavoratori ospiti, non ci sarebbe bisogno di una chiusura delle frontiere o di un test contorto, come nel pacchetto del Senato, per riaprire successivamente il processo di asilo. Infatti ci sarebbero probabilmente solo poche migliaia di richiedenti asilo alla frontiera e ai porti d'ingresso in qualsiasi momento, perché i milioni di persone in cerca di lavoro che attualmente invadono il confine verrebbero processati nei loro Paesi d’origine dai burocrati del Dipartimento di Stato. E quest’ultimo processo potrebbe essere notevolmente migliorato con un elenco computerizzato delle persone in cerca di lavoro a cui potrebbero accedere tutti i datori di lavoro statunitensi che cercano lavoratori già preselezionati e pre-approvati.

Nell’ambito di tale programma GW10 i lavoratori ospiti non avrebbero diritto ai benefici sociali negli Stati Uniti per 10 anni e potrebbero rimanere negli Stati Uniti finché un datore di lavoro non validerebbe il loro status lavorativo di ospite, con un’opzione per ottenere la cittadinanza dopo 10 anni di lavoro e pagamento delle tasse.

Inutile dire che questo approccio basato sull’economia eliminerebbe il 95% delle folle radunate al confine tra Stati Uniti e Messico. Ciò che rimarrebbe del tentativo d'ingresso illegale sarebbe il piccolo numero di criminali, spacciatori, terroristi e disadattati che non potrebbero qualificarsi per un visto di lavoratore ospite.

Inoltre, con le “minacce” ridotte a poche migliaia anziché ai milioni attuali, la polizia di confine potrebbe mantenere il confine così “sicuro” da stupire anche Donald Trump. E potrebbe farlo con budget e manodopera significativamente inferiori rispetto a quelli di cui dispone oggi!

Come porre fine al caos al confine degli Stati Uniti: permessi di lavoro presso i consolati statunitensi.


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Sovranismo, parte #4: l'ascesa della proprietà e del crimine organizzato

Freedonia - Ven, 23/02/2024 - 11:05

 

 

di Robert Breedlove

Nella Parte #3 abbiamo esaminato la mega-politica, i modelli storici e macrostrutturali della civiltà e, più nello specifico, le variabili che modellano l’organizzazione socioeconomica. Questa discussione ci ha portato attraverso la logica della violenza, il processo associato allo sviluppo sociale e la Teoria dei giochi evolutivi incorporata negli affari umani. Oggi scaveremo nuovamente nella storia, esplorando le origini dello Stato, della criminalità organizzata e della proprietà per vedere come questi costrutti sociali cambieranno con l’ascesa del sovranismo durante l’era digitale.


Denaro, Stato e criminalità organizzata 

“Un cambiamento apparentemente semplice nella natura del lavoro può alterare radicalmente l’organizzazione della società.”

~ The Sovereign Individual

Contrariamente al pensiero comune, lo Stato non è il creatore del denaro. In verità, è il contrario. Quando una società inizia a impegnarsi nel commercio, beneficia della divisione del lavoro e accumula un surplus economico. Il primo grande cambiamento verso una società più ricca avvenne con la transizione dalla caccia/raccolta come modalità predominante di esistenza umana a uno stile di vita più stabile incentrato sull’agricoltura. Infatti l’agricoltura è stata il punto di partenza della cultura della civilizzazione – come afferma Will Durant:

La prima forma di cultura è l’agricoltura. È quando ci si mette a coltivare la terra e si accumulano provviste per il futuro che si trova il tempo e la ragione per essere civilizzati.

Quando una società diventa sufficientemente sofisticata da impegnarsi nel commercio, il denaro diventa la merce più commerciata, dando così origine all’accumulo di capitale. La commerciabilità di una merce è un termine equivalente a liquidità o vendibilità. L’impegno dello Stato nasce per tutelare i surplus economici o i risparmi generati dal commercio denominato in denaro. Pertanto il commercio significa l’esistenza del denaro e quest'ultimo alimenta un maggiore surplus economico, il che crea domanda per servizi di protezione prodotti dallo Stato. Quest'ultimo non può esistere in una società in cui il risparmio e il denaro non esistono. Con l’avvento del denaro, una società agricola s'indirizzò verso quella specializzazione economica necessaria per consentire alla violenza e alla protezione dalla violenza di diventare servizi commerciabili. Per queste ragioni l’agricoltura è fondamentale per l’organizzazione della violenza.

“Una divisione del lavoro che consentisse alla specializzazione d'impiegare la violenza era insopportabile in quelle società in cui il cibo in eccedenza non poteva essere immagazzinato [...]. I raccolti e gli animali domestici allevati dagli agricoltori erano beni preziosi; potevano essere immagazzinati, accumulati e rubati.

~ The Sovereign Individual

Many believe government is the originator of money.

In truth, money is the originator of government. The regional gang that controls your money is your government.

Money is the ultimate implement of human governance. #Bitcoin is breaking the governmental stranglehold on money.

— Robert ₿reedlove (@Breedlove22) December 7, 2020

Commercio, denaro e risparmio sono le realtà economiche alla base dell’emergere dello Stato. Nell’era agricola il risparmio significava raccolti, animali domestici, terreni migliorati, edifici e strumenti che gli agricoltori avevano faticato a creare. I beni agricoli erano preziosi: in quanto strumenti chiave per il sostentamento e la sopravvivenza, le persone tentavano di immagazzinarli in modo sicuro e di ottenerli con “ogni mezzo necessario”. La criminalità organizzata è nata per le stesse ragioni dello Stato: l’esistenza di risparmi saccheggiabili. Pertanto la protezione era una preoccupazione primaria per i primi imprenditori dell’era agricola. In tal senso il servizio commerciabile della violenza e la protezione da essa sono due facce della stessa medaglia: i monopolisti potevano addebitare un tributo fino alla quasi totalità dei risparmi degli agricoltori e i cittadini non avevano altra scelta se non quella di pagare. A seconda del lato del confine in cui qualcuno si trovava, lo Stato di uno era l'associazione a delinquere di un altro.

Per queste brutali ragioni economiche (e ironiche), le riscossioni dei pagamenti per la protezione dal saccheggio furono imposte attraverso la tassazione.


Tassazione: predazione sistematica

“La tassazione è un furto, puro e semplice, anche se si tratta di un furto su grande scala e che nessun criminale comune potrebbe sperare di eguagliare. È un sequestro obbligatorio delle proprietà degli abitanti, o sudditi, dello Stato.”

~ Murray Rothbard

L’agricoltura ha reso possibile l’accumulo di ricchezza. Gli antenati dello Stato e della criminalità organizzata – i primi specialisti della violenza – trovarono sempre più redditizio saccheggiare, o proteggere dal saccheggio, i risparmi legati all’agricoltura.

La produzione della più antica riserva di valore – il cibo – ha dato origine alla divisione del lavoro necessaria a sostenere la specializzazione della violenza. Come tutte le altre imprese umane, lo Stato originariamente colmò una lacuna nella domanda sul libero mercato. Accumulando l’energia solare sotto forma di cibo, le società agricole creavano anche un “vaso di marmellata” per tutte quelle mani limitrofe che l'avessero notato. L’istituzione dello Stato è nata per proteggere dai furti il cibo e i beni destinati alla produzione alimentare. La tassazione, quindi, è una forma più prevedibile di furto per finanziare la protezione contro forme più grandi e meno prevedibili. Di fronte alla perdita totale derivante dalla confisca, la tassazione è ancora oggi considerata dalla maggior parte degli imprenditori come il “minore dei due mali”.

Generando qualcosa che valeva la pena saccheggiare e proteggere, l’agricoltura ha reso più redditizi gli investimenti in armi e tecnologie difensive. Ne seguì una corsa agli armamenti verso strumenti più affilati e specializzazione nel loro utilizzo, in cui coloro che riuscivano a scoprire determinati vantaggi strategici o tecnologici ottenevano pretese sproporzionate sui surplus economici prodotti dall’agricoltura e, successivamente, dall’attività commerciale. In questo modo l’agricoltura ha sostenuto l’organizzazione della violenza e della criminalità – per lo più saccheggio sotto forma di coscrizione, inflazione e tassazione. Poiché l’accumulo dei risparmi comportava considerazioni strategiche sia sul saccheggio che sulla protezione dei beni, creava anche requisiti di contabilità. Il commercio, le imprese e la tassazione non erano possibili senza una tenuta dei registri affidabile. Infatti la Stele di Rosetta – una delle opere scritte più antiche – consisteva principalmente in tabelle fiscali.

I simboli dei conti nei registri di imprenditori, contabili ed esattori delle tasse erano i precursori della lingua scritta: un’innovazione che avrebbe trasformato completamente l’umanità. La scrittura ha consentito il trasferimento e l'accumulo di conoscenze nel tempo con maggiore fedeltà e capacità rispetto alla sola parola. Insieme al risparmio del tempo che l’innovazione stava concedendo agli esseri umani, migliorandone la produttività, il linguaggio scritto è diventato uno strumento fondamentale di maggiore astrazione, comprensione e coscienza. Le istituzioni sociali furono in grado di raggiungere nuove vette grazie alla scrittura e l’organizzazione socioeconomica finì per essere dominata da varie istituzioni monolitiche nel corso della storia, tra cui le varie monarchie, la Chiesa e più tardi lo Stato-nazione. Indipendentemente dalla forma assunta da queste varie istituzioni, tutte esistevano per preservare (e occasionalmente saccheggiare) il concetto socioeconomico più importante: la proprietà.


Principi primi della proprietà

“Il diritto alla vita è la fonte di tutti i diritti – e il diritto alla proprietà è la loro unica attuazione. Senza diritti di proprietà, nessun altro diritto è possibile. Poiché l’essere umano deve sostenere la propria vita con i propri sforzi, quell'essere umano che non ha diritto al prodotto dei suoi sforzi non ha i mezzi per sostenere la propria vita.”

~ Ayn Rand

Contrariamente al pensiero comune, la proprietà non è un bene. Una casa, un'auto, o una quota di capitale aziendale sono asset. La proprietà è la relazione reciprocamente riconosciuta ed esclusiva tra il proprietario di un bene e qualsiasi bene particolare. Un atto, un titolo, o un certificato azionario sono la commemorazione degli interessi di proprietà di un proprietario rispettivamente a una casa, a un'auto, o a una quota di capitale aziendale. Essendo una relazione piuttosto che un elemento particolare, l'essenza di ogni proprietà è puramente informativa.

La proprietà è descritta con impareggiabile eloquenza alla voce “Proprietà” nell’Enciclopedia di scienze politiche di Lalor:

Se l'essere umano acquista diritti sulle cose è perché è attivo, intelligente e libero; con la sua attività si propaga sulla natura esterna; con la sua intelligenza la governa e la piega a suo uso; con la sua libertà stabilisce tra sé ed essa il rapporto di causa ed effetto e lo fa suo. [...] Dove c’è, in un Paese civile, una zolla di terra, una foglia, che non porti questa impronta della personalità dell’essere umano? In città siamo circondati dalle opere degli esseri umani; camminiamo su un marciapiede o su una strada battuta; è l'essere umano che ha reso sana la terra un tempo fangosa, che ha preso dal fianco di una collina lontana la selce o la pietra che la ricopre. Viviamo in case; è l'essere umano che ha estratto la pietra dalla cava, che l'ha intagliata, che ha spiantato il bosco; è il pensiero dell'essere umano che ha disposto adeguatamente i materiali e ha fatto un edificio di ciò che prima era roccia e legno. E in campagna l'azione dell'essere umano è ancora presente ovunque; ha coltivato la terra e generazioni di lavoratori l'hanno addolcita e arricchita; le opere dell'essere umano hanno arginato i fiumi e creato fertilità laddove le acque avevano portato solo desolazione. [...] Ovunque s'individua una mano potente che ha plasmato la materia e una volontà intelligente che l'ha [...] adattata [...] al soddisfacimento dei propri bisogni. La natura ha riconosciuto il suo padrone ed egli si sente a suo agio nella natura. Quest'ultima è stata da lui appropriata per il suo uso; è diventata sua; lei è di sua proprietà. Questa proprietà è legittima; costituisce un diritto altrettanto sacro per l'essere umano quanto lo è il libero esercizio delle sue facoltà. È sua perché è venuta interamente da lui e non è altro che un'emanazione del suo essere. Davanti a lui non c'era quasi altro che materia e grazie a lui esiste ricchezza intercambiabile, vale a dire articoli aventi un valore acquisito da qualche industria, dalla manifattura, dalla manipolazione, dall'estrazione o semplicemente dal trasporto. Dall'immagine di un grande maestro, che è forse di tutta la produzione materiale quella in cui la materia ha la parte più piccola, al secchio d'acqua che il portatore attinge dal fiume e porta al consumatore, la ricchezza, qualunque essa sia, acquista il suo valore solo per le qualità comunicate, e quest'ultime fanno parte dell'attività umana, dell'intelligenza, della forza. Il produttore ha lasciato nella cosa un frammento della propria persona che in tal modo è divenuto prezioso e può quindi essere considerato un prolungamento delle facoltà dell'essere umano sulla natura esterna. Come essere libero appartiene a sé stesso; la causa è la forza produttiva; l'effetto è la ricchezza prodotta. Chi oserà contestare il suo titolo di proprietà così chiaramente segnato dal sigillo della sua personalità? [...] È allora che dobbiamo [...] ritornare all'essere umano, creatore di ogni ricchezza [...] è con il lavoro che l'essere umano imprime la sua personalità sulla materia. È il lavoro che coltiva la terra e fa di un deserto non occupato un campo appropriato; è il lavoro che fa di una foresta inesplorata un bosco regolarmente ordinato; è il lavoro, o meglio, una serie di laboratori popolati spesso da una successione numerosissima di operai, che ricava canapa da seme, filo dalla canapa, stoffa dal filo, vestito dalla stoffa; che trasforma l'informe pirite, raccolta nella miniera, in un elegante bronzo che adorna qualche luogo pubblico, e ripete a un popolo intero il pensiero di un artista. [...] La proprietà, resa manifesta dal lavoro, è parte dei diritti della persona di cui è emanazione; come essa è inviolabile finché non si estende fino a entrare in collisione con un altro diritto; come essa è individuale, perché ha origine nell'indipendenza dell'individuo e perché, quando più persone hanno cooperato alla sua formazione, l'ultimo possessore la acquista con valore, il frutto del suo lavoro personale, l'opera di tutti i compagni di lavoro che lo hanno preceduto [...].

In senso stretto, la proprietà è un elenco di “chi possiede cosa”. Archiviazione affidabile, l'aggiornamento e la comunicazione delle informazioni contenute in questo elenco sono l'applicazione nativa della proprietà. Dal punto di vista storico la proprietà ha subito una limitazione universale: la necessità di fidarsi (e pagare) di un’autorità per mantenere questo elenco e prevenirne la falsificazione o la duplicazione. A causa delle realtà tecnologiche dell’Era Analogica, questo collo di bottiglia limitava l’utilità della proprietà facendo sì che le sue transazioni comportassero ritardi e spese significativi.

Prima di Bitcoin raggiungere il consenso sullo stato del patrimonio immobiliare era un processo costoso, lento e complesso. Istituzioni analoghe come governi, banche centrali e sistemi giudiziari esistono quasi esclusivamente per soddisfare questa funzione: il raggiungimento del consenso sui rapporti di proprietà degli attori di mercato. Come si dice: “il possesso è i nove decimi della legge”. Peggio ancora, ogni volta che non è stato possibile raggiungere il consenso sui diritti di proprietà tra gli Stati attraverso mezzi politici, è scoppiato un conflitto. Se adeguatamente considerata, la proprietà rappresenta praticamente tutta l’attività criminale.


Agricoltura, proprietà e criminalità

“Ovviamente nessuno si accontenterebbe di faticare per tutta la stagione di semina solo per vedere qualcun altro prendere ciò che ha prodotto. L’idea di proprietà è emersa come inevitabile conseguenza dell’agricoltura, ma la chiarezza del concetto di proprietà privata è stata attenuata dalla logica della violenza che ha accompagnato anche l’introduzione dell’agricoltura.”

~ The Sovereign Individual

Il calo della produttività agricola, insieme ad una confluenza di altri fattori favorevoli alla centralizzazione del potere, si verificò durante la transizione dell'Europa dal Medioevo alla Rivoluzione Feudale nell'anno 1000. Contribuirono in modo determinante a questa centralizzazione le variabili mega-politiche del clima, della microbiologia e e tecnologia. Con le popolazioni ancora in ripresa dalla caduta di Roma, l’offerta di manodopera era in eccesso, causandone la svalutazione mentre venivano poste maggiori richieste sulla terra. L'eredità causò la frammentazione dei titoli fondiari e i mercati immobiliari iniziarono di nuovo ad emergere. Un improvviso calo delle temperature devastò i raccolti durante gli ultimi decenni del X secolo; seguirono gravi carestie. L’arrivo della peste peggiorò le cose e fece indebitare gli agricoltori. Quando i rendimenti dei raccolti non si ripresero, le terre vennero sequestrate dai creditori. Infine i rapporti di potere furono destabilizzati in seguito all’emergere della cavalleria pesante come forza militare. Spinti da semplici innovazioni come la staffa (che migliorava la potenza offensiva di un cavaliere) e il ferro di cavallo chiodato (che migliorava la durata di un cavallo da guerra), i cavalieri a cavallo divennero rapidamente la forza marziale dominante dell'epoca.

“Chiunque abbia un'armatura e un cavallo ora poteva diventare una legge a sé stante.”

~ The Sovereign Individual

Dotati di armature e armi troppo costose per i contadini, i cavalieri divennero inarrestabili saccheggiatori nelle campagne europee. Erano anche ingovernabili da parte delle autorità politiche grazie ai loro armamenti. Nel tentativo di frenarne la violenza, la Chiesa divenne determinante nell’attuazione del feudalesimo avviando un movimento noto come “La Pace di Dio”. Questa interdizione da parte della Chiesa comportava la conversione delle proprietà immobiliari dei contadini in possedimenti feudali. In cambio della sicurezza della servitù della gleba, i piccoli agricoltori accettarono di cedere le loro proprietà ai cavalieri con poteri megapolitici, che divennero i loro signori, catturando la maggior parte del surplus economico generato assumendosi i rischi di capitale della proprietà. Gli agricoltori vendettero sé stessi e i loro discendenti alla servitù della gleba come strategia di sopravvivenza in condizioni mega-politiche sfavorevoli alla loro posizione nella società. E qui troviamo un principio di realtà fisica: la garanzia della sicurezza è antitetica alla libertà.

Quando la produttività agricola è elevata, ciò significa che una maggiore quantità di energia solare viene sfruttata e incanalata in tutta la società. Catturare più energia porta a un’ideazione accelerata, all’accumulo di capitale e alla crescita della popolazione. Finché questa produttività non si basa sull’accesso a sistemi controllati centralmente come l’idraulica o le fonderie, la libertà e i diritti di proprietà degli individui tendono ad aumentare di pari passo, poiché un tale ambiente favorisce l’imprenditorialità. Nelle società più imprenditoriali il settore immobiliare inizia quindi a riflettere una forma di proprietà più moderna, nel senso che è interamente posseduto anziché affittato. Ciò consente ai relativi proprietari di sopportare maggiori rischi e di guadagnare maggiori benefici associati alle iniziative agricole. I risparmi accumulati dai singoli agricoltori permisero loro di autoassicurarsi e reinvestire in altre imprese commerciali. Tirandosi su in questo modo, alcuni agricoltori si elevarono al di sopra dei contadini e ottennero una ricchezza indipendente.

Nelle aree in cui la produttività agricola era bassa, o dipendeva dall’accesso a sistemi centralizzati, la libertà e i diritti di proprietà dei lavoratori rimanevano minimi. I vincoli di accesso centralizzato hanno incentivato nel tempo il gatekeeping, la ricerca di rendite e la concentrazione del potere in meno mani (una dinamica ancora inerente al sistema bancario centrale). Questa è una realtà economica inevitabile: quando la produttività è bassa, lo sono anche i profitti, e le economie di scala sono di maggiore importanza, il che fa sì che la centralizzazione e la violenza diventino le strategie dominanti per l'allocazione delle risorse. Poiché i comportamenti umani emergono da condizioni limite, le dinamiche di potere centralizzato inquinano le personalità che le persone sviluppano. Come si suol dire: “Nessun essere umano è migliore dei suoi incentivi”; o come disse Lord Actor: “Il potere tende a corromper, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. In sintesi: i diritti di proprietà e le libertà tendono a fiorire quando la creazione di ricchezza è positiva e in aumento; al contrario la scarsità amplifica le divisioni, la malvagità e la violenza all’interno di una popolazione – una ragione fondamentale per cui la lente d’ingrandimento centralizzata della scarsità – l’inflazione – è velenosa per la società, e perché una moneta con un’inflazione terminale allo 0% – l’unica proprietà inviolabile del mondo – è molto importante.


Bitcoin: proprietà inviolabile

Bitcoin potrebbe essere una nuova tecnologia, ma come idea è molto più antica. Quando nel 1983 gli fu chiesto come avrebbe risolto i problemi geopolitici senza violenza, Buckminster Fuller rispose:

Cerco sempre di risolvere i problemi con qualche artefatto, qualche strumento o invenzione che renda obsoleto ciò che fanno le persone, in modo da rendere questo particolare tipo di problema non più rilevante. La mia risposta sarebbe quella di sviluppare una rete energetica mondiale, una rete elettrica che coinvolga tutti. All’improvviso non ci sarebbero più problemi nazionali, né internazionali. La nostra nuova base economica non sarebbe rappresentata dall’oro o dai dollari; sarebbero i kilowattora.

Chiaramente Fuller non aveva idea che Bitcoin sarebbe nato un giorno, ma era abbastanza preveggente da comprendere le implicazioni della proprietà inviolabile sulla pace degli stati. Allora qual è il rapporto di Bitcoin con il concetto socioeconomico di proprietà?

Bitcoin reinventa i contorni della proprietà. Combinando il costo di riproduzione (quasi a zero) insito in Internet e nelle tecnologie digitali con l’irriproducibilità del tempo e dell’energia, Bitcoin è un sistema radicalmente nuovo per registrare le transazioni immobiliari in un registro indiscutibile. In quanto pura informazione codificata in modo irreversibile attraverso il processo termodinamico del dispendio energetico, Bitcoin è una proprietà ottimizzata per il rapporto costo-efficacia, la velocità di liquidazione e la correttezza del registro. Come ha scritto il venture capitalist Marc Andreessen nel 2014:

Bitcoin ci offre, per la prima volta, la possibilità di trasferire un pezzo unico di proprietà digitale a un altro utente, in modo tale che il trasferimento sia garantito, sicuro e protetto; tutti sanno che il trasferimento è avvenuto e nessuno può contestarne la legittimità. Le conseguenze di questa svolta sono difficili da sopravvalutare.

I diritti di proprietà privata possono essere chiamati anche responsabilità di proprietà privata. Un proprietario è incentivato ad assumersi la responsabilità dei beni che possiede per massimizzarne l'utilità e la longevità. Come scrisse Matilda Betham-Edwards:

Date a un essere umano il possesso sicuro di una roccia brulla e guardatelo trasformarla in un giardino. Date a un essere umano un affitto di 9 anni su un giardino e guardatelo trasformarlo in un deserto. La magia della proprietà trasforma la sabbia in oro.

L’inflazione della valuta fiat è una violazione della proprietà privata – il movimento arbitrario di ricchezza da un gruppo di mani all’altro. L’inflazione è un’ingiustizia imposta dalla legge; disincentiva la prudenza e innesca una diffusa abdicazione di responsabilità tra gli attori di mercato. Privati di ogni mezzo affidabile per immagazzinare valore nel tempo, essi sono disincentivati ​​a pensare al lungo termine, disintegrando così la moralità sociale. Coloro che non hanno voce in capitolo sono i più colpiti dall’inflazione: i nascituri, i poveri e l’ambiente su cui vengono esternalizzati i suoi costi. Nel presente l’aumento dei prezzi si traduce in una maggiore scarsità, la quale incentiva il comportamento egoistico e la divisione sociale, e un ampliamento del divario di ricchezza poiché i prezzi degli asset vengono gonfiati artificialmente. Ma come dice Jordan Peterson “le opportunità si nascondono dove la responsabilità è stata abdicata”. L’inflazione della valuta fiat è l’abdicazione di responsabilità che spinge l’opportunità di puntare su Bitcoin. Esso è l’unica salvezza dell’umanità: un’arca di energia crittografata progettata specificamente per resistere alle tempeste socioeconomiche dell’inflazione.

Essendo lo strato base per un’interazione commerciale con fiducia ridotta al minimo nello spazio digitale, Bitcoin può teoricamente sostenere protocolli di livello superiore (come RGB) utili per effettuare transazioni su qualsiasi forma di proprietà privata in modo decentralizzato, totalmente libero da qualsiasi autorità di controllo centralizzato. Disintermediare il consenso sulla proprietà e decentralizzare le interazioni digitali è dirompente per il concetto stesso di proprietà. I regimi-Stato-nazione abituati a controllare questa funzione sociale basilare durante l’Era Analogica si trovano ad affrontare un brusco risveglio durante l’ascesa del sovranismo.

Bitcoin, una proprietà puramente informativa con sicurezza integrata che massimizza la libertà individuale, altera questo precetto per l’Era digitale. Il sovranismo è una rivoluzione socioeconomica basata sugli inviolabili diritti di proprietà privata intrinseci a Bitcoin. Quando la proprietà diventerà a prova di saccheggio, le istituzioni politiche moderne basate sul saccheggio vacilleranno, insieme ai personaggi modellati dai precetti dell'Era Analogica. Nella quinta parte esploreremo l’estinzione della politica e le sue allegorie storiche in ciò che The Sovereign Individual chiama i “Paralleli tra il declino senile della Santa Madre Chiesa e lo Stato paternalista”.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/12/sovranismo-parte-1-distruzione-creativa.html

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???? Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/01/sovranismo-parte-3-mega-politica-la.html

???? Qui il link alla Quinta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/03/sovranismo-parte-5-lestinzione.html

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Una moneta sana/onesta è l'unica cura a ciò che fa star male la nostra economia

Freedonia - Gio, 22/02/2024 - 11:10

 

 

da Bitcoin Magazine

Quando un medico opera un paziente ferito, la prima cosa che fa è assicurarsi di riuscire a fermare l’emorragia. Non ha senso operare se non riesce a tenere sotto controllo l’emorragia dato che il paziente potrebbe morire. Il denaro facilita lo scambio reciproco e aiuta gli attori di mercato a coordinare la determinazione dei prezzi: è letteralmente il sangue dell’economia. Man mano che le valute fiat perdono lentamente valore, incentivano sempre meno persone a risparmiare. Se si vuole fermare l’emorragia nella propria vita finanziaria, dovrete trovare un modo per immagazzinare la vostra ricchezza in qualcos’altro. Ci sono molte opzioni, ma solo una è programmata per fermare tutte le emorragie nel 2140.

Man mano che i soldi delle persone si svalutano, lo stesso vale per la loro istruzione, il loro tempo e, direi anche, la loro sanità mentale. Il sangue non fuoriesce in modo eclatante, ma piuttosto viene drenato da piccoli tagli, quindi la maggior parte delle persone non si rende nemmeno conto che sta accadendo. Questa è una pillola difficile da ingoiare. La società occidentale insegna alle persone a non mettere in discussione l’autorità: alzare la mano se si vogliono fare domande e fidatevi degli esperti. Uscire da questa mentalità è difficile. Guardate la seguente clip del portavoce della Casa Bianca per avere un'idea di come i vertici tratteranno le persone che osano mettere in discussione la narrativa mainstream.

Watch: Bidens White House Press Secretary refuses to allow a reporter to question Dr. Anthony Fauci during his last press conference as the governments top doctor on the origins of Covid-19. pic.twitter.com/06SRLUQwd9

— The Canadian Independent (@canindependent) November 23, 2022

 

IL DOLORE È IL MIGLIOR INSEGNANTE

La narrativa mainstream è tutto quando si cerca di costringere le masse ad accettare un “Grande Reset” (se non avete idea di cosa sia, potete leggerlo qui). Lo scopo di questo articolo non coprirà ciò che l’élite di Davos sta tentando d'imporre al resto del mondo, ma piuttosto il motivo per cui Bitcoin impedisce al denaro di sanguinare. Cercare di calcolare tutte le variabili che determinano il comportamento complesso della società è inutile. Gli stati hanno rubato migliaia di miliardi attraverso il quantitative easing e hanno incolpato per questo furto il Covid-19.

Non dovrebbe sorprendere che ciò che ne sia seguito sia stato il caos sotto forma di proteste e problemi relativi alle catene di approvvigionamento. La Federal Reserve sta facendo seguire al suo quantitative easing un restringimento della politica monetaria nel tentativo di tenere sotto controllo l’inflazione. Questa distruzione della domanda sta causando il caos in tutta l’economia, ma è necessaria per eliminare le imprese non redditizie.

Nel bene e nel male, il dolore è il miglior insegnante. Il canale Hard Money ha di recente riferito che Trezor ha visto un aumento del 300% dei ricavi dalle vendite dopo la debacle di FTX. Il punto centrale di Bitcoin è non fidarsi, ma verificare e molti lo hanno ignorato perché FTX aveva il timbro di approvazione da parte di molti organi d'informazione, politici e celebrità.

Sulla scia del suo fallimento, FTX ha creato tantissimi nuovi massimalisti di Bitcoin che ora capiscono perché non verificare con il proprio nodo significa fidarsi di terze parti potenzialmente corrotte. I media generalisti non si stanno facendo alcun favore con articoli come quello riprotato nel seguente tweet. Articoli come questo servono solo ad aumentare il dolore di coloro che sono stati derubati e a convincere più persone che la narrativa mainstream è corrotta.

WSJ giving foot massages to a criminal

— Elon Musk (@elonmusk) November 24, 2022


MA ANCHE ESSERE AUTODIDATTA AIUTA

Il rimedio alla maggior parte di questi problemi è una migliore istruzione. Strumenti come Saylor.org, Udemy e molti altri hanno abbassato enormemente le barriere all'ingresso. Basta solo voglia d'imparare.

Per quanto mi riguarda, ho trovato questa curiosità scendendo nella tana del bianconiglio Bitcoin. Rispondere a una domanda mi ha portato ad altre domande e quel numero di domande è cresciuto in modo esponenziale. Mi sono chiesto quanto venga soppressa la curiosità durante il ciclo dell'istruzione tradizionale. C'è solo un certo limite di tempo durante la giornata e gli insegnanti devono dare priorità ai loro programmi. Di conseguenza non capisco perché le tasse, il modo di votare e l’alfabetizzazione finanziaria di base non siano in cima ai programmi della maggior parte delle scuole pubbliche. Il lettore può giungere alle proprie conclusioni. L’importante è trovare un insegnante che parli la vostra lingua e una materia che faccia emergere la vostra naturale curiosità. L’apprendimento diventa uno dei sentimenti più euforici del mondo quando questi due bisogni vengono soddisfatti.

Il modo standard di apprendere prevede modelli mentali orribili per insegnare alle persone, come memorizzare le cose. Si dice che Oscar Wilde abbia detto: “L'esperienza è il nome che gli esseri umani danno ai loro errori”. Le persone sono talmente concentrate nell’imparare dagli esperti che dimenticano che coloro che hanno cambiato il mondo non hanno chiesto il permesso per farlo; l'hanno fatto e basta. Le persone vogliono un eroe che risolva tutti i loro problemi, ma la verità è che nessuno verrà a salvarvi. Non sto dicendo che non si dovrebbero trovare grandi mentori; è estremamente prezioso poter ascoltare coloro che sono diventati esperti nei loro campi per imparare. Sto dicendo che non si dovrebbero adorare come dei qugli uomini che all'apparenza non commettono errori. Basta guardare Sam Bankman-Friend, che molti pensavano fosse un eroe.

Unhinged text messages from SBF shared with a VOX reporter. He is still in denial. His biggest regret is "filing for chapter 11" bankruptcy. i.e. "someone else is in charge of my money and now I can't get new investors and trade my way out of this hole."https://t.co/FLa6H2zutj

— Autism Capital ???? (@AutismCapital) November 16, 2022

Nonostante tutti i contenuti educativi disponibili, la realtà è che la maggior parte delle persone capirà la differenza tra bitcoin sintetici e bitcoin di cui effettivamente si possiedono le chiavi private attraverso una lezione costosa. Quando la maggior parte dei bitcoiner custodirà autonomamente le proprie coin e smetterà di fidarsi ciecamente dei propri eroi, allora vedremo fuochi d'artificio riguardo all'azione del prezzo. Ogni persona è diversa e ha diverse forme di tolleranza al rischio. Per coloro che sono scoraggiati dagli eventi recenti, ricordate una cosa: Roma non è stata costruita in un giorno. A volte l’unico modo per far entrare una lezione nella testa di qualcuno è che soffra il dolore per tale errore.


FTX E I PIANIFICATORI CENTRALI NON SONO TANTO DIVERSI

La cosa interessante nell'aver visto FTX fallire così rapidamente è che la stessa cosa accadrebbe con il nostro sistema finanziario tradizionale se non avessimo le banche centrali che agiscono come prestatori di ultima istanza. FTX ha violato i propri termini di servizio utilizzando i fondi dei clienti per effettuare scommesse, ma il 99,9% del mondo chiude un occhio quando le banche lo fanno perché i loro termini di servizio consentono una riserva frazionaria a norma di legge.

Nel suo libro, “L’azione umana”, Ludwig von Mises scrive:

I ricchi, i proprietari degli impianti già funzionanti, non hanno alcun interesse di classe particolare al mantenimento della libera concorrenza. Si oppongono alla confisca e all’espropriazione delle loro fortune, ma i loro interessi personali sono piuttosto a favore di misure che impediscano ai nuovi arrivati ​​di mettere in discussione la loro posizione. Coloro che lottano per la libera impresa e la libera concorrenza non difendono gli interessi dei ricchi di oggi. Vogliono lasciare campo libero a uomini sconosciuti che saranno gli imprenditori di domani e il cui ingegno renderà più piacevole la vita delle prossime generazioni; vogliono che venga lasciata la strada aperta a ulteriori miglioramenti economici. Sono i portavoce del progresso.

Il miglioramento della tecnologia dovrebbe portare a una massiccia deflazione derivante dagli incrementi di produttività, ma norme e monopoli statali lo impediscono. Il sistema bancario a riserva frazionaria crea un ambiente inflazionistico in cui tonnellate di capitale vengono allocate in modo errato. In un libero mercato, la maggior parte delle banche commerciali diventerebbe insolvente.

FTX ha cercato di creare il proprio monopolio sulla riserva frazionaria facendo pressione sul Congresso e di creare un fossato normativo attorno alle sue attività che avrebbe reso impossibile per i concorrenti competere nell'ecosistema. Il mondo è fortunato che FTX sia saltato in aria prima che riuscisse a farsi strada ulteriormente attraverso Washington.

Mises aveva ragione: non saranno gli operatori storici a creare un futuro più gradevole, ma gli imprenditori e le idee che competono in un libero mercato. Bitcoin ha oltre 10.000 concorrenti e tal numero cresce ogni giorno. Secondo me molti di questi token, se non tutti, sono schemi Ponzi, ma l’idea che Washington possa fare un lavoro migliore nel deciderlo rispetto al libero mercato è ridicola.

Capisco che la regolamentazione sia difficile quando la tecnologia cambia le cose a ritmi così rapidi. Il piccolo pezzo di vetro che abbiamo in tasca ci permette di chiedere un passaggio, ordinare cibo o ascoltare alcune delle più grandi menti del pianeta ogni volta che vogliamo. Tutte queste cose sarebbero sembrate magiche magiche a qualcuno che ha vissuto prima della creazione degli smartphone. Ci saranno degli intoppi lungo il percorso mentre l’umanità cerca di fare i conti con questi nuovi strumenti ed è il motivo per cui voglio ricordare questa citazione di Hal Finney.

Nonostante tutte le meraviglie che la tecnologia può regalare all’umanità, può anche portare a un livello di controllo completamente nuovo. Mercati liberi portano alla scoperta ottimale dei prezzi; troppa pianificazione centralizzata e i mercati inizieranno a rompersi. La determinazione dei prezzi in un libero mercato è come una funzione hash: prende input di dati e genera un output che va solo in una direzione.

Con un hash normale, l'algoritmo funziona in modo tale che sia impossibile effettuare il calcolo inverso dei dati. Si può verificare un hash assicurandosi che lo stesso output sia ottenuto in base all'input, ma non si può prendere l'output e capire l'input. Allo stesso modo un libero mercato imposterà il prezzo di un bene, ma non è possibile capire come tutta la manodopera, il lavoro, i viaggi e altre variabili abbiano creato il prezzo di quel bene. La funzione va solo in una direzione.

Gli attori del mercato si arrabbiano quando la variabile coercizione viene aumentata e si verificano aumenti dei prezzi. La colpa viene generalmente attribuita ai produttori piuttosto che ai pianificatori centrali che causano tali problemi. Non vi suona familiare? Come dire che il governo degli Stati Uniti bacchetta le avide compagnie di combustibili fossili per aver aumentato i prezzi e allo stesso tempo sostiene la fine dell’uso dei combustibili fossili. Se vengono imposti controlli sui prezzi, la determinazione dei prezzi fallisce completamente, con conseguenti carenze. Fino a quando la creazione di denaro sarà strettamente intrecciata con la politica, questi problemi continueranno ad essere presenti.


ORA BITCOIN È PIÙ IMPORTANTE CHE MAI

Con l’introduzione delle valute digitali delle banche centrali (CBDC) e delle identità digitali, non è mai stato così importante sottolineare perché Bitcoin è la soluzione. Bitcoin consente agli individui d'intraprendere il viaggio di un eroe attraverso il quale possono conservare il valore del proprio lavoro. Le CBDC e le ID digitali offrono agli stati gli strumenti per controllare la politica monetaria a livello individuale, essere al centro di ogni transazione e censurare i fondi delle persone come ritengono opportuno.

Bitcoin offre un sistema migliore, un sistema che nessuno può imbrogliare se vuole essere in accordo con il resto della rete. Preston Pysh lo ha detto bene: “Bitcoin è come la pietra dell’infinito”. Ci vuole molta fiducia per usare un asset che ha subito diversi ribassi dal 70% al 90% prima di recuperare e raggiungere nuovi massimi storici. Non molti riescono a cosnervare i propri bitcoin, ma coloro che lo fanno per lunghi periodi di tempo vengono ampiamente ricompensati.

Gli effetti di rete di Bitcoin sono pazzeschi. Esiste un sito web che paga alle persone 21.000 satoshi per attaccare un adesivo che viene loro spedito. Pensateci: potete guadagnare sat e aumentarne il valore contribuendo ad aumentare la consapevolezza. Bitcoin è pieno di questi scenari vantaggiosi per tutti. La tecnologia è entusiasmante, ma la passione che vedo nei bitcoiner nella vita reale è diversa da qualsiasi cosa abbia mai visto prima.

Bitcoin come tecnologia, nuova forma di denaro e idea stanno portando speranza agli esseri umani di tutto il mondo, dato che gli stati hanno il monopolio della violenza. Bitcoin consente all’individuo di reagire come mai prima d’ora. Ci saranno difficoltà crescenti lungo il percorso e maggiori turbolenze nel breve termine per coloro che sono ossessionati dalla misurazione delle cose in valute fiat. Il modo per risolvere questo problema è orientarsi attorno al nuovo sistema.

Le possibilità che emergeranno da questa rinascita del Bitcoin sono infinite. Capire cosa significhi questa nuova forma di denaro è difficile, perché il mondo è pieno di tanti paradossi. Man mano che imparate, diventate più intelligenti ritrovandovi con più domande. I monopoli hanno dato vita ad alcuni dei periodi più prosperi e tecnologicamente avanzati della civiltà umana, facendo allo stesso tempo sembrare “1984” di George Orwell un percorso molto plausibile per il futuro. Internet connette le persone come mai prima d’ora e, allo stesso tempo, la solitudine è in aumento. L'aumento del prezzo è associato all'avidità ed è ciò che inizialmente attrae le persone verso Bitcoin, ma molti rimangono perché si rendono conto che è il vero movimento di un altruismo efficace. Questi paradossi sono un po’ complicati, ma penso che si possa trarre valore dal metabolizzare tali idee.

Può essere facile impantanarsi con tutta l'emorragia in corso nel mondo fiat. Bitcoin è il cerotto per curarla. Mi dà molta fiducia sapere che i miei soldi sono protetti da software e matematica open source piuttosto che da 12 individui che decidono quando è giusto rubare e quando è il momento di praticare l’austerità fiscale.

Sono felice che la FED abbia finalmente deciso di fare la cosa giusta per l’economia, ma ha manipolato il costo del capitale per così tanto tempo che ora rischia di distruggere l’intero sistema. Il problema è che l’unica altra opzione è abbassare nuovamente i tassi, il che provocherebbe ulteriori emorragie attraverso l’inflazione. Bitcoin offre all’umanità una via d’uscita da questo paradosso in cui i pianificatori centrali cercano di tamponare l’emorragia prelevando più sangue dal paziente. Ogni volta che i pianificatori centrali manipolano il costo del capitale diventa sempre più chiaro che gli attori di mercato stanno giocando a un gioco truccato; Bitcoin è il gioco più giusto che l’umanità abbia mai creato e la migliore possibilità che abbiamo di separare denaro e stato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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L'ennesima lettura distorta del BLS riguardo le cifre dell'inflazione

Freedonia - Mer, 21/02/2024 - 11:09

 

 

di David Stockman

A volte pensiamo che i dirigenti del BLS e di altri centri statistici governativi abbiano avuto una precedente carriera nella vendita di terreni paludosi in Florida. Spesso vogliono farvi credere cose assolutamente assurde, come la loro ultima relazione secondo cui la battaglia contro l'inflazione è stata vinta, con il deflatore PCE arrivato a un tasso annuo dell'1,65% nel quarto trimestre.

Quindi con il genio dell’inflazione presumibilmente tornato nella lampada del 2,00%, la FED dovrebbe affrettarsi a rimettere in moto la stampante monetaria, e al più presto.

Malgrado ciò la straordinaria scomparsa dell'inflazione riportata nel deflatore PCE ha bisogno di alcune “spiegazioni”, dato che tale lettura consisteva in alcune sottocomponenti abbastanza discordanti.

Cambiamenti nelle componenti del deflatore PCE annuo nel quarto trimestre 2023: 

• Beni durevoli: -3,52%

• Servizi: +3,42%

• Beni non durevoli: -1,03%

• Deflatore PCE complessivo: +1,65%

Si suppone che un indice d'inflazione basato su un paniere di voci abbia componenti che vanno in tutte le direzioni. E, infatti, il vero compito dei prezzi in un libero mercato è quello di consentire alla domanda di spostarsi in risposta alle variazioni dei prezzi relativi tra beni e servizi disponibili.

Ma ecco il punto: l'unico vero strumento anti-inflazione della FED consiste nel modificare il tasso d'interesse del mercato monetario sulla base della teoria che ciò causerà un flusso/riflusso della domanda aggregata. A sua volta, poi, quest’ultima farà lievitare il tasso d'inflazione verso l’alto o verso il basso.

In termini metaforici, l’economia americana è concepita dai banchieri centrali come l’equivalente di una gigantesca vasca da bagno: quando quest’ultima è piena fino all’orlo, o trabocca di “domanda aggregata”, le pressioni inflazionistiche s'intensificano finché la FED non drena l’eccesso. E, al contrario, quando il livello dell’acqua è basso, la FED pretende di “stimolare” l'economia letargica con l’obiettivo di ripristinare la piena occupazione.

Ahimè, queste sono tutte sciocchezze. La macroeconomia è guidata da miliardi di prezzi per unità di beni, servizi, lavoro, capitale, terra, tecnologia, ecc., non da aggregati astratti come il “consumo” delle famiglie o gli “investimenti” delle imprese.

I flussi associati a $27.000 miliardi di attività economica nella vasca da bagno degli Stati Uniti vengono deviati, incanalati e modulati in modo alquanto imprevedibile da miliardi di prezzi e transazioni tra fattori economici; e sono anche soggetti alle macchinazioni delle altre banche centrali, che, a loro volta, sono mediate attraverso il flusso mondiale di beni e servizi scambiati, nonché di capitali e finanza.

Più nello specifico, il problema in termini di tassi d'inflazione di breve periodo è che la stragrande maggioranza dei beni durevoli viene importata, mentre la maggior parte dei servizi viene fornita a livello nazionale e riflette in gran parte salari e costi interni. Di conseguenza le operazioni di pompaggio della domanda aggregata dovrebbero presumibilmente avere un impatto sui prezzi dei servizi piuttosto che su quelli dei prezzi dei beni durevoli, e in alcuni casi (come i giocattoli importati) quasi nullo.

Sebbene la FED abbia schiacciato il freno da marzo 2022, quando è entrata ufficialmente in modalità lotta all’inflazione, da allora il deflatore PCE per i servizi (linea rossa) è salito di un robusto +8,7%.

Infatti dopo sette trimestri di cura contro l’inflazione, la componente del deflatore PCE più direttamente sulla linea del fuoco monetario della FED ha accelerato. Proprio così. Durante i sette trimestri precedenti alla brusca frenata della FED nel marzo 2022, il deflatore PCE per i servizi stava salendo a un ritmo annuo del 4,23%; in risposta al tonico anti-inflazione della FED, il tasso di aumento annuo è salito al 4,88% nei sette trimestri successivi.

Né è l'unico ooops! Quando si tratta della componente del deflatore PCE che la domanda aggregata può raggiungere solo indirettamente – quella per i beni durevoli (linea blu) fabbricati in Cina e in altre economie di esportazione a basso salario – l’indice dell'inflazione ha subito una violenta inversione: dopo essere aumentato a un ritmo annuo del +7,09% nei sette trimestri fino al primo trimestre del 2022, da allora si è invertito calando annualmente del -0,92%.

Inoltre il deflatore PCE per i beni non durevoli (linea viola) si è posizionato nel mezzo, aumentando a un ritmo annuo del +3,27% negli ultimi sette trimestri. Questa componente comprende energia, prodotti alimentari e altre materie prime, anch’esse in gran parte acquistate e prezzate a livello globale e al di là dell’impronta di controllo della FED, ma ovviamente soggetti a forze diverse rispetto agli apparenti fattori deflazionistici che influiscono sul mercato mondiale dei beni durevoli.

In breve, stiamo parlando di un periodo intermedio di 21 mesi che coincide direttamente con la brusca svolta della FED verso la stretta monetaria, eppure il risultante tasso di aumento annuo del 3,83% nel deflatore PCE complessivo (linea nera) durante tale periodo era essenzialmente il prodotto matematico casuale di:

• elevata inflazione dei servizi interni che la FED non è riuscita a ridurre materialmente;

• disinflazione dei beni durevoli originata dalle economie di esportazione straniere, dove la presunta riduzione della domanda aggregata da parte della FED ha rappresentato solo un fattore minore nell'equazione.

Quindi il grafico qui sotto smentisce la presunta vittoria sull’inflazione. Gran parte del miglioramento del deflatore PCE è dovuto ai beni importati, non alla presunta contrazione della domanda interna rispetto all’offerta interna secondo le sciocchezze della curva di Phillips.

A dire il vero, i vertici della FED vorrebbero rivendicare il merito di un deflatore PCE leggermente in calo grazie al calo dei prezzi dei beni durevoli, ma per quanto ne sappiamo non hanno ancora stabilito alcun tipo di linea di swap sull’inflazione con la Banca popolare cinese! O con una qualsiasi delle altre banche centrali, come quella del Vietnam, della Corea del Sud, del Messico, ecc., le cui economie ospitano la produzione dei beni durevoli importati negli Stati Uniti negli ultimi trimestri.

In altre parole la FED non è diventata improvvisamente risoluta riguardo al ritmo dell’inflazione dopo il marzo 2022. È stata semplicemente fortunata!

E questa non è nemmeno la metà della storia. Non solo gli “strumenti” della FED non sono adatti allo scopo quando si tratta di inflazione e delle altre forze che influenzano il PIL nazionale, ma è in dubbio anche se i suoi dati sull’inflazione stiano misurando qualcosa di più del semplice rumore dei prezzi.

Dopotutto il grafico del deflatore PCE riportato di seguito è dannatamente difficile da spiegare: la linea viola indica che il livello dei prezzi dei beni durevoli nell’economia statunitense è ora inferiore del 28% rispetto al primo trimestre del 1991!

Non ce lo stiamo inventando. Il fattore che ha continuamente assicurato ai nostri pianificatori monetari centrali che l’inflazione non fosse un problema – la componente dei beni durevoli nel deflatore PCE – sfida letteralmente l’esperienza comune e il buon senso. Non c’è la minima possibilità che i prezzi dei beni durevoli siano oggi quasi un terzo più bassi – dopo anni di dilagante stampa di denaro da parte delle varie banche centrali – rispetto a trent'anni fa.

Deflatore PCE per beni durevoli rispetto all’indice IPC per beni durevoli, dal 1991 al 2023

E già che ci siamo, potremmo far notare che gli ex-venditori di terreni paludosi della Florida che ora gestiscono il BLS credono che non ci siano limiti alla creduloneria di chi li ascolta. Il grafico qui sopra mostra anche una correlazione assolutamente impossibile: in 32 anni l'IPC per i beni durevoli è salito del +8%, mentre il metro di misura per gli stessi beni durevoli da della FED si è ridotto del -28 %.

Il fatto è che nessuna di queste linee potrebbe essere lontanamente vera. Il peso maggiore negli indici dell'inflazione dei beni durevoli spetta alle auto nuove e usate, che per decenni si sono mossi di pari passo.

L'indice Mannheim dei veicoli usati, che riflette i prezzi d'asta onesti per decine di milioni di veicoli ogni anno, è quasi altrettanto valido quando si tratta di misurare l'inflazione dei veicoli. Ed è di gran lunga migliore rispetto agli indici manipolati, imputati, stimati e torturati algebricamente del BLS.

Il grafico seguente afferma che i prezzi reali dei veicoli nel mondo sono aumentati del 102% solo a partire dal 1998. E in tal periodo l’indice dei prezzi al consumo per i veicoli nuovi è aumentato appena del 20%!

Si può dire edonica? Eppure non è tutto. La componente del prezzo dei veicoli nel deflatore PCE per i beni durevoli è implicitamente crollata, un fenomeno che nessun singolo acquirente americano di automobili ha sperimentato negli ultimi tre decenni.

Quindi sorgono due domande:

  1. La FED dovrebbe stampare denaro sulla base di un presunto deflatore PCE addomesticato?
  2. La FED dovrebbe occuparsi del trade-off della curva di Phillips e della gestione macroeconomica?

Le risposte “No” e “No” ovviamente sono sufficienti. E ad alta voce.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Perché Israel Kirzner merita il premio Nobel

Von Mises Italia - Ven, 07/04/2017 - 08:36

Nell’autunno del 2014 hanno iniziato a circolare le voci secondo le quali il professor Israel Meir Kirzner (classe 1930 economista, rabbino britannico naturalizzato statunitense ed esponente della scuola austriaca), insieme a William Baumol (classe 1922, economista statunitense, professore alla New York University e alla Princeton University), erano possibili candidati per il premio Nobel. La fonte del rumor era la Thomson-Reuters la società di database scientifico – e alla base della voce erano i modelli di citazione. Anche se è un database diverso, ma solo per facilità di ricerca ai lettori di questo saggio, in modo che possano verificare la presenza di se stessi, una ricerca su Google Scholar sarà sufficiente a fornire una certa prospettiva sull’impatto scientifico in fase di registrazione da Baumol e Kirzner. I rilevanti contributi di Baumol sono i seguenti:

  • “Entrepreneurship: Productive, Unproductive, and Destructive.” Journal of Political Economy 98(5) 1990: 893-921 con 4.641 citazioni;

  • Contestable Markets and The Theory of Industry Structure. New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1982 (coauthored with John C. Panzar, and Robert D. Willig) con 6.454 citazioni;
  • “Contestable Markets: An Uprising in the Theory of Industry Structure.” The American Economic Review 72(1) 1982: 1-15 con 2.455 citazioni;
  • “Entrepreneurship in Economic Theory.” The American Economic Review 58(2) 1968: 64-71 con 1.581 citazioni.

I contributi rilevanti di Kirzner dovrebbero includere:

  • Competition and Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1973 con 7.550 citazioni;

  • “Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process: An Austrian Approach.” Journal of Economic Literature 35(1) 1997: 60-85 con 3.273 citazioni;

  • Perception, Opportunity, and Profit: Studies in the Theory of Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1979 con 2.604 citazioni. (1)

Confronta questi numeri con i precedenti premi Nobel, come F.A. Hayek, il cui “l’uso della conoscenza nella società” ha raccolto 13.935 citazioni e opere come La via della schiavitù e la costituzione della libertà, che sono stati citati più di 8.000 volte ciascuno. Al famoso “Il ruolo della politica monetaria” di Milton Friedman poco più di 7.000 citazioni e la sua Storia monetaria degli Stati Uniti (coautore con Anna Schwartz – 1915-2012 economista americana al National Bureau of Economic Research di New York City) appena sotto le 8.000. Di James Buchanan (1919-2013 economista statunitense) Il Calcolo del consenso (coautore con Gordon Tullock – 1922-2014 economista) è stato citato più di 10.000 volte, ma il suo saggio seguente più citato è: “La teoria economica dei clubs” che ha raccolto poco più di 3.800 citazioni.

Quindi le voci non erano incredibili sulla base dei criteri della Thomson-Reuters. E Baumol e Kirzner erano già stati riconosciuti in Svezia con il Premio Internazionale per l’Imprenditorialità e la Ricerca sulle piccole imprese e per il loro lavoro nel campo dell’imprenditoria. Così, ancora una volta, le voci erano (sono) plausibili, anche se, naturalmente, improbabili – soprattutto per quanto riguarda Kirzner, dato il suo status di outsider. Ahimè, né Baumol né Kirzner hanno ricevuto la telefonata quel giorno dell’ottobre nel 2014.

Ho intenzione di utilizzare questa occasione per fornire alcuni motivi per chiedere di avere, e speriamo, ricevere quel riconoscimento da parte della Svezia, in particolare perché i contributi di Israel Kirzner alla nostra comprensione del comportamento concorrenziale, della struttura industriale e del processo del mercato imprenditoriale dovrebbero essere riconosciuti. Vorrei anche dimostrare che il lavoro di Kirzner fornisce una piattaforma per la ricerca futura alla teoria dei prezzi ed al sistema di mercato più in generale. (2)

L’aspetto dei contributi che voglio sottolineare sono le intuizioni di Kirzner sulla naturale rivalità del comportamento concorrenziale e del processo di mercato. Egli ha sollevato le questioni fondamentali per l’analisi della teoria del mercato ed il funzionamento del sistema dei prezzi, che è alla base stessa della scienza economica. I suoi scritti sul comportamento economico, in tutta la loro varietà e complessità, esplorano l’ambiente istituzionale che consente una economia di mercato per realizzare i vantaggi reciproci dal commercio, per ritrovare continuamente i guadagni da innovazione, per produrre un sistema caratterizzato dalla crescita economica e per la creazione di ricchezza.

L’interesse personale e la Mano Invisibile

La scienza economica fin dalla sua nascita si compone di due affermazioni che devono essere conciliate l’uno con con l’altra: il postulato dell’interesse personale e la spiegazione della mano invisibile. Da Adam Smith in avanti molti hanno spiegato il rapporto del collassare, uno sull’altro, attraverso i rigorosi presupposti cognitivi e postulando un ambiente privo di attrito o hanno cercato di dimostrare l’impossibilità di far quadrare queste due affermazioni a causa di carenze cognitive o di una varietà di attriti supposti.

Così i dibattiti di economia politica sul ruolo del governo nell’economia tendevano, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ad accendere ad un assioma dei mercati perfetti o la dimostrazione di deviazioni da quella ideale a causa di mercati imperfetti. Kirzner, fin dall’inizio della sua carriera, ha dovuto affrontare obiezioni alle spiegazioni della mano invisibile associate a domande riguardanti la razionalità umana, l’esistenza del potere del monopolio, la pervasività delle esternalità ed ad una varietà di deviazioni dal libro di testo ideale della concorrenza perfetta.

In due modi gli economisti hanno risposto alle critiche del funzionamento dell’economia di mercato: in primo luogo, la chiarezza concettuale, in cui il teorico insiste sull’illustrare le condizioni di base su cui si stanno facendo affermazioni sulla mano invisibile e dimostrando che le critiche si basavano su fondamenta sbagliate; in secondo luogo, dalla dimostrazione che le deviazioni dalla nozione dal manuale ideale della concorrenza perfetta, non necessariamente, impediscono al sistema dei prezzi, di fare il proprio lavoro, di coordinare l’attività produttiva di alcuni i modelli di consumo con degli altri e la spiegazione della teoria della mano invisibile del mercato risulta dalla ricerca del proprio interesse all’interno di un certo insieme di condizioni istituzionali. Tali condizioni istituzionali sono stabilite dalle leggi di proprietà e di contratto che sono fissate e applicate e che costituiranno il quadro in cui ha luogo l’interazione economica.

Nel lavoro di Kirzner esamineremo entrambe queste risposte alle critiche del mercato. In realtà ha intitolato un saggio relativamente tardi nella sua carriera “I limiti del mercato: il reale e l’immaginato” (1994). La chiarezza concettuale percorre un lungo cammino per correggere un libero pensiero legato alla razionalità umana, all’esternalità, al potere del monopolio, ecc. ed alla forza dei processi di mercato per fornire l’incentivo agli operatori economici di adeguare continuamente il loro comportamento e di adattarsi al mutare delle circostanze per gran parte del rimanente. Lontano dal ribadire una teoria del ricostruito mercato-perfetto, questo approccio Kirzneriano costringe l’analista a guardare con attenzione alle proprietà dinamiche del sistema in quanto è in continua evoluzione verso una soluzione ed il ruolo essenziale è svolto nel quadro della strutturazione del contesto economico.

L’“inefficienza” di oggi è l’opportunità di profitto di domani per l’individuo che è in grado di agire alla situazione e di spostare il sistema in una direzione meno “errata” di prima. E se l’attuale decisore critica e non fa il necessario aggiustamento, un altro lo farà per lui, le risorse saranno reindirizzate, ed un modello di scambio e di produzione emergerà meglio coordinato dai piani dei partecipanti al mercato. Il lavoro di Kirzner volge la nostra attenzione teorica lontano dagli esercizi di ottimizzazione contro il vincolo dei dati e verso gli attori umani attenti e creativi che scoprono continuamente strade per realizzare profitti dal commercio e guadagni dalla innovazione.

Kirzner e Mises

Ludwig von Mises ha stimolato la ricerca intellettuale di Kirzner. Nato in Inghilterra il 13 febbraio 1930, Kirzner e la sua famiglia si trasferirono in Sud Africa nel 1940. Nel 1947 ha frequentato l’Università di Città del Capo, ma poi si trasferì negli Stati Uniti alla fine dell’anno accademico. Dopo la laurea al Brooklyn College, nel 1954, Kirzner decise di conseguire la laurea in economia aziendale, con indirizzo in ragioneria, presso la New York University e nel 1955 ha conseguito il Master in Business Adomistradion. Mentre completava il corso per l’MBA, Kirzner ha cercato un corso più impegnativo, per sua scelta, così ha guardato nell’elenco della facoltà i professori che avevano pubblicato molti libri ed erano stati premiati con prestigiosi riconoscimenti. Capitò sul nome di Ludwig von Mises. Lui ha raccontato la sua storia innumerevoli volte; i compagni e gli amministratori lo avvertirono di non frequentare quel corso perché dicevano che Mises era vecchio e non più al passo con i tempi.

Ma Kirzner frequentò, comunque, il corso che ha cambiato la sua vita. Nello stesso semestre stava seguendo la teoria dei prezzi, utilizzando La teoria del prezzo di Stigler (1952) e imparando a distinguere fra la scelta entro i vincoli e la logica della concorrenza perfetta; nel seminario di Mises stava leggendo l’Azione umana (Human Action), portando a conoscenza l’agonia umana del processo decisionale in mezzo a un mare di incertezze e che il mercato non era un luogo o una cosa, ma un processo. Le idee di Mises lo incuriosivano e conciliando ciò che stava imparando da Stigler con quello che stava apprendendo da Mises hanno scatenato la sua immaginazione intellettuale. E’ cambiato il suo percorso: dalla carriera di contabile professionista a quella di economista accademico. In un primo momento Mises, che ha riconosciuto il potenziale di Kirzner, gli raccomanda di andare alla Johns Hopkins University e lavorare con il più giovane, il più professionale ed inserito tra gli economisti accademici contemporanei: Fritz Machlup (1902-1983 economista austriaco). Mises ha persino organizzato una borsa di studio per Kirzner. Ma Kirzner ha scelto di rimanere, fino alla fine, alla New York University sotto la direzione di Mises ed il suo dottorato di ricerca in economia è stato premiato nel 1957. In quel periodo ha ricevuto la nomina a professore di economia alla New York University e ha insegnato fino al suo pensionamento nel 2000.

Il primo libro di Kirzner è stato: Il punto di vista economico (1960), sviluppato dal suo dottorato di ricerca come tesi di laurea. Bettina Bien Greaves (classe 1917), della Fondazione per l’Educazione Economica, ha frequentato regolarmente il seminario di Mises alla New York University e ha preso accurati appunti nel corso degli anni. Un aspetto di quelle note erano le idee di ricerca che Mises avrebbe tirato fuori dal corso. La prima idea del genere la annotò il 9 novembre 1950 ed era: “Hai bisogno di un libro sull’evoluzione dell’economia, come scienza della ricchezza, ad una scienza dell’azione umana”. (3) Questo argomento è quello che Kirzner ha analizzato nella sua tesi e nel libro successivo. Il punto di vista economico attentamente e meticolosamente annotato nello sviluppo del pensiero economico, concentrandosi sul significato che gli economisti hanno annoverato nel loro soggetto: dai classici (scienza della ricchezza) ai moderni (scienza dell’azione umana). Il capitolo chiave del libro cerca di elaborare lo sviluppo della prasseologia di Mises.

L’importanza della prasseologia di Mises

Kirzner sostiene tutti i contributi unici di Mises nei vari campi della teoria economica, perché sono il risultato di uno sviluppo coerente della prospettiva prasseologica sulla natura della scienza economica. “Se la teoria economica, come la scienza dell’azione umana, è diventata un sistema per mano di Mises, essa è così perché la sua comprensione, del suo carattere prasseologico, impone le sue proposizioni in una logica epistemologica che di per sé crea questa unità ordinata” (Kirzner, il punto di vista economico, p. 160).

L’economia, come il ramo più sviluppato della prasseologia, deve iniziare con la riflessione sull’essenza dell’azione umana. “Lo scopo non è qualcosa che deve essere semplicemente ‘preso in considerazione’: esso fornisce l’unica base del concetto di azione umana” (ibid., p. 165) … I teoremi dell’economia, vale a dire, i concetti di utilità marginale, di costo dell’opportunità ed il principio della domanda e dell’offerta, sono tutti derivati dalla riflessione sulla finalità dell’azione umana. La teoria economica non rappresenta un insieme di ipotesi verificabili, ma piuttosto un insieme di strumenti concettuali che ci aiutano nella lettura del mondo empirico.

Ciò che rende unico delle scienze umane, in contrasto con le scienze fisiche, è che il punto essenziale del fenomeno, oggetto dello studio, sono gli scopi umani ed i programmi. Come studente di Mises, Fritz Machlup una volta ha posto la seguente domanda: “Se il soggetto potesse parlare, cosa direbbe?” Lo scienziato umano può attribuire il risultato ai fenomeni in discussione. In realtà egli deve assegnare lo scopo umano se vuole rendere tali fenomeni oggetto di indagine intelligibile. Possiamo capire che i pezzi di metallo e la carta cambiano la funzione alle mani, come il “denaro”, è causa delle finalità e dei piani che noi attribuiamo alle parti negoziali. Lo scienziato umano può e, anzi deve, basarsi sulla conoscenza delle tipizzazioni ideali di altri esseri umani.

Siamo in grado di capire il comportamento mirato dell’“altro”, perché noi stessi siamo umani. Questa conoscenza, denominata “conoscenza dal di dentro”, è unica per le scienze umane ed è stato un disastro totale cercare di eliminare il ricorso ad essa importando i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali per creare la “fisica sociale”. Gli scienziati hanno dimenticato che, mentre era opportuno eliminare l’antropomorfismo dallo studio della natura, sarebbe del tutto indesiderabile eliminare l’uomo, con i suoi scopi ed i suoi progetti, dallo studio dei fenomeni umani. Un tale esercizio comporta risultati nel “meccano-morfismo” delle scienze umane (dottrina in cui l’universo è completamente spiegabile in termini meccanicistici), vale a dire, attribuendo un comportamento meccanico ai soggetti umani creativi. In una situazione del genere si finisce per parlare del comportamento economico dei robot, non degli uomini. Ma questo è esattamente quello che è successo nel dopoguerra, quando l’“economia” è stata studiata come un meccanismo astratto in contrasto con l’arena in corso dove fuori si gioca l’impegno degli individui per migliorare la loro condizione.

Il processo di mercato ed il costante cambiamento

Come sottolineato da Mises, F.A. Hayek, Kirzner ed anche da James Buchanan, nel suo più famoso saggio “Cosa dovrebbero fare gli economisti? ” (1964), l’economia non ha alcuna teleologia in quanto tale, ma gli attori all’interno dell’economia, in effetti, hanno le loro teleologie individuali. E’ fondamentale per comprendere la natura dell’economia di mercato, dal momento che una diversità di obiettivi e di programmi sono perseguiti e soddisfatti da altri; potenziali conflitti sono riconciliati attraverso lo scambio e nuovi modi di perseguire e soddisfare sono costantemente scoperti da imprenditori creativi ed attenti. L’economia non ha un unico fine; non ha uno “scopo”. E’ invece solo un “mezzo-correlato”, un “nesso di scambi volontari”. Il mercato è sempre in sviluppo, sempre in evoluzione verso una soluzione e non in nello stato finale di rilassamento.

In misura considerevole, questo è quello che voleva dire Mises quando ha detto che il mercato non è un luogo o una cosa, ma un processo. E ciò che anima questo continuo processo di scambio e di produzione è l’intenzionale protagonista umano – con tutti le sue debolezze e le sue paure, così come la sua immaginazione ed il coraggio di progettare l’inesplorato. L’attore Misesiano non è né un animale puramente reattivo, né una macchina calcolatrice fredda, ma invece è tipicamente un protagonista umano, che ha obiettivi e che cerca di utilizzare in modo creativo, con i mezzi a disposizione, di conquistare questi obiettivi in un mondo di incertezza e di ignoranza ed è in grado di apprendere, attraverso il tempo, i passi falsi precedenti e le svolte sbagliate.

Il cambiamento è un tema costante negli scritti di Mises – i cambiamenti dei gusti, della tecnologia e della disponibilità delle risorse. L’aspetto meraviglioso del sistema dei prezzi è la sua capacità di assorbire il cambiamento: il ruolo guida dei prezzi relativi, il richiamo del puro profitto e la disciplina della perdita per reindirizzare i responsabili delle decisioni economiche, così che i loro piani di produzione e le loro richieste di consumo irretite dalla nuova realtà. E’ importante sottolineare che questo processo è in corso, o come Mises mise scrive nell’originale saggio del 1920, “Il calcolo economico nel Commonwealth socialista”, il sistema dei prezzi fornisce una guida in mezzo alla “massa sconcertante di prodotti intermedi e la potenzialità di produzione” (1975 [1920]: 103) e consente ai decisori economici di negoziare l’incessante “faticare e sgobbare” (lavorare sodo) (1975 [1920]: 106) dell’adeguamento costante del mercato e dell’adattamento al mutare delle circostanze.

Kirzner nel documento del 1967, “La metodologica dell’individualismo, l’equilibrio di mercato ed il processo di mercato”, persegue le implicazioni del senso di Hayek sull’esito dei problemi economici, come conseguenza del mutare delle circostanze. Come Kirzner dice: “Questo è il carattere fondamentale del processo di mercato messo in moto con l’esistenza di una situazione di disequilibrio. L’elemento cruciale è la scoperta dell’errore e la conseguente riconsiderazione, da parte degli operatori, della vera alternativa ora apertasi. Il processo di mercato procede per comunicare la conoscenza. Il presupposto importantissimo è che gli uomini imparano dalle loro esperienze di mercato “(il corsivo è originale, 1967: 795). Questa è una descrizione che può prima essere vista nel suo articolo “l’azione razionale e la teoria economica” nel Journal of Political Economy del 1962, ma in seguito più completamente sviluppato nel suo Competition & Entrepreneurship (1973). La sua insistenza in ognuna di queste opere è il decisore umano, che è più della pura massimizzazione dell’omo-economicus, ma una creatura homo-agens più aperta e quindi l’imprenditore creativo ed attento agisce sulle lacune del sistema che si riflettono nello stato di disequilibrio delle cose.

Kirzner ne: La teoria del mercato ed il sistema dei prezzi, afferma: “Abbiamo visto che se un mercato non è in equilibrio questo deve essere il rilevante risultato di impreparazione da parte degli operatori di informazioni sul mercato. Il processo di mercato, come sempre, svolge le sue funzioni incidendo su quelli che prendono decisioni, quegli articoli essenziali di conoscenza che sono sufficienti per guidarli a prendere decisioni come se possedessero la completa conoscenza alla base dei fatti”. (tratto dall’originale, 2011 [1962 ]: 240)

Kirzner Nel significato del processo di mercato, delineerebbe l’importante distinzione tra le variabili sottostanti del mercato (i gusti, la tecnologia e la disponibilità di risorse) e le variabili indotte del mercato (prezzi e utili/perdite contabili) e ha spiegato come il processo di mercato possa essere descritto come l’attività continua che deriva da individui su entrambi i versanti del mercato e che cercano di soddisfare i loro programmi per l’ottimizzazione (1992: 42). Quando i piani di produzione, di cui alcuni perfettamente a coda di rondine (che collimano), con i piani dei consumi degli altri e le variabili indotte e sottostanti sono coerenti tra loro. Se non esiste coerenza reciproca, avremo la continua attività economica perché sarà nell’interesse delle parti di proseguire nella ricerca di una situazione migliore di quanto non si stia attualmente realizzando.

I segnali di profitto e l’imprenditorialità

I prezzi relativi ci guidano nel processo decisionale; i profitti ci invogliano nelle nostre decisioni e le perdite puniscono le nostre decisioni. Questo è il modo in cui il sistema dei prezzi imprime su di noi gli elementi essenziali della richiesta di conoscenza per il coordinamento del programma. O, come Kirzner vorrebbe riassumere il senso nel Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process” (La scoperta imprenditoriale ed il processo del mercato competitivo ndt): “Il processo imprenditoriale è così messo in moto ed è un processo che tende verso una migliore conoscenza reciproca tra i partecipanti al mercato. Il richiamo di puro profitto in questo modo imposta il processo attraverso il quale, il profitto puro, tende ad essere concorrente. La maggiore conoscenza reciproca, tramite il processo di rilevamento imprenditoriale, è la fonte della proprietà equilibrativa del mercato” (Kirzner 1997: 72).

Il contributo teorico di Kirzner offre una risposta ad una delle domande critiche della teoria economica pura – il percorso convergente all’equilibrio, guidato dalle variazioni di prezzo – un problema fastidioso e riconosciuto da Kenneth Arrow (1921-2017 economista, vincitore, assieme a John Hicks, del Nobel per l’economia nel 1972) nel suo saggio del 1959 sulla teoria dell’ aggiustamento dei prezzi, di Franklin Fisher nel Disequilibrium Foundations of Equilibrium Economics (1983) (I fondamenti del disquilibrio e dell’equilibrio in economia) e più recentemente da Avinash Dixit (classe 1944, economista) in Microeconomia: a Very Short Introduction, dove si afferma l’idea di base di analisi dell’offerta e domanda in un equilibrio di mercato: “il problema di questa risposta è che nella logica delle curve della domanda e dell’offerta ogni consumatore e produttore risponde al prezzo dominante, che è al di fuori del controllo di uno di essi. Allora, chi regola, verso l’equilibrio, il prezzo?” (2014: 51)

Kirzner risponde: è l’attenzione dell’imprenditore creativo che agisce sulle lacune dei prezzi e dei costi per realizzare i guadagni dal commercio e gli utili dalla innovazione, che regolano il comportamento del mercato dei partecipanti per coordinare i programmi di produzione con le richieste dei consumi. Il processo di mercato presenta questa tendenza per perseguire i guadagni dal commercio (efficienza di scambio), cercando di utilizzare le tecnologie meno costose nella produzione (efficienza produttiva) e soddisfare le esigenze dei consumatori (l’efficienza del prodotto-mix), ma non è così in modo da pre-conciliare tutti i programmi prima di rivelare un prezzo ed una grandezza vettoriale per liberare tutti i mercati, come in un modello walrasiano, irriducibile dall’equilibrio competitivo generale. Piuttosto lo fa attraverso il continuo processo di scambio e di produzione guidata da aggiustamenti dei prezzi relativi, il richiamo di puro profitto e la punizione della perdita, che conciliano i piani diversi, e spesso divergenti degli attori economici attraverso il processo del mercato stesso.

I mercati scendono sempre a breve dall‘idea astratta di allocazione “efficiente” (o l’ ottimo di Pareto ndt), ma il mercato stesso è adattivo efficiente ed in costante segnalazione per avvertire gli imprenditori di quali modifiche devono essere effettuate e premiare coloro che correttamente le regolano e penalizzare quelli che non lo fanno. I mercati possono ”fallire”, ma la risposta migliore è quella di consentire al mercato di fissare il “fallimento”. Gli sforzi per risolvere i guasti da parte degli attori esterni, al processo in corso di adeguamento del mercato e dell’adattamento, saranno senza aiuto da parte del sistema dei prezzi e, per definizione, la struttura di incentivi che forniscono i diritti di proprietà, la presenza di guida che i prezzi relativi offrono ed il processo di selezione reso possibile effettuata dal calcolo dei profitti e delle perdite.

Di conseguenza, le autorità di regolamentazione devono affrontare alcuni pericoli, come Kirzner ha sottolineato nel suo saggio: “I pericoli del regolamento” (1985 [1979]) correndo il rischio di generare modelli perversi di scambio e di produzione, dai principali imprenditori, in scoperte superflue, piuttosto che in scoperte che meglio coordinino i programmi degli attori economici e, in primo luogo, migliorino i conflitti che originariamente hanno motivato il desiderio di regolamentazione. L’interventismo non è solo controproducente, dal punto di vista dei suoi sostenitori, ma produce anche conseguenze involontarie e indesiderabili in tutto il sistema economico.

Il dinamismo di mercato ed i monopoli

Il lavoro di Kirzner è fondamentale per comprendere le dinamiche del mercato di oggi, come lo era quando gli economisti hanno studiato la prima struttura industriale ed il comportamento concorrenziale. Se si guarda alla struttura del mercato emergente che ha seguito Internet, potrebbe certamente riconoscere la posizione dominante, sul mercato, di Amazon, Apple e Netflix, ma si potrebbe anche avere riconosciuto il grande livello di soddisfazione dei consumatori cointeressati a queste imprese. Nonostante la loro quota di mercato dominante, queste aziende forniscono beni e servizi di qualità a prezzi bassi. E non vi è alcuna aspettativa che queste aziende continueranno ad adoperarsi per fornire prodotti di alta qualità al prezzo più basso. Questo perché si trovano a competere in un mercato contendibile (teoria di William J. Baumol del 1982 ndt).

Prendiamo in considerazione la guerra dei classici browser di una decina di anni fa, Netscape contro Microsoft Internet Explorer. Come può una società monopolistica comportarsi così se il suo prodotto può essere utilizzato per scaricare liberamente i prodotti della concorrenza? Il modello di libro di testo standard della concorrenza perfetta ed il paradigma struttura-condotta-performance, in economia industriale, è costruito su quel modello da manuale, come punto di riferimento, e semplicemente non è in grado di fornire una spiegazione pura per il mercato Internet. I leader di mercato si perdono per strada a meno che essi non continuino ad andare avanti più velocemente per soddisfare ulteriormente le preferenze dei consumatori.

E questo non è solo per il mercato Internet. Si tratta di ogni mercato, una volta che si esamina da vicino il funzionamento storico dei mercati. Questo è come funzionano i mercati, come inteso da Carl Menger, Eugen von Böhm-Bawerk, Mises, Hayek e Kirzner, e penso che si potrebbe sostenere che in modo efficace fu compreso da Smith, Say ed anche Mill. Non è la dimensione delle imprese che conta di più per valutare l’esistenza del potere di monopolio, ma che contano sono le condizioni legali di ingresso. Forse, è importante sottolineare, ancora una volta, la chiarezza concettuale e la robustezza delle risposte alle richieste di fallimento del mercato sulla base del potere di monopolio.

Per quanto riguarda la chiarezza concettuale, in particolare nella tradizione austriaca rappresentata da Murray Rothbard, si sostiene che il potere di monopolio è una conseguenza di un contributo pubblico o di un privilegio. Tuttavia è vero che questa affermazione è la risposta alla robustezza-dei-mercati e potrebbe dimostrare che una società di grandi dimensioni può crescere e possedere una significativa posizione dominante sul mercato in qualsiasi momento, ma proprio perché si trova di fronte della minaccia (reale o immaginaria) dei concorrenti , sarà costretta a comportarsi in modo competitivo, piuttosto che come previsto dal modello di monopolio, se vuole avere qualche speranza di mantenere la sua posizione dominante sul mercato. Le due specie di risposte, ancora una volta, possono andare d’accordo, ma sono distinte. La teoria imprenditoriale del processo di mercato competitivo, di Kirzner, fa impiegare entrambe, ma sottolinea la robustezza del processo di mercato.

E, come riconosciuto dagli economisti classici, come Frank Knight (1885-1972 economista) e Joseph Schumpeter (1883-1950 economista), l’attore centrale nella gestione di questo processo di cambiamento delle circostanze e dell’adattamento a nuove opportunità è: l’imprenditore. La funzione centrale dell’imprenditore è quella di agire sulle opportunità finora non riconosciute per guadagno reciproco – se quelli sono disponibili in forma di opportunità di arbitraggio o di innovazioni tecnologiche che riducono i costi di produzione e di distribuzione o la scoperta di nuovi prodotti in grado di soddisfare la domanda dei consumatori. E’ l’azione imprenditoriale che mette in moto il processo del mercato competitivo e che si traduce negli adattamenti e negli adeguamenti al mutare delle condizioni, in modo che si ottiene il coordinamento complesso di piani economici, si crea ricchezza e si perpetua il progresso economico.

Conclusione

Per queste ragioni, e altro ancora, credo che Kirzner (insieme a Baumol, di cui ho accennato e a Harold Demsetz, che non ho incontrato) abbia fatto più di ogni altro economista moderno vivente per migliorare la nostra comprensione del comportamento concorrenziale e del funzionamento del sistema dei prezzi in una economia di mercato e merita quindi una seria considerazione per il premio Nobel per l’economia. Kirzner ha fornito le sfide fondamentali per l’ortodossia prevalente della concorrenza perfetta, da manuale, e le sue implicazioni non solo per la teoria economica, ma anche per la politica economica.

Il suo lavoro permette di comprendere, in profondità, la natura di come i mercati competitivi per coordinare i piani dei diversi attori economici e delle organizzazioni. Il ruolo fondamentale dei diritti di proprietà degli incentivi da strutturazione, dei prezzi relativi che guidano le decisioni della produzione e del consumo e dei profitti e perdite contabili, come vitali per il processo di calcolo economico, negli affari economici, hanno un posto centrale nel suo lavoro. Così il lavoro di Kirzner fornisce una base economica per la nostra indagine sul sistema politico ed economico più adatto per una società di individui liberi e responsabili.

Note finali

  • (1) I contributi di Kirzner si trovano principalmente nella teoria economica corretta e non nel più vasto campo dell’economia politica e della filosofia sociale. Eppure, come spiegherò in conclusione, le intuizioni di Kirzner sul comportamento competitivo, struttura industriale ed il processo di mercato imprenditoriale hanno implicazioni per la politica economica di una società di individui liberi e responsabili. Questo ha portato Liberty Fund a pubblicare le sue opere complete in 10 volumi, e ho il privilegio, insieme al mio collega Frederic Sautet (classe 1968, economista francese), di servire come l’editor (redattore editoriale) di questi volumi. Fino ad oggi, sono stati pubblicati sei volumi su dieci ed il settimo volume è attualmente in produzione. Pubblicato nel momento in cui scriviamo: Il punto di vista economico (2009 [1960]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,

  • vol. 1; Teoria del mercato e il sistema dei prezzi (2011 [1963]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,

  • vol. 2; Saggi su capitale e interessi (2012 [1967]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,

  • vol. 3; Concorrenza e imprenditorialità (2013 [1973]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,

  • vol. 4; Il soggettivismo austriaco e l’emergere della teoria dell’imprenditorialità (2015) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,

  • vol. 5; e Discovery, Capitalismo, e giustizia distributiva (2016 [1989]) come

  • vol. 6. Le opere complete di Israel M. Kirzner.

Ulteriori quattro volumi sono previsti nei prossimi anni per completare il set di 10 volumi. La mia speranza è che questo saggio stimolerà gli studenti di economia e di politica economica per approfittare di questa iniziativa della Liberty Fund ed apprezzare il contributo di Kirzner a livello metodologico, analitico e ideologico.

(2) Il mio obiettivo è quello di Kirzner, ma per una panoramica e la mia valutazione dei contributi di Baumol alla teoria economica e alla economia politica vedasi il mio saggio con Ennio Piano (Laureato. MBA, con dottorato preso il Dipartimento di Economia alla George Mason University), “Imprenditorialità produttiva ed improduttiva di Baumol dopo 25 anni”, Journal of Entrepreneurship and Public Policy , 5 (2) 2016: 130-44.

(3) Cfr “Argomenti ricerca ha suggerito di Mises, 1950-1968”

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Carta da prestazione occasionale

Von Mises Italia - Mer, 05/04/2017 - 08:26

Correva l’anno 2017 ed il Governo italiano, nel mese di marzo, abolì i voucher, in vista anche di un referendum che si doveva tenere nel mese di maggio dello stesso anno. La motivazione fu quella di non dividere il popolo italiano (?). Le scuse sono sempre di rigore. Certo politici, sindacati, aziende, privati, ma anche utilizzatori si trovarono concordi nell’“eccesso” di utilizzo dei voucher e non sempre in modo ortodosso. L’abolizione creò però un vuoto e ritornò imperante il LAVORO NERO (con tutte le conseguenze che conosciamo). Poi le cose cambiarono ed un bel giorno venne presentato un nuovo tipo di pagamento la:

CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.

Di cosa si trattava? Era semplicemente una carta (di plastica) che si acquistava al Banco Posta, in banca o nelle tabaccherie e veniva rilasciata ad aziende, enti, privati ecc. I fruitori erano come sempre persone alla ricerca di un lavoro temporaneo “pagato” e che li mettesse in grado di poter soddisfare i bisogni più immediati. In pratica sostituiva i voucher. Come funzionava? Più o meno con le stesse modalità del voucher e come diceva il mio Professore di Ragioneria: “CAPITO IL CONCETTO CAPITO TUTTO!”. Ed ecco cosa sfornarono le nuove menti in relazione alla carta di ci sopra:

Ogni CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE può avere un valore di:

10, 20, 50, 100, 200 o 500 euro.

Considerando i vari tagli dettero un anche delle disposizioni:

al lavoratore il 75%:

all’ INAIL 7%, per l’assicurazione contro gli infortuni;

all’INPS 13%, destinati alla Gestione Separata contributi previdenziali:

al concessionario 5%.


Per l’acquisto della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE occorreva aggiungere un importo all’erario.

10% scadenza 7 gg.

20% “ 30 “

30% “ 90 “

35% “ 120 “

… … … …

così facendo era possibile dare una datazione ai tempi di utilizzo.

Per far capire come funzionava fecero questo esempio:

“da tempo un amico che lavorava presso un’impresa edile era senza lavoro. Ora, essendo primavera era il momento giusto per dare una rinfrescata alla casa. Feci fare alcuni preventivi, ma non rientravano nel mio budget. Allora che fare? Mi misi d’accordo con il mio amico per pitturare l’appartamento. Io compro il colore e tu ci metti il resto. Tempo concordato 5 giorni. Prezzo € 500,00 tutto compreso. Con una stretta di mano siglammo l’accordo. Mi recai dal mio tabaccaio sotto casa e acquistai con € 550,00 una CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Diedi al tabaccaio la mia tessera sanitaria e l’importo. Il giorno dopo, quando il mio amico “pittore” si presentò a casa con gli attrezzi attivai la CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Alcuni giorni dopo, terminato il lavoro, il mio amico pittore si presentò al Banco Posta per la riscossione e per pagare alcune bollette. Fine della storia e dell’esempio”.

Che cosa ci ha insegnato questo racconto?

  1. Gli importi possono essere i più vari.

  2. I due soggetti acquirente e fruitore sono “tracciabili” e l’ente erogante, la carta, può controllare se è solo un fatto occasionale o se rientra in una assunzione mascherata.

  3. Il fruitore in caso di incidente è assicurato.

  4. Il fruitore ha i contributi previdenziali versati, anche se io non sono un’azienda.

  5. Gli Istituti previdenziali (INPS e INAIL) sono coinvolti.

  6. L’Erario ha introiti certi nel momento della emissione della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.

  7. Scadenza certa.

  8. Non c’è il LAVORO NERO (o se c’è è parziale), tutto è verificabile.

Non esiste la perfezione nelle cose, ma il buon senso può essere utilizzato per farne buon uso. Il periodo della carta durerà, probabilmente, sino a quando la pluriennale GRANDE RECESSIONE passerà.

LE CARTE DI CREDITO NON FANNO PARTE DELLA MASSA MONETARIA.

NON E’ POSSIBILE EMETTERE TITOLI CHE IMPLICHINO LA STAMPA DI MONETA, QUEST’ULTIMA E’ RISERVATA ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA.

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Alla base della razionalità economica

Von Mises Italia - Lun, 03/04/2017 - 08:21

Il problema economico delle società consiste principalmente nel rapido adattamento ai cambiamenti che intervengono nelle particolari circostanze di tempo e di luogo.

Di conseguenza, è sempre preferibile che le decisioni finali vengano prese da coloro che direttamente conoscono queste circostanze o comunque che vengano prese con la loro attiva collaborazione.

Di qui l’importanza fondamentale della proprietà privata dei mezzi di produzione, sia sulla propria persona che sulle proprie cose: se ciascun individuo non è effettivamente il proprietario di sé stesso e delle proprie cose diviene praticamente impossibile attivare ed utilizzare al meglio la conoscenza dispersa tra le persone.

Proprietà privata dei mezzi di produzione e decentramento decisionale sono quindi intimamente collegati: senza proprietà privata sui propri mezzi di produzione non possiamo avere alcun decentramento decisionale.

In questo contesto, dobbiamo inserire il sistema dei prezzi, ossia quella guida all’azione sociale, quell’informazione necessaria, che serve a coordinare le azioni separate di persone differenti, affinché una società possa essere non soltanto pacifica ma anche davvero produttiva.

Nel calcolo economico non si può evitare di utilizzare un sistema dei prezzi, ma per calcolare razionalmente il valore e dunque per coordinare in maniera tendenzialmente corretta le azioni separate di persone differenti, possiamo fare affidamento solamente sui prezzi di mercato e prezzi di mercato possono emergere soltanto attraverso lo scambio volontario di diritti di proprietà privata.

Di conseguenza, se si desidera orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, vale a dire se si ambisce a favorire le opzioni superiori piuttosto che le opzioni inferiori, rispetto alle preferenze dei consumatori e alle capacità dei produttori, non si può rinunciare alla produzione che avviene in un mercato di scambi volontari di diritti di proprietà privata.

Qualora l’informazione necessaria fosse data non avremo bisogno di prezzi di mercato per orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, ma poiché l’informazione necessaria nel mondo reale non è mai data vi è bisogno dei prezzi di mercato: solo mediante lo scambio volontario di diritti di proprietà privata, infatti, gli agenti economici possono esercitare la loro attività sempre inconclusa e parziale di creazione e scoperta dell’informazione necessaria che trova la sua rappresentazione codificata nei prezzi di mercato.

Prezzi di mercato significano un sistema di prezzi che nasce e si sviluppa in maniera decentralizzata, cioè che non è imposto da alcuna autorità centrale attraverso mandati coattivi.

Prezzi di mercato sono una caratteristica esclusiva di un sistema fondato sul primato della proprietà privata dei mezzi di produzione e non possono in alcun modo essere fatti propri né nei meccanismi né nei risultati da un sistema che ha abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione.

Esiste spontaneamente un mutuo adattamento degli atti dell’agente economico a quelli di tutti gli altri agenti economici: l’agente si adatta ai prezzi di mercato comprando e vendendo ai prezzi di mercato; i prezzi di mercato si adattano all’agente incorporando nella catena dei prezzi le conseguenze delle sue scelte e delle sue decisioni – il locale agisce sul globale e il globale sul locale e ognuno dei due aspetti è, nel contempo, causa ed effetto dell’altro.

L’informazione necessaria quindi non solo non si può considerare data a livello centrale per il suo carattere soggettivo, pratico e disperso, ma nemmeno si genera a livello degli agenti economici individuali se a questi non è permesso di esercitare liberamente la loro attività imprenditoriale e per fare in modo che ciascuno possa esercitare liberamente questa attività occorre riconoscere concretamente come presupposto il diritto alla proprietà privata sui propri mezzi di produzione.

In tal senso, neanche lo sviluppo della programmazione matematica e del più potente dei calcolatori informatici possono sostituire il ruolo imprescindibile svolto dalla proprietà privata nell’implementare il processo sempre inconcluso e parziale di creazione e scoperta dei prezzi di mercato.

Dimostrare, infatti, che alcune equazioni astratte hanno alcune soluzioni altrettanto astratte non significa che queste siano anche di una qualche utilità pratica, in assenza di scambi volontari di diritti di proprietà privata e ciò equivale ad affermare che la pianificazione centralizzata non è in grado di creare e ricreare di continuo e in tempo reale alcuna coordinazione efficace delle azioni individuali.

Un’economia pianificata dunque non può riprodurre meccanismi e risultati dei prezzi di mercato, giacché costi e possibilità di produzione non sono dati e inalterabili nel futuro ma vanno costantemente creati e scoperti e soltanto con gli incentivi di un’economia di mercato si è in grado di mobilitare e di usare in modo funzionale le informazioni diffuse tra gli innumerevoli agenti economici.

Un’economia di mercato è poi tanto più orientata alla prosperità quanto più tutti al suo interno sono liberi di scegliere i propri piani, le proprie preferenze e le proprie azioni, ossia quanto meno la proprietà privata di ciascuno sui propri mezzi di produzione è sottoposta a priori a interferenze coercitive.

In conclusione, se il diritto, inteso come norme giuridiche generali atte a proteggere la proprietà esclusiva di ciascuno, ci offre una guida all’azione sociale che ci dice ciò che non bisogna fare se non vogliamo far esplodere conflitti, il sistema dei prezzi di mercato ci offre invece una guida all’azione sociale che ci dice ciò che bisogna fare per rispondere efficacemente ai bisogni reciproci di tutti gli agenti economici.

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Il protezionismo fa tornare povere le grandi nazioni

Von Mises Italia - Ven, 31/03/2017 - 08:45

Poche le elezioni presidenziali americane avevano attirato tanto interesse e preoccupazione internazionali, come quella nel 2016. Sicuramente, chi viene eletto e si siede alla Casa Bianca a Washington, DC è importante per molte persone in tutto il mondo dal momento che l’America resta un colosso politico, economico e militare influenzando i maggiori ed i minori eventi in tutto il mondo.

Eppure, l’ansia circa la possibilità e quindi la realtà della elezione di Donald Trump quale 45° presidente degli Stati Uniti è unica, almeno nella mia vita. Il suo linguaggio impetuoso, la sua crudezza nell’espressione verbale, il suo rifiuto apparente, durante le primarie repubblicane, di giocare col galateo e le regole del gioco politico standard e poi attraverso la campagna presidenziale che porta al giorno delle elezioni nel novembre dello scorso anno molte persone sono andate fuori di testa, in America e altrove, chiedendosi cosa aspettarsi se Trump dovesse vincere.

Poi venne lo shock della realtà, vincere le elezioni anche dopo che i sondaggisti interpretavano le preferenze del pubblico e gli esperti pontificavano sulla “impossibilità” che l’America scegliesse Trump. Sono stati tutti smentiti la sera dell’8 novembre 2016. I voti sono stati conteggiati ed è subito parso chiaro che Donald Trump aveva vinto con i voti necessari nel Collegio Elettorale Americano (American Electoral College) rivendicando la vittoria, anche su Hillary Clinton, guadagnando quasi tre milioni di voti in più dei popolari.

La negazione e la rabbia al trionfo di Trump

Si dice che ci sono diverse fasi del dolore umano dopo una grande perdita personale. La negazione è la prima, seguita dalla rabbia che la tragedia fosse accaduta. In questo breve breve periodo di tempo dopo le elezioni di novembre e poi l’insediamento di Donald Trump come presidente il 20 gennaio 2017, coloro che non possono accettare il risultato elettorale, stanno ancora provando una combinazione di queste prime due fasi.

Ma il fatto è che Donald Trump ha vinto le elezioni e se qualche evento inaspettato dovesse accadere, lui sarà, comunque, il presidente degli Stati Uniti per almeno i prossimi quattro e/o forse anche per i prossimi otto anni. Quindi, a molti piaccia o no, è solo meglio passare alla ultima fase del processo di lutto – l’accettazione. Donald Trump è alla Casa Bianca e ci starà lì per un po’.

Quindi, che cosa significa una Amministrazione Trump per l’America e per il resto del mondo? Beh, in effetti, ci sono molto poche domande al riguardo, dal momento che Trump è stato esplicito e diretto sui problemi in generale e molte delle sue specifiche visioni del mondo e con quella visione del mondo guiderà le sue decisioni in politica nei prossimi anni. Abbiamo già intravisto il suo punto di vista in “ordini esecutivi” che ha emesso finora durante la sua presidenza.

I deliri della Sinistra a proposito di Donald Trump

Prima di arrivare a questo, forse è necessario mettere da parte alcune paure deliranti ed euforie fuori luogo. L’ascolto e la lettura di quanto quelli della “sinistra” hanno detto e scritto su una Amministrazione Trump, l’osservatore non informato in visita di Marte potrebbe pensare che l’America era già affondata in una dittatura fascista o qualcosa di simile in cui sono in fase di realizzazione campi di concentramento per gli indesiderabili della minoranza, dai mezzi di informazione minacciati di essere trasformati in una voce per una macchina di propaganda nazista e che i non credenti religiosi saranno presto costretti a frequentare la chiesa ed obbligati a versare la decima (decima parte -10% – su base volontaria o obbligatoria in denaro o natura ndt).

A mio parere, molti della sinistra politica hanno bevuto un Kool-Aid di loro intruglio (bevanda analcolica a base di vitamine ndt) ed ora credono alla loro stessa propaganda isterica, la campagna per la morte della libertà in America è dietro l’angolo. Altri della sinistra politica trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone per marciare, dimostrare e rivoltarsi come un meccanismo per solidificare la loro conquista sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione già guardando alle prossime elezioni del Congresso e presidenziali di due e quattro anni da oggi.

Altri, della sinistra politica, trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone invitandole a marciare, a dimostrare e ad insorgere come un meccanismo per compattare la presa sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione stanno già guardando alle prossime elezioni del Congresso fra due anni e alle presidenziali quattro anni a partire da oggi.

E ‘importante capire che molti dei timori espressi dai membri del Partito Democratico o della sinistra politica in generale sulle usurpazioni presidenziali del potere – reali o immaginarie – di Donald Trump sono tutti poco convincenti. Infine, sono tutti molto soddisfatti per l’uso delle stesse prerogative presidenziali di Barack Obama attraverso direttive ed i relativi poteri per aggirare un Congresso controllato dai Repubblicani durante sei dei suoi otto anni alla Casa Bianca.

E’ stato Obama a dire che aveva “un telefono e una penna” e con questi in mano, avrebbe fatto tutto quello che poteva per farla franca e se il Congresso o la maggioranza del popolo americano erano a favore o meno nella sua visione di “speranza e cambiamento” in America. Improvvisamente, da quando quella potente penna presidenziale è in mano a Trump, la sinistra è “scioccata, scioccata” perché il capo dell’esecutivo del governo degli Stati Uniti non può non aderire alla tradizione dei poteri limitati e divisi nel sistema politico americano.

Il loro unico problema, con quella penna presidenziale ed il potere esecutivo, è che è in mano a qualcuno che non piace, piuttosto che a qualcuno che si crede di essere la sola voce ed il vendicatore della causa della “giustizia sociale”, con una visione “progressista” per rifare l’America.

Le fantasie della destra di Donald Trump

Sulla destra politica, molti di coloro che si opponevano a Trump, durante le primarie repubblicane, nel vederlo come una frode politica imbarazzante ed un rozzo truffatore da reality show, ora hanno cambiato il loro punto di vista.

Anche se i repubblicani una volta accertata la vittoria di Trump alle primarie, ciò ha significato la sconfitta inevitabile, e, per quattro anni, una presidenza di Hillary Clinton, si sono via via chiusi i ranghi dietro Trump. Molti, tuttavia, desiderano chiaramente che il Presidente dovrebbe attenuare la sua retorica, fermare il suo flusso di consapevolezza nel tweeting (da Twettter il social network ndt) e cominciare ad agire in maniera più “presidenziale”.

Ma a dispetto di tutti i suoi hijinks (celebrazioni chiassose ndt) personali ed imbarazzanti, da rissa di strada della retorica permalosa, dopo tutto, lui non è Hillary Clinton. E se lui segue attraverso le sue promesse, molte politiche a lungo desiderate dai repubblicani e dal movimento conservatore, in particolare nel campo della politica economica interna, questo potrebbero giungere a buon fine.

Egli ha detto che le tasse personali e aziendali devono essere significativamente ridotte, tra cui la doppia imposizione degli utili delle società americane delle operazioni all’estero. Ha detto anche che i regolamenti federali sulle imprese saranno tagliati radicalmente e le aziende saranno libere di pianificare e di investire capitali.

Trump ha firmato per il completamento dell’oleodotto Keystone, che collega i campi petroliferi del Canada col Dakota, con le raffinerie di petrolio e le relative strutture nel sud americano. Ha sfidato la ossessione del riscaldamento ed il cambiamento climatico globale. Forse ancora più importante, ha corso ed insiste per l’abolizione e la sostituzione del Affordable Care Act (sistema sanitario) – ObamaCare – per ripristinare la scelta più personale sull’assicurazione sanitaria e le opzioni di assistenza medica.

Se Trump persegue con successo, attraverso queste politiche ed i programmi, molti repubblicani e conservatori perdoneranno a Trump la maggior parte dei suoi peccati e imbrogli. Specialmente nel caso in cui si assicuri il controllo repubblicano nelle legislature federali e statali nelle prossime elezioni.

Donald Trump è improbabile che sia il distruttore diabolico della società democratica e come “la sinistra” lo ritrae: essere una minaccia. Ma direi che non è lui il difensore del principio della libertà e della libera impresa che molti sulla speranza di “destra” lavorano su alcuni decisioni della politica economica che egli ha preso finora.

La visione del mondo di Donald Trump : nemici ovunque

Quello che penso si sia distinto maggiormente nel suo discorso inaugurale, il 20 gennaio 2017, è stata l’omissione di riferimenti a ”libertà” o di “governo limitato”. La stragrande maggioranza del messaggio si è focalizzato su una chiamata per un restauro della “grandezza nazionale”.

“ Da oggi in poi, una nuova visione governerà la nostra terra. Da questo momento in poi, essa sarà l’America First. Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sulla politica estera sarà fatto per beneficiare i lavoratori americani e le famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dai danni di altri paesi che fanno ai nostri prodotti, che sottraggono le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. La protezione porterà grande prosperità e forza …

L’America tornare a vincere, vincendo come mai prima. Porteremo di nuovo il nostro lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Porteremo di nuovo la nostra ricchezza. E noi riporteremo i nostri sogni. Costruiremo nuove strade e autostrade e ponti e aeroporti e gallerie e ferrovie in tutta la nostra meravigliosa nazione …

Seguiremo due semplici regole: Comprare americano e assumere americani. Cercheremo l’amicizia e la buona volontà con le nazioni del mondo – ma lo facciamo con la consapevolezza che è un diritto di tutte le nazioni mettere al primo posto i propri interessi.

Il Presidente Trump ripetuto lo stesso messaggio nelle sue osservazioni proprio l’altro giorno, il 17 febbraio 2017, ad una presentazione del nuovo Boeing 787 Dreamliner a Charleston, Carolina del Sud:

“Come vostro Presidente, ho intenzione di fare tutto il possibile per liberare il potere dello spirito americano e di mettere la nostra gente di nuovo a lavoro. Questo è il nostro mantra: Acquistare americano e assumere americani.

Noi vogliamo prodotti realizzati in America, fatte da mani americane. Probabilmente, come avete visto di recente, ho approvato la pipeline Keystone in Dakota. E mi sto preparando a firmare il disegno di legge. Ho detto, in che modo viene fatta la conduttura? E mi hanno detto non qui. Ho detto, che questo è un bene – aggiungi un po’ alla frase che devi comprare acciaio americano. Ed ora sai cosa? E’ così com’è. E’ quello che sta per essere … Stiamo andando a combattere fino all’ultimo posto di lavoro per gli americani …

Ho fatto una campagna elettorale con la promessa, che farò tutto quanto in mio potere, per portare quei posti di lavoro di nuovo in America. Abbiamo voluto rendere più facile – e deve è molto più facile da produrre che nel nostro paese e molto più difficile da abbandonare. Non voglio che le società escano dal nostro Paese, fabbricando il loro prodotto e vendendolo di nuovo, senza alcuna tassa, niente di niente, alimentando tutti nel nostro paese.

Popolo, non lasciamo che accada più. Credimi. Ci sarà una sanzione molto consistente da pagare quando (le aziende) abbandonano la loro nazione e si spostano in un altro paese, fabbricando il prodotto e pensando che hanno intenzione di venderlo di nuovo in quello che sarà presto un confine molto, molto forte. Sarà una partita molto diversa. Sta per essere tutto molto diverso …

Per raggiungere questo obiettivo, stiamo andando a ridurre massicciamente i regolamenti che appiattiscono il lavoro già iniziato; lo avete visto che – mandano i nostri posti di lavoro in altri paesi. Abbiamo intenzione di abbassare le tasse sul business americano quindi sarà più economico e più facile produrre prodotti e cose belle, come gli aeroplani proprio qui in America … Lo avete sentito dire prima ed io lo ripeto: D’ora in poi, sarà America First.

A suo avviso, gli Stati Uniti sono stati sfruttati nei rapporti politici ed economici con il resto del mondo. Il mondo ha rubato posti di lavoro agli americani e distrutto le basi di produzione degli Stati Uniti, hanno lasciato la classe media americana con uno standard di vita indebolito e stagnante, provocato il caos con il sogno americano ed il diritto di nascita, di opportunità e di prosperità crescente.

Per Donald Trump, ogni accordo commerciale, ogni deficit commerciale ed ogni investimento d’affari all’estero, sono la prova della misura in cui l’America ha abusato nelle sue relazioni commerciali.

Questa visione del mondo è una rinascita della nozione mercantilista del XVII e XVIII secolo dove l’esistenza umana ha un conflitto senza fine ed inconciliabile, non solo o semplicemente con la natura, ma tra stati-nazione. Per il mercantilista, ogni stato-nazione dovrebbe proteggere il benessere economico dei propri sudditi e cittadini dalla perdizione del saccheggio di altri stati-nazione. Nella visione del mondo mercantilista, l’economia è un gioco a somma zero.

La liberazione classica del liberalismo dell’uomo da parte dello Stato

Le rivoluzioni intellettuali, politiche ed economiche liberali classiche della fine del XVIII e XIX secolo sono il rovescio dell’idea di monarchia assoluta, sostituendo entrambe le monarchie con un vincolo costituzionale o con forme repubblicane di governo. Si vuole, inoltre liberare l’individuo dalla potenza e dal controllo dello stato incontrollato. L’ideale di libertà individuale ed il diritto di ogni persona alla propria vita, alla libertà ed alla proprietà onestamente acquisita è l’importante trasformazione del rapporto tra l’individuo e lo Stato.

Secondo i classici liberali, il governo esiste per preservare il diritto dell’individuo di vivere nella sua tranquillità e nell’interesse personale, di non servire agli scopi dei re, dei principi, o maggioranze democratiche illimitate. Gli economisti del tempo, tra cui Adam Smith e molti altri dopo di lui, hanno sostenuto che il commercio non era un gioco a somma zero ed era sicuramente dannoso per le nazioni impegnate in rapporti commerciali.

Questi liberali hanno affermato che le persone sanno molto meglio come prendersi cura dei propri interessi rispetto a qualsiasi regolamentatore di governo che potrebbe anche ideare. Gli individui entrano solo in scambi con gli altri quando credono che ci sarà un risultato migliore nella transazione. Nessun individuo, nell’atto di libero scambio, dà mai via intenzionalmente qualcosa che ha un alto valore per qualcosa che valga molto meno. Infatti, è sempre il contrario.

Miglioramento da commercio contro la presunzione politica

Se vado giù al negozio all’angolo e acquistare una copia del giornale di oggi per un dollaro, è perché ritengo che le informazioni possibili che mi può fornire sono di maggior valore rispetto al prezzo mi viene chiesto. E, a sua volta, se il proprietario del negozio all’angolo mi vende la copia del giornale di oggi è perché ha più alto valore del dollaro che riceve da me per rinunciare a una delle copie in vendita. Ognuno di noi considera sé stesso, rispettivamente, migliore.

Ora è vero che dopo che ho comprato il giornale e l’ho letto, potrei dire, retrospettivamente, che non conteneva nulla di veramente nuovo o interessante e, quindi, col senno di poi, invece avrei potuto facilmente far passare il giorno senza acquistarlo e utilizzare quel dollaro per l’acquisto di qualcos’altro.

Nessuno ha la perfetta conoscenza. Noi tutti agiamo su ciò che sappiamo o che crediamo nel momento in cui effettuiamo una operazione. E, a volte, si può concludere che una cosa, dopo averla fatta, non era così vantaggiosa come speravamo o avremmo voluto fosse. Ma richiederebbe una grande quantità di arroganza da parte di chiunque altro presumere che sanno più di noi su ciò che è meglio per noi, nei nostri scambi di mercato di tutti i giorni. La conoscenza su cui il presuntuoso paternalismo politico afferma il diritto di controllare e di interferire è almeno altrettanto imperfetta e limitata quanto quella posseduta dal resto di noi.

La mentalità della pianificazione centrale di Trump

Mentre molti conservatori stanno salutando l’intenzione dichiarata da Donald Trump di ridurre la normativa in materia di business e contemporaneamente meno tasse sulle persone e le imprese private – sicuramente tutte cose buone in se stesse – dobbiamo capire, però la prospettiva ideologica per cui lo si sta facendo.

In nessun momento il presidente Trump ha detto che intende seguire queste politiche perché vuole avere più controllo sui i cittadini americani e sulle loro vite. Non ha mai sostenuto la riduzione degli oneri fiscali in modo che gli Americani possano mantenere un reddito e della ricchezza più alti e che si sono onestamente guadagnato come un obiettivo politico desiderabile per sé.

No, invece, il presidente Trump ha sostenuto queste politiche, come un pianificatore dell’economia centrale, sa dove le imprese americane dovrebbero investire e dovrebbero assumere e quali sono i prodotti che dovrebbero produrre.

Come è diverso dal “progressista” che desidera utilizzare la regolamentazione del governo per limitare l’uso dei combustibili fossili, utilizzando politiche di intervento per promuovere “energie alternative”?

Gli obiettivi e gli strumenti di regolamentazione possono differire, ma la premessa di base rimane la stessa: Che il governo sa, meglio dei singoli cittadini, come vivono la loro vita.

La saggezza duratura di Adam Smith

Per essere onesti, suscita la più profonda frustrazione, per un economista, il dover ripetere le parole scritte da Adam Smith più di 240 anni fa, nel suo famoso libro, La ricchezza delle nazioni:

“E’ il motto di ogni buon padre di famiglia, di non tentare di fare a casa quello che gli costerà di più che acquistarlo. Il sarto non tenta di fare le proprie scarpe, ma le compra dal ciabattino. Il calzolaio non cerca di fare i suoi vestiti, ma si avvale di un sarto. Il contadino non cerca di fare né l’uno né l’altro, ma si avvale di questi diversi artigiani …

“Quella che è la prudenza nella conduzione di ogni famiglia privata può essere la rara follia in quella di un grande regno. Se un paese straniero ci può fornire con un prodotto più conveniente, che noi stessi possiamo produrre, meglio comprarlo da loro con una parte dei prodotti della nostra industria, impiegata in un modo da averne qualche vantaggio …

“Non è certo impiegato per il massimo vantaggio quando si è indirizzati verso un oggetto che si può comprare più convenientemente e che può rendere … L’industria di un paese, di conseguenza, viene così rivolta ad altro, ad un lavoro meno vantaggioso ed il valore di scambio annuo dei suoi prodotti, invece di essere aumentato, secondo l’intenzione del legislatore, deve necessariamente essere diminuito per tutti da tale regolamentazione”.

Il Presidente Trump e quelli della sua amministrazione che condividono la sua visione negativa delle importazioni di beni meno costosi, senza dubbio, diciamo che può essere cosa buona e giusta, date le circostanze ad una “parità di condizioni” (ceteris paribus), ma le altre nazioni non giocano pulito. Altri governi sovvenzionano le loro esportazioni e tentano di ostacolare, a loro modo, l’importazione di merci americane nei loro paesi.

L’importazione di merci a poco prezzo è sempre quello più conveniente

Se le importazioni meno costose offerte negli Stati Uniti sono il risultato di un’efficienza dei costi basati sul mercato di in un altro paese o la sovvenzione del governo di alcune delle esportazioni verso un paese, dal punto di vista del consumatore americano, vi è la possibilità di un aumento del reddito reale. Una merce desiderata può essere acquistata per meno di prima, lasciando una somma di denaro nelle tasche degli acquirenti con la quale ora possono permettersi di acquistare ciò che prima non potevano.

Che dire di posti di lavoro persi nel mercato interno a causa delle importazioni straniere? Sempre di fronte a tutti i cambiamenti sono necessari aggiustamenti. In questo caso, sarà necessario il re-impiego, ma non c’è nulla, di per sé, che impedisce di trovare posti di lavoro alternativi. Dopo tutto, le importazioni devono essere pagate attraverso le esportazioni – il paese straniero non può dare i propri prodotti gratis. E, in aggiunta, i dollari risparmiati dall’acquisto del prodotto straniero, meno costoso, significheranno domanda aggiuntiva alla spesa per beni diversi dei consumatori che possono ora permettersi di comprare, offrendo opportunità di lavoro anche in questa direzione.

Il falso obiettivo dei “lavori” giusti

Questo diventa un altro punto cieco in agenda come dichiarato dal presidente Trump. Ripete, ancora e ancora, che il suo compito è quello di creare posti di lavoro per gli americani. Ma “posti di lavoro” non è un fine in sé. Mentre alcune cose sono piacevoli da fare per se stessi, il lavoro è un mezzo per un fine. Sia che si stia piantando colture in un campo o lavorando i prodotti in fabbrica o mettendo le reti da pesca nell’oceano, oppure offrendo un servizio come un taglio di capelli o un corso di aerobica, sono tutti i mezzi per raggiungere un fine – la produzione di beni che gli altri vogliono per la società come metodo per guadagnarsi da vivere e che ci consente di acquistare da quegli altri, ciò che hanno in vendita nel settore del lavoro che, a sua volta, è il desiderio di consumare.

Dovremmo desiderare, per tutti, di fare il loro lavoro al minor costo in termini di risorse e manodopera proprio in modo che possiamo ottenere la maggior parte dei beni e dei servizi che desideriamo con i mezzi a disposizione. Se i produttori di in un altro paese possono farlo meglio e meno costoso di quello che possiamo farlo in casa, dobbiamo approfittare di questo per massimizzare il nostro benessere materiale, piuttosto che lamentarci per la sua offerta.

Supponiamo che domani, attraverso qualche miracolo, i vestiti comincino a crescere gratis sui rami degli alberi e che tutti i posti di lavoro dell’economia nel settore tessile debbano scomparire. Dovremmo andare in disperazione per questo? Certamente, potremmo avere tutti i vestiti che avremmo potuto desiderare e si potrebbe, quindi dedicare tutto il lavoro liberato per produrre altre cose che anche noi desideriamo, ma che non si poteva precedentemente avere, perché gran parte della forza lavoro era legato a confezionare le nostre camicie, pantaloni e giacche.

Temendo di perdere quei “buoni posti di lavoro americani” nel settore tessile, dovremmo considerare meglio se tagliare i rami degli alberi che producono tutti quei vestiti in modo da mantenere tutti quei lavoratori che fanno i vestiti? Penso che la maggior parte di noi consideri ciò ridicolo. Il Presidente Trump, se lo prendiamo in parola, potrebbe voler imporre un dazio sulle importazioni e costruire un muro alto lungo il confine per mantenere tutti quei vestiti liberi fuori degli Stati Uniti, se si è scoperto che quei vestiti prodotti dagli alberi sono stati collocati in un Paese straniero.

Le ritorsioni al commercio esprimono il peggio del proprio paese

E per quanto riguarda gli altri paesi che impongono tariffe di importazione contro i nostri beni per “proteggere” i propri settori ed impieghi? Non dovremmo rispondere con tariffe di ritorsione e le relative restrizioni all’importazione per dare loro una lezione? Se lo facciamo possiamo solo ferire noi stessi, in modo da rispondere alle barriere commerciali erette da altri paesi.

Un economista britannico, Henry Dunning MacLeod (1821-1902), ha dato una risposta chiara sull’argomento di una tariffa di ritorsione, nel 1896. Egli ha detto:

“ “Con il metodo dei dazi di ritorsione, quando (un altro paese) ci percuote sulla guancia, dall’altra veniamo immediatamente colpiti da noi stessi con uno schiaffo estremamente duro. (L’altro paese impone suoi dazi all’importazione) fanno un danno e noi, e per ritorsione, immediatamente noi facciamo di più. Il vero modo per combattere le tariffe ostili è il libero commercio”.

La ritorsione con tariffe contrapposte rende le merci acquistate solo, in precedenza dal paese straniero, più costose per i consumatori del proprio paese, abbassando il loro livello di vita attraverso prezzi più elevati e una più ridotta varietà di prodotti tra cui scegliere. Riducendo le vendite conseguite dal produttore straniero nel proprio paese, ha meno entrate da cui partire per comprare le esportazioni del vostro paese, con un effetto negativo sui settori della propria economia.

Se, ora, che l’altro paese procede a imporre dazi contrapposti, in risposta alla rappresaglia del vostro paese, entrambi i paesi si troveranno di fronte a una spirale di morte del commercio per la diminuzione dei beni a disposizione dei consumatori di entrambi i paesi, i prezzi più elevati per i prodotti di entrambi che i cittadini dei paesi vogliono acquistare e ad una riduzione del sistema internazionale di divisione del lavoro diminuisce la produttività complessiva del mercato globale, il risultato finale sarà inferiore alla prosperità ed al progresso materiale per tutti.

Se il presidente Trump segue la realtà attraverso le sue proposte politiche protezionistiche, basate sulla sua somma zero, il concetto del commercio tra le nazioni ed il risultato finale può avere in gioco una somma negativa, in cui tutte le nazioni del mondo stanno peggio.

Falsa prosperità di Trump dietro i muri del commercio

Oh, sì, i lavoratori americani possono ora produrre i beni che in precedenza sono stati forniti dai lavoratori stranieri. Le industrie americane che erano diminuite, rispetto al loro numero, prima dell’intensificato commercio globalizzato, possono avere un ritorno dietro le barriere doganali del presidente Trump.

Ma dietro questo miraggio di restauro della “grandezza” americana, i lavoratori ed i consumatori americani saranno più poveri di quello che devono essere, la fabbricazione di beni a costi più elevati e con efficienza meno produttiva di una partecipazione libera e aperta in un mercato-centrico (tipico dei paesi come USA e GB, è basato sulla capacità dei mercati, di finanziare grossi progetti, per promuovere lo sviluppo economico ndt) dove la divisione globale ed il libero lavoro verrebbe offerti a tutti, in tutto il mondo, compresi quegli americani per il cui benessere economico il Presidente Trump sostiene di essere così preoccupato.

Donald Trump smentito da un Caroliniano del Sud – nel 1830!

Ho già citato delle osservazioni del presidente Trump durante la sua recente visita a Charleston, South Carolina. Permettetemi di citare un economista del South Carolina, Thomas Cooper (1759-1839), che ha pubblicato le seguenti parole nel 1830: Lezioni sugli elementi di economia politica (Lectures on the Elements of Political Economy), in quello che è diventato uno dei libri di testo economici più diffusi, a quel tempo, negli Stati Unit. Il Dr. Cooper è stato uno dei presidenti del South Carolina College e un professore di chimica ed economia politica. Disse:

“ “L’intero utilizzo del commercio estero è quello di importare le materie prime che occorrono, a costi inferiori, più di quanto non siano prodotti in casa. Questa è la base ed il carattere essenziale. Quindi, il principio di restrizioni e imposte (tariffe) proibitive, che vietano, in fase di introduzione dall’estero, un articolo perché può essere considerato più economico dall’estero – va alla distruzione totale di tutto il commercio estero …

“Infatti, il sistema restrittivo ci dice che non vi gioverà grandemente l’essere confinati come prigionieri all’interno delle nostre case, senza avere rapporti fuori di casa; questo è il dovere di lasciare il nostro vicino di arricchirsi sulla nostra credulità e convincerci a comprare da lui un articolo inferiore, ad un prezzo superiore …

Per (questo) principio adozione, dove è la fermata? Per parlare dopo di questo, del nostro essere la nazione più illuminata sulla terra, è una satira su di noi più amara che i nostri nemici hanno in loro potere di proferire. Per essere governati da tale ignoranza, è davvero una vergogna nazionale”.

Il pericoloso paternalismo protezionista di Donald Trump

Donald Trump non può essere né il diabolico aspirante dittatore che molti della sinistra politica hanno ritratto o per “dirla com’è”, l’angelo vendicatore per alcuni della destra politica ed avere qualcuno che sia in grado di ripristinare gloriosamente una grandezza americana perduta.

Quello che dovrebbe essere abbastanza chiaro è che dietro il mantra del presidente Trump di “America First” è un protezionismo paternalistico pericoloso che vede tagli fiscali e riduzioni di regolamentazioni del business di casa, non fini a se stesse, ma per ripristinare la libertà individuale e la libertà economica del popolo americano; invece, gli strumenti di politica fiscale ed interventista influenzano e manipolano la direzione e la forma dell’ attività economica negli Stati Uniti.

Altre nazioni non sono viste come partner globali e partecipanti in una ricerca in tutto il mondo per un generale miglioramento delle condizioni dell’umanità, tra cui il miglioramento del popolo americano. Il mondo non è visto come un’arena di cooperazione internazionale attraverso la competizione pacifica del mercato in cui ogni nazione e le persone trovano i modi migliori per guadagnare da vivere attraverso il progresso reciproco, di coloro, con i quali essi commerciano.

Invece, il presidente Trump vede il mondo come un luogo ostile in cui le altre nazioni sono fuori per migliorare loro stesse, rendendo l’America e gli americani più poveri, deboli e anche peggio. L’atteggiamento e la convinzione, se al momento dell’attuazione della politica economica estera americana, rischia di farne una profezia che si auto-avvera. Altre nazioni possono facilmente cadere ulteriormente nella stessa mentalità del collettivismo nazionalista, portando con sé tensioni economiche internazionali e conflitti commerciali ed eventualmente intensificarli, se non guerre commerciali odierne. Si tratta di una mentalità pericolosa e sta visibilmente crescendo oggi in un certo numero di paesi europei e in altri luoghi in tutto il mondo.

Le politiche di Donald Trump possono benissimo portare più prodotti recanti il marchio “Made in USA”, ma il suo significato reale e perverso non sarà una grandezza americana restaurata, ma il marchio di una prospettiva di politica economica che porta con sé l’idea di paternalismo protezionistico che, alla fine della giornata, non migliorerà né la condizione degli americani, né quella del resto del mondo.

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Il fenomeno migratorio in una società libera

Von Mises Italia - Mer, 29/03/2017 - 08:52

Un ordine basato sulla libertà individuale di scelta, consiste in libertà di offrire e libertà di domandare ed in ciò è insito il fatto che ogni richiesta può essere gestita in piena autonomia ed essere tanto accolta quanto rifiutata o cadere nel vuoto.

La libertà è, infatti, assenza di impedimenti, ma questa condizione verrà realizzata solo se verrà rispettata la proprietà privata, sia su se stessi che sulle cose.

Rispettando la libertà di ciascuno non si è grado di imporre alla società concezioni artificiali frutto della presunta conoscenza privilegiata di qualcuno in particolare, e questo in seguito ci permette di dire che la libertà va difesa perché consente al più ampio numero possibile di individui di condurre vite ritenute significative dal proprio punto di vista.

Se la libertà, in quanto condizione generale, deve essere rispettata per lo scambio di beni e servizi lo deve essere anche per quanto riguarda il movimento delle persone; così come una merce per essere scambiata richiede l’accordo delle parti, in ogni unità privata l’accesso regolare di un’altra persona dipende sempre dalla volontà del proprietario dell’unità.

Trattasi quindi di cercare di trascinare coerentemente questo fatto evidente della proprietà privata all’interno della cosiddetta proprietà pubblica, cioè in quella proprietà dove vi è una cattiva definizione dei singoli diritti di proprietà privata che la compongono.

La proprietà pubblica è sempre mal definita e pertanto possiede una tendenza ad essere mal tutelata e/o mal sviluppata, giacché i prezzi esprimono un significato razionale solo quando emergono da scambi realizzati in cui ciascuno dispone effettivamente e solamente della sua proprietà.

Ebbene, per un puro ragionamento di tipo “consequenzialista”, quanto più i beni ed i servizi cessano di essere sottoposti a proprietà pubblica, minori sono le possibilità di pervenire ad un disordine sociale ed economico.

Parlare di proprietà pubblica significa parlare di Stato e dunque di un determinato gruppo sociale organizzato.

Non può esistere uno Stato senza territorio, vale a dire la sede su cui stabilmente risiede tale comunità organizzata.

Questa sede rappresenta l’ambito spaziale entro il quale lo Stato pretende di esercitare in modo effettivo, esclusivo ed indipendente la propria sovranità, ossia quel potere supremo dello Stato che riguarda da un lato i rapporti dello Stato con gli altri Stati e organizzazioni internazionali, dall’altro i rapporti dello Stato con i suoi contribuenti residenti e quanti transitano nel suo territorio.

Tutto il territorio dello Stato, sia che si tratti di zone abitate che di zone disabitate è sottoposto alla sovranità dello Stato.

Lo Stato si regge sull’imposizione tributaria che esso effettua su i suoi contribuenti-residenti,  esso è quindi chiamato ad operare in nome di questi suoi contribuenti.

Uno Stato che afferma di rappresentare una società libera, non può che fondarsi sul primato del diritto alla proprietà privata – essendo la pretesa capace di soddisfare meglio la possibilità media di tutti – sia su se stessi che sulle cose, e su un sistema economico di libero mercato, perché questi due elementi, che sono l’uno la conseguenza dell’altro, forniscono ai suoi abitanti gli incentivi necessari per realizzare piani di azione liberamente scelti, con la garanzia di affrontare personalmente i rischi e le responsabilità delle attività che essi intraprendono.

Finché lo spostamento di una persona avviene dietro invito di un individuo, di un’associazione o di un’impresa residente che garantisce all’immigrato un alloggio per un periodo di tempo relativamente lungo, un minimo adeguato di sostentamento ed eventualmente anche un’occupazione, in linea di massima, lo Stato non può opporsi al trasferimento – in una società libera, un datore di lavoro deve avere la facoltà di assumere alle sue dipendenze chi vuole, compresi i residenti all’estero, così come il proprietario di un’abitazione deve avere la facoltà di affittare a chi vuole.

In linea di massima, poiché lo Stato, essendo l’istituzione responsabile della sicurezza di tutti i propri contribuenti, può sempre impedire l’ingresso a singoli individui che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata.

Tuttavia, spesso le persone si spostano da uno Stato all’altro in cerca di fortuna o nuova vita senza l’invito di qualcuno; in tal caso, sarà necessario, per poter in seguito stabilirsi legalmente, farsi prima concedere un apposito visto dallo Stato in cui si intende abitare o anche lavorare, tramite ambasciate o consolati – ovviamente, per tutti coloro che vanno all’estero per qualsiasi altro motivo si dovrà fare un discorso diverso.

Ambasciate e consolati locali potrebbero fungere anche da strutture che mettono sistematicamente in contatto domande ed offerte di inviti.

A chi dovrebbero essere rilasciati questi appositi visti?

Escludendo persone che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata, questi visti dovrebbero essere rilasciati soltanto a persone che possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari.

Se ci si reca all’estero e si è già in grado di usufruire di un reddito che funge da mezzo di sostentamento permanente, non vi dovrebbero essere obiezioni ad accettare il trasferimento, ma se ci si reca all’estero per cercare o crearsi un lavoro, tale ricerca o creazione richiede nel frattempo che si possa fare affidamento a delle risorse per sostenere il quotidiano vivere.

Lo Stato dovrà stabilire l’ammontare di queste risorse confrontandosi con le condizioni attuali del mercato del lavoro.

Lo Stato può rilasciare questi visti per motivi umanitari anche a persone che non possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari?

Qui il campo delle verità consequenzialiste, giuridiche ed economiche, deve fare i conti con il campo delle valutazioni etiche, ben sapendo però che il campo delle valutazioni etiche non potrà mai capovolgere con successo le verità consequenzialiste.

Concedere il permesso a soggiornare stabilmente nel proprio territorio a persone prive di invito e che non portano con sé mezzi per sopravvivere autonomamente, significa che queste persone, almeno nei primi tempi, graveranno forzosamente come spesa sull’intera collettività e ciò equivale a dire utilizzo di un welfare state coercitivo.

Senza fare inutili previsioni di natura deterministica, è chiaro che il welfare state coercitivo può essere ben sostenibile finché si tratta di piccoli numeri; all’estendersi, infatti, del welfare state coercitivo, aumentano i rischi per il mondo dell’allocazione economica delle risorse di essere soggiogato da quello dell’allocazione politica e del parassitismo.

In ultimo, lo Stato dovrà necessariamente procedere:

all’espulsione di qualunque soggetto che cercasse di stabilirsi nel proprio territorio sprovvisto di invito o di apposito visto;

a sanzioni amministrative e/o penali nei confronti di quei soggetti che si assumono la responsabilità dell’invito dello straniero ma che, in realtà, lo fanno solo sulla carta e non anche con i fatti;

impedire l’accesso a chi provasse ad entrare nel proprio territorio cercando di forzarne i confini.

Da valutare, invece, la posizione dello straniero nel momento in cui chi l’ha invitato rinunciasse ad ogni responsabilità precedentemente assunta e nessun altro soggetto privato residente accettasse di assumerla.

I fenomeni migratori sono antichi quanto la storia dell’uomo.

E’ uno di quei cambiamenti che hanno luogo di continuo pertanto non bisogna affrontare questo fenomeno come se non dovesse mai avvenire, ma semplicemente di istituzionalizzarlo con buon senso.

Asserito quanto, c’è da rilevare che tra un ordine liberale e migrazioni esiste senz’altro un rapporto ma questo rapporto è soprattutto fatto di “sostituibilità elastica” e non di “rigida esclusività”, vale a dire che tanto più riusciamo ad estendere l’ordine liberale quanto più vengono meno quelle necessità che spingono le persone ad abbandonare le proprie terre d’origine.

All’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre corrisponde, infatti, un incremento del benessere generalizzato a livello globale e tale incremento rende sicuramente minori le possibilità che possano generarsi masse notevolmente consistenti di persone che desiderano spostarsi da uno Stato all’altro o da una regione del pianeta ad un’altra.

Di conseguenza, divengono criticabili tutte quelle azioni che, direttamente o indirettamente, ostacolano l’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre.

Criticabile è il sistema degli aiuti internazionali ai paesi più poveri che alla fine si risolve in effetti più che altro controproducenti.

A seguito del processo di decolonizzazione, i paesi più ricchi hanno versato 135 milioni di dollari l’anno alla cosiddetta cooperazione internazionale, e questo denaro è stato versato tanto dai governi di questi paesi quanto dai loro singoli cittadini.

L’aiuto internazionale è gestito da agenzie, associazioni od enti collegabili alle Nazioni Unite i quali senza la motivazione dell’aiuto al prossimo non potrebbero mai sorreggersi.

Ognuna di queste associazioni, agenzie od enti ha delle spese, tra cui la voce stipendi, che finiscono per assorbire gran parte di quei fondi destinati ai paesi più poveri.

Da ciò si capisce che gli impiegati di queste strutture non possono avere un grande interesse a contrastare la povertà diffusa nel mondo, giacché per loro la povertà diffusa è fonte regolare di guadagno.

Certamente, non tutti i progetti che nascono a seguito degli aiuti internazionali falliscono miseramente, ciò nonostante si stima che circa l’80 per cento di quei 135 miliardi di dollari annui viene sprecato in costi di gestione di queste associazioni, agenzie od enti ed in investimenti tanto grandiosi quanto non redditizi.

Tuttavia, questi aiuti economici forniti in maniera sistematica sono soprattutto criticabili perché finiscono per imprimere nelle popolazioni dei paesi più poveri la mentalità del subordinato a scapito dell’assunzione individuale di responsabilità.

Il fattore determinante della creazione di ricchezza è la capacità di produrre merci, la quale cresce con l’incremento della frazione produttiva della popolazione e della divisione del lavoro, le quali a loro volta possono aumentare stabilmente solo con l’accumulazione di risparmio reale.

Se il risparmio reale aumenta, può diminuire senza controindicazioni l’interesse sul capitale reale prestato e rendere così relativamente più vantaggiosi quei rami di produzione che richiedono, in funzione delle loro condizioni tecniche, un periodo più lungo di produzione.

I governi dei paesi più ricchi piuttosto che fornire aiuti economici sistematici ai paesi più poveri, dovrebbero sostenere i governi e le popolazioni locali a costituire nei propri paesi un intorno istituzionale che protegga la proprietà privata e la garanzia che quello che si accumula possa essere preservato in futuro.

Criticabile è, inoltre, la posizione dei paesi più ricchi quando questi adottano misure di protezionismo commerciale non dando in questo modo la possibilità ai paesi più poveri di accedere con i loro prodotti ai mercati più abbienti.

Mancanza del suddetto intorno istituzionale ed assenza di responsabilità individuale nei paesi più poveri e protezionismo commerciale da parte dei paesi più ricchi pongono le basi, separatamente e sommandosi, per veder emergere grandi masse di popolazione localizzate nei paesi più poveri desiderose di spostarsi verso i paesi più ricchi.

Tale pressione esercitata da queste grandi masse va a stimolare un circolo vizioso a danno del primato del diritto alla proprietà privata e del sistema economico di libero mercato ed a favore dell’espansione della proprietà pubblica e dell’interventismo statale.

Infatti, così come ogni processo di espansione economica non coperto da risparmio reale è seguito da una fase di doloroso riassestamento che rappresenta il momento ideale per veder affiorare nuove richieste di ampliamento della proprietà pubblica e dell’interventismo statale, ogni massiccia pressione migratoria dai paesi più poveri a quelli più ricchi produce in questi ultimi un periodo di acute problematiche che, stressando il meccanismo della libertà di offrire e di domandare, rappresenta il momento ideale per veder affiorare le stesse richieste.

In conclusione, quando si parla di migrazioni non vi deve essere alcuna posizione pregiudiziale, né a favore né contro, ma bisogna sempre però avere l’onestà intellettuale di affrontare il fenomeno tenendo conto delle opportunità e dei rischi che concretamente include ogni suo caso specifico.

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Decrescita felice?

Von Mises Italia - Lun, 27/03/2017 - 08:01

Tutte le critiche (negative) all’ordine di libero mercato possono essere descritte come il frutto di un eccessivo razionalismo (come avrebbe sostenuto von Hayek) oppure come il frutto di una rivolta contro la ragione (come invece avrebbe sostenuto von Mises).

Quello che in ogni caso c’è di univoco è che il libero mercato ha dovuto praticamente da sempre scontrarsi con opposizioni scientificamente insostenibili.

In tal senso, è doveroso ricordare che l’economia è una scienza, ma in quanto appartenente al mondo delle scienze dell’azione umana e non al mondo delle scienze naturali il suo procedimento d’indagine non può essere lo stesso di questo secondo mondo.

Una delle critiche più recenti all’ordine di libero mercato è quella che va sotto il nome di “decrescita felice”.

La prima apparizione di questo termine viene fatta risalire alla pubblicazione in lingua francese, nel 1979, di una raccolta di saggi dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, ma è solo con l’arrivo del ventunesimo secolo che la decrescita prende l’aspetto di una corrente di pensiero ed inizia costantemente ad entrare nel dibattito pubblico.

A portare sotto le luci della ribalta la decrescita, attraverso una vera e propria elaborazione del concetto, è stato il professore francese Serge Latouche, da considerarsi il deus ex machina di questa corrente di pensiero.

Latouche espone la decrescita come serena e conviviale, mentre il più celebre aggettivo felice è stato introdotto dal saggista italiano ed anch’esso teorico della decrescita Maurizio Pallante.

Quella della decrescita è una scuola di pensiero senz’altro non totalmente uniforme al suo interno, ma comunque i suoi autori presentano molti punti in comune.

I maggiori punti in comune riscontrabili sono una disapprovazione per l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita umana ed appunto un’avversione nei confronti dell’ordine di libero mercato.

Prendendo in esame in particolar modo il pensiero di Latouche, iniziamo con il dire che questo autore descrive la modernità come un enorme processo di economicizzazione della vita umana e di occidentalizzazione del mondo e dedica una monografia all’invenzione dell’economia, definita come culturale e storica.

Per Latouche, l’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo e con la sua nascita l’essere umano si riduce progressivamente ad homo oeconomicus, vale a dire ad essere capace solamente di far proprie quelle motivazioni legate alla massimizzazione della sua ricchezza materiale in virtù di un utilitarismo unidimensionale.

Latouche comprime tutta l’economia dentro una scienza degli aspetti “strettamente economici” dell’azione umana, una teoria della sola ricchezza materiale.

L’avversione di Latouche al libero mercato avviene soltanto in seconda battuta rispetto a questa critica verso l’economia così inquadrata dallo stesso autore.

Questa visione di tutta l’economia porta Latouche a considerare libero mercato e socialismo reale come due varianti dello stesso fenomeno da condannare, ossia “la società della crescita”, ma nel libero mercato Latouche vede, in aggiunta, un ordine che finisce per distruggere il pianeta – libero mercato visto come sistema di dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse – così come la società e tutto ciò che collettivo – libero mercato visto come sistema di distruzione antropologica degli esseri umani ridotti in bestie produttrici e consumatrici.

Ora, nel continuare ad analizzare il pensiero di Latouche e la società della decrescita, iniziamo anche smontarne i ragionamenti ed a vedere “l’incongruenza” tra metodi scelti e fini (cioè serenità, convivialità e felicità) cercati.

Latouche si scaglia contro l’occidentalizzazione del mondo, ma qui Latouche sembra proprio confondere la parola occidente con imperialismo, vale a dire con l’atto (o il propugnare tale atto) deliberato di acquisire e conservare il controllo politico, diretto od indiretto, da parte di uno Stato su qualsiasi altro territorio abitato.

L’imperialismo pertanto è un fenomeno da stigmatizzare in quanto incentrato sull’uso e sulla minaccia d’uso della forza a priori, ma sicuramente questo fenomeno non può essere associato come prerogativa esclusiva dell’occidente, bensì è prerogativa che può essere fatta propria da ogni potere politico, non importa a quale influenza culturale sia sottoposto.

Il mondo è la storia hanno, infatti, conosciuto e continua a conoscere imperialismi di ogni genere e solo alcuni di essi possono essere collegati all’occidente inteso come area storico-culturale-geografica.

Se poi ci sono beni e servizi tipicamente occidentali particolarmente apprezzati in tutto il mondo questo certamente non può essere considerato per l’occidente un peccato, giacché piacere ed essere ammirati non può essere una colpa ed il libero mercato non impone niente a nessuno.

L’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce come interazione sociale non programmata e non come risultato di una volontà comune diretta alla sua costituzione come ci vuol far credere Latouche.

L’economia è innanzitutto una conoscenza tacita, e tale conoscenza diviene consapevole, analizzata e strutturata teoricamente soltanto negli stadi successivi della storia dell’umanità, dunque una società dell’economia non è una tardo-invenzione dell’essere umano, ma è un qualcosa che ha accompagnato l’umanità sin dagli inizi del suo agire.

Inoltre, la dimensione economica della vita non ha come fondamento ultimo il desiderio di ricchezza materiale, bensì la condizione umana di scarsità: economici sono i mezzi e non anche i fini ultimi dell’azione.

Siamo quindi costantemente chiamati ad economizzare i mezzi della nostra azione e se non fosse stato per questa capacità dell’essere umano di economizzare non saremmo mai riusciti a risolvere problemi complessi.

L’essere umano è soprattutto un produttore creativo e non un dilapidatore di risorse, o meglio “è un produttore creativo fintanto che si circonda di istituzioni capaci di favorire la creatività umana”.

Pur agendo in condizione di scarsità, la capacità umana di economizzare è in grado, infatti, di “trasformare l’entità delle risorse disponibili da limitate ad incerte”, poiché la risorsa fondamentale per mezzo della quale possono in seguito trovare utilizzo tutte le altre risorse è la mente umana.

La storia dell’umanità dimostra che l’uomo, mediante le sue invenzioni ed innovazioni tecnologiche, è riuscito non solo a spostare sempre un po’ più in là la frontiera delle possibilità produttive ed a scoprire nuove risorse nonché a sfruttare meglio quelle già conosciute, ma, allo stesso tempo, è riuscito ad affrontare e risolvere gradualmente le problematiche ambientali che di volta in volta si ponevano.

Di conseguenza, dichiarare che l’essere umano è un dilapidatore irreversibile di ambiente e risorse è un’affermazione ottusa e disapprovare l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita non ha alcun senso se non quello di porre l’essere umano dinanzi alla sua auto-distruzione.

Con ciò non si vuole, nel contempo, sostenere che l’essere umano sia capace di massimizzare in senso stretto e che la sua vita si esaurisca nell’idealtipo dell’homo oeconomicus.

Non siamo in grado di massimizzare in senso stretto niente, dal momento che non possiamo accedere alla conoscenza di tutti i dati rilevanti: non si può dire, infatti, del processo di competizione e cooperazione che esso porti alla massimizzazione di un qualche risultato misurabile, ma soltanto all’uso, in condizioni favorevoli, di maggiori capacità e conoscenze rispetto a qualsiasi altra procedura.

L’essere umano non può esaurirsi nel soggetto idealtipico dell’homo oeconomicus, il cui scopo è solo la ricerca della massimizzazione della ricchezza materiale, perché questo modello è scorretto in quanto parziale: tale soggetto, infatti, non tiene in conto quelle preferenze che possono emergere diverse dal guadagno materiale, come, ad esempio, il valore affettivo che una persona può conferire ad un determinato bene.

Se l’essere umano non può esaurirsi nell’homo oeconomicus, allora si deve dedurre che il concetto di utilitarismo non può essere unidimensionale.

Una corretta visione della scienza economica, infatti, tratta dell’azione umana non solo nella misura in cui questa è attuata da ciò che viene descritto come motivo del guadano materiale.

I problemi “strettamente economici” devono essere inseriti in una scienza più generale, quella della scelta umana, e non possono essere scissi da questa.

L’economia pertanto possiede da sempre un ambito di autonomia, ma in quanto scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un determinato fine e non e come mera scienza degli aspetti “strettamente economici”.

Il libero mercato, fondandosi sulla soggettività del valore, va al di là dell’orizzonte degli sforzi umani e della lotta dell’uomo per i beni ed il miglioramento della sua ricchezza materiale e conseguentemente l’idea che esso distrugga tutto ciò che è collettivo è inaccettabile.

Il libero mercato, semmai, rappresenta l’organizzazione della vita collettiva più efficiente perché in esso le possibilità di scambio sono le più numerose possibili.

Latouche, con una chiusura mentale imbarazzante, condanna la società della crescita dato che in questa scorge un’amplificazione delle disuguaglianze materiali tra esseri umani.

Chiusura mentale imbarazzante per due motivi: senza crescita economica non avremmo mai avuto l’allungamento delle aspettative di vita, il crollo della mortalità infantile, la diffusione di condizioni igieniche accettabili, cure mediche all’avanguardia, etc.; il problema a monte non concerne una corretta distribuzione della ricchezza ma quello di assicurare la migliore contribuzione possibile al processo di creazione della ricchezza.

Latouche, concentrandosi sul tema delle disuguaglianze materiali, ammette che la povertà diffusa può essere un problema ma, a questo riguardo, il suo obiettivo non è quello di tendere ad ottimizzare la possibilità media di tutti, bensì di limitare uniformemente le energie produttive di tutti.

Certo, lo sviluppo economico non dovrebbe abitualmente prodursi a colpi ricorrenti di boom e crisi, ma se l’andamento economico mostra un comportamento che potremmo definire come “maniaco-depressivo” le cause vanno ricercate in una produzione e gestione del denaro fondamentalmente sottratta al meccanismo impersonale del libero mercato, e non nel libero mercato.

Latouche, per giungere nel lungo periodo alla sua società della decrescita, articola un programma politico in dieci punti:

  1. Ridurre l’impatto ecologico, tornando alla produzione materiale anni ’60 – ’70;
  2. Ridurre i trasporti internazionalizzandone i costi attraverso ecotasse;
  3. Rilocalizzare le attività;
  4. Ristabilire l’agricoltura contadina;
  5. Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi;
  6. Rilanciare la produzione di beni relazionali;
  7. Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4;
  8. Penalizzare le spese di pubblicità;
  9. Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica;
  10. Riappropiarsi del denaro.

Latouche possiede anche un programma per far fronte alle sfide di breve periodo, e qui ci viene suggerito: reddito di cittadinanza, limite legale ai redditi più alti, imposte dirette progressive (sopra il reddito massimo legale anche del 100 per cento), imposte indirette sui beni di lusso, tassa patrimoniale e ricorso immediato alla monetizzazione in caso di deficit pubblico.

Insomma, ce n’è abbastanza per affermare che Latouche altro non è che un ennesimo grande nemico della società libera (sulla scia di Platone, Hegel e Marx) e la decrescita felice solo un altro modo per instillare lo statalismo nelle menti delle persone, ossia l’aggressione sistematica ed istituzionale contro la libera funzione imprenditoriale.

Infondo, è lo stesso Latouche a dircelo:

La concezione di società della decrescita (…) non significa un impossibile ritorno al passato, né un accomodamento con il capitalismo, ma un “superamento” (se possibile armonioso) della modernità. La decrescita è necessariamente contro il capitalismo (…) non si può pensare a una società della decrescita senza uscire dal capitalismo[1].

Latouche è quindi più vicino a Karl Marx di quanto egli stesso forse non pensi.

In aggiunta, la società della decrescita condanna il consumismo definito come “dimensione di costrizione”.

Su quest’ultimo punto c’è da mettersi preventivamente d’accordo.

Se per consumismo s’intende quelle interferenze politiche ai danni della libertà individuale di scelta atte a stimolare artificialmente il consumo ai danni del risparmio e della tesaurizzazione, ad indurci in maniera aggregata a spendere per consumi come se non ci fosse un domani perché tanto, ormai, utilizzare il proprio reddito in modo diverso è diventato istituzionalmente sconveniente se non impraticabile, allora è legittimo condannare il consumismo, poiché violazione dell’ordine di libero mercato e di una possibilità di progresso futuro.

Ma se condannare il consumismo significa condannare l’uomo comune come consumatore sovrano la cui decisione di comprare od astenersi dal comprare in ultima analisi determina quello che deve essere prodotto, allora la decrescita felice si dimostra ancora una volta di essere teoria al servizio della violenza organizzata e non vi sono sostanzialmente dubbi che i teorici della decrescita felice intendano, se non altro soprattutto, colpire l’uomo comune come consumatore sovrano.

Per Pallante la parola consumatore indica:

una mutazione antropologica degradante sia dal punto di vista dell’intelligenza, sia dal punto di vista della morale[2].

In definitiva, i teorici della decrescita non diffondono generalmente alcunché di sereno, conviviale e felice, ma solamente aggressione sistematica ed istituzionale che intende nascondersi dietro la maschera di un’etica frugale e l’illusione di avvicinarsi all’Eden attraverso una nuova civiltà basata sull’agricoltura biologica.

Essi si sentono i detentori di un punto di vista privilegiato sul mondo e soffrono di quel vizio filosofico che consiste nella presunzione di poter dirigere centralisticamente la società.

Essi ci raccontano che la società delle decrescita da loro ipotizzata, qualora fosse pienamente attuata, genererà una varietà imprecisabile di alternative ed esperimenti sociali, ma l’oggettività della realtà invece ci racconterebbe tutt’altro.

Come andrebbe a finire se queste teorie prendessero concretamente e pienamente il soppravvento lo si può esplicitare nella maniera seguente:

prima il controllo dei prezzi, poi la vendita forzosa, quindi il razionamento, poi ancora le norme tassative sulla regolamentazione della produzione e della distribuzione, e infine i tentativi di assumere la direzione pianificata dell’intero sistema produttivo e distributivo[3].

E si aggiunga pure, se non fosse già sufficientemente sottointeso, l’emergere di una povertà diffusa e l’annichilimento della libertà individuale di scelta.

D’altronde, quando si vagheggia un mondo dove la proprietà privata dei mezzi di produzione, i rapporti salariali e l’accumulazione di capitale sono un ostacolo e dove i prezzi dei fattori di produzione devono essere sottratti, nella loro determinazione, a qualsiasi influenza di libero mercato, non può che finire così.

Quando i lupi vengono a noi travestiti da agnelli.

 

[1] Latouche S., La scommessa della decrescita, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 121-122

[2] Pallante M., La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, Edizioni per la decrescita felice, Roma, 2012³, p. 91

[3] von Mises L., I fallimenti dello Stato interventista, trad. it., Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1997, p. 214

Riferimenti Bibliografici

Nicola Iannello, «Crescita, decrescita e libertà di scelta», in Idee di Libertà: economia, diritto, società, a cura di Nicola Iannello e Lorenzo Infantino, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2015, pp. 33-41

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Come pensare da economisti

Von Mises Italia - Ven, 24/03/2017 - 08:21

Prasseologia è la metodologia distintiva della scuola austriaca (prasseologia: teoria che si occupa dell’agire umano). Il termine è stato applicato prima al metodo austriaco di Ludwig von Mises, che non era solo il principale architetto ed elaboratore di questa metodologia, ma anche l’economista che più pienamente e con successo si è applicato alla costruzione della teoria economica.

  1. Mentre il metodo prasseologico è, a dir poco, di moda in economia contemporanea, così come nelle scienze sociali in generale e nella filosofia della scienza è stato il metodo di base della scuola austriaca prima ed anche di un notevole segmento della più vecchia scuola classica, in particolare di Jean-Baptiste Say (1767-1832 economista francese) e Nassau William Senior (1790 -1864 economista inglese).

  2. La prasseologia poggia sullo assioma fondamentale che il singolo atto degli esseri umani, ossia sul fatto primordiale che gli individui si impegnano in azioni coscienti verso obiettivi scelti. Questo concetto di azione si contrappone a quello puramente riflessivo o istintivo, di un comportamento che non è diretto verso gli obiettivi. Il metodo prasseologico ruota al di fuori per deduzione verbale alle implicazioni logiche di questo fatto primordiale. In breve, l’economia prasseologica è la struttura di implicazioni logiche del fatto che gli individui agiscono. Questa struttura è costruita sullo assioma fondamentale di azione e ha un paio di assiomi controllati, come quelli individuali che variano e che gli esseri umani, per quanto riguarda il tempo libero, lo ritengono un bene prezioso. A tal riguardo qualsiasi scettico lo dedurrebbe come una semplice base per un intero sistema di economia, mi riferisco a: Human Action di Mises. Inoltre, dal momento che prasseologia inizia con un vero assioma, A, tutte le proposizioni che possono essere dedotte da questo assioma devono anche essere vere. Infatti, se A implica B ed A è vero, allora anche B deve essere vero. Prendiamo in considerazione alcune delle implicazioni immediate dello assioma dell’azione. L’azione implica che il comportamento dello individuo è intenzionale, insomma, è indirizzato verso gli obiettivi. Inoltre, il fatto della sua azione implica che egli abbia scelto, consapevolmente, determinati mezzi per raggiungere i suoi obiettivi. Dal momento che egli vuole raggiungere questi obiettivi, devono essere preziosi per lui; di conseguenza deve avere valori che governano le sue scelte. L’individuo impiega mezzi e ciò implica che egli crede di avere le conoscenze tecnologiche che certi mezzi saranno in grado di fargli raggiungere gli scopi desiderati. Notiamo che ella prasseologia non si presume che la scelta di una persona i valori o gli obiettivi sia saggia o appropriata o che ha scelta del metodo tecnologicamente corretto di raggiungerli. Tutto ciò che afferma la prasseologia è che l’attore individuo adotta obiettivi e ritiene, sia erroneamente sia correttamente, che può arrivare a loro mediante l’impiego di alcuni mezzi. Inoltre, tutte le azioni nel mondo reale devono avvenire attraverso il tempo; ogni azione avviene in alcuni momenti ed è diretta verso il futuro (immediato o remoto) per il raggiungimento di un fine. Se tutti i desideri di una persona potessero essere realizzati istantaneamente, non ci sarebbe alcun motivo di agire.

  3. Oltre a ciò, un uomo, da come si comporta, implica che egli ritiene che l’azione farà la differenza; in altre parole, egli preferirà lo stato di cose in forza di una azione a quello da nessuna azione. L’azione implica, pertanto, che l’uomo non ha la conoscenza onnisciente del futuro; per se ha una certa conoscenza e nessuna azione non avrebbe fatto alcuna differenza. Quindi, l’azione implica che viviamo in un mondo di incertezza o non completamente certo, il futuro. Di conseguenza, possiamo modificare la nostra analisi di azione per dire che un uomo sceglie di impiegare mezzi, secondo un piano tecnologico, nel presente perché si aspetta di arrivare ai suoi obiettivi in un momento futuro. Il fatto che le persone agiscono, necessariamente, implica che i mezzi utilizzati sono scarsi in relazione agli scopi perseguiti; se tutti i mezzi non sono scarsi, ma sovrabbondanti, gli obiettivi dovrebbero essere già stati raggiunti e non ci sarebbe necessità di un intervento. Detto in altro modo, le risorse che sono sovrabbondanti funzioneranno più come mezzo, perché non ci sono più oggetti di azione. Quindi, l’aria è indispensabile per la vita ed al raggiungimento degli obiettivi; tuttavia, l’aria essendo sovrabbondante, non è un oggetto di azione e pertanto non può essere considerata un mezzo, Mises ha chiamato ciò: “condizione generale di benessere umano”. Dove l’aria non è sovrabbondante, può diventare un oggetto di azione, ad esempio, dove è desiderata l’aria fredda, l’aria calda viene trasformata dall’aria condizionata. Anche con l’avvento assurdamente improbabile di Eden (o quello che qualche anno fa era considerato in alcuni ambienti di essere un mondo imminente “post-scarsità”), in cui tutti i desideri possono essere soddisfatti istantaneamente, ci sarebbe ancora almeno un mezzo tramite: il tempo dell’individuo, ogni unità di cui, se attribuito ad uno scopo non è necessariamente assegnato a qualche altro obiettivo.

  4. Queste sono alcune delle implicazioni immediate dello assioma di azione. Siamo arrivati a loro deducendo le implicazioni logiche del fatto esistente dell’azione umana e quindi dedotte le conclusioni vere da un vero assioma. A parte il fatto che queste considerazioni non possono essere “testate” mediante dati storici o statistici, non c’è bisogno di testare la loro verità dal momento che la loro verità è già stata stabilita. Il fatto storico entra in queste conclusioni solo per determinare quale ramo della teoria è applicabile in ogni caso particolare. Così, per Crusoe e Venerdì, sulla loro isola deserta, la teoria prasseologica di denaro è solo accademica, piuttosto che un interesse attualmente applicabile. Un’analisi più completa del rapporto tra teoria e la storia nel quadro prasseologico sarà considerato più sotto. Poi, ci sono due parti di questo metodo assiomatico-deduttivo: il processo di deduzione e lo statuto epistemologico degli assiomi stessi. In primo luogo, vi è il processo di deduzione: perché lo sono i mezzi verbali piuttosto che la logica matematica?

  5. Senza esporre completamente il caso austriaco contro l’economia matematica, il punto può essere fatto immediatamente: lasciare che il lettore prenda le implicazioni del concetto di azione come si sono state sviluppate finora in questo documento e cercare di metterlo in forma matematica. Anche se questo potesse essere fatto, cosa avemmo compiuto, tranne una perdita drastica di ciò che si intende per ogni fase del processo deduttivo? La logica matematica è adeguata alla fisica – la scienza che è diventata il modello di scienza e che i positivisti moderni e gli empiristi ritengono che tutte le altre scienze sociali e fisiche dovrebbero emulare. In fisica gli assiomi e di conseguenza le deduzioni sono di per sé puramente formali ed il solo acquisire significa “operativamente” nella misura in cui si possono spiegare e predire i dati di fatto. Al contrario, in prasseologia, nell’analisi dell’azione umana, gli assiomi stessi sono noti per essere veri e significativi. Come risultato, ogni deduzione verbale, passo dopo passo, è anche vero e significativo; perché è la grande qualità di proposizioni verbali che per ognuno è significativa, mentre i simboli matematici non lo sono significativi per se stessi. Così Lord Keynes, a malapena un austriaco, e lui stesso un matematico degno di nota, uniformata la seguente critica al simbolismo matematico in economia: vi è un grande difetto di metodi di pseudo-matematica simbolica nel formalizzare un sistema di analisi economica, che assumono esplicitamente rigorosa indipendenza tra i fattori coinvolti e perdono tutta la loro efficacia e autorità, se questa ipotesi non è consentita: considerando che, nel discorso ordinario, dove non stiamo manipolando alla cieca, ma abbiamo tutto il tempo per conoscere quello che stiamo facendo ed il significato delle parole che siamo in grado di mantenere “nella parte posteriore delle nostre teste” (significa che: una voce nella nostra mente ci ha spinto in una certa direzione ndt), le riserve e le qualifiche necessarie e gli adeguamenti che dobbiamo fare in seguito, in un modo in che non possiamo mantenere complesse differenziali parziali “nella parte posteriore” (della mente) delle diverse pagine di algebra che si attribuiscono e che tutte spariscono. Una percentuale troppo grande della recente “matematica” per l’economia sono semplici intrugli, imprecisi come le ipotesi iniziali sulle quali si poggiano e che consentono all’autore di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un labirinto di simboli pretenziosi e inutili.

  6. Peraltro, anche se a parole l’economia potesse essere tradotta con successo in simboli matematici e poi ritradotta in inglese, in modo da spiegare le conclusioni, il processo non ha senso e vìola il grande principio scientifico del rasoio di Occam (attribuito al francescano inglese Guglielmo di Ockham, 1287-1347, legge della parsimonia ndt): evitando l’inutile moltiplicazione delle entità.

  7. Inoltre, come il politologo Bruno Leoni ed il matematico Eugenio Frola hanno sottolineato: Si è spesso sostenuto che la definizione di tale concetto come il massimo da un ordinario in linguaggio matematico, comporta un miglioramento della precisione logica del concetto, così come le opportunità più ampie per il suo utilizzo. Ma la mancanza di precisione matematica nel linguaggio comune, riflette con precisione il comportamento dei singoli esseri umani nel mondo reale … Si potrebbe sospettare che la traduzione in linguaggio matematico, di per sé, implica una trasformazione suggerita dagli operatori economici umani ai robot virtuali.

  8. Allo stesso modo, uno dei primi metodologi in economia, Jean-Baptiste Say, accusò gli economisti matematici: non sono stati in grado di enunciare queste domande in linguaggio analitico, senza separarsi dalle loro complicazione naturali, mediante semplificazioni e soppressioni arbitrarie, le cui conseguenze, non correttamente stimate e sempre sostanzialmente modificando la condizione del problema ed alterando tutti i suoi risultati.

  9. Più recentemente, Boris Ischboldin ha sottolineato la differenza tra il verbale, o “linguaggio” logico (“l’analisi reale del pensiero, indicato nel linguaggio espressivo della realtà come colto nella comune esperienza”) e “costruire” la logica, che è “l’applicazione di dati quantitativi (economici) a disposizione della matematica e della logica simbolica che costruisce e che può o non può avere equivalenti reali.”

  10. Karl Menger (1902-1985) anch’egli economista e matematico, figlio del matematico ed economista Carl Menger (1840-1921) ha scritto una critica tagliente dell’idea che la presentazione matematica in economia è necessariamente più precisa del linguaggio ordinario: Si consideri, ad esempio, le dichiarazioni (2) ad un prezzo più alto di un bene, corrisponde una più bassa (o comunque non superiore) richiesta. (2′) Se p indica il prezzo di e q la richiesta di un bene, allora

    q = f (p) e dq / dp = f ‘(p) ≤ 0 Coloro che considerano la formula (2′) come più precisa o “più matematica” della frase (2) sono sotto un completo equivoco … l’unica differenza tra (2) e (2′) presente è: dal (2′) è limitata a funzioni che sono differenziabili ed i cui grafici, hanno tangenti (che da un punto di vista economico non sono più accettabili di curvatura), la frase (2) è più generale, ma non è affatto meno precisa: è della stessa precisione matematica come (2′).

  11. Passando dal processo di detrazione per gli assiomi stessi, qual è il loro status epistemologico? Qui i problemi sono offuscati da una differenza di parere nel campo prasseologico, particolarmente sulla natura dello assioma fondamentale dell’azione. Ludwig von Mises, come aderente di epistemologia kantiana, ha affermato che: il concetto di azione è a priori di tutte le esperienze, perché come la legge di causa ed effetto, fa parte del “carattere essenziale e necessita della struttura logica della mente umana”.

  12. Senza scavare troppo a fondo nelle acque torbide dell’epistemologia, mi verrebbe negato, come un aristotelico e neo-tomista, tali presunte “leggi della struttura logica” che la mente umana impone necessariamente sulla struttura caotica della realtà. Invece, chiamerei tali leggi: “leggi della realtà”, che la mente apprende per indagare e la fascicolazione (contrazione spontanea ndt) dei fatti del mondo reale. La mia opinione è che gli assiomi e le controllate dei fondamentali degli assiomi sono derivati dalla esperienza della realtà e sono quindi, in senso lato, sperimentali. Sono d’accordo con la visione realista aristotelica, la sua dottrina è radicalmente empirica, molto più di quanto l’empirismo post-humeano è dominante nella filosofia moderna. Così, John Wild (1902-1972 filosofo americano) ha scritto: è impossibile ridurre l’esperienza ad un insieme di impressioni isolate e unità atomiche (che formano un sistema di unità naturali). La struttura relazionale è data anche con uguale evidenza e certezza. I dati immediati sono pieni di struttura determinata ed è facilmente estratta dalla mente e colta come sostanza o possibilità universale.

  13. Inoltre, uno dei dati pervasivi, di tutta l’esperienza umana, è l’esistenza; un altro è la coscienza o la consapevolezza. In contrasto con la visione kantiana, Harmon Chapman ha scritto che: la concezione è una sorta di consapevolezza, un modo di apprendere le cose o la loro comprensione e non una presunta manipolazione personale delle cosiddette generalità o universalità solo “mentali” o “logiche” della loro provenienza e non nella natura conoscitiva. Per arrivare a conoscere così i dati di senso e la concezione che sintetizza anche questi dati è evidente. Ma la sintesi qui coinvolta, a differenza della sintesi di Kant, non è una condizione preliminare della percezione, un processo anteriore che costituisce la percezione ed il suo oggetto, ma piuttosto una sintesi cognitiva nella preoccupazione, cioè una unione o “includere”, che è lo stesso di apprendere. In altre parole, la percezione e l’esperienza non sono i risultati o i prodotti finali di un processo sintetico a priori, ma sono essi stessi sintetici o una angoscia globale in cui l’unità strutturata è prescritta esclusivamente dalla natura del reale ed è, per gli scopi specificati nel loro Insieme e non dalla coscienza stessa cui (cognitivo) per natura è quello di comprendere il vero – come è.

  14. Se, in senso lato, gli assiomi di prasseologia sono radicalmente empirici, sono ben lungi dall’essere l’empirismo post-humeano che pervade la metodologia moderna delle scienze sociali. Oltre alle considerazioni che precedono, (1) sono così ampiamente basate in comune con l’esperienza umana che, una volta enunciate, diventano auto-evidenti e quindi non soddisfano il criterio di moda di “falsificabilità” (possibilità di confutazione, Karl Popper 1902-1994 filosofo espistemologo austriaco ndt); (2) rimangono in particolare lo assioma azione, sull’esperienza interiore universale, nonché sull’esperienza esterna, cioè la prova è riflessiva piuttosto che puramente fisica e (3) sono, quindi a monte delle complesse vicende storiche a cui l’empirismo moderno limita il concetto di “esperienza”.

  15. J. B. Say, forse il primo prasseologista, ha spiegato la derivazione degli assiomi della teoria economica come segue: : Da qui il vantaggio goduto da tutti coloro che, dall’osservazione distinta e precisa, sono in grado di stabilire l’esistenza di questi fatti generali, dimostrando la loro connessione e dedurre le loro conseguenze. Certamente, essi procedono nella natura delle cose, come le leggi del mondo materiale. Non li immaginiamo; sono risultati comunicati a noi dall’analisi e dell’osservazione assennata … L’economia politica … è composta da alcuni principi fondamentali e da un gran numero di corollari o conclusioni, tratti da questi principi … che può essere ammessa per rispecchiarsi in ogni mente.

  16. Friedrich A. Hayek pungentemente descrive il metodo prasseologico in contrasto con la metodologia delle scienze fisiche e ha anche sottolineato la natura largamente empirica degli assiomi prasseologici: La posizione dell’uomo … fa sì che i fatti di base essenziali, di cui abbiamo bisogno per la spiegazione dei fenomeni sociali, sono parte della comune esperienza, che fa parte (a sua volta) delle cose del nostro pensiero. Nelle scienze sociali sono gli elementi dei fenomeni complessi che sono là conosciuti dalla possibilità di contestazione. Nelle scienze naturali, nella migliore delle ipotesi, possono essere solo ipotizzati. L’esistenza di questi elementi è molto più certa di qualsiasi regolarità dei fenomeni complessi a cui danno origine e sono loro che costituiscono il fattore veramente empirico nelle scienze sociali. Ci sono pochi dubbi che sia questa posizione diversa dal fattore empirico nel processo di ragionamento nei due gruppi di discipline e ciò è alla radice di molta della confusione in relazione al loro carattere logico. La differenza essenziale è che nelle scienze naturali il processo di deduzione deve partire da alcune ipotesi che sono il risultato di generalizzazioni induttive, mentre nelle scienze sociali inizia direttamente da elementi empirici noti e sono utilizzati per individuare le regolarità dei fenomeni complessi, che osservazioni dirette non possono stabilire. Essi sono, per così dire, empiricamente scienze deduttive, procedendo dagli elementi noti per le regolarità dei fenomeni complessi che non possono essere stabiliti direttamente.

  17. Allo stesso modo, John Elliott Cairnes (1823 -1875 economista irlandese) ha scritto: L’economista inizia con una conoscenza delle cause ultime. Egli è già, in via preliminare della sua impresa, nella posizione che il fisico raggiunge solo dopo secoli di ricerca laboriosa … Per la scoperta di tali premesse non è necessario alcun processo elaborato di induzione … è per questa ragione, che abbiamo o possiamo avere, di avere scelto di rivolgere la nostra attenzione al tema, la conoscenza diretta di queste cause nella nostra coscienza di ciò che passa nella nostra mente e le informazioni che ci trasmettono i nostri sensi … i fatti esterni.

  18. Nassau W. Senior si espresse così: Le scienze fisiche, essendo solo secondariamente in dimestichezza con la mente, traggono le loro premesse quasi esclusivamente da osservazioni o ipotesi … D’altra parte, le scienze e le arti mentali traggono le loro premesse principalmente dalla coscienza. I soggetti cui essi sono maggiormente in confidenza, sono i meccanismi della mente umana. (Queste premesse sono) pochissime proposizioni generali e sono il risultato dell’osservazione o della coscienza e come quasi ogni uomo, appena le ascolta, ammette, essere familiare al suo pensiero, o almeno, contenuta nella sua precedente cognizione.

  19. Commentando il suo completo accordo con questo passaggio, Mises ha scritto che queste “proposizioni immediatamente evidenti” sono “di derivazione aprioristica … a meno che non si voglia chiamare aprioristica la cognizione dell’esperienza interiore”.

  20. Al che Marian Bowley (1911-2002 è stata una economista e storica del pensiero economico), il biografo di Senior, giustamente commenta: L’unica differenza fondamentale tra atteggiamento generale di Mises e le bugie di Senior nell’apparente negazione di Mises sulla possibilità di utilizzare tutti i dati empirici generali, vale a dire, i fatti di osservazione generale, come premesse iniziali. Questa differenza, comunque, gira sulle idee di base di Mises nella natura del pensiero ed anche se di interesse filosofico generale, ha scarsa rilevanza particolare per il metodo economico in quanto tale.

  21. Bisogna notare che per Mises è solo lo assioma fondamentale dell’azione che è a priori; egli ha ammesso che gli assiomi sussidiari della diversità del genere umano, della natura e del tempo libero, come dei consumatori di merci, sono largamente empiriche. La moderna filosofia post-kantiana ha avuto una grande quantità di problemi che comprende evidenti difficoltà e sono contrassegnate appunto dalla loro forte ed evidente verità, piuttosto che essere ipotesi verificabili sono, secondo la moda corrente, considerate “falsificabili”. A volte sembra che gli empiristi utilizzino la dicotomia analitico-sintetica alla moda, come quella a carico del filosofo Hao Wang (1921-1995 logico, filosofo, matematico), di disporre di teorie che difficilmente trovano smentita respingendo loro come necessariamente sia le definizioni dissimulate o le ipotesi discutibili ed incerte.

  22. Ma cosa succede se sottoponiamo ad analisi le decantate “prove” dei positivisti moderni e degli empiristi? Che cos’è? Troviamo che ci sono due tipi di tale prova, per entrambi, da confermare o confutare in proposizione: (1) se vìola le leggi della logica, per esempio, implica che A = -A o (2) se è confermato dai fatti empirici (come in un laboratorio) e possono essere controllati da molte persone. Ma qual è la natura di tali “prove”, ma la proposizione, con vari mezzi, di proposte finora nuvolose e oscure in vista chiara ed evidente, cioè, evidente agli osservatori scientifici? In breve, i processi logici o di laboratorio servono a rendere evidenti a “se stessi” dai vari osservatori che le proposizioni sono confermate o confutate o, per usare una terminologia fuori moda, vere o false. Ma in questo caso le proposizioni che sono immediatamente evidenti agli stessi osservatori hanno almeno un minimo di buono stato scientifico come gli altri e attualmente una più accettabile forma di evidenza. O, come il filosofo tomista John J. Toohey ha posto, la dimostrazione con mezzi per rendere evidente qualcosa che non è evidente. Se una verità o proposizione è evidente, è inutile cercare di dimostrarlo; tentare di provarlo sarebbe tentare di rendere evidente qualcosa che è già evidente.

  23. In particolare, l’assioma di azione dovrebbe essere, secondo la filosofia aristotelica, insindacabile ed evidente dal momento che il critico che tenta di confutare i riscontri che deve usare nel processo di presunta confutazione. Così, l’assioma dell’esistenza della coscienza umana è dimostrato come ovvio per il fatto che l’atto di negare l’esistenza della coscienza deve essa stessa essere eseguita da un essere cosciente. Il filosofo RP Phillips ha chiamato questo attributo di un assioma evidente un “principio boomerang”, dal momento che “anche se lo lanciamo via da noi, ritorna nuovamente a noi”.

  24. Ad una simile contraddizione si trova di fronte l’uomo che tenta di confutare l’assioma dell’azione umana. Perché in questo modo, è ipso facto una persona che effettua una scelta consapevole dei mezzi nel tentativo di arrivare a un fine adottato: in questo caso con il fine o l’obiettivo di cercare di confutare l’assioma di azione. Si impiega azione nel tentativo di confutare il concetto di azione. Naturalmente, una persona può dire che nega l’esistenza di principi evidenti o di altre verità consolidate del mondo reale, ma questo semplice detto non ha alcuna validità epistemologica. Come Toohey ha sottolineato: Un uomo può dire che nulla gli piace, ma non può pensare o fare quello che vuole. Egli può dire di aver visto una piazza rotonda, ma non può pensare di aver visto una piazza rotonda. Egli può dire, se gli piace, che vide un cavallo a cavallo di un cavallo, ma sapremo cosa pensare di lui se lo dice.

  25. La metodologia del positivismo moderno e dell’empirismo arriva al insuccesso anche nelle scienze fisiche, per cui è molto più adatta rispetto alle scienze dell’azione umana; anzi non particolarmente dove i due tipi di discipline interconnettono. Così, il fenomenologo Alfred Schütz (1899-1959 filosofo), allievo di Mises a Vienna, pioniere nell’applicare la fenomenologia alle scienze sociali, ha sottolineato la contraddizione nell’insistenza degli empiristi sul principio di verificabilità empirica nel campo della scienza, mentre allo stesso tempo nega l’esistenza di “altre menti” come non verificabile. Ma chi dovrebbe fare la verifica di laboratorio, se non queste stesse “altre menti” degli scienziati riuniti? Schütz ha scritto: E’ … non comprensibile che gli stessi autori che sono convinti che nessuna verifica sia possibile per l’intelligenza degli altri esseri umani abbiano una tale fiducia nel principio di verificabilità di sé che può essere realizzata solo attraverso la cooperazione con gli altri.

  26. In questo modo, gli empiristi moderni ignorano i presupposti necessari del metodo campione molto scientifico. Per Schütz, la conoscenza di tali presupposti è “empirica” nel senso più ampio, a condizione che non ci limitiamo a questo termine nelle percezioni sensoriali degli oggetti ed eventi nel mondo esterno, ma includiamo la forma empirica, per cui il pensare, con buon senso, nella vita quotidiana comprende le azioni umane ed il loro esito in termini di motivi di fondo e gli obiettivi.

  27. Dopo aver affrontato con la natura della prasseologia, le sue procedure, i suoi assiomi e le sue basi filosofiche, prendiamo ora in considerazione che cosa è la relazione tra prasseologia e le altre discipline che studiano l’azione umana. In particolare, quali sono le differenze tra la prasseologia e la tecnologia, la psicologia, la storia e l’etica – che sono tutte in qualche modo interessate con l’azione umana? Riassumendo, la prasseologia è costituita dalle implicazioni logiche del fatto formale universale, le persone agiscono, impiegano mezzi per cercare di raggiungere fini scelti. Offerte di tecnologia con il problema di come raggiungere i contenutistici per i fini di adozione dei mezzi. La psicologia si occupa della questione del perché le persone adottano i vari fini e come si muovono relativamente alla loro adozione. L’etica si occupa della questione di ciò che finisce o i valori che le persone dovrebbero adottare. E si occupa di storia con conclusioni adottate in passato e quali mezzi sono stati utilizzati per cercare di raggiungerli e quali sono state le conseguenze di queste azioni. La prasseologia o la teoria economica, in particolare, è dunque una disciplina unica all’interno delle scienze sociali; a differenza di altre, non si occupa del contenuto dei valori degli uomini, gli obiettivi e le azioni – non con quello che hanno fatto o come hanno agito o come dovrebbero agire – bensì solamente con il fatto che hanno obiettivi e agiscono per raggiungerli. Le leggi di utilità, domanda, offerta, ed il prezzo si applicano a prescindere dal tipo di beni e servizi desiderati o prodotti. Come Joseph Dorfman ha scritto su di Herbert J. Davenport (1861-1931 economista statunitense) Lineamenti di teoria economica (1896): Il carattere etico dei desideri non è stata una parte fondamentale della sua inchiesta. Gli uomini lavoravano e sono stati sottoposti a privazioni per “whisky, sigari e piedi di porco per i ladri”, ha detto “così come per il cibo o la collezione di statue o i macchinari per la raccolta”. Fino a quando gli uomini saranno disposti a comprare e vendere “la stoltezza ed il male” le ex “materie prime” (commodities) sarebbero fattori economici con la condizione di mercato, per l’utilità, come un termine economico che significava semplicemente l’adattabilità ai desideri umani. Fino a quando gli uomini li desideravano, hanno soddisfatto un bisogno e sono stati motivo di produzione. Quindi le scienze economiche non avevano bisogno di indagare sull’origine delle scelte.

  28. La prasseologia, così come gli aspetti sonori delle altre scienze sociali, poggia sull’individualismo metodologico, sul fatto che solo gli individui percepiscono, il valore, il pensare e l’agire. L’individualismo è sempre stato accusato dai suoi critici – e sempre in modo non corretto – con il presupposto che ogni individuo è un ermeticamente chiuso nello “atomo”, tagliato via e non influenzato da altre persone. Questo assurdo fraintendimento dell’individualismo metodologico è alla radice della manifestazione trionfante di John Kenneth Galbraith (1908-2006 economista) in Società del benessere (Boston: Houghton Mifflin, 1958), i valori e le scelte degli individui sono influenzati da altre persone e quindi si suppone che la teoria economica non è valida. Galbraith ha anche concluso, nella sua dimostrazione, che queste scelte, poiché influenzate, sono artificiali e illegittime. Il fatto che la teoria economica prasseologica si basi sul fatto universale dei valori, delle scelte individuali e dei mezzi, per ripetere la sintesi di Dorfman del pensiero di Davenport, la teoria economica non “ha bisogno di indagare l’origine delle scelte”. La teoria economica non si basa sul presupposto assurdo che ogni individuo arriva ai suoi valori e scelte nell’assoluto isolamento, isolato dall’influenza umana. Ovviamente, gli individui stanno continuamente imparando e si influenzano a vicenda. Come ha scritto giustamente Friedrich August von Hayek (1899-1992 economista e filosofo austriaco) nella sua famosa critica di Galbraith: “The Non Sequitur dell’effetto della dipendenza”: la tesi del professor Galbraith potrebbe essere facilmente utilizzata, senza alcun cambiamento dei termini essenziali, per dimostrare l’inutilità della letteratura o di qualsiasi altra forma d’arte. Sicuramente, il desiderio di un individuo per la letteratura non è originale con se stesso, nel senso che avrebbe esperienza se la letteratura non fosse stata prodotta. Questo allora significa che la produzione della letteratura non può essere difesa per soddisfare una richiesta solo perché è la produzione che provoca la domanda?

  29. Che la scuola di economia austriaca poggi saldamente dall’inizio sull’analisi del fatto di singoli valori soggettivi e le scelte, purtroppo hanno portato i primi Austriaci ad adottare il termine scuola psicologica. Il risultato è stato una serie di critiche e di indirizzi sbagliati e quindi le ultime scoperte della psicologia non erano state incorporate nella teoria economica. E’ stata anche portata a idee sbagliate come ad esempio: la legge dell’utilità marginale decrescente poggiata su qualche legge psicologica nella pienezza dei bisogni. In realtà, come Mises ha fermamente sottolineato: la legge è prasseologica piuttosto che psicologica e non ha nulla a che fare con il contenuto dei bisogni, per esempio: il decimo cucchiaio di gelato può essere gustato meno piacevolmente rispetto al nono cucchiaio. Invece, è una verità prasseologica, derivata dalla natura dell’azione, che la prima unità di bene sarà destinata al suo uso più prezioso, l’unità successiva al successivo più prezioso, e così via.

  30. Su un punto, e su un solo punto, però la prasseologia e le relative scienze dell’azione umana prendono una posizione nella psicologia filosofica: sulla proposta che la mente, la coscienza e la soggettività umana esistono e quindi esiste l’azione. In questo, si oppone alla base filosofica del comportamentismo e alle relative dottrine ed è così è unito a tutti i rami della filosofia classica con la fenomenologia. Su tutte le altre questioni, tuttavia, la prasseologia e la psicologia sono discipline distinte e separate.

  31. Una questione particolarmente importante è il rapporto tra la teoria economica e la storia. Anche in questo caso, come in molti altri settori dell’economia austriaca, Ludwig von Mises ha dato un contributo eccezionale, soprattutto nella sua Teoria e storia.

  32. È particolarmente curioso che Mises e altri prasseologisti, come un presunto “priorista” (nell’antica Firenze era un manoscritto in cui si annotavano eventi, elenchi di persone e liste varie ndt) e sono stati comunemente accusati di essere “nemici” della storia. Infatti, Mises ha ritenuto non solo che la teoria economica non ha bisogno di essere “testata” da fatti storici, ma che non può essere testato in alcun modo. Per il fatto di essere utilizzabile per testare teorie, deve esserci un semplice fatto, omogeneo con altri fatti in classi accessibili e ripetibili. In breve, la teoria che un atomo di rame, un atomo di zolfo e quattro atomi di ossigeno si combinino per formare un’entità riconoscibile, chiamato solfato di rame, con proprietà note, è facilmente testabile in laboratorio. Ciascuno di questi atomi è omogeneo e quindi il test è ripetibile all’infinito. Ma ogni evento storico, come Mises ha sottolineato, non è semplice e ripetibile; ogni evento è una risultante complessa di uno spostamento da varietà di cause multiple, nessuna delle quali rimane sempre in rapporti costanti con le altre. Ogni evento storico è quindi eterogeneo e la conseguenza degli eventi storici non può essere utilizzata per testare o costruire leggi della storia, quantitativamente o in altro modo. Siamo in grado di porre ogni atomo di rame in una classe omogenea di atomi di rame; non siamo in grado di farlo con gli eventi della storia umana. Naturalmente, questo non significa che non vi sono somiglianze tra eventi storici. Ci sono molte somiglianze, ma non omogeneità. Quindi, ci sono state molte somiglianze tra le elezioni presidenziali del 1968 e quella del 1972, ma erano gli eventi a malapena omogenei dal momento che sono stati caratterizzati da importanti differenze ineludibili. Né le prossime elezioni saranno un evento ripetibile da inserire in una classe omogenea di “elezioni”. Quindi, non scientifiche e di certo non quantitative, le leggi possono derivare da questi eventi. L’opposizione radicale fondamentale di Mises all’econometria ora diventa chiara. Econometria non solo tenta di scimmiottare le scienze naturali utilizzando complessi fatti storici eterogenei come se fossero ripetibili e omogenei fatti in laboratorio; si stringe anche la complessità qualitativa di ogni evento in un numero quantitativo e quindi aggrava l’errore agendo come se queste relazioni quantitative rimanessero costanti nella storia umana. In netto contrasto con le scienze fisiche, che poggiano sulla scoperta empirica di costanti quantitative, l’econometria, come Mises più volte ha sottolineato, non è riuscita a scoprire una sola costante nella storia umana. E date le mutevoli condizioni della volontà umana, la conoscenza, i valori e le differenze tra gli uomini, è inconcepibile e l’econometria non potrà mai farlo. Lungi dall’essere in contrasto con la storia, la prasseologia e non i presunti ammiratori della storia, (Mises) ha un profondo rispetto per i fatti irriducibili e unici della storia umana. Inoltre, è il prasseologista a riconoscere che i singoli esseri umani non possono essere legittimamente trattati con lo scienziato sociale, come se non fossero uomini che hanno la mente e agiscono sui loro valori e le loro aspettative, ma le pietre o molecole il cui percorso può essere scientificamente monitorato con presunte costanti o leggi quantitative. Inoltre, a coronamento dell’ironia, è il prasseologista è veramente empirico, perché riconosce la natura unica ed eterogenea dei fatti storici; è l’auto-proclamato “empirista” che vìola gravemente i fatti della storia tentando di ridurli a leggi quantitative. Mises ha scritto così sugli econometrici e altre forme di “economisti quantitativi”: Ci sono, nel campo dell’economia, relazioni non costanti e di conseguenza nessuna misura è possibile. Se uno statistico determina che un aumento del 10 per cento nella fornitura di patate ad Atlantis in un momento preciso e poi seguito da un calo dell’8 per cento nel prezzo, non stabilisce nulla di ciò che è accaduto o potrebbe accadere con una variazione dell’offerta di patate in un altro paese o in un altro tempo. Non ha “misurato” la “elasticità della domanda” di patate, ha solo stabilito un fatto storico individuale ed unico. Nessun uomo intelligente può dubitare che il comportamento degli uomini per quanto riguarda le patate e ogni altra merce è variabile. Diversi individui apprezzano le stesse cose in modo diverso e le valutazioni cambiano con le stesse persone in condizioni mutevoli. … L’impossibilità di misurazione non è dovuta alla mancanza di metodi e tecniche per la costituzione della misura. È dovuta all’assenza di rapporti costanti. … L’economia non è come … i positivisti ripetono più volte, in ritardo perché non è “quantitativa”. Non è quantitativa e non misura perché non ci sono costanti. I dati statistici si riferiscono a eventi economici e sono dati storici. Ci dicono quello che è successo in un caso storico e non ripetibile. Gli eventi fisici possono essere interpretati sulla base della nostra conoscenza e sulle relazioni costanti stabilite da esperimenti. Gli eventi storici non sono aperti a tale interpretazione. … L’esperienza della storia economica è sempre esperienza di fenomeni complessi. Non si può mai trasmettere conoscenza del tipo sperimentale a prescinde da un esperimento di laboratorio. La statistica è un metodo per la presentazione dei fatti storici. … Le statistiche dei prezzi sono storia economica. L’intuizione che, ceteris paribus (a parità di tutte le altre circostanze o ferme restando le altre condizioni ndt), un aumento della domanda deve tradursi in un aumento dei prezzi non deriva dall’esperienza. Nessuno mai ha fatto o sarà in grado di osservare un cambiamento in uno dei ceteris paribus dei dati di mercato. Non esiste una cosa come l’economia quantitativa. Tutte le quantità economiche che conosciamo sono i dati della storia economica … Nessuno è così audace da sostenere che l’aumento di un punto percentuale nella fornitura di qualsiasi merce deve sempre – in ogni paese e in ogni momento – essere il risultato della caduta di B per cento nel prezzo; come nessun economista quantitativo ha mai osato definire con precisione, sul terreno dell’esperienza statistica, delle condizioni particolari che producono una deviazione definita dal rapporto A:B e quindi l’inutilità dei suoi sforzi è manifesta.

  33. Sviluppando la sua critica di costanti Mises ha aggiunto: Le quantità che osserviamo nel campo dell’azione umana … sono manifestamente variabili. I cambiamenti che si verificano in essi influenzano chiaramente il risultato delle nostre azioni. Ogni quantità che possiamo osservare è un evento storico, un fatto che non può essere completamente descritto senza specificare l’ora ed il luogo geografico. L’econometrico non è in grado di smentire questo fatto, che toglie il terreno sotto il suo ragionamento. Nè può aiutare ad ammettere che non ci sono “costanti di comportamento”. Ciò nonostante, si vuole introdurre alcuni numeri, arbitrariamente scelti sulla base del fatto storico, come “costanti comportamentali sconosciute”. L’unica scusa che si può esprimere è che le sue ipotesi sono “da enunciare solo se questi numeri sconosciuti rimangono ragionevolmente costanti attraverso un lungo periodo di anni”.

  34. Ora se tale periodo di presunta costanza di un numero definito è ancora duratura o se un cambiamento del numero si è già verificato e/o può essere stabilito solo in seguito. A posteriori può essere possibile, anche se solo in rari casi e dichiarare che più di un (periodo, probabilmente, piuttosto breve) periodo di un rapporto stabile, che l’econometrico sceglie di chiamare un “ragionevole” rapporto costante prevalente tra i valori numerici di due fattori. Ma questo è qualcosa di fondamentalmente diverso dalle costanti della fisica. E’ l’affermazione di un fatto storico, non di una costante, che può essere invocata nel tentativo di predire gli eventi futuri.

  35. Le equazioni sono molto apprezzate, nella misura in cui si applicano al futuro, più semplicemente le equazioni in cui tutte le quantità sono sconosciute.

  36. Nel trattamento matematico, della fisica della distinzione tra costanti e variabili, ha un senso; è essenziale in ogni caso la computazione tecnologica. In economia non ci sono rapporti costanti tra le varie grandezze. Di conseguenza, tutti i dati accertabili sono variabili o, che è lo stesso, anche i dati storici. Gli economisti matematici ribadiscono che la situazione dell’economia matematica consiste nel fatto che ci sono un gran numero di variabili. La verità è che ci sono solo le variabili e non le costanti. E ‘inutile parlare di variabili dove non ci sono invarianti.

  37. Allora, qual è il corretto rapporto tra teoria economica e storia economica o, più precisamente, la storia in generale? La funzione dello storico è quello di cercare di spiegare i fatti storici unici che sono di sua competenza; per farlo in modo adeguato deve impiegare tutte le teorie rilevanti provenienti da tutte le varie discipline in relazione al suo problema. I fatti storici sono le risultanti complesse di una miriade di cause derivanti da differenti aspetti della condizione umana. Così, lo storico deve essere pronto ad usare non solo la teoria prasseologica economica, ma anche le intuizioni della fisica, la psicologia, la tecnologia e la strategia militare insieme ad una comprensione interpretativa dei motivi e degli obiettivi degli individui. Egli deve utilizzare questi strumenti per comprendere sia gli obiettivi delle varie azioni della storia sia le conseguenze di tali azioni. Perché è coinvolta la comprensione di diversi individui e delle loro interazioni, nonché il contesto storico, lo storico utilizzando gli strumenti delle risorse naturali e delle scienze sociali è, in ultima analisi, un “artista” e quindi non c’è nessuna garanzia o anche probabilità che uno qualsiasi dei due storici verranno giudicare una situazione esattamente allo stesso modo. Mentre possono accordarsi su una serie di fattori per spiegare la genesi e le conseguenze di un evento, è improbabile che possano essere d’accordo sul peso preciso da dare ogni fattore causale. Nell’impiegare le varie teorie scientifiche, devono prendere decisioni di rilevanza sulle teorie applicate in ogni singolo caso; per citare un esempio utilizzato in precedenza in questo documento, uno storico di Robinson Crusoe difficilmente impiegherebbe la teoria dei soldi in una spiegazione storica delle sue azioni su un’isola deserta. Per lo storico economico, la legge economica non è né confermata né testata da fatti storici; invece, la legge, se del caso, si applica per aiutare a spiegare i fatti. I fatti dimostrano in tal modo il funzionamento della legge. Il rapporto tra la teoria economica prasseologica e la comprensione della storia economica è stata sottilmente riassunta da Alfred Schütz (1899-1959 filosofo e sociologo austriaco): Nessun atto economico è immaginabile senza qualche riferimento ad un attore economico, ma quest’ultimo è assolutamente anonimo; non sei tu, né io, né un imprenditore e nemmeno un “uomo economico”, in quanto tale, ma un puro universale “uno”. Questo è il motivo per cui le proposizioni di economia teorica hanno proprio questa “validità universale”, che dà loro l’idealità della “e così via” e “posso farlo di nuovo”. Tuttavia, si può studiare l’attore economico in quanto tale e cercare di scoprire che cosa sta succedendo nella sua mente; naturalmente, non si è quindi impegnati in economia teorica, ma nella storia economica o sociologia economica. … Tuttavia, le dichiarazioni di queste scienze non possono rivendicare alcuna validità universale, perché trattano sia con i sentimenti economici di particolari individui storici sia con tipi di attività economica per la quale gli atti economici in questione ne sono la dimostrazione. … A nostro avviso, l’economia pura è un perfetto esempio di un obiettivo dal significato complesso, più o meno soggettivo, significato-complessi, in altre parole, una configurazione di significato oggettiva che preveda le tipiche e invarianti esperienze soggettive di chi agisce all’interno di un quadro economico … Escluso da tale schema non dovrebbe avere alcuna considerazione degli usi a cui i “beni” sono da utilizzare dopo che sono stati acquisitati. Ma una volta che lo facciamo, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al significato personale di un vero e proprio individuo, lasciando dietro l’anonimo “chiunque”, poi, naturalmente, ha senso parlare di comportamento che è atipico. … A dire il vero, tale comportamento è irrilevante dal punto di vista dell’economia ed è in questo senso che i principi economici sono, nelle parole di Mises: “Non una dichiarazione di quanto accade di solito, ma di ciò che necessariamente deve accadere”.

LEGENDA

1.See in particular Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics (New Haven: Yale University Press, 1949); also see Mises, Epistemological Problems of Economics, George Reisman, trans. (Princeton, NJ: Van Nostrand, 1960).

2.See Murray N. Rothbard, “Praxeology as the Method of the Social Sciences,” in Phenomenology and the Social Sciences, Maurice Natanson, ed., 2 vols. (Evanston: Northwestern University Press, 1973), 2 pp. 323–35 [reprinted in Logic of Action One, pp. 29–58]; also see Marian Bowley, Nassau Senior and Classical Economics (New York: Augustus M. Kelley, 1949), pp. 27–65; and Terence W. Hutchinson, “Some Themes from Investigations into Method,” in Carl Menger and the Austrian School of Economics, J.R. Hicks and Wilhelm Weber, eds. (Oxford: Clarendon Press, 1973), pp. 15–31.

3.In answer to the criticism that not all action is directed to some future point of time, see Walter Block, “A Comment on ‘The Extraordinary Claim of Praxeology’ by Professor Gutierrez,” Theory and Decision 3 (1973): 381–82.

4.See Mises, Human Action, pp. 101–2; and esp., Block, “Comment,” p. 383.

5.For a typical criticism of praxeology for not using mathematical logic, see George. J. Schuller, “Rejoinder,” American Economic Review 41 (March 1951): 188.

6.John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (New York Harcourt, Brace, 1936), pp. 297–98.

7.See Murray N. Rothbard, “Toward a Reconstruction of Utility and Welfare Economics,” in On Freedom and Free Enterprise, Mary Sennhoz, ed. (Princeton, NJ: D. Van Nostrand, 1956), p. 227 [and reprinted in Logic of Action One]; Rothbard, Man, Economy, and State, 2 vols. (Princeton: D Van Nostrand, 1962), 1:65–66. On mathematical logic as being subordinate to verbal logic, see Rene Poirier, “Logique,” in Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Andre Lalande, ed., 6th ed. Rev. (Paris: Presses Universitaires de France, 1951), pp. 574–75.

8.Bruno Leoni and Eugenio Frola, “On Mathematical Thinking in Economics” (unpublished manuscript privately distributed), pp. 23–24; the Italian version of this articles is “Possibilita di applicazione della matematiche alle discipline economiche,” Il Politico 20 (1995).

9.Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy (New York: Augustus M. Kelley, 1964), p. xxvi n.

10.Boris Ischboldin, “a Critique of Econometrics,” Review of Social Economy 18, no. 2 (September 1960): 11 N; Ischboldin’s discussion is based on the construction of I.M. Bochenski, “Scholastic and Aristotelian Logic,” Proceedings of the American Catholic Philosophical Association 30 (1956): 112–17.

11.Karl Menger, “Austrian Marginalism and Mathematical Economics,” in Carl Menger, p. 41.

12.Mises, Human Action, p. 34.

13.John Wild, “Phenomenology and Metaphysics,” in The Return to Reason: Essays in Realistic Philosophy, John Wild, ed. (Chicago: Henrey Regnery, 1953), pp. 48, 37–57.

14.Harmon M. Chapman, “Realism and Phenomenology,” in Return to Reason, p. 29. On the interrelated functions of sense and reason and their respective roles in human cognition of reality, see Francis H. Parker, “Realistic Epistemology,” ibid., pp. 167–69.

15.See Murray N. Rothbard, “In Defense of ‘Extreme Apriorism,’” Southern Economic Journal 23 (January 1957): 315–18 [reprinted as Volume 1, Chapter 6]. It should be clear from the current paper that the term extreme apriorism is a misnomer for praxeology.

16.Say, A Treatise on Political Economy, pp. xxv–xxvi, xlv.

17.Friedrich A. Hayek, “The Nature and History of the Problem,” in Collectivist Economic Planning, F.A. Hayek, ed. (London: George Routledge and Sons, 1935), p 11.

18.John Elliott Cairnes, The Character and Logical Method of Political Economy, 2nd ed. (London: Macmillan, 1875), pp. 87–88; italics in the original.

19.Bowley, Nassau Senior, pp. 43, 56.

20.Mises, Epistemological Problems, p. 19.

21.Bowley, Nassau Senior, pp. 64–65.

22.Hao Wang, “Notes on the Analytic-Synthetic Distinction,” Theoria 21 (1995); 158; see also John Wild and J.L. Cobitz, “On the Distinction between the Analytic and Synthetic,” Philosophy and Phenomenological Research 8 (June 1948): 651–67.

23.John J. Toohey, Notes on Epistemology, rev. ed. (Washington D.C.: Georgetown University, 1937), p. 36.; italics in the original.

24.R.P. Phillips, Modern Thomistic Philosophy (Westminster, Maryland: Newman Bookshop, 1934–35), 2, pp. 36–37; see also Murray N. Rothbard, “The Mantle of Science,” in Scientism and Values, Helmut Schoeck and James W. Wiggins, ed., (Princeton, NJ: D Van Nostrand, 1960), pp. 162–65.

25.Toohey, Notes on Epistemology, p. 10. Italics in the original.

26.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 2, Studies in Social Theory, A. Brodersen, ed. (The Hague: Nijhoff, 1964), p. 4; see also Mises, Human Action, p. 24.

27.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 1, The Problem of Social Reality, A. Brodersen, ed. (the Hague, Nijhoff), 1964, p. 65. On the philosophical presuppositions of science, see Andrew G. Van Melsen, The Philosophy of Nature (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1953), pp. 6–29. On common sense as the groundwork of philosophy, see Toohey, Notes on Epistemology, pp. 74, 106–13. On the application of a similar point of view to the methodology of economics, see Frank H Knight, “‘What is Truth’ in Economics,” in On the History and Method of Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1956), pp. 151–78.

28.Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization 5 vols. (New York: Viking Press, 1949), 3, p. 376.

29.Friedrich A. Hayek, “The Non Sequitur of the ‘Dependence Effect,’” in Friedrich A. Hayek, Studies in Philosophy, Politics, and Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1967), pp. 314–15.

30.Mises, Human Action, p. 124.

31.See Rothbard, “Toward a Reconstruction,” pp. 230–31.

32.Ludwig von Mises, Theory and History (New Haven: Yale University Press, 1957).

33.Mises, Human Action, pp. 55–56, 348.

34.Cowles Commission for Research in Economics, Report for the Period, January 1, 1948–June 30, 1949 (Chicago: University of Chicago Press, 1949), p. 7, quoted in Mises, Theory and History, pp. 10–11.

35.Ibid., pp. 10–11.

36.Ludwig von Mises, “Comments about the Mathematical Treatment of Economic Problems” (Cited as “unpublished manuscript”; published as ” The Equations of Mathematical Economics” in the Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. 3, no. 1 (Spring 2000), 27–32.

37.Mises, Theory and History, pp. 11–12; see also Leoni and Frola, “On Mathematical Thinking,” pp. 1–8; and Leland B. Yeager, “Measurement as Scientific Method in Economics,” American Journal of Economics and Sociology 16 (July 1957): 337–46.

38.Alfred Schütz, The Phenomenology of the Social World (Evanston, Ill.: Northwestern University Press, 1967), pp. 137, 245; also see Ludwig M. Lachmann, The Legacy of Max Weber (Berkeley, California: Clendessary Press, 1971), pp. 17–48.

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Von Mises Italia - Mer, 22/03/2017 - 08:20

Cara Euro,

sono passati 16 anni da quando sei venuta a convivere nel nostro condominio. E’ tempo di fare un po’ di bilanci come in tutte le famiglie che si rispettino. Nel 2001 la nostra convivenza è partita con una grande euforia ed una grande aspettativa per il futuro. Mano a mano che il tempo passava abbiamo avuto interventi, forse anche troppo insistenti, per riformare le abitudini condominiali. Molto spesso abbiamo delegato i nostri rappresentanti, riponendo la massima fiducia nel loro operato, per apportare quelle ”modifiche” ritenute essenziali per il buon vivere “in comune”. Supinamente e/o per molte altre motivazioni, abbiamo accettato di buon grado di adattarci a quello che ci veniva detto essere un ottimo rimedio per oggi e per il futuro. Abbiamo cambiato alcune parti della Costituzione, ci siamo adattati a nuovi stili di vita, ci siamo sacrificati per vedere realizzati principi di buona coabitazione e per un futuro migliore. Ci siamo fidati degli Amministratori del condominio i quali, forse troppo solertemente, ci hanno sempre ripetuto … domani andrà meglio. Prima di concludere vorrei allegarti alcuni dati e poi se vorrai li potrai condividere.

I dati sono in Lire italiane (Lire/Euro 1936,27):

16 ANNI FA 31.12.2000 31.12.2016 (var. %)

Debito Pubblico 2.517.810.745.300 4.340.730.086.000 +72,40

P.I.L. 2.400.507.771 3.188.020,729 +13,25

benzina 2.071,81 2.755,31 +32.99

COMIT 100 1972 1.916,36 1.124,16 -58.66

disoccupazione* 9,10 11,90 +30,77

*il 40% è quella giovanile. (S. E. & O.)

L’anno scorso ha lasciato il nostro condominio un importante rappresentante, anche se questi aveva ancora la sua moneta. Non so se sia un bene, ma tanto di cappello per la scelta. Ora, molti altri condomini stanno facendo un pensiero in tal senso ed una delle tante motivazioni addotte è: troppo caro, too expensive, zu teuer, trop cher, muito caro, πάρα πολύ ακριβό … Probabilmente è così. Basti solo pensare alla nostra tazzina di caffè che è passata velocemente nel 2001 da Lire 900/1000 a 1936,27 (1€) con una variazione di circa il 115%. Come hai potuto notare sopra, anche a noi è costato moltissimo, però quello che più dispiace è che chi amministra sia un po’ sordo e forse anche un po’ miope a tutti i segnali mandati (leggi elezioni e referendum). Non è bello interrompere un matrimonio, ma troppi Amministratori fungono da “padroni” ed interferiscono nel quotidiano. Adesso che abbiamo sacrificato una parte del nostro futuro e purtroppo anche quello dei nostri figli, mi pare il momento che anche tu tragga delle conclusioni e, a mio avviso, potremmo presentare il seguente ordine del giorno:

  • usare il buon senso e continuare;

  • riprendere una nuova via per ri-costruire il futuro;

  • rivedere il ruolo degli Amministratori;

  • lasciare che i “condomini” facciano le scelte che ritengono più opportune;

  • cessare la nostra esperienza.

Il mio desiderio sarebbe quello di poter rimanere nel condominio con te, ma molto dipende anche da una tua risposta che attendo a breve giro di posta. Grazie.

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Essere pronti ad un’inversione impetuosa della FED

Von Mises Italia - Lun, 20/03/2017 - 08:58

Le prospettive per i tassi hanno preso, quello che io chiamo, una inversione a U. Ci sono pochi dubbi che la Fed sia sulla buona strada per aumentare i tassi. Questa prospettiva non è in risposta a qualsiasi particolare figura dei dati economici e del quadro economico generale. In realtà ci sono un sacco di argomenti perché la Fed non dovrebbe aumentare i tassi sulla base dei fondamentali economici.

Tuttavia, essi hanno un ordine del giorno separato che la Fed ha raccomandato, quello che io penso sarà visto col senno di poi, come un errore storico della mancata possibilità di aumentare i tassi negli anni 2010, 2011 e 2012. Questo è stato quando l’economia era in crescita, non fortemente, ma erano le prime fasi di espansione.

L’economia stava crescendo abbastanza bene per giustificare aumenti dei tassi. Nel 2011-2012 se si fosse voluto normalizzare i tassi, tra il 2 ed il 2,5%, oggi saremmo in una buona posizione per tagliare i tassi, se necessario, e per combattere una recessione. Purtroppo non hanno fatto questo. Hanno perso un intero ciclo, mentre la sperimentazione di Ben Shalom Bernanke (economista, già Presidente della Federal Reserve) dell’allentamento quantitativo, che col senno di poi si rivelerà essere un vero e proprio errore da parte della Fed.

Ora, sono in grado di muoversi con i tassi dopo l’ottavo anno di ripresa. Anche se questa è stata una debole ripresa e le persone sono ancora alle prese con il lavoro a tempo parziale (part time) o non riesce a rilanciare la carriera per altre difficoltà, questo recupero, tecnicamente, è iniziato nel giugno del 2009. Questo produce un tempo di recessione molto lungo per gli standard storici. Più del doppio dall’espansione media dalla Seconda Guerra Mondiale e paragonabile alle lunghissime espansioni che abbiamo avuto dal 1980.

Siamo più vicini alla fine di questo ciclo che all’inizio. La Fed è preoccupata del fatto che, se una nuova recessione inizia domani (e non sto dicendo che ci sarà, ma potrebbe) non avrebbe alcuna possibilità di tagliare i tassi.

Sebbene attualmente abbia i tassi a 50 punti base, la Fed potrebbe fare solo due tagli fino a quando non è tornata a zero. Questa decisione costringerebbe ad iniziare a parlare di tassi di interesse negativi. La leadership della Fed vuole ottenere tassi fino al 2 o 3% prima che inizi qualsiasi recessione potenziale ed è il solo modo che possano tagliare.

Il problema è: come si fa ad aumentare i tassi a questo punto? Come si fa ad aumentare i tassi e portarli al 2 o 3% senza provocare una recessione che si sta cercando di evitare? Questo è ciò che io chiamo enigma della Fed e questo è esattamente dove la Fed è ora. E’ questo un buon momento per alzare i tassi? Probabilmente no, ma ci sono lavori in corso per cercare di farlo comunque.

La Fed ha detto che sono sulla buona strada per aumentarli tre volte quest’anno. Il mercato non ci crede. Il mercato conta su un massimo di due rialzi dei tassi, ma non tre. La mia aspettativa in questo momento è che la Fed alzerà i tassi a marzo.

In primo luogo, hanno una propensione per aumentare i tassi. La Fed non è neutrale. La soglia è piuttosto bassa. Essi ritengono che si tratta di “missione compiuta” sul fronte del lavoro; la disoccupazione è al 4,7% e stiamo continuando a creare oltre 100.000 posti di lavoro al mese. Questi non sono i 2 o 300.000 posti di lavoro che stavamo creando in un anno, un anno e mezzo fa. lo sviluppo del lavoro è ancora positivo, con la bassa disoccupazione e questo tasso di espansione è “abbastanza buono”.

In secondo luogo, la Fed è preoccupata per l’inflazione. La Fed ritiene che la politica monetaria agisca con un certo ritardo. Questo significa che si pensa sia in arrivo l’inflazione e le aspettative sono in aumento, quindi è necessario alzare i tassi ora, perché ci vuole circa un anno agli aumenti per avere un impatto. Non vogliono arrivare dietro la curva (in questo caso ci si riferisce alla curva di Phillips che in macroeconomia: è una relazione inversa fra il tasso di inflazione ed il tasso di disoccupazione) (Alban William Phillips economista neozelandese 1914-1975).

Mentre la disoccupazione è bassa, insieme ad altri fattori, la Fed si applica quello che si chiama curva di Phillips per l’analisi . Anche se io personalmente non credo molto nella curva di Phillips, vale la pena di analizzare per capire che cosa la Fed fa al fine di prevedere la politica. Se la Fed ritiene che le politiche di Donald Trump saranno stimolanti, mentre il tasso di disoccupazione del 4,7%, una curva di Phillips standard per l’analisi avrebbe detto loro che l’inflazione sta arrivando alla fine di quest’anno. Questo indica che dovrebbero alzare i tassi ora per stare al passo.

La Fed ha un motivo macroeconomico convenzionale per alzare i tassi e si basa sullo stimolo di Trump. Hanno anche una tendenza verso l’aumento i tassi perché dovevano sospenderli cinque anni fa e non l’hanno fatto. Per queste ragioni, li ho messi sulla buona strada per aumentare i tassi ora, nel mese di marzo.

Ora il mercato non si aspetta questo o almeno non gli dà molto peso. La probabilità basata sui Fed Funds a termine (fondi di riserva imposti alle banche commerciali) è inferiore al 50%, in modo che la Fed cercherà di fare nel prossimo mese o nell’immediato, sia quello di orientarne le aspettative. Questo loro modo di fare è una fuga di notizie, di discorsi e di commenti. Si aspettano di essere fuori dai giochi nel prossimo mese, più o meno, cercando di avere le aspettative dal momento in cui il rialzo dei tassi non sia uno shock.

Ecco cosa c’entra la inversione a U. La Fed alza i tassi in marzo, cioè quello che mi aspetto in questo momento, anche se l’economia è fondamentalmente debole.

Qui la Fed sta cercando di appoggiarsi ad uno stimolo ed è sbilanciata in favore di aumenti dei tassi a scenari più avanzati per l’economia. Lo stimolo potrebbe non essere così interessante. Si potrebbe avere una combinazione di innalzamento dei tassi della Fed se il piano di Trump non produce più di tanto e così la Fed alzandoli, per debolezza, porterebbe l’economia in recessione.

Se ciò accade, il mercato azionario “cade fuori dal letto” (avrà un brutto risveglio). Questo non accadrà domani, tra l’altro; questa è una cosa che mi aspettavo di vedere più avanti, nel corso del tempo.

La Fed dovrà invertire la rotta, come ha fatto otto volte dal 2013. Si tratta di un criterio di ricorrenza. Si parlerà aspramente di alzare i tassi ed il mercato cadrà, la Fed farà marcia indietro, per diventare colomba (tenere i tassi bassi) e quindi adottare la direzione in avanti. Si ottiene così un modello di inversione a U per il mercato azionario, per i mercati dei tassi d’interesse, ecc.

La mia aspettativa di breve termine è che la Fed alzi i tassi a marzo. La mia aspettativa a medio termine è che il mercato stia per essere deluso dallo stimolo e che l’inasprimento della Fed, al momento, sia sbagliato, il mercato sta andando verso la intitolazione: “cadere dal letto”, mentre l’economia sta rallentando e la Fed dovrà tenere bassi i tassi.

A questo punto stiamo andando a vedere il rally delle obbligazioni, il rally dell’oro e un calo del mercato azionario. Al momento abbiamo l’opposto di questo. L’oro ha un sacco di vento contrario, le obbligazioni hanno un sacco di venti contrari ed il mercato azionario, ovviamente, è in piena espansione dopo le elezioni, ma tutto questo potrebbe ribaltarsi.

Abbiamo già visto questo film.

Cordiali saluti,

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La ricetta Austriaca

Von Mises Italia - Ven, 17/03/2017 - 08:07

Al principio di ogni anno, per un’ormai vecchia consuetudine, noi opinionisti siamo soliti offrire uno o due tipi di previsione.

La prima assume la forma di un genuino tentativo, benché in ultimo destinato al fallimento, di sollevare uno sbrindellato angolo dello spesso velo dell’ignoto che separa l’oggi dal domani.

Il secondo invece combina la futilità con il malizioso tentativo di associare il proprio nome alla previsione di un evento. Ossia quando ci si imbatte casualmente in qualcosa che, successivamente, verrà strombazzato come l’ispirata previsione di un evento ritenuto altamente improbabile.

In questo caso il trucco del falso profeta consiste nel mettersi contestualmente al riparo dal possibile imbarazzo che si accompagna al fallimento delle previsioni, presentandole come Black Swans (n.d.t. Cigni Neri ossia eventi inusuali ed imprevedibili per definizione). Si noti che questa pratica ignora eroicamente il fatto che essendo i Black Swan imprevedibili per definizione, quindi se la previsione dovesse in qualche modo cogliere il bersaglio, le penne del cigno verrebbero immediatamente, ancorché retroattivamente, imbiancate.

Forse che un simile esercizio temerario dovrebbe, magari per scherzo, essere azzardato da un gruppo di chiromanti da fiera così incapaci di prevedere che non solo la stragrande maggioranza tra loro “non ci becca mai” ma che si spinge anche a celebrare la propria collettiva incapacità con quel meta-indicatore di incompetenza detto “economic surprise index”? Probabilmente no. Ma tale giustificabile reticenza farebbe ben poco per riempire le colonne sui giornali, così questa mascherata, questa simulazione di conoscenza, nonostante tutto prosegue.

Con questo in mente , tutto quello che il vostro autore si propone qui di “prevedere” è che gli eventi, molto probabilmente, non si svolgeranno nel modo previsto dal gregge e, nonostante ciò, non mancheranno le favole preparate per spiegarci, col senno del poi, l’inevitabilità di tali sorprese.

Se i politici, compresi quelli che dirigono le banche centrali, potranno reagire in modo tale da aggravare le nostre sofferenze e ridurre le nostre gioie, lo faranno con piacere. Ciononostante le leggi basilari dell’economia non verranno violate in quanto la loro esposizione viene vergognosamente storpiata da questi “Detentori della Fiamma”.

Così, con spirito determinato ad evitare imprudenze, ciò che mi propongo di fare è esaminare, piuttosto che prevedere, i trend e le tendenze in atto negli Stati Uniti, al fine di meglio comprendere le condizioni alle quali dovremo sottostare per provare ad interpretare ciò che, qualunque cosa sia, questo imprevedibile nuovo governo deciderà di fare allorché il suo uomo avrà prestato giuramento il mese prossimo.

Lungi dall’essere poco originale, il mio disaccordo dipende dalla circostanza che questo sguardo all’indietro trae il suo valore dal fatto che troppo di ciò che è considerato saggezza comune, ed anche il dissenso da ciò, è troppo spesso sbagliato o inconsistente quando non entrambe le cose. Dopotutto nessuno può trovare la strada da prendere se non è in grado di localizzare la sua presenza su una mappa, oppure se, avendolo fatto, non sa dove si trovano il nord e il sud.

L’importanza del Capitale

Come sempre quest’analisi si colloca nell’ambito di una prospettiva di chiaramente “austriaca” ciò perché prima di immergersi nei dati di dettaglio, vale la pena di avere presente lo schema generale di ciò che questo comporta.

Dal punto di vista filosofico noi “austriaci” crediamo nell’idea che ogni e ciascun essere umano sia nella migliore condizione per conoscere le priorità e l’intensità di ciò che vuole. Riteniamo anche che il ricco ordine dell’economia emerga grazie agli sforzi di ciascuno per soddisfare i propri bisogni attraverso quella che, di solito, è una reciproca ed arricchente interazione con gli altri, a loro volta interessati a soddisfare i propri.

L’economia non deve essere pensata come l’emergere di un disegno che viene dall’alto e nemmeno come un insieme di aggregati incorporei che agisce in modo invisibile, ancorché quasi meccanico, indipendentemente dalle azioni della miriade di individui coinvolti. Affermiamo che mentre il consumo è l’obiettivo finale dell’attività economica, ciò non significa che esso sia, di per sé, la parte più significativa del processo economico. Riteniamo che una maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta all’attività frenetica, ancorché nascosta, che si svolge dietro le quinte, invece che agli attori che incedono e si agitano vicino alle luci della ribalta ricevendo le maggiori attenzioni.

Affermando ciò tentiamo dunque di occuparci della struttura produttiva come di un tutto di cui molto è stato allegramente cancellato dalla macroeconomia ortodossa e ciò per timore della cosiddetta “doppia contabilizzazione”, un po’ come un motorista che sin quando la sua auto si mette in moto al mattino non presta alcuna attenzione a ciò che succede sotto il cofano.

Piuttosto che accontentarsi del cosiddetto “flusso circolare del reddito” assecondando la banalità dominante, noi insistiamo nella necessità di pensare il capitale, sebbene lo stesso termine capitale sia parola ormai tristemente abusata, in tutte le sue forme. Ciò perche tale termine assume significati diversi per persone diverse così come cose diverse per le stesse persone in contesti diversi.

Dobbiamo dunque essere consapevoli che ci troviamo qui di fronte ad una abbondante fonte di confusione e malintesi, anche per le menti più dotate.

Dunque il capitale, sotto molti aspetti, può essere considerato lo Schleswig-Holstein dell’economia, del cui groviglio inestricabile il diplomatico del XIX secolo Lord Palmerston (n.d.t. Henry John Temple, terzo visconte Palmerston 1784-1865, politico inglese, Segretario di Sato e Primo Ministro) ebbe a dire: “Solamente tre persone hanno realmente compreso la…faccenda, il Principe Consorte che è morto, un professore tedesco che è impazzito ed io, che ho dimenticato tutto”.

Detto ciò, nonostante tutta la sua complessità, non possiamo permetterci di trascurare la sua singolare importanza per un’economia come quella attuale, suddivisa in modo complesso, interattivo e con funzioni complementari. Non dobbiamo nemmeno dimenticare che ciò che rende qualcosa un bene capitale è spesso dipendente da qual è la funzione che lo rende tale e non meramente le sue effettive costituenti fisiche.

Una questione di interesse

Ritenendo che il valore di un bene sia soggettivamente stabilito da ciascuno di noi in quanto individuo che vuole soddisfare un bisogno, teniamo anche conto del fatto che i prezzi che si formano come espressione delle nostre preferenze allorché interagiamo gli uni con gli altri negli scambi, esprimo pacchetti della più pura informazione concepibile circa ciò che è più urgentemente richiesto sul mercato. In altri termini di ciò che è più scarso, così come di ciò che è meno urgente. Questa informazione è decisiva per stabilire quali mezzi debbano essere utilizzati per conseguire tale fine in ogni dato momento.

L’uomo che ha l’intuizione per prevedere e l’energia manageriale per organizzare le modalità in cui egli può prendere elementi di ciò che è disponibile, ma ancora inutilizzato, e poi trasformare tali elementi combinandoli tra loro, oppure semplicemente trasportandoli così come sono altrove, è verosimile che debba essere ricompensato con il profitto così ottenuto. Facendo la sua piccola parte per ridurre gli errori di priorità, grazie al perseguimento del proprio interesse, ha beneficato gli altri attorno a lui.

In quanto imprenditore il conseguimento del profitto non è segno di volgare sfruttamento, ma piuttosto la conferma che un tentativo per soddisfare un’istanza di scarsità evitabile, per riallocare risorse, riordinare la matrice produttiva, reimmaginare il modo di fare le cose al fine di ottenere un migliore e più abbondante stato di cose, di cui tutti in qualche modo godono, ha avuto successo.

Affinché i prezzi possano generare le informazioni necessarie, essi debbono essere composti dal maggior numero possibile di segnali e, per converso, dal minimo di interferenze. Ciò per timore che queste ultime possano essere confuse con le informazioni ed il vantaggioso arbitraggio del nostro imprenditore trasformato in un’accozzaglia di costosi sprechi.

Dunque noi “austriaci” aborriamo tutte le forme di manipolazione monetaria, specialmente quelle di tipo inflazionistico. Esse tendono infatti contemporaneamente ad amplificare ed a propagare gli errori iniziali in un modo che quelle di tipo opposto non fanno.

Similmente, nella piena consapevolezza dell’assioma secondo cui la produzione è un’attività che richiede tempo per dare frutto, guardiamo a tutti i tentativi volti a manipolare il prezzo del tempo, ossia il tasso di interesse, come un’ulteriore abominazione.

Il sistema bancario è una realtà che vediamo con parecchio sospetto, visto che ha largamente, quando non universalmente, rimpiazzato i capricci dei Principi come principale strumento di corruzione delle informazioni. Ciò è specialmente vero nella presente forma istituzionale caratterizzata da una concezione fondamentalmente viziata nei suoi metodi e nei suoi obiettivi e da una perniciosa fragilità delle sue strutture.

Un vero e proprio vespaio di incentivi perversi e responsabilità di cui facilmente ci si libera, sovrastato dall’arroganza dei re filosofi Platonici che governano i sostegni delle proprie banche centrali, minaccia ormai la struttura stessa dell’ordine borghese.

Detto ciò la teoria Austriaca del ciclo economico è dunque una teoria bancaria e monetaria. Le cose cominciano ad andare male quando viene creato ulteriore nuovo credito senza che vi sia del risparmio reale, ossia ex ante nel gergo degli economisti. L’atto del risparmiare non indica solamente la volontà di rinunciare a beni attuali per beni futuri, ma fa sì che i beni attuali rimangano disponibili per qualcun altro, magari per scopi diversi, e soprattutto fa sì che si formi il capitale.

Nel ragionamento “austriaco” il prezzo di un mezzo di produzione, sia esso un machete o una macchina utensile, un forno a micro onde o un microchip, deriva in ultimo dal prezzo dei beni di consumo (la cui supremazia in tal proposito è incontestabile) la cui produzione è il vero scopo dei primi.

Ciò implica che possiamo considerare i mezzi di produzione come precursori funzionali della nostra successiva soddisfazione, ponendo una particolare enfasi posta sul termine successiva. Dunque il loro prezzo non solo deve riflettere il valore dei beni di consumo che essi consentiranno di produrre, ma anche il tempo che sarà necessario per maturarne il valore finale. Si tratta di fattore grandemente amplificato allorché consideriamo che molti fattori produttivi raggiungono il culmine di tale valore in serie, ossia dopo le molte interazioni dei processi produttivi.

Dunque, essenzialmente, il rapporto tra i beni di consumo finali e l’insieme di beni e servizi che li hanno originati deve riflettere il tasso di interesse prevalente. In realtà, a nostro modo di pensare, è più di un semplice riflesso, esso costituisce effettivamente il tasso di interesse.

Vivere nel tempo preso a prestito.

Abbiate pazienza per un momento. La decisione di un potenziale cliente finale di astenersi dal consumare, non solo rende ancora disponibile il bene ma, potenzialmente, ne riduce il prezzo . Ciò evidenzia che i beni lasciati a disposizione per usi alternativi, lo sono in un modo “riproduttivo” piuttosto che esaustivo.

Chi si astiene dal consumo rinuncia ai suddetti beni ed il denaro così risparmiato rimane naturalmente a disposizione per essere preso in prestito, così che questa pronta alternativa può essere implementata.

Come abbiamo visto, il rapporto tra i prezzi del produttore e quelli del consumatore incorpora il pagamento della tediosa attesa che ha luogo durante il tempo necessario per completare il lavoro di trasformazione dall’uno all’altro. Dunque, se il desiderio di immediato consumo decresce e, di conseguenza, anche i prezzi dei beni di consumo si riducono, anche il suddetto rapporto si ridurrà. Ciò significa che, riducendosi l’insistenza per un immediato consumo, ossia cambiando la preferenza temporale dei consumatori, il tasso naturale di interesse diminuirà.

Anche in questo caso vediamo all’opera una meravigliosa coerenza, la maggiore disponibilità di capitale, ossia i risparmi, spingeranno al ribasso il tasso di interesse, ossia nella stessa direzione del tasso intrinseco alla interrelazione dei prezzi nel mondo delle risorse reali.

Questo significa che iniziative di maggiore durata potranno ora essere avviate in quanto saranno, allo stesso tempo, sia sostenibili dal punto di vista monetario (un minor tasso di interesse per un più lungo periodo di tempo, aiuta le vendite a raggiungere il break even coprendo i costi di produzione) e che saranno disponibili sufficienti fondi reali con cui finanziare il processo produttivo, se non altro retribuendo i lavoratori in esso coinvolti e ciò molto prima che il loro lavoro produca i suoi frutti.

Proprio come accade nel più familiare mondo dell’aritmetica dei titoli a reddito fisso, dove uno spostamento verso il basso dei tassi di interesse causa in parallelo la variazione più forte sui prezzi dei titoli a scadenza più lontana e con le cedole più basse (n.d.t: cioè con duration maggiore), così anche la preferenza temporale di cui sopra comporta i maggiori effetti sui beni durevoli (i quali tendono ad avere il più elevato rapporto tra prezzo di acquisizione e flusso incrementale di reddito e sono dunque paragonabili ai titoli con le cedole più basse) ed anche su quei beni che verranno impiegati nelle ultime fasi del processo produttivo e che saranno gli ultimi ad essere prelevati dagli scaffali (e sono quindi paragonabili ai titoli obbligazionari con le scadenze più lontane). Queste due tipologie di beni sono, nel loro genere, tra le più lentamente ammortizzabili.

Per giunta, l’emergere di un maggiore grado di “sazietà” rispetto ad alcuni beni di consumo, incoraggia gli imprenditori ad innovare in modo da trarne profitto, non solamente incrementando l’efficacia dell’attività già in essere, ma anche inventando nuovi prodotti da aggiungere alla gamma già a disposizione dei consumatori. In questo modo verrà compensata la diminuita intensità della domanda dei beni esistenti.

Invece, si tenta di risolvere forzatamente questo problema (il rallentamento della domanda n.d.t.) creando credito dal nulla, dunque indipendentemente da qualsivoglia cambiamento nelle preferenze temporali dei consumatori, e si riducono artificialmente i tassi di interesse, (o si evita che essi aumentino, come accadrebbe se vi fossero soggetti che si contendono ansiosamente dei risparmi reali, ossia disponibili ex ante). Inoltre i tassi artificialmente bassi incentivano l’allungamento del processo produttivo (per renderlo più “roundabout” come diciamo noi Austriaci). Da notare che tutto ciò avviene nonostante non esista affatto una maggiore quantità di risorse finanziarie accantonate e con cui lavorare durante il lungo periodo che precede la maturazione e rimborso dell’investimento.

Il pericolo sorge quando questa situazione innesca una guerra di offerte tra i produttori-imprenditori, incoraggiati dagli incentivi, per accaparrarsi manodopera e mezzi produttivi e la massa dei consumatori il cui desiderio di gratificazione resta in gran parte insoddisfatto. In questa situazione ciascuno cerca di affermare le proprie pretese sullo stesso quantitativo di risorse e nello stesso tempo.

Quando i potenziali consumatori con riluttanza si riducono dopo l’evento, forse dissuasi da un iniziale incremento dei prezzi, si parla di risparmio forzato, una ricetta per il conflitto economico, come pure segno di crescente instabilità.

Invece se i consumatori, nonostante tutto, decidono di pagare e se il loro baccano per comprare viene a turno rafforzato dai nuovi addetti, dai produttori concorrenti oppure da coloro da cui, a loro volta, essi ordinano materie prime e componenti, avrà presto inizio la classica spirale inflazionistica.

Da principio, ciò potrebbe perfino apparire come il trionfo di una visione imprenditoriale poiché l’aumento dei prezzi, precedendo l’aggiustamento dei costi, si rifletterà sui profitti.

Ad ogni modo, a meno che il ciclo espansivo del credito non si ripeta, questo dimostrerà comunque di essere una falsa resa dei conti e la redditività delle imprese scenderà, allorché sia i fornitori che i dipendenti inizieranno a reclamare maggiori entrate ormai necessarie per mantenere il loro standard di vita.

Ad un certo punto, la trazione esercitata su entrambe le estremità della struttura produttiva, inizierà a mettere alla prova le connessioni al centro. Un’accresciuta scarsità di componenti chiave, di manodopera qualificata, o semplicemente di tempo per evadere gli ordini, o ancora per eseguire la necessaria manutenzione o limitati incrementi della capacità produttiva inevitabilmente presenteranno il conto.

Si manifesterà la mancanza di coordinamento ed emergerà l’incoerenza dello schema.

Il calcolo economico sarà ampiamente ostacolato e gli orizzonti inizieranno a contrarsi. La fame di finanziamenti a breve termine con cui alimentare profitti netti decrescenti e mantenere in vita le aziende in difficoltà per il tempo di un nuovo tiro di dadi, configurerà una situazione in cui, per dirla con Hayek (F.A. von Hayek 1889-1992), “l’investimento fa aumentare la domanda di capitale”.

A questo punto la curva del rendimento, se il nuovo credito sarà insufficiente a soddisfare il più incessante degli appetiti, tenderà ad invertirsi così confermando lo status di “uccello del malaugurio” di tale fenomeno, e tutto in assenza di goffi eccessi da parte della banca centrale. Nel caso classico, ciò con cui si confrontano i decision makers è la possibilità che se il vortice inflazionario viene lasciato senza controllo inizierà ad autoalimentarsi, fino al punto in cui il denaro perderà tutto il suo valore (il classico crollo finale o fuga verso il valore reale misesiani).

Senza giungere a tale estremo, quella che inevitabilmente è diventata una voragine nella bilancia dei pagamenti, non può più essere facilmente finanziata da volenterosi finanziatori e da fornitori esteri. Infatti a questo punto essi temeranno per la sicurezza dei propri investimenti e così, l’improvvisa riduzione del flusso dei capitali, farà precipitare la crisi.

La sgradevole alternativa a queste due possibilità, consiste in un tardivo sforzo per tenere a freno gli eccessi. Sia che esso venga attuato dalle banche commerciali allarmate che dalle pesanti banche centrali sovrane, esso metterà allo scoperto le linee di rottura nascoste nella struttura e porterà con sé una valanga di fratture, verosimilmente fino al punto di un catastrofico fallimento sistemico. Fra l’altro saranno le stesse banche che tramite la revoca dei finanziamenti ed i pignoramenti amplificheranno lo stress e daranno inizio alla cosiddetta depressione secondaria.

Simple Simon Says (n.d.t. popolare gioco infantile)

In una tale e in qualche modo apocalittica situazione la normale narrativa cessa di esistere, dobbiamo tuttavia riconoscere che questo schema, per quanto convincente e coerente dal punto di vista logico, fu formulato in circostanze istituzionali molto diverse circa 100 anni orsono. Esso necessità dunque di un piccolo adattamento per poter servire come modello analitico per noi, qui nel XXI° secolo.

Prima di tutto, a quel tempo la maggior parte degli stati aveva, almeno a livello formale, qualche forma di convertibilità della propria valuta, se non in oro, almeno in alcune delle più solide valute di riserva che ufficialmente erano a loro volta convertibili in oro (Gold Exchange Standard). Inoltre i governi erano ancora relativamente “piccoli” e con molti meno beneficiari dei loro sempre più generosi sussidi, mentre i lamentosi eserciti di passacarte e “timbratori” erano solo una misera ombra delle possenti legioni odierne.

Si pensi che durante l’amministrazione di Roosevelt (F.D. Roosevelt 1882-1945) vi fu un’espansione della spesa pubblica senza precedenti che vide raddoppiata, in tempo di pace, la propria percentuale sul Prodotto Interno Lordo, ebbene nonostante ciò il peso del Leviatano era appena la metà di quello odierno.

In terzo luogo, in questo modello è insita la tacita supposizione che la maggior parte dell’indebitamento gravi sulle imprese mentre i proprietari di case siano puri e semplici risparmiatori. Oggi naturalmente, sia i mutui immobiliari che il credito al consumo esercitano una potente influenza sul sistema e ciò, nonostante la loro recente riduzione in termini di percentuale dei redditi verificatasi nel periodo post Crash.

Secondo la diagnosi “austriaca” i più pericolosi quanto meno facilmente risolvibili effetti dell’introduzione di eccessivo credito senza garanzie (troppo capitale fittizio, per usare un altamente istruttivo termine vittoriano) si verificano allorché essi ingannano i produttori alterando l’effettiva distribuzione dei capitali nel sistema. Specialmente quando essi assumono la forma di impianti, macchinari e competenze professionali altamente specializzate (oppure come diciamo “favorendo cattivi investimenti”).

Dobbiamo provare a “filtrare” dai finanziamenti quelli contratti da individui e governi al solo scopo di permettere il godimento di una maggiore quantità di beni di consumo rispetto a quanto i redditi dei primi e gli espropri dei secondi avrebbero consentito. Quest’ultima forma di credito rappresenta non tanto una fonte pervasiva di cattivi investimenti quanto piuttosto una manifestazione di “semplice” inflazione.

Certamente se mi indebito con la carta di credito per acquistare un nuovo paio di jeans, il loro produttore vedrà da principio un maggiore volume d’affari che, in ultima analisi, può sembrare sostenibile. Egli, ingannato da questo falso segnale, potrebbe assumere troppi addetti alla cucitura, acquistare troppa stoffa o perfino installare nuovi macchinari nella sua azienda.

Tuttavia ogni eventuale insuccesso sarà concentrato come sempre nella parte più breve così come generalmente su quella più intercambiabile di quella grande multisettoriale linea di montaggio avvolta e riavvolta su se stessa che costituisce l’economia moderna.

In teoria l’insuccesso dovrebbe essere limitato nella sua capacità di trasmettere le sofferenze troppo ampiamente lungo la catena. La liquidazione delle attività, le ristrutturazioni ed il successivo reimpiego delle risorse umane e materiali impiegate dall’impresa fallita dovrebbero di conseguenza essere molto meno problematiche. Fortunatamente vi è spesso meno capitale immobilizzato (e meno capitale operativo specifico) coinvolto sia nelle aziende stesse che nel minor numero di intermediari connessi e il cui compito consiste nell’assicurare che i beni dei contendenti avanzino lungo la linea.

Trattandosi di beni di consumo, la maggiore quantità disponibile ad un prezzo relativamente inferiore può anche stimolare un’attività di compensazione a monte della catena produttiva mentre il tasso di interesse naturale scende a causa dell’altrimenti sfortunato surplus aprendo la strada a nuovi investimenti sia in campi nuovi sia semplicemente allo scopo di ridurre il costo di produzione per adattarsi alla nuova realtà (della domanda n.d.t.).

Detto ciò è innegabile che questa inflazione “semplice” potrebbe anche esercitare un’influenza più maligna se dovesse colpire un grande produttore di beni durevoli di consumo, ossia di quel “servizio di ricovero continuo” che chiamiamo comunemente casa. Ciò è dovuto al fatto che lo stesso mucchio di mattoni e malta spesso non è solamente una casa in cui vivere, ma bensì il mezzo più facilmente accessibile e facilmente comprensibile a disposizione dell’uomo comune che, grazie ad esso, può essere coinvolto in una continua rivalutazione del capitale, soggetta ad una sorta di effetto leva finanziario, incentivante la speculazione. Si tratta di possibilità che altri mercati riservano esclusivamente a soggetti residenti alle isole Cayman ed ai possessori di un conto alla Goldman, Sachs.

In quanto speculazione essa non solamente attira vari tipi di attività secondarie il cui compito consiste nel rifinire ed arredare i muri nudi delle nuove abitazioni, ma con la possibilità di dare in garanzia gli immobili spendendo i guadagni derivanti dall’aumento del capitale nozionale (n.d.t. dunque fittizio), molto prima che questi siano effettivamente realizzati, va ad alimentare il turbine inflazionistico. Intanto la completa dimensione del coinvolgimento si verifica quando si arriva a pensare che qualsiasi lotto di terreno da 100 mq. edificabile contenga una Sutter’s Mill (n.d.t. segheria situata in California dove nel 1848 furono rinvenute le prime pepite che avviarono la corsa all’oro).

Questa situazione può facilmente sconvolgere le intrinsecamente instabili finanze del nostro sistema di Banche commerciali basate sulla riserva frazionaria, incestuosamente finanziate all’ingrosso e scarsamente capitalizzate. Come abbiamo visto, con questa nuova svolta, questa storiella familiare conosce la sua ultima eroica ripetizione. Questa febbre può anche essere abbastanza contagiosa da porre termine anche alle più prestigiose tra le pseudo sofisticate e quotate Banche di Investimento, che sono state trascinate nell’abisso quando hanno permesso ai loro intelligenti gruppi interni di Dottor Faust di tenersi di gran lunga troppo rischio sottostante allorché affettavano e spezzettavano i prestiti riducendoli in complessi pacchetti di titoli.

Naturalmente i pericoli intrinseci si sono grandemente amplificati quando le nostre strapotenti banche centrali non hanno permesso che la prodigiosa forza fisica del nostre classi imprenditoriali apportasse una benefica riduzione dei prezzi finali, etichettando erroneamente tale segno di abbondanza creativa come il risveglio dello spirito malvagio della deflazione. Ciò non solo deruba i lavoratori, come recita l’indimenticabile frase di Dennis Robertson (n.d.t. Dennis Robertson 1890-1963 economista inglese) “negando loro un meritato incremento dei salari reali”, ma li induce spesso a compensare la percepita riduzione del credito.

Se un soggetto si indebita quotidianamente per fare la spesa in modo eccessivo, è probabile che la banca centrale reagisca prima che la cosa scappi di mano. Però se questo sceglie di avvalersi della “property card” come sistema per mettersi in pari, la loro prevalente e cieca ortodossia di mirare all’Indice dei Prezzi al Consumo condanna i nostri presunti guardiani monetari ad un ostinato rifiuto nel riconoscere che la rapida crescita dei prezzi immobiliari è semplicemente una deviazione verso un molto più pericoloso ambiente di quella stessa inflazione causata direttamente dal loro non necessario intervento.

Tenere gli occhi aperti

Quando analizziamo i dati che ci stanno di fronte dobbiamo sempre tenere presente che è difficile separarli dettagliatamente e che è impossibile costringerli in un modello o in un algoritmo. Soprattutto durante i momenti di ripresa dobbiamo cercare i segnali di un eccesso di prestiti e poi l’evidenza di sacche di investimento anormalmente elevate mentre, al contrario, nei momenti di recessione occorre ricercare istanze di ripudio del debito e rimborsi di emergenza, fenomeni che possono caratterizzare un livello di investimenti abnormemente basso.

Redditi, profitti e flussi di cassa sono dunque importanti, ma attività, passività e bilanci lo sono altrettanto.

Le valutazioni assegnate ai mercati dei titoli possono dirci molto sulle fasi di crescita e di rallentamento della crescita in quanto essa può essere alimentata o dalla volontà dei prestatoti commerciali, o dall’ottusa macro idiozia delle cattive favole delle banche centrali che forniscono agli acquirenti creduloni che nutrono tali speranze indotte, dei mezzi necessari per realizzare le loro illusioni autoalimentate.

Non ogni cella convettiva che si eleva sulla terra cotta dal sole si trasforma in tempesta e molte meno in tornado F5. Tuttavia quando, durante un’escursione estiva, vediamo quella prima nuvola “non più grande della mano di un uomo” è utile essere consapevoli che le condizioni metereologi sono le più favorevoli ad un pericoloso sviluppo che sta prendendo forma in alto nel cielo sopra di noi.

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