La debacle siriana
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-debacle-siriana)
Circa 17 anni fa l'ex-generale Wesley Clark disse quanto segue in un discorso tenuto al Pentagono: “Questo è un promemoria che descrive come elimineremo sette Paesi in cinque anni, iniziando dall'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, per finire, l'Iran”.
Bene, ci sono voluti diversi anni in più, ma ora sei dei sette Paesi menzionati in quel famoso promemoria sono stati gettati nel caos più totale, dove barcollano in giro per il Medio Oriente e il Nord Africa come stati falliti e sorgenti di barbarie, criminalità e terrorismo. E la cosa assurda è che ognuna di queste calamità è stata il risultato di una linea di politica intenzionale partorita dalle rive del Potomac.
Quindi se c'è bisogno di altre prove che la Washington imperiale abiti in un manicomio, la Siria è sicuramente una di queste. Ora diventerà l'ennesima terra di nessuno dominata dai signori della guerra, presa nel mirino delle manovre dei suoi vicini: Turchia, Iran, Israele, Russia e Stati Uniti.
Forse la follia che si sta sviluppando e che sta ora travolgendo la Siria dimostrerà finalmente che una linea di politica “Empire First” è stata una catastrofe e deve essere abbandonata una volta per tutte. Per delineare il quadro di quel tanto atteso ritorno a una linea di politica “America First”, torniamo a un'immagine pubblicata cinque anni fa. Durante la sua prima volta in battuta, Trump fece un tiepido tentativo di riportare a casa qualche centinaio di truppe e di porre fine agli interventi multifrontali e alle intromissioni di Washington in una piccola terra con 20 milioni di persone, un PIL di soli $40 miliardi, un reddito pro capite di appena $2.000, nessuna risorsa naturale significativa, o capacità industriale, e nessuna capacità di proiettare alcun potere militare oltre i propri confini.
In breve, non c'era un singolo attributo di questo angolo travagliato del Levante che avesse alcun peso sulla sicurezza nazionale americana. Tuttavia Trump venne duramente rimproverato dal blob dell'Unipartito a Capitol Hill per aver implicitamente riconosciuto l'ovvio:
Con un voto di 354 a 60 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha dimostrato che Washington è dipendente dalla guerra e che il livello di ignoranza, bellicosità e mendacia tra i rappresentanti del popolo ha raggiunto livelli spaventosi.
Dopo che Washington ha fomentato la disastrosa guerra civile siriana, la folla bipartisan al Congresso ha avuto il coraggio di votare per mantenere le forze statunitensi nel mezzo di un conflitto curdo/turco vecchio di secoli e che ha implicazioni pari a zero per la sicurezza della patria americana.
Il pretesto, ovviamente, è che il califfato dell'ISIS tornerà in vita in assenza della resistenza armata delle forze curde-SDF posizionate nel quadrante nord-orientale della Siria; e da queste città, villaggi, fattorie e pianure polverose bombardate ed impoverite, la bandiera nera dell'ISIS attaccherà le metropolitane di New York City.
Ci vuole tanto a capire che si tratta di baggianate? Se la Siria tornerà unita, lo Stato Islamico non avrà alcuna possibilità di rinascere. E lasciare che la Siria torni integra è esattamente lo scopo e la conseguenza della coraggiosa decisione di Trump di rimuovere le forze americane dal confine tra Siria e Turchia.
Gli sciocchi dell'apparato di sicurezza nazionale di Biden non avevano intenzione di lasciare che la Siria tornasse di nuovo integra. Invece hanno continuato a fare pressione sul governo di Assad tramite sanzioni economiche, continua occupazione militare delle province siriane produttrici di petrolio e grano a est, e aiuti militari a una serie eterogenea di cosiddette forze ribelli, tra cui le milizie curde SDF che occupano una striscia lungo il confine settentrionale e sono il nemico mortale, beh, del partner NATO di Washington, la Turchia.
In ogni caso, la foto sopra menzionata era la nuvola di fumo sottostante, opera di una coppia di F-15 americani. Questi intrusi non invitati nello spazio aereo sovrano della Siria avevano bombardato un grande deposito di munizioni che le forze statunitensi avevano lasciato dietro di sé, dopo aver frettolosamente abbandonato il territorio controllato dalle SDF vicino a Kobani, al confine tra Siria e Turchia.
Lo scopo, come spiegato all'epoca, era di assicurare che queste munizioni non finissero in mani ostili, vale a dire, nelle mani dell'Esercito Nazionale Siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia. Quel branco di bruti era stato precedentemente chiamato Esercito Siriano Libero (FSA) ed era stato creato dalla CIA per rovesciare Assad dopo la cosiddetta Primavera araba del 2011.
Né c'erano dubbi sulla sponsorizzazione dell'FSA da parte di Washington. Infatti avrebbe dovuto chiamarsi John McCain Memorial Brigade, poiché sotto il suo mandato legislativo era stata addestrata, pagata e sostenuta dalla CIA.
Quindi, per chiarire la storia, Trump stava bombardando un deposito di armi degli Stati Uniti in modo che non cadesse nelle mani delle “forze ostili” che il senatore McCain e la CIA avevano creato! E ciò stava accadendo mentre Trump veniva rimproverato dai guerrafondai dell'Unipartito a Capitol Hill per aver cercato di mettere un piccolo distaccamento di militari statunitensi fuori pericolo in un Paese che non aveva alcuna implicazione per la sicurezza nazionale!
Ora, cinque anni dopo, quelle stesse “forze ostili” (l'SNA) si sono unite ai resti di al Qaeda (nata Fronte al-Nusra), che ultimamente si era ribattezzata per la terza volta con il nome di HTF (Hayat Tahrir al-Sham). Insieme sono riusciti a rovesciare un regime a Damasco che non aveva mai rappresentato una minaccia di alcun tipo per la sicurezza nazionale americana.
Nel 2019 la situazione era molto diversa. Questi briganti della Brigata McCain, nota anche come SNA, avevano attaccato gli alleati curdi di Washington nelle suddette Forze di difesa siriane (SDF), che erano state anch'esse finanziate da Washington.
Inoltre l'SNA era sempre stato composto da bucanieri, criminali, mercenari e jihadisti che indossavano le stesse uniformi principalmente a causa dei miliardi di denaro sporco di Washington; diventati mercenari a pagamento principalmente perché la folle linea di politica di Washington di “Cambio di Regime” a Damasco aveva distrutto l'economia civile siriana e l'aveva trasformata in un pozzo avvelenato di signori della guerra.
Detto in altri termini, senza l'infinita paga e fornitura di armi da parte di Washington, la Brigata McCain e i suoi eredi e assegnatari (SNA) non sarebbero esistiti nel 2019 o nel 2024. E non avrebbero attaccato e giustiziato i soldati delle SDF curde di Washington allora, né avrebbero saccheggiato uno stato completamente fallito oggi.
Certo, all'epoca il Partito della Guerra e i suoi megafoni mediatici erano in pieno fermento. Il New York Times dipinse le Brigate McCain come i più oscuri dei cattivi, che in questo caso probabilmente lo erano, nonostante John McCain e la sua rete Deep State avessero sperperato miliardi allo scopo di attaccare il legittimo governo di Damasco con il pretesto di combattere l'ISIS.
[...] Chiamata impropriamente Esercito Nazionale Siriano, questa coalizione di milizie sostenute dalla Turchia è in realtà composta in gran parte dalla feccia del fallito movimento ribelle del conflitto durato otto anni [...]. All'inizio della guerra l'esercito e la CIA cercarono di addestrare ed equipaggiare ribelli moderati e affidabili per combattere il governo e lo Stato Islamico [...]. Alcuni di coloro che ora combattono nel Nord-est presero parte a quei programmi falliti, ma la maggior parte fu respinta perché troppo estremista o troppo criminale.In ogni caso, solo poche settimane prima il governo siriano ad interim si era riunito, riunendo 41 diverse fazioni sotto il neo-battezzato SNA o “Esercito nazionale siriano”. Così facendo elesse Abdurrahman Mustafa come presidente e Salim Idriss come ministro della difesa.
Queste brave persone sono ritratte qui sotto durante l'inaugurazione dell'Esercito siriano libero (FSA) insieme al senatore McCain nel 2013:
Salim Idriss chiarì le ambizioni del nuovo governo provvisorio siriano quando, durante una conferenza stampa, dichiarò che uno dei suoi scopi principali era quello di combattere le SDF sponsorizzate da Washington o la milizia del PYD/PKK curdo: “Combatteremo tutte le organizzazioni terroristiche, in particolare l'organizzazione terroristica PYD/PKK”.
Proprio così: Idriss aveva fatto carriera scuotendo l'albero dei soldi e degli sponsor di Washington e non aveva mai nascosto il suo acerrimo programma anti-curdo. Eppure, all'improvviso, gli idioti all'interno della Beltway ebbero un'amnesia e rimasero scioccati dal fatto che stesse guidando l'attacco contro i curdi/SDF di Washington.
In altre parole, Washington aveva seminato i semi del caos settario in Siria e ora stava versando lacrime di coccodrillo per una delle vittime della sua follia. Eppure un'analisi favorevole alla Turchia di questa nuova opposizione unificata (vale a dire le forze che attaccavano i curdi) mostrava che queste fazioni erano state coinvolte nella guerra civile siriana in tutti i punti cardinali, alimentate principalmente da denaro, materiali e armi fornite da Washington.
Di conseguenza 11 di queste fazioni, 41 in totale, combatterono battaglie contro Hayat Tahrir al-Sham (HTS) o il vecchio Fronte Al-Nusra. Ma per arrivare rapidamente a oggi, ora sono in una tacita alleanza con HTS, fazione ha guidato il recente rovesciamento di Assad.
Altre 27 delle 41 fazioni erano state precedentemente impegnate nella lotta contro DAESH/ISIS; 30 fazioni avevano combattuto il regime di Assad e 31 avevano combattuto contro YPG/SDF!
Proprio così: la maggior parte delle 41 fazioni che si unirono nel 2019 e che ora operano sotto la bandiera dell'Esercito nazionale siriano (SNA) aveva combattuto i curdi armati da Washington, insieme a praticamente tutti gli altri.
Inoltre almeno 21 delle fazioni accorpate nell'Esercito nazionale siriano erano state precedentemente finanziate e armate da Washington.
Ma ecco il punto: solo 3 di loro avevano ricevuto aiuto tramite il programma del Pentagono per combattere DAESH/ISIS. Al contrario, 18 di queste fazioni erano state rifornite dalla CIA tramite la cosiddetta MOM Operations Room in Turchia.
Quest'ultima era un'operazione di intelligence congiunta degli “Amici della Siria”. Fu organizzata con lo scopo esplicito di supportare l'opposizione armata ad Assad e l'allora legittimo governo di Damasco. Quattordici fazioni delle 28 erano anche destinatarie di missili guidati anticarro TOW forniti da Washington, letali e costosi da usare.
Eppure, al momento della reprimenda di Trump al Congresso nel 2019, il NYT voleva farci credere che i 70.000-90.000 teppisti armati che erano stati schierati sotto l'Esercito nazionale siriano erano semplicemente degli emarginati e dei disadattati che si erano uniti spontaneamente e che Washington non c'entrava nulla!
Infatti i fatti sul campo erano così maledettamente ovvi che era chiaro che la Città Imperiale e i suoi megafoni mediatici stavano mentendo, con le evidenti contraddizioni e bugie che uscivano dalle labbra di ogni factotum e fattorino del Partito della Guerra quando Trump tentò senza successo di staccare la spina alle forze di terra americane in Siria.
Una di queste menzogne era la ridicola affermazione secondo cui l'azione di Trump fosse un segnale per i resti disorganizzati dell'ISIS di riconquistare il territorio nella Siria settentrionale e orientale da cui erano stati recentemente cacciati. Ma per l'amor del cielo, l'unica ragione per cui il califfato si impiantò nella regione dimenticata da Dio della Siria orientale fu che Washington e gli stati petroliferi avevano impedito al governo siriano e ai suoi alleati di sorvegliare e proteggere il proprio territorio; e di salvaguardare i magri giacimenti petroliferi della Siria nel Nord-est, che per un breve periodo di tempo l'ISIS aveva saccheggiato per finanziare le sue pretese di essere uno stato con un esercito.
Ma come mostra la mappa qui sotto, il califfato era scomparso da tempo. E i resti delle forze jihadiste affiliate a Idlib (area viola) si sarebbero incontrati presto con le loro 13 vergini, una volta che Trump avesse dato il via libera al governo siriano e ai suoi alleati russo/iraniani di finirli.
Altrettanto importante, tutto il tormento per i curdi era ampiamente esagerato. Avevano fatto il loro patto con Assad. Nel completare la riconquista e l'unificazione del suo Paese, aveva tutte le ragioni per rispettare l'accordo dato che aveva già ristabilito il controllo militare siriano nelle città strategiche al confine turco.
Inoltre l'obiettivo della Turchia era l'istituzione di una “zona sicura” simboleggiata dai segni bianchi sulla parte della Siria allora controllata dai curdi (area blu). Lo scopo era quello di spostare YPG/SDF armate dagli USA a 20 miglia nell'entroterra dal suo confine, dato che, a ragione o a torto, Erdogan considera il separatismo curdo e l'insurrezione armata una minaccia esistenziale per lo stato turco.
In ogni caso, nel giro di pochi giorni YPG/SDF si erano ritirate dalla zona sicura, consentendo così alla Turchia di sospendere definitivamente l'attacco e di riutilizzare il corridoio come area di sosta e di smistamento per il rimpatrio di circa 3,6 milioni di siriani fuggiti nei campi profughi in Turchia.
Infatti gli accordi stipulati dietro le quinte avevano già aperto la strada a una pacificazione sostenibile della Siria per la prima volta da quando Washington e i suoi alleati l'avevano aggredita durante la Primavera araba del 2011:
• Nell'estate del 2019 Trump annunciò l'intenzione di ritirare le truppe statunitensi da tutta la Siria, a partire dal Rojava, a condizione esplicita di interrompere la linea di comunicazione tra Iran e Libano.
• La Turchia si prese questo impegno in cambio dell’occupazione militare della striscia di confine siriana, dalla quale altrimenti l’artiglieria “terroristica” YPG avrebbe potuto bombardarla.
• La Russia dichiarò di non sostenere lo stato armato YPG/SDF di Rojava e avrebbe accettato l'intervento turco se alla popolazione cristiana fosse consentito di tornare nella sua terra, una condizione alla quale la Turchia acconsentì.
• La Siria indicò che non avrebbe respinto un'azione turca nella zona sicura se avesse potuto liberare un territorio equivalente nel governatorato di Idleb. La Turchia accettò.
• L'Iran dichiarò che, pur disapprovando l'intervento turco, sarebbe intervenuto solo a vantaggio degli sciiti e non era interessato al destino del nascente stato curdo di Rojava.
E tuttavia, come vedremo mercoledì, tutto è andato in frantumi sotto l'amministrazione Biden per una semplice ragione: i neocon guerrafondai non riuscivano a tollerare le azioni di Trump e del suo presunto sosia, Vlad Putin.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Geopolitica sottomarina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/geopolitica-sottomarina)
La costruzione di cavi sottomarini ha portato alla luce un problema nascosto ma cruciale: la manipolazione dei protocolli che controllano il modo in cui i dati viaggiano sotto il mare. Questi protocolli determinano i percorsi che prendono i dati di Internet, influenzando velocità, costi e persino esposizione alla sorveglianza. Anche piccoli cambiamenti in questi percorsi possono far pendere l'equilibrio globale del potere digitale. Il ruolo crescente della Cina in quest'area dimostra come la tecnologia possa essere utilizzata strategicamente per rimodellare la geopolitica.
Al centro di questo problema c'è una tecnologia chiamata Software-Defined Networking (SDN). SDN consente di gestire e ottimizzare il traffico dati in tempo reale, migliorandone l'efficienza, ma questa stessa flessibilità rende SDN vulnerabile all'uso improprio. Le aziende tecnologiche cinesi come HMN Tech (ex Huawei Marine Networks), ZTE e China Unicom stanno aprendo la strada allo sviluppo di SDN. La Cina ha anche influenza nelle organizzazioni internazionali che stabiliscono le regole per queste tecnologie, come l'International Telecommunication Union (ITU) e l'Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE). Questa influenza dà alla Cina una grande mano nel dare forma agli standard e alla governance globali.
L'Africa è un esempio eccellente per capire come si manifesta questa influenza. Gli investimenti cinesi nelle infrastrutture digitali in tutto il continente sono enormi. Ad esempio, il cavo PEACE (Pakistan and East Africa Connecting Europe), che collega l'Africa orientale all'Europa, è stato progettato per evitare il territorio cinese. Tuttavia, grazie alla tecnologia SDN, il suo traffico può ancora essere reindirizzato tramite punti controllati dalla Cina. Questo reindirizzamento potrebbe introdurre ritardi di 20-30 millisecondi per salto, non molto per la navigazione occasionale, ma un problema serio per attività sensibili alla latenza come il trading finanziario o la comunicazione crittografata.
Nel Sud-est asiatico rischi simili sono evidenti. Il Southeast Asia-Japan Cable (SJC), che collega Singapore al Giappone, si basa su diverse stazioni di atterraggio influenzate dalla Cina. Durante un periodo di forti tensioni nel Mar Cinese Meridionale, alcuni dati destinati al Giappone sono stati misteriosamente instradati attraverso l'isola di Hainan, sotto la giurisdizione cinese. Tali casi suggeriscono che le decisioni tecniche di instradamento possono talvolta avere motivazioni politiche.
Questi esempi fanno parte di una strategia più ampia. Sfruttando SDN la Cina può trasformare i cavi sottomarini in strumenti di sorveglianza e controllo. Il traffico dati dall'Africa o dal Sud-est asiatico destinato all'Europa potrebbe essere segretamente reindirizzato attraverso Shanghai o Guangzhou, esponendolo alle tecniche di sorveglianza avanzate della Cina come l'ispezione approfondita dei pacchetti. Questa minaccia si estende al cloud computing, poiché i principali provider come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Alibaba Cloud si affidano ai cavi sottomarini. Con SDN i provider cloud cinesi, allineati con gli interessi dello stato, potrebbero reindirizzare il traffico inter-cloud sensibile, mettendo a rischio quelle comunicazioni critiche.
La manipolazione delle rotte di dati globali conferisce a qualsiasi attore un notevole potere geopolitico. Ad esempio, in caso di crisi, la Cina potrebbe degradare o addirittura interrompere la connettività Internet per le nazioni rivali. Nello Stretto di Taiwan ciò potrebbe isolare quest'ultimo dai mercati globali, interrompendo le transazioni finanziarie e il commercio. In Africa, dove Huawei ha costruito una parte significativa dell'infrastruttura di telecomunicazioni del continente, erigendo circa il 70% delle reti 4G, c'è il timore che questa dipendenza possa creare vulnerabilità. Se dovessero sorgere tensioni politiche, la Cina potrebbe causare rallentamenti o interruzioni per rafforzare la dipendenza, rendendo i Paesi più vulnerabili negli scontri politici.
I numeri evidenziano la posta in gioco. I cavi sottomarini trasportano il 99% del traffico dati internazionale, ovvero oltre 1,1 zettabyte all'anno. Porzioni significative dei flussi di dati intra-Asia-Pacifico passano attraverso stazioni di atterraggio chiave dei cavi sottomarini, tra cui Hong Kong, che è sotto la giurisdizione cinese. Con le aziende cinesi sempre più coinvolte in progetti di cavi sottomarini globali, come quelli intrapresi da HMN Technologies, sta crescendo l'influenza di Pechino sulla dorsale fisica di Internet.
L'impatto economico delle interruzioni di Internet sulle economie altamente connesse è sostanziale. Ad esempio, il NetBlocks Cost of Shutdown Tool (COST) stima l'impatto economico delle interruzioni di Internet utilizzando indicatori della Banca Mondiale, ITU, Eurostat e US Census. Secondo i dati presentati da Atlas VPN, basati sullo strumento COST di NetBlocks, un arresto globale di Internet per un giorno potrebbe comportare perdite di circa $43 miliardi, con Stati Uniti e Cina che rappresenterebbero quasi la metà di questa somma. Inoltre Deloitte ha stimato che per un Paese altamente connesso a Internet, l'impatto giornaliero di un arresto temporaneo di Internet sarebbe in media di $23,6 milioni per 10 milioni di abitanti.
Un attacco deliberato ai protocolli di routing potrebbe causare un caos finanziario e operativo diffuso. Nel mondo interconnesso di oggi, in cui l'infrastruttura digitale sostiene la stabilità economica, la capacità di manipolare il traffico dei cavi sottomarini rappresenta un'arma geopolitica sottile ma potente.
Affrontare questa minaccia va oltre la semplice costruzione di più cavi; richiede di ripensare il modo in cui sono governati i protocolli di routing. Standard globali trasparenti devono garantire che nessun singolo Paese o azienda possa dominare questi sistemi. Dovrebbero essere condotti audit indipendenti di routine per rilevare anomalie che potrebbero segnalare interferenze. Sforzi come l'iniziativa Global Gateway dell'Unione Europea e il Digital Partnership Fund del Giappone devono concentrarsi sulla creazione di percorsi alternativi per ridurre la dipendenza dai nodi controllati dalla Cina.
Questo problema evidenzia una nuova realtà nella politica globale: il controllo sui flussi di dati sta diventando una forma fondamentale di potere. Mentre la maggior parte dell'attenzione è stata rivolta alla costruzione di infrastrutture fisiche, la manipolazione silenziosa dei protocolli di routing segna un cambiamento altrettanto profondo nell'influenza globale. Per proteggere l'integrità di Internet, il mondo deve agire con decisione sia a livello tecnico che di governance.
Reti di riparazione cavi in fibra ottica
Il controllo sproporzionato della Cina sulle reti di riparazione dei cavi in fibra ottica rivela potenziali vettori per il dominio dell'intelligence, la leva coercitiva e l'interruzione della sovranità digitale. A livello globale si stima che 60 navi dedicate alla riparazione dei cavi siano al servizio degli 1,5 milioni di chilometri di cavi sottomarini del pianeta. La Cina controlla una percentuale sostanziale di tale flotta, comprese le navi gestite da imprese affiliate allo stato come Shanghai Salvage Company e China Communications Construction Group. Al contrario gli Stati Uniti e i loro alleati mantengono una piccola flotta patchwork, concentrata principalmente nel Nord Atlantico e priva di copertura nell'Indo-Pacifico, dove oltre il 50% del traffico Internet globale passa attraverso cavi sottomarini chiave.
La flotta cinese è fortemente concentrata nei mari della Cina meridionale e orientale, regioni critiche per la connettività globale a causa di punti di strozzatura come lo stretto di Singapore e lo stretto di Luzon. Con l'esclusività marittima rafforzata dalle rivendicazioni della Cina nelle acque contese, le sue navi di riparazione hanno un accesso pressoché illimitato per monitorare, riparare o potenzialmente manomettere i cavi sotto le mentite spoglie di operazioni di manutenzione di routine.
Le missioni di riparazione comportano l'esposizione di infrastrutture critiche via cavo, tra cui ripetitori, amplificatori e unità di diramazione, hardware che aumenta la potenza del segnale su lunghe distanze ma rappresenta anche punti di vulnerabilità. Le imbarcazioni cinesi sono dotate di sommergibili robotici avanzati e tecnologie di taglio e giunzione di precisione, progettate per le riparazioni ma in grado di installare dispositivi di intercettazione del segnale. Tali strumenti potrebbero includere prese in fibra ottica in grado di raccogliere metadati non crittografati o di catturare modelli di latenza per dedurre flussi di traffico sensibili.
I progressi della Cina nella fotonica e nelle tecnologie di comunicazione quantistica sottolineano la sua capacità di sfruttare queste vulnerabilità. L'Accademia cinese delle scienze ha segnalato importanti progressi nei sistemi di distribuzione di chiavi quantistiche (QKD), sollevando la possibilità di sviluppare metodi basati sulla tecnologia quantistica per decifrare i dati crittografati intercettati durante le riparazioni. L'integrazione di strumenti di ordinamento dei dati basati sull'intelligenza artificiale potrebbe automatizzare l'estrazione e la classificazione delle informazioni intercettate, rendendo un vantaggio strategico l'acquisizione di dati in blocco durante le riparazioni.
Il mare aperto, dove si verificano molte operazioni di riparazione, è governato da quadri normativi internazionali frammentati, come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), i quali regolamentano in modo inadeguato le attività che coinvolgono infrastrutture critiche. L'International Cable Protection Committee (ICPC) fornisce linee guida volontarie per le operazioni di riparazione, ma i meccanismi di applicazione sono deboli, lasciando il sistema vulnerabile allo sfruttamento da parte di attori statali.
Le missioni di riparazione sono spesso classificate come “operazioni di emergenza”, le quali richiedono approvazioni rapide che aggirano la supervisione dettagliata. Una rottura di un cavo nel Mar Cinese Meridionale nel 2021 ha spinto le navi di riparazione cinesi a operare senza trasparenza per oltre tre settimane, sollevando preoccupazioni su potenziali attività segrete. Questi incidenti raramente vengono segnalati, poiché esulano dalla giurisdizione della maggior parte degli enti di monitoraggio marittimo.
La mancanza di contromisure da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati amplifica i rischi posti dal predominio della Cina. La Marina degli Stati Uniti non gestisce navi di riparazione specializzate, affidandosi a operatori privati come Global Marine Group, la cui flotta è obsoleta e mal equipaggiata per le operazioni in acque contese. Ciò contrasta con il modello cinese sostenuto dallo stato, il quale integra la sua flotta di riparazione in reti marittime fornendo funzionalità a duplice uso per obiettivi civili e militari.
Il modello finanziario delle operazioni sui cavi sottomarini limita ulteriormente le risposte occidentali. I cavi sottomarini sono prevalentemente di proprietà privata, con aziende come Google, Meta e Amazon che investono molto nelle infrastrutture ma non hanno incentivi per dare priorità alle considerazioni geopolitiche. Questa privatizzazione lascia lacune strategiche nella sorveglianza e nel monitoraggio, poiché i governi devono negoziare l'accesso a missioni di riparazione controllate privatamente.
Per mitigare il vantaggio strategico della Cina è essenziale una risposta su più fronti. Gli Stati Uniti e i suoi alleati devono sviluppare flotte di riparazione statali o sovvenzionate dallo stato per operare in regioni contese come il Mar Cinese Meridionale e l'Oceano Indiano. Dovrebbero essere implementati sistemi di sorveglianza marittima potenziati, come droni sottomarini e array di monitoraggio basati su sonar, per tracciare i movimenti delle navi di riparazione in tempo reale.
La revisione dei quadri normativi internazionali mediante l'ampliamento dei mandati ICPC, per includere la segnalazione obbligatoria delle operazioni di riparazione, potrebbe frenare l'opacità. La collaborazione con i partner regionali, in particolare le nazioni del Quad (Australia, India, Giappone e Stati Uniti), potrebbe rafforzare la consapevolezza collettiva del dominio marittimo e creare ridondanze nelle capacità di riparazione dei cavi.
Dati marittimi tramite il monitoraggio automatico delle imbarcazioni
Lo sfruttamento da parte della Cina di sistemi di tracciamento automatizzato delle imbarcazioni esemplifica una componente sofisticata della sua strategia digitale globale. Al centro di questa iniziativa c'è l'Automatic Identification System (AIS), una tecnologia di sicurezza marittima imposta dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) per le imbarcazioni di stazza lorda superiore a 300 tonnellate impegnate nel commercio internazionale. Sebbene originariamente destinato a migliorare la sicurezza della navigazione trasmettendo identità, posizioni, rotte e dettagli del carico delle imbarcazioni, l'AIS è stato riadattato da Pechino in una risorsa a duplice uso che supporta sia la raccolta di informazioni economiche sia la sorveglianza militare.
Le aziende cinesi, tra cui il BeiDou Navigation Satellite System e Alibaba Cloud, hanno sviluppato piattaforme avanzate che aggregano le trasmissioni AIS dalle rotte di navigazione in tutto il mondo. Queste piattaforme integrano i dati AIS con analisi predittive basate sull'intelligenza artificiale, consentendo a Pechino di monitorare e analizzare i punti di strozzatura marittimi globali come lo Stretto di Malacca, il Canale di Panama e il Canale di Suez, arterie chiave del commercio internazionale. In questo modo la Cina ottiene informazioni fondamentali sui modelli di spedizione globali, sulle rotte commerciali strategiche e sulle dinamiche della catena di fornitura. A partire dal 2023 la flotta mercantile globale comprendeva circa 60.000 navi.
Durante il blocco del Canale di Suez del 2021, le aziende di logistica cinesi, sfruttando i dati AIS in tempo reale, hanno rapidamente identificato rotte alternative attraverso l'Artico e lungo l'Oceano Indiano, consentendo agli esportatori cinesi di reindirizzare le merci mentre i concorrenti occidentali hanno dovuto affrontare ritardi. Allo stesso modo, nello Stretto di Malacca, una via d'acqua che facilita il transito di oltre 16 milioni di barili di petrolio al giorno e il 40% del commercio globale, gli analisti cinesi hanno utilizzato i dati AIS per ottimizzare il flusso di risorse, prevenire la congestione e studiare le vulnerabilità nelle rotte di approvvigionamento energetico.
I dati AIS svolgono un ruolo fondamentale nella strategia militare della Cina, in particolare nell'Indo-Pacifico. Combinando le informazioni AIS con le immagini satellitari e i dati provenienti da array acustici sottomarini, la Cina ha creato una rete di sorveglianza in grado di tracciare con precisione gli schieramenti navali. I dati AIS sono stati utilizzati per monitorare i modelli di pattugliamento della Settima Flotta della Marina degli Stati Uniti, rivelando che oltre un terzo delle sue operazioni nel Mar Cinese Meridionale nel 2022 ha seguito rotte prevedibili. Questa sorveglianza consente alla Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLAN) di anticipare le Operazioni di Libertà di Navigazione (FONOP) degli Stati Uniti e di posizionare di conseguenza le sue risorse.
La manipolazione dell'AIS da parte della Cina si estende alle simulazioni di conflitto e alla guerra asimmetrica. Durante esercitazioni militari vicino a Taiwan nel 2023, le forze cinesi avrebbero schierato imbarcazioni senza equipaggio programmate per imitare i segnali AIS civili, complicando l'identificazione di risorse ostili.
Attraverso la sua iniziativa Digital Silk Road, Pechino ha esportato varie forme di tecnologie marittime che incorporano capacità di Automatic Identification System (AIS). La Cina spesso fornisce incentivi finanziari per promuovere l'adozione delle sue tecnologie all'estero, il che potrebbe migliorare il suo accesso ai dati marittimi regionali. Questa asimmetria garantisce alla Cina un vantaggio informativo e rischia di rimodellare le norme di trasparenza marittima a suo favore.
Dati rari di mappatura sottomarina
I crescenti investimenti della Cina nella mappatura sottomarina l'hanno posizionata come un attore significativo nell'intelligence oceanografica, con un impatto sui domini scientifico, commerciale e militare. La Cina ha mappato i suoi territori marittimi rivendicati utilizzando navi da ricerca finanziate dallo stato e sistemi autonomi. Questi sforzi contribuiscono a iniziative internazionali, come il progetto Nippon Foundation-GEBCO Seabed 2030, il quale mira a mappare l'intero fondale marino globale entro il 2030 e che a giugno 2022 ne aveva mappato circa il 23,4%. Le attività della Cina si estendono a regioni strategiche nell'Indo-Pacifico, nell'Artico e nell'Oceano Indiano, sollevando preoccupazioni sul potenziale di duplice uso della sua raccolta dati.
I dati di mappatura sottomarina sono essenziali per il percorso dei cavi sottomarini, lo sviluppo delle infrastrutture sottomarine e le operazioni navali. Il deposito cinese di mappe batimetriche ad alta risoluzione, tra cui i rilievi di punti di strozzatura chiave come lo Stretto di Malacca e il Canale di Bashi, fornisce un vantaggio tattico. Questi punti di strozzatura sono vitali per il commercio globale e servono come passaggi navali strategici per la proiezione di potere e le operazioni anti-accesso/negazione dell'area. La Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione utilizza i dati del fondale marino per ottimizzare il posizionamento di array di sensori sottomarini, essenziali per la sua iniziativa “Great Underwater Wall”, integrando il monitoraggio idroacustico per rilevare sottomarini stranieri.
I progressi della Cina nei veicoli sottomarini autonomi (AUV) ne potenziano le capacità. Nel 2021 gli AUV Hailong III e Qianlong II sono stati impiegati per missioni di mappatura in acque profonde nel Mar Cinese Meridionale, raccogliendo dati a profondità superiori a 6.000 metri. Questi AUV hanno sistemi sonar multi-beam che raggiungono una risoluzione sub-metrica, superando gli standard commerciali. La loro capacità di operare in modo autonomo per lunghi periodi consente alla Cina di mappare topografie sottomarine tanto intricate quanto fondamentali per l'esplorazione delle risorse e la guerra sottomarina.
La Cina ha utilizzato la mappatura dei fondali marini come strumento diplomatico per estendere l'influenza sulle nazioni più piccole. Attraverso la sua Maritime Silk Road Initiative, Pechino ha firmato accordi con oltre 20 Paesi, garantendo alle navi da ricerca cinesi l'accesso alle Zone Economiche Esclusive (ZEE). Tra il 2015 e il 2022 le spedizioni cinesi nelle ZEE delle nazioni insulari del Pacifico hanno spesso comportato attività di mappatura a duplice uso.
Nel 2019 la nave di ricognizione cinese Haiyang Dizhi 8 ha condotto rilievi sismici nei pressi della Vanguard Bank all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) del Vietnam, raccogliendo dati batimetrici che si allineano con rotte sottomarine chiave potenzialmente utili per le operazioni sottomarine. Questa incursione ha portato a un teso stallo con il Vietnam, suscitando critiche internazionali per le azioni della Cina e sollevando preoccupazioni sul potenziale duplice uso dei dati raccolti. Allo stesso modo, nel 2018, il coinvolgimento della Cina nei progetti di cavi sottomarini che collegano Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone tramite Huawei Marine, ha sollevato notevoli preoccupazioni per la sicurezza. Temendo rischi per la sicurezza dei cavi di comunicazione sottomarini e potenziale attività di spionaggio, l'Australia è intervenuta finanziando e intraprendendo essa stessa quei progetti, evidenziando apprensioni sulla concessione alle entità cinesi dell'accesso a dati critici sui fondali marini nella regione.
La strategia di mappatura dei fondali marini della Cina ha implicazioni militari significative, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. In questa regione, dove la Cina ha costruito isole artificiali come Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef, i dati ad alta risoluzione dei fondali marini consentono un dispiegamento preciso di sistemi missilistici, pattugliamenti navali e droni sottomarini. La mappatura dettagliata dei fondali marini supporta la costruzione e la fortificazione di queste isole, consentendo l'installazione di missili terra-aria, missili da crociera antinave e il funzionamento di piste di atterraggio militari. Inoltre l'impiego da parte della Cina di veicoli sottomarini senza pilota come gli alianti Sea Wing (Haiyi) migliora la sua capacità di raccogliere dati oceanografici cruciali per la navigazione sottomarina e la guerra antisommergibile. Queste attività hanno sollevato preoccupazioni tra i Paesi confinanti e la comunità internazionale sul potenziale di duplice uso delle iniziative marittime della Cina e sul loro impatto sulla sicurezza regionale.
Controllando la mappatura dei fondali marini, la Cina influenza le reti dei cavi sottomarini, i quali trasportano il 95% del traffico Internet globale e $10.000 miliardi in transazioni finanziarie giornaliere. Il coinvolgimento della Cina in progetti come il South Pacific Cable Project attraverso l'azienda statale China Mobile ha portato a preoccupazioni sulle capacità di intercettazione dei dati. La sua presenza nella mappatura dei fondali marini dell'Artico, facilitata da navi rompighiaccio come la Xuelong 2, sottolinea le ambizioni di proteggere rotte e risorse marittime alternative sotto le mentite spoglie della ricerca scientifica.
L'approccio della Cina ai dati sulla mappatura sottomarina ha sollevato preoccupazioni riguardo la trasparenza e l'accesso condiviso nella comunità globale. Mentre iniziative internazionali come il Seabed 2030 Project incoraggiano la condivisione aperta dei dati sui fondali oceanici per promuovere la ricerca scientifica e la comprensione ambientale, la Cina è stata criticata per non condividere completamente i dati estesi sui fondali marini che raccoglie. Ad esempio, molti dei dati raccolti dalle imbarcazioni cinesi in acque internazionali non sono disponibili nei database globali come quelli gestiti dall'International Hydrographic Organization (IHO) o dalla General Bathymetric Chart of the Oceans (GEBCO). Questa condivisione selettiva limita la capacità di altre nazioni di sfruttare informazioni preziose e contrasta con le norme globali che promuovono la cooperazione e la trasparenza nella ricerca oceanografica.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Perché Trump deve abrogare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-trump-deve-abrogare-la-tassa)
In un mondo in cui gli asset digitali stanno rapidamente diventando un pilastro della finanza globale, gli Stati Uniti si trovano a un bivio.
L'amministrazione Trump ha ripetutamente sottolineato la sua dedizione nel rendere più prosperi gli americani: dall'impegno a ripristinare la forza economica alla nomina di consiglieri lungimiranti, la Casa Bianca sembra pronta a inaugurare una nuova era di libertà finanziaria. Ma se il presidente Trump vuole davvero dare una spinta alla creazione di ricchezza per i cittadini medi e rendere gli Stati Uniti la principale “superpotenza in ambito Bitcoin” al mondo, la sua amministrazione deve abbracciare una linea di politica audace e trasformativa: eliminare le imposte sulle plusvalenze che gravano su di esso.
Questa mappa globale mostra come vari Paesi tassano (o non tassano) annualmente Bitcoin. Molte giurisdizioni verdi, comprese quelle in Europa, Caraibi e Asia, hanno scelto di esentarlo dall'imposta sulle plusvalenze.SOFFIANO VENTI DI CAMBIAMENTO: UNA LEZIONE DALL'ESTERO
La Repubblica Ceca ha di recente fatto notizia quando il suo Parlamento ha votato a larga maggioranza per esentare le plusvalenze da Bitcoin e altre criptovalute dall'imposta sul reddito, a condizione che siano detenute per più di tre anni e soddisfino determinate soglie di reddito. Questo non è un evento isolato. Paesi come Svizzera, Singapore, Emirati Arabi Uniti, El Salvador, Hong Kong e parti dei Caraibi hanno da tempo riconosciuto che una tassazione minima, o pari a zero, delle plusvalenze su Bitcoin può aiutare a stimolare l'adozione, l'innovazione finanziaria e la fiducia dei consumatori.
Come disse John F. Kennedy: “L'alta marea solleva tutte le barche”. Se applichiamo questa logica alla crescita economica tramite Bitcoin, la marea è globale e sta salendo rapidamente. In un mare inondato di liquidità e debito, la nave economica americana deve navigare queste correnti digitali. Le scelte politiche di queste nazioni, e la crescente prosperità dei loro cittadini, inviano un segnale potente: gli Stati Uniti possono e dovrebbero sfruttare Bitcoin come strumento per la crescita, non gravarla con modelli fiscali obsoleti.
LE PAROLE DI TRUMP: UN PERCORSO VERSO LA PROSPERITÀ
Lo stesso presidente Trump ha indicato la volontà di riconsiderare la tassazione su Bitcoin. “Fanno pagare le tasse sulle criptovalute, e non credo che sia giusto”, ha detto in una recente intervista, facendo eco alle frustrazioni di milioni di americani che trovano assurdo pagare le tasse sulle plusvalenze dopo aver usato Bitcoin per acquistare qualcosa di piccolo come una tazza di caffè. “Bitcoin è denaro, e bisogna pagare le tasse sulle plusvalenze se lo si usa per comprare un caffè?” ha chiesto retoricamente, evidenziando come le leggi attuali scoraggino le transazioni quotidiane. Ha poi aggiunto: “Forse è meglio liberarsi delle tasse sulle criptovalute e sostituirle con i dazi”.
Questo sentimento non è solo un vezzo retorico. Trump, che ha parlato alla Bitcoin 2024 Conference a Nashville, ha proclamato la sua visione per l'America: farla diventare una “superpotenza mondiale in ambito Bitcoin”. Ha anche promesso di “rendere Bitcoin un prodotto americano”, trasformando gli Stati Uniti in un hub leader dell'innovazione in tale ecosistema. Inoltre il 5 dicembre ha nominato l'ex-direttore operativo di PayPal, David Sacks, come suo “White House AI & Crypto Czar”, una mossa vista come un passo verso l'implementazione di linee di politica lungimiranti.
IL BITCOIN ACT DEL 2024: UNA RISERVA STRATEGICA PER LA GENTE
Gli Stati Uniti hanno già compiuto passi monumentali in questa direzione. Il BITCOIN Act del 2024 impone che tutti i bitcoin detenuti da qualsiasi agenzia federale vengano trasferiti al Dipartimento del Tesoro per essere conservati in una riserva strategica. In cinque anni esso deve acquistare un milione di bitcoin, detenendoli in trust per gli Stati Uniti. Questo accumulo a livello governativo mostra una visione a lungo termine per l'incorporazione di Bitcoin nella strategia finanziaria nazionale. Ma perché fermarsi qui? L'eliminazione dell'imposta sulle plusvalenze creerebbe un ciclo di feedback positivo tra politica nazionale e prosperità personale. Mentre il governo federale investe e detiene bitcoin, i cittadini potrebbero fare lo stesso senza dover incappare in obblighi fiscali punitivi.
AL SERVIZIO DELL'AMERICANO MEDIO
Per gli americani il costo della vita e il pungiglione dell'inflazione sono stati i punti focali della campagna di rielezione del presidente Trump. Le strategie tradizionali (es. manipolazioni dei tassi d'interesse, allentamento quantitativo) spesso equivalgono a riorganizzare le sedie a sdraio su una nave che affonda quando ci si confronta con sfide economiche veramente sistemiche. Bitcoin offre una zattera di salvataggio (oseremmo dire, un'arca di Noè digitale) per quegli americani che cercano di preservare e accrescere la propria ricchezza contro le forze erosive dell'inflazione. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin consentirebbe ai cittadini di effettuare transazioni, investire e risparmiare in un asset stabile e finito senza il drenaggio fiscale su ogni guadagno incrementale.
L'effetto domino qui è chiaro: più le persone adottano Bitcoin come riserva di valore e mezzo di scambio, più la domanda diventa forte, cosa che, a sua volta, potrebbe rafforzare ulteriormente le partecipazioni strategiche del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. È un circolo virtuoso, un ciclo di feedback positivo. Man mano che il valore di Bitcoin cresce, cresce anche la base di ricchezza della nazione, contribuendo a pagare il debito nazionale, rafforzare l'egemonia del dollaro nel commercio globale e rendendo realmente gli americani più ricchi e più sicuri.
PERCHÈ L'AMERICA HA BISOGNO DI BITCOIN
Bitcoin non è più un esperimento di nicchia riservato a una piccola cerchia di appassionati. Si è evoluto in una priorità urgente e diffusa per gli americani di tutti i giorni, in particolare per quella generazione che plasmerà l'economia futura della nostra nazione. Non si tratta di un appello ideologico: è una realtà supportata dai dati. Secondo la Stand With Crypto Alliance, un'organizzazione non-profit dedicata a linee di politica trasparenti sulla blockchain, oltre 52 milioni di americani possiedono ora una qualche forma di criptovaluta. Quasi nove americani su dieci ritengono che il sistema finanziario abbia bisogno di essere aggiornato e il 45% afferma che non sosterrebbe candidati che ostacolano l'innovazione nel mondo delle criptovalute. Questi numeri rappresentano un'ondata travolgente e trasversale: la ricerca di Stand With Crypto mostra che il 18% dei repubblicani, il 22% dei democratici e il 22% degli indipendenti detengono criptovalute. Ciò taglia fuori la solita politica tribale e indica una verità fondamentale: Bitcoin è ora un argomento di discussione in politica nazionale, non una nota a margine su un'agenda trascurabile.
La richiesta che l'America sia leader è chiara. Il 53% degli americani vuole che le aziende di criptovalute siano basate negli Stati Uniti, assicurando che l'innovazione tecnologica e la ricchezza che genereranno rimangano in patria. Tra i dirigenti di Fortune 500, il 73% preferisce partner con sede negli Stati Uniti per le proprie iniziative di criptovalute e Web3, segnalando un desiderio aziendale di mantenere l'America in prima linea nel progresso finanziario globale.
Non agire ora rischia di ripetere gli errori del passato. Un tempo l'America era leader mondiale nella produzione avanzata, ma oggi il 92% della produzione di semiconduttori si trova a Taiwan e in Corea del Sud. Non possiamo permetterci di cedere il panorama finanziario futuro ad altre regioni. Bitcoin non è solo l'ennesimo investimento di moda; è la spina dorsale digitale di un sistema monetario in rapida evoluzione. Se gli Stati Uniti vogliono preservare la loro egemonia economica, mantenere la leadership nell'innovazione e garantire che gli americani di tutti i giorni abbiano accesso a un futuro finanziario stabile e orientato alla crescita, devono abbracciare Bitcoin. Così facendo, la nazione può assicurarsi il suo posto come superpotenza globale anche in questo settore, elevando i propri cittadini, rafforzando la nostra base economica e salvaguardando i nostri interessi strategici nell'economia digitale del XXI secolo.
AMERICA, TRACCIARE LA ROTTA
Allineandosi alle buone pratiche globali e adottando linee di politica lungimiranti, gli Stati Uniti possono rappresentare un faro di libertà finanziaria e innovazione tecnica. Eliminare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin segnalerebbe agli investitori, agli imprenditori e ai cittadini comuni che l'America fa sul serio nel voler guidare l'economia digitale del XXI secolo. Non si tratta solo di essere “Bitcoin-friendly”; si tratta di garantire che gli americani medi abbiano gli strumenti di cui hanno bisogno per navigare nelle acque economiche turbolente.
La complessità e l'inefficienza della tassazione di ogni transazione digitale rappresentano un peso inutile per l'innovazione e la vita quotidiana. Gli americani meritano di meglio: meritano la libertà di effettuare transazioni in un mondo digitale senza supervisione punitiva.
In sostanza, questa è l'occasione per l'America di fare ciò che ha sempre fatto meglio: innovare, adattarsi e guidare. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin non manterrebbe solo una promessa della campagna elettorale; preparerebbe il terreno per una prosperità a lungo termine, darebbe ai cittadini il potere di proteggere il loro futuro finanziario e consoliderebbe gli Stati Uniti come il principale campione mondiale in ambito Bitcoin. L'alta marea, in effetti, solleva tutte le barche, e quale barca migliore su cui imbarcarsi di un'Arca Bitcoin, capitanata da un'amministrazione determinata a rendere davvero l'America di nuovo grande?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Come la Germania ha distrutto la sua economia e come la può risollevare
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/come-la-germania-ha-distrutto-la?r=12xido)
Un tempo l'economia tedesca era una potenza industriale mondiale, dimostrando una forte resilienza nei periodi di crisi e una significativa crescita produttiva nei periodi di espansione.
La Germania ha mostrato una solida attività industriale, una solida produttività e livelli di disoccupazione invidiabili, che si sono aggiunti a salari realmente elevati. Tuttavia, negli ultimi cinque anni, l'economia è stagnante e il suo PIL è inferiore del 5% rispetto alla tendenza di crescita pre-pandemia, come riportato da Bloomberg Economics. Ancora più preoccupante è il fatto che il quotidiano stima che quattro punti percentuali di suddetta perdita potrebbero essere permanenti.
La maggior parte delle analisi attribuisce la debolezza dell'economia tedesca ai costi energetici più elevati e al rallentamento cinese che colpisce le sue esportazioni. La realtà è più complessa.
La stagnazione della Germania è autoinflitta.
La Germania ha commesso il suo primo grande errore nel 2012, quando i suoi leader hanno accettato la diagnosi di sinistra della crisi del debito europeo, la quale attribuiva tutti i problemi alla cosiddetta austerità. La Germania ha abbracciato l'inflazionismo e, nel 2014, ha accettato le stesse politiche monetarie e interventiste che hanno sempre distrutto l'Europa. Il governo tedesco e la Bundesbank hanno accettato con riluttanza la massiccia espansione monetaria della BCE e i tassi nominali negativi, consentendo alla Commissione europea di abbandonare la sua supervisione dell'eccesso di indebitamento e approvando pacchetti di “stimoli” in sequenza come il piano Juncker o i disastri di Next Generation EU. Tutti fattori che hanno lasciato l'area Euro in stagnazione, con più debito e, ora, inflazione. I tedeschi hanno sofferto di un'inflazione cumulativa di oltre il 20% negli ultimi cinque anni. I politici ne danno la colpa all'Ucraina e a Putin, ma sappiamo tutti che è una scusa ridicola. La crescita dell'offerta di denaro e i costanti aumenti della spesa pubblica hanno cancellato il potere d'acquisto dell'euro e alimentato l'inflazione. “Un’impennata della crescita monetaria ha preceduto l’impennata dell’inflazione e i Paesi con una crescita monetaria più forte hanno fatto registrare un’inflazione notevolmente più elevata” (Borio et al., 2023).
I keynesiani credevano che un euro più debole avrebbe dato una spinta alle esportazioni tedesche, ma questo è un mito. I Paesi leader delle esportazioni salgono grazie all'elevato valore aggiunto, non al basso costo. In ogni caso, tutte le politiche interventiste adottate dall'Unione Europea hanno creato una moneta debole e un'economia ancora più debole.
Il secondo errore fatale è stato la linea di politica energetica. Gli alti costi energetici non sono inevitabili, derivano da una linea di politica energetica sbagliata che ha spinto i politici tedeschi a chiudere la loro flotta nucleare e a spendere più di €200 miliardi in sovvenzioni per tecnologie volatili e intermittenti, solo per riscoprire poi l'uso di carbone e lignite che rappresentano il 25% della sua produzione di energia, stando ai dati di AGEB 2024. Infatti il 77% del suo consumo energetico e il 40% della sua produzione di energia provengono da combustibili fossili. I politici tedeschi hanno anche abbracciato l'agenda dell'UE che ha vietato lo sviluppo del gas naturale nazionale, ma ha moltiplicato le importazioni di gas naturale liquefatto statunitense prodotto dal fracking. A dir poco affascinante come decisione. Inoltre gli enormi sussidi e i costi aggiunti alle bollette dei consumatori hanno fatto sì che oltre il 60% del prezzo dell'elettricità pagato dai consumatori provenisse dalle tasse, incluso il costo della CO₂, che è una tassa nascosta. I tedeschi pagano di più per l'energia e dipendono ancora dai combustibili fossili, perché il loro governo ha distrutto l'accesso al gas naturale russo a basso costo e lo ha sostituito con opzioni costose e inaffidabili. Solo i politici possono decidere di entrare in una guerra energetica e vietare le alternative.
Il terzo errore fatale è stato quello di accettare linee di politica sempre più dannose provenienti dalla Commissione e dal Parlamento UE. Un rallentamento dell'economia cinese non porta un Paese leader mondiale delle esportazioni alla stagnazione, soprattutto quando il gigante asiatico cresce al 5% all'anno. Un Paese leader mondiale delle esportazioni come la Germania era giustamente orgoglioso di una rete produttiva che consentiva alla sua industria di crescere grazie a prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologia e una portata globale che consentiva alle aziende tedesche di vendere in tutto il mondo e di navigare in qualsiasi ambiente macroeconomico. Ciò che ha fatto sì che l'industria tedesca, un tempo potente, ristagnasse e declinasse nonostante una robusta crescita globale è stata la combinazione di burocrazia asfissiante, disincentivi all'innovazione, tasse elevate e l'adozione della disastrosa agenda 2030 che vuole mettere al bando i veicoli con motore a combustione interna. I politici hanno demolito il potenziale di vendita dell'intero complesso industriale con una politica ambientale e normativa devastante. Gli attivisti hanno utilizzato l'agenda 2030 per imporre un modello interventista e improduttivo, demolendo tutte le industrie e i settori agricoli della Germania. La legge, dal nome errato, sul ripristino della natura, che rende quasi impossibile lo svolgimento di attività nel settore primario, ha aggravato ulteriormente questo danno.
La graduale imposizione da parte dell'Unione Europea di una regolamentazione asfissiante e di disincentivi ha anche portato la Germania a perdere una parte significativa della sua leadership tecnologica. Il dominio ingegneristico e tecnologico della Germania si basava su un sistema aperto, altamente competitivo e gratificante che è stato distrutto dalla burocrazia. La Germania è un leader mondiale nelle domande di brevetto, ma è indietro rispetto agli Stati Uniti e la traduzione dei brevetti alle aziende è estremamente scarsa.
I politici tedeschi affermano che tutte le sfide di cui sopra diventeranno punti di forza in futuro. Ne dubito, perché il loro curriculum di fallimenti nelle previsioni economiche è spettacolare. Ciò di cui la Germania ha bisogno è abbandonare l'inflazionismo, l'interventismo e l'attivismo clownesco. Se la Germania adotta questi cambiamenti, la sua economia sperimenterà una crescita significativa.
La Germania non ha un problema di competitività o di capitale umano; ha un problema politico. Abbandonate l'interventismo socialista e la Germania tornerà alla sua tendenza di crescita e leadership.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Le radici economiche del crollo politico della Francia
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di John Phelan
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/le-radici-economiche-del-crollo-politico?r=12xido)
L'11 dicembre Michel Barnier ha perso un voto di fiducia nel parlamento francese, ponendo fine al suo mandato di primo ministro dopo soli 90 giorni, il mandato più breve di qualsiasi primo ministro dalla fondazione della Quinta Repubblica nel 1958. La causa è stata il bilancio proposto da Barnier, ma questo non fa che evidenziare problemi che si sono accumulati per decenni.
Il governo francese spende una quota maggiore del reddito nazionale rispetto alla maggior parte dei Paesi comparabili: i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) mostrano che, nel 2019, la spesa pubblica rappresentava il 55% del Prodotto interno lordo (PIL), più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ciò è dovuto agli alti livelli di spesa per lo stato sociale, l'assistenza sanitaria e l'istruzione. I dati dell'OCSE mostrano che la spesa sociale in Francia ha rappresentato il 31% del PIL nel 2019, più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Il governo francese impone un pesante onere fiscale per finanziarla. Sempre nel 2019 i dati dell'OCSE hanno mostrato che le entrate fiscali sono arrivate al 45% del PIL, ancora una volta il più alto livello rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ma queste entrate non sono sufficienti a finanziare completamente la spesa dello stato e si prevede che il deficit di quest'anno raggiungerà il 6,1% del PIL.
Barnier, nominato a settembre a capo di un governo di minoranza dopo un'inconcludente elezione generale, mirava a ridurre il deficit al 5% del PIL l'anno prossimo, ancora al di sopra della soglia del 3% richiesta come stato membro dell'UE. La sua manovra era da €60 miliardi tra aumenti delle tasse e tagli alla spesa. Dal lato delle entrate includeva nuove tasse su circa 24.000 delle famiglie più ricche, sui profitti delle grandi aziende, sull'elettricità, sui viaggi aerei e sulle automobili. Dal lato della spesa Barnier ha cercato di congelare le pensioni statali per sei mesi l'anno prossimo, ridurre il sostegno per gli apprendistati e i contratti sovvenzionati e ridurre i rimborsi per le spese mediche e le indennità di malattia. E tutto questo doveva essere fatto aumentando la spesa per la difesa in risposta all'invasione russa dell'Ucraina.
C'era qualcosa qui che ha fatto innervosire tutti.
“I tagli alla spesa pubblica e alla rete di sicurezza sociale hanno un impatto maggiore sulla vita delle classi lavoratrici e medie”, ha affermato il legislatore di sinistra Eric Coquerel, capo della commissione Finanze dell'Assemblea nazionale. Ci si poteva aspettare l'opposizione a tali misure da parte di persone come Monsieur Coquerel, ma anche “Raggruppamento nazionale” (NR) di Marine Le Pen si è opposto. A novembre la Le Pen ha stabilito delle “linee rosse”, tra cui il rifiuto di aumentare le tasse sull'energia elettrica e l'impegno ad aumentare le pensioni statali da gennaio. “Abbiamo detto quali erano gli elementi non negoziabili per noi”, ha affermato la Le Pen. “Siamo diretti nel nostro approccio politico; difendiamo il popolo francese”.
Raggruppamento nazionale viene spesso accomunato ad altri partiti presumibilmente di “estrema destra” come Reform in Gran Bretagna. Infatti, mentre Nigel Farage di Reform potrebbe condividere l'avversione della Le Pen per l'immigrazione di massa, è, in termini economici, un Thatcheriano che offre, come descrive John Burn-Murdoch sul Financial Times, “tagli fiscali radicali e agevolazioni fiscali per l'assistenza sanitaria privata e l'assicurazione sanitaria”. Raggruppamento nazionale, al contrario, sostiene tasse elevate, spesa pubblica, più regolamentazione e protezionismo commerciale. Infatti è “di sinistra” nella maggior parte delle cose, a parte l'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione. Ciò fa eco ai dibattiti negli Stati Uniti tra i conservatori “Freedom” e “National”. La Le Pen ha descritto il modesto consolidamento fiscale di Barnier come “pericoloso e ingiusto” e presagio di “caos” per la Francia.
Questo caos è già arrivato, insieme alla crisi fiscale.
“Lunedì, per la prima volta, i costi dei finanziamenti francesi sono saliti più di quelli della Grecia”, ha riportato la Reuters, “mentre il governo di Michel Barnier era sull'orlo del collasso, sottolineando un drastico cambiamento nel modo in cui i creditori vedono l'affidabilità creditizia dei membri della zona Euro”.
A novembre il governo di Barnier è sopravvissuto a un voto di sfiducia promosso dalla coalizione di sinistra quando Raggruppamento nazionale e i suoi alleati nell'Assemblea nazionale si sono astenuti. Quando Barnier ha forzato la manovra utilizzando una scappatoia costituzionale, è stato troppo per Raggruppamento nazionale che, insieme al “New Popular Front” di estrema sinistra, ha presentato mozioni di sfiducia contro il suo governo. Quello di Barnier è diventato il primo governo a perdere una mozione di sfiducia sin dal 1962.
Le conseguenze di questa instabilità si faranno sentire oltre i confini della Francia. Il Paese è da tempo un membro chiave, seppur un po' ambiguo, del “cuore” dell'Eurozona, ma potrebbe essere sulla buona strada per diventare un membro della sua “periferia”. Le conseguenze per la moneta unica e l'economia dell'Eurozona saranno significative. Il cuore è stato tradizionalmente accomunato a disciplina monetaria e fiscale e l'appartenenza di entrambe le potenze dell'Unione Europea a esso, Germania e Francia, ha permesso a tale situazione di prevalere. Se la Francia uscirà dal cuore e si unirà alla periferia, l'equilibrio di potere nell'Eurozona si sposterà verso un allentamento monetario e fiscale. Come minimo la Germania avrà più difficoltà a prendere le decisioni e Paesi come l'Italia avranno un nuovo e potente alleato.
L'Unione Europea è da tempo abituata all'instabilità politica tra i suoi membri periferici, ma la Francia, la sua seconda economia più grande, ora non ha un governo, nessuna prospettiva immediata di andare avanti e potrebbe presto non avere nemmeno un presidente. Come reagirà quando un membro centrale delle istituzioni sarà uno di quelli instabili?
Gli americani, inclini a pensare che la loro politica offra una dimostrazione di disfunzione unica tra le nazioni della Terra, potrebbero consolarsi se guardano alla Francia; dovrebbero evitare di provare troppa schadenfreude.
A giugno il Congressional Budget Office (CBO) ha previsto un deficit di bilancio federale di $2000 miliardi nel 2024 e “crescerà fino a $2.800 miliardi entro il 2034”. Il CBO fa notare che questi “deficit equivalgono al 7,0% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2024 e al 6,5% del PIL nel 2025 [...]. Entro il 2034 il deficit rettificato equivarrà al 6,9% del PIL, più del 3,7% che i deficit hanno fatto registrare in media negli ultimi 50 anni”.
Il risultato: “Il debito detenuto dal pubblico aumenta dal 99% del PIL di quest’anno al 122% del 2034, superando il precedente massimo del 106% del PIL”.
La disfunzione politica della Francia deriva da molte fonti, non ultime le reazioni all'immigrazione di massa nel Paese negli ultimi anni. Ma deriva anche dal semplice fatto che i suoi governi hanno fatto a lungo promesse di spesa che la sua economia non può mantenere.
Questa disfunzione potrebbe manifestarsi in qualsiasi Paese in cui siano state fatte tali promesse e gli Stati Uniti sono uno di questi.
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Caos economico/geopolitico o dieci anni di oblio
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/caos-economicogeopolitico-o-dieci)
Come mai l'economia italiana attuale, la migliore di sempre a quanto pare, o almeno così dicono tutti, riesce a produrre “occupazione da record” ma in mezzo secolo non è riuscita a dare ai lavoratori un aumento di stipendio? Come mai oggi è più costoso per loro, in termini di ore di lavoro, acquistare una casa o un'auto rispetto a 50 anni fa? Case e auto sono gli asset “fondamentali” della classe media e la maggior parte delle persone le ottiene scambiando il proprio tempo (stipendio). Poiché ci vuole sempre più tempo per acquistarle, le persone hanno meno tempo a disposizione; sono più povere in ciò che conta di più: il tempo.
Naturalmente case e auto dovrebbero essere di qualità superiore rispetto agli anni '70. Alcuni economisti ritengono che questi miglioramenti “edonici” giustifichino i prezzi più alti. Ma se sono migliori è grazie ai progressi tecnologici. Un'auto, ad esempio, ha più componenti elettronici di prima. Si dice che sia più sicura, più veloce e più economica. Naturalmente anche le fabbriche sono diventate più avanzate: la concorrenza spinge i produttori a migliorare le cose e a renderle più economiche. I vari pezzi sono diventati più facili da fare e più facili da assemblare; molte funzioni che prima richiedevano lavoro manuale ora vengono eseguite roboticamente.
Quindi la tecnologia che ha reso le auto migliori avrebbe dovuto renderle anche più economiche, non più costose.
Allo stesso modo ci viene detto che le case sono più grandi e migliori che mai. Sono più costose perché valgono di più, ma potrebbe essere vero proprio il contrario. Le nuove case sono spesso realizzate con materiali compositi fragili che sono facili da lavorare, ma non hanno la bellezza e la solidità del vero durame di quercia o pino. Inoltre anche le case costruite nel 1970 o prima sono costose e spesso più costose di quelle di più recente costruzione. Quindi come mai una persona media deve lavorare il doppio del tempo solo per un tetto sopra la testa e un set di ruote? È perché “il sistema” è stato corrotto? Ora fornisce politiche pubbliche che servono gruppi specifici di persone, di solito quelle con un buon team di lobbying e un sacco di soldi per “oliare gli ingranaggi politici” a spese del pubblico.
Più volte su questo blog abbiamo visto che il PIL ha poco a che fare con la ricchezza reale. Le illustrazioni più chiare a tal proposito sono state fornite dalla Germania nazista e dall'Unione Sovietica. In quest'ultima i lavoratori comuni erano più poveri, di proposito. L'economia era organizzata e controllata dall'élite, alle industrie veniva detto cosa produrre e quanto potevano far pagare. Il sistema sovietico produceva molti prodotti, ma pochi che la gente desiderasse realmente. Eppure, sempre negli anni '80, c'erano ancora economisti in Occidente che erano impressionati solo dai numeri. Paul Samuelson, ad esempio, “scrisse il libro” di economia che fu ampiamente utilizzato come testo in tutti gli Stati Uniti. Il suo Economics: An Introductory Analysis diceva agli studenti che l'Unione Sovietica aveva raggiunto una “rapida crescita” e industrializzazione grazie alla sua pianificazione centrale. Non aveva tutti i torti: i numeri del PIL mostravano che l'Unione Sovietica stava scoppiando di “crescita”, ma contare il numero di luterani nella Gestapo o le saponette in un campo di prigionia probabilmente non diceva molto...
Nell'Unione Sovietica il sapone lasciava un odore così nauseabondo che tutti lo sentivano, ma poiché i pianificatori centrali disdegnavano la concorrenza e la scelta dei consumatori, tutti dovevano usarlo. I visitatori riferirono che nel giro di pochi giorni dalla caduta del Muro di Berlino, quell'odore scomparve.
I numeri del PIL ingannarono gli economisti.
L'economia nazista era, come quelle occidentali di oggi, un'economia “capitalista” con un'influenza governativa pervasiva. E ciò verso cui i nazisti guidarono l'economia fu la guerra. All'inizio i numeri sembravano buoni: gli ordini di carri armati, aerei e uniformi tenevano impegnate le fabbriche. Il PIL aumentò. Gli osservatori stranieri riferirono che “Hitler faceva arrivare i treni in orario”; dissero di non aver mai visto così tanta energia. A un certo punto la disoccupazione scese sotto lo zero (semmai fosse possibile). Con così tanti uomini in uniforme, la Germania rimase senza lavoratori, quindi i pianificatori centrali nazisti portarono manodopera schiava dai Paesi conquistati.
Anche qui i numeri del PIL raccontavano una storia incredibile: la gente non poteva mangiare gli aerei da caccia Messerschmitt, e con così tanta manodopera e capitale investiti nell'industria della potenza di fuoco, c'era poco per le cose che contavano davvero. Il cibo, per esempio. A un certo punto gli stessi funzionari del governo avvertirono che le donne tedesche non mangiavano abbastanza e che avrebbero potuto non essere in grado di avere figli. L'economia si surriscaldò; le persone si impoverirono.
Quindi, cosa sta succedendo in Italia? I dati del PIL ci dicono che l'economia sta uscendo dal pantano economico. La disoccupazione è vicina ai minimi storici e il mercato azionario è a massimi storici se prendiamo come riferimento il 2008. Ma c'è qualcosa che non quadra in tutto questo. Cosa sta succedendo veramente? Se un'economia non rende la gente comune più ricca, che senso ha?
UN ESPERIMENTO PERICOLOSO
Ciò non significa che la persona media non stia meglio. Oggi, nel bene e nel male, abbiamo aggeggi elettronici che non avevamo negli anni '70. Possiamo passare tutta la vita curvi sui nostri computer portatili, magari seduti in un bar o in un ufficio, a giocare e a parlare con donne svestite con accento bielorusso. È un progresso, no? Abbiamo TikTok, Facebook, X, IA, le sneaker di Trump, ecc. Abbiamo persino auto che creeranno i loro incidenti stradali. Non è richiesto alcun intervento umano, ma i lavoratori nelle nuove industrie odierne, comprese quelle dei nostri più grandi datori di lavoro, spesso vivono in una povertà scioccante. Almeno questa è stata la conclusione della relazione più recente della Caritas. Senza contare, poi, l'ampliamento e l'incapacità dello stato sociale di servire la pletora di poveri in crescita.
Un piccolo esperimento mentale ci permetterà di capire il punto. Userò l'oro come misura affidabile dell'inflazione. Nel 2015 un grammo d'oro costava circa €30; questo significa che, agli stipendi di allora, ovvero circa €1500, il lavoratore medio poteva acquistare un grammo e mezzo d'oro al giorno. Oggi un grammo d'oro costa €80; questo significa che, agli stipendi attuali, ovvero circa €1700, il lavoratore medio può acquistare un grammo d'oro dopo un giorno e mezzo. Cosa succede? Cosa c'è che non va?
Come abbiamo visto, prima, l'Unione Sovietica prendeva le materie prime e, seguendo la precisione logica e le stupide teorie dei suoi pianificatori, le trasformava in prodotti finiti di qualità talmente inferiore che valevano meno, sul mercato mondiale, rispetto alle risorse impiegate per produrli. Ecco perché, quando l'Unione Sovietica andò nel paradiso degli esperimenti economici sbagliati, i suoi imprenditori e oligarchi tornarono a produrre materie prime. L'economia hitleriana della Germania del 1933-1945 ebbe un successo simile. Faceva lavorare le persone, faceva arrivare i treni in orario, faceva eruttare fumo dalle ciminiere dalla Baviera alla Prussia, ma ciò che produsse (fucili, carri armati, sostanze chimiche e bombe) non rese le persone più ricche; le rese più povere.
In ogni caso avrete notato la relazione causale: lo stato impose la sua volontà all'economia allontanandola dalla produzione di ciò che le persone volevano per produrre ciò che gli addetti ai lavori volevano. Fino alla metà degli anni '70 la ricchezza dei ricchi e dei poveri aumentò, in tandem. Più o meno alla stessa velocità. Poi iniziarono a divergere, poco a poco all'inizio, e successivamente di molto.
Quindi l'economia italiana non è stata un flop totale per tutti, ma qualcosa è andato molto storto.
NON È IL CAPITALISMO A FALLIRE
È il capitalismo la fonte dei guai economici? La sua presunta propensione a suicidarsi?
Se avessi un satoshi per ogni volta che un economista ha affermato che “il capitalismo ha fallito” ogni giorno dovrei organizzare “gite in barca”. Il capitalismo non fallisce mai, si adatta a qualsiasi restrizione e circostanza gli imponiamo stupidamente. Nell'economia di Henry Ford gli Stati Uniti erano la nazione più libera e “più capitalista”, dato che rispettavano le tre cose che rendono possibili gli accordi win-win (vicendevolmente vantaggiosi): diritti di proprietà, contratti rispettati e denaro reale. L'economia odierna ha ancora diritti di proprietà e i contratti sono ancora fatti rispettare nei tribunali, sebbene il capitalismo oggi sia soggetto a molte più intromissioni e interventi rispetto a cento anni fa.
La grande differenza è che l'economia odierna funziona a credito, non con denaro reale. Il cambiamento è avvenuto in un giorno ormai familiare, il 15 agosto 1971. Fu appena notato, ancora oggi la maggior parte delle persone ricorda chi vinse il campionato allora piuttosto che ricordare il cambio di rotta che distorse l'intero sistema monetario mondiale.
Henry Ford si arricchì realizzando qualcosa che la gente voleva. Non furono necessari sussidi governativi, non fu annunciata alcuna “transizione industriale”, non furono concesse sovvenzioni, nessuna agevolazione fiscale, nessun programma per installare stazioni di rifornimento in tutta la nazione. Ford vendette le sue auto con un profitto e aumentò i salari dei suoi lavoratori, in denaro reale. Se Ford voleva fare più soldi, doveva produrre più auto... auto migliori... e renderle più efficienti; è così che funziona un'economia capitalista onesta. Si ottiene dando, non prendendo.
E oggi, sì, ci sono ancora alcuni capitalisti veri in giro. Elon Musk, per esempio, che si dice “dorma sul pavimento della fabbrica” di tanto in tanto, e James Dyson, il quale supervisiona personalmente lo sviluppo e la produzione di asciugacapelli, aspirapolvere, ecc. Tuttavia la maggior parte dei potenziali miliardari non è attratta dall'economia reale delle cose, ma dalle fantasie finanziarizzate di Wall Street. Creano hedge fund, o investono nel capitale di rischio, o fanno fusioni e acquisizioni; i loro cuori possono essere fuligginosi, ma le loro mani sono pulite. Perché Wall Street? Perché è lì che si trova il nuovo denaro basato sul credito. Ai tempi di Henry Ford il credito derivava dai risparmi e questi ultimi derivavano dal lavoro. I soldi bisognava guadagnarseli, creando più PIL reale, prima di poterli risparmiare. Non si potevano creare nuovi risparmi “dal nulla”, perché, in definitiva, bisognava fare i conti con l'oro. Ma tutto questo è cambiato nel 1971. Oggi le grandi banche prendono in prestito denaro tramite il credito delle banche centrali, spesso al di sotto del livello d'inflazione dei prezzi al consumo.
Il nuovo sistema monetario si basa su un'illusione: che il “credito” sia altrettanto valido dei vecchi risparmi. Ciò ha portato a un'altra illusione, ancora più pericolosa, che le banche centrali possano aumentare la quantità di credito disponibile quando vogliono e che siano esse, piuttosto che acquirenti e venditori, a determinare i tassi d'interesse. Naturalmente i tassi tendono a scendere artificialmente in questo ambiente: è così che si fanno soldi in un sistema monetario fasullo, ovvero si prende in prestito a poco, si scommette sugli “asset finanziari” e, in base ai valori gonfiati delle proprie attività collaterali, si è in grado di prendere in prestito ancora di più. Il credito scoperto e i tassi d'interesse artificialmente bassi hanno reso possibile acquistare cose che in realtà non contribuivano alla ricchezza della nazione. Ogni centesimo del debito pubblico, ad esempio, è stato registrato nel PIL, ma come le bombe naziste o il sapone sovietico la maggior parte di ciò ha finanziato una realtà fasulla, senza valore o transitoria.
Il credito scoperto ha reso possibile a consumatori e aziende di acquistare cose di cui non avevano realmente bisogno con denaro che in realtà non avevano.
Il panettone comprato lo scorso Natale e poi comparso nelle spese da saldare della carta di credito, era reale. È stato consumato, goduto. Era “fittizio”? No, ma l'aumento del PIL che ha generato era solo metà della storia. Ciò che il credito dà, il rimborso, l'inadempienza o l'inflazione deve togliere. Quando il conto viene finalmente pagato, il PIL dovrebbe essere ridotto di una quantità equivalente (poiché il denaro viene sottratto all'economia dei consumatori per rimborsare il prestito), quindi finché il debito cresce (con conti non pagati) otteniamo un falso senso di PIL reale.
Immaginate di comprare l'auto del vostro vicino. Il PIL salirebbe, ma supponiamo che in seguito vorreste restituirla e riavere indietro i soldi. Dal punto di vista economico è stato un viaggio di andata e ritorno verso il nulla. Nessun aumento reale della produzione. Il PIL registrala vendita come un qualcosa di positivo... ma non il rimborso come un qualcosa di negativo. In altre parole il PIL riflette solo metà della transazione!
Ora immaginate di prendere in prestito i soldi per acquistare l'auto e di volerla tenere. Il PIL mostrerebbe un guadagno “fittizio” e sarebbe tale perché c'è una riduzione uguale e opposta della produzione ancora non registrata. Il debito totale rappresenta aumenti della produzione che non sono ancora stati pagati. Quanto di questo è PIL fasullo? Impossibile dirlo.
PANDEMONIO CONSAPEVOLE
Questi fattori sono ben noti anche ai pianificatori centrali e vengono utilizzati nei periodi di transizione in cui perdono il controllo e hanno bisogno che gli attori di mercato seguano il loro copione. È una questione di fiducia, la quale è andata persa definitivamente nel 2008. Le banche centrali sono degli illusionisti: il braccio armato delle banche deboli per costringere quelle forti a finanziarle. Sono sostanzialmente prive di un qualsiasi potere significativo. Come degli illusionisti danno l'idea di averlo, ma nessuno guarda le loro mani e riesce a seguire il trucco a velocità normale. La velocità ve l'ho rallentata io nel precedente articolo che ho scritto: prestiti al settore privato al palo. Come si ricostruisce questa fiducia? Powell e la FED hanno un piano: ridare prevedibilità all'economia statunitense. Come? Normalizzando la curva dei rendimenti. In questo modo si rende relativamente più sicuro addentrarsi nel mondo dei derivati, soprattutto quelli legati agli swap sui tassi d'interesse e sulle valute. Ora che la Yellen non può più usare il Ministero del Tesoro per fare un QE tramite le scadenze a breve termine e facilitare il compito dei player esteri (leggi Londra e Bruxelles) di vendere il dollaro, quest'ultimo continuerà a salire di prezzo ed esercitare pressione sulle altre divise.
Il gioco della BoE e della BCE per restare a galla, usare la loro stampante monetaria per comprare bond americani, vendere dollari e mantenere soppressi i differenziali di rendimento tra la scadenze obbligazionarie, è in sofferenza: nel processo stanno sacrificando euro e sterlina.
Uno dei motivi per il ciclo di rialzo dei tassi inaugurato dalla FED è stato quello di rendere sempre più difficile finanziare una guerra col portafoglio degli Stati Uniti. E questo non sarebbe stato possibile senza l'approvazione del SOFR, ma questa storia la potete trovare nel dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Adesso chi vuole la guerra deve finanziarsela da solo, come sta dimostrando il governo inglese. Adesso chi vuole uno stato sociale invasivo e ipertrofico deve finanziarselo da solo, come ha affermato Rutte di recente. Niente più leva finanziaria sconsiderata nel mercato dell'eurodollaro. Nemmeno Trump, di per sé, vuole un dollaro a basso costo, ma deve ingoiare il rospo per portare al tavolo delle trattative la cricca di Davos. Quest'ultima è stata in carica della presidenza degli Stati Uniti, soprattutto negli ultimi 4 anni, e farà letteralmente di tutto per impantanare gli USA in qualche guaio militare in Medio Oriente o in Europa orientale affinché il rubinetto fiscale dello zio Sam non venga chiuso.
Il tentativo fallito di colpo di stato in Corea del Sud (indovinate chi “ha inventato” la legge marziale...), il colpo di stato in Romania, l'abbattimento della democrazia in Moldavia, la rivoluzione colorata in Georgia, la balcanizzazione della Siria, sono tutti tasselli che si inseriscono nella narrativa di una cricca di Davos che le sta provando tutte per ripristinare la propria autorità e visione del mondo. Siamo entrati in un territorio pericoloso in Europa e in Inghilterra: la sostituzione dello stato di diritto con l'arbitrio volubile della classe dirigente. In uno stato di diritto tutti hanno accesso alle regole e sono chiare per tutti, nonché valide per tutti; in un ambiente in cui l'arbitrio è ad appannaggio della classe dirigente, nessuno sa quale siano le regole e cambiano in base alle circostanze. È così che si possono annullare elezioni legittime in Romania senza prove a supporto di reali interferenze esterne (presenti a quanto pare nelle presidenziali, ma magicamente assenti nelle parlamentari), oppure ignorare istituzioni come l'OSCE che hanno legittimato le elezioni in Georgia e alimentare sedizioni di piazza per ribaltare regolari esiti elettorali.
La cricca di Davos e i neoconservatori inglesi sanno benissimo che se non conservano la loro presunta infallibilità e ascendente, saranno relegati all'oblio geopolitico (come minimo) per i prossimi dieci anni. Come ho scritto anche nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ci sarà un evento del genere, ma per chi sarà?
Tutti gli occhi sono puntati sulle elezioni in Germania adesso.
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La Cina ammette di avere enormi debiti ombra, un grattacapo per l’UE e il Regno Unito e per i loro rating di credito
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-cina-ammette-di-avere-enormi-debiti)
Il pacchetto di stimolo per l'economia cinese, preannunciato dalla Banca Popolare Cinese a fine settembre, ha deluso per dimensioni e dettagli, ma ha ottenuto qualcosa per cui i governi dell'UE e del Regno Unito non ringrazieranno: ha attirato l'attenzione sulla portata del debito pubblico “ombra” della Cina e sulla loro reale intenzione di ridurlo. L'UE e il Regno Unito hanno in programma di aumentare il debito ombra per pagare la “transizione verde” e sperano che le agenzie di rating non notino l'escalation dell'onere del servizio del debito, per quanto ben avvolto in schemi finanziari innovativi.
La nuova misura e quanto già annunciato
Il nostro articolo precedente quantificava il pacchetto di stimolo a circa l'1% del PIL cinese.
Gli investitori attendevano il Congresso nazionale del popolo nella settimana del 4 novembre per ulteriori spiegazioni, o per l'ampliamento di queste proposte, o per nuove proposte, o per tutte e tre le cose. Alla fine non c'è stato nulla di nuovo, tranne una misura da 10.000 miliardi di yuan ($1.400 miliardi) per fare ciò che China File ha descritto come “finanziamento dei governi locali in modo che ripuliscano gli arretrati tra pagamenti ai dipendenti pubblici e alle aziende locali”.
Reuters ha spiegato il contesto: “Gli enti locali, di fronte a un debito elevato e a entrate in calo, hanno tagliato gli stipendi dei dipendenti pubblici e accumulato debiti con le aziende del settore privato”.
Nuova misura per saldare i debiti con le aziende del settore privato
La misura da 10.000 miliardi di yuan, pari al 7,9% del PIL, aumenta la capacità di indebitamento degli enti locali di 6.000 miliardi di yuan per il 2025-2027 e indirizza i restanti 4.000 miliardi di yuan in prestiti già approvati per il 2024-2028.
Tutti i 10.000 miliardi di yuan saranno utilizzati per pagare i debiti nei cosiddetti Local Government Financing Vehicles, o LGFV. Questi debiti sono oneri non pagati e dovuti dai governi locali al settore privato e sono stati raccolti in questi LGFV, la cui identità legale è confusa, nonostante abbiano un nome ufficiale che conferisce loro un'apparenza di sostanza. Non è passato denaro contante per gli oneri da registrare sotto forma di un LGFV: il denaro contante passerà solo quando gli oneri saranno pagati, il che avverrà entro la fine del 2028.
Un LGFV non è altro che un'estensione del libro mastro dei conti da pagare dell'ente governativo locale, ma non è supportato da processi sufficientemente solidi da far sì che l'FMI e le autorità cinesi concordino sul saldo: la quantificazione accurata è uno dei problemi del debito ombra.
Analisi dell'FMI sul debito pubblico cinese
La misura da 10.000 miliardi di yuan comporterà un aumento del debito esplicito degli enti locali, e per estensione quello del debito pubblico cinese, e una diminuzione uguale e opposta nei vari strati degli LGFV.
L'FMI ha di recente pubblicato questo grafico in cui sono rappresentati i diversi livelli di indebitamento del settore pubblico cinese:
Il debito del governo centrale è modesto rispetto agli standard occidentali. L'indebitamento diretto da parte di enti governativi locali, controllati e mantenuti bassi nel Regno Unito, è grande quanto il debito del governo centrale. Il debito LGFV si aggiunge a questi numeri e poi esiste un nebuloso strato aggiuntivo di circa il 10% del PIL attuale (vale a dire circa $1.800 miliardi ora, in espansione entro il 2030 a circa $4.000 miliardi). Il risultato è un rapporto debito/PIL attuale di circa il 125%, che secondo le proiezioni dell'FMI salirà al 150% nel 2029.
Debito degli enti locali prima e dopo l'intervento
Il debito esplicito dei governi locali prima dell'intervento era di circa 30.000 miliardi di yuan, ovvero $4.200 miliardi. Il debito LGFV è stimato dall'FMI a 60.000 miliardi di yuan ($8.400 miliardi), ovvero il 47% del PIL cinese da $17.795 miliardi.
Si tratta del 400% della cifra per il debito LGFV che le autorità di Pechino hanno segnalato. Il ministro delle Finanze, Lan Foan, ha quantificato il debito LGFV in 14.300 miliardi di yuan ($2.000 miliardi) e vuole ridurlo a 2.300 miliardi di yuan ($321 miliardi) entro il 2028.
Tuttavia, se i dati dell'FMI sono corretti, la misura annunciata ridurrà il debito dagli attuali 60.000 miliardi di yuan a 50.000 miliardi di yuan entro il 2028, ovvero a $7.000 miliardi, o al 39% del PIL odierno.
Il riconoscimento dell’esistenza del debito ombra è un duro colpo per l’UE e il Regno Unito
È confortante che un Paese importante ammetta l'esistenza di un debito pubblico ombra. Questo non piacerà all'UE o al Regno Unito, però. Né piacerà l'estrema differenza tra le cifre fornite a riguardo dall'FMI e dalle autorità cinesi.
Anche gli stati membri dell’UE hanno un debito ombra a livello di entità sovranazionali e a livello di entità del settore pubblico e di regimi fuori bilancio degli stati membri.
Alla fine del 2021 Eurostat ha registrato il debito nazionale aggregato dell'UE (il “debito lordo delle amministrazioni pubbliche” di tutti gli stati membri) a €13.000 miliardi, pari al 90% del PIL dell'UE. La cifra effettiva del debito pubblico dell'UE, incluso il debito ombra, era più vicina ai €19.000 miliardi, ovvero il 134% del PIL dell'UE. Includendo anche le passività potenziali del settore pubblico, la passività totale sale a quasi €23.200 miliardi, ovvero il 160% del PIL.
I debiti mancanti includono quelli dell'UE stessa, come il Fondo di recupero per il Coronavirus da €750 miliardi e debiti in programmi sostenuti dal settore pubblico come InvestEU. Le passività potenziali includono garanzie dietro entità sovranazionali come la Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per la stabilità finanziaria.
Le cifre pubblicate dal Regno Unito sono più complete e le sue passività nei confronti delle entità sovranazionali dell'UE è diventata limitata. Non ha, a differenza dell'UE, una serie di entità del settore pubblico con i propri poteri di prestito il cui servizio del debito deve essere attinto allo stesso pozzo. Ciò che ha è uno schema fuori bilancio chiamato Private Finance Initiative o PFI, risalente agli anni del New Labour nel periodo 1997-2010, in base al quale una spesa in conto capitale di £50 miliardi ha prodotto un debito ombra da £278 miliardi e sarà estinto entro il 2053.
L'unica via è verso l'alto (per il debito) e verso il basso (per i rating creditizi)
L'esistenza di questi debiti ombra dovrebbe costare almeno due declassamenti di rating per tutta la Cina, gli stati membri dell'UE, tutte le entità sovranazionali dell'UE e il Regno Unito. Ma le agenzie di rating sembrano essere beatamente ignare dell'esistenza di questi debiti extra e del loro impatto sui rapporti debito/PIL.
Questa situazione non può certamente continuare, poiché la “decarbonizzazione” e la “transizione verde” stanno facendo ampio uso di schemi fuori bilancio: InvestEU all'interno dell'UE, il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile al di fuori dell'UE e gli “investimenti in infrastrutture critiche” di Rachel Reeves per i quali intende sfruttare (ovvero saccheggiare) i sistemi pensionistici del Regno Unito.
Riepilogo
La Cina ha ammesso l'esistenza di debiti ombra considerevoli, poi ha permesso che circolassero quantificazioni delle loro dimensioni che differivano tra loro di un fattore del 400%.
Ciò richiama l'attenzione su un problema fondamentale dei debiti ombra: quantificarne l'entità e l'impatto.
Dare così tanta visibilità alla questione non fa alcun favore all'UE e al Regno Unito, poiché i debiti ombra alimentano le statistiche economiche illusorie dell'Europa: i rapporti debito/PIL sono molto peggiori di quanto appaiano, perché i debiti ombra vengono trascurati.
Questa disconnessione sostiene rating di credito pubblico gonfiati per l'Europa, cosa che richiede un declassamento generalizzato di due livelli come primo passo nel processo di ancoraggio all'onere del debito complessivo e alla capacità di ripagamento per far fronte a tale onere.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Provoked: la lunga serie di abusi che hanno portato alla guerra in Ucraina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/provoked-la-lunga-serie-di-abusi)
“Una volpe sa molte cose, ma un riccio ne sa una davvero grande”. Scott Horton è il riccio della politica estera nel circolo del movimento per la libertà, il quale si sforza di convincere il popolo americano di una verità critica: la follia della guerra. Ma in questa stessa sfera Horton è anche una volpe e tesse una conoscenza enciclopedica di vari conflitti in un elaborato e convincente arazzo che accusa élite, intellettuali, il complesso militare-industriale e, con il suo caratteristico vetriolo, i neoconservatori, i quali hanno spinto gli Stati Uniti verso guerre inutili.
Provoked: How Washington Started the New Cold War with Russia and the Catastrophe in Ukraine si adatta perfettamente a questo schema, non perché Horton distorca i fatti in una narrazione preconcetta ma perché sono spesso le stesse persone che spingono un conflitto dopo l'altro e ricorrono allo stesso, logoro manuale. Il tomo di Horton è avvincente, dall'inizio alla fine. Oggi mi concentrerò sui primi anni della Guerra Fredda, poiché questa parte della storia è spesso trascurata nei dibattiti contemporanei sulle origini della guerra in Ucraina.
Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell'URSS, gli USA si trovarono di fronte a una crisi: a cosa serviva l'alleanza militare NATO senza più il nemico sovietico contro cui schierarsi? Più in generale, quale grande strategia avrebbero dovuto adottare gli USA ora che contenere il comunismo era obsoleto? Per i neoconservatori, la cui risposta dopo la Guerra Fredda fu un'egemonia globale benevola, la soluzione era adattare la NATO: assorbire gradualmente più nazioni europee, lasciando la Russia contenuta e accerchiata, in una posizione persino peggiore rispetto alla Guerra Fredda. La NATO doveva espandere la sua missione per mantenere la pace europea ed espandere la democrazia occidentale.
Da George H. W. Bush a oggi, il resoconto meticolosamente compilato da Horton dimostra che gli USA e altri leader occidentali hanno comunicato ai leader e ai funzionari russi che la NATO non si sarebbe espansa a Est e avrebbe persino consentito l'adesione della Russia alla NATO. Vari sforzi come il Partenariato per la Pace e l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa sono stati promossi per alimentare questa impressione che la Russia sarebbe stata inclusa negli affari, nelle alleanze e nelle istituzioni europee, piuttosto che formare un allineamento contro di essa. I leader statunitensi e occidentali hanno assunto posizioni praticamente opposte internamente, con il risultato che i russi sono stati deliberatamente tratti in inganno. Ciò a cui abbiamo assistito è, in termini con cui gli americani hanno familiarità, “una lunga serie di abusi e usurpazioni che hanno seguito invariabilmente lo stesso Obiettivo".
Tutto cominciò con George H. W. Bush che promise a Mikhail Gorbachev, dopo la caduta del Muro di Berlino e mentre l'Unione Sovietica precipitava, che gli USA non avrebbero approfittato della situazione. Ciò si rifletteva anche in una risoluzione della NATO del 7 giugno 1991. Bush e i suoi consiglieri promisero che la NATO non si sarebbe espansa se l'Unione Sovietica si fosse ritirata e avesse consentito la riunificazione tedesca. L'accordo del 1990 specificava solo che gli USA non avrebbero schierato truppe nella Germania dell'Est, una sfumatura che i falchi in Russia sfruttarono per sostenere che non c'era alcuna promessa di non espandere la NATO. Horton si pone la seguente domanda retorica: che senso avrebbe avuto per l'Unione Sovietica estorcere una promessa di non schierare truppe nella Germania dell'Est, se gli USA avessero avuto mano libera per portare il resto dell'Europa orientale in un'alleanza militare? Questo accordo aveva senso solo sullo sfondo di un accordo di non espandere la NATO.
I peccati degli anni Clinton erano legione. Nei primi anni '90 gli Stati Uniti inviarono economisti dell'Harvard Institute of International Development in Russia per attuare quella che venne chiamata una politica economica di “terapia d'urto”. Era così mal progettata ed ebbe risultati talmente scarsi che molti russi pensarono che dovesse essere deliberata. Non sorprende che anche ciò non abbia spinto i russi a vedere l'Occidente favorevolmente. Per tutto quel decennio Clinton e i suoi consiglieri offrirono in modo ingannevole alla Russia la promessa che sarebbe stato perseguito un processo di “Partenariato per la pace” piuttosto che l'espansione della NATO, e che quest'ultima avrebbe perso il suo carattere militare, il tutto pianificando di espanderla in modo subdolo.
L'amministrazione Clinton fu pesantemente coinvolta nelle guerre nei Balcani di Bosnia e Kosovo, la cui connotazione era tutt'altro che “umanitaria”. Il risultato per la Bosnia fu che la NATO si dimostrò capace di portare a termine una nuova missione, mentre gli USA si consolidarono alla guida degli affari europei, ognuno dei quali era necessario per la successiva espansione della NATO. Il Kosovo consolidò ulteriormente il nuovo ruolo della NATO nel continente, intervenendo persino nelle guerre civili, mentre la campagna di bombardamenti contro la Serbia convinse i russi che gli USA erano una grande potenza aggressiva e spietata, e che avrebbe violato le regole internazionali quando gli faceva comodo. Gli USA si impegnarono in questa guerra aggressiva, in violazione della Carta delle Nazioni Unite, senza l'approvazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (di cui faceva parte la Russia). Tanti saluti all'ordine internazionale basato sulle regole. La frequente revisione delle regole da parte degli USA era una lamentela della Russia, anche durante la guerra in Iraq.
Inoltre quando la Russia entrò in guerra contro la Cecenia separatista, la CIA e gli alleati degli Stati Uniti sostennero i ribelli ceceni e i combattenti mujaheddin separatisti che combattevano dalla parte della Cecenia con l'obiettivo di interrompere un oleodotto russo. Anche questo evento è stato citato da Putin quando ha invaso l'Ucraina (come se tutto ciò non bastasse, Horton mostra come l'amministrazione Clinton sostenne i terroristi di bin Laden nelle guerre nei Balcani e in Cecenia; infatti più della metà dei dirottatori dell'11 settembre erano coinvolti in quelle guerre).
L'ascesa di Putin è stata essa stessa una conseguenza degli interventi clintoniani degli anni Novanta: dalla politica economica della “terapia d'urto”, all'aiuto a Eltsin per la rielezione nel 1996, al Kosovo e alla Cecenia. Come sottolinea Horton, Putin ha invocato il precedente del Kosovo per “proteggere” una minoranza etnica e giustificare l'invasione dell'Ucraina. In un esempio della guerra del Kosovo, Horton ha raccontato di come l'amministrazione Clinton ordinò il bombardamento di una stazione televisiva serba. Queste azioni influenzano ancora oggi i pensieri di Putin sull'Occidente: il suo attacco a una torre televisiva a Kiev nel febbraio 2022 ha riportato alla mente quel conflitto.
Il NATO-Russia Founding Act del maggio 1997 fu un'altra pietra miliare nella doppiezza di standard degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Garantiva che la NATO non avrebbe schierato armi nucleari o “ingenti” truppe nei territori delle nuove nazioni NATO. È importante notare che l'amministrazione Clinton indusse la Russia a credere che il Founding Act avrebbe dato alla Russia un ruolo autentico nelle deliberazioni della NATO, sebbene non avrebbe avuto voce in capitolo all'interno dell'alleanza stessa; infatti, stando alle parole del consigliere di Clinton, Strobe Talbott, il punto di vista degli Stati Uniti era che “tutto ciò che promettiamo loro sono riunioni mensili”.
L'amministrazione Clinton diede in pasto alla Russia solo bugie: la missione della NATO stava diventando politica piuttosto che militare. Venne persino detto che la porta era aperta alla possibilità che la Russia sarebbe entrata nella NATO, ma Horton dimostra che non c'era alcuna intenzione di fare nulla di tutto ciò. A peggiorare le cose nel luglio 1997 la NATO e l'Ucraina firmarono un accordo che avrebbe previsto l'addestramento dell'esercito ucraino e migliorato la loro interoperabilità con la NATO; nell'agosto 1997 venne pianificata un'esercitazione militare che coinvolse diversi ex-stati del Patto di Varsavia e repubbliche sovietiche per simulare l'intervento militare degli Stati Uniti in un conflitto etnico in Crimea.
E non era tutto. Gli USA cercarono di escludere la Russia dal petrolio del bacino del Caspio rifiutandosi di far passare un oleodotto dall'Azerbaijan attraverso la Russia, spingendolo invece verso una rotta occidentale attraverso la Turchia. Gli USA sostennero anche il raggruppamento GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia) per “accelerare l'integrazione europea ed escludere l'influenza della Russia dal Caucaso meridionale”, come racconta Horton, a cui la Russia si oppose fortemente definendolo un “Asse del male” nel 2005. Nel 1999 l'amministrazione Clinton violò anche il Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa siglato da Bush e Gorbachev, sostenendo che le “basi militari permanenti degli USA in Bulgaria e Romania” erano in realtà solo temporanee.
La fine degli anni Clinton diede inizio a un'ondata di “rivoluzioni colorate” nel cortile di casa della Russia. La cosa fondamentale di queste “rivoluzioni” era una: ampiamente finanziate e supportate da governi stranieri o ONG, come i gruppi di George Soros. Invece di rovesciare direttamente o segretamente un sistema esistente, queste organizzazioni operano “alla luce del sole”, il che significa che evitano di sostenere specifici candidati, poiché ciò sarebbe illegale, e invece finanziano e assistono gruppi che promuovono sforzi più generici e non partigiani come la “democrazia”. Le loro attività sono orientate ad “avvantaggiare [...] un certo candidato o un certo partito”. Una tattica preferita è quella di usare la “tabulazione parallela dei voti” o gli exit poll, utilizzati per contestare i risultati ufficiali delle elezioni. La disputa in genere si riversa in manifestazioni di piazza con l'obiettivo di estromettere il presunto vincitore.
Le “rivoluzioni” iniziarono in Serbia nel 2000 con l'estromissione della bestia nera di Clinton, Slobodan Milošević. Come commenta Horton, quell'evento culminò col “saccheggio e incendio dell'edificio del parlamento [serbo] in quella che potremmo edfinire una violenta insurrezione orchestrata dagli americani”. Nei decenni successivi numerosi altri stati sarebbero stati presi di mira per rivoluzioni colorate dagli Stati Uniti e dai loro alleati nelle ONG sostenuti da Soros.
Quanto descritto finora scalfisce solamente la superficie delle provocazioni post-Guerra Fredda nei confronti della Russia che Horton documenta, per non parlare delle follie e delle malefatte avvenute durante la presidenza di George W. Bush e in seguito. Horton sostiene in modo convincente che gli Stati Uniti hanno provocato la Russia nel corso di tre decenni, sapendo che quest'ultima avrebbe risposto con ostilità all'espansione della NATO. Ciononostante i leader e i funzionari degli Stati Uniti hanno continuato, realizzando i loro sogni più sfrenati di espansione della NATO e puntando a quello che è sempre stato il gioiello della corona: l'Ucraina. Non doveva andare così, ma il tempo stringe. Contro ogni aspettativa razionale l'amministrazione Biden è riuscita a raggiungere nuove vette di assurdità nella sua politica di escalation contro la Russia, spuntando una casella sul pericoloso piano di “pace” in cinque punti di Zelensky. Questa guerra non finirà tanto presto.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
La mano di Obama sull'insabbiamento dei fatti in Ucraina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/la-mano-di-obama-sullinsabbiamento)
La settimana scorsa abbiamo scritto del ruolo centrale che Obama ha avuto nel creare la bufala del Russiagate. Oggi daremo un'occhiata più da vicino al motivo per cui Obama era coinvolto: cosa lo ha spinto a promuovere una bufala che era stata messa in atto dalla campagna della Clinton?
Molti sono a conoscenza degli intrighi di Biden in Ucraina, ma la maggior parte ignora il coinvolgimento implicito di Obama. Da qualche tempo ormai la nostra ipotesi di lavoro è che il Russiagate abbia avuto origine, almeno in parte, come risultato di ciò che Joe Biden stava facendo in Ucraina, e come risultato della conoscenza da parte di Obama delle sue azioni.
Ricordiamo che il coinvolgimento di Biden in Ucraina risale almeno all'inizio del 2014, quando fu coinvolto nel rovesciamento delle elezioni democratiche in Ucraina da parte degli Stati Uniti tramite Victoria Nuland, assistente segretario per gli affari europei ed eurasiatici al Dipartimento di Stato durante la presidenza Obama.
Nel novembre 2013 il presidente ucraino Yanukovych rifiutò un accordo commerciale sostenuto dagli Stati Uniti con l'Unione Europea in favore di un salvataggio di emergenza da parte della Russia, una decisione comprensibile dal punto di vista dell'Ucraina, ma che la Nuland e i suoi colleghi al Dipartimento di Stato trovarono profondamente sconvolgente.
Quando l'Unione Europea seguì la via diplomatica per risolvere l'impasse proponendo un accordo di condivisione del potere, la Nuland si affrettò a porre il veto all'idea, dicendo durante una telefonata trapelata, “[imprecazione] l'UE”. In quella stessa telefonata la Nuland discusse i suoi piani per la cacciata di Yanukovych e l'insediamento del leader dell'opposizione, Arseniy Yatsenyuk, come primo ministro.
Verso la fine della conversazione, la Nuland fece notare che il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, l'aveva informata che “hai bisogno di Biden”, e concluse dicendo che “Biden è disponibile”.
Biden venne effettivamente nominato uomo di punta dell'amministrazione Obama in Ucraina nel febbraio 2014. Il 22 febbraio di quell'anno, proprio come aveva pianificato la Nuland, Yanukovych fu rimosso dalla carica di presidente dell'Ucraina e, tre giorni dopo, Yatsenyuk, il candidato favorito dalla Nuland, fu nominato primo ministro.
In altre parole, il governo degli Stati Uniti permise un colpo di stato che estromise un leader eletto democraticamente e lo sostituì con un proprio candidato. La cacciata di Yanukovich guidata dagli Stati Uniti ebbe anche altre ripercussioni interne, in particolare lo scoppio di una guerra civile di otto anni tra l'Ucraina occidentale e la regione di lingua russa del Donbass.
L'idea che tutto questo avrebbe potuto essere fatto senza l'approvazione diretta di Obama è ovviamente ridicola.
Uno dei membri del governo di Yanukovych che perse la sua posizione nel governo a seguito del colpo di stato fu Mykola Zlochevsky, l'oligarca proprietario di Burisma Energy. Aveva prima ricoperto il ruolo di ministro dell'ecologia e delle risorse naturali e poi quello di vicesegretario per la sicurezza economica e sociale. Durante il suo mandato al governo, le aziende di Zlochevsky, in particolare Burisma, ricevettero un numero insolitamente elevato di permessi per estrarre petrolio e gas.
Nell'aprile 2014 i procuratori del Regno Unito sequestrarono $23,5 milioni in beni di proprietà di Zlochevsky, detenuti presso una banca di Londra, sostenendo che egli avesse commesso condotte criminali in Ucraina. Fu in questo stesso periodo che Burisma nominò il figlio di Biden, Hunter, e il suo stretto collaboratore, Devin Archer, nel proprio consiglio di amministrazione.
Il 21 aprile 2014 Joe Biden si recò in Ucraina, offrendo non solo il suo sostegno politico, ma anche $50 milioni in aiuti al nuovo governo traballante dell'Ucraina. Durante la visita di Joe in Ucraina, il 22 aprile, venne annunciato che Archer era improvvisamente entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma.
Nello stesso mese anche Hunter entrò a far parte del consiglio di amministrazione di Burisma , ma curiosamente quest'ultima non annunciò la sua nomina fino al 12 maggio 2014, dopo la conclusione della visita del padre in Ucraina.
Molti hanno descritto il coinvolgimento di Hunter come un semplice mezzo per estorcere ingenti compensi al consiglio di amministrazione di Burisma per la sua semplice associazione con la famiglia Biden. Sebbene ciò possa essere verosimile, sospettiamo anche che c'era in gioco qualcosa di più grande: il gas naturale dell'Ucraina.
In una proposta del 23 giugno 2014 di Boies Schiller, lo studio legale che impiegava Hunter, a Burisma venne dato quello che lo stesso Schiller definì uno “Strategic Outline for Legal Defense Plan”. La loro proposta affermava di voler “isolare Burisma da interruzioni delle operazioni motivate politicamente, comprese le contestazioni alle licenze, ora e in futuro”.
La proposta di Boies Schiller si riferiva alle licenze per il gas naturale accumulate illegalmente da Zlochevsky durante il suo mandato nel governo ucraino.
Come parte di questa strategia, Boies voleva “incontrare quei funzionari a Washington, DC che guidano la politica statunitense relativa all'Ucraina per informarli su chi è Burisma, la sua importanza per il futuro dell'Ucraina e chiedere il loro consiglio/assistenza”.
La proposta diceva che “stiamo avviando il processo di creazione di una camera di risonanza di funzionari statunitensi che discutono di Burisma tra di loro e, incoraggiandosi a vicenda, incotnrano i vertici di Burisma”. Boies scrisse nella sua proposta di aver già parlato con un certo numero di membri del Congresso e il loro staff, tra cui il senatore Chris Murphy e il suo capo dello staff.
Anche Amos Hochstein, inviato speciale di Obama per l'energia internazionale negli Stati Uniti, fu menzionato nella proposta di Boies, potenziale protagonista di un incontro tra lui e il CFO di Burisma, Vadym Pozharskyi. L'incontro non ebbe luogo, sebbene Hochstein avesse incontrato il lobbista di Burisma, David Leiter, e la partner legale di Boies, Heather King.
Nel frattempo gli sforzi di Hunter continuavano. In un'e-mail del novembre 2014 Hunter disse al suo storico uomo d'affari, Eric Schwerin, di “inviare le informazioni di contatto di D Amos [...]. Amos è un 'Inviato speciale facente funzione al Bureau of Energy Resources' presso il Dipartimento di Stato”.
Ciò che è chiaro da questi documenti è che Hunter e Archer stavano lavorando per ottenere un sostegno politico di alto livello per Burisma da membri del Congresso e funzionari dell'amministrazione Obama in un momento in cui era chiaro che Burisma era gestita da un oligarca ucraino corrotto. E quel sostegno sembrava essere incentrato sulla protezione del gas naturale di Burisma.
Abbiamo scritto diverse volte sugli sforzi di Joe Biden per far rimuovere il procuratore ucraino Viktor Shokin, quindi non ripeteremo qui l'intera storia. Ma vale la pena ricordare che potrebbe essere stato proprio intorno alla sequenza di eventi che hanno portato al licenziamento di Shokin che Obama potrebbe essersi allarmato.
Il livello di coinvolgimento dei funzionari di Obama non avrebbe fatto che accelerare nel 2015, dopo che i Biden furono ulteriormente coinvolti negli intrighi legali di Burisma, sotto inchiesta per il furto di gas naturale dell'Ucraina.
Il 2 novembre 2015, dopo aver ricevuto una nuova richiesta di aiuto da parte di Zlochevsky per porre fine alle indagini su Burisma, Hunter contattò immediatamente il già menzionato Hochstein. Hunter lo avrebbe incontrato di persona quattro giorni dopo, il 6 novembre 2015. Hochstein in seguito disse, con riluttanza (e in modo evasivo), agli investigatori del Congresso che Hunter “voleva conoscere le mie opinioni su Burisma e Zlochevsky”.
Nell'ottobre 2015 Hochstein, all'epoca ancora inviato speciale di Obama per l'energia internazionale, espresse privatamente a Joe Biden le sue preoccupazioni sul ruolo di Hunter presso Burisma e nuovamente durante un volo per l'Ucraina il 7 dicembre 2015.
Abbiamo menzionato Hochstein diverse volte per un motivo: fu nominato da Obama per “aiutare l'Ucraina e altri Paesi europei a trovare nuove forniture di gas naturale dopo che la Russia aveva invaso” la Crimea nel 2014. Hochstein “ha anche lavorato su questioni energetiche relative alle sanzioni contro l'Iran e la Russia” e “ha lavorato a stretto contatto con funzionari del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca e altre agenzie governative”.
Hochstein era l'uomo di punta di Obama sulla situazione energetica in Ucraina. Se Hochstein sapeva tutto quello che facevano i Biden, lo sapeva anche Obama.
Un'ulteriore prova di ciò viene da una serie di incontri tra i procuratori del National Anti-Corruption Bureau (NABU) dell'Ucraina, i funzionari del National Security Council di Obama, dell'FBI, del Dipartimento di Stato e del DOJ, avvenuti nel gennaio 2016. L'ambasciata ucraina a Washington ha successivamente “confermato che l'amministrazione Obama aveva richiesto gli incontri”.
A questi incontri del gennaio 2016 era presente Andrii Telizhenko, allora dipendente dell'ambasciata ucraina. Secondo quest'ultimo un tema ricorrente in queglii incontri era “quanto fosse importante che tutti i nostri sforzi anticorruzione fossero uniti”. Inoltre a Telizhenko fu detto che i funzionari statunitensi “avevano interesse a far rivivere un'indagine, ormai chiusa, sui pagamenti a personaggi statunitensi da parte del Partito delle Regioni ucraino sostenuto dalla Russia”.
L'attenzione dei funzionari statunitensi era rivolta al futuro Campaign Manager di Trump, Paul Manafort. Sappiamo che “gli agenti hanno intervistato Manafort nel 2014 per sapere se avesse ricevuto pagamenti non dichiarati” e “se avesse svolto attività improprie di lobbying in Ucraina”.
Secondo Telizhenko “i funzionari del Dipartimento di Giustizia hanno chiesto agli investigatori del NABU ucraino se potevano aiutarli a trovare nuove prove sui pagamenti del Partito delle Regioni e sui suoi rapporti con gli americani”. Paul Manafort sarebbe stato in seguito implicato nei pagamenti del Partito delle Regioni, il che avrebbe portato alla sua definitiva rimozione dalla campagna di Trump.
Nel gennaio 2016, proprio durante l'incontro del NABU con i funzionari di Obama, Alexandra Chalupa, che stava indagando sul lavoro di Manafort in Ucraina, informò un alto funzionario del DNC di ritenere che ci fosse un collegamento tra la Russia e la campagna di Trump.
Questo tema sarebbe stato ripreso dalla campagna della Clinton e dall'intelligence americana nell'estate del 2016. Chalupa disse anche al funzionario di aspettarsi il coinvolgimento di Manafort nella campagna di Trump; come lo sapesse in anticipo non è mai stato spiegato del tutto.
Il NABU fu fondato nell'ottobre 2014 con l'assistenza del governo degli Stati Uniti, spinto dal vicepresidente Joe Biden e da Victoria Nuland. A gennaio 2016 il direttore del NABU, Artem Sytnyk, annunciò che il suo ufficio era vicino alla firma di un Memorandum di cooperazione con l'FBI e che entro il 9 febbraio esso avrebbe avuto un rappresentante permanente in loco presso gli uffici del NABU.
Una settimana dopo l'insediamento del primo rappresentante dell'FBI presso il NABU, il 18 febbraio 2016 — mentre Joe Biden stava spingendo per la rimozione di Shokin — le autorità lettoni segnalarono una serie di transazioni finanziarie “sospette” collegate a Hunter Biden, Devon Archer e altri due individui sconosciuti coinvolti con Burisma.
Successivamente venne riportato che “tra il 2012 e il 2015 una serie di ripagamenti di prestiti, per un totale di circa $16,6 milioni, sono stati indirizzati da aziende in Belize e nel Regno Unito a Burisma tramite la PrivatBank ucraina”. I funzionari lettoni affermarono che una parte di questi fondi venne trasferita a Hunter, Devon e a due individui senza nome, uno dei quali era un cittadino statunitense.
Nonostante le richieste di assistenza un funzionario lettone affermò che il suo governo non ricevette prove penali dall'Ucraina e quindi non intraprese ulteriori azioni nell'ambito delle indagini. Ci sembra poco plausibile che l'FBI, con la sua presenza attiva negli uffici anticorruzione dell'Ucraina, non fosse a conoscenza di queste transazioni, insieme a tutto il resto che i Biden stavano facendo.
Dal punto di vista di Obama e Biden, questa situazione con le autorità lettoni doveva essere contenuta prima che potesse esplodere. Infatti Shokin affermò in seguito che erano quelle informazioni a “rendere impossibile” la chiusura della sua indagine su Burisma.
Una volta che Biden riuscì a far licenziare Shokin il 29 marzo 2016, si concentrò su un nuovo obiettivo e una nuova direttiva: trovare il sostituto appropriato. Nonostante la rimozione di Shokin, l'indagine Burisma era ancora tecnicamente aperta.
Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, nominò Yuriy Sevruk come sostituto di Shokin lo stesso giorno del licenziamento di quest'ultimo. Nello stesso periodo Blue Star (assunta da Burisma su sollecitazione di Hunter) iniziò a esaminare attentamente Sevruk. Sembra che avesse deciso che quest'ultimo non era la persona giusta per concludere tutte le indagini su Burisma.
Lo sappiamo perché il 12 maggio 2016 l'ex-ministro degli Interni, Yuriy Lutsenko, fu improvvisamente nominato nuovo procuratore generale dell'Ucraina, in sostituzione di Sevruk. Il giorno dopo la nomina di Lutsenko, Biden approvò il finanziamento da $1 miliardo all'Ucraina che era stato originariamente previsto per il novembre 2014 durante una chiamata con Poroshenko.
Questo ritardo inspiegabile nei finanziamenti è importante, perché fin dall'inizio la Casa Bianca di Obama era profondamente coinvolta nel finanziamento dell'Ucraina. Sembra del tutto improbabile che Biden da solo avesse potuto ritardare $1 miliardo di finanziamenti che erano stati approvati dalla Casa Bianca sei mesi prima senza il consenso di Obama.
Il 27 maggio 2016 ci fu un'altra chiamata tra Biden e Poroshenko (Hunter fu inspiegabilmente inserito in copia conoscenza nell'email di pianificazione). Tre giorni dopo, il 30 maggio 2016, Lutsenko licenziò Sevruk. Ora c'era un team completamente nuovo presso l'ufficio del procuratore.
Non è una coincidenza che proprio quel giorno iniziarono i lavori preparatori per gli attacchi alla campagna di Trump. Nellie Ohr, moglie del funzionario del Dipartimento di Giustizia, Bruce Ohr, inviò un'e-mail al marito e ad altri tre funzionari del suo dipartimento rivelando l'esistenza della Black Box ucraina che fu poi usata per colpire Paul Manafort. Nessuno al di fuori dell'Ucraina era a conoscenza della Black Box, o Black Ledger, come è stata poi conosciuta.
Una volta che Biden ebbe finalmente sistemato la situazione del procuratore in Ucraina, dovette assicurarsi che le sue azioni restassero nascoste all'inchiesta pubblica. Tanto meno che qualsiasi indagine seria avrebbe potuto alla fine spostarsi verso Obama. Il che rese la campagna elettorale di Trump una minaccia chiara per Obama.
Obama e Biden non potevano permettersi che Trump curiosasse in Ucraina come nuovo presidente. Questo aiuta a spiegare l'improvviso attacco alla campagna elettorale di Trump nella tarda primavera del 2016, proprio mentre Biden dava gli ultimi ritocchi al licenziamento di Shokin; questo spiega anche l'esplosione di attacchi contro Trump una volta presidente.
Mentre ci addentravamo ulteriormente nella prima presidenza di Trump, ciò spiega anche la feroce risposta del DNC quando Trump iniziò a fare domande sulle azioni di Biden in Ucraina. Se gli fosse stato permesso di continuare, avrebbe scoperto tutte le malefatte di Biden, la supervisione di Obama e forse anche altre malefatte di altri membri dell'establishment di Washington.
Tutto ruota attorno all'Ucraina... e a Obama.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Soffierà aria di cambiamento nel settore delle criptovalute durante il secondo mandato di Trump
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/soffiera-aria-di-cambiamento-nel?r=12xido)
Le dimissioni del presidente della Securities and Exchange Commission (SEC), Gary Gensler, potrebbero trasformare il panorama normativo statunitense sulle criptovalute.
Gensler, un convinto critico del settore degli asset digitali, ha confermato sulla piattaforma X che si dimetterà dal suo incarico il giorno dell'insediamento del presidente Donald Trump.
Trump e Gensler hanno opinioni contrastanti sulle criptovalute.
Gensler ha adottato misure severe nei confronti del settore delle criptovalute da quando è stato nominato capo della SEC nel 2021.
Intervenendo alla Piper Sandler Global Exchange and FinTech Conference tenutasi a New York City lo scorso anno, il capo uscente della SEC ha affermato che la frenesia delle criptovalute è stata piena di “Imbonitori, truffatori, artisti della truffa, schemi Ponzi”.
“Non si dovrebbe permettere a tali mercati di minare la fiducia che il pubblico ha nei mercati dei capitali”, ha affermato Gensler . “Non si dovrebbe permettere a tali mercati di danneggiare gli investitori”.
Il presidente eletto Donald Trump si è impegnato a promuovere un cambiamento nella politica federale sulle criptovalute.
Nonostante Trump abbia promesso di licenziare Gensler il suo primo giorno alla Casa Bianca, ha anche proposto una serie di misure a favore di Bitcoin.
Vuole istituire una riserva nazionale in Bitcoin, creare un consiglio consultivo presidenziale sulle criptovalute e garantire che tutti i bitcoin rimanenti vengano minati a livello nazionale.
“Per troppo tempo il nostro governo ha violato la regola cardinale che ogni bitcoiner conosce a memoria: non vendere mai i propri bitcoin”, ha affermato Trump durante un discorso programmatico alla più grande conferenza del settore la scorsa estate.
Ora che la nuova amministrazione annovera funzionari pro-criptovalute, cambieranno le attività di regolamentazione della SEC?
Aria di cambiamenti normativi
Nell'anno fiscale 2024 l'attività di controllo dell'agenzia governativa nel settore delle criptovalute ha portato a multe per gli investitori per un totale di $8,2 miliardi.
Grazie alle sanzioni record, il numero dei casi è diminuito del 26% rispetto all'anno precedente.
“La Division of Enforcement segue i fatti e la legge per trovare i trasgressori”, ha affermato Gensler.
Ciò è avvenuto mentre la SEC ha delineato i suoi obiettivi per il nuovo anno.
A ottobre la Division of Examination della SEC ha pubblicato Fiscal Year 2025 Examination Priorities.
La relazione ha ribadito la posizione della SEC di continuare a monitorare il settore delle criptovalute, compresi i consulenti d'investimento, i broker-dealer e altri intermediari finanziari che vendono asset digitali o facilitano le transazioni.
“Gli esami dei registranti si concentreranno sull'offerta, la vendita, la raccomandazione, la consulenza, il trading e altre attività che coinvolgono criptovalute, offerte e vendute come titoli o prodotti correlati, tra cui bitcoin spot o prodotti quotati in borsa”.Con un nuovo sistema pronto a prendere il sopravvento, gli osservatori si stanno preparando al cambiamento, soprattutto con importanti sostenitori delle criptovalute alla guida di vari dipartimenti, tra cui Scott Bessent come Segretario al Tesoro e Howard Lutnick come Segretario al Commercio.
Per ora gli esperti del settore stanno inviando le loro raccomandazioni nella casella dei suggerimenti.
Stuart Alderoty, responsabile legale della società di pagamenti digitali Ripple, ha delineato diverse priorità che il team di transizione di Trump dovrebbe prendere in considerazione nella scelta del prossimo capo della SEC.
Nel primo giorno della nuova amministrazione Alderoty pensa che il governo federale dovrebbe porre fine ai contenziosi non legati alle frodi sulle criptovalute e garantire che i commissari Mark Uyeda e Hester Peirce rimangano nell'organismo di regolamentazione.
A lot of unsolicited advice on here about who should (or shouldn’t) be the next SEC Chair. I trust the transition team to make the right call with these table stakes for crypto in mind:
1.End all non-fraud crypto litigation on Day 1.
2.Get commitments from Commissioners Uyeda and…
Uyeda e Peirce sono stati alleati delle criptovalute alla SEC.
Uyeda, in un'intervista rilasciata a FOX Business, ha concordato con il presidente eletto sul fatto che “la guerra alle criptovalute deve finire”.
“Ci sono diverse cose che possiamo fare per quanto riguarda le criptovalute in modo da contribuire a rendere l'America uno dei leader mondiali nel settore”.
La SEC deve fornire chiarezza, creare porti sicuri e sandbox normativi per gli investitori e sostenere un approccio “coeso e completo alle criptovalute” da parte dell'intero governo federale, ha affermato Uyeda.
“Il presidente Trump e l'elettorato americano hanno inviato un messaggio chiaro. A partire dal 2025 il ruolo della SEC è quello di portare a termine tale mandato”.
Peirce, intervenendo questo mese al podcast “CryptoCounsel”, ha promosso un dialogo più aperto tra l’industria delle criptovalute e gli enti di regolamentazione della SEC.
Il Ripple CLO ha fatto eco a tale sentimento, sostenendo il miglioramento delle relazioni tra legislatori, autorità di regolamentazione e partecipanti al mercato.
“Collaborare con tutti gli enti di regolamentazione finanziaria e il Congresso su regole chiare e semplici per le criptovalute, ma senza presumere che tali regole diano alla SEC giurisdizione primaria su qualsiasi cosa”, ha scritto Alderoty.
“Garantire la responsabilità e ripristinare la fiducia della popolazione, affrontando i problemi passati all’interno della SEC e rafforzando l’Ufficio dell’ispettore generale”.
Alderoty ha inoltre proposto di revocare il Framework for Investment Contract Analysis of Digital Assets del 2019, pubblicato dopo che il settore aveva chiesto maggiore chiarezza normativa tra le leggi sui titoli e i token basati su blockchain.
La presente guida, che non costituisce né una norma né un regolamento, offre uno schema per determinare se un asset digitale possiede le caratteristiche di un contratto d'investimento (titolo).
Con il controllo repubblicano del Congresso è probabile che i legislatori adottino un approccio “basato su principi e trasparenza” all'elaborazione delle linee di politica, afferma Dorothy DeWitt, ex-direttrice della supervisione del mercato presso la US Commodity Futures Trading Commission.
L'applicazione delle norme sarà probabilmente mirata anche ad aree ad alto rischio del mercato delle criptovalute, come la sicurezza nazionale, le frodi e le condotte scorrette, ha inoltre affermato.
“Un percorso verso la chiarezza normativa comporterà quasi certamente la registrazione di borse, intermediari e titoli legati agli asset digitali e l'implementazione di standard di informativa più estesi, nonché la conformità formale ai principi prescritti dall'agenzia”, ha affermato la DeWitt in un post del 18 novembre sull'Official Monetary and Financial Institutions Forum.
Nonostante l'aria di cambiamento che si prevede soffierà nel mondo delle criptovalute, gli operatori del settore non devono aspettarsi nell'immediato cambiamenti significativi a livello di linee di politica e normative.
Invece, nota la DeWitt, questi aggiustamenti potrebbero “avvenire nell’arco di un anno o più, non di mesi”.
Dopo la vittoria elettorale di Trump, i prezzi di Bitcoin sono saliti alle stelle, raggiungendo i massimi storici oltre i $100.000.
La crescita della principale criptovaluta, che rappresenta il 58% del mercato, ha fatto crescere anche altri token digitali, passando dalle stablecoin alle altcoin.
Un portavoce della Securities and Exchange Commission ha rifiutato di fornire commenti in merito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
David Hume ci insegna a non perdere la testa
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui)
La sera delle elezioni l'allora caporedattrice di Scientific American, Laura Helmuth, ha scritto sulla piattaforma BlueSky un post delirante.
La Helmuth non è l'unica ad aver perso la testa. I suoi difetti fin troppo umani mettono ognuno di noi di fronte a un bivio: reagiremo con scherno o impareremo dal suo errore?
Perché la Helmuth, che nel frattempo si è dimessa, ha messo a rischio la sua carriera con un tale scatto di rabbia? Mentre anche altri erano sconvolti, non hanno fatto ricorso a tali estremi.
Immaginatevi David Hume, il filosofo scozzese del XVIII secolo, seduto con la Helmuth. Potrebbe chiederle gentilmente perché fosse iper-concentrata nel difendere la sua identità di odiatrice di Trump; perché desse un'importanza cardinale a un tale flusso di pensieri.
Hume potrebbe chiederle cosa la rende lei. Hume, nonostante i suoi sforzi, non riuscì a scoprire un sé unificato. Ciò che scoprì furono sentimenti e percezioni discreti. Hume si chiese dove fosse il “me” che sperimenta quei sentimenti e quelle percezioni.
Nel suo A Treatise of Human Nature troviamo uno dei suoi passaggi più celebri:
Da parte mia, quando entro più intimamente in ciò che chiamo me stesso, inciampo sempre in una percezione particolare o in un'altra, di caldo o freddo, luce o ombra, amore o odio, dolore o piacere. Non riesco mai a cogliermi in nessun momento senza una percezione, e non riesco mai a osservare niente se non la percezione.Hume comprese che “la mente è una specie di teatro, dove diverse percezioni compaiono in successione; passano, ripassano, scivolano via e si mescolano in un’infinita varietà di posture e situazioni”.
Con perspicacia, sosteneva che la nostra identità è costruita attraverso i tentativi di unificare le nostre diverse percezioni. Le nostre storie su chi siamo si trasformano in una prigione auto-costruita con confini che limitano notevolmente le nostre scelte. Ad esempio, una persona che prova sentimenti di rabbia associati alle sue percezioni potrebbe definirsi una persona arrabbiata; identificarsi come tale è un modo per eludere la responsabilità delle proprie azioni.
Hume fece dell'auto-indagine una pratica regolare. Un semplice esercizio può attivare la vostra facoltà di metacognizione. Immaginate di essere seduti in un teatro dove il personaggio che chiamate me sta facendo le sue buffonate sul palco. Hume ci indica questo: se possiamo essere consapevoli delle nostre buffonate, pensieri, sentimenti e percezioni, dobbiamo essere più di tutte queste cose.
Istintivamente associamo il personaggio sul palco al nostro vero sé. Hume sfidò questa nozione ponendosi questa domanda: “Cosa ci dà una così grande propensione ad attribuire un'identità a queste percezioni e a supporre di possedere un'esistenza invariabile e ininterrotta per tutto il corso delle nostre vite?”
La risposta è la nostra mente immaginativa e narrativa. Essa è programmata per unificare le nostre diverse percezioni in un concetto di sé. Immaginiamo oggetti e pensieri che accadono in una sequenza ininterrotta. Tutti noi, osservò Hume, “abbiamo un'idea distinta di un oggetto, la quale rimane invariabile e ininterrotta attraverso una presunta variazione del tempo; e questa idea la chiamiamo identità o uguaglianza”.
Per stabilizzare l’identità che creiamo, spiega Hume, “fingiamo l’esistenza continuata delle percezioni dei nostri sensi”.
Anche qui un semplice esercizio di auto-osservazione può convalidare l'intuizione di Hume. Pensate a un risentimento che covate, per mantenerlo vivo dovete tornare coi vostri pensieri a questa emozione. Nel momento in cui ignorate tali pensieri, il risentimento svanisce e smette di definire la vostra identità.
Ciononostante alcune persone sono riluttanti a rinunciare ai rancori che sono stati incorporati nella loro identità. Si aggrappano a essi per tutta la loro vita, perché non riescono a immaginare chi sarebbero senza di essi.
L'intuizione di Hume non è applicabile solo ai torti, ma anche a qualsiasi disturbo mentale su cui indugiamo ripetutamente. Allenare la nostra mente ad andare oltre i limiti della rigida identità che creiamo è una pratica saggia.
In tutte le sue auto-indagini Hume scoprì che “non esiste un'impressione costante e invariabile. Dolore e piacere, afflizione e gioia, passioni e sensazioni si susseguono, e non esistono mai tutti contemporaneamente”.
Il consiglio di Hume per Helmuth e il resto di noi potrebbe essere di uscire, fare una passeggiata, godersi il partner, i figli, gli amici e i vicini. Scoprirete che il vostro risentimento è sparito.
Quest'ultimo riapparirà solo quando sceglieremo di ripensarci. La nostra convinzione è una fabbricazione; la nostra libertà emotiva sta nel riconoscere che possiamo lasciar andare i nostri risentimenti. Non è forse un sollievo?
Purtroppo la libertà emotiva potrebbe non essere alla nostra portata. Nonostante gli errori che possiamo riportare alla mente, raddoppiamo la posta. Hume ci fornisce una metafora chiara per l'arroganza intellettuale:
Mi sembra di essere come un uomo che, dopo essersi imbattuto in molte secche ed essere scampato per un pelo al naufragio passando davanti a un piccolo porto, ha tuttavia la temerarietà di prendere il largo con la stessa nave malconcia e rovinata dalle intemperie, e spinge persino la sua ambizione al punto di pensare di fare il giro del globo in queste circostanze sfavorevoli.Hume non ci stava prendendo in giro quando scrisse: “Quando rivolgo lo sguardo all'interno, non trovo altro che dubbio e ignoranza”. Non solo, ma si chiese: “Con quale fiducia posso avventurarmi in imprese così audaci quando oltre alle innumerevoli infermità peculiari a me stesso, ne trovo altrettante che sono comuni alla natura umana?”
Non sorprende che Hume fosse un uomo umile. Di sé stesso scrisse: “Il ricordo dei miei errori e delle mie perplessità passate mi rende diffidente nei confronti del futuro. La condizione miserabile, la debolezza e il disordine delle facoltà che devo impiegare nelle mie indagini accrescono le mie apprensioni”.
“Se acconsentiamo a ogni banale suggerimento della fantasia, essi sono spesso contrari tra loro; ci conducono in talmente tanti errori, assurdità e oscurità che alla fine dovremo vergognarci della nostra credulità”.
Quanto siamo creduloni a credere al nostro flusso di pensieri? Quanto saremmo imbarazzati se gli altri potessero leggere nella nostra mente e vedere che stiamo difendendo un concetto di noi stessi nato dalla fede nell'accuratezza delle nostre percezioni?
Le impressioni passeggere possono condurci fuori strada. La guida di cui abbiamo bisogno si trova nei principi e nei valori. Hume era giunto alla conclusione di trovarsi “a disagio nel pensare di approvare un oggetto e disapprovarne un altro; chiamare una cosa bella e un'altra deforme; decidere sulla verità e la falsità, la ragione e la follia, senza sapere su quali principi procedere”.
Hume era notevolmente avanti di 250 anni rispetto alla scienza. Il neuropsicologo e professore Chris Niebauer scrive: “Scambiare la voce nella nostra testa per una cosa ed etichettarla come 'io' ci porta in conflitto con le prove neuropsicologiche che dimostrano che non esiste una cosa del genere”.
Se permettiamo ai nostri pensieri di definirci, la voce nella nostra testa ci dominerà come un sovrano oppressivo. Niebauer continua: “Potremmo arrabbiarci, offenderci, eccitarci sessualmente, essere felici o spaventati, e non metteremo in dubbio l'autenticità di questi pensieri ed esperienze”.
Hume ci aiuta a realizzare che “non esiste un'impressione costante e invariabile”, perché potremmo non interpretare correttamente il nostro mondo. Con questa comprensione, possiamo raggiungere la libertà interiore ed evitare di essere travolti da impulsi irrazionali.
Se le persone capissero che ogni loro pensiero fantasioso non è un invito all'azione, la febbre del Paese non diminuirebbe?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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L’Europa scivola verso l’irrilevanza mentre gli Stati Uniti si riprendono
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponiile qui)
Il quotidiano olandese De Volkskrant, una delle principali pubblicazioni del Paese, ha dedicato il suo articolo di prima pagina sabato 9 novembre a Donald Trump, intitolato “Questo è il Nuovo Ordine Mondiale: c'è solo la solitudine per le democrazie europee”. L'articolo continuava affermando che l'elezione di Trump è una manna per gli autocrati di tutto il mondo, sottolineando al contempo che il presidente eletto mira a “un'Europa debole e divisa”.
Si tratta di affermazioni belle forti per un importante quotidiano che finge di offrire un giornalismo obiettivo. Infatti dal 5 novembre siamo tornati ad assistere all'importante tradizione americana, ignorata da Trump nel novembre 2020, del presidente uscente che invita quello eletto a chiacchierare nello Studio Ovale. Una tradizione messa in atto per sottolineare pubblicamente la necessità di un trasferimento del potere ordinato e democratico. Resta da vedere se gli autocrati di tutto il mondo saranno contenti dell'elezione di Trump.
L'Iran, in ogni caso, è abbastanza nervoso da ritenere necessario porgere rami d'ulivo al team in arrivo a Washington. Non ci sono prove a supporto dell'affermazione che il nuovo presidente spera in un'Europa debole e divisa e illustra qualcosa di più importante che molti sembrano dimenticare: l'Europa, e non gli Stati Uniti, è responsabile di rendersi unita e forte.
L'articolo sul De Volkskrant dimostra come un establishment politico e mediatico fuori dal mondo, incapace di cogliere l'inquietudine che si è sviluppata su entrambe le sponde dell'Atlantico, stia facendo sì che l'Europa cammini come un sonnambulo verso un ulteriore declino. I suoi autori non riescono nemmeno a interpretare e rispondere correttamente ai cambiamenti epocali che hanno iniziato a verificarsi sulla scena mondiale già molto prima di questo ciclo elettorale statunitense. L'ingresso di Trump alla Casa Bianca non fa che potenziare questo cambiamento. Il nuovo “leader del mondo libero” e il suo team agiranno sotto il motto “Escalate to de-escalate”, qualcosa che causerà molti sconvolgimenti dentro e fuori gli Stati Uniti.
Centinaia di ordini esecutivi sono già stati scritti e saranno firmati nel momento in cui il nuovo presidente tornerà nello Studio Ovale dopo la sua inaugurazione il 20 gennaio 2025. Contrariamente al 2017, Trump sembra essere ben preparato e concentrato sulla rapida esecuzione di un piano concreto. Quanto velocemente le cose stanno cambiando sin dal 5 novembre può essere osservato ovunque. Ad esempio, all'improvviso troviamo il cancelliere tedesco che per la prima volta riparla al presidente russo dopo due anni, seguito da un ovvio debriefing tra Trump e Scholz. Inizialmente Zelensky ha protestato per la chiamata Berlino-Mosca, ma poi ha sentito la necessità di manifestare il desiderio di porre fine alla guerra nel 2025 “con mezzi diplomatici”. Non molto tempo fa questo sarebbe stato un discorso inimmaginabile, persino proibito, nelle capitali europee.
L'incapacità dell'Europa di essere pronta per un'altra presidenza Trump è in larga misura causata dalla posizione moralizzante e ciecamente ideologica che la maggior parte dei suoi media e leader politici ha assunto nei confronti di chiunque, comprese ampie fasce dei propri elettori che non aderiscono all'ortodossia politica del momento. Molti si rifiutano di prendere in considerazione l'idea di aver sbagliato su questioni importanti e che le intuizioni, le opinioni e le preoccupazioni di coloro che sono stati considerati “negazionisti” (su qualsiasi questione) meritino invece attenzione, rispetto e dialogo. È a nostro rischio e pericolo, considerando lo stato già pericolosamente debole dell'Europa segnato dalle turbolenze economiche e di una scivolata verso una Terza guerra mondiale.
Del resto le opinioni che noi europei abbiamo su quanto è appena accaduto negli Stati Uniti sono del tutto irrilevanti, come ha giustamente sottolineato il presidente francese Macron in un discorso tenuto di recente a Budapest. Né l'attuale, né la futura amministrazione statunitense passeranno molto tempo a preoccuparsi di cosa un quotidiano europeo, o un leader politico, abbia da dire sull'elezione di Donald Trump o sulle nomine del suo gabinetto, per quanto controverse possano essere alcune di esse. Piuttosto l'Europa e i suoi leader dovrebbero dare priorità agli sforzi per mettere ordine in casa propria, costruendo al contempo un rapporto di lavoro costruttivo con il nuovo team dirigenziale che sta prendendo forma a Washington.
Je n'ai pas l'intention de laisser l'Europe comme un théâtre habité par des herbivores, que des carnivores, selon leur agenda, viendront dévorer.
Européens, nous devons être lucides, ambitieux et déterminés sur notre propre agenda, un agenda de souveraineté. pic.twitter.com/ZcepM5DwPa
Ciò ovviamente presuppone che l'Europa non voglia continuare il suo attuale declino economico, militare e politico nel contesto di un riallineamento geopolitico che non si vedeva dalla fine della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti con una seconda amministrazione Trump non esiteranno a fare tutto ciò che riterranno necessario per mantenere la loro posizione di superpotenza mondiale unica, mentre la Cina, aiutata da un gruppo di stati per lo più canaglia, farà tutto ciò che è in suo potere per sfidare Washington e indebolire e dividere l'alleanza occidentale. Senza una nuova strategia comune e chiara su tre fronti principali (indipendenza energetica, resilienza economica e forza militare), l'UE rischia di rimanere bloccata nel mezzo, ovvero di essere usata come parco giochi ogni volta che è conveniente per una o entrambe queste due parti in competizione. Il soft power dell'UE non è più un fattore trainante nella situazione attuale.
Se l'Europa vuole avere un futuro pacifico e prospero, dovrà essere all'altezza del suo enorme potenziale inutilizzato superando i molteplici ostacoli autoimposti nei settori energetico, economico e militare, e costruire al contempo solidi percorsi di comunicazione con la nuova amministrazione americana. Se l'Europa procede con saggezza e abbandona la sua tendenza a rivendicare un primato morale sulla base di false priorità ideologiche, c'è una possibilità concreta che almeno l'UE, se non l'intero continente europeo, possa persino trarre vantaggio dal nuovo vento che soffierà da Washington.
Con Trump l'America continuerà a vedere l'Europa come un partner importante, a patto che gli europei siano disposti a porre fine al loro letargo e ad assumersi la piena responsabilità delle loro decisioni. Nessuna lusinga economica e denaro facile dall'Est può far credere a una persona sobria che una Cina comunista e autoritaria, con la sua cultura fondamentalmente diversa e la mancanza di libertà, possa essere il partner politico ed economico affidabile di cui l'UE ha bisogno per un futuro stabile. Nonostante i molteplici problemi e le carenze degli Stati Uniti, una partnership con essi è l'unica vera opzione per un'Europa che ama la sua libertà e democrazia.
Indipendenza energetica
Il nuovo malato d'Europa, la Germania, un tempo il suo indiscusso motore economico, è un perfetto esempio di autodistruzione ispirata dall'ideologia, realizzata tagliando il flusso di energia necessario a mantenere un'economia basata sull'industria. Prima è arrivato il rifiuto all'energia nucleare, poi la rapida ed economicamente insostenibile “transizione energetica verde” (“Energiewende”), spinta all'estremo dalla ormai defunta Traffic Light Coalition che curiosamente è crollata il giorno dopo le elezioni negli Stati Uniti. A questo sono seguiti la guerra in Ucraina e la distruzione del gasdotto Nord Stream.
La Germania, dipendente per troppo tempo dal gas russo, non è stata in grado di attingere a risorse energetiche alternative per proteggere la sua base industriale. Il recente annuncio di licenziamenti alla Volkswagen, inaudito nella sua storia di grande successo, è un esempio perfetto della miopia delle linee di politica europee in quanto a energia e clima. Di conseguenza la Germania, e quindi l'UE, sono destinate a grossi guai.
Nel frattempo, secondo The Economist, dal 2019 gli Stati Uniti sono diventati il più grande produttore mondiale di petrolio greggio e gas naturale, oltre a produrre energia “verde” su larga scala, ottenendo in questo modo un alto grado di indipendenza energetica nazionale. Ciò è particolarmente importante nell'attuale clima geopolitico caratterizzato da un Medio Oriente in fiamme e dal continente africano segnato da guerre destabilizzanti in Paesi importanti come Sudan, Congo, Kenya e Nigeria. La maggior parte dell'Europa, nel frattempo, avendo dovuto sbarazzarsi della dipendenza dal gas russo, è ora completamente dipendente dall'energia degli Stati Uniti (50% del GNL dell'UE) e da quella di Paesi non democratici come Qatar e Algeria per soddisfare il proprio fabbisogno energetico.
Il 16 novembre l'Austria, uno degli ultimi clienti europei di Gazprom, ci ha ricordato come la dipendenza dal gas russo continui a rappresentare un rischio: le sue consegne sono state di colpo tagliate fuori. A meno che l'Europa non sviluppi rapidamente le proprie fonti di energia verde e fossile che siano anche economicamente sostenibili (!), cosa che difficilmente accadrà a breve, avrà ancora bisogno degli Stati Uniti e delle sue costose forniture di energia per il futuro prossimo. Le buone relazioni sono fondamentali. Ci si chiede perché orde di delegazioni dall'UE e dagli stati membri non si presentino già a Washington e a Mar-a-Lago per incontrare il team di Trump per i negoziati sulla fornitura di energia.
Resilienza economica
A causa di molti fattori interconnessi, tra cui l'eccessiva regolamentazione, le elevate tasse sui salari e la mancanza di innovazione, l'Europa sta rimanendo indietro rispetto agli Stati Uniti in termini economici. Secondo l'articolo del The Economist dello scorso 14 ottobre: “L'America ha superato i suoi pari tra le economie mature. Nel 1990 rappresentava circa due quinti del PIL complessivo del gruppo dei Paesi avanzati del G7; oggi è circa la metà [...]. Su base pro capite la produzione economica americana è ora circa il 40% più alta rispetto all'Europa occidentale e al Canada. [...] La crescita reale degli Stati Uniti è stata del 10%, tre volte la media del resto dei Paesi del G7”.
Gli Stati Uniti sono ancora la più grande economia del mondo, con la Cina che produce solo il 65% del PIL degli Stati Uniti (75% nel 2021). La produttività in America supera quella di altri Paesi e regioni, tra cui l'Europa: la produzione economica generata da un lavoratore americano medio è di $171.000, rispetto ai $120.000 in Europa. Sin dal 1990 gli Stati Uniti hanno visto un aumento del 70% della produttività del lavoro, mentre gli europei sono rimasti indietro con il loro 29%. L'America è anche di gran lunga il più grande investitore in ricerca & sviluppo, con circa il 3,5% del PIL. Si tratta di cifre considerevoli e dovrebbero far riflettere gli europei e indurli a un'azione concertata. I dazi all'importazione del 10-20% proposti da Trump (anche sui beni europei), uniti alle imminenti guerre commerciali e alle tensioni con la Cina, influenzeranno sicuramente l'Europa e la costringeranno a schierarsi. Costruire un buon rapporto di collaborazione con la nuova amministrazione statunitense dovrebbe quindi essere una priorità, a partire dalla negoziazione di un'esenzione UE dai dazi sulle importazioni.
Forza militare
Tre recenti sviluppi dovrebbero tenere sveglio ogni leader politico europeo la notte: la presenza di truppe nordcoreane che combattono per la Russia sul suolo europeo, il discorso del presidente ucraino sulla produzione di armi nuclearie e gli assistenti del presidente eletto Trump che presentano un possibile piano di pace (da cui in seguito il team di transizione s'è distanziato) per porre fine alla guerra tra Ucraina e Russia e richiederebbe truppe europee a presidio di una zona cuscinetto demilitarizzata nell'Ucraina orientale senza l'intervento americano. Non importa se questo piano abbia o meno qualche possibilità di successo, l'America di oggi ha informato l'Europa che senza incrementi nelle sue capacità militari e una maggiore volontà di impegnarsi e condividere l'onere con gli americani, Washington non sarà pronta a fare più di quanto già faccia nel continente per difenderlo dalla Russia.
Invece dell'immediata indignazione morale che solitamente segue tali dichiarazioni di Trump o dei suoi collaboratori, i leader europei farebbero bene a considerare come possano assumersi le loro responsabilità nel difendere i propri Paesi, le proprie culture e i propri popoli.
A dimostrazione di ciò l’Ucraina, nonostante i suoi sforzi, sta perdendo sempre più slancio e territorio nella guerra. L'UE, inizialmente forte e unita nel suo sostegno militare all'Ucraina, è sempre stata priva di una strategia politica e militare a lungo termine per affrontare la Russia. E nonostante la sua continua fornitura di armi su larga scala al Paese, l'integrità territoriale dell'Ucraina non è mai sembrata essere una vera priorità per gli americani (ad esempio, gli Stati Uniti non sono intervenuti nemmeno quando la Crimea è stata presa dai russi nel 2014).
Con il nuovo presidente degli Stati Uniti, come la BBC ha di recente riportato, sarà probabilmente ancor meno una priorità. Inoltre i governi occidentali non invieranno truppe in Ucraina. Un avversario delle dimensioni della Russia, che è disposto ad accettare qualsiasi numero di vittime tra i propri soldati mentre combatte una guerra di logoramento, è quasi impossibile da sconfiggere attraverso la guerra convenzionale.
La prospettiva per l'Europa, quindi, è cupa. Sebbene questo sembri ancora un tabù a Bruxelles, il tanto proclamato mantra secondo cui l'UE starà al fianco dell'Ucraina finché la Russia non sarà sconfitta ora suona vuoto e persino sconsiderato. Non c'è un piano attuabile, né sembra che ce ne sia mai stato uno. Gli ucraini stanno pagando il prezzo mentre il resto dell'Europa guarda.
L'impegno tardivo della maggior parte dei governi europei nel rafforzare le proprie forze armate è stato insufficiente per consentire all'Europa di difendersi senza un aiuto americano nel prossimo futuro.
Inoltre l'attuale realtà geopolitica mette l'Europa in una posizione molto debole. Ad esempio, se la Cina decidesse di invadere Taiwan, gli Stati Uniti dovrebbero spendere ingenti risorse militari in Asia. Ciò sarebbe ancora più vero se Pyongyang usasse la situazione per causare conflitti o guerre nella penisola coreana. Ciò significherebbe che la presenza di truppe statunitensi in Europa verrebbe probabilmente influenzata negativamente, lasciando l'Europa a dover badare ancora di più a sé stessa.
Le prospettive di escalation militare in Medio Oriente non sono migliori. I tedeschi, in quanto nazione leader in Europa, sono stati negligenti quando si è trattato di mantenere in ordine il loro esercito, mentre i polacchi, conoscendo la dura realtà storica degli eserciti invasori provenienti da Est e Ovest, hanno costantemente investito nelle loro capacità di difesa nell'ultimo decennio. La Polonia sta quindi mostrando al resto dell'Europa cosa è possibile fare con le giuste priorità e volontà politica. Di conseguenza sembra ora essere il partner militare preferito degli Stati Uniti in Europa, come dimostrato dalla recente installazione di una base di difesa missilistica NATO in quel Paese. Le nazioni europee e l'UE devono impegnarsi per buoni rapporti con la nuova amministrazione statunitense, in modo da evitare di trasformarsi in spettatori passivi nella lotta per il futuro politico e militare dell'Europa.
Abbandonare la superiorità morale
Non solo i media tradizionali come il De Volkskrant, ma ancor di più i leader di governo europei, indipendentemente dalla loro affiliazione politica, devono rendersi conto che sono geopoliticamente sulla graticola ora che Donald Trump è stato rieletto presidente degli Stati Uniti. Tutti gli indicatori indicano che sarà fedele alla sua parola e che adotterà misure rapide sulle questioni che preoccupano la maggioranza degli elettori americani... che all'Europa e ai suoi leader piaccia o meno. A livello nazionale, Trump affronterà l'immigrazione illegale in modi non ortodossi e, in politica economica, imporrà dazi sulle importazioni e probabilmente si impegnerà in guerre commerciali.
Il riallineamento geopolitico iniziato molto tempo fa con l'ascesa della Cina sta ora accelerando con conseguenze molto gravi per l'Europa in termini di energia, economia e forza militare. Il momento di intraprendere azioni decisive è scaduto da tempo. I leader europei farebbero bene a mettere ordine in casa propria invece di fare prediche agli americani sulla democrazia e sullo stato di diritto. Inoltre l'UE e le nazioni europee dovrebbero impegnarsi a stabilire una solida relazione con la nuova leadership alla Casa Bianca e a Capitol Hill in modo da poter influenzare l'esito di quello che sarà sicuramente il più grande sconvolgimento geopolitico del nostro tempo, il quale porterà all'istituzione di un nuovo ordine mondiale. La capacità dell'Europa di essere un attore importante in questa trasformazione dipenderà dalla sua volontà di assumersi ancora una volta la piena responsabilità del proprio destino.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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L'odio vi distruggerà: una recensione di “Hitler's People”
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(La traduzione audio dell'articolo è disponibile qui)
Nel 1828 lo storico Thomas Macaulay espresse la speranza che una futura crisi inglese sarebbe stata gestita da leader “per i quali la storia non ha fatto registrare una lunga serie di crimini e follie”.
Il rinomato storico Richard J. Evans ha un obiettivo più grande nel suo ultimo libro, Hitler's People: The Faces of the Third Reich (2024): crede che tutti, non solo i leader, dovrebbero imparare dai crimini nazisti e che si dovrebbe riflettere sul perché così poche persone abbiano resistito.
Evans usa un approccio biografico, ma non si concentra solo su Hitler, fornisce anche biografie concise di ventuno individui della sua cerchia, da personaggi chiave come Göring, Himmler e Goebbels, a “esecutori” come Heydrich ed Eichmann, e coloro che hanno svolto il ruolo di “strumenti” tra cui la regista Leni Riefenstahl.
Evans non scusa nessuno, nemmeno Albert Speer, che “in qualche modo convinse i giudici di [...] Norimberga che non era a conoscenza dei crimini del nazismo”. Evans aggiunge che Speer, che nelle sue memorie si atteggiava ad “architetto apolitico”, fornì “una scusa convincente a milioni di tedeschi che avevano vissuto sotto il Terzo Reich”.
L'influente opera di F. A. Hayek, The Road to Serfdom, offre il contesto per comprendere Hitler's People:
Per essere un valido collaboratore nella gestione di uno stato totalitario, non basta che una persona sia disposta ad accettare giustificazioni per le azioni vili; essa stessa deve essere pronta a infrangere ogni regola morale che abbia mai conosciuto, se ciò sembra necessario per raggiungere il fine prefissato.La galleria di individui nel popolo di Hitler infranse ogni “regola morale” per servirlo e si comportò, secondo le parole di Hayek, “in modo completamente privo di scrupoli e letteralmente capace di tutto”.
Nel suo Gulag Archipelago, Aleksandr Solženicyn spiegò il concetto di grandezza della soglia, un termine usato in fisica per spiegare fenomeni che non esistono finché non viene raggiunta una certa soglia.
“Anche il male”, scrisse Solzhenitsyn, “ha una grandezza della soglia”.
Un essere umano esita e oscilla avanti e indietro tra il bene e il male per tutta la vita. Scivola, ricade, si arrampica, si pente, le cose cominciano a oscurarsi di nuovo. Ma finché la soglia del male non viene varcata, la possibilità di tornare indietro rimane palpabile, e lui stesso è ancora alla portata della speranza.Solženicyn spiegò che quando “attraverso la densità delle azioni malvagie, o del loro estremo pericolo, o dell’assolutezza del suo potere” una persona supera quella soglia, “lascia l’umanità indietro, così come la possibilità di tornare sui suoi passi”.
Hitler's People è la documentazione di persone che si sono lasciate “alle spalle la loro umanità” senza “possibilità di tornare sui propri passi”. Il nazismo, nelle parole del romanziere e saggista Martin Amis, funzionava tramite un “appello diretto al cervello rettile”.
Nella sua ricerca storica, Evans analizza le fonti primarie per rivelare come è accaduto l'impensabile e cosa possiamo imparare dalla normalizzazione di una “moralità perversa”.
Evans è chiaro sul perché dobbiamo imparare: la gente di Hitler “non era psicopatica, né squilibrata, pervertita, o pazza. Oltre a contraddire l'evidenza, pensare a loro come depravati, devianti o degenerati li pone al di fuori dei confini dell'umanità e quindi funge da forma di discolpa per il resto di noi, passati, presenti e futuri”.
La gente di Hitler non era quella “che viveva ai margini della società, o che cresceva al di là della corrente sociale dominante. Era costituita da gente definita normale secondo gli standard dell'epoca. Condivideva gli attributi culturali convenzionali della borghesia tedesca, era colta, o suona uno strumento musicale con una certa competenza, o dipinge, o scriveva di narrativa o poesia”.
Se cercate uno storico che attribuisca tutta la colpa a Hitler, non lo troverete in Evans. “Le istituzioni e le tradizioni tedesche e, più in generale, il popolo tedesco stesso” vengono esaminate e ritenute responsabili. Hitler non si è limitato a “sedurre le persone a seguirlo: sono stati i suoi seguaci a ispirarlo a guidarli”.
Il popolo tedesco era complice dell'odio di Hitler, non ne era vittima. Evans rifiuta “l'idea che la stragrande maggioranza dei tedeschi ignorasse le realtà del nazismo. Quasi tutti i tedeschi hanno avuto l'opportunità di osservare di persona la violenza omicida dei nazisti, o di apprendere delle fucilazioni di massa e delle gasazioni degli ebrei ad Auschwitz dai resoconti inviati a casa dai soldati del fronte orientale, o riportati in Germania dai soldati in licenza”.
La conclusione di Evans non è una congettura. Porta alla luce “rapporti segreti nazisti sugli atteggiamenti popolari verso gli ebrei dal 1933 al 1945”. Tali rapporti mostravano “una conoscenza diffusa” sul destino degli ebrei e “l'approvazione popolare” e le linee di politica naziste nei loro confronti.
Detto questo, le opinioni di Evans sono sfumate. Non crede “che l'antisemitismo sterminatorio, la sottomissione all'autorità, la brama di conquista, il militarismo e caratteristiche simili, fossero intrinseche nel senso di identità nazionale dei tedeschi”.
Non sottovalutate “la profondità e l'ampiezza della coercizione e della violenza usate dai nazisti per mettere in riga i tedeschi”, scrive Evans. “La sorveglianza e il controllo [...] non erano esercitati solo dalla Gestapo ma, cosa più importante, da funzionari come i 'Block Wardens', più di due milioni dei quali supervisionavano i rispettivi blocchi stradali”.
Leggendo Evans, potremmo riflettere se l'odio, come un fuoco represso, giaccia dormiente in molti di noi, pronto a esplodere se gliene venisse data la possibilità. Hitler e i suoi tirapiedi potrebbero aver creato le condizioni esterne, ma il popolo tedesco era responsabile delle proprie condizioni interiori, quei fuochi che ribollivano nei loro paesaggi mentali.
Sono spesso ossessionato dalla domanda su come gli americani gestirebbero una grave crisi economica, come quella degli anni '30. Molti fuochi stanno già ribollendo nelle menti degli americani, mentre la comprensione e il rispetto per lo stato di diritto e i principi costituzionali stanno scemando.
È importante, conclude Evans, che “il regime nazista non fosse una dittatura prodotta e sostenuta dall'approvazione popolare”. Il sostegno al regime variava a seconda della fascia d'età: “Era popolare e accettato tra i giovani, influenzato dalla scuola, dalla Gioventù hitleriana e dalla permeazione nazista nelle istituzioni sociali”. Meno sostegno è stato riscontrato tra “le persone di mezza età e gli anziani, ad esempio, che avevano formato i loro valori e la loro identità sociale prima del 1933”.
Quali implicazioni ha tutto questo per l'attualità? Oggi, in alcuni distretti scolastici, ai bambini vengono insegnati valori antiamericani e anti-famiglia. Gli studenti di giurisprudenza, alcuni dei quali diventeranno futuri giudici, vengono istruiti da professori che non rispettano il diritto costituzionale. Molti fuochi latenti vengono accesi.
Evans continua: “Superare divisioni e antagonismi politici, economici e sociali apparentemente incolmabili creando una comunità di persone autentica e unitaria” era la promessa di Hitler. Naturalmente gli ebrei erano esclusi, ma il punto è agghiacciante: in tempi di crisi, quando le persone non sono unite attorno a principi costituzionali che consentono la prosperità umana, i demagoghi totalitari riempiranno quel vuoto.
Vogliamo, quindi, costruire un'America attorno alla “visione” di una persona e a uno scopo comune imposto? Hayek ed Evans ci avvertono che un popolo senza scopo potrebbe dare un senso alla propria vita adottando lo scopo di un despota.
La coesione sociale si realizza meglio attorno a uno scopo comune, ma attorno alla fiducia in principi comuni che guidano le nostre azioni. Senza principi comuni, una nazione viene trascinata dalla corrente di uno scopo comune e, tramite la coercizione, scivola verso una forma di governo totalitario.
Evans ci trasmette un messaggio d'impatto: il significato unificante che il popolo tedesco trovò fu l'odio. Anche verso la fine della guerra c'era ammirazione per Hitler, fiducia nell'“acquisizione di spazio vitale” e la necessità di distruggere il “bolscevismo” e gli ebrei.
L'odio alimentò i nazisti e distrusse la Germania. L'odio distruggerà qualsiasi nazione che non tenga conto delle lezioni della storia. Hitler's People è altamente consigliato a chiunque voglia capire perché.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Il quadro generale finora: tre anni dopo
(La traduzione audio dell'articolo disponibile qui)
Riprendo questa serie che l'anno scorso ha visto saltare un appuntamento. Un tipo di corruzione profonda e mega-politica distorce le politiche dal benessere pubblico e della nazione a favore di interessi speciali d'élite. Le industrie privilegiate di oggi, i progetti privilegiati e i gruppi di elettori chiave ottengono denaro che non hanno guadagnato e la prossima generazione ottiene una bomba ad orologeria finanziaria. La guerra in Europa orientale è un ottimo esempio. I russi stanno vincendo, ma questo è solo un dettaglio. La cosa importante è che gli ucraini stanno perdendo e stanno trascinando con sé gli Stati Uniti. Il coinvolgimento di questi ultimi è iniziato come risultato degli ideologi neocon a Washington e dell'industria della potenza di fuoco che li finanzia e trae profitto dal loro bellicismo. La guerra in Ucraina ha seguito lo schema del Vietnam, dell'Iraq e dell'Afghanistan: il coinvolgimento degli Stati Uniti inizia con bugie e idee sbagliate, continua con tangenti, doppi giochi e spese eccessive e finisce in disgrazia. E in Ucraina gli Stati Uniti sono andati oltre: hanno mostrato e mostrano al mondo che i loro strateghi militari sono incompetenti, le sue sanzioni sono impotenti e le sue armi moderne e ad alta tecnologia non sono all'altezza di quelle russe.
In altre parole, sostenere gli ucraini è stato più di uno spreco di denaro: ha rivelato a tutti noi che l'impero dell'Occidente non è affatto forte come finge di essere.
Le risorse combinate (PIL) degli alleati della NATO sono 30 volte maggiori di quelle della Russia, quindi non c'è mai stato alcun pericolo reale che le truppe russe andassero in barca sulla Senna. E fermare l'invasione dell'Ucraina da parte di Putin sembrava un gioco da ragazzi. E quando gli Stati Uniti hanno introdotto per la prima volta le loro sanzioni, si credeva che avrebbero paralizzato l'economia russa, che Putin se ne sarebbe presto andato e l'Occidente avrebbe trionfato. Ma le sanzioni non hanno funzionato e le restrizioni finanziarie hanno avvicinato Cina, Iran, Russia, Turchia, India, la maggior parte della popolazione mondiale, per inventare i propri sistemi commerciali.
Una politica estera ragionevole “America First” sarebbe stata quella di non intromettersi nella politica ucraina in primo luogo. I soldi e le armi degli Stati Uniti erano meglio tenuti in patria. Il Pentagono avrebbe potuto trarre vantaggio dalla guerra come osservatore, studiando attentamente le armi e le tattiche russe, piuttosto che farsi massacrare. Una linea di politica sensata è stata annullata dalla corruzione. I grandi soldi della lobby della potenza di fuoco impediscono una risposta onesta e ragionevole: il denaro inviato all'Ucraina, come ci ha fatto sapere Joe Biden, “torna in patria”, o almeno la parte che non viene rubata, nelle tasche delle industrie degli armamenti della Virginia settentrionale.
Il problema non è politico, è mega-politico. La mega-politica ci dice che le persone non sempre dicono quello che vogliono, sanno quello che vogliono o ottengono quello che vogliono. Invece pensano quello che devono pensare, fanno quello che vogliono fare e ottengono quello che meritano. E finiscono dove dovrebbero essere: trascinate dalle profonde correnti della storia. Nessuno vuole morire, per esempio, ma l'esito è quello per tutti. Nessuno vuole che la previdenza sociale vada in rovina, ma se non si corregge il tiro, succederà.
Chi vuole morire? Chi vuole gravare i propri figli di una vita di debiti? Ma chi può fermarlo? La risposta è: probabilmente nessuno. Quindi dobbiamo aspettarci che il Trend primario (prezzi reali degli asset più bassi, tassi d'interesse più alti, inflazione... insieme a caos e corruzione) continui. Man mano che le élite acquisiscono sempre più potere, diventano meno benigne, più fuori dal mondo e più parassitarie. Le loro società passano gradualmente dal “commercio gentile” e volontario a regole, regolamenti, leggi e linee di politica coercitive. Negli accordi win-win (vicendevolmente vantaggiosi) tra partecipanti volontari, le persone si accordano per migliorare reciprocamente la loro vita e quindi produrre “ricchezza”. Gli accordi win-lose (a somma zero), sostenuti dalla coercizione statale, ridistribuiscono la ricchezza e la distruggono. Le persone ottengono meno di ciò che vogliono (ricchezza) e più di ciò che i loro governanti vogliono che abbiano.
Le élite europee, in particolar modo, hanno percorso l'inevitabile sentiero dell'eccesso di promesse durante la loro carriera di classe dirigente. Inevitabile perché, come abbiamo appreso dalla serie sul Sovranismo pubblicata su queste pagine, anche l'apparato statale è vincolato alle leggi economiche ed esse sono apodittiche: Legge dei rendimenti decrescenti. Cercare di rimandare temporaneamente la correzione, posticipa il problema nel futuro a un costo maggiorato: dolore economico più acuto. Cedere influenza e potere guadagnati è come morire per le élite. Non solo, ma suddetta posticipazione può essere attuata solo mobilitando quantità di denaro (e di tempo) progressivamente maggiori e così facendo deviano risorse economiche scarse laddove sarebbero messe meglio a frutto. Il risultato è un accartocciamento industriale, soprattutto in un settore cruciale per il futuro come quello tecnologico.
Tech companies market cap. Couple of years old, since then the gap between Europe, the US and China has gotten even larger. But hey, let’s see what we can regulate in Europe next.
Is t funny, or sad? pic.twitter.com/YIQZG13uuO
Ma questo non importa, almeno non alle élite europee perché faranno letteralmente di tutto per portare avanti il loro piano. Qual è? Integrazione fiscale e obbligazionaria in Europa, per poi procedere a un haircut degli obbligazionisti per abbattere il gigantesco debito pubblico. Questo è possibile farlo se l'unico player credibile è l'Europa, da qui la necessaria campagna di demolizione dall'interno degli Stati Uniti. Non è possibile farlo in un ambiente, come quello attuale, in cui i capitali finanziari volano spaventati verso gli USA e il dollaro ha ripreso le redini della propria politica monetaria.
This famous End of the Dollar must be really imminent pic.twitter.com/YK54fLw56L
— Michael A. Arouet (@MichaelAArouet) December 7, 2024Il piano dell'élite europea, o della cricca di Davos insieme ai suoi compari inglesi, ha finito per essere avversato dal conglomerato bancario commerciale statunitense dato che, attraverso l'implementazione del dollaro digitale sotto forma di CBDC, sarebbe stato spogliato di tutto il suo potere e sfere d'influenza. Dal 2016 è guerra aperta tra i primi e i secondi, e l'elezione di Trump, insieme all'onda rossa, rappresentano in realtà un processo purgativo di tutti quegli infiltrati della cricca di Davos nella macchina politica americana che finora avevano impedito un aggiustamento anche dell'equazione fiscale. Trump non è altro che l'addetto alle pubbliche relazioni dei cosiddetti New York Boys. È uno scontro tra giganti, tra grandi poteri, tra grosse cosche mafiose e non esistono esclusioni di colpi. In questa guerra la cricca di Davos attualmente sta avendo la peggio, ma non si daranno mai per sconfitti... anzi faranno saltare il tavolo da gioco se necessario. Soprattutto sul loro territorio tutto deve essere sotto rigido controllo. Questa, ad esempio, è l'ennesima angheria nei confronti della popolazione inglese, rea nove anni fa di aver votato per la Brexit. La punizione più eclatante è stata la manipolazione del cross pair EURGBP sopra i 90 (da parte di BCE e BoE), in modo da impedire a una sterlina più economica di attirare investimenti esteri nel Paese.
Aumenti delle tasse, sequestro delle terre degli agricoltori, negoziati infiniti per la Brexit, ecc. sono stati tutti controlli eretti dalle istituzioni sia inglesi che europee (governi e banche centrali al seguito) per ostacolare la concretizzazione definitiva della Brexit. La popolazione in generale, e soprattutto la classe media, ha finito per odiarla proprio per questi motivi.
Lo stesso discorso vale per le colonie. Di conseguenza non si può accettare che Paesi come la Romania e la Georgia, ad esempio, possano avere leader che pensino prima agli interessi nazionali e poi a quelli internazionali, impedendo a chicchessia di trasformare la propria patria in un cumulo di macerie.
Ma la vera domanda è: come mai Georgia, Romania e Moldavia hanno iniziato a ribollire proprio adesso, dopo l'elezione di Trump? Chi ha più da perdere da una loro minore ricattabilità? Pensiamo un attimo alla Georgia, il partito in carica non ha mai nascosto la sua linea di politica equidistante da Europa e Russia. Altresì non ha mai nascosto il suo filo-europeismo. Ciononostante doveva essere utilizzato come proxy per un nuovo fronte di guerra in Europa orientale, ma Sogno georgiano ha rifiutato di scaraventare la nazione in un tritacarne. E data l'esperienza del passato, ha pensato bene di vederci meglio nella selva sterminata di ONG che operano sul suo territorio. Da quel momento in poi la narrativa occidentale ha iniziato a ribaltare la realtà e definire filo-russo il partito georgiano in carica fino alle più recenti manifestazioni di piazza in cui agenti esteri continuano a imperversare nelle piazze e addirittura ministri degli esteri dei Paesi baltici. Gli Stati Uniti continuano a essere sulla bocca di tutti, anche perché la NATO sono gli Stati Uniti, mentre invece azioni più pesanti e drastiche e interessi da parte di un altro player vengono opportunamente soprassedute. Sto parlando dell'Inghilterra. La stessa che si assicura di avere voce in capitolo in Romania e, dopo la vittoria del candidato “giusto”, in Moldavia.
Gli Stati Uniti, come abbiamo visto sopra, non hanno molto da perdere, anzi minore ingerenza negli affari altrui significherebbe più soldi e risorse da spendere in patria. Finora il supporto in Ucraina è stato controproducente, scriteriato e lesivo del benessere americano stesso (nonché della reputazione dell'esercito stesso). Se è vero che la City di Londra ha avuto il controllo della politica monetaria americana tramite il LIBOR, fino al gennaio 2022, allora è altresì logico presupporre che abbia avuto un particolare ascendente anche sulla linea di politica estera delle varie amministrazioni infiltrate dalla cricca di Davos. Ultima in ordine cronologico quella Biden. L'accelerazione e l'escalation in tutto il mondo a livello di guerre settarie a cui abbiamo assistito sin dal 5 novembre, denota un movimento convulso per assicurarsi che la nuova amministrazione Trump finisca in un pantano geopolitico prim'ancora del suo insediamento in modo che il flusso di dollari continui a scorrere fino in Europa.
È Londra, dopo Bruxelles, quella che ha più da perdere.
FRANCIA
L'UE, e in particolare i suoi membri di spicco, stanno continuando a comprare tempo. Il modello europeo è stato venduto a quello sino-russo e per quanto sì possano sbracciare i difensori di questa UE l'evidenza è indiscutibile: controllo capillare della società in stile sovietico. La guerra cinetica è la manifestazione disordinata di una guerra economica più grande, e l'UE ha bisogno di mobilitare la sua risorsa più grande: risparmiatori e contribuenti. E non devono fiatare, quindi devono disabituarsi a farlo... e forse la tanto sbandierata decarbonizzazione non è solo una battuta di spirito in questo contesto. Ma senza scomodare gli ultimi quattro anni la deriva autoritaria dell'UE parte da lontano: golpe contro Berlusconi e referendum irlandese per entrare nell'euro. Qui la cricca di Davos, insieme ai suoi compari inglesi, hanno un disperato bisogno di girare la guerra economica contro gli USA a loro favore. Questo significa che non si fermeranno davanti a niente e nessuno, alzando a ogni passo la posta in gioco.
Nel frattempo l'unica preoccupazione dei membri di spicco dell'UE è non soccombere sotto i colpi sempre più forti di una correzione economica incessante. La BCE, a tal proposito, sta facendo di tutto per tenere un tetto sui rendimenti obbligazionari dell'Eurozona (in particolar modo rispetto alla controparte americana), ma il compito diventa sempre più arduo da sostenere. La recente impennata dei tassi in Francia è una prova in tal direzione.
Ecco un riassunto della situazione francese: crescita della spesa sugli interessi del debito pubblico la più alta tra i Paesi europei; la spesa pubblica è fuori controllo; il rapporto debito/PIL è salito sopra il 100%; in termini assoluti ha più euro di debito rispetto all'Italia; i tassi d'interesse costano al 4% rispetto al PIL più della Grecia, senza contare che la legge di bilancio doveva immettere €60 miliardi, ma non è stata approvata. In poche parole, i lettori di questo blog sapevano già da tempo che la Francia si sarebbe unita alle fila dei PIIGS. Le sfide economiche della Francia non si esauriscono solo a livello economico, anche a livello geopolitico soffre per la perdita di sfere d'influenza a vantaggio dei BRICS. La differenza tra Francia e Stati Uniti è che questi ultimi sono in grado di aumentare le tasse. Se gli Stati Uniti lo faranno è un'altra storia, ma almeno sono in grado di farlo. La Francia, invece, è probabile che abbia raggiunto o sia vicina al picco massimo di aumento delle tasse. Se ci saranno ulteriori aumenti in tale direzione, le entrate fiscali potrebbero di fatto diminuire secondo la Curva di Laffer, per non parlare dell'ulteriore frammentazione sociale.
Nel frattempo le pressioni inflazionistiche derivanti dall'aumento dei prezzi dell'energia, le interruzioni della catena di approvvigionamento e le ricadute globali della guerra in Ucraina stanno rendendo la vita sempre più difficile ai cittadini francesi. I vincoli fiscali, tra cui la “procedura per deficit eccessivo”, limitano la capacità del governo di spendere per uscire da questi problemi. Questa stagnazione economica ha colpito più duramente le famiglie a basso e medio reddito, alimentando disordini sociali e malcontento. Con la crescente sensazione che la disuguaglianza economica si stia aggravando, i movimenti populisti stanno guadagnando terreno, respingendo i partiti politici tradizionali e mettendo in discussione l'integrazione europea.
Francia e Germania sono sempre state pilastri dell'Unione Europea, ma mentre l'instabilità economica e politica si aggrava sia in Francia che in Germania, tutto ciò mette in discussione la stabilità dell'UE stessa. Se la situazione economica della Francia dovesse deteriorarsi ulteriormente e i movimenti populisti guadagnassero ancora più terreno, ciò potrebbe innescare nuovi dibattiti sul futuro dell'UE. L'ascesa del populismo in uno degli stati principali dell'UE potrebbe incoraggiare altri movimenti euroscettici in tutto il continente, portando a nuove pressioni di frammentazione. La crisi energetica e l'aumento dell'inflazione non sono un'esclusiva della Francia, ma hanno aumentato le tensioni economiche in tutta Europa. Anche la Germania, un tempo motore economico dell'UE, sta affrontando gravi sfide a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia, dell'indebolimento dei settori manifatturiero e industriale e della spesa fiscale limitata a causa del freno al debito. Paesi come l'Italia e la Spagna, che hanno già affrontato crisi del debito sovrano in passato, rimangono vulnerabili agli shock economici.
Mentre l'UE ha dimostrato resilienza di fronte a queste sfide, i problemi fiscali della Francia potrebbero aggiungere ulteriore tensione. Se una delle principali economie dell'UE vacilla, ciò complicherebbe gli sforzi per mantenere l'unità, soprattutto quando la “solidarietà fiscale” è già una questione controversa. Un governo francese diviso potrebbe avere difficoltà a sostenere iniziative UE più ampie, come le politiche di transizione energetica e gli obiettivi climatici, i quali richiedono una volontà politica unitaria e ingenti investimenti finanziari.
Una rinnovata frammentazione economica, inoltre, potrebbe mettere a dura prova la capacità della BCE di gestire la politica monetaria nell'Eurozona. Mentre i Paesi affrontano sfide economiche divergenti, la BCE potrebbe trovare sempre più difficile bilanciare il controllo dell'inflazione tramite gli stimoli monetari. Inutile dire che ciò sarebbe foriero di ulteriore instabilità finanziaria, rendendo più difficile tenere unita l'Eurozona.
GERMANIA
La Germania ha abbracciato le ideologie “green”. Una volta che i tedeschi aderiscono a un'ideologia, pare essere difficile far cambiare loro idea. Ed è così che la cancelliera Angela Merkel è arrivata al potere. Molti dimenticano che non è emersa dall'estrema sinistra verde, proveniva dalla CDU/CSU, il partito di centro-destra della Germania. La sua eredità è chiara:
- islamizzazione demografica della Germania aprendo le porte a un'ondata di migranti estranei alla cultura tedesca e con meno o nessun interesse ad assorbirla;
- subordinazione energetica alla Russia;
- distruzione del settore nucleare della Germania.
Con la Merkel fuori gioco, la Germania si ritrova lungo una traiettoria di impoverimento e accelera. Secondo lo Süddeutsche Zeitung, il Ministero dell'Economia tedesco prevede ora una contrazione del PIL dello 0,2% per il 2024, invertendo la sua precedente previsione di crescita dello 0,3%. Senza contare anche l'annientamento industriale. BASF, ad esempio, un fiore all'occhiello del settore industriale tedesco sin dal 1865, simboleggia la forza manifatturiera della nazione. Con quasi 400 siti di produzione in 80 Paesi, il suo cuore rimane a Ludwigshafen, in Germania, dove gestisce un vasto complesso con 200 stabilimenti e impiega circa 39.000 persone. Negli ultimi due anni l'azienda ha chiuso una delle sue due unità di ammoniaca e ne ha tenute inattive diverse altre a causa della loro mancanza di competitività, con conseguente perdita di 2.500 posti di lavoro. Ha visto inoltre vendite in calo del 21,1% e utili rettificati in calo del 60,1%. In aggiunta a queste difficoltà BASF ha annunciato piani per tagliare i costi di altri $1,1 miliardi a Ludwigshafen, prefigurando ulteriori tagli ai posti di lavoro.
Euronews riferisce che “i guai economici della Germania continuano e il Paese ora affronta lo spettro di chiudere il 2024 in recessione”, il risultato diretto dell'abbandono da parte della Germania della sua politica decennale di importazione di energia a basso costo dalla Russia. Ora acquista GNL dagli Stati Uniti a prezzi più alti, il che a sua volta aumenta i costi in generale e corrode la sua competitività economica.
Come risultato di questo disastro industriale, l'establishment tedesco sta affrontando una rivolta da parte della sua popolazione, come dimostrato dalle recenti elezioni in Turingia, Sassonia e Brandeburgo, le quali hanno visto l'ascesa del partito di destra AfD. Mentre la logica vorrebbe la formazione di una coalizione di centro-destra e destra, che insieme avrebbero una larga maggioranza, il centro-destra ha reso chiaro il suo assoluto rifiuto di governare con AfD. Ciò significa che se la CDU dovesse vincere alle prossime e imminenti elezioni, dovrebbe governare con i Verdi, simbolo di tutto ciò che ha decretato la fine del colosso tedesco. Questa collaborazione è facilitata da una convergenza ideologica: sia la CDU che i Verdi credono nella necessità della “transizione energetica”. L'eliminazione dei combustibili fossili e dell'energia nucleare deve essere sostituita dalle “energie rinnovabili” (intermittenti, spesso inaccessibili e di uso pratico limitato). Questa visione aiuta a spiegare perché il Partito Popolare Europeo (PPE), il più grande gruppo politico del Parlamento europeo in cui la CDU ha forte influenza, ha nominato Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. Inutile ricordare che sotto la sua guida l'economia sta crollando, l'industria sta scomparendo e l'islamismo sta proliferando.
“Un'Europa a zero emissioni di anidride carbonica”, un'impossibilità fisica, non accadrà mai. Anche se ipoteticamente dovesse accadere, non farebbe alcuna differenza a livello mondiale: l'Europa rappresenta solo l'8% delle emissioni globali. La distruzione dell'industria europea da parte della destra tedesca non avrebbe alcun effetto sul clima. È funzionale invece a un abbassamento degli standard sociali a causa di un eccesso di promesse da parte delle élite europee. Il motivo stesso per cui si sono imbarcate in una guerra scriteriata contro la Russia. Un proxy anche questo, alla fine, visto che l'obiettivo unico e critico è quello di tornare a rendere liquidi i mercati dei capitali europei, in modo da avere finanziamenti a basso costo attraverso lo sfruttamento della ricchezza altrui (ovvero quella degli Stati Uniti). La mentalità coloniale europea e inglese non è mai scomparsa, ha invece usato altri canali per proliferare: eurodollaro, rivoluzioni colorate, colpi di stato tramite la magistratura.
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Mettiamo anche che sia vero e che ci siano le "prove" di influenza dell'elettorato rumeno tramite Tiktok. In che modo questo giustifica l'abbattimento plateale, e a questo punto progressivo, dello stato di diritto?https://t.co/po8axWt6U3
I colonialisti europei sono come le locuste: aspettano che cresca il raccolto e poi lo divorano. L'hanno fatto con gli Stati Uniti prima della Seconda guerra mondiale; hanno riprovato a farlo con la Cina. La formazione di capitale a livello pubblico (capitalismo degli stakeholder) prende spunto dalla crescita cinese sin dal 1979, è stato un laboratorio interessante da portare avanti. Solo che i cinesi hanno rifiutato di aprire i propri mercati dei capitali all'estero, impedendo alle locuste di divorarli. Dopo l'indipendenza finanziaria degli USA tramite l'avvio del SOFR e l'isolamento dai contraccolpi recessivi del resto del mondo, l'Europa rimane sola col proprio bacino di ricchezza da consumare. Ecco perché ha disperatamente bisogno di un'integrazione fiscale e obbligazionaria a livello di debito sovrano. Ecco perché deve costringere col ricatto “green” la Bundesbank a cedere su questo punto. Ecco perché continuerà a usare la scusa della guerra come giustificazione per portare il continente in tale direzione.
ITALIA
Uno degli indicatori più affidabili per confutare la narrativa “ottimista” del governo italiano riguardo a un'economia in ripresa, è guardare ai prestiti al settore privato. Netto declino. Questo significa due cose. La prima è che le banche commerciali sono ancora avverse al rischio e notano un ambiente economico/finanziario instabile, incerto e rotto. In Europa la classe media è la garanzia collaterale per tamponare la fuga di capitali verso gli USA, in particolar modo, poi, in Italia concedere un presto immobiliare è ancor più rischioso perché in caso di inadempienza è estremamente difficile pignorare l'immobile; un disastro per il bilancio dell'istituzione bancaria. La seconda: le banche sono concentrate a comprare obbligazioni sovrane per tenere artificialmente soppressi gli spread di credito europei nei confronti del resto del mondo, USA in particolare. Un trade, questo, relativamente più sicuro dato che lo stato è un mutuatario “più affidabile”, soprattutto perché può ricorrere, tra le altre, all'arma della “lotta all'evasione fiscale” per rendere malleabile la maggior parte dell'opinione pubblica e pagare le cedole.
Il rovescio della medaglia è una desertificazione industriale incalzante come si vede in Germania, in Francia e nel resto dell'UE. Come descritto anche nel Capitolo 13 del mio ultimo libro, Il Grande Default, l'Europa si sta autofagocitando per permettere all'attuale classe dirigente di portare avanti un disegno utopico, irrealistico e devastante del suo modo di uscire dal pantano economico, sacrificando nel processo tutto il resto.
A proposito della malleabilità dell'opinione pubblica, la maggior parte degli italiani prenderà con un sospiro di sollievo questa notizia, togliendosi la classica goccia di sudore dalla fronte e pensando che, alla fin fine, chi viene colpito dalla scure del fisco “ha di più” e “deve contribuire” al benessere sociale. Inutile dire che un simile pensiero, radicato nel postribolo socialista italiano, è il germe della propria distruzione e dolore economico. Togliere linfa vitale alla classe media significa azzoppare la formazione di capitale a favore di una sua consumazione immediata per far girare gli ingranaggi di uno stato sociale ipertrofico. Il benessere temporaneo percepito dai poveri è passeggero perché misure fiscali simili scaraventano nella povertà anche coloro che dovrebbero essere gli “addetti” alla creazione della ricchezza della nazione, andando quindi a ingrossare le fila di chi poi avrà necessità delle elemosine di stato. Da chi si prenderà poi? Dai poveri, ovviamente, visto che la loro dimensione sarà aumentata.
Per quanto controintuitivo possa sembrare questo pensiero, ma lo è solo per gli italiani, è spiegato egregiamente da Chodorov in due dei suoi libri migliori: La radice di tutti i mali economici e Avanzamento e declino della società. Causa ed effetto.
E infatti questa misura della povertà in Italia ci conferma quanto teorizzato finora. Nonostante i messaggi della politica su ridistribuzione, politiche sociali e uguaglianza, il cittadino medio è più povero e ha visto peggiorare la propria posizione tra tassi elevati e inflazione. Sebbene ciò non dovrebbe sorprendere, è importante ricordarlo. Non c'è nulla di magico nell'aumento del debito, della spesa in deficit e delle tasse. Il problema per la maggior parte degli italiani è che è sempre più difficile arrivare a fine mese nonostante la spesa pubblica record o a causa del suo impatto negativo su inflazione e tasse. C'è una ragione per cui dovremmo preoccuparci del crescente malcontento e impoverimento. L'effetto placebo della spesa pubblica sul PIL sta scemando, come dimostrato anche dalla perdita di spinta nel PIL pro-capite aggiustato alla parità di potere d'acquisto (il quale deve ancora raggiungere il picco pre-crisi 2008).
Ma non è finita qui, perché c'è questo singolo dato che è a dir poco devastante. Dovrebbe far accapponare la pelle di un qualsiasi governo, di un qualsiasi presidente del consiglio e di una qualsiasi persona che “viene confortata” dalle notizie positive sul PIL. Ventiquattro mesi di calo continuo significa morte economica, dato che un Paese non può reggersi solo sul turismo. L'edulcorazione della realtà attraverso una narrativa soporifera spacciata dai media generalisti non ne cambierà l'essenza: correzione dolorosa. L'Europa, poi, è indietro su tutto, soprattutto per quanto riguarda il progresso tecnologico. Questo, quindi, è l'ennesima prova di quanto ho scritto nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ovverosia che l'UE sarà l'epicentro del default. L'inesorabilità della Legge dei rendimenti decrescenti è tutta in questa notizia. Diversamente dal settore privato, però, la cui natura adattativa permette di rompere i vincoli passati, creare nuovi equilibri e quindi rendimenti acceleranti, la natura di quello pubblico gli impedisce di seguire lo stesso percorso. Ecco perché suddetta Legge verrà portata sino all'esasperazione, dove i rendimenti diventeranno talmente negativi da richiedere una correzione tramite rottura del sistema. Per un maggiore contesto, vi basti pensare che nello stesso periodo di 17 anni il PIL è cresciuto solo del 20%. E l'Italia dovrebbe essere un Paese in grado di aumentare anche le proprie spese militari?
Passiamo al lato finanziario: apprendiamo che nell'ultimo anno è stato immesso solo €1 miliardo nella borsa italiana, mentre sono letteralmente fuggiti quasi €28 miliardi. Questa fuga è un sintomo più grande che ha visto, sin dal 2022, un deflusso crescente di capitali finanziari dall'Europa agli Stati Uniti. Ormai i parametri usati dalla narrativa mainstream per vendere un'immagine edulcorata della realtà sono sempre meno. Senza contare che il PEPP della BCE è programmato per finire tra un paio di mesi, ma sappiamo tutti che questi programmi "temporanei" diventano strutturali... come ci ha ricordato ieri Villeroy. Soprattutto adesso che oltre alla Germania anche la Francia finisce sotto la scure delle criticità economiche (oscurando addirittura il malato per eccellenza, ovvero l'Italia). Come ricordo nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è una race to the bottom e vince chi arriva ultimo (attualmente gli Stati Uniti).
La maggior parte degli investitori è consapevole che maggiori iniezioni di liquidità tendono a mascherare gli squilibri fiscali. Una spesa in deficit insostenibile è sovrapponibile alla stampa di denaro, pertanto le correzioni di mercato sono sempre un'opportunità per acquistare azioni e asset rischiosi che aumenteranno di valore in termini di valuta fiat perché "l'unità di misura", il denaro, perderà potere d'acquisto. Il problema è la saturazione dei bilanci. Mantenere soppressi artificialmente i differenziali obbligazionari in Europa inizia a mostrare le sue insostenibili crepe, e ciò è visibile nel pair EURUSD e nelle criticità emergenti anche in Francia. L'ulteriore strato di difficoltà questa volta è un'inflazione persistente e perdite della BCE nel suo portafoglio obbligazionario. Il passaggio da una correzione di mercato al successivo rimbalzo potrebbe essere un processo molto più lungo di quanto immaginato ed essendo i bilanci dei player europei estremamente saturi sono anche estremamente sensibili a un periodo prolungato di turbolenze. Inoltre tagli dei tassi non segnalano un ambiente economico sano ma in rallentamento, quindi azioni e obbligazioni europee scenderanno nonostante la promessa di un taglio dei tassi perché gli investitori continueranno a subire una minore pressione all'acquisto.
In questo contesto la salita del prezzo dell'oro ha una ragione specifica: valutazione del rischio oggettiva, non più edulcorata dalle stampanti monetarie delle varie banche centrali. L'obiettivo di questa tendenza è aumentare il peso di un asset che non ha un rischio di controparte. C'entrano poco i tassi e il dollaro. Infatti non si tratta di de-dollarizzazione, ma di schermare i bilanci dalla volatilità creata dalle linee di politica monetarie passate. Ma l'oro è solo un tassello in questo mosaico, perché la sua sola presenza e accantonamento non saranno sufficienti a ricreare fiducia nel sistema. A quello ci penserà Bitcoin. Sarà arduo rispetto agli anni '80-'90, ma solo gli Stati Uniti saranno in grado di ricreare l'ottimismo di allora... questa volta, però, solo per loro.
SPAZIO DI MANOVRA IN RESTRINGIMENTO
La domanda a questo punto rimane solo una: quando le cose inizieranno a disfarsi? Risposta veloce: quando finiscono i soldi degli altri, come accade sempre in un ambiente socialista. Facciamo un salto sul sito del Ministero del Tesoro americano: l'Inghilterra e le sue succursali detengono ormai più titoli del Tesoro americano rispetto a tutte le altre nazioni del mondo. La scorsa estate, quando la Yellen stava facendo un QE “mascherato” abbassando artificialmente la parte lunga della curva dei rendimenti, la cricca di Davos (e tutti coloro associati a essa come la BCE, la BoE, ecc.) ha comprato bond sovrani statunitensi. Il motivo? Comprare questi titoli, vendere dollari e sostenere l'euro sin da quando Powell ha iniziato il suo ciclo di rialzo dei tassi. Senza questa strategia l'euro sarebbe già arrivato a 90 centesimo al dollaro. A un certo punto, però, questa copertura finirà e la scadenza è tra poco più di un mese: Janet Yellen non sarà più in grado di sostenere Christine Lagarde nel mantenere questi differenziali di credito.
La pressione è aumentata ulteriormente da quando la BoJ ha iniziato a restringere il proprio bilancio, lasciar salire la parte lunga della curva dei rendimenti, difendere lo yen e smobilitare il carry trade che s'era instaurato con esso (es. prendere in prestito in yen e usarli poi per comprare asset fruttiferi). Anche qui, il cross pair EURJPY racconta tutta la storia. Lo spazio di manovra si sta restringendo sempre di più. E la cosa è eclatante quando si nota il differenziale di rendimento tra il decennale tedesco e quello americano, dove una nazione senza un governo e con la produzione industriale annientata vede il suo debito di riferimento trattato 200 punti base al di sotto della controparte americana. La BCE sta impazzendo a tenere in piedi questa pantomima e più l'euro scenderà come conseguenza, più dovrà abbassare il limite del rendimento tedesco da difendere (es. 2,60% con EURUSD a 1.12, 2,50% con EURUSD a 1.08, 2,40% con EURUSD a 1.06 e ora 2,30% con EURUSD a 1.04).
I've some bad news for you sunshine, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e il Congresso repubblicano (per non parlare di chi gli sta dietro) il suddetto spazio di manovra diventerà ancor più ristretto dato che il flusso di capitali volerà ancor di più negli Stati Uniti. È lì che viene trattato meglio. Ecco perché il fermento geopolitico è stato incessante sin dalla fine delle elezioni: la cricca di Davos deve rompere il mercato obbligazionario statunitense se vuole avere ancora un qualche tipo di leva per trattare. E come si può batterli? Forzandoli a comprare asset che inevitabilmente calano di valore. La BCE e la BoE continuano a lanciare vagonate di cartastraccia contro i loro guai economici/finanziari in modo da rallentare il crollo e aspettandosi, al contempo, un qualche tipo di miracolo che inverta la tendenza. Cosa può essere? Ovviamente una guerra cinetica, una rivoluzione politica o altro del genere.
È teatro, illusione. Si sventolano una manciata di dati apparentemente positivi di fronte alle persone e si fa finta che tutto stia andando secondo i piani, nel frattempo si deruba quelle stesse persone dei loro possedimenti attraverso tasse e inflazione e si guadagna tempo in attesa che un evento critico inverta il flusso di capitali. Ora che la FED è libera dal giogo del LIBOR e si può iniziare a fare pulizia nel bilancio federale, abbasserà i tassi d'interesse per proteggere il sistema bancario americano. La liquidità rilasciata invaderà tutti i settori finanziari americani, compreso Bitcoin. Il fatto che diventerà parte integrante di una riserva strategica significa che il dollaro potrà essere usato con efficacia superiore rispetto al passato. Se si mettono insieme moral suasion, offerta finita di bitcoin e spostamenti di capitali, legare indirettamente il dollaro a Bitcoin significa che la sua salita di prezzo consentirà alla nazione di stabilizzare e ripagare il debito pubblico. Stesso piano pensato per l'oro, ecco perché Powell ha detto che Bitcoin è concorrente dell'oro e non del dollaro.
Pensateci. Con cosa viene scambiato regolarmente Bitcoin? Con Tether. Guardate cosa è successo alla sua capitalizzazione di mercato dopo le elezioni americane.
Ora allarghiamo lo sguardo e vediamo cosa è successo da quando è finito il processo a suo carico a New York.
I salti che si vedono nel primo grafico sono tutti alle 8:30 ora statunitense, momento della giornata in cui è aperto il mercato dei titoli sovrani americani. Detto in modo diretto, Tether è diventata una sussidiaria del Ministero del Tesoro americano e a tutti gli effetti la versione digitale del dollaro. A prescindere dalla liquidità dei mercati, se il trading di Bitcoin sugli exchange è un ammontare X quotidianamente, e se il prezzo di Bitcoin dovesse aumentare diciamo del 20%, allora Tether dovrebbe stampare nuove unità (e quindi comprare collaterale) per una quantità equivalente al salto di BTC. Tether, una volta reso trasparenti i suoi bilanci alle autorità statunitensi e avendo queste ultime inquadrato “da che parte stesse”, è stato un importante acquirente di titoli di stato americani a breve termine perché consapevole che tali strumenti sono la garanzia collaterale più liquida e affidabile sui mercati attualmente. E il denaro fatto sui rendimenti, l'hanno messo in oro, Bitcoin e altri asset al portatore. Inutile dire che nel momento in cui la FED procederà ad abbassare i tassi, il bilancio di Tether migliorerà. Per caso Tether ha in pancia bond sovrani inglesi, tedeschi, cinesi o singaporiani? No, solo titoli di stato americani.
Questo perché è consapevole del lavoro portato avanti da Powell e dai NY Boys: restringere il mercato degli eurodollari e mettere un freno al rapporto di leva/riserva frazionaria cui è stato sottoposto sinora, creando dollari ombra ordini di grandezza superiori rispetto al mercato dei dollari interno negli USA. Ora se qualcuno vuole utilizzare gli eurodollari, come ha fatto di recente la Cina con l'Arabia Saudita, deve mettere in conto la possibilità concreta che un DXY a 120 può mandare in bancarotta il suo trade. I pasti gratis sono finiti.
Di nuovo, chi è che ha più da perdere? La City di Londra.
CONCLUSIONE
La guerra cinetica è la manifestazione disordinata di una guerra economica ben più ordinata nel sottobosco. Ecco perché è cruciale avere per le mani sempre il quadro generale della situazione, in questo modo non si cade vittima della polarizzazione della propaganda che vuole sfornare solo pedine. Il mio ultimo libro, Il Grande Default, fa proprio questo: tiene ben saldo nella mente del lettore il quadro generale. Detto in parole povere, la cricca di Davos ha le classiche peculiarità della setta ed è quindi disposta a sacrificare in un suicidio di massa le proprie pedine pur di arrivare allo scopo prefissatosi. Cos'altro è la paranoia schizofrenica nei confronti dell'energia verde se non una manifestazione concreta di questo delirio psicopatico? Cos'altro è la devastazione industriale in ogni stato cardine dell'UE se non una manifestazione concreta di questo delirio psicopatico? Cos'altro è la diffusione irreale di una situazione economica positiva, dove il bacino di dati utili per dimostrarla plausibilmente si restringe sempre di più, contrastata da una stagnazione, o peggio recessione, che morde sempre di più? Quest'ultima dissonanza è particolarmente utile per vendere ai sottoposti nella setta la visione di un paradiso utopico previa l'ingestione del veleno per il suicidio di massa.
Il dipanarsi della storia degli ultimi 5 anni ormai deriva il suo momento scatenante nel 2019, quando il principale manipolo di banche di New York è scesa dal treno del Grande Reset: niente più collaterale europeo sui mercati pronti contro termine americani. Da lì in poi è stata solo una serie di escalation, l'ultima delle quali riguarda Tether. La guerra, qui, è combattuta da una parte della finanza di Wall Street che non ha nessuna intenzione di cedere sue sfere d'influenza vitali per il comando/controllo e dalla cricca di Davos che vuole sfilargliele. Formazione di capitale privato contro formazione di capitale a livello pubblico, ovvero libero mercato “supervisionato” contro libero mercato “controllato”, capitalismo degli stockholder contro capitalismo degli stakeholder.
Per quanto sia una frode il primo, è decisamente migliore del secondo. Per essere più chiari, il modello di business americano rimarrà superiore al modello di business dei BRICS. Infatti non bisogna farsi ingannare dalla propaganda di guerra, perché è possibile capire la pledging allegiance da cosa viene fatto piuttosto che da ciò che viene detto. E le CBDC ricadono in questo alveo. La visione del mondo deve essere scandagliata per gradi, come se stesse sbucciando una cipolla: strato dopo strato fino ad arrivare al cuore. A giovarne sarà la propria consapevolezza, visto che non si cadrà vittima delle polarizzazioni: i propri interessi coincideranno con quelli delle fazioni in lotta, sene trarrà vantaggio e si dovrà essere pronti abbandonarli al momento opportuno. Un esempio in merito è presto detto: la Federal Reserve negli ultimi due anni in particolar modo rappresenta quella fonte di potere adatta a contrastare il delirio di onnipotenza scatenato dalla cricca di Davos nel mondo e affermare la propria visione del futuro; una volta passata questa tempesta, poi potrà essere il momenti di discutere su come porre fine alle banche centrali. Per quanto siano esistenzialmente valide le ragioni che hanno spinto la Russia a incendiare l'Europa orientale, essa non rimane un barlume di civiltà nel mondo moderno; così come non lo è la Cina, né le altre sfere d'influenza a essa collegate. Una piccola curiosità a tal proposito: ho notato una cosa interessante dal 2022, ovverosia che tra tutti gli articoli che ho pubblicato sull'argomento, quello che Google mi ha sempre chiesto di correggere è questo: https://www.francescosimoncelli.com/2021/07/vladimir-putin-uomo-della-cricca-di.html
Eppure ce ne sono stati altri, in cui si cercava di spiegare le “ragioni” della Russia. Ciononostante solo questo è sempre stato flaggato.
Nothing inevitable about the flood of transshipments to Russia from the EU, especially Germany and Italy. The UK and US show that it's possible to reign in these exports. You just have to want to. The EU is a free-for-all because its leaders do the bidding of its big exporters... pic.twitter.com/SF7FkscrHH
— Robin Brooks (@robin_j_brooks) December 7, 2024Quando ci si confronta con queste realtà è bene sempre tenere a mente che i confini nazionali sono solo un costrutto sociale per giustificare l'estrazione di tasse, energia e tempo dai contribuenti. Esistono fazioni elitarie sovranazionali che, funzionando come una cupola mafiosa, stringono accordi e tradiscono.
È un mondo fatto di specchi e non è opportuno scambiare i riflessi per la realtà.
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Bitcoin ha superato i $100.000
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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Il prezzo di Bitcoin ha superato per la prima volta i $100.000 alle 21:35 EST del 4 dicembre 2024.
Sedici anni e due mesi prima, il 31 ottobre 2008, era apparso per la prima volta il white paper intitolato “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” e si diffuse lentamente nei thread di Reddit e in altri canali di discussione su Internet. Per quasi diciotto mesi gli sviluppatori lavorarono allo schema delineato e descritto dall'autore: Satoshi Nakamoto. Il “Pizza Day” segnò un momento cruciale nella storia di Bitcoin quando, nel maggio 2010, 10.000 BTC furono scambiati per due pizze, dandogli un prezzo a circa $0,0025 per BTC. A luglio 2010 BitcoinMarket.com, il primo exchange, iniziò a riflettere il primo tasso di cambio, il quale si aggirava intorno ai $0,06 per BTC.
La valutazione a sei centesimi rappresentò un apprezzamento significativo rispetto al precedente prezzo del “Pizza Day” e, cosa più importante, plasmò le dinamiche di domanda e offerta all'interno di comunità di nicchia incuriosite dalla novità. Queste transazioni gettarono le basi per l'evoluzione di Bitcoin da un concetto digitale sperimentale a un asset negoziabile, aprendo la strada a scambi più sofisticati e, infine, all'adozione mainstream.
Si potrebbe dire molto di più sul decennio trascorso: Mt. Gox, l'haircut a Cipro, Ethereum, Silk Road, il prezzo di Bitcoin mostrato per la prima volta su Bloomberg, i contratti futures al Chicago Mercantile Exchange, gli exchange traded fund (ETF), Microstrategy, Tesla, FTX, l'ascesa di migliaia di exchange popolati da migliaia e migliaia di altcoin, token non fungibili (NFT) e decine di altre pietre miliari lungo il percorso. Un resoconto più importante in questo particolare momento è la netta scarsità di alleati che Bitcoin ha avuto tra le élite finanziarie e aziendali, la maggior parte delle quali ha espresso valutazioni dure o sprezzanti circa la sua fattibilità e prospettive.
Warren Buffett, amministratore delegato di Berkshire Hathaway e secondo alcuni l'investitore di maggior successo di tutti i tempi, ha liquidato il Bitcoin come “veleno per topi al quadrato” (prezzo a $9.300), sostenendo che non avesse valore intrinseco e fosse solo un asset speculativo piuttosto che investimento produttivo. Il suo socio in affari, Charlie Munger, ha riecheggiato questi sentimenti, definendo Bitcoin “disgustoso e contrario agli interessi della civiltà” (prezzo a $57.000) e associandolo a comportamenti criminali. Munger avrebbe tratto beneficio dalla riflessione sul ruolo comparativo del dollaro, non solo nella criminalità globale ma anche nell'alimentare guerre, consentire intrighi geopolitici destabilizzanti e altre attività controverse.
Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan Chase, etichettò Bitcoin come una “frode” nel 2017 (prezzo a $4.100) — anche se i tecnici al suo servizio stessero lavorando a progetti strettamente correlati — da allora ha ammorbidito la sua posizione sulla tecnologia blockchain rimanendo, però, scettico sul potenziale di Bitcoin come valuta. E l'economista premio Nobel, Paul Krugman, ha paragonato Bitcoin a uno schema Ponzi (prezzo a $97.000), criticandone l'inefficienza, gli elevati costi di transazione e l'impraticabilità come mezzo di scambio. Il curriculum di Krugman per quanto riguarda la valutazione della tecnologia non è di particolare merito.
L'economista Nouriel Roubini, spesso definito “Dr. Doom” per le sue previsioni di crisi economiche, ha spesso definito Bitcoin la “madre di tutte le bolle” (prezzo a $6.000) sottolineandone la volatilità, i problemi di scalabilità e l'associazione con attività illecite. La senatrice Elizabeth Warren ha concentrato le sue critiche sull'impatto ambientale di Bitcoin (prezzo a $47.000), citando il suo processo di mining ad alta intensità energetica, evidenziando anche le sfide normative e i rischi per i consumatori (le affermazioni sul clima sono facilmente confutabili e l'opposizione della Warren all'audit della Federal Reserve non sorprende).
Bill Gates, co-fondatore di Microsoft, ha sollevato preoccupazioni sulla natura speculativa di Bitcoin, affermando che “lo venderebbe allo scoperto se potesse” (prezzo a $9.000). Tali opinioni, stranamente, non hanno impedito alla sua azienda da $3.000 miliardi di accettare pagamenti in Bitcoin. Anche l'ex-capo economista dell'FMI, Raghuram Rajan, ha messo in guardia sulle tendenze speculative di Bitcoin (prezzo a $60.000) e ha messo in dubbio la sua praticità come riserva di valore o metodo di pagamento. L'India ha tentato di vietare le criptovalute, senza successo però. E le circostanze potrebbero cambiare, ovviamente, ma El Salvador sembra cavarsela bene.
I critici tendono a esprimere temi comuni: la natura speculativa di Bitcoin, le inefficienze e i rischi sociali, sebbene le loro aree d'interesse specifiche varino. Insieme le loro critiche riflettono uno scetticismo tra molti leader finanziari ed economici riguardo la capacità di Bitcoin di mantenere la sua promessa come valuta rivoluzionaria o riserva di valore. La conclusione chiave di questi detrattori di alto profilo è questa: quando una figura rispettata riconosce la possibilità di un'innovazione controversa all'interno o adiacente al suo campo di competenza, spesso ha ragione. E quando quegli stessi individui affermano che una nuova innovazione nella loro sfera professionale è impossibile, impraticabile o fondamentalmente imperfetta, hanno quasi sempre torto. In questo caso, a essere onesti, non possiamo dichiarare che questi critici abbiano torto in senso assoluto, solo che hanno sbagliato nel corso di sedici anni, mentre Bitcoin è passato da un tasso di cambio di $0,06 a oltre $100.000.
Bitcoin è stato dichiarato morto (o ne è stata prevista la fine imminente) quasi 500 volte, la prima delle quali a un tasso di cambio di $0,23 centesimi. Ma sebbene il significato del sistema decimale sia radicato nella storia evolutiva dell'anatomia umana (dieci dita delle mani e dieci dita dei piedi), il raggiungimento da parte di Bitcoin del benchmark a sei cifre offre un momento opportuno per valutarne i progressi, l'impatto e il significato fino a oggi.
1. Il potere della decentralizzazione
Il successo di Bitcoin sottolinea la capacità dei sistemi decentralizzati di prosperare senza una pianificazione centrale. A differenza delle valute fiat o degli strumenti finanziari regolati centralmente, Bitcoin opera interamente secondo i principi del libero mercato: è governato da codice informatico, consenso e partecipazione volontaria. La sua ascesa a $100.000 dimostra come l'innovazione decentralizzata e senza autorizzazioni possa sfidare, migliorare e superare i sistemi legacy, compresi quelli nel regno monetario.
2. Un rifiuto dell’interventismo monetario
La pietra miliare di Bitcoin evidenzia il crescente malcontento nei confronti delle valute fiat soggette a pressioni inflazionistiche causate dalle politiche monetarie delle banche centrali. Il suo limite di offerta fisso (21 milioni) contrasta nettamente con l'espansione incontrollata dell'offerta di denaro osservata nelle economie tradizionali, rendendolo un esempio concreto della richiesta di “denaro denazionalizzato” di Friedrich Hayek. Questa pietra miliare potrebbe essere interpretata come un referendum contro le politiche inflazionistiche e una richiesta di solidi principi monetari.
3. Una richiesta di controllo finanziario sovrano
Bitcoin attrae gli individui che cercano autonomia finanziaria. La sua ascesa dimostra la preferenza del mercato per strumenti finanziari che consentono agli utenti di aggirare gli intermediari, proteggere la propria ricchezza dal sequestro o dalla svalutazione da parte dello stato e facilitare le transazioni a livello globale. Ciò è in linea con gli ideali libertari di sovranità e libertà individuali, dimostrando che le persone apprezzano (e sono disposte a pagare un extra per) queste caratteristiche in un'economia globale sempre più dominata dalla sorveglianza e dal controllo.
4. Prova della superiorità dell’allocazione del capitale nel libero mercato
La crescita del valore di Bitcoin riflette la capacità del libero mercato di allocare le risorse in modo efficiente, anche in contesti speculativi. Il capitale è confluito in Bitcoin e nel suo ecosistema in base alle convinzioni degli attori di mercato sulla sua utilità, sulle prospettive future e sul ruolo di copertura contro i sistemi tradizionali. Questa è la prova della capacità del mercato di identificare e coltivare tecnologie trasformative senza la necessità di sussidi o mandati governativi.
5. Inclusione attraverso la disintermediazione
Bitcoin ha abbassato le barriere alla partecipazione finanziaria, soprattutto per coloro che sono esclusi dai sistemi tradizionali. La sua natura senza autorizzazioni consente la partecipazione globale, dando alle persone nelle regioni sottobancarizzate accesso a strumenti per risparmiare, effettuare transazioni e creare ricchezza. Il superamento dei $100.000 da parte di Bitcoin simboleggia un trionfo per l'inclusione economica, dimostrando come i mercati liberi possono fornire strumenti che danno potere agli emarginati economicamente.
6. Rivendicazione dei sistemi trustless
La natura trustless di Bitcoin, abilitata dalla crittografia e dalla tecnologia blockchain, ha ottenuto l'accettazione globale attraverso i processi iterativi dei mercati senza vincoli. Individui in tutto il mondo hanno testato, sfidato e alla fine hanno iniziato a fidarsi di Bitcoin per la sua affidabilità, trasparenza e prevedibilità, non per l'applicazione delle leggi governative. La sua valutazione a $100.000 giustifica l'idea che la fiducia può essere costruita attraverso meccanismi di mercato e tecnologia, non coercizione o controllo centralizzato.
Bitcoin è una delle innovazioni più trasformative nell'economia monetaria degli ultimi cento anni, ma il raggiungimento dei $100.000, per quanto degno di nota, non garantisce un percorso chiaro per Bitcoin o per il settore delle criptovalute in generale. In quanto asset il cui valore è intrinsecamente derivato da valutazioni soggettive in un'intersezione unica tra finanza e tecnologia, Bitcoin rimane vulnerabile a rivalutazioni improvvise e significative, sia a causa di media concorrenti che di sviluppi macroeconomici. È vero, ha resistito a sedici anni di controlli e attacchi da parte di stati, intellettuali, scettici alla moda e concorrenti, aumentando di uno straordinario 3.999.900% da una valutazione iniziale di $0,0025 il 22 maggio 2010 a $100.005 il 4 dicembre 2024, 5.310 giorni dopo. Tuttavia, come per tutti i progressi che cambiano il paradigma, il mercato rimane comunque dinamico. Nonostante i quindici anni di rafforzamento antifragile di Bitcoin, l'inespugnabilità totale non esiste.
Semmai un giorno Bitcoin verrà soppiantato da un altro asset digitale che offrirà miglioramenti indiscutibili, il suo ruolo nel seminare e far germogliare la classe di asset delle criptovalute, e nel guidare migliaia di miliardi di dollari di investimenti in asset e imprese simili e correlate, rimarrà pur sempre significativo, se non di più. Per ora, al traguardo dei $100.000, i sostenitori e i fautori di Bitcoin possono considerare la loro pazienza e intuizioni come giustificate. La stabilità è un'illusione, ma la volatilità è la verità.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Come tagliare $2.000 miliardi dal bilancio federale americano
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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Un obiettivo da $2.000 miliardi in risparmi di bilancio è cruciale per il futuro stesso della democrazia costituzionale e della prosperità capitalista in America. Infatti il crescente debito pubblico è ormai così fuori controllo che il bilancio federale minaccia di diventare una macchina finanziaria da giorno del giudizio. Quindi più potere al DOGE di Musk e Ramaswamy. A palate!
Per fugare ogni dubbio, basta ricordare questa sequenza: quando Ronald Reagan fu eletto nel 1980 con l'invito a tenere sotto controllo il bilancio inflazionistico della nazione, il debito pubblico era di $1.000 miliardi; quando Donald Trump è stato eletto per la prima volta era esploso a $20.000 miliardi; ora sono diventati $36.000 miliardi e con le attuali politiche di spesa e fiscali integrate raggiungerà i $60.000 miliardi entro la fine dell'attuale finestra di bilancio decennale.
La spesa per interessi in aumento innescherà un vero e proprio incendio fiscale: il debito pubblico salirebbe senza sosta fino a $150.000 miliardi entro la metà del secolo, secondo l'ultima proiezione del CBO. E quest'ultima si basa su un modello di bilancio che ingloba uno scenario roseo: presuppone che il Congresso non adotti mai più un singolo taglio delle tasse o programma di spesa e che l'economia statunitense proceda senza recessioni, senza recrudescenze inflazionistiche, senza impennate dei tassi d'interesse o altre crisi economiche per il prossimo quarto di secolo!
Naturalmente molto prima che il debito pubblico raggiunga effettivamente i $150.000 miliardi, o il 166% del PIL secondo l'attuale proiezione a lungo termine del CBO, l'intero sistema imploderebbe. Ogni residuo dell'America come la conosciamo oggi andrebbe a rotoli.
Quindi dobbiamo essere chiari sul fatto che il team di Musk e Ramaswamy debba tagliare $2.000 miliardi all'anno e farlo sin da subito. Questa precisazione è d'obbligo perché vediamo i soliti commentatori sprovveduti dire: “Oh, saranno $2.000 miliardi in 10 anni o almeno in un periodo di tempo pluriennale”.
Ma non penso che intendessero affatto questo, perché la dichiarazione di Elon sulla questione al raduno del Madison Square Garden è stata molto chiara e, francamente, se realizzata in 10 anni o anche 5 anni non varrebbe neanche la pena di scomodarsi. Questo perché la macchina apocalittica fiscale della nazione accumulerà spese per interessi così velocemente da rendere $2.000 miliardi di risparmi distribuiti in un decennio poco più di un errore di arrotondamento. Vale a dire, le spese per interessi federali hanno già superato la soglia dei $1.000 miliardi all'anno, cifra che raggiungerà i $1.700 miliardi entro il 2034 secondo il CBO e, secondo i nostri calcoli, supererà i $7.500 miliardi all'anno entro la metà del secolo.
Se non si fa qualcosa di drastico adesso, come un piano da $2.000 miliardi annuali di risparmi sul bilancio, entro 25 anni l'America pagherà più interessi sul debito pubblico dell'intero bilancio federale (previdenza sociale, difesa, Medicare, istruzione, autostrade, interessi e il Monumento a Washington) di oggi.
Quindi, sì, Musk intendeva sicuramente $2.000 miliardi all'anno in questa dichiarazione:
“Quanto pensate che potremmo ricavare da questo spreco da $6.500 miliardi (annuali) che rappresenta il budget Harris-Biden?”, ha chiesto a Musk Howard Lutnick, co-presidente del team di transizione di Trump, durante il recente comizio dell'ex-presidente tenutosi al Madison Square Garden di New York City.
Senza fornire dettagli, Musk ha risposto dicendo che pensa “almeno $2.000 miliardi” e da allora ha attirato grande attenzione online e suscitato reazioni contrastanti.
Ovviamente il governo federale tentacolare e la sua prodigiosa estensione di spesa e debito cercano di seminare zizzania. Dopo tutto l'attuale bilancio annuale da $7.000 miliardi equivale a una spesa federale di quasi $20 miliardi al giorno e $830 milioni all'ora. E quando si parla delle prospettive di bilancio decennale, l'attuale base di spesa del CBO per il 2025-2034 ammonta a $85.000 miliardi, o appena al di sotto del PIL annuo dell'intero pianeta quest'anno.
Quindi, sulla base dell'esperienza, suggeriamo di costruire la tesi dei $2.000 miliardi attorno a un obiettivo annuale e a diversi grandi contenitori di risparmi per tipo. Questi ultimi possono quindi essere utilizzati per costruire un piano dettagliato, ma comprensibile, per organizzare e trasmettere la pulizia necessaria del bilancio federale.
In questo contesto l'anno fiscale 2029 è l'anno più sensato come obiettivo, poiché rappresenterebbe il quarto e uscente bilancio di Trump; e anche un anno che darebbe tempo sufficiente per introdurre gradualmente alcuni dei tagli radicali che saranno necessari, ma non così lontani nel futuro da risultare in gran parte irrilevanti per la governance fiscale del presente.
Vorremmo anche suggerire tre grandi categorie di risparmi, che riassumeremmo in breve come segue:
• Eliminare il grasso: eliminare agenzie governative e burocrati inutili e dispendiosi.
• Ridimensionare i muscoli: ridurre le capacità e le funzioni di sicurezza nazionale non necessarie per una linea di politica America First.
• Tagliare fino all'osso: ridurre le dispense sociali e i sussidi di bassa priorità che la nazione non può permettersi e che una visione ragionevole dell’equità sociale non richiede.
Inutile dire che, quando si tratta della vasta landa desolata del bilancio federale, ci sono innumerevoli modi per tagliare gli sprechi. Ma sulla base della nostra esperienza di oltre mezzo secolo di familiarità con il bilancio federale, sia come partecipanti attivi che come osservatori informati, giudichiamo il seguente mix come il modo più plausibile ed equilibrato per arrivare ai $2.000 miliardi di risparmi annuali entro l'anno fiscale 2029.
Certo, anche questa combinazione giudiziosa è destinata a scatenare tempeste di fuoco sulle rive del Potomac come mai prima, ma può essere fortemente giustificata e difesa per le ragioni che spiegheremo.
• Eliminare i grassi: $300 miliardi, o il 15%.
• Ridimensionare i muscoli: $500 miliardi, o il 25%.
• Tagliare fino all'osso: $1.200 miliardi, o il 60%.
Basti dire che solo ilp rimo punto farebbe urlare di dolore tutte le creature della Palude di Washington, ma quei $300 miliardi di risparmi potrebbero essere ottenuti eliminando semplicemente i $50 miliardi stimati per il costo annuale del Green New Deal di Biden, inclusi tutti i crediti e i sussidi per i veicoli elettrici, e $150 miliardi all'anno di altre forme di welfare aziendale e sussidi incorporati nel bilancio.
Attaccare, invece, le solite liste che fanno scalpore solo sui media (es. studi di settore pagliacceschi, progetti di aiuti esteri stupidi, o persino pagamenti a persone morte), come spesso si usa per illustrare spese inutili, vi farà ottenere a malapena una frazione decimale dell'obiettivo, per quanto auspicabile possa essere l'eliminazione di questa assurdità di per sé.
Ad esempio, il risparmio derivante dall'eliminazione dei laboratori come quello di Fauci ammonterebbe solo allo 0.002% dell’obiettivo dei $2.000 miliardi, mentre l’eliminazione del “Fondo USAID per promuovere il turismo egiziano” farebbe risparmiare solo lo 0.0003% dell'obiettivo sopraccitato.
Anche alcune delle idee più grandi di questo tipo, come l'eliminazione delle persone decedute dagli elenchi della previdenza sociale, non vi porterebbero molto lontano. Questo perché 1.1 milioni di beneficiari della previdenza sociale vedono decadere i loro premi ogni anno e attualmente l'assegno medio è di $1,907 al mese. Quindi un mese di persone decedute negli elenchi costa la (non trascurabile) somma di $2.1 miliardi.
Al momento, però, i registri vengono scandagliati ogni mese in base ai nuovi certificati di morte presentati, e ciò comprende la cessazione dei pagamenti a chiunque sia deceduto durante il suddetto mese, incluso l'ultimo giorno. Quindi la durata media sui registri dei deceduti della previdenza sociale è di 15 giorni, cosa che si traduce in $1.050 miliardi di pagamenti.
Pertanto la durata media dei defunti negli elenchi potrebbe essere ridotta di due terzi se il team di Musk e Ramaswamy riuscisse a ideare un software più efficiente per monitorare, segnalare, ricalcolare i benefici del mese precedente e quindi depennare i deceduti. A sua volta ciò significa che far uscire i defunti dalla previdenza sociale 10 giorni prima equivarrebbe a un risparmio di $700 milioni all'anno, ovvero circa lo 0.04% dell'obiettivo $2.000 miliardi all'anno. C'è indubbiamente spazio per miglioramenti dell'efficienza ed eliminazione di sprechi e stupidità ovunque nel bilancio federale, ma sfortunatamente si tradurrebbe in errori di arrotondamento.
Detto in altri termini, se non “fa ulrare e sanguinare” politicamente, difficilmente farà una piega nel raggiungimento dell'obiettivo dei $2.000 miliardi all'anno. Non bisogna lesinare quando si tratta di tagliare il bilancio federale.
A questo proposito ci vorrebbe un taglio medio del 47% negli attuali conteggi federali extra difesa, inclusa l'eliminazione completa di una dozzina o più di agenzie governative, per raggiungere i $100 miliardi di risparmi nella categoria “Eliminare il grasso”.
E questa è una cifra completa e basata su un costo medio per dipendente federale di $100,000 (stipendio annuo) più $44,000 di benefit medi, aumentato a $160,000 per burocrate entro l'anno fiscale 2029.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Distruggere la distruzione creativa: il DMA contro l'innovazione
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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Nel panorama in continua evoluzione della teoria e della politica economica, pochi concetti sono stati talmente influenti e controversi come la “distruzione creativa” di Joseph Schumpeter. Questa potente idea, che descrive il processo mediante il quale l'innovazione rimodella continuamente i mercati, è una sfida alla saggezza convenzionale sulla concorrenza, i monopoli e il ruolo dell'intervento statale. Mentre ci confrontiamo con le complessità dell'era digitale, la tensione tra distruzione creativa e quadri normativi, come le leggi antitrust e il Digital Markets Act (DMA) dell'Unione Europea, è diventata sempre più evidente.
La distruzione creativa, come articolata da Schumpeter nella sua opera del 1942 “Capitalism, Socialism And Democracy”, si riferisce al “processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo quella vecchia e creandone una nuova”. Questa forza dinamica alimenta il progresso economico sostituendo continuamente tecnologie, modelli aziendali e industrie obsoleti con altri più innovativi ed efficienti. A differenza dei modelli economici tradizionali che enfatizzano l'equilibrio statico e la concorrenza sui prezzi, la visione di Schumpeter ritrae il capitalismo come un sistema in perpetuo flusso, dove il motore reale della crescita non è l'ottimizzazione delle strutture esistenti ma la loro trasformazione.
Le implicazioni della distruzione creativa per il diritto antitrust sono profonde dato che essa, radicata nell'economia neoclassica, considera la concentrazione delle aziende e il potere monopolistico come dannosi per il benessere dei consumatori. Questa prospettiva ha portato a un approccio normativo che cerca di mantenere un panorama “competitivo” smembrando le grandi aziende e impedendo le fusioni che potrebbero portare al predominio. Attraverso la lente della distruzione creativa, però, questo approccio può essere fuorviante e persino controproducente.
Schumpeter sosteneva che i monopoli temporanei, lungi dall'essere dannosi per l'innovazione, potrebbero in realtà favorirla. Le grandi aziende con un potere di mercato significativo sono spesso meglio posizionate per investire in ricerca e sviluppo a lungo termine, assumendosi rischi che i concorrenti più piccoli non possono permettersi. Le rendite di “monopolio” di cui godono queste aziende forniscono sia l'incentivo sia i mezzi per perseguire innovazioni rivoluzionarie. Pensando esclusivamente alla concentrazione delle aziende e agli effetti sui prezzi a breve termine, la legge antitrust soffoca proprio quel dinamismo che presumibilmente cerca di promuovere.
Inoltre la visione schumpeteriana suggerisce che il dominio sui mercati è spesso transitorio, minacciato costantemente dalla prossima ondata di innovazione dirompente. Il “monopolista” di oggi potrebbe essere la reliquia obsoleta di domani, resa irrilevante da una startup con un'idea rivoluzionaria. Gli interventi antitrust, in quest'ottica, rischiano di interrompere il ciclo naturale della distruzione creativa, preservando gli operatori storici inefficienti a spese degli innovatori emergenti.
La documentazione storica è piena di esempi di settori trasformati, non dall'intervento statale, ma da outsider innovativi che hanno sconvolto interi mercati. Dall'avvento dell'automobile, che ha decimato l'industria delle carrozze trainate da cavalli, all'ascesa dei giganti dell'e-commerce che hanno rivoluzionato il commercio al dettaglio, i progressi più significativi sono arrivati non da aggiustamenti normativi, ma da imprenditori audaci disposti a sfidare lo status quo.
È in questo contesto di competizione dinamica e distruzione creativa che dobbiamo considerare il Digital Markets Act (DMA) dell'Unione Europea, un eccesso di regolamentazione che rappresenta l'apice di un interventismo mal guidato. Lungi dal promuovere l'innovazione o proteggere i consumatori, il DMA minaccia di calcificare l'economia digitale, soffocando le stesse forze che hanno guidato un progresso tecnologico senza precedenti e il beneficio per i consumatori.
La premessa fondamentale del DMA, secondo cui le grandi piattaforme digitali devono essere limitate per garantire una concorrenza leale, è profondamente imperfetta, come già discusso in precedenza. Presuppone che i burocrati di Bruxelles possiedano l'onniscienza per determinare cosa sia “equo” nel panorama digitale in rapida evoluzione. Questa arroganza non è solo fuori luogo, è soprattutto pericolosa. Imponendo una serie di regolamenti ex ante alle cosiddette piattaforme “gatekeeper”, il DMA rischia di strangolare l'innovazione nella culla.
Il divieto imposto dalla legge su pratiche come l'auto-preferenza tradisce una profonda ignoranza del funzionamento degli ecosistemi digitali. L'integrazione di servizi e funzionalità è spesso il meccanismo tramite cui le piattaforme creano valore per i consumatori. Imponendo separazioni artificiali, il DMA priva gli utenti di sinergie ed efficienze vantaggiose. L'ironia è palpabile: nel suo tentativo di promuovere la concorrenza, il DMA riduce la qualità e l'utilità dei servizi digitali per milioni di europei.
L'approccio dannoso del DMA è ulteriormente esemplificato dalla sua insistenza sull'interoperabilità tra piattaforme. Questo requisito, lungi dal promuovere la concorrenza, minaccia di omogeneizzare i servizi digitali e soffocare l'innovazione. Costringendo le piattaforme di successo ad aprire i loro ecosistemi attentamente realizzati ai concorrenti, il DMA mina la differenziazione stessa che guida il progresso nel settore tecnologico. L'interoperabilità può sembrare allettante in teoria, ma in pratica può portare a una corsa al ribasso in termini di funzionalità e sicurezza. Ignora il fatto che gli ecosistemi chiusi spesso forniscono esperienze utente superiori e protezioni della privacy più forti. Inoltre l'interoperabilità obbligatoria può cementificare la presenza dei player dominanti riducendo i costi di commutazione e diminuendo l'incentivo per gli utenti a ricercare piattaforme alternative.
Forse il fatto più eclatante è che l'approccio univoco del DMA alla regolamentazione dei “gatekeeper” non riesce a tenere conto della natura sfumata e sfaccettata dei mercati digitali. Aziende come Amazon e Google operano in settori diversi, fondendo i regni digitali e fisici in modi che sono ardui da categorizzare in modo semplicistico. Cercare di infilare a forza queste entità complesse in rigidi quadri normativi è futile e può solo portare a conseguenze indesiderate e a perdite di opportunità nel campo dell'innovazione.
I sostenitori del DMA affermano di voler proteggere le piccole imprese e i potenziali concorrenti, ma la realtà è molto più insidiosa. Imponendo onerosi costi di conformità e restrizioni operative alle piattaforme di successo, l'atto stesso erige barriere all'ingresso per gli aspiranti innovatori. Il risultato è una forma perversa di normativa in cui i player affermati sono isolati dalla concorrenza dalle stesse regole pensate per limitarli.
Inoltre l'attenzione del DMA sulla conservazione delle strutture di mercato esistenti fraintende la natura del progresso tecnologico. Le innovazioni più rivoluzionarie non competono solo all'interno dei mercati esistenti, ma ne creano di nuovi. Concentrandosi sul mantenimento della competizione nei paradigmi attuali, il DMA soffoca la creazione di tecnologie trasformative prim'ancora che possano emergere.
L'idea che i regolatori possano anticipare e legiferare per il futuro della tecnologia è ridicola. Se le menti più brillanti della Silicon Valley hanno difficoltà a prevedere la prossima grande svolta tecnologica, che speranza hanno i burocrati di elaborare regolamenti che non diventino obsoleti prima che l'inchiostro si asciughi?
Il DMA rappresenta un tentativo arrogante di controllare l'incontrollabile, di domare le forze selvagge dell'innovazione che hanno guidato il progresso umano per secoli. Come scrisse Ludwig von Mises in Human Action: “Se fosse possibile calcolare la struttura del mercato futura, il futuro non sarebbe incerto. Non ci sarebbero né perdite imprenditoriali, né profitti. Ciò che le persone si aspettano dagli economisti è al di là del potere di qualsiasi essere umano”.
I sostenitori del DMA e, più in generale, della regolamentazione antitrust, spesso esprimono le loro argomentazioni in termini di tutela del consumatore e correttezza. Questa è una cortina fumogena per ciò che equivale a una pianificazione economica centralizzata e/o clientelismo sotto mentite spoglie. L'idea che i consumatori abbiano bisogno di protezione dalle stesse aziende i cui prodotti e servizi scelgono volontariamente di utilizzare è paternalistica nella migliore delle ipotesi, autoritaria nella peggiore.
In realtà la protezione più efficace per i consumatori non è la regolamentazione, ma la concorrenza; non la concorrenza artificiale immaginata dagli avvocati antitrust, ma la concorrenza dinamica e imprevedibile guidata dalla distruzione creativa. È questa forza che ha dato ai consumatori smartphone, e-commerce, motori di ricerca e innumerevoli altre innovazioni che hanno trasformato la vita moderna. Ognuno di questi progressi è arrivato non da leggi statali o quadri normativi, ma dalla ricerca incessante di prodotti e servizi migliori in un libero mercato.
La strada da seguire è chiara, anche se potrebbe risultare scomoda per coloro che sono abituati all'illusione di controllo offerta dai regimi normativi. Dobbiamo resistere al canto delle sirene della legge antitrust e respingere del tutto quegli sforzi mal concepiti come il Digital Markets Act (DMA). Dovremmo invece abbracciare il processo dinamico, spesso caotico, di distruzione creativa che ha dimostrato più e più volte di essere il vero motore del progresso.
In conclusione, il concetto di distruzione creativa espone i difetti critici sia del diritto antitrust che degli sforzi normativi moderni come il DMA. Questi interventi, lungi dal promuovere l'innovazione e proteggere i consumatori, servono solo a impedire la naturale evoluzione dei mercati e delle tecnologie. La minaccia più grande al benessere dei consumatori e al progresso economico non è il presunto potere monopolistico o la concentrazione delle aziende, ma la mano pesante della regolamentazione che soffoca lo spirito imprenditoriale che guida l'innovazione.
Mentre siamo sull'orlo di nuove rivoluzioni tecnologiche nel campo dell'intelligenza artificiale, della biotecnologia e oltre, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Permetteremo alle forze della distruzione creativa di spingerci verso un futuro di progresso e prosperità inimmaginabili? O soccomberemo alla presunzione fatale dei regolatori che credono di poter pianificare e controllare l'impianificabile? La scelta è nostra e le conseguenze di tale scelta si ripercuoteranno sulle generazioni a venire.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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