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Rischio in crescita nei mercati del credito e nel sistema bancario ombra

Freedonia - Ven, 22/11/2024 - 11:10

L'articolo di oggi potremmo considerarlo un addendum al mio ultimo libro, “Il Grande Default”, dato che va ad aggiornare la situazione nel sistema bancario ombra in base agli eventi che si sono svolti sin dalla sua pubblicazione. Leggendo suddetto libro si acquisiscono le basi per comprendere le meccaniche con cui opera tale settore, permettendo al lettore, poi, di affrontare letture più “impegnative” come la seguente. Fortunatamente l'esposizione di Johnson è chiara e lineare, quindi il lettore non avrà difficoltà a seguire il filo. Ciononostante avere un quadro generale coerente ed esaustivo in mente è un requisito minimo per comprendere come si sia evoluto il sistema finanziario al giorno d'oggi e quali rischi pone per il futuro. Per quanto possa sembrare, di primo acchito, una cosa negativa, bisogna tenere a mente un'identità importante: rischio = opportunità. E riuscire a identificare la natura del rischio ex ante e prima degli altri rappresenta una doppia opportunità.

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di Brent Johnson

La trasformazione dei servizi bancari e finanziari, dai tradizionali mercati pubblici e dal sistema bancario stesso, è stata significativa sin dalla crisi finanziaria globale del 2008.

Questo cambiamento ha rimodellato il panorama finanziario, poiché più attività che un tempo erano dominate da banche e mercati pubblici si sono spostate nei settori finanziari privati ​​e non bancari.

Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria, il mondo finanziario ha subito un grave crollo. Le banche, che erano state la spina dorsale dei prestiti e della liquidità, hanno smesso di fidarsi l'una dell'altra, cessando di concedere prestiti sui mercati overnight, cruciali per la liquidità a breve termine. Contemporaneamente i mercati pubblici hanno subito perdite immense, con l'indice S&P 500 che è crollato di circa il 50%.

Di conseguenza sia il sistema bancario che i mercati pubblici si sono congelati, diventando illiquidi e disfunzionali quasi da un giorno all'altro. Ciò che un tempo era stato un ecosistema finanziario altamente liquido e perfettamente funzionante si è bloccato.

Facciamo un salto al presente e assistiamo a un'evoluzione sorprendente: il settore finanziario non bancario, che comprende istituzioni come hedge fund, società di private equity e banche ombra, è cresciuto più del settore bancario tradizionale. Analogamente i mercati privati, come quelli per il private equity, il debito privato e i prestiti diretti, si stanno espandendo a un ritmo molto più rapido rispetto ai mercati pubblici.

Questa rapida crescita sta modificando radicalmente la struttura della finanza globale.

Un cambiamento di questa portata solleva questioni critiche sul potenziale impatto sulle future crisi finanziarie. Una questione chiave è che la valutazione del rischio è ora concentrata in mercati che sono intrinsecamente meno liquidi. Anche prima che si verifichi una crisi di liquidità, il sistema finanziario sta accumulando rischi in mercati che, per loro natura, sono più difficili da abbandonare rapidamente. Cosa succede quando questi mercati già illiquidi affrontano uno shock e diventano ancora meno liquidi, innescando potenzialmente una crisi?

Si prendano in considerazione i prestiti diretti, il credito privato e gli investimenti in private equity, tutti ampiamente concentrati nel settore finanziario non bancario. Se il sistema finanziario globale dovesse sperimentare una crisi della portata di quella del 2008, quando la liquidità si è prosciugata nei mercati pubblici altamente liquidi, cosa accadrebbe se il punto di partenza per la valutazione del rischio fossero i mercati privati molto meno liquidi?

Le conseguenze potrebbero essere più gravi e di maggiore vasta portata.

Questo saggio esplora la rapida espansione del settore finanziario non bancario e i vincoli di liquidità che caratterizzano i mercati privati.

Una delle principali preoccupazioni relative alle crisi di liquidità sono gli effetti a cascata, di secondo e terzo ordine, che possono venirsi a creare. Questi effetti si verificano quando i mercati percepiti come liquidi, mercati in cui gli investitori credono di poter facilmente acquistare e vendere asset, diventano improvvisamente illiquidi, intrappolando i partecipanti e causando diffuse interruzioni.

Tali effetti di secondo e terzo ordine spesso hanno un impatto su investitori, istituzioni e settori che normalmente si considererebbero isolati dalle attività finanziarie ad alto rischio.

Tuttavia l'interconnessione dell'ecosistema finanziario globale significa che gli shock in una parte del sistema possono rapidamente riverberarsi su altre, coinvolgendo attori apparentemente non correlati. Ecco perché comprendere il sistema bancario ombra, i mercati privati ​​e il sistema finanziario non bancario è fondamentale per valutare i rischi a cui è esposto il sistema finanziario nel suo complesso.

La crescente importanza dei mercati finanziari non bancari e privati ​​presenta nuove sfide per la gestione della liquidità e del rischio sistemico. Man mano che il sistema finanziario diventa più dipendente da questi settori meno liquidi, aumenta il potenziale per crisi di liquidità e i loro effetti a catena nell'economia globale, evidenziando l'importanza di monitorare e affrontare i rischi negli ecosistemi del sistema bancario ombra e del mercato privato.


Contesto: la crisi finanziaria globale

Non esistono due crisi finanziarie esattamente uguali, sebbene il comportamento e le emozioni umane siano sempre centrali in esse. Ogni crisi ha le sue caratteristiche uniche e, finché la natura umana rimarrà costante, i cicli di espansione e contrazione saranno inevitabili.

Date le valutazioni azionarie storicamente elevate di oggi, i paragoni con la crisi finanziaria globale del 2008 e la bolla delle dot-com della fine degli anni '90 sono scontati e l'attuale entusiasmo per l'intelligenza artificiale ricorda i periodi di euforia del passato. Tuttavia è importante ricordare che le valutazioni sono sintomi di condizioni di mercato più ampie, non le cause sottostanti. Ad esempio, durante la Mania olandese per i tulipani del 1636, un singolo tulipano nero era valutato diversi anni di stipendio, un indicatore che qualcosa non andava, ma non la radice del problema.

Individuare il momento esatto in cui inizia una crisi finanziaria è spesso possibile solo a posteriori. La crisi finanziaria globale è iniziata con il crollo di due hedge fund di Bear Stearns nel 2007? È stata innescata dalla caduta di Bear Stearns stessa? O forse il crollo della Lehman Brothers? Alcuni potrebbero persino sostenere che è iniziata con l'analisi di Meredith Whitney del 2008, la quale rivelò che Citigroup non era riuscita a conservare il suo dividendo. La risposta dipende dalla prospettiva: coloro che sono stati direttamente colpiti da questi eventi probabilmente darebbero tempistiche diverse.

Ciò che è fondamentale oggi è capire che confrontare le attuali condizioni di credito con quelle del 2008 è fuorviante.

Tutte le crisi di credito hanno una caratteristica comune: standard di prestito lassisti. Prima della crisi finanziaria globale i prestiti subprime rappresentavano circa il 3% dei prestiti ipotecari; nel 2007 erano saliti a quasi il 25%. Gli standard di prestito si deteriorarono così tanto che i default sulla prima rata del mutuo salirono a dismisura, ma questa era solo una parte del problema.

Altri attori chiave della crisi erano istituzioni come Fannie Mae, Freddie Mac e l'assicuratore ipotecario MBIA. Finché queste entità mantenevano i loro elevati rating creditizi, erano in grado di continuare a emettere prestiti a mutuatari che non erano in grado di rimborsarli. MBIA, ad esempio, sottoscrisse miliardi in passività detenendo solo $30 milioni in fondi degli azionisti.

Ma il vero punto di rottura si è verificato quando le grandi banche smisero di prestarsi denaro a vicenda da un giorno all'altro, spinte dalle preoccupazioni sulla liquidità delle controparti e sui loro bilanci eccessivamente indebitati. Bear Stearns, ad esempio, aveva $3 di capitale per ogni $100 di attivi, un rapporto di leva precario di 33:1.

Una volta che i regolatori sono intervenuti dopo la crisi, hanno cercato di impedire che si ripetesse imponendo regole più severe alle grandi banche attraverso il Dodd-Frank Act. Ciò ha ridotto le attività di trading e market making, allineando questi giganti della finanza. Ma come in ogni sistema finanziario, dove c'è domanda, l'offerta troverà una via. Questa volta sono intervenuti gli intermediari finanziari non bancari. In poco più di un decennio, questi ultimi sono cresciuti fino a diventare i maggiori finanziatori, superando le banche tradizionali.

La lezione qui è semplice: la domanda di credito non scompare, ma cambia. Capire dove va questa domanda è fondamentale per prevedere come potrebbero svilupparsi i rischi finanziari futuri.


La rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari

Oltre alla crescente pressione normativa sulle banche dopo la crisi del 2008, il prolungato contesto di tassi d'interesse è stato un importante catalizzatore per la rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari.

Con i tradizionali conti di risparmio e titoli di stato che offrivano rendimenti storicamente bassi, gli investitori hanno iniziato a cercare rendimenti più elevati attraverso canali alternativi. Gli intermediari finanziari non bancari hanno risposto offrendo una gamma di prodotti finanziari che fornivano rendimenti più interessanti, come obbligazioni garantite da prestiti (CLO), debito privato, fondi comuni d'investimento immobiliare (REIT) e altre opportunità di investimento che le banche, a causa di vincoli normativi, non fornivano.

Questo cambiamento ha consentito agli intermediari finanziari non bancari di colmare una lacuna nel mercato soddisfacendo la crescente domanda di prodotti d'investimento basati sul rendimento.

Poiché le banche sono diventate più limitate nella loro capacità di impegnarsi in attività più rischiose e ad alto rendimento a causa di normative post-crisi come il Dodd-Frank Act, gli intermediari finanziari non bancari sono intervenuti con offerte che non erano solo più redditizie, ma spesso anche più complesse e meno trasparenti. La flessibilità degli intermediari finanziari non bancari di operare con meno barriere normative è diventata un'alternativa interessante sia per gli investitori istituzionali che per quelli al dettaglio, affamati di rendimenti decenti in un mondo a tassi bassi.

Allo stesso tempo l'innovazione tecnologica ha accelerato la crescita degli intermediari finanziari non bancari, soprattutto attraverso l'ascesa delle società fintech. Queste aziende hanno rivoluzionato il settore dei servizi finanziari utilizzando analisi dei dati, intelligenza artificiale, blockchain e piattaforme digitali per fornire soluzioni finanziarie più efficienti e accessibili.

Le innovazioni fintech come piattaforme di prestito peer-to-peer, robo-advisor, servizi di gestione patrimoniale online e sistemi di pagamento digitale hanno sconvolto il modello bancario tradizionale. Queste tecnologie offrono servizi più rapidi, convenienti e su misura per il consumatore moderno, consentendo a privati ​​e aziende di accedere al credito, effettuare investimenti e gestire le proprie finanze senza affidarsi alle banche tradizionali. L'ascesa della tecnologia finanziaria ha reso gli intermediari finanziari non bancari ancora più importanti, offrendo un'infrastruttura più agile e reattiva alle richieste del mercato.

Tuttavia questa agilità comporta un compromesso in termini di supervisione.

Poiché gli intermediari finanziari non bancari sono soggetti a meno vincoli normativi rispetto alle banche tradizionali, possono accumulare rischi che potrebbero non essere visibili agli enti regolatori, o agli attori di mercato, fino a quando non è troppo tardi. Gli hedge fund, ad esempio, spesso adottano strategie ad alta leva finanziaria, le quali possono amplificare le perdite durante i periodi di volatilità del mercato. Il crollo di tali fondi può rapidamente trasformarsi in un'ampia instabilità finanziaria, poiché queste aziende sono strettamente interconnesse con banche e istituzioni finanziarie tradizionali attraverso vari canali di prestiti, derivati ​​e portafogli d'investimento.

Un esempio di ciò si è verificato nel 2020, durante la turbolenza del mercato innescata dalla pandemia di COVID-19. I fondi del mercato monetario, un tempo considerati investimenti stabili e a basso rischio, fecero registrare rapidi deflussi poiché gli investitori fuggirono verso asset più sicuri, evidenziando l'imprevedibile fragilità all'interno di alcuni punti del settore degli intermediari finanziari non bancari.

Gli effetti di ricaduta di questi deflussi si riversarono in tutto il sistema finanziario più ampio, sottolineando la natura interconnessa di banche e intermediari finanziari non bancari.

Data l'importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari, i policymaker e gli enti regolatori, tra cui la Federal Reserve e il Financial Stability Board (FSB), si sono preoccupati sempre di più per i potenziali rischi posti dalla crescente influenza di queste istituzioni. È in corso un dibattito se gli intermediari finanziari non bancari debbano essere soggetti allo stesso livello di controllo e supervisione delle banche tradizionali, in particolare quelle che sono cresciute abbastanza da rappresentare una minaccia significativa per la stabilità finanziaria.

La sfida per i regolatori è trovare un equilibrio tra l'incoraggiamento dell'innovazione e della crescita che gli intermediari finanziari non bancari apportano al sistema finanziario, garantendo al contempo che esse non diventino la prossima fonte di rischio sistemico.

Tuttavia la storia suggerisce che i regolatori sono spesso reattivi piuttosto che proattivi quando si tratta di affrontare potenziali crisi. Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi associati agli intermediari finanziari non bancari, l'intervento normativo potrebbe ritardare fino a quando non si siano già verificate perturbazioni finanziarie significative.

L'ascesa degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un profondo cambiamento nel sistema finanziario statunitense. La loro capacità di innovare rapidamente, operare con meno controllo normativo e soddisfare la domanda degli investitori per prodotti ad alto rendimento ha permesso loro di superare il settore bancario tradizionale sotto molti aspetti. Tuttavia la loro crescita richiede anche un esame più attento del loro ruolo nel mantenimento della stabilità finanziaria.

La mancanza di trasparenza sui bilanci e sulle attività degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un rischio, in quanto rende più difficile valutare le loro vulnerabilità e il potenziale di innescare un disagio finanziario più ampio. Man mano che gli intermediari finanziari non bancari continuano a espandersi, comprendere il loro impatto sull'ecosistema finanziario complessivo sarà fondamentale per prepararsi e mitigare i rischi di future crisi finanziarie.


Private Equity e mercati del credito

Il private equity e i prestiti privati ​​non solo sono cresciuti in termini di dimensioni, ma anche di complessità, diventando pilastri fondamentali della finanza globale.

Questi settori si sono evoluti in risposta ai cambiamenti normativi, ai progressi tecnologici e alla domanda mutevole degli investitori, riflettendo tendenze più ampie nel panorama finanziario.

Inizialmente il private equity era un campo di nicchia incentrato sul capitale di rischio per quelle aziende nelle loro fasi iniziali e per gli asset in sofferenza. Svolgeva un ruolo limitato nella finanza aziendale tradizionale. Col tempo il private equity è maturato in un settore sofisticato che ora impiega un'ampia gamma di strategie di investimento, tra cui leveraged buyout (LBO), growth equity, situazioni speciali, investimenti in sofferenza e investimenti infrastrutturali.

In particolare i leveraged buyout (LBO) sono diventati una caratteristica distintiva del private equity. Queste transazioni consentono alle aziende di acquisire società utilizzando un mix di capitale proprio e ingenti quantità di capitale preso in prestito, con l'aspettativa che il flusso di cassa della società target venga utilizzato per estinguere poi il debito.

L'ascesa degli LBO ha trasformato il modo in cui le società di private equity affrontano la creazione di valore, utilizzando la leva finanziaria per amplificare i rendimenti e al contempo prendere il controllo di grandi aziende consolidate. Questa strategia si è dimostrata immensamente redditizia, ma introduce anche livelli di rischio più elevati, in particolare in contesti economici incerti.

Negli ultimi anni le società di private equity sono passate da strategie puramente finanziarie, come la riduzione dei costi e la ristrutturazione, a un approccio operativo più pratico. Conosciuta come strategia di “valore aggiunto operativo”, le società di private equity ora sfruttano la loro competenza e le loro risorse di settore per guidare miglioramenti operativi, trasformazione digitale e sviluppo della leadership all'interno delle loro società in portafoglio.

Impegnandosi più attivamente nelle operazioni aziendali, le società di private equity stanno sbloccando nuove opportunità di crescita e generando rendimenti più sostenibili, distinguendosi dagli investitori tradizionali.

Inoltre le società di private equity stanno investendo sempre di più in settori guidati dalla tecnologia, come software, fintech, tecnologia sanitaria e infrastrutture digitali.

L'ascesa dei fondi di private equity focalizzati sulla tecnologia riflette il crescente riconoscimento che innovazione e analisi dei dati sono fondamentali per rimanere competitivi nell'economia moderna.

Adottando un processo decisionale basato sui dati e migliorando i processi di due diligence, le società di private equity sono ora meglio posizionate per identificare investimenti ad alto potenziale e massimizzare la crescita a lungo termine.

Allo stesso tempo i prestiti privati ​​sono diventati una componente critica della finanza alternativa, fornendo capitale alle aziende che potrebbero non qualificarsi per i prestiti bancari tradizionali. La rapida espansione del settore è una risposta diretta al rafforzamento normativo in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il quale ha limitato la capacità delle banche di impegnarsi in attività di prestito più rischiose.

I prestatori diretti, tra cui fondi di credito privati, hedge fund, società di sviluppo aziendale (SSA) e investitori istituzionali, offrono una vasta gamma di strumenti di debito, come prestiti senior garantiti, prestiti uni-tranche, finanziamenti mezzanini, prestiti ponte e debito subordinato. La flessibilità e la rapidità dei prestatori privati ​​nella sottoscrizione e nell'approvazione dei prestiti li hanno resi un'opzione interessante per le aziende che cercano di finanziare leveraged buyout, acquisizioni, espansioni, o rifinanziamento del debito. La loro capacità di offrire termini più personalizzati rispetto alle banche tradizionali ha permesso ai prestiti privati ​​di diventare una fonte di finanziamento significativa, in particolare per le aziende di medie dimensioni.

L'aumento dei prestiti privati ​​è stato anche alimentato dalla ricerca globale di rendimento in un contesto di tassi d'interesse bassi.

Gli investitori istituzionali, tra cui fondi pensione, compagnie assicurative e fondi di dotazione, hanno allocato sempre più capitale al debito privato in quanto esso offre interessanti rendimenti aggiustati al rischio e una bassa correlazione con i mercati azionari e a reddito fisso.

Questo afflusso di capitale ha consentito alle società di prestiti privati ​​di ampliare le proprie operazioni, concorrendo persino con le banche tradizionali su transazioni più grandi e complesse.

Anche l'innovazione tecnologica ha svolto un ruolo trasformativo sia nel private equity che nei prestiti privati.

Nel private equity i progressi nell'analisi dei dati, nell'intelligenza artificiale e nell'apprendimento automatico hanno rivoluzionato la ricerca di accordi, la due diligence e la gestione del portafoglio. Le aziende ora utilizzano strumenti sofisticati per valutare le tendenze dei mercati, prevedere le prestazioni aziendali e identificare opportunità di investimento ad alto potenziale.

Allo stesso modo nei prestiti privati l'ascesa delle piattaforme digitali ha democratizzato l'accesso al credito, consentendo alle aziende di ottenere prestiti tramite piattaforme online che collegano i mutuatari direttamente con gli investitori.

Questa innovazione ha semplificato il processo di prestito, ridotto i costi e aumentato la trasparenza.

A causa della loro significativa crescita, il private equity e i prestiti privati ​​stanno affrontando un controllo più attento da parte degli enti regolatori a causa delle preoccupazioni relative agli alti livelli di leva finanziaria, mancanza di trasparenza e potenziale accumulo di rischi sistemici.

Nel private equity l'uso del leveraged buyout ha sollevato interrogativi sull'impatto che gli elevati livelli di debito possono avere sulla stabilità finanziaria delle società acquisite, soprattutto durante le crisi economiche. Inoltre l'impatto del private equity sull'occupazione e sui salari ha suscitato diverse critiche, con alcuni che sostengono che le motivazioni di profitto a breve termine possono minare la sostenibilità aziendale a lungo termine.

Nel prestito privato la rapida espansione dei prestiti diretti e dei fondi di credito privati ​​ha suscitato preoccupazioni sull'accumulo di rischi di credito al di fuori del sistema bancario tradizionale. Poiché i creditori privati ​​operano con molti meno vincoli normativi, c'è meno visibilità sulle loro esposizioni al rischio.

Poiché queste istituzioni continuano a crescere e a diventare più interconnesse con le banche tradizionali e altre istituzioni finanziarie, le sofferenze nel mercato dei prestiti privati ​​potrebbero avere implicazioni di vasta portata per il sistema finanziario più ampio.

Il settore degli intermediari finanziari non bancari, di cui il private equity e i prestiti privati ​​sono componenti chiave, ha fatto registrare una crescita esplosiva sin dalla crisi finanziaria del 2008.

Con il settore degli intermediari finanziari non bancari ormai più grande di quello bancario tradizionale negli Stati Uniti, la sua traiettoria di crescita non mostra affatto segni di rallentamento.

Questa rapida espansione ha catturato l'attenzione dei regolatori, come il Financial Stability Board, sempre più preoccupati per i rischi sistemici posti dal settore bancario ombra. Dal punto di vista storico quadri normativi più rigidi, come il Dodd-Frank Act, sono stati emanati solo in risposta a crisi, come il crollo del 2008, quando è diventato chiaro che era necessaria una maggiore supervisione.

La loro rapida crescita e la complessità in continua evoluzione presentano sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano fornito nuove vie per investimenti e credito, la loro mancanza di trasparenza e supervisione normativa li rende vulnerabili ai rischi sistemici.

L'FSB riconosce la necessità di quadri normativi più rigidi per mitigare questi rischi, ma storicamente tali normative tendono a essere reattive, implementate solo dopo che si è verificata una crisi.

Una legge come la Dodd-Frank non sarebbe stata necessaria se l'amministrazione Clinton non avesse abrogato il Glass-Steagall Act negli anni '90, una legge originariamente promulgata dopo il crollo della borsa del 1929 per regolamentare il settore bancario. L'abrogazione ha rimosso la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, una mossa che molti sostengono abbia contribuito a quegli eccessi che hanno portato poi alla crisi finanziaria globale.

Oggi il settore degli intermediari finanziari non bancari è diventato un mutuatario sempre più importante, il che comporta due implicazioni significative.

In primo luogo la linea di demarcazione tra banche tradizionali e intermediari finanziari non bancari è diventata sempre più sfumata, anche se operano sotto regimi normativi diversi. Questa sfumatura crea ambiguità in merito alla supervisione del rischio.

In secondo luogo gli intermediari finanziari non bancari stanno contraendo prestiti a un ritmo molto più veloce rispetto al mercato generale, sollevando preoccupazioni sul fatto che il settore potrebbe essere diretto verso una crisi a sé stante.

La domanda è: le autorità di regolamentazione agiranno in tempo, o saranno di nuovo costrette a recuperare terreno quando ritmi di crescita come questi diventeranno insostenibili?

Inoltre le società di private equity e i creditori diretti sono diventati fonti vitali di credito per le piccole e medie imprese (PMI) e i leveraged buyout. Queste aree sono spesso considerate troppo rischiose, o ad alta intensità di capitale, per le banche tradizionali, il che sottolinea ulteriormente il ruolo crescente che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nel fornire credito laddove le banche sono diventate più avverse al rischio.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari continuano ad aumentare la loro influenza e la loro portata di prestito, cresce l'urgenza per gli enti regolatori di affrontare i loro rischi sistemici, prima che un'altra crisi finanziaria emerga dall'ombra.


Banche ombra e mercati privati: illiquidità

Il rischio di liquidità è una delle sfide più ardue affrontate dalle società di private equity e di credito privato, in gran parte determinato dalla natura illiquida dei loro investimenti, dalle dinamiche di mercato e dalle loro strutture di finanziamento.

Queste società investono principalmente in asset senza mercati secondari attivi, rendendo difficile convertire rapidamente gli investimenti in denaro. Mentre assumersi il rischio di illiquidità consente loro di perseguire rendimenti più elevati, le espone anche a notevoli vulnerabilità, soprattutto in periodi di stress finanziario o crisi economica.

Nel private equity le società acquisiscono partecipazioni in aziende private o si impegnano in leveraged buyout (LBO) di società quotate. Questi investimenti in genere comportano impegni pluriennali, con l'obiettivo di migliorare le operazioni, aumentare il valore e infine uscire tramite una vendita o un'offerta pubblica iniziale (IPO).

Tuttavia quando i mercati entrano in crisi, le strategie di uscita delle società di private equity spesso affrontano gravi vincoli.

In tali situazioni i potenziali acquirenti potrebbero sparire e i mercati delle IPO potrebbero chiudere, lasciando le aziende incapaci di vendere le loro partecipazioni a prezzi favorevoli o, in alcuni casi, incapaci di vendere affatto. Questa mancanza di liquidità crea sfide ardue da fronteggiare, bloccando il capitale molto più a lungo del previsto e potenzialmente facendo deragliare i cicli di investimento pianificati. Senza la possibilità di uscire dai loro investimenti, le società di private equity possono sperimentare una crisi di liquidità, in cui l'incapacità di generare flussi di cassa limita la loro possibilità di restituire il capitale agli investitori, perseguire nuovi investimenti, o soddisfare altri obblighi finanziari.

Allo stesso modo le società di credito privato ​​affrontano i propri rischi di liquidità.

Queste società forniscono prestiti ad aziende che spesso esulano dai canali bancari tradizionali, tra cui aziende di medie dimensioni e quelle con rating creditizi più bassi. Mentre questi prestiti in genere offrono rendimenti più elevati per compensare il rischio maggiore, presentano un importante compromesso: l'illiquidità. A differenza delle obbligazioni quotate in borsa, che possono essere acquistate e vendute rapidamente sui mercati secondari, il credito privato ​​non ha un mercato pronto, rendendo difficile per i creditori raccogliere denaro in tempi di necessità.

Durante i periodi di difficoltà finanziaria, questi rischi diventano ancora più evidenti. Le aziende che finiscono in guai economici potrebbero avere difficoltà a rispettare i propri piani di rimborso, o a rifinanziare il proprio debito, con conseguente aumento del tasso di inadempienze. Salendo queste ultime, il valore dei relativi prestiti può crollare, esponendo i creditori a perdite significative. L'incapacità di vendere, o ristrutturare, tempestivamente questi prestiti illiquidi aggrava il rischio di liquidità, poiché i creditori affrontano una pressione crescente per soddisfare i propri impegni finanziari.

Inoltre il crescente utilizzo di strutture di “payment-in-kind” (PIK), in cui i pagamenti degli interessi vengono capitalizzati anziché versati in contanti, aggiunge un ulteriore livello di complessità.

Mentre gli accordi PIK forniscono un sollievo temporaneo ai mutuatari posticipando i pagamenti in contanti, aumentano i rischi di liquidità per i creditori. Capitalizzare gli interessi anziché ricevere afflussi di cassa ritarda i ricavi e spinge i creditori in posizioni illiquide, limitando ulteriormente la loro capacità di generare liquidità quando necessario. In periodi di stress economico ciò può lasciare i creditori con crescenti obblighi ma opzioni limitate per reperire denaro, intensificando le vulnerabilità finanziarie in tutto il sistema.

Naturalmente un fattore chiave che esaspera il rischio di liquidità sia nel private equity che nei prestiti privati ​​è l'uso della leva finanziaria.

Le società di private equity spesso fanno affidamento sul debito per finanziare le acquisizioni, utilizzando il flusso di cassa dell'azienda acquisita per ripagare tale debito. Quando i flussi di cassa vacillano, o i tassi d'interesse aumentano, il servizio del debito diventa più difficile, costringendo le aziende a iniettare più capitale in società in difficoltà, o a vendere asset a un forte sconto.

Nel mondo del credito privato la leva finanziaria è presente sia nella struttura del prestito che nelle società mutuatarie. Se le condizioni economiche peggiorano, i mutuatari altamente indebitati potrebbero avere difficoltà a rimborsare i propri prestiti, portando a inadempienze e creando ulteriore pressione sulla liquidità per quei creditori che dipendono da rimborsi regolari per mantenere i propri impegni finanziari.

Un'altra dimensione del rischio di liquidità deriva dalla struttura del fondo stesso.

I fondi di private equity e di credito sono in genere chiusi, il che significa che gli investitori non possono accedere alla liquidità giornaliera come nei fondi comuni d'investimento o negli ETF. Gli investitori impegnano il capitale per un periodo stabilito, solitamente da 5 a 10 anni, aspettandosi distribuzioni dalle vendite di asset nel tempo.

Tuttavia se troppi investitori richiedono liquidità anticipata, questi fondi potrebbero essere costretti a liquidare asset in condizioni sfavorevoli, creando quello che è noto come un disallineamento di liquidità. Questo problema è spesso amplificato durante le crisi economiche, quando molti investitori cercano di ritirare i fondi simultaneamente, esercitando ulteriore pressione sui player sopraccitati per generare liquidità quando sono meno in grado di farlo.

La pandemia di COVID-19 ha fornito un esempio eccellente di questo disallineamento di liquidità. Durante le turbolenze nei mercati, molti investitori hanno cercato di ridurre la loro esposizione ad asset più rischiosi, cosa che ha esercitato una pressione significativa sui fondi di private equity e di credito privato per soddisfare tali richieste in un momento sfavorevole. Se costretti a vendite forzate, questi fondi possono spingere i prezzi degli asset verso il basso, innescando una spirale discendente che erode ulteriormente la fiducia degli investitori e aumenta le richieste di rimborso.

Le società di private equity e di credito privato si affidano anche a finanziamenti esterni da parte di banche o altri istituti finanziari per gestire le esigenze di liquidità ed eseguire accordi. Questa dipendenza lega ulteriormente queste società alle banche tradizionali e agli intermediari finanziari non bancari (NBFI), nonostante operino in quadri normativi diversi. In periodi di stress economico le banche possono inasprire le condizioni di prestito, o ritirare il credito, aggiungendo maggiore complessità alla gestione della liquidità per le sopraccitate società.

L'interconnessione dei mercati finanziari significa che i problemi di liquidità all'interno delle società di private equity e di credito privato possono avere implicazioni più ampie per l'intero sistema finanziario. Con la crescita di questi settori, si sono profondamente intrecciati con banche, investitori istituzionali e altri attori di mercato simili. Una crisi di liquidità in un'area può innescare scossoni più ampi, influenzando i prezzi degli asset, la disponibilità di credito e il sentiment degli investitori nell'intero ecosistema finanziario.

Per il settore NBFI, la gestione del rischio di liquidità è fondamentale, poiché influisce direttamente sulla loro stabilità operativa e sulla capacità di gestire lo stress finanziario. Gli intermediari finanziari non bancari, che includono entità come gestori patrimoniali, hedge fund, compagnie assicurative, società di private equity e fondi di credito privato, forniscono servizi finanziari essenziali senza lo stesso accesso alla liquidità della banca centrale o alle basi di deposito su cui fanno affidamento le banche tradizionali.

Questa mancanza di accesso rende la gestione della liquidità più impegnativa per gli intermediari finanziari non bancari, in particolare perché spesso detengono o finanziano attività illiquide come debito privato, immobili o partecipazioni azionarie in società private. Durante i periodi di volatilità, queste attività diventano ancora più difficili da liquidare, esponendo gli intermediari finanziari non bancari a un rischio di liquidità significativo se devono soddisfare improvvise richieste di denaro.

Molti intermediari finanziari non bancari affrontano un'ulteriore sfida derivante dalla loro dipendenza da finanziamenti a breve termine per finanziare investimenti a lungo termine. Questa discrepanza di finanziamento, in cui le passività sono a breve termine e gli attivi sono a lungo termine, li rende vulnerabili quando i mercati dei finanziamenti a breve termine si restringono o diventano più costosi.

Ad esempio, hedge fund e fondi di credito privato ​​spesso dipendono da accordi di riacquisto a breve termine (repo) o cambiali commerciali per finanziare le loro posizioni. Se questi mercati si prosciugano durante periodi di stress, gli intermediari finanziari non bancari possono affrontare gravi pressioni di liquidità e che minacciano la loro solvibilità.

Le fughe degli investitori o le richieste di rimborso di massa sono un altro importante rischio di liquidità per gli intermediari finanziari non bancari. I fondi di investimento, come i fondi comuni d'investimento, gli ETF e gli hedge fund, consentono agli investitori di riscattare i propri investimenti con breve preavviso. In periodi di incertezza una corsa degli investitori che cercano di ritirare il proprio denaro può costringere gli intermediari finanziari non bancari a vendere rapidamente asset a prezzi bassi, esasperando ulteriormente lo stress del mercato e indebolendo la fiducia degli investitori.

Data l'interconnessione degli intermediari finanziari non bancari con il sistema finanziario più ampio, le sfide di liquidità possono avere effetti di vasta portata. Molti di essi mantengono relazioni con banche e altre istituzioni tramite linee di credito, derivati ​​e altri strumenti finanziari.

Se un intermediario finanziario non bancario subisce una crisi di liquidità, l'impatto può diffondersi rapidamente ad altri attori di mercato, influenzando i prezzi degli asset e destabilizzando il sistema finanziario più ampio.

La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di gestire attentamente il rischio di liquidità all'interno di questo settore. Poiché queste istituzioni continuano ad assumere ruoli tradizionalmente ricoperti dalle banche, è aumentato il potenziale delle pressioni sulla liquidità in grado di creare fratture più ampie.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari forniscono servizi finanziari e creditizi essenziali, la loro dipendenza da asset illiquidi e finanziamenti a breve termine li rende particolarmente vulnerabili agli shock di mercato, rendendo il rischio di liquidità una preoccupazione centrale per la stabilità del sistema finanziario.


Conclusione

La trasformazione del panorama finanziario globale sin dalla crisi finanziaria mondiale (GFC) del 2008 è stata monumentale.

Il passaggio dai sistemi bancari tradizionali e dai mercati pubblici verso gli intermediari finanziari non bancari (NBFI) e i mercati privati ​​ha alterato in modo significativo la struttura e il funzionamento della finanza. Di conseguenza gli intermediari finanziari non bancari, tra cui hedge fund, società di private equity, fondi di credito privato ​​e società fintech, sono cresciuti fino a occupare una porzione più ampia dell'ecosistema finanziario, diventando attori principali nei prestiti aziendali, nella gestione degli investimenti e nella fornitura di liquidità.

Uno degli sviluppi più profondi è stata la rapida espansione dei mercati del private equity e dei prestiti privati. Questi settori si sono evoluti per soddisfare la domanda degli investitori di opportunità ad alto rendimento, offrendo un'ampia gamma di prodotti finanziari innovativi come leveraged buyout (LBO), credito privato e strutture di debito alternative. L'ascesa di questi mercati è una testimonianza dell'adattabilità della finanza e dell'incessante ricerca di rendimenti. Tuttavia non è priva di rischi significativi, in particolare nel regno della liquidità.

Il rischio di liquidità rimane una sfida critica per le società di private equity e di prestiti privati. Entrambi i settori si basano su asset illiquidi, come debito privato e partecipazioni azionarie, che sono difficili da convertire in denaro quando necessario.

Questa illiquidità intrinseca può diventare una vulnerabilità importante durante i periodi di stress finanziario, quando le condizioni di mercato peggiorano, le strategie di uscita vengono ritardate e le vendite di asset diventano limitate. La natura complessa e spesso opaca di questi investimenti aggrava ulteriormente il rischio, rendendo difficile per gli attori di mercato e gli enti regolatori valutare accuratamente l'entità dell'esposizione.

L'uso della leva finanziaria amplifica questi rischi.

Le società di private equity, in particolare, utilizzano ingenti quantità di debito per finanziare le acquisizioni, mentre i creditori privati ​​forniscono prestiti a mutuatari altamente indebitati. Quando le condizioni economiche peggiorano, la tensione sia per le aziende che per i loro mutuatari diventa acuta, portando a maggiori inadempienze, carenze di liquidità e a vendite forzate di asset. Questa situazione è esasperata dalle strutture “payment-in-kind” (PIK) che ritardano il flusso di cassa, creando ulteriore stress sulle posizioni di liquidità delle aziende.

Un altro aspetto cruciale del rischio di liquidità risiede nelle strutture dei fondi utilizzate da società di private equity e di credito privato. I fondi chiusi con opzioni di liquidità limitate possono affrontare un disallineamento di liquidità durante le crisi economiche, come si è visto durante la pandemia di COVID-19.

Gli investitori, che cercano di ritirare il capitale, possono costringere questi fondi a vendere asset a prezzi sfavorevoli, innescando ulteriori sconvolgimenti nei mercati. Inoltre la dipendenza delle società di private equity e di credito privato da finanziamenti esterni da parte di banche tradizionali, le lega strettamente al sistema finanziario regolamentato nonostante operino in quadri normativi diversi.

Man mano che private equity, prestiti privati ​​e intermediari finanziari non bancari continuano a crescere in influenza, aumenta anche la loro interconnessione con il sistema finanziario più ampio.

Questa interconnessione pone rischi sistemici.

Una crisi di liquidità all'interno di un settore potrebbe rapidamente ripercuotersi sull'intero panorama finanziario, portando a sconvolgimenti più ampi nei prezzi degli asset, nella disponibilità di credito e nel sentiment degli investitori. Gli effetti a catena di una crisi nei mercati privati, ​​o nel sistema bancario ombra, potrebbero indebolire la stabilità dell'economia globale, proprio come è successo con il crollo delle principali istituzioni finanziarie durante la crisi finanziaria del 2008, ma con meno preavviso a causa della minore visibilità.

Il punto di partenza per i mercati privati ​​è l'illiquidità, a differenza dei mercati pubblici il cui punto di partenza è la liquidità. Quando le cose diventano illiquide, e succede sempre, ciò rappresenterà un problema molto più grande per i mercati privati.

Nonostante il ruolo significativo che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nella finanza moderna, il quadro normativo che regola queste istituzioni è in ritardo rispetto alla loro crescente importanza. Gli intermediari finanziari non bancari operano con una supervisione molto inferiore rispetto alle banche tradizionali, il che aumenta i rischi associati alla leva finanziaria e all'illiquidità.

Mentre le lezioni delle crisi passate, come la crisi finanziaria globale, hanno portato ad alcuni miglioramenti normativi, la storia dimostra che le normative spesso seguono le crisi piuttosto che prevenirle.

Resta la questione se i policymaker possano attuare una supervisione più rigorosa del settore degli intermediari finanziari non bancari prima che emerga una crisi causata dalla liquidità.

In conclusione, l'ascesa degli intermediari finanziari non bancari e dei mercati privati ​​presenta sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano offerto nuove opportunità di investimento e credito, la loro intrinseca illiquidità e l'uso della leva finanziaria li rendono vulnerabili agli shock di mercato. La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di un approccio normativo proattivo per gestire i rischi di liquidità.

Solo affrontando queste vulnerabilità il sistema finanziario può sperare di mitigare l'impatto di future crisi, assicurando che i benefici dell'innovazione finanziaria non vadano a scapito della stabilità sistemica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Sfatiamo ulteriori 5 grandi equivoci su Bitcoin

Freedonia - Gio, 21/11/2024 - 11:00

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Nick Giambruno

Bitcoin confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.

Di recente ho sfatato i dieci equivoci più diffusi su di esso.

Oggi continuerò sfatandone altri cinque.

 

Equivoco n°11: Bitcoin è vulnerabile alla guerra nucleare e alle interruzioni di servizio

Anche se gli Stati Uniti e la Russia si impegnassero in una guerra nucleare totale, distruggendo gran parte dell'emisfero settentrionale, Bitcoin non perderebbe un colpo nell'emisfero meridionale.

Per avere anche solo una possibilità di fermare Bitcoin, ogni governo del mondo dovrebbe coordinarsi simultaneamente per chiudere l'intero Internet ovunque e poi tenerlo spento.

Anche in un tale scenario improbabile, la rete Bitcoin può andare avanti tramite segnali radio e reti mesh. Allo stesso tempo piccoli pannelli solari portatili possono alimentare i computer che gestiscono la sua rete, se le cosiddette condizioni normali vengono meno.

Inoltre una serie di satelliti trasmette costantemente la rete Bitcoin sulla Terra.

In breve, tutti gli aspetti di Bitcoin sono genuinamente decentralizzati e robusti.

A meno di un ritorno globale all'età della pietra, Bitcoin è inarrestabile.


Equivoco n°12: Bitcoin 2.0 o un “Bitcoin migliore”

In pratica, chiunque può provare a creare un “Bitcoin migliore” quando vuole.

Tutto quello che bisogna fare è prendere il codice open source, disponibile a chiunque, e apportare le modifiche desiderate.

Ma questo non significa che qualcuno seguirà il vostro esempio o apprezzerà la vostra nuova criptovaluta.

Ad esempio, posso facilmente creare un nuovo Bitcoin che aggiunge qualche fronzolo e decantarlo usando l'ultimo termine di moda: Bitcoin 2.0.

Ma questo non significa che posso ereditare le proprietà monetarie superiori del Bitcoin originale, le quali dipendono dalla credibilità della sua offerta, dalla sua estrema resistenza al cambiamento, ecc.

Ecco perché è improbabile che il mercato attribuisca un qualche valore a Bitcoin 2.0.

Ecco un altro modo di vederla.

Immaginate che qualcuno voglia cambiare le regole degli scacchi in modo che le pedine possano muoversi all'indietro. Chiamiamolo Scacchi 2.0.

Ovviamente chiunque potrebbe farlo in qualsiasi momento, ma ciò non significa che Scacchi 2.0 prenderà piede.

Ricordate, chiunque può creare una criptovaluta in pochi minuti.

Questa è la parte facile. Crearne una che nessuno controlla è la parte difficile.

In parole povere, nessun'altra criptovaluta si avvicina minimamente a sfidare l'immutabilità, la decentralizzazione, la resistenza alla svalutazione, la liquidità, gli incentivi economici, gli effetti di rete e, soprattutto, la credibilità della sua offerta di Bitcoin.

Ma supponiamo che arrivi una nuova criptovaluta che sia un vero concorrente di Bitcoin.

Per interromperne il dominio consolidato come rete monetaria, non dovrebbe essere solo un po' migliore, ma di ordini di grandezza migliore.

Secondo il famoso autore Jeff Booth, un nuovo concorrente di una rete consolidata deve essere almeno 10 volte migliore per convincere abbastanza persone ad abbandonare quella esistente e unirsi alla nuova rete.

Ci sono state affermazioni su un “Bitcoin migliore” per molti anni, di solito da parte di persone che non lo capivano o da promotori di altcoin poco raccomandabili.

Non sono propenso a credere a tali affermazioni finché non ci saranno prove concrete che qualcosa potrebbe potenzialmente avere proprietà monetarie di gran lunga migliori di Bitcoin.

Finora, niente ci è andato vicino.


Equivoco n°13: la SEC se la prenderà con Bitcoin

Date le sue dichiarazioni, è chiaro che la Securities and Exchange Commission (SEC) considera quasi tutte le criptovalute come titoli non registrati, rendendole vulnerabili ad azioni esecutive.

Ciò ha portato molti a credere erroneamente che la SEC se la sarebbe presa con Bitcoin.

La realtà è che Bitcoin è l'unica criptovaluta che NON è un titolo.

Il governo degli Stati Uniti ha chiarito che considera Bitcoin, e solo Bitcoin, una merce sotto la competenza della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e del Commodity Exchange Act.

Bitcoin è una merce perché è un asset senza qualcuno che lo emette.

Allo stesso modo, oro, argento, rame, grano, mais e altre merci hanno produttori, ma non hanno chi li emette.

Ogni altra criptovaluta diversa da Bitcoin ha chi la emette, ha anche fondatori identificabili, fondazioni, team di marketing e addetti ai lavori che possono esercitare un controllo indebito.

Bitcoin non ha nessuna di queste cose, proprio come il rame o il nichel non hanno un reparto marketing o un fondatore.

La SEC non potrebbe perseguire Bitcoin anche se volesse, perché non c'è nessuno da perseguire. Non c'è una sede centrale di Bitcoin, non c'è un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.

Ma presumendo che la SEC possa andare dietro a Bitcoin, non lo farà perché anch'essa ammette che Bitcoin non è un titolo e quindi non rientra nella sua sfera di competenza.


Equivoco n°14: violare la crittografia di Bitcoin

La crittografia di Bitcoin non è a rischio.

Se la sua crittografia lo fosse, sarebbe anche un problema esistenziale per ogni banca, sistema di brokeraggio, banca centrale, provider di posta elettronica e qualsiasi altro aspetto essenziale della vita digitale moderna.

Metterei questo rischio nella stessa categoria di un'invasione aliena, qualcosa di teoricamente possibile ma irrilevante per le decisioni di investimento odierne.

Ma supponiamo che un ipotetico problema di calcolo quantistico, o qualche nuova tecnologia, rappresenti una minaccia per la crittografia di Bitcoin.

Esiste una soluzione ipotetica: sarebbe possibile aggiornarla ottenendo il consenso dei nodi per renderla resistente al calcolo quantistico o a qualsiasi nuova tecnologia che rappresenti una minaccia esistenziale per essa.


Equivoco n°15: Bitcoin è troppo volatile per essere denaro

È essenziale chiarire innanzitutto che, sebbene il prezzo di Bitcoin sia volatile, il suo protocollo è la cosa più stabile, prevedibile e affidabile che io conosca nella finanza.

Sin dall'inizio di Bitcoin nel 2009, l'offerta totale di 21 milioni non è cambiata, la rete non si è mai fermata, i miner hanno continuato a creare un nuovo blocco ogni 10 minuti in media e chiunque è sempre stato in grado di utilizzare Bitcoin per inviare valore a chiunque, ovunque, senza bisogno di una terza parte di fiducia.

In breve, nonostante tutto ciò che è accaduto dal 2009, la rete Bitcoin non ha perso un colpo.

Detto questo, la monetizzazione non avviene dall'oggi al domani ed è intrinsecamente un processo volatile per il prezzo.

Mentre l'oro è una moneta consolidata, Bitcoin è una moneta emergente.

Ci sono voluti secoli affinché l'oro completasse il suo processo di monetizzazione. Bitcoin ha buone probabilità di completarlo in un periodo di tempo molto più breve, ed è già sulla buona strada.

Qualcosa non passa dall'avere nessun valore all'essere una moneta globale senza volatilità nel suo prezzo. Ad esempio, Bitcoin è passato da non avere alcun valore nel 2009 a oltre $67.000 nel 2021.

Non è raro che Bitcoin subisca correzioni del 50% o più, cosa che è accaduta otto volte. Inoltre ci sono state tre occasioni in cui Bitcoin è sceso dell'80% o più.

Ecco un grafico che mostra le maggiori correzioni di Bitcoin nel corso degli anni per mettere in prospettiva la sua volatilità.

Se si allarga lo sguardo e si osserva il quadro generale, la volatilità del prezzo di Bitcoin è stata principalmente al rialzo nel lungo termine.

È una serie di massimi e minimi più alti.

Sopportare la volatilità di Bitcoin è il prezzo che dobbiamo pagare per ottenere guadagni sproporzionati mentre si prosegue lungo il processo di monetizzazione.

Sarà un viaggio movimentato, come sulle montagne russe, ma credo che ricompenserà gli investitori pazienti.

Ci sono un paio di modi per aiutare a domare la volatilità del prezzo di Bitcoin.

Innanzitutto, invece di acquistare la quantità desiderata di Bitcoin in un'unica grande transazione, usate la media dei costi in dollari (MCD) per distribuirla nel tempo.

Ad esempio, supponiamo che vogliate investire $10.000 in Bitcoin. Invece di acquistare $10.000 in una volta, effettuate un acquisto di circa $192 ogni settimana per un anno.

La MCD riduce significativamente il rischio di acquistare troppo all'inizio di un ciclo e di non acquistare al minimo.

Ecco come la MCD può trasformare la volatilità di Bitcoin a vostro favore.

In secondo luogo, pianificate di risparmiare per almeno quattro anni, attraverso un ciclo di halving.

Raramente c'è stato un periodo in cui il prezzo di Bitcoin è stato inferiore a quello di quattro anni prima... ma, naturalmente, le performance passate non indicano risultati futuri.

Terzo, ogni volta che vedete volatilità nel prezzo di Bitcoin, chiedetevi due cose:

  1. Bitcoin ha ancora proprietà monetarie superiori (totale resistenza alla svalutazione ed estrema portabilità)?
  2. Bitcoin è ancora inarrestabile?

Se la risposta a queste due domande è “Sì”, non mi preoccuperei.

Man mano che l'adozione cresce e Bitcoin diventa più affermato come forma di denaro, la volatilità dovrebbe attenuarsi, ma probabilmente a un prezzo molto più alto.

Ecco perché dovreste acquistare Bitcoin prima che il resto del mondo capisca le sue proprietà monetarie superiori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Una risposta ai critici dell'economia Austriaca

Freedonia - Mer, 20/11/2024 - 11:08

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Eduard Bucher

Richard Duncan è stato di recente ospite sul podcast Wealth Formula per discutere della Scuola Austriaca. Nonostante duri solo 42 minuti, l'episodio è pieno di errori e fallacie.

Ciò che rende la discussione rilevante per gli Austro-libertari non è il fatto che questi due non sappiano nulla di economia Austriaca, ma che le loro critiche sono tipiche di chi la semplifica eccessivamente e la sposta all'estrema destra dello spettro politico.

Duncan sostiene quanto segue:

  1. Gli Austriaci partono dal presupposto che l'oro è denaro e che l'espansione del credito non può quindi continuare indefinitamente.

  2. Gli Austriaci credono che la crescita del credito porti a bolle economiche che alla fine scoppiano sempre: più credito significa più spesa al consumo e più investimenti, portando a una crescita della prosperità, ma quando la crescita del credito si ferma, come deve accadere con un gold standard, la bolla scoppia e il processo si inverte poiché la spesa al consumo, gli investimenti, l'occupazione e la prosperità si riducono.

  3. L’oro ha smesso di essere denaro nel 1968 e, da allora, il capitalismo si è trasformato in “creditismo”, cambiando il modo in cui funziona il nostro sistema economico: l’esplosione del credito che ha avuto luogo ha reso le economie degli Stati Uniti e del resto del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto altrimenti crescere.

  4. Gli Austriaci raccomandano di lasciare che questa bolla scoppi: “[Gli Austriaci ci dicono] che abbiamo peccato non sostenendo più il denaro legato all'oro e che, pertanto, dobbiamo subire la dannazione a causa di tutti i nostri peccati atroci”.

  5. Gli Austriaci non riescono a rendersi conto che la bolla attuale è così enorme che se scoppiasse, la civiltà collasserebbe. Se gli Stati Uniti adottassero un gold standard, o un Bitcoin standard, e non fossero in grado di stampare dollari, presto si troverebbero senza denaro a causa del loro deficit commerciale. Di conseguenza anche le economie di tutti i Paesi che prosperano grazie ai loro grandi surplus commerciali con gli Stati Uniti (principalmente la Cina) crollerebbero e acquisterebbero molti meno beni dagli Stati Uniti, causando il crollo anche dell'economia statunitense. Ciò porterebbe all'implosione dell'intera economia mondiale.

  6. Fortunatamente non c'è motivo per cui dovremmo permettere che la bolla scoppi perché abbiamo i mezzi per mantenerla gonfia indefinitamente, poiché l'oro non è più denaro.

  7. Per questo motivo gli Austriaci sono ingiustamente critici nei confronti del sistema di credito globale basato sul dollaro, il quale fornisce la liquidità responsabile della crescita degli ultimi 60 anni e che ha fatto uscire miliardi di persone dalla povertà.

Ciò che è significativo per gli Austriaci non è che questi punti assurdi nascondano una totale mancanza di familiarità con il corretto pensiero economico, ma piuttosto che una corretta confutazione di essi dovrebbe avere cognizione di ciò che dice l'oggetto confutato.

  1. Il credito non può espandersi indefinitamente perché alla fine porta all'iperinflazione e alla cessazione dell'uso del denaro in quanto tale: un aumento del credito non aumenta i beni e i servizi reali disponibili, ma solo la quantità di denaro che può essere scambiata per essi. Con l'aumento dei prezzi, l'unità monetaria perde potere d'acquisto, incentivando gli individui a ridurre i loro saldi di cassa e ad accelerare il loro comportamento di acquisto. Nessuno vuole più scambiare nulla per denaro e quest'ultimo diventa sempre più privo di valore, rischiando di far tornare la società al baratto.

  2. I crediti che derivano dal risparmio volontario non hanno questo effetto, perché le maggiori richieste sulla produzione avanzate dai debitori sono controbilanciate dalle minori richieste su di essa avanzate dai creditori. Indipendentemente dal fatto che il denaro assuma la forma di oro, moneta fiat, o qualsiasi altra cosa, l'espansione del credito non coperta dal risparmio reale induce un boom artificiale seguito da una crisi correttiva, come descritto nella teoria Austriaca del ciclo economico. Tuttavia senza espansione artificiale del credito, la crescita economica è organica, endogena e sostenibile.

  3. L'esplosione del credito che ha avuto luogo dal 1968 non ha reso le economie degli Stati Uniti e del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto essere altrimenti. Da un lato le economie sono cresciute grazie all'aumento del commercio, alla disponibilità di nuove tecnologie/tecniche di produzione e all'assenza di guerre su larga scala; tale crescita è indipendente dall'espansione inflazionistica del credito. Dall'altro lato, invece, l'espansione del credito è responsabile dell'offshoring industriale e prezzi più alti, allontanando le risorse produttive da quei processi in cui avrebbero servito meglio gli scopi più desiderati dei consumatori; tale crescita è semplicemente un trucco contabile, senza alcun riguardo nei confronti del cambiamento del potere d'acquisto, e ciò rappresenta in realtà una distruzione di valore che si concluderà con una recessione economica correttiva.

  4. L'attribuzione di un tono morale alle raccomandazioni Austriache è del tutto fuori luogo. Il compito della scienza è di chiarire connessioni causali e relazioni funzionali, non di raggiungere giudizi di valore normativi e verdetti morali. Gli economisti Austriaci, in quanto economisti, si limitano a sottolineare le differenze relative negli incentivi e nei panorami di possibilità associati a una moneta sana/onesta o a una moneta fiat.

  5. L'errore centrale in questo punto è il mito del sottoconsumo. Duncan ritiene che se gli americani smettessero di acquistare i prodotti delle fabbriche cinesi, queste ultime andrebbero in bancarotta. In realtà venderebbero ai successivi migliori offerenti a prezzi più bassi. I cinesi probabilmente consumerebbero di più a livello nazionale in aggregato, aumentando gli standard di vita locali e abbassando quelli degli americani. In risposta i prezzi scenderebbero, le tecniche di produzione cambierebbero e gli americani dovrebbero iniziare a produrre di più anche a livello nazionale. Man mano che l'economia americana crescerebbe in termini di capacità produttive, il valore del dollaro aumenterebbe di nuovo e consentirebbe agli americani di competere sul mercato mondiale per beni e servizi prodotti in altri Paesi e per i quali pagherebbero dollari che gli altri desidererebbero avere per acquistare i beni e servizi prodotti negli Stati Uniti. Il fatto che gli USA abbiano attualmente un deficit commerciale significa che gli americani stanno importando più di quanto esportino, il che non può durare in condizioni naturali.

  6. Le bolle non scoppiano perché finiscono i soldi, ma a causa dell'esaurimento di beni e risorse reali necessari a sostenerle. Man mano che il capitale viene consumato, i processi di produzione diventano relativamente meno indiretti, riducendo l'efficienza e le economie di scala. Non possiamo sapere come far crescere una bolla indefinitamente perché non abbiamo ancora scoperto come far scomparire la scarsità.

  7. Il sistema del dollaro non ha emancipato le persone dalla povertà. Immaginare che siano stati stampati e distribuiti milgiaia di miliardi di dollari ai poveri, sollevandoli così al di sopra della soglia di povertà, significa mettere il carro davanti ai buoi. Gli individui diventano più ricchi man mano che aumenta il loro accesso a beni e servizi, e quindi il problema centrale è quello della produzione e dell'accumulo di capitale. Ciò che ha emancipato miliardi di persone dalla povertà è un'espansione della divisione del lavoro, cosa che non è influenzata dalla quantità di denaro in circolazione. Qualsiasi quantità (fisiologica) di denaro andrà bene, e quindi un aumento dei crediti in dollari non può essere ritenuto responsabile di una riduzione della povertà.

In conclusione, quando si discute in pubblico è importante non impantanarsi in tecnicismi, ma concentrarsi sui principali difetti del ragionamento e, in modo rapido ed efficiente, evidenziare la fallacia in questione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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I 7 motivi per cui oggi è necessario un secondo passaporto

Freedonia - Mar, 19/11/2024 - 11:17

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di Nick Giambruno

Prima della prima guerra mondiale per viaggiare all'estero non era necessario il passaporto.

Era una verità evidente che un individuo sovrano poteva viaggiare ovunque volesse senza chiedere il permesso a nessuno.

Purtroppo oggi viaggiare non funziona più così.

La vostra cosiddetta libertà di movimento dipende dal consenso di più stati.

È necessario ottenere un passaporto dal governo del proprio Paese di origine, possibilmente uno che contenga i propri dati biometrici immutabili, un visto dal governo del Paese di destinazione e ulteriori visti dai governi di qualsiasi Paese di transito per arrivarci.

Oltre ai passaporti e ai visti, gli stati possono imporre condizioni mediche assurde e invasive per entrare nei loro territori, come ha dimostrato la psicosi di massa del Covid.

Invece di considerare il viaggio un diritto inalienabile, gli stati lo considerano un privilegio speciale concesso alla plebe, che può essere revocato se ci si comporta male, proprio come un adulto tratta la richiesta di un bambino di andare a casa di un amico.

In realtà i passaporti non facilitano i viaggi: sono strumenti per controllarvi e costringervi. Il mondo starebbe meglio senza di essi.

Purtroppo i passaporti non scompariranno.

Continuerete ad averne bisogno per viaggiare, quindi potreste anche averne più di uno affinché il ​​governo del vostro Paese avrà meno potere di controllarvi.

In breve, ottenere un secondo passaporto è fondamentale per liberarsi dalla dipendenza assoluta da qualsiasi Paese. Una volta ottenuta questa libertà, è molto più difficile per qualsiasi governo costringervi o controllare il vostro destino.

Tra le altre cose, avere un secondo passaporto vi consente di investire, gestire banche, viaggiare, vivere e fare affari in luoghi in cui altrimenti non potreste.

Indipendentemente da dove vivete, potete trarre beneficio dei vantaggi di diversificazione politica offerti da un secondo passaporto.

Ecco i sette principali motivi per cui tutti ne hanno bisogno.


Motivo n°1: neutralizzare le restrizioni ai viaggi

Un secondo passaporto impedisce allo stato di chiudervi dentro.

In caso contrario può sottoporvi agli arresti domiciliari e annullare il passaporto, anche se ne possedete solo uno.

Ad esempio, dopo che Castro salì al potere a Cuba, il suo governo fece sì che i cittadini facessero domanda per un visto di uscita per lasciare l'isola. Non veniva concesso facilmente.

Impedire alle persone di andarsene è sempre stato il segno distintivo di un regime autoritario.

Purtroppo questa pratica è in crescita nelle cosiddette democrazie liberali.

Si pensi alle restrizioni totalitarie di viaggio imposte da Canada, Australia e altri Paesi durante l'isteria di massa dovuta al Covid, cosa che hanno impedito ai relativi cittadini di partire a meno che non si sottoponessero a una procedura medica sperimentale.

Negli USA il governo può annullare il vostro passaporto se avete un modesto debito fiscale o se vi accusano di un reato. Non c'è bisogno di una condanna, basta un'accusa.

Molte persone pensano che i reati gravi consistano solo in atti come rapine e omicidi, ma non è così.

La montagna di leggi e regolamenti in continua espansione ha criminalizzato anche le attività più banali. Non è così difficile commettere un crimine come si potrebbe pensare, infatti molti “crimini” senza vittime.

L'avvocato per le libertà civili, Harvey Silverglate, ha scoperto che in media un americano commette inavvertitamente tre reati gravi al giorno.

Quindi se il governo degli Stati Uniti volesse annullare il vostro passaporto, potrebbe trovare qualche cavillo per farlo... a chiunque.

È come un vecchio detto dell'Unione Sovietica: “Mostrami la persona e ti mostrerò il crimine”.

Se avete idee politiche che non piacciono al vostro stato, non sorprendetevi se in qualche modo limita la vostra libertà di movimento.

Naturalmente questo non è un problema esclusivo del governo degli Stati Uniti.

Qualsiasi stato può revocare o annullare il passaporto dei propri cittadini per qualsiasi motivo ritenga opportuno.

Questo perché “il vostro” passaporto non è una vostra proprietà: è di proprietà del governo che lo ha rilasciato.

Avere un secondo passaporto aiuta ad attenuare questo rischio.


Motivo n°2: maggiori opzioni finanziarie

Un secondo passaporto apre le porte a maggiori servizi finanziari internazionali altrimenti non disponibili.

A causa delle gravose e invasive normative americane, molti, ma non ancora tutti, gli istituti finanziari stranieri ora respingono chiunque presenti un passaporto statunitense. Quindi, per essere un cliente gradito, potreste aver bisogno di un passaporto di un altro Paese.

Lo stesso vale per le persone in possesso di passaporti di altri Paesi con un bagaglio politico.

Buona fortuna nell'aprire un conto in una giurisdizione affidabile con un passaporto proveniente dall'Africa, dal Medio Oriente o da un Paese presente nella lista dei “cattivi” di Washington.

Un secondo passaporto potrebbe risolvere questo problema.


Motivo n°3: più viaggi senza visto

Richiedere un visto prima di un viaggio è una vera seccatura. Può essere frustrante, richiede molto tempo ed è costoso. Potrebbe anche essere negato.

Un secondo passaporto vi consente di accedere senza visto a più Paesi.

Nel mondo ci sono 227 Paesi ed entità politiche.

Il passaporto giapponese è il migliore al mondo per quanto riguarda i viaggi senza visto: vi consente di entrare in 193 destinazioni senza ottenere un visto in anticipo.


Motivo n°4: evitare contraccolpi della politica estera

Supponiamo che il vostro stato abbia la cattiva abitudine di ficcare il naso negli affari interni degli altri Paesi. Questo potrebbe rendervi un bersaglio se vi trovaste nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Esistono passaporti con un rischio minimo di contraccolpi in politica estera.

Quando è stata l'ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che prendeva di mira i titolari di passaporto svizzero o uruguaiano?


Motivo n°5: non dovete vivere come un rifugiato

Un secondo passaporto è un'assicurazione sulla mobilità per voi e la vostra famiglia.

Supponiamo che il vostro Paese d’origine “crolli”, come accadde in Russia negli anni ’20 o in Germania negli anni ’30.

I cittadini di Venezuela, Siria, Iraq, Yemen, Libia, Afghanistan, Ucraina e molti altri Paesi si trovano oggi ad affrontare lo stesso problema.

Dove andrete? Sarete accettati?

La verità è che qualsiasi Paese può trasformarsi in un Venezuela, o in qualcosa di peggio, più velocemente di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare o prepararsi.

Indipendentemente da quanto grave possa essere la situazione nel vostro paese d'origine, un secondo passaporto vi dà il diritto legale di vivere e lavorare altrove.

Vi garantisce che non dovrete vivere come un profugo altrove.


Motivo n°6: Rinuncia

Se decidete di rinunciare alla cittadinanza, avrete bisogno di un secondo passaporto.

Ciò potrebbe comportare enormi vantaggi fiscali e normativi se il vostro Paese d'origine grava sui suoi cittadini con tasse soffocanti e inevitabili... come accade negli Stati Uniti.

Ma non riguarda solo questi ultimi.

Diversi altri Paesi stanno valutando l'ipotesi di imporre un modello di tassazione simile basato sulla cittadinanza, in cui la rinuncia alla stessa è l'unica via d'uscita.

Un secondo passaporto vi garantisce di avere sempre la possibilità di emanciparvi.


Motivo n°7: Benefici generazionali

Una volta ottenuto un secondo passaporto, i vantaggi della diversificazione politica dureranno per generazioni.

Potete trasmettere più cittadinanze ai vostri futuri figli e nipoti.


Non è facile, ma necessario

Man mano che la disperazione aumenta, gli stati attuano politiche sempre più distruttive.

Lo stesso schema si è ripetuto più volte in tutto il mondo e nel corso della storia. È prevedibile come il cambio delle stagioni.

Quanto più peggiora la salute finanziaria di uno stato, tanto più distruttive diventano le sue linee di politica.

Questa è la radice del rischio politico: il rischio che lo stato metta a repentaglio il vostro benessere personale e finanziario.

Non è un segreto che il rischio politico stia aumentando in molte parti del mondo. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, in Canada e in Europa dove la spesa sociale e militare ha portato alla bancarotta la maggior parte degli stati.

Non importa quale partito sia al potere. Vanno tutti nella stessa direzione, anche se a velocità diverse.

Mi aspetto che gli stati imporranno presto ulteriori restrizioni ai viaggi.

Ottenere i vantaggi della diversificazione politica offerti da un secondo passaporto è fondamentale per garantire la propria libertà in un mondo in continuo cambiamento.

Sfortunatamente non esiste un modo per ottenere un secondo passaporto che sia allo stesso tempo veloce, facile ed economico.

Tuttavia ciò non rende meno urgente o cruciale l'ottenimento di uno.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


Il consenso al neoliberismo sta crollando

Freedonia - Lun, 18/11/2024 - 11:06

Il pezzo di oggi è uno di quelli che vi invito caldamente a leggere e rileggere perché rappresenta un'evoluzione di fatti di cui ho parlato spesso su queste pagine e che adesso iniziano a concretizzarsi. Molti di voi, cari lettori, ricorderanno il tanto citato saggio di Martin Van Creveld sul declino dello stato, ebbene l'articolo di oggi inserisce il tassello mancante in quell'analisi: cosa sostituirà lo stato-nazione? Van Creveld ci lasciava con questo quesito. Ovviamente non poteva far altro per i suoi tempi. Addirittura c'è stato l'autore Frank Chodorov che, prima di lui, aveva ipotizzato uno scenario simile. Avevano la sfera di cristallo? No, come ci ricorda Tucker il sistema dello stato-nazione trasportava sin dalla sua nascita i semi della sua stessa distruzione. L'istruzione pubblica ha lavorato alacremente per nascondere e ritardare la loro germogliazione. L'inevitabilità di questo evento, però, è sempre stata presente e, come ricordo anche nel mio ultimo libro, porterà a delle scelte economiche drastiche che richiederanno alla popolazione generale di essere preparata in anticipo. Almeno per sopravvivervi avendo un vantaggio su coloro che invece resteranno passivi sino alla fine. Il pezzo di oggi, invece, analizza i fattori sociali e istituzionali configurando un'evoluzione degli eventi che, molto probabilmente, ci faranno addirittura rimpiangere l'architettura dello stato-nazione. Anche perché, come affermo anche nel mio libro, senza un'accelerazione ulteriore della centralizzazione dei poteri, l'Europa è destinata a una dissoluzione caotica e precoce.

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di Jeffrey Tucker

La risposta mondiale al Covid è stata il punto di svolta nella fiducia pubblica, nella vitalità economica, nella salute dei cittadini, nella libertà di parola, nell'alfabetizzazione, nella libertà religiosa e di viaggio, nella credibilità dell'élite, nella longevità demografica e molto altro ancora. Cinque anni dopo la diffusione iniziale del virus che ha provocato dispotismi su larga scala, qualcos'altro sembra stia cadendo: il consenso del dopoguerra al cosiddetto neoliberismo. (Filosofia economico/politica, questa, in netto contrasto con quella Austriaca e libertaria, ndt.)

Il mondo come lo conoscevamo solo un decennio fa è in fiamme, esattamente come Henry Kissinger aveva avvertito in uno dei suoi ultimi articoli. Le nazioni stanno erigendo nuove barriere commerciali e affrontando rivolte cittadine come mai viste prima, alcune pacifiche, altre violente. Dall'altra parte di questo sconvolgimento c'è la risposta alla grande domanda: che aspetto ha la rivoluzione politica nelle economie industriali avanzate con istituzioni democratiche? Stiamo cercando di scoprirlo.

Facciamo un rapido excursus nella storia moderna per capire meglio le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Dall'apertura della Cina negli anni '80 all'elezione di Donald Trump nel 2016, il volume delle importazioni commerciali dalla Cina non ha fatto altro che crescere, decennio dopo decennio. È stato il segno evidente di una traiettoria generale verso la globalizzazione iniziata dopo la seconda guerra mondiale e accelerata con la fine della guerra fredda. Dazi e barriere commerciali sono diminuiti sempre di più, mentre i dollari come valuta di riserva mondiale hanno riempito le casse delle banche centrali mondiali. Gli Stati Uniti sono stati la fonte globale di liquidità che ha reso possibile tutto ciò.

Non senza pagare un costo enorme, però, poiché gli Stati Uniti nel corso dei decenni hanno perso i loro vantaggi manifatturieri in decine di settori industriali. Orologi, pianoforti, mobili, tessuti, abbigliamento, acciaio, utensili, costruzioni navali, giocattoli, elettrodomestici, elettronica di consumo e semiconduttori hanno tutti lasciato le coste degli Stati Uniti, mentre altri settori hanno iniziato ad avere difficoltà, in particolar modo le automobili. Oggi anche le tanto celebrate industrie “dell'energia verde” sono destinate a essere surclassate dalla concorrenza.

Questi settori sono stati in gran parte sostituiti da prodotti finanziari alimentati tramite il debito, dal settore medico pubblico, dai sistemi informatici, dall'intrattenimento e dall'istruzione finanziata dallo stato, mentre le principali esportazioni degli Stati Uniti sono diventate debito e prodotti petroliferi.

Molte forze si sono unite per far salire Donald Trump in cima alla catena di comando nel 2016, ma il risentimento contro l'internazionalizzazione della produzione era alto. Mentre la finanziarizzazione sostituiva la produzione nazionale e la mobilità di classe ristagnava, negli Stati Uniti ha preso forma un allineamento politico che ha lasciato sbalordite le élite. Trump si è impegnato sul suo problema preferito, ovvero erigere barriere commerciali contro i Paesi con cui gli Stati Uniti stavano registrando deficit commerciali, principalmente la Cina.

Nel 2018, e in risposta ai nuovi dazi, il volume degli scambi commerciali con la Cina ha subito il suo primo duro colpo, invertendo non solo una traiettoria di crescita di 40 anni, ma anche assestando il primo e più grande colpo al consenso neoliberista.

Poi è successo qualcosa che ha invertito l'inversione. Quel qualcosa è stata la risposta al Covid. Nel racconto di Jared Kushner (Breaking History) egli si recò dal suocero dopo il lockdown e gli disse:

Stiamo cercando di trovare rifornimenti in tutto il mondo. Al momento ne abbiamo abbastanza per arrivare alla prossima settimana, forse due, ma dopo potrebbe diventare davvero brutta la situazione, molto in fretta. L'unico modo per risolvere il problema immediato è ottenere i rifornimenti dalla Cina. Saresti disposto a parlare con il presidente Xi per disinnescare la situazione?

“Ora non è il momento di essere orgogliosi”, disse Trump, “odio che siamo in questa posizione, ma cerchiamo di trovare una soluzione”.

È impossibile immaginare il dolore che questa decisione deve aver causato a Trump, poiché ha significato il ripudio di tutto ciò in cui credeva profondamente e di tutto ciò che si era prefissato di realizzare come presidente.

Kushner continua:

Contattai l'ambasciatore cinese Cui Tiankai e proposi che i due leader parlassero. Cui era entusiasta dell'idea. Quando parlarono, Xi fu veloce a descrivere le misure adottate dalla Cina per mitigare il virus. Poi espresse preoccupazione per il fatto che Trump si riferisse al COVID-19 come “virus cinese”. Trump accettò di astenersi dal chiamarlo così se Xi avesse dato agli Stati Uniti la priorità rispetto ad altri nella spedizione di forniture. Xi promise di collaborare. Da quel momento in poi, ogni volta che chiamavo l'ambasciatore Cui per un problema, lui lo risolveva immediatamente.

Quale fu il risultato? Il commercio con la Cina salì alle stelle. Nel giro di poche settimane, gli americani indossavano mascherine sintetiche cinesi sul viso, avevano il naso tappato con tamponi cinesi e venivano curati da infermieri e dottori che indossavano camici cinesi.

Il grafico sul volume degli scambi commerciali con la Cina si presentava così. Si può osservare la lunga ascesa, la caduta dal 2018 e l'inversione del volume degli acquisti in seguito ai lockdown e agli interventi di Kushner. Non è durata a lungo, poiché le relazioni commerciali si sono interrotte e sono nati nuovi blocchi commerciali.

L'ironia, quindi, è evidente: il tentativo fallito di riavviare l'ordine neoliberista, se di questo si trattava, si è verificato nel mezzo di un'ondata globale di controlli e restrizioni totalitari. In che misura i lockdown sono stati impiegati per resistere all'agenda di disaccoppiamento di Trump? Non abbiamo risposte a questa domanda, ma osservare lo schema lascia spazio a speculazioni.

In ogni caso, le tendenze degli ultimi 70 anni si sono invertite, facendo approdare gli Stati Uniti in tempi nuovi, descritti dal Wall Street Journal:

Se si scoprisse che i dazi sulla Cina sono al 60% e quelli del resto del mondo sono al 10%, il dazio medio degli Stati Uniti, ponderato in base al valore delle importazioni, balzerebbe al 17% dal 2.3% nel 2023 e dall'1.5% nel 2016, secondo Evercore ISI, una banca d'investimento. Sarebbe la media più alta sin dalla Grande Depressione, dopo che il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act (1932), il quale innescò un'ondata globale di barriere commerciali. I dazi statunitensi passerebbero da quelli più bassi a quelli più alti tra le principali economie mondiali. Se altri Paesi reagissero, l'aumento delle barriere commerciali globali non avrebbe precedenti moderni.

Parlare dello Smoot-Hawley Act ci fa davvero sprofondare nella storia. A quei tempi la politica commerciale negli Stati Uniti seguiva la Costituzione degli Stati Uniti (Articolo I, Sezione 8). Il sistema originale garantiva al Congresso il potere di regolamentare il commercio con le nazioni straniere, tra gli altri poteri. Ciò aveva lo scopo di mantenere la politica commerciale all'interno del ramo legislativo per garantire una responsabilità sempre presente. Di conseguenza il Congresso rispose alla crisi economica/finanziaria imponendo enormi barriere contro le importazioni; la depressione peggiorò.

Era una convinzione diffusa nei circoli d'élite che i dazi del 1932 avessero avuto un ruolo principale nell'aggravamento della crisi economica. Due anni dopo iniziarono i lavori per trasferire l'autorità commerciale al ramo esecutivo in modo che quello legislativo non facesse mai più qualcosa di così stupido. La teoria era che il presidente avrebbe avuto più probabilità di perseguire una linea di politica di libero scambio e dazi bassi. Quella generazione non avrebbe mai immaginato che gli Stati Uniti avrebbero eletto un presidente che avrebbe usato il suo potere per fare l'opposto.

Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, un gruppo di diplomatici, statisti e intellettuali lavorò per garantire la pace. Tutti concordarono sul fatto che una priorità nel mondo del dopoguerra fosse quella di istituzionalizzare la cooperazione economica il più ampiamente possibile, sulla base della teoria secondo cui nazioni che dipendono l'una dall'altra per il loro benessere materiale avrebbero avuto meno probabilità di andare in guerra l'una contro l'altra.

Nacque così quello che venne chiamato l'ordine neoliberista. Consisteva in nazioni democratiche con stati sociali limitati che cooperavano dal punto di vista commerciale: barriere sempre più basse. In particolare i dazi vennero criticati come mezzi di sostegno fiscale e protezione industriale. Furono fondati nuovi accordi e istituzioni per essere gli amministratori del nuovo sistema: GATT, FMI, Banca Mondiale e ONU.

L'ordine neoliberista non è mai stato liberale nel senso tradizionale, è stato gestito fin dall'inizio da stati sotto il dominio degli Stati Uniti. L'architettura è sempre stata più fragile di quanto sembrasse. L'accordo di Bretton Woods del 1944, rafforzato nel corso dei decenni, ha coinvolto istituzioni come banche globali e un sistema monetario gestito dagli Stati Uniti che poi è crollato nel 1971. Il difetto in entrambi i sistemi aveva una radice comune: una moneta globale ma sistemi fiscali e normativi nazionali, cosa che ha quindi disabilitato i meccanismi di flow-to-specie che invece avevano bilanciato il commercio nel XIX secolo.

Una delle conseguenze è stata la perdita di produzione sopra menzionata, cosa che è coincisa con una crescente percezione pubblica che le istituzioni pubbliche stessero operando senza trasparenza e partecipazione dei cittadini. L'espansione dello stato militare dopo l'11 settembre e gli sbalorditivi salvataggi di Wall Street dopo il 2008 hanno rafforzato tale punto e preparato il terreno per una rivolta populista. I lockdown, che hanno avvantaggiato le élite, insieme alle rivolte dell'estate 2020, l'obbligo di vaccinazione e l'insorgere di una crisi migratoria, hanno rafforzato ancora di più suddetto punto.

Panico e frenesia, però, non spiegano il motivo per cui quasi tutti i Paesi occidentali stanno affrontando la stessa dinamica. Oggi la lotta politica nel mondo riguarda gli stati e i movimenti populisti contro il tipo di globalismo che ha portato una risposta mondiale al virus e alla crisi migratoria. Entrambe le risposte si sono rivelate sbagliate, in particolar modo il tentativo di vaccinare l'intera popolazione con un'iniezione che oggi è difesa solo dai relativi produttori e da coloro che sono al loro soldo.

Il problema della migrazione più la pianificazione pandemica sono solo due degli ultimi dati, ma entrambi suggeriscono una realtà minacciosa di cui molte persone nel mondo sono appena consapevoli. Gli stati che hanno dominato il panorama politico sin dal Rinascimento, e persino in alcuni casi nel mondo antico, hanno lasciato il posto a una forma di governo che possiamo chiamare globalismo. Badate bene, però, questo termine non si riferisce al commercio transfrontaliero. Riguarda il controllo politico: lontano dai cittadini e verso qualcos'altro che questi ultimi non possono controllare o influenzare.

Dal tempo del Trattato di Westfalia, firmato nel 1648, l'idea della sovranità statale ha prevalso nel mondo della politica. Non tutte le nazioni avevano bisogno delle stesse linee di politica, ciononostante avrebbero rispettato le differenze per raggiungere l'obiettivo della pace. Ciò implicava il permesso di diversità religiosa tra gli stati, una concessione che portò a uno sviluppo della libertà in altri modi. Tutta la governance finì per essere organizzata attorno a zone di controllo geograficamente limitate.

I confini giuridici limitavano il potere e l'idea del consenso avrebbe gradualmente dominato gli affari politici dal XVIII al XIX secolo fino a dopo la Grande Guerra, la quale avrebbe l'ultimo degli imperi multinazionali. Sarebbe rimasto in piedi un solo modello: lo stato-nazione in cui i cittadini avrebbero esercitato la sovranità ultima. Il sistema ha funzionato, ma non tutti ne sono stati contenti.

Per secoli alcuni degli intellettuali di più alto rango hanno sognato un governo mondiale come soluzione alla diversità delle linee di politica degli stati. È stata l'idea di riferimento per scienziati ed eticisti convinti della correttezza delle loro idee: un'imposizione mondiale come soluzione ottimale. L'umanità è stata abbastanza saggia da non tentare una cosa del genere, al di là delle alleanze militari e dei meccanismi per migliorare i flussi commerciali.

Nonostante il fallimento della gestione globale nel secolo scorso, nel XXI secolo abbiamo assistito all'intensificazione del potere delle istituzioni globaliste. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha scelto la risposta alla pandemia per il mondo intero. Le fondazioni e le ONG globaliste sono pesantemente coinvolte nella crisi dei migranti. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, creati come istituzioni per un sistema globale per denaro e finanza, stanno esercitando un'influenza sproporzionata sulla politica monetaria e finanziaria. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) lavora per ridurre il potere dello stato-nazione sulle politiche commerciali.

Poi ci sono le Nazioni Unite. Mi è capitato di essere a New York City qualche settimana fa quando si sono riunite le Nazioni Unite. Non c'è dubbio che sia stato il più grande spettacolo sul pianeta Terra: vaste zone della città sono state chiuse al traffico, con diplomatici e gente nel mondo della finanza arrivati ​​in elicottero sui tetti di hotel di lusso. I prezzi di tutto sono stati aumentati in risposta.

I partecipanti non erano solo statisti da tutto il mondo, ma anche le più grandi società finanziarie e mediatiche, insieme a rappresentanti delle più grandi università e organizzazioni no-profit. Tutte queste forze si riuniscono sovente come se volessero tutte far parte del futuro. E quel futuro è un governo globale in cui lo stato-nazione alla fine viene ridotto a puro orpello senza alcun potere operativo.

L'impressione che ho avuto lì è stata una di profonda separazione del loro mondo da quello del resto di noi. Sono “persone che vivono in una bolla”. I loro amici, coloro che li finanziano, i raggruppamenti sociali, aspiranti carrieristi in un tale mondo e grandi influencer sono distaccati non solo dalle persone normali, ma anche dallo stato-nazione stesso. L'atteggiamento di moda tra tutti loro è quello di considerare lo stato-nazione e la sua storia come sorpassati, fittizi e piuttosto imbarazzanti.

Un globalismo come quello che opera nel XXI secolo rappresenta uno spostamento e un ripudio del modo in cui la governance ha funzionato per mezzo millennio nella pratica. Gli Stati Uniti sono stati inizialmente istituiti come un Paese di democrazie localizzate che si sono poi unite sotto una confederazione libera. Gli Articoli della Confederazione non hanno creato alcun governo centrale, ma hanno piuttosto demandato alle ex-colonie il compito di istituire (o continuare) le proprie strutture di governance. Quando è arrivata la Costituzione, ha creato un attento equilibrio di controlli ed equilibri per limitare lo stato federale preservando al contempo i diritti di singoli stati. L'idea non era di rovesciare il controllo dei cittadini sullo stato-nazione, ma di istituzionalizzarlo.

Dopo tutti questi anni la maggior parte delle persone nella maggior parte delle nazioni, in particolare negli Stati Uniti, ritiene di dover avere l'ultima parola sulla struttura del sistema. Questa è l'essenza dell'ideale democratico, e non come fine a sé stesso, ma come garante della libertà, il principio che guida tutto il resto. La libertà è inseparabile dal controllo del governo da parte dei cittadini. Quando questo legame viene infranto, la libertà stessa viene gravemente danneggiata.

Il mondo odierno è pieno di istituzioni e individui ricchi che si ribellano alle idee di libertà e democrazia. Non amano l'idea di stati geograficamente limitati con zone di potere giuridico. Credono di avere una missione globale e vogliono rafforzare le istituzioni globaliste contro la sovranità delle persone che vivono negli stati-nazione.

Secondo questa gente ci sono problemi esistenziali che richiedono il rovesciamento del modello dello stato-nazione: malattie infettive, minacce pandemiche, cambiamenti climatici, mantenimento della pace, criminalità informatica, stabilità finanziaria, instabilità varie ed eventuali; sono sicuro che ce ne sono altre nella lista che dobbiamo ancora vedere. L'idea alla base è che questi problemi sono mondiali e sfuggono alla capacità dello stato-nazione di affrontarli.

Siamo tutti indotti a credere che lo stato-nazione non sia altro che un anacronismo che debba essere soppiantato. Tenete presente che questo significa necessariamente trattare la democrazia e la libertà come anacronismi. In pratica l'unico mezzo con cui le persone comuni possono frenare la tirannia e il dispotismo è attraverso il voto. Nessuno di noi ha alcuna influenza sulle politiche dell'OMS, della Banca Mondiale, o dell'FMI, tanto meno sulle fondazioni Gates o Soros. Nel modo in cui la politica è strutturata nel mondo oggi, siamo tutti necessariamente privati ​​dei diritti in un mondo governato da istituzioni globali.

Ed è proprio questo il punto: ottenere la privazione universale dei diritti della gente comune in modo che le élite possano avere mano libera nel regolare il pianeta come ritengono opportuno. Ecco perché diventa estremamente urgente per ogni persona che aspira a vivere in pace riconquistare la sovranità nazionale e dire no al trasferimento di autorità a istituzioni su cui i cittadini non hanno alcun controllo.

La devoluzione del potere dal centro è l'unica via attraverso cui possiamo ripristinare gli ideali dei grandi visionari del passato come Thomas Jefferson, Thomas Paine e l'intera generazione di pensatori illuministi. Alla fine le istituzioni di governo devono essere sotto il controllo dei cittadini e riguardare i confini di singoli stati, altrimenti nel tempo diventano tiranniche. Come affermò Murray Rothbard, abbiamo bisogno di un mondo in cui le nazioni esistano per consenso.

Ci sono molte ragioni per rimpiangere il crollo del cosiddetto consenso neoliberista e una forte motivazione per preoccuparsi dell'ascesa del protezionismo e dei dazi. Tuttavia ciò che hanno chiamato “libero scambio” (non la semplice libertà di comprare e vendere oltre confine, ma piuttosto un piano industriale gestito dallo stato) ha avuto anch'esso un costo: il trasferimento della sovranità dalle persone nelle loro comunità e nazioni a istituzioni sovranazionali su cui i cittadini non hanno alcun controllo. Non doveva andare così, ma è così che è andata alla fine.

Per questo motivo il consenso neoliberista costruito nel periodo postbellico conteneva i semi della sua stessa distruzione. Era troppo dipendente dalla creazione di istituzioni al di fuori del controllo delle persone e troppo dipendente dal dominio dell'élite sugli eventi. Stava già crollando prima della risposta alla pandemia, ma sono stati i lockdown, imposti quasi simultaneamente in tutto il mondo per sottolineare l'egemonia dell'élite, a esporre il pugno sotto il guanto di velluto.

La rivolta populista di oggi potrebbe un giorno apparire come l'inevitabile svolgimento degli eventi quando le persone diventano (nuovamente) consapevoli della privazione dei loro diritti. Gli esseri umani non si accontentano di vivere in gabbia.

Molti hanno previsto da tempo una reazione negativa ai lockdown e a tutto ciò che vi era associato. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarla nei fatti. Il dramma dei nostri tempi è tanto profondo quanto quello di qualsiasi altra grande epoca della storia: la caduta di Roma, il Grande Scisma, la Riforma protestante, l'Illuminismo e la caduta degli imperi multinazionali. L'unica domanda ora è se a questo giro finirà come l'America del 1776 o la Francia del 1790.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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The Menace of Tariffs

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Donald Trump is a strong believer in protective tariffs, and this is very bad news for those of us who support the free market. In Trump’s opinion, tariffs are a great idea. Here is what he said about them in an interview last month: “Trump has proposed a 10 percent across-the-board tariff on all imports and 60 percent on goods from China. During Tuesday’s remarks, he singled out imported cars for higher trade duties, saying he would slap a100, 200 or 300 percent tariff on cars made in Mexico. He also floated imposing 50 percent tariffs on goods to force companies to relocate operations to the U.S. to avoid the penalty.

‘First of all, 10 percent when you collect it is hundreds of billions of dollars … all reducing our deficit,’ he said. ‘But really, so there’s two ways of looking at a tariff. You can do it as a money-making instrument, or you can do it as something to get the companies. Now, if you want the companies to come in, the tariff has to be a lot higher than 10 percent because 10 percent is not enough. Guys, they’re not going to do it for 10, but you make a 50 percent tariff, they’re going to come in.’”

Trump discusses tariffs as if they were a way of improving the free market. In fact, though, as the great economist Murray Rothbard points out in Power and Market, tariffs directly attack the essence of the free market, namely that people gain through mutually advantageous trade. Rothbard proves this by a brilliant reductio ad absurdum argument: “The absurdity of the pro-tariff arguments can be seen when we carry the idea of a tariff to its logical conclusion—let us say, the case of two individuals, Jones and Smith.”

You might think that Rothbard has gone too far— aren’t individuals very different from nations? Isn’t a discussion of two-person trade irrelevant? But Rothbard has a convincing response. Often a very simple example. reveals the principle that underlies a much more complicated case. As he explains:

“This is a valid use of the reductio ad absurdum because the same qualitative effects take place when a tariff is levied on a whole nation as when it is levied on one or two people; the difference is merely one of degree. Suppose that Jones has a farm, ‘Jones’ Acres,’ and Smith works for him. Having become steeped in pro-tariff ideas, Jones exhorts Smith to ‘buy Jones’ Acres.’ ‘Keep the money in Jones’ Acres,’ ‘don’t be exploited by the flood of products from the cheap labor of foreigners outside Jones’ Acres,’ and similar maxims become the watchword of the two men. To make sure that their aim is accomplished, Jones levies a 1,000-percent tariff on the imports of all goods and services from ‘abroad,’ i.e., from outside the farm. As a result, Jones and Smith see their leisure, or ‘problems of unemployment,’ disappear as they work from dawn to dusk trying to eke out the production of all the goods they desire. Many they cannot raise at all; others they can, given centuries of effort. It is true that they reap the promise of the protectionists: ‘self-sufficiency,’ although the ‘sufficiency’ is bare subsistence instead of a comfortable standard of living.”

Rothbard next addresses a central point of pro-tariffs defenders like Trump, the alleged need to keep money at home.

“Money is ‘kept at home,’ and they can pay each other very high nominal wages and prices, but the men find that the real value of their wages, in terms of goods, plummets drastically. Truly we are now back in the situation of the isolated or barter economies of Crusoe and Friday. And that is effectively what the tariff principle amounts to. This principle is an attack on the market, and its logical goal is the self-sufficiency of individual producers; it is a goal that, if realized, would spell poverty for all, and death for most, of the present world population. It would be a regression from civilization to barbarism. A mild tariff over a wider area is perhaps only a push in that direction, but it is a push, and the arguments used to justify the tariff apply equally well to a return to the ‘self-sufficiency’ of the jungle.”

Trump said in his interview that high tariffs will encourage foreign firms to relocate to the United States, so that they can avoid paying the tariffs. What this argument ignores is that there is no benefit to American consumers in having firms located here rather than in foreign countries. What matters to consumers is getting the lowest price for the goods and services they want; and if the firm that offers the lowest price is in China rather than America, so what? Trump might counter this by claiming that locating in America opens up jobs for Americans, but this contention presupposes that a substantial number of American workers are unable to find jobs. What is the basis for this assumption? None is offered. Further, any gains that workers could get from new jobs are likely to be erased by the higher prices the tariffs will bring about. As the great economic journalist Henry Hazlitt said: “And this brings us to the real effect of a tariff wall. It is not merely that all its visible gains are offset by less obvious but no less real losses. It results, in fact, in a net loss to the country. For contrary to centuries of interested propaganda and disinterested confusion, the tariff reduces the American level of wages. Let us observe more clearly how it does this. We have seen that the added amount which consumers pay for a tariff-protected article leaves them just that much less with which to buy all other articles.

There is here no net gain to industry as a whole. But as a result of the artificial barrier erected against foreign goods, American labor, capital and land are deflected from what they can do more efficiently to what they do less efficiently. Therefore, as a result of the tariff wall, the average productivity of American labor and capital is reduced. If we look at it now from the consumer’s point of view, we find that he can buy less with his money. Because he has to pay more for sweaters and other protected goods, he can buy less of everything else. The general purchasing power of his income has therefore been reduced. Whether the net effect of the tariff is to lower money wages or to raise money prices will depend upon the monetary policies that are followed. But what is clear is that the tariff—though it may increase wages above what they would have been in the protected industries— must on net balance, when all occupations are considered, reduce real wages.

Only minds corrupted by generations of misleading propaganda can regard this conclusion as paradoxical. What other result could we expect from a policy of deliberately using our resources of capital and manpower in less efficient ways than we know how to use them? What other result could we expect from deliberately erecting artificial obstacles to trade and transportation?

For the erection of tariff walls has the same effect as the erection of real walls. It is significant that the protectionists habitually use the language of warfare. They talk of ‘repelling an invasion’ of foreign products. And the means they suggest in the fiscal field are like those of the battlefield. The tariff barriers that are put up to repel this invasion are like the tank traps, trenches, and barbed-wire entanglements created to repel or slow down attempted invasion by a foreign army.”

Let’s do everything we can to oppose tariffs. They make us all poorer.

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A Walk on the Supply Side

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

[Editor’s note: In this article, originally published in October 1984, Murray Rothbard critiques a problem with the economics of Republicans and conservatives. Namely, its proponents think they can have it both ways by cutting tax rates and increasing government spending, while somehow not running up huge deficits. Much of this is based on the so-called Laffer curve idea, which Rothbard regards with skepticism. Moreover, Rothbard notes that when most conservatives speak of “the gold standard” they mean a government regulated standard which is an ersatz version of the real thing. At the core of it all is a refusal to do anything at all about the enormous American welfare state. At the time, this sort of thing was called “supply-side economics.” Unfortunately, we find that today’s MAGA economics is in many ways a retread of the failed supply-side economics of old, and Rothbard’s critique remains important reading.]

Establishment historians of economic thought—they of the Smith-Marx-Marshall variety—have a compelling need to end their saga with a chapter on the latest Great Man, the latest savior and final culmination of economic science. The last consensus choice was, of course, John Maynard Keynes, but his General Theory is now a half-century old, and economists have for some time been looking around for a new candidate for that final chapter.

For a while, Joseph Schumpeter had a brief run, but his problem was that his work was largely written before the General Theory. Milton Friedman and monetarism lasted a bit longer, but suffered from two grave defects: (1) the lack of anything resembling a great, integrative work; and (2) the fact that monetarism and Chicago School Economics is really only a gloss on theories that had been hammered out before the Keynesian Era by Irving Fisher and by Frank Knight and his colleagues at the University of Chicago.

Was there nothing new to write about since Keynes?

Since the mid-1970s, a school of thought has made its mark that at least gives the impression of something brand new. And since economists, like the Supreme Court, follow the election returns, “supply-side economics” has become noteworthy.

Supply-side economics has been hampered among students of contemporary economics in lacking anything like a grand treatise, or even a single major leader, and there is scarcely unanimity among its practitioners. But it has been able to take 40 Making Economic Sense First published in October 1984. shrewd advantage of highly placed converts in the media and easy access to politicians and think tanks. Already it has begun to make its way into last chapters of works on economic thought.

A central theme of the supply-side school is that a sharp cut in marginal income-tax rates will increase incentives to work and save, and therefore investment and production. That way, few people could take exception. But there are other problems involved. For, at least in the land of the famous Laffer Curve, income tax cuts were treated as the panacea for deficits; drastic cuts would so increase stated revenue as allegedly to yield a balanced budget.

Yet there was no evidence whatever for this claim, and indeed, the likelihood is quite the other way. It is true that if income-tax rates were 98 percent and were cut to 90 percent, there would probably be an increase in revenue; but at the far lower tax levels we have been at, there is no warrant for this assumption. In fact, historically, increases in tax rates have been followed by increases in revenue and vice versa.

But there is a deeper problem with supply-side than the inflated claims of the Laffer Curve. Common to all supplysiders is nonchalance about total government spending and therefore deficits. The supply-siders do not care that tight government spending takes resources that would have gone into the private sector and diverts them to the public sector.

They care only about taxes. Indeed, their attitude toward deficits approaches the old Keynesian “we only owe it to ourselves.” Worse than that: the supply-siders want to maintain the current swollen levels of federal spending. As professed “populists,” their basic argument is that the people want the current level of spending and the people should not be denied.

Even more curious than the supply-sider attitude toward spending is their viewpoint on money. On the one hand, they say they are for hard money and an end to inflation by going back to the “gold standard.” On the other hand, they have consistently attacked the Paul Volcker Federal Reserve, not for Making Economic Sense 41 being too inflationist, but for imposing “too tight” money and thereby “crippling economic growth.”

In short, these self-styled “conservative populists” begin to sound like old-fashioned populists in their devotion to inflation and cheap money. But how square that with their championing of the gold standard?

In the answer to this question lies the key to the heart of the seeming contradictions of the new supply-side economics. For the “gold standard” they want provides only the illusion of a gold standard without the substance. The banks would not have to redeem in gold coin, and the Fed would have the right to change the definition of the gold dollar at will, as a device to fine-tune the economy. In short, what the supply-siders want is not the old hard-money gold standard, but the phony “gold standard” of the Bretton Woods era, which collapsed under the bows of inflation and money management by the Fed.

The heart of supply-side doctrine is revealed in its best-selling philosophic manifesto, The Way the World Works, by Jude Wanniski. Wanniski’s view is that the people, the masses, are always right, and have always been right through history.

In economics, he claims, the masses want a massive welfare state, drastic income-tax cuts, and a balanced budget. How can these contradictory aims be achieved? By the legerdemain of the Laffer Curve. And in the monetary sphere, we might add, what the masses seem to want is inflation and cheap money along with a return to the gold standard. Hence, fueled by the axiom that the public is always right, the supply-siders propose to give the public what they want by giving them an inflationary, cheap-money Fed plus the illusion of stability through a phony gold standard.

The supply-side aim is therefore “democratically” to give the public what they want, and in this case the best definition of “democracy” is that of H.L. Mencken: “Democracy is the view that the people know what they want, and deserve to get it good and hard.”

Note: The views expressed on Mises.org are not necessarily those of the Mises Institute.

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Gulag Archipelago

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

When I first announced that I was moving to Indonesia in late 2007, one friend looked puzzled. “Indonesia…is that in Bali?” he asked. Interestingly, living in Jakarta is a lot like Houston, without the Cajun food.

I stepped off the plane onto the tarmax on 14 February 2008, having boarded on a crisp winter’s monring in Houston, and into a swampy moldy morning in Jakarta. The arrival area was thick with clove cigarette smoke, and I didn’t encounter air conditioning — such as it was — until I was deep inside the terminal.

I fumbled my way to baggage claim, and after collectng my only bag, I turned to find 10 tiny brown men in blue shirts ready to usher my burden on their carts. Seeing that I would not escape unschathed, I selected one to take my bag.

On the way out, I stopped to exchange two of my six one-hundred dollar bills — my only surviving savings. The exchange rate was 10,000 rupiah to the US dollar, and I became an instant millionaire. The problem was that my new-found fortune was all in 100,000 rupiah notes, and most Indonesians had never even seen one, much less could make change for one.

At that time, there were few Indonesians who had travelled outside their home town, much less out of the counrty. The average day wage was $2, and a fresh college grad could expect to make $300 a month. There were a very select few in the upper class (earning more than $4,000/month), and everyone else was among the working poor.

Over the next 10 years, I watched the economy explode. Almost overnight, there was a vibrant middle class. People were buying their first cars. Younger generations were buying their own homes, leaving the previous two or three generations in the ancient family homestead. Foreign franchises, like Burger King, Subway, 7-11, Carrefour, and many others, were opening on a weekly basis.

Suddenly, Indonesians were travelling overseas and parents were sending their brood to univeristy in Australia, England, Taiwan, and the US. The city centre was on a building spree, the likes of which I hadn’t seen since the 1970s oil boom in Houston. New suburbs of semi-detached Euro-style housing were appearing everywhere, complete with (gasp) yards front and rear.

The government, giddy with the boom, started increasing taxes on everything, mostly to make up for all the losses due to corruption in the state-owned enterprises (SOEs). Indonesia dropped out of OPEC the year I got here, primarily due to the government demanding more and more slices of the oil and gas pie. There is no local oil industry, and the big internationals left rather than put up with the ever-increasing greed of the political types, and the constantly shifting regulatory quagmire.

Meanwhile, the rupiah had been sliding against the dollar, standing at about 15,000 and change to $1. That’s a 50% depreciation in less than 20 years. Prices began ballooning, after the government succumbed to IMF pressure to cut fuel subsidies. Taxes kept rising to pay for the loss of foreign investment compoumded by cancerous corruption and gross mismanagement in the SOEs.

NGOs were pushing the government to install more mass transit systems — high-speed trains, busways, MRT/LRT, etc., — primarily for the benefit of Chinese and European companies and “development” banks. The Indonesian sense of inadequacy and inferiority, inflamed by boundless political greed and corruption, led to outlandish borrowing to build the showroom transit systems that had no master plan or purpose, other than to look shiny and new for political photo ops.

Ultimately, this Me Too building boom culminated the last president declaring he would build a new capital city in the jungles of Borneo — all shiny, and spiffy, and “green,” and outrageously expensive (and riddled with corruption).

And then the Frankenvirus hit.

Read the Whole Article

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Will Washington Succeed in Opening More War Fronts for Russia?

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Western NGOs have sent the Georgian opposition political parties that they finance into the streets to protest the Georgian Dream Party’s sweep of the legislative elections. The Georgian Dream Party favors pragmatic relations with Russia, whereas the collection of small parties financed by the West want to create another Maidan Revolution to open a second front for Washington against Russia. See this.

Russia’s Foreign Minister Lavrov says that there is no reason to doubt that the West is trying to push Georgia into war with Russia. See this.

Putin-the-Unready rejects claims that Russia interfered in the Georgian election. Putin still hasn’t learned that the role of good democrat makes no impression on the West. Will Putin’s toleration of hostile actions against Russia lead to the opening of a second front against Russia?

The US Defense Department Inspector General has reported that Congress has appropriated $182 billion for Ukraine since February 2022, $43.84 billion of which went for governance and development. “Governance and development” could mean bribes paid to Ukrainians to support military conflict with Russia.

Ukraine has been fighting Russia with Western weapons and targeting information for close to three years. But Putin doesn’t count this as the West being at war with Russia. Drones hitting deep into Russia also don’t count as the West being at war with Russia. The war doesn’t start until Washington begins firing missiles into Russia. Apparently, some weapons are war weapons and some are not.

Standing aside from Washington’s destabilization and overthrow of the Ukrainian government in 2014 has left Putin with an ever-widening war that will be difficult to end without Putin making concessions. What will these concessions be?  Washington now has a stake in the outcome, and Trump cannot stand an agreement the media can turn into a Trump defeat from giving in to Putin. The media and Democrats will say that it proves Trump was a Putin agent after all.

The tense situation between Russia and the West cannot be resolved until the conflict in Ukraine is resolved. This dilemma and the huge expense in lives and money associated with the three year war could all have been avoided if Putin had not come up with such an impractical course of action as a limited military operation that allowed Kiev to continue the war.  We would have a better situation today if Putin had struck hard enough to bring the conflict to a quick end before the West could get involved with its prestige committed.

Putin’s dilly-dallying has made Russia look weak, and it has given Washington time to stir up new fronts for Russia in Georgia and Abkhazia. There will be a price to be paid for this dilly-dallying.

Meanwhile the US Democrat Party has revived the “Russian agent” hoax. This time the targets are Elon Musk and Tulsi Gabbard.

See this, this, and this.

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The Face at the Front Desk Changes, the Corporation Remains the Same

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Obama continued and expanded Bush’s most evil policies. Trump continued and expanded Obama’s most evil policies. Biden continued and expanded Trump’s most evil policies. Now Trump is preparing to keep the streak going. The face at the front desk changes, but the corporation stays the same.

Trump’s insanely pro-Israel cabinet of bloodthirsty Iran hawks suggests that Trump is going to expand the evils of the Biden administration in the middle east. This is a great example of the point I often make that the empire uses Democrats and Republicans the way a boxer uses the jab-cross combo to set up knockout blows.

Democrats and Republicans are different from one another, not in the ways they claim to be different, but in the same way the jab and the cross are used differently in boxing. The jab, thrown with the left hand for an orthodox fighter, is used as a range-finding weapon which can stun or blind the opponent to open them up for a crushing power blow from the right hand. That power blow is called a cross, which is often set up by the jab in the classic “one-two” combination you learn on day one in boxing.

The two parties are not the same, but they are used in conjunction with one another toward the same end, and, most importantly, they are both being used by the same boxer to punch you right in the fucking face. You’ll hear people try to argue that Democrats are better because it sometimes hurts less when they’re in office, but that’s exactly the same as saying it’s a good boxing strategy to let your opponent jab you in the face because it hurts less than the cross. You can’t understand boxing if you see your opponent’s fists as two opposing forces and think you can side with one against the other. You can’t understand US politics in that way for the exact same reason.

Any decent boxer will tell you they’d rather fight an opponent with a powerful cross than a masterful jab, because an opponent with a great jab will stifle your offense while allowing their offense to be much more effective — including their cross. The two-armed monster of the US oligarchy will keep using both fists to punch you in the face until you stop staring at its hands and trying to calculate which one you’d rather be smashed by, and start focusing on knocking that motherfucker’s head off.

Israel regularly bombs buildings full of civilians and then sends sniper drones to go pick off the survivors, including children.

It’s the most liberal thing ever how Democrats who’ve been completely ignoring Gaza are pointing to the news of Israeli plans to annex the West Bank and going “HAHAHA see what happens when you stupid Muslims and leftists refuse to support Kamala??”

Like, the West Bank is already an occupied territory. West Bank annexation would have been very escalatory a couple of years ago, but compared to everything that’s happened in the last thirteen months it’s barely a blip. The way these Democratic Party loyalists spent months frantically telling everyone to shut up about an active genocide are now going “Are you happy now?? Israel’s gonna CHANGE THE PAPERWORK on the West Bank!” says so much about their worldview.

The only intellectually honest reason to support Trump is because you’re a garden variety Republican and you support standard Republican agendas like lower taxes on the rich and low tolerance for human diversity. There is no honest basis to support Trump on antiwar grounds, or because you want the swamp of corruption to be drained from Washington. This was obvious to anyone who paid attention the last time he was president, but it is glaringly obvious now from all the warmongering swamp monsters he’s been packing his cabinet with.

This narrative so-called “MAGA Republicans” have about themselves as some new special breed of Republican who are meaningfully different from the Republicans of the past simply is not born out by any kind of material evidence. They’re not draining the swamp. They’re not fighting the deep state. They’re not ending the wars. They’re doing all the gross stuff Republicans have always tried to do while LARPing as brave rebels.

I despise the entirety of the Republican Party; it’s one of the most evil things humanity has ever produced. But in a sense I actually respect the Republicans who don’t pretend to be anything different from what they’ve always been more than I respect the frauds who pretend they’re waging some kind of populist insurgency against the establishment. At least the Ben Shapiros and the Fox News weird hair pundits are honest about who they are and what they’re doing.

Trump supporters tell me, “At least Trump might end the Ukraine war!”

Trump probably will end the Ukraine war eventually; if he doesn’t the next president will. Ukraine has already lost and the US needs its resources to prepare for war with China over Taiwan, so it’s only a matter of time before the proxy war is brought to a conclusion. The empire was always going to leave Ukraine a smoldering wreck after a senseless, stupid, insanely dangerous war that could easily have been avoided with a few low-cost concessions and a little diplomacy.

Trumpers have been fixated on Ukraine because it’s one of the wars that can be pinned more on the other party (even though Trump himself played a major role in paving the way to that war while he was president), but what matters is what happens after that war ends. Everything about Trump’s foreign policy cabinet picks indicates all that war machinery will be redirected toward Iran, China, and who knows where else once Washington stops pretending it’s going to help the Ukrainians kick Putin in the balls and retake all their territory. Stop looking for excuses to paint this warmongering empire goon as some kind of antiwar hero and watch what the war machine actually does.

The western empire behaves irrationally because it is ultimately run by irrational forces.

The gears of capitalism are turned by the blind pursuit of profit.

Plutocrats and interest groups lobby and bribe in the blind pursuit of power and control.

Empire managers blindly continue the policies and agendas of the previous generation of empire managers, moving war machinery and control mechanisms around the world pursuing planetary domination for its own sake.

And all the individuals running this operation are deeply unconscious people — more unconscious even than the average human — whipped about by forces within themselves that they’re not at all aware of like unresolved trauma and maladaptive coping mechanisms.

The empire is flying blind, which is why it looks like it’s flying blind. It’s why it’s doing completely irrational things like destroying the biosphere we all depend on for survival, continuing to work toward global hegemony despite all the evidence that this will fail, continuing to make life harder and harder for the people who live under it despite growing discontent and revolutionary sentiment swelling in the background, and preparing for an unwinnable and self-destructive war with China.

The empire is behaving illogically because it is illogical. The gears are turning themselves. There is ultimately no man behind the curtain, no scheming manipulators unleashing all these evils to advance some grand plot which will benefit them. They’re more like bacteria in a petri dish mindlessly consuming the food scientists placed there without slowing down as supplies begin to dwindle. They might have elaborate rationales and narratives to justify why they’re doing what they’re doing, but ultimately they don’t know. They are doing it because they are swept up in the momentum of forces which they do not understand, both internally and externally.

The challenge facing us is to become a conscious species. A species that is responsive rather than reactive, driven not by primitive unconscious impulses and habit but by an alert and truth-based relationship with reality. That’s what’s being asked of us here in this slice of spacetime. That is the existential hurdle we must find some way to get past. And the western empire is the largest and most concrete manifestation of that obstacle.

______________

My work is entirely reader-supported, so if you enjoyed this piece here are some options where you can toss some money into my tip jar if you want to. Go here to find video versions of my articles. If you’d prefer to listen to audio of these articles, you can subscribe to them on SpotifyApple PodcastsSoundcloud or YouTubeGo here to buy paperback editions of my writings from month to month. All my work is free to bootleg and use in any way, shape or form; republish it, translate it, use it on merchandise; whatever you want. The best way to make sure you see the stuff I publish is to subscribe to the mailing list on Substack, which will get you an email notification for everything I publish. All works co-authored with my husband Tim Foley.

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English Outsider on Trump’s Cabinet of Curiosities and How Little It Matters

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Referring to Judge Napolitano discussion with Col Lawrence Wilkerson about Trump and the Defense Department (video) English Outsider writes:

“Yes, the man all hoped would give the quietus to the neocons seems to be appointing neocons himself.

Mercouris has made some valuable preliminary observations on the subject of Trump’s appointees so far. Risking paraphrasing him (the reference is to his video of a couple of days back), he considers that these appointments are made mainly to ensure Trump has in place those loyal to him, that consideration over-riding any question of whatever foreign policy stance the prospective nominees may hold.

As said, these are preliminary or tentative conclusions arrived at by Mercouris but I believe they make very good sense. Following on from Mercouris’ conclusions are I believe further conclusions on the subject of these somewhat hawkish proposed nominees.

1. It no longer matters what US foreign policy is with respect to Ukraine and maybe with respect to the ME.

The Russians are going to get their “demilitarisation and denazification” in Ukraine whatever the West does or attempts. That has long been apparent and is now apparent to all. So the views of the Trump nominees on Ukraine, and the views of Trump himself on Ukraine, no longer matter when it comes to changing facts on the ground.

Similarly in the ME, whether the appointees are Israel Firsters or not also no longer matters. It looks as if Israel is heading for defeat, but whether it is so or not the outcome can’t be altered by the US. Neither Biden nor Trump are going to authorise open and declared war on behalf of Israel and if they did, it’s doubtful that American military power is sufficient to change that outcome.

In addition, open and active war against Iran, for instance, would lead to an increase in oil prices and to significant damage to American ships and bases. That is not something Biden has been prepared to risk so far and Trump even less: it would damage his credibility were he to open his Presidency with a major war having given the impression, in his election campaign, that he was opposed to one.

So there’s nothing much the US or the West as a whole can do to alter the outcome either of the Ukrainian war or of the conflict in the ME. I haven’t read “The Art of the Deal” but I’m sure that Trump recognises that when you sit down to play, the first priority is to recognise the strength of your own hand. Whatever the US hawks may believe, the Pentagon will know that in either case we in the West hold no aces.

2. Given that military impotence the US politicians can follow the example of the Europeans. They can make what threats they please knowing they will not risk putting those threats into practice. We’ve seen Macron threatening French boots on the ground knowing he’s never going to declare war on Russia. We see Scholz and Starmer still impeccably resolute, knowing they will never be at risk of having to back up words with deeds. Now we will see US politicians – have in fact been seeing them for some time – doing the same.

But it’s not all sound and fury signifying nothing. In the case of the ME the American politicians have to bear in mind the strength of the voting bloc made up of the Evangelicals, Christian Zionists, Mormons and the various religious sects for who Israel First is an article of faith. That voting bloc is large, in the tens of millions. It was not one Biden wished to offend. It was a necessary component in the portion of the electorate that carried Trump to victory. They need the rhetoric even if the reality falls short of their expectations. By proposing Israel Firsters, and vociferous Israel Firsters at that, Trump has given them that rhetoric.

3. After the defeat in Ukraine, and what looks very likely to be defeat in the ME, the first priority of the politicians will be to save face.

The UK politicians, as we see have seen in the UK press, have their alibi ready for Ukraine. “We would have won had the Americans not let us down. They should have permitted deep strikes. They should have put boots on the ground. They should have threatened nuclear”. That alibi ignores the fact that none of those courses would have been practicable. But it will probably serve and most of the UK electorate will be content with it.

No doubt such alibis will be coming out of Europe. It is essential for Trump to have a similar alibi. None can say whether the war will end before Trump’s inauguration but if it doesn’t, if it’s the Trump administration that has to confess defeat, the Democrats will undoubtedly attempt to lay the blame for that defeat at his door. By proposing hawks and thus adopting hawkish rhetoric, Trump will be able to avoid that reproach.

…………………

Are those fair conclusions to draw from Mercouris’ observation? Pretty squalid conclusions, if so, but then that’s politics. But for me, my judgement of the success of the Trump Presidency will be on quite other grounds. I stated that judgement on Colonel Lang’s old site and state it here:

This final stage of the Ukrainian war is leading to quite appalling casualties. The genocide in the ME is not only a tragedy for those suffering. It is an ineradicable stain on Western civilisation and future generations will look back in horror at what we supported and often encouraged.

Trump’s Presidency will be judged not by the success of his internal reforms. It will be judged by the extent to which he managed, even before his inauguration, to bring these horrors to an end.”

Reprinted with permission from Moon of Alabama.

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Why Trump Wants His Own Generals

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

According to an article in the Wall Street Journal, “The Trump transition team is considering a draft executive order that establishes a ‘warrior board’ of retired senior military personnel with the power to review three- and four-star officers and to recommend removals of any deemed unfit for leadership.” The article cites Trump’s vow to fire “woke generals” — that is, generals who are reputed to be promoting “diversity” in the military at the expense of readiness.

There is another possibility, however, one that is much more discomforting — that Trump is consolidating his power as president and knows that a loyal military establishment will solidify and reinforce that consolidation of power.

According to an October 22, 2024, article in The Atlantic, in a private conversation in the White House heard by two people, Trump stated, “I need the kind of generals that Hitler had. People who were totally loyal to him, that follow orders.” The same article, however, points out that a Trump spokesman named Alex Pfeiffer denied that Trump ever said that. “This is absolutely false,” Pfeiffer declared.

However, regardless of whether Trump made the statement or not, the sentiment expressed in the statement is consistent with Trump’s mindset and modus. Trump is a man who demands absolute loyalty from his acolytes and will not brook opposition or dissent.

Trump learned the importance of having the national-security establishment on his side after he lost the 2020 presidential election to Joe Biden. Unwilling to acknowledge that he had been defeated fair and square, Trump insisted that the election had been “stolen” from him. It is a claim, of course, that he and his acolytes make to this very day. Given that conviction, it was clear that the last thing that Trump wanted to do was vacate the office of the presidency in 2021. After all, if he was certain he won the election, why wouldn’t he insist on staying in office?

That’s obviously why he sat back and simply watched while his protesting supporters were barnstorming the Capitol on January 6. He was clearly hoping that their protests would result in a final certification that Trump had won the election. That was also clearly why he was pressuring officials in various states to certify him as the winner of the election.

It was the national-security establishment, however, that ultimately put the quietus to Trump’s hope to remain as president after the 2020 election. On Tuesday, January 12, 2021— six days after the January 6 protests — the Joint Chiefs of Staff issued a phenomenal memorandum denouncing the Capitol protests and declaring Biden to the winner of the election.

I wrote about this remarkable memorandum on January 13, 2021, in an article entitled “The Pentagon Speaks.” Once the JCS issued that memo, Trump knew that his goose was cooked. In my opinion, it was at that point that Trump decided to throw in the towel and relinquish power to Biden.

What would have happened, however, if the Joint Chiefs of Staff had ruled otherwise? What if the JCS had decreed that the 2020 election had, in fact, been stolen from Trump and declared him to be the winner?

In that case, in my opinion, there is little doubt that Trump, not Biden, would have been president from 2020-2024. After all, who would have been able to stand against the Pentagon and the rest of the national-security establishment? The Supreme Court? The Congress? Joe Biden and the Democratic Party? Don’t make me laugh. They wouldn’t have dared. When it comes to sheer power, no one is any match for the national-security branch of the federal government.

Thus, Trump, who threw in the towel after the issuance of that remarkable memorandum and ended up vacating power, surely learned a valuable lesson from that experience: A ruler who has the support of his national-security establishment will easily be able to accomplish whatever he wants to accomplish, especially if his actions are constitutionally dubious.

It’s also worth noting that once Trump surrounds himself with generals who are loyal to him, everyone else within the military, the CIA, and the NSA will fall into line. The fact is that soldiers obey orders. Despite the fact that they all take an oath to support and defend the Constitution, the military believes that when they obey the orders of their commander in chief, they are simultaneously supporting and defending the Constitution. That’s why, for example, every soldier, from top to bottom, obeyed President George W. Bush’s order to invade Iraq, notwithstanding the lack of the constitutionally required congressional declaration of war and, at the same time, convinced themselves that they were supporting and defending the Constitution. The fact that this time around there is no question that Trump was legitimately elected president will solidify that mindset of loyalty and “patriotism” within the military. Make no mistake about it: The military-intelligence establishment will fall into line and obey whatever orders Trump issues.

Given Trump’s authoritarian and dictatorial proclivities, and given his intention to declare “national emergencies” to justify his exercise of extraordinary “emergency” powers, and given his desire to punish his enemies, and given his obvious intention to politicize the Justice Department to go after political opponents, and given his campaign promise to ferret out and deport more than 10 million illegal immigrants, and given the fact that he doesn’t brook criticism or dissent, it is not difficult to see why Trump would want to secure the loyalty of the national-security establishment as part of an effort to consolidate power.

Do you see why America’s Founding Fathers were strongly opposed to a large, permanent military establishment because of the dangers it poses to freedom, why President Eisenhower focused our attention on the threat to our freedom and well-being posed by the “military-industrial complex,” and why President Kennedy went to war against the national-security establishment? We can’t say we haven’t been warned.

Reprinted with permission from The Future of Freedom Foundation.

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Bitcoin Is a Sideshow

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Earlier this week, Peter joined Rachel Lee on her show, The Corner Office, for an interview on President-elect Trump’s campaign strategies, the nation’s debt-driven economy, and Peter’s predictions for the future of precious metals. They also discuss Trump’s inconsistent views on crypto, the hidden costs of tariffs, and the fate of the dollar, cautioning that its decline could sharply impact the American standard of living.

Peter drops the painful truth early in the interview, pointing out that we are quite far from a healthy economy. We can’t even see the light at the end of the tunnel:

It’s going to get worse before it gets even worse. I mean, we’re not at the point where it’s going to get worse before it gets better yet, because we haven’t actually done anything to bring about the kind of constructive pain that would eventually lead to long-term gain.

Of course, Trump’s second term will probably make things relatively better than they would be under a Democratic president. But that doesn’t mean it’ll be good:

The pretend great economy that Trump had, by comparison to the pretend great economy that Biden has, wasn’t as bad. So, it looks good by comparison. People would prefer to go back to where it was four years ago. Unfortunately, we can’t. We have a lot more debt than we had four years ago. The economy is far more screwed up now than it was four years ago, and Trump’s policies won’t address those underlying problems.

Rachel and Peter spend much of the interview discussing Bitcoin, which has recently surged following the election. Peter cautions listeners to avoid the cryptocurrency:

Don’t get distracted by the sideshow in Bitcoin. I know a lot of people in the Bitcoin community are trying to fool people into buying Bitcoin under the pretense that it’s some digital version of gold that’s better than gold. But that’s just a bunch of hype. Yes, it’s gone up a lot because people have bought into this nonsense. That’s the dynamic of any kind of pyramid scheme, which is really what it is.

He also calls out Trump’s inconsistent rhetoric on cryptocurrency, noting that his recent courting of Bitcoiners is probably just politics:

It’s a no-lose deal for Trump because if you want to know what Trump actually thinks, look at what he said about it [Bitcoin] when he was president the first time. He said it was a scam and had no value. He said the same things that I say. And now he’s trying to claim, ‘Well, I’m educated.’ He’s not educated. He flip-flopped only to get votes. That’s what politicians do. They say what they need to say.

Bitcoin’s original promise was in its anti-establishment, anti-Wall Street, and anti-government applications. The cryptocurrency has fallen far from these hopes, as it’s now embraced by big banks looking to make a buck on a highly speculative asset:

You’re not a contrarian when you buy Bitcoin. You go to any financial station– look at CNBC– you’ll hear all about Bitcoin. …You got all the biggest brokerage firms out showing Bitcoin because they’re getting paid to babysit your coins in these ETFs. … If you want to be a contrarian, don’t buy Bitcoin. If you just want to jump on the bandwagon, that’s who’s in Bitcoin.

The duo ends the interview discussing the future of the dollar. As it declines, it’ll impoverish Americans and sharply reduce our ability to trade internationally:

The end game for the dollar is that it goes much lower against not just gold, but against its fiat counterparts, all the other currencies. And that’s going to severely diminish the living standard of Americans, because right now we rely on overvalued dollars to buy the goods that we don’t produce. But when the dollar crashes, we won’t be able to afford those goods. We don’t produce them ourselves, and we won’t be able to afford to buy the ones that are produced by the rest of the world.

If you missed it, be sure to watch Peter’s other recent interview with David Lin.

This originally appeared on SchiffGold.com.

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Where’s Keeeevvv?

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Like a spigot that gets turned on – and off – there has been very little in the “news” about Keeeeevvvvv since the election. Nor, for that matter, about the ongoing slaughter in Gaza.

This constitutes what you might call a tell. About the nature of the “news.”  More finely, about the control over what is presented as the “news” by those who control it. Who are these controllers? More like what are these controllers. They are a handful – about half a dozen – interlocking corporate cartels. Together, they own the outlets that broadcast and publish (print and online) what is called the “news.”

They control the flow of what you’re allowed to know. By letting you know what they want you to know – and ignoring what they would like for you to not know. For example – as regards the latter – what is going on in Western North Carolina? Does anyone who is not actually there know? How could they? The “news” turned the spigot off weeks ago. It is thus as if there was no “news” to know. Before the handful of corporate cartels acquired control over the outlets that broadcast the “news” – or don’t broadcast it – there would have been ongoing coverage of the news coming out of Western North Carolina and the adjacent areas of Tennessee – where catastrophic damage was done, first by the hurricane and then by the malevolent inaction (and suppression of private action) of the federal government.

Because that sort of thing used to be news.

Keeeevvvvvvv was in the “news” almost non-stop for years, after the sketchy election back in 2020 – which the “news” assured everyone was legitimate, notwithstanding circumstances that suggested it might not have been. When the news was not controlled, newspeople – a term that once meant journalists – were employed to check into such things, because it might have been news. That being the business of the news, once.

Now you can hardly find a peep in the “news” about Keeeevvvvv. It is as if the war over there had been cancelled. One can surmise various reasons for the cartels turning off the spigot of “news” about Keeeeeeeeeeeeeeeeeeeevvvvvv – but the most likely one is that things are not going to plan in Keeeeeeeeevvvvvv.

Or maybe they are.

How would we know?

It is the same in the Unholy Land, where all-of-a-sudden there is next to no “news” about the holocaust going on there. Perhaps because the roles have been reversed – and because the ones doing the stormtrooping are also aligned with the ones who control the cartels that control what is broadcast – or not – on the “news.”

In prior times, both of these things – Keeeeeeeeeeeeevvvvv and the ongoing holocaust in Gaza – would have been pretty much all of the news. Because such things as regional canker sores that could flare up into a world war involving nuclear armed powers – and the indiscriminate, mass slaughter of civilians – used to be understood to be news.

Instead, we gets “news” about the possible sexual errata of Matt Gaetz and Pete Hegseth. We “learn” – a word advertisers like to use – about the things they want us to know about and find out nothing about the things they’d prefer we not know about. They know that they can control what we think about by controlling the “story,” which they can do by not telling it.

Meanwhile, the situation in Keeeeeeeeeeeevvvvv percolates. The holocaust continues. But it’s easy not to worry about it when you don’t have to think about it.

This originally appeared on Eric Peters Autos.

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U.S. Media Pile On Against Tulsi Gabbard as a ‘Russian Agent’

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Donald Trump’s appointment of Tulsi Gabbard (a former U.S. Representative, whose focus had been to end the control over the U.S. Government by America’s armaments manufacturers) as his Director of National Intelligence, is being treated by America’s main media as being traitorous, because she has pointed out many of the war-promoting lies in the news media about heads-of-state that the U.S. Government has been and is trying to replace, such as Bashar al-Assad in Syria, and Vladimir Putin in Russia.

For example, the U.S. Public Broadcasting System (PBS) “Newshour” evening ‘news’ progam on November 14th had a segment, “Why Trump’s nomination of Gabbard for national intelligence director is controversial”, which presented her as supporting dictators and as a conspiracy-theorist who is too loyal to Trump and who is suspiciously supportive of America’s enemies (that is, of the heads-of-state in countries whose Governments the U.S. Government spends billions in propaganda and otherwise, in order to get overthrown). Here is part of that (alleged) “news” report (which is actually instead purely an undocumented opinion-piece or ‘news’-commentary to get Americans to oppose this nomination and thus make easier for a Senator to vote against her):

3:31

John Bolton said she should not

3:35

even sit for a senate

3:35

confirmation hearing until the

3:37

FBI investigates her because he

3:40

said she presents a national

3:41

security threat.

3:42

Is that a concern you share?

3:44

Michael [Leiter, former director of the U.S. National Counterterrorism Center, part of the U.S. Government]: I am very concerned

3:47

with anyone in any position who

3:54

is not thinking very critically

3:56

and questioning what enemies of

3:59

the United States like Vladimir

4:01

Putin and Bashar al-Assad say to

4:03

them.

On November 15th, the rabidly neoconservative Democratic Party organ, The Daily Beast, headlined “Dem Rep. Says Tulsi Gabbard Is ‘Likely a Russian Asset’”, which is also what the Democratic Party’s U.S. Presidential candidate, Hillary Clinton, called her in 2016 when Gabbard endorsed Bernie Sanders for that nomination instead of Clinton. The article opened:

Rep. Debbie Wasserman Schultz said that Tulsi Gabbard, Donald Trump’s controversial pick for director of national intelligence, “is likely a Russian asset.”

Asked in a Friday MSNBC appearance about Gabbard’s prospective nomination to a position that would come with extensive access to classified information, the Florida Democrat did not mince words.

“Tulsi Gabbard is someone who has met with war criminals, violated the Department of State’s guidance and secretly, clandestinely went to Syria and met with [Syrian President Bashar al-]Assad, who gassed and attacked his own people with chemical weapons,” she said. “She’s considered to be, essentially, by most assessments, a Russian asset.”

Pressed on her own view of Gabbard, Wasserman Schultz doubled down. “I consider her someone who is likely a Russian asset,” the congresswomen said.

Aaron Rupar

@atrupar

Debbie Wasserman Schultz on Tulsi Gabbard: “There’s no question I consider her someone who is likely a Russian asset.”

Watch on X

4:48 PM · Nov 15, 2024

She railed against the “irresponsibility” of Trump’s recent slew of administration appointments, some of which—like Matt Gaetz for attorney general and Robert F. Kennedy Jr. as head of Health and Human Services—have dropped jaws on both sides of the political aisle.

She must have the armaments manufacturers terrified. They (their owners) control Washington and the ‘news’-media.

This originally appeared on Eric’s Substack.

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O Pioneers!

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

From Nebraska, from Arkansas,
Central inland race are we, from Missouri, with the continental blood intervein’d,
All the hands of comrades clasping, all the Southern, all the Northern,
Pioneers! O pioneers!

—Walt Whitman

Walt Whitman’s poem, inspired by the adventurous spirits who formed the vanguard of the westward expansion of the United States, was itself the inspiration for the title of Willa Cather’s novel O Pioneers!, a romance of life on the western prairies at the turn of the twentieth century.

In a similar vein, Cather’s novel Death Comes for the Archbishop tells the story of two pioneering priests in the “wild west” of New Mexico. Ostensibly a work of historical fiction, the novel is based on the lives of Fathers Jean-Baptiste Lamy and Joseph Projectus Machebeuf, the former of whom would become the first archbishop of Santa Fe and the latter the first bishop of Denver.

Fr. Lamy was born in the mountainous Auvergne region of France in 1814. Ordained to the priesthood in 1838, he arrived in the United States in the following year to serve as a missionary in the virgin west of the expanding New World. Having served in parishes in Ohio and Kentucky, he was appointed by Pope Pius IX to be the first bishop of the newly created Apostolic Vicariate of New Mexico in 1851.

The journey from the Midwest to the “wild west,” in the days before the railroad, necessitated months of arduous travel. In Willa Cather’s fictionalized account, the journey would take almost a year, beginning with a riverboat down the Mississippi to the Gulf of Mexico, a shipwreck at Galveston, and finally a long overland trek to New Mexico. This retelling of the real-life journey enables us to appreciate the hardships faced by the newly consecrated bishop. Having set out early in the new year, he didn’t finally arrive in Santa Fe until August 1851. Two years later, the Vicariate of New Mexico became the Diocese of Santa Fe.

Bishop Lamy set about building churches and establishing new parishes and schools, and he instigated and oversaw the construction of the Cathedral Basilica of St. Francis of Assisi. When the Diocese of Santa Fe was elevated to an archdiocese in 1875, Lamy became the first archbishop, serving for a further ten years until his retirement. He died of pneumonia in 1888, at the age of seventy-three, a good and faithful servant who had served the Church in the United States for almost fifty years.

Fr. Joseph Projectus Machebeuf, the inspiration for the other priest protagonist in Death Comes for the Archbishop, was a lifelong friend of Fr. Lamy. Two years older than Fr. Lamy and born in the same area of the Auvergne, he accompanied his friend to the United States as a missionary priest in 1839 and served in parishes in Ohio until 1851, at which point he accompanied the newly-consecrated Bishop Lamy on his arduous journey to New Mexico. After serving as a pastor in Albuquerque and Santa Fe, he was transferred to Colorado in 1860. Thrown from his carriage on a spur of the Rocky Mountains, he was left lame for the rest of his life.

By 1868, when he was appointed Vicar Apostolic of Colorado and Utah, he had built eighteen churches, including the first-ever church in Denver. He would build a school, a convent and a hospital, as well as the College of the Sacred Heart, which is now subsumed within Regis University. By the time he was consecrated as the first bishop of the newly-created Diocese of Denver in 1887, the Catholic population of Colorado had grown to over 50,000. He died two years later, at the age of seventy-six.

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New Hampshire Legislature Special Committee Issues Scathing Report That Eviscerates the Federal and State Covid Response

Lew Rockwell Institute - Lun, 18/11/2024 - 05:01

Executive summary

The New Hampshire House of Representatives is about to publish a 38-page report created by a bipartisan committee of NH state legislators entitled, “Special Committee on Covid Response Efficacy: Report of Findings.”

I got an advance copy that I can share with you.

It’s glorious.

In this article I summarize the highlights.

In a nutshell:

  1. If you worked for the state or federal government, everything was done right.
  2. If you didn’t work for the government, everything was a disaster.

It was an interesting seeing how different people can view the same evidence in totally opposite ways.

Also, all the Republicans on the committee thought the response was a disaster.

All the Democrats saw nothing wrong. The Minority Report is the exact opposite of the Majority report.

You can’t make this stuff up. You really can’t.

The majority report

Here is the 38-page majority report.

The minority report

Here is the minority report. It’s only really one page (with a large attachment).

They basically disagreed, but didn’t cite any specific thing(s) wrong with how the majority report interpreted the testimony that was presented. They give us no clue as to how the Republicans misinterpreted the testimony.

So they are saying that they disagreed on everything? They think 6 foot rule worked? That masks worked? That the vaccines saved lives?

I just got off the phone with Stephen Petty who testified on masks. He said the Democrats were in the room, but mostly fiddling with their cell phones. They didn’t ask Petty a single question.

I also asked John Beaudoin about his testimony in front of the special committee. He told me also that NONE of the Democrats asked a single question. There were at most 2 Democrats in the room at any time.

Furthermore, the Democrats were allowed to call witnesses, but chose not to do so. This is stunning! Call no experts, ask no questions, and expect the public to believe you??

I suspect the reason they called no witnesses is that witnesses can be questioned by the committee and witnesses on this matter don’t like to answer any hard questions.

NH government link

Both majority and minority reports will be made publicly available soon on the official government site, likely on Nov. 18.

VSRF call Nov 21, 2024: BOTH sides are invited to appear

I have invited all the people on the committee to the Thursday VSRF call.

I want to talk about the data and how two groups of people can have completely different perceptions of the same data.

Press coverage of the report

I predict that there will be a worldwide media blackout of the report.

Key messages of the 38-page report

Here are some of the key messages in the Summary of Findings section.

I quote the key statement and then provide a handy English translation to make it easier for you to understand what they are saying.

My personal favorite is #12.

  1. Page 5: “The first major goal identified by the committee was to halt the widespread transmission of the SARS-COV-2 virus. In other words, stop the virus from spreading amongst the population and prevent the virus from becoming endemic. This objective led to guidance and recommendations regarding the wearing of various forms of personal protective equipment, masking, and social distancing. At the state level, such guidance was provided by the state epidemiologist, though it appears that there was often a reliance on the guidance being offered by the federal agencies. In many cases, New Hampshire simply followed the federal guidance.Analysis on the efficacy of the response as it pertains to this goal must begin with the fact that despite all measures implemented the spread of the virus was not halted.”Translation: “Masks and social distancing didn’t do shit.”
  2. Page 6: “Indeed, no testimony or documents were received by the committee indicating that the mitigation strategies were effective.”Translation: “All these measures didn’t do shit.”
  3. Page 7: “However, statistical and graphical analysis of this R0 value over time provided no obvious indication that the spread of SARS-COV-2 was mitigated at all by the cumulative measures implemented.”

    Translation: 
    “All these measures didn’t do shit.”
  4. Page 8: “It is nonetheless the case that the cumulative effects of the measures taken by the state to slow the spread of the SARS-COV-2 virus were ineffectual. It is nonetheless the case that the cumulative effects of the measures taken by the state to slow the spread of the SARS-COV-2 virus were ineffectual. Little evidence has been presented to this committee credibly indicating that there would have been any increase in morbidity and mortality, or any strain of the New Hampshire healthcare system beyond capacity, in the absence of these measures cumulatively.”Translation: “All these measures didn’t do shit.”
  5. Page 8: “Because of the limited availability and the required conditions for treatment, it is unclear what, if any, positive or negative effect this treatment made.”Translation: “All these monoclonal treatments didn’t do shit, as far as we can tell.”
  6. Page 8: “Vaccinations … were initially advertised by relevant authorities as preventing the spread of the SARS-COV-2 virus. Clearly, this was unsubstantiated by any clinical evidence and was proven demonstrably false under real-world conditions.”Translation: “The CDC lied; people died.”
  7. Page 9: “Therefore, it is not known what role the vaccines and boosters had in the downward trend of the disease, but this committee has seen no evidence that it was effective in reducing incidence of documented cases. Multiple expert testimonies were received regarding both ineffectiveness and the prevalence of serious adverse reactions associated with vaccination.”

    Translation:
     “The vaccines didn’t do shit as far as we can tell; they made things worse.”
  8. Page 9: “Most worrisome here is the substantial testimony and documentation indicating that the relevant federal agencies overseeing safety abandoned the established standards for safe use of such products in humans.”Translation: “Safety protocols were ignored. The focus was on lives saved, not how many died.”
  9. Page 10: “Given that our state’s actions did not have any meaningful, demonstrable impact on the course of the pandemic, it is recommended for further study, and we call upon the private sectors and academia to study and innovate, in the field of mitigation of biological agents.”
    Translation: “
    It would be good to have a sane plan for the next pandemic because this one was a total failure.”
  10. Page 25: “… when indoors, the spread of a highly contagious, airborne pathogen is unlikely to be successfully mitigated simply by maintaining a three or six foot personal bubble. This is true to such an extent that it is unlikely that any member of this committee would have, independently, recommended such a strange action in the absence of the guidance promulgated by the federal and state Executive branches.”Translation: “The recommendations from the State and Federal experts were comical.”

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The Great Dangers of Statins

Lew Rockwell Institute - Sab, 16/11/2024 - 05:01

The more I study science, and particularly medicine, the more I come to see how often fundamental facts end up being changed so that a profitable industry can be created. Recently I showed how this happened with blood pressure, as rather than causing arterial damage, high blood pressure is a response to arterial damage that ensures damaged arteries can still bring blood to the tissues and, in turn, rather than helping patients, aggressively lowering blood pressure can be quite harmful. In this article, I will look at the other half of the coin, the Great Cholesterol Scam—something that harms so many Americans it was recently discussed by Comedian Jimmy Dore.

Note: a link to the Dore’s segment can be found here.

Cholesterol and Heart Disease

Frequently, when an industry harms many people, it will create a scapegoat to get out of trouble. Once this happens, a variety of other sectors will jump on the bandwagon and create an unshakable societal dogma. For example, the health of a population (or if they are being poisoned by environmental toxins) determines how easily an infectious disease can sweep through a population and who is susceptible to it, but reframing infectious diseases as a “deficiency of vaccines” it both takes the (costly) onus off the industries to clean up the society and simultaneously allows them to get rich promoting the pharmaceutical products that “manage” each epidemic and the even larger epidemic of chronic diseases caused by those vaccines (discussed in detail here).

Note: the major decline in infectious illness that is credited to vaccines actually was a result of improved public sanitation, and when the data is examined (e.g., for smallpox) those early vaccination campaigns made things worse not better.

In the 1960s and 1970s, a debate emerged over what caused heart disease. On one side, John Yudkin effectively argued that the sugar being added to our food by the processed food industry was the chief culprit. On the other side, Ancel Keys (who attacked Yudkin’s work) argued that it was due to saturated fat and cholesterol.

Note: leaders in the field of natural medicine, like Dr. Mercola, have made a strong case this spike came from the mass adoption of seed oils (which thanks to our unprecedented political climate is at last being discussed on the mainstream news&). Likewise, some believe the advent of water chlorination was responsible for this increase.

Ancel Keys won, Yudkin’s work was largely dismissed, and Keys became nutritional dogma. A large part of Key’s victory was based on his study of seven countries (Italy, Greece, Former Yugoslavia, Netherlands, Finland, America, and Japan), which showed that as saturated fat consumption increased, heart disease increased in a linear fashion.

However, what many don’t know (as this study is still frequently cited) is that this result was simply a product of the countries Keys chose (e.g., if Finland, Israel, Netherlands, Germany, Switzerland, France, and Sweden had been chosen, the opposite would have been found).

Fortunately, it’s gradually become recognized that Keys did not accurately report his data For example, recently an unpublished 56 month randomized study of 9,423 adults living in state mental hospitals or a nursing home (which made it possible to rigidly control their diets) was unearthed. . This study, which Keys was the lead investigator of, found that replacing half of one’s animal (saturated) fats with seed oil (e.g., corn oil) lowered their cholesterol, but for every 30 points it dropped, their risk of death increased by 22 percent (which roughly translates to each 1% drop in cholesterol raising the risk of death by 1%).

Note: the author who unearthed that study also discovered another (unpublished) study from the 1970s of 458 Australians, which found that replacing some of their saturated fat with seed oils increased their risk of dying by 17.6%

Likewise, recently, one of the most prestigious medical journals in the world published internal sugar industry documents. They showed the sugar industry had used bribes to make scientists place the blame for heart disease on fat so Yudkin’s work would not threaten the sugar industry. In turn, it is now generally accepted that Yudkin was right, but nonetheless, our medical guidelines are still largely based on Key’s work.

However, despite a significant amount of data that now shows lowering cholesterol is not associated with a reduction in heart disease, (e.g., this study, this study, this study, this review, this review, and this review) the need to lower cholesterol is still a dogma within cardiology. For example, how many of you have heard of this 1986 study which was published in the Lancet which concluded:

During 10 years of follow-up from Dec 1, 1986, to Oct 1, 1996, a total of 642 participants died. Each 1 mmol/L increase in total cholesterol corresponded to a 15% decrease in mortality (risk ratio 0–85 [95% Cl 0·79–0·91]).

Statins Marketing

One of the consistent patterns I’ve observed within medicine is that once a drug is identified that can “beneficially” change a number, medical practice guidelines will gradually shift to prioritizing treating that number and before long, rationals will be created that require more and more of the population to be subject to that regimen. Consider for example the history of the (immensely harmful) blood pressure guidelines:

click to enlarge

In the case of statins, prior to their discovery, it was difficult to reliably lower cholesterol, but once they hit the market, research rapidly emerged arguing for a greater and greater need to lower cholesterol, which in turn led to more and more people being placed on statins.

As you would expect, similar increases also occurred within the USA. For example, in 2008-2009, 12% of Americans over 40 reported taking a statin, whereas in 2018-2019, that had increased to 35% of Americans.

Given how much these drugs are used, it then raises a simple question—how much benefit do they produce?

As it turns out, this is a remarkably difficult question to answer as the published studies use a variety of confusing metrics to obfuscate their data (which means that the published statin trials almost certainly inflate the benefits of statin therapy), and more importantly, virtually all of the data on statin therapy is kept by a “private” (industry-funded) research collaboration that consistently publishes glowing reviews of statins (and attacks anyone who claims otherwise) but simultaneously refuses to release their data to outside researchers, which has led to those researchers attempting to get this missing data from the drug regulators.
Note: as discussed in Dr. Malhotra’s interview below, this collaboration (which militantly insists less than 1% of statin users experience side effects) also created a test one could utilize to determine if one was genetically at risk for a statin injury—and in their marketing for the test said 29% of all statin users were likely to experience side effects (which they then removed once health activists publicized this hypocrisy).

Nonetheless, when independent researchers looked at the published trials (which almost certainly inflated the benefit of statin therapy) they found that taking a statin daily for approximately 5 years resulted in you living, on average, 3-4 days longer. Sadder still, large trials have found this minuscule “benefit” is only seen in men. In short, most of the benefit from statins is from creative ways to rearrange data and causes of death, not any actual benefit.

Note: this is very similar to Pfizer’s COVID vaccine trial which professed to be “95% effective” against COVID-19, but in reality only created a 0.8% reduction in minor symptoms of COVID (e.g., a sore throat) and a 0.037% reduction in severe symptoms of COVID (with “severe” never being defined by Pfizer). This in turn meant that you needed to vaccinate 119 people to prevent a minor (inconsequential) case of COVID-19, and 2711 to prevent a “severe” case of COVID-19. Worse still, a whistleblowers later revealed that these figures were greatly inflated as individuals in the (unblinded) vaccine group who developed COVID-19 like symptoms weren’t tested for COVID-19 and their vaccine injuries were never reported. Sadly, in most cases (e.g., the statin trials) we don’t have access to whistleblowers who can inform us of how unsafe and ineffective these drugs actually are.

In circumstances like these where an unsafe and ineffective but highly lucrative drug must be sold, the next step is typically to pay everyone off to promote it. For example: to quote Chapter 7 of Doctoring Data:

The National Cholesterol Education Programme (NCEP) has been tasked by the National Institutes of Health to develop guidelines [everyone uses] for treating cholesterol levels. Excluding the chair (who was by law prohibited from having financial conflicts of interest), the other 8 members on average were on the payroll of 6 statin manufacturers.

In 2004, NCEP reviewed 5 large statin trials and recommended: “Aggressive LDL lowering for high-risk patients [primary prevention] with lifestyle changes and statins.”

In 2005 a Canadian division of the Cochrane Collaboration [who were not paid off] reviewed 5 large statin trials (3 were the same as NCEP’s, while the other 2 had also reached a positive conclusion for statin therapy). That independent assessment instead concluded: “Statins have not been shown to provide an overall health benefit in primary prevention trials.”

Note: the primary reason no cure for COVID-19 was ever found was that the guideline panel for COVID-19 treatments was handpicked by Fauci and comprised of academics taking money from Remdesivir’s manufacturers. Not surprisingly, the panel always voted against recommending any of the non-patentable treatments for COVID-19, regardless of how much evidence there was for them.

Likewise, the American College of Cardiology made a calculator to determine your risk of developing a heart attack or stroke in the next ten years based on your age, blood pressure, cholesterol level, and smoking status. In turn, I’ve lost track of how many doctors I saw proudly punch their patient’s numbers into it and then inform them that they were at high risk of a stroke or heart attack and urgently needed to start a statin. Given that almost everyone ended up being “high risk” I was not surprised to learn that in 2016, Kaiser completed an extensive study which determined that this calculator overestimated the rate of these events by 600%. Sadly, that has not at all deterred the use of this calculator (e.g., medical students are still tested on it for their board examinations).

Note: one of the most unfair things about statins is that the healthcare system decided they are “essential” for your health, so doctors who don’t push them are financially penalized, and likewise patients who don’t take them are as well (e.g., through life insurance premiums).

So, despite the overwhelming evidence against their use, many physicians believe so deeply in the “profound” benefits of statins that they do things like periodically advocating for statins to be added to the drinking water supply.

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How Gas and Grocery Prices Shaped the US Election Outcome

Lew Rockwell Institute - Sab, 16/11/2024 - 05:01

There is every reason to be thankful for the Harris no-go last week, but also absolutely no case to get giddy about the prospects for a second Trumpian term, either. At best, what lies ahead is a wasted four years on the policy front, as Washington is likely to become embroiled in an even more acrimonious melee between the TDS and MAGA polarities of American politics.

Indeed, contrary to the excitement currently extant in many quarters of Team Garbage it needs be recognized that what happened was not the vindication of Donald Trump. There was no mandate for MAGA or some grand political realignment or birth of a new era of governance under which the people have taken back their government.

Ironically, all the realignment chatter is actually rooted in the reason the election was more likely a one-off dead-end. Proponents cite exit polls showing that Trump “outperformed” among Hispanics, blacks, young people, urban, union and working class voters and other left behinds, thereby suggesting a new governing coalition has formed around the Orange Man. Some even imagine it’s a Republican 1933.

But that’s just not so. These backsliding Dem constituencies voted against the soaring cost of groceries and gasoline, not in favor of MAGA or DJT as the savior of the American Way of Life. The inflationary whirlwind that hit the US economy in 2021 to 2023 was such a powerful economic shock to everyday Dem households that on the margin it pushed a considerable slice of them out of their customary lane in the voting. In effect, they checked the GOP box in answer to Ronald Reagan’s call of 1980 under parallel circumstances, when he asked whether you are better off today than four years ago.

For instance, pump prices had been running about $2.00 per gallon thru almost the exact moment of J6, and then it was off to the races for the next 18 months. By June 2022 the national average gas price hit $5 per gallon. Given that the average US household consumes about 650 gallons of gas annually, that $3 per gallon shock drilled a $2,000 per year hole in family budgets.

Yes, prices have partially retraced, but the shock is still fresh and gasoline bills have remained upwards of $1,000 per year higher than before.

Likewise, grocery store prices after January 2021 shot upward like a bat out of hell, reaching a +11% annualized increase by June 2021 and +17% by March 2022. Again, the 20% cumulative gain through December 2022 amounted to $1,200 per year against an average household grocery bill of $6,000 per annum.

Needless to say, gas and groceries are purchased virtually every week by most households. The soaring green line above and the leaping purple line below caused millions of ordinarily Dem coalition households to scrimp, squeeze and sacrifice in the months immediately after they had already suffered through the disruptions and hysteria of the pandemic and lockdowns.

Accordingly, the economic trauma was too severe and too fresh to be extirpated by White House bromides about the alleged roaring success of Bidonomics. Yes, according to the crooked reports of the BLS the US economy was booming along at Full-Employment, but even a steady job did not pay for the soaring cost of everyday living in these backsliding electoral precincts.

In this context, one especially malodorous skunk on the woodpile was the Harris-Biden claim that they had cut the inflation rate by two thirds or more. But that’s Washington and Wall Street based Keynesian-speak.

Stated differently, main street households make no never mind about annualized monthly rates of change to the second decimal point on the various BLS indices. As it happens, those fractoids are not even relevant to the cause of sound money, but they are especially beside the point when it comes to making ends meet in household budgets.

In fact, when it comes to measuring inflation in the main street context, the Reagan question would more than suffice. To wit, do your gas and groceries cost more relative to your paycheck than they did four years ago?

Well, yes, they do. As shown below, since Q4 2020 average worker compensation is up by 17%, which trails the 23% rise in food costs (both at home and away) and 33% gain in energy costs (including gas and electric utilities).

In round dollar terms, the average household spent about $7,500 on food and $3,000 on gas and energy in Q4 2020. Today, the combined figure is about $14,000. What voters remember, therefore, is not that the rate of price change has slowed sharply from the double digit rates two years ago, but that today’s gas and grocery bills are nearly $4,000 per year higher than the were in 2020.

Even when you look at the entire market basket of CPI items, not just gas and groceries, the story remain much the same. The rise in the CPI during Trump’s four years was 1.94% per annum, which accelerated dramatically to 5.0% per annum during the Harris-Biden period.

As shown in the contrast between the red and green columns below, it wasn’t just gas and groceries alone that fueled the assault on main street living standards. Car insurance, for example, is up by 56.5% or  more than eight times the gain during the Trump period.

Inflation is caused by excessive government spending, borrowing and money printing and nothing else. Yet owing to his panicked response to the so-called pandemic, the Donald unleashed fiscal and monetary stimmies that were literally off the charts of history as shown in the chart below.

Government spending, which had been rising at a $200 to $400 billion year-over-year rate, thus accelerated to a $3.6 trillion Y/Y rate of gain in Q2 of 2020 and remained at these nose-bleed elevations through Q1 2021. And even the latter officially recorded on Joe Biden watch was mainly fueled by the Christmas Eve 2020 stimmy bill signed by the Donald and the balance of the $2,000 per capita check Trump advocated during the 2020 campaign.

To be sure, had the Fed not “accommodated” Trump’s fiscal madness, yields in the bond pits would have exploded higher and sent the economy tumbling into the recessionary drink. Subsequent to what would have been a deep and painful recession at the level of the Great Recession or worse, there would have been no fond memories of the Greatest Economy Ever under Donald Trump.

Of course, the Fed was run by Keynesians, including the Chairman appointed by the Donald. And so they unleashed the printing presses like never before, increasing the Fed’s balance sheet by $1.4 trillion in the month of April 2020 alone. That was more new fiat credit in 30 days than the Fed had printed during the first 95 years of its existence.

Needless to say, the monetary explosion shown below turned what would have been a roaring Trumpian recession into an explosive inflation. After all, how could it have been otherwise in the face of the massive flood of fiat credit depicted in the chart below?

In short, Donald Trump sowed the inflationary whirlwind with his massive economic disruptions and fiscal and monetary stimmies during 2020, while Harris-Biden reaped the whirlwind of 40-year high inflation a few months after the Donald reluctantly left town.

The chart below, which shows the annualized monthly rise in the 16% trimmed mean CPI, makes this proposition clear as a bell. It was running at a 1.5% per annum rate during the Donald’s last months, but then accelerated to 5% by May and 9% by October 2021.

In a word, Biden didn’t do that because policy simply doesn’t act that fast. What hit the main street economy with gale-force in 2021 was the massive spending and money printing forces unleashed on the Donald’s watch the prior year.

The historical truth, therefore, is that the Donald got damn lucky, tagging Harris/Biden with the “gas and groceries” inflation that caused historic Dem constituencies to cross-over on November 5. Unfortunately, the voters are not going to be as lucky in the four years ahead, as the myth of the Greatest Ever Trump economy comes a cropper.

Reprinted with permission from David Stockman’s Contra Corner.

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Here Come the Awful Neocon Trump Appointments

Lew Rockwell Institute - Sab, 16/11/2024 - 05:01

The first Trump term was notable for countless terrible appointments Trump made. This was true in terms of both politics and policy. On the political end, Trump appointed people who routinely sought to undermine him politically. Many of Trump’s own appointees would go on to campaign against Trump in 2020 and 2024. Trump’s more clueless followers assured us that this was all, somehow, 4-D chess. Of course, it wasn’t. The 4-D chess trope has always been, as the kids say, “copium.”

On the policy end, Trump’s appointments were even worse. Neocon warmongers like Nikki Haley, John Bolton, and Mike Pompeo—and countless lesser neocon junior bureaucrats—held prominent positions in the administration. Moreover, with their key positions in many federal departments, these advocates of the warfare state were able to protect members of the military who blatantly attempted to undermine the administration and promote war with Russia. The despicable militarist Alexander Vindman comes to mind.

Now, Trump appears to be back to his old habits. Publicly, the administration has said it won’t make the same mistakes again, but incoming evidence suggests the opposite. Already, Trump has appointed Elise Stefanik as UN Ambassador and Michael Waltz as National Security Advisor.

Yet again, of course, we hear from the gullible wing of the Trump base that it’s all 4-D chess.

Sure.

Waltz is an acolyte of Donald Rumsfeld and Dick Cheney, and in this video, Waltz praises Trump for his support of all the usual neocon talking points such as “breaking Iran,” “standing with Israel,” and “making China pay.” Waltz sings the praises of “standing with our allies,” which, presumably includes the Saudis who played Trump like a fiddle on his 2017 trip to Riyadh. Waltz is right about the State of Israel, of course. The Trump White House, was always Israeli-occupied territory. So much for “America First.”

Waltz has repeatedly called for escalation in Ukraine. In other words, he stands for the exact opposite of what Trump told his base throughout most of the campaign.

Stefanik’s career can be defined by her many years of work as a deep-state operative pushing pro-Israel NGOs and serving quintessential conservative establishment politicians like George W. Bush and Paul Ryan. As a reward for her service to the Foreign Policy Blob, Stefanik was immediately appointed to important committees on defense policy within months of arriving in Congress. She presents no danger whatsoever to the status quo in Washington.

It should surprise no one that both Stefanik and Waltz are also enemies of privacy and property rights:

The latest news on Trump appointments is that he plans to nominate Marco Rubio as Secretary of State. Perhaps Dick Cheney was unavailable. Rubio in the top tier of Washington Blob politicians who always and everywhere push for the continuation of global military intervention. Or, as Rand Paul put it “I see Hillary Clinton and Marco Rubio as being the same person.”

“I see Hillary Clinton and Marco Rubio as being the same person” — @RandPaul, the best Senator
pic.twitter.com/MGjZjvzRee

— Liam McCollum (@MLiamMcCollum) November 12, 2024

Is this the best Trump has to offer? So far, Trump has offered nothing for Tulsi Gabbard, who is qualified for a foreign policy role, and who campaigned hard for Trump. If she ends up with only a minor position in the administration, it will be emblematic of an administration that is rapidly revealing that Trump never had any intention of fundamentally changing how the American Empire functions.

On the other hand, Ben Shapiro is very happy:

Well…somebody is happy… https://t.co/0mWFX16ojQ

— Daniel McAdams (@DanielLMcAdams) November 12, 2024

Note: The views expressed on Mises.org are not necessarily those of the Mises Institute.

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