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Francesco Simoncellihttp://www.blogger.com/profile/[email protected]
Aggiornato: 3 ore 1 min fa

Ludwig von Mises e la teoria Austriaca della moneta, dell'attività bancaria e del ciclo economico — Parte #1

Ven, 09/08/2024 - 10:06

 

 

di Richard Ebeling

Cento anni fa, nel 1924, l’economista austriaco Ludwig von Mises pubblicò un’edizione riveduta in lingua tedesca del suo libro del 1912, Theorie des Geldes und der Unlaufsmittel. Novant’anni fa, nel 1934, venne pubblicata un’edizione in lingua inglese dal titolo, The Theory of Money and Credit. Nel corso di più di un secolo dalla prima pubblicazione del libro di Mises, le circostanze politiche e istituzionali di gran parte del mondo hanno attraversato cambiamenti significativi, eppure le analisi e le intuizioni teoriche e politiche nel suo libro hanno resistito alla prova del tempo.

Quando fu pubblicata la prima edizione, i principali Paesi del mondo, inclusa la patria Austro-ungarica di Mises, avevano sistemi monetari basati sul gold standard. Nel 1912, due anni prima dell’inizio della prima guerra mondiale, molti europei e nordamericani vivevano ancora negli ultimi bagliori dell’epoca classico-liberale del diciannovesimo secolo. Gli stati erano ancora relativamente limitati in termini di dimensioni e portata; le tasse erano piuttosto basse, accompagnate da modesti livelli di spesa pubblica. Quegli stessi stati, in generale, rispettavano per lo più un’ampia gamma di libertà civili e personali. La libertà di commercio e di impresa era lo standard normativo, anche se alcuni di questi, soprattutto la Germania imperiale, avevano reintrodotto varie barriere protezionistiche e stavano intervenendo in una serie di attività economiche nazionali. Eppure, allo stesso tempo, il vasto impero britannico era amministrato come una zona di libero scambio che accoglieva acquirenti, venditori e investitori con pochi o nessun limite basato sulla loro nazionalità.


Il sistema monetario prima e dopo la Prima Guerra Mondiale

Le banche centrali dei Paesi europei (gli Stati Uniti non avrebbero avuto una banca centrale fino al 1914) seguivano tutte le “regole” del gold standard. Le banconote e i depositi bancari erano visti e trattati come “sostituti del denaro”, cioè diritti sul denaro “reale” costituito da oro e argento. Le manipolazioni monetarie discrezionali da parte delle autorità bancarie centrali erano generalmente disapprovate e non eccessivamente praticate. Se i prezzi in generale aumentavano in modo significativo per un periodo di tempo, di solito era dovuto ad aumenti dell’offerta mondiale di oro, non al risultato di inflazione della moneta cartacea. Tuttavia le motivazioni e gli appelli a politiche monetarie “attiviste” erano sempre più finalizzati a scopi di “politica sociale”.

Quando nel 1924 apparve la seconda edizione tedesca rivista di Theory of Money and Credit, il mondo era un luogo radicalmente diverso da com'era nel 1912. Molti dei Paesi sopraccitati avevano attraversato i quattro anni della prima guerra mondiale (1914 – 1918) e alcuni si erano disintegrati politicamente, con la scomparsa degli imperi tedesco, russo e austro-ungarico. Le istituzioni liberali prebelliche e le convinzioni riguardanti la libertà personale ed economica erano state indebolite, se non distrutte. Il riscatto dell’oro per le valute cartacee era stato abrogato nel 1914, così gli stati avrebbero potuto ricorrere alle stampanti monetarie per coprire le loro enormi spese di guerra.

Nell’immediato dopoguerra, all’inizio degli anni ’20, si verificarono iperinflazioni in luoghi come Germania, Austria e Russia. Furono fatti tentativi per ripristinare valute coperte sull’oro, ormai ombre del sistema monetario prebellico. Inoltre le dittature erano arrivate al potere sotto forma di comunismo ispirato da Marx in Russia e sotto forma di fascismo in Italia (che coniò il termine “totalitarismo” per esprimere la sua concezione del ruolo e potere dello stato). Un assortimento di regimi autoritari salì al potere in numerosi altri Paesi.

Dieci anni dopo, nel 1934, quando in Gran Bretagna fu pubblicata l’edizione in lingua inglese di Theory of Money and Credit, il mondo era cambiato ancora di più. I principali Paesi industriali erano alle prese con la Grande Depressione in seguito al crollo del mercato azionario dell’ottobre 1929, con l’aumento della disoccupazione e il calo della produzione negli Stati Uniti e in Germania, anche se la gravità della depressione toccò anche Gran Bretagna, Francia e molti altri posti. Il gold standard era stato abbandonato, de jure o de facto, praticamente ovunque, sostituendo la moneta cartacea come strumento politico per cercare di “combattere” la depressione.

Inoltre, nel 1933, Hitler e il partito nazista erano saliti al potere in Germania, con il controllo dittatoriale rapidamente imposto su tutti gli aspetti della vita e della società tedesca. Negli Stati Uniti Franklin Roosevelt era diventato presidente e presto avrebbe imposto la propria versione di un sistema economico di tipo fascista sotto forma di pianificazione economica centralizzata tramite il New Deal (che si concluse parzialmente con una serie di decisioni della Corte Suprema nel 1935 e nel 1936 la quale dichiarò incostituzionali alcuni programmi del New Deal).


Principi economici e teoria della moneta

Nella prefazione all’edizione inglese del 1934, Mises disse che le circostanze istituzionali monetarie e bancarie erano certamente cambiate rispetto ai tempi in cui erano apparse durante la prima e la seconda edizione del suo libro nel 1912 e nel 1924, rispettivamente.

Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione della seconda edizione tedesca del presente libro. Durante questo periodo l’apparato esterno della valuta e i problemi bancari del mondo sono stati completamente alterati [...] [ma] in mezzo a questo flusso, l’apparato teorico che ci permette di affrontare queste questioni rimane inalterato. Infatti il valore dell’economia sta nel permetterci di riconoscere il vero significato dei problemi, spogliandoli delle loro rifiniture accidentali. Di solito non è necessaria una conoscenza molto approfondita dell’economia per cogliere gli effetti immediati di una misura [politica]; ma compito dell’economia è predire gli effetti più remoti e così permetterci di evitare atti come il tentativo di rimediare ad alcuni mali presenti seminando i semi di un male molto più grande nel futuro.

Gli economisti avevano analizzato intensamente la teoria monetaria e bancaria e le questioni politiche sin dalla metà del XVIII secolo. Alcuni di loro furono tra gli economisti più famosi del loro tempo, tra cui David Hume, Adam Smith, David Ricardo, John Stuart Mill e altri come Jean-Baptiste Say, Henry Thornton, Nassau Senior e John E. Cairnes, per citarne solo alcuni di quelli importanti.

Ma praticamente tutti loro hanno costruito le loro idee sulla teoria “classica” del valore-lavoro, cioè che il valore di qualsiasi bene – inclusa una merce come l’oro o l’argento – è derivato dai costi di produzione riducibili alla quantità di tempo e impegno impiegati nell’estrazione delle risorse e nella fabbricazione del bene finito.

Dopo l’emergere della teoria soggettiva del valore, in particolare con la pubblicazione di Principi di economia di Carl Menger (1871) e la seguente elaborazione da parte dei suoi seguaci “austriaci”, Friedrich von Wieser e Eugen von Böhm-Bawerk negli anni 1880 e 1890, la teoria del valore-lavoro venne sostituita dalla teoria del valore soggettivo (marginale). In definitiva, il valore di qualsiasi bene deriva dalla sua “utilità” nel soddisfare un bisogno o un desiderio umano. L’“utilità” di ogni particolare unità di un bene era basata sui bisogni che soddisfaceva in ordine decrescente di importanza.

I mezzi di produzione (terra, risorse, lavoro, capitale) ricevono il loro valore dalla loro utilità “indiretta” nel consentire la produzione di un bene finito che poi porta alla soddisfazione di un consumo desiderato. A sua volta il valore marginale di qualsiasi unità specifica di tali mezzi di produzione è derivato dal valore dell'unità marginale del bene finale rispetto alla sua utilità in una linea di produzione alternativa.

Menger aveva spiegato l'origine della moneta come mezzo di scambio nel suo Principi di economia (1871) e nelle sue Investigazioni sui metodi delle scienze sociali (1883). Dimostrò che il denaro non era una creatura o una creazione dello stato; emerge “spontaneamente” mentre le persone tentano di superare le difficoltà dello scambio diretto. Nella sua famosa monografia “Money” (1892), Menger estese la sua analisi cercando di analizzare la domanda di denaro negli scambi in base alla sua valutazione marginale.


L'origine del denaro e il suo valore nel tempo

Ma in realtà fu solo con Theory of Money and Credit di Mises che si è avuta un’esposizione particolarmente approfondita e soddisfacente sulla domanda di denaro e sul suo potere d’acquisto, o valore, nel mercato. Mises adottò la teoria di Menger sull'origine del denaro: gli individui in cerca di opportunità di guadagno possono scoprire che mentre Sam ha ciò che Bill vuole, quest'ultimo non possiede ciò che Sam prenderebbe in cambio. Anche se si verifica ciò che gli economisti chiamano una doppia coincidenza dei desideri (ciascuno ha ciò che l’altro desidera), le caratteristiche dei beni in questione possono precludere la loro divisione in importi relativi dato che uno o entrambi perderebbero le qualità desiderate (ad esempio, dividere un cavallo a metà pone fine alla sua utilità per cavalcare o trainare un carro).

Nel corso del tempo gli individui scoprono che alcuni beni hanno più valore in termini di domanda diffusa o relativa facilità di divisibilità senza perdere le qualità desiderate, o comodità di essere trasportati, o durabilità delle loro qualità e caratteristiche nel tempo. Quei beni che storicamente hanno dimostrato le maggiori combinazioni di tali attributi hanno avuto la tendenza a essere utilizzati più frequentemente come mezzo di scambio, fino a quando solo uno o due sono diventati più ampiamente utilizzati (fino a diventare denaro).

Il denaro, quindi, diventa sempre più frequente da una parte di ogni scambio. Le persone scambiano il bene che possiedono con una somma di denaro, quindi usano quest'ultima per acquistare tutti gli altri beni che desiderano. Di conseguenza la merce utilizzata come denaro trae il suo valore di mercato da due fonti: dalla sua utilità originaria come merce utilizzata per il consumo, o la produzione, e dalla sua utilità aggiuntiva come mezzo di scambio. Con il passare del tempo la sua utilità e il suo valore come mezzo di scambio potrebbero oscurare e forse alla fine sostituire completamente la sua utilità e valore come bene di consumo o di produzione.

Quindi il suo valore primario, o addirittura singolare, è semplicemente quello di mezzo di scambio scelto dal mercato. Il suo uso continuato si basa sulla sua istituzionalizzazione sociale come moneta e sulle stime delle persone del suo valore nelle transazioni. Seguire a ritroso il valore del denaro rintraccerebbe il giorno in cui quella merce venne usata per la prima volta come denaro, il giorno prima del quale era semplicemente considerata utile e preziosa come bene di consumo o di produzione. Mentre la storicità della moneta spiega come e perché aveva un valore ai fini dello scambio nel passato, il suo valore è determinato dalle valutazioni soggettive (marginali) delle persone. L'analisi di Mises sul valore del denaro nel tempo è diventata nota come Teorema della Regressione.


Il significato del valore della moneta e il calcolo economico

Un’altra caratteristica particolare del denaro sul mercato è che, a differenza di altri beni acquistati e venduti, non ha un prezzo unico. Con la moneta da un lato di ogni scambio, tutti i beni e i servizi scambiati tendono ad avere un prezzo, il rispettivo prezzo monetario: quante unità di denaro servono per comprare o vendere un cappello, o acquistare una casa, o pagare un pasto in un ristorante, ecc. La moneta diventa l’unità di conto, con i valori relativi di tutti i beni espressi nell’unico comun denominatore dei rispettivi prezzi monetari. Ciò rende possibile e facilita il “calcolo economico”, la valutazione dei valori relativi dei singoli beni e delle combinazioni di beni allo scopo di determinare il “più costoso” e “meno costoso” oltre a profitti/perdite.

A causa della posizione unica della moneta nel nesso dello scambio, essa ha tanti prezzi quanti sono i beni con i quali viene scambiata. Questo perché il denaro resta l’unico bene scambiabile direttamente con tutto il resto offerto sul mercato. La moneta può essere pensata come il fulcro di una ruota, in cui ciascuno dei raggi è il bene individuale rispetto al quale viene scambiata la moneta. Se poi ci chiediamo qual è il valore, o il potere d’acquisto generale, della moneta, la risposta è la matrice, o insieme, o rete di prezzi relativi tra la moneta e tutti gli altri beni rispetto ai quali viene scambiata.

Mises era critico nei confronti dei tentativi ormai comuni di “misurare” il valore del denaro attraverso la costruzione di indici di prezzo, come l’indice dei prezzi al consumo (IPC). Ciascun indice di questo tipo comporta la creazione di un “paniere” selezionato di beni considerati rappresentativi delle abitudini di acquisto di una famiglia e a cui vengono assegnati “pesi” (cioè gli importi relativi di ciascuno in base alla regolarità con cui vengono acquistati), in questo modo si vuole determinare il costo di acquisto di quel “paniere” in un dato periodo di tempo. Se il costo del paniere aumenta (diminuisce) in un certo periodo, si dice che il valore dell’unità monetaria è diminuito (aumentato) di una certa percentuale e che la società ha sperimentato un’inflazione dei prezzi (deflazione dei prezzi) nell’arco di quel periodo di tempo.

Comprendere il motivo della critica di Mises nei confronti dei tentativi di misurare i cambiamenti nel valore o nel potere d'acquisto del denaro, ci porta a prendere in considerazione un aspetto cruciale della sua intera teoria su come i cambiamenti monetari influenzano il processo di mercato. L’attenzione su un unico numero per un insieme medio e riepilogativo di singoli beni e dei loro prezzi in quel “paniere”, crea facilmente l’impressione che i cambiamenti nel potere d’acquisto del denaro avvengano in modo uniforme e apparentemente simultaneo.

Mises aderiva a quella che viene generalmente definita Teoria quantitativa della moneta: a parità di condizioni, qualsiasi aumento o diminuzione generale del valore o del potere d’acquisto della moneta ha la sua base in un cambiamento nella quantità totale di moneta nell’economia, o in un cambiamento nella volontà delle persone di detenerne una certa quantità per facilitare le transazioni desiderate in un certo periodo di tempo (spesso indicato come “velocità” del denaro, ovvero il numero di volte in cui una determinata quantità di denaro “gira” per facilitare un dato numero di transazioni in un certo periodo di tempo).

Mises sosteneva che se i prezzi aumentassero (diminuissero) simultaneamente e proporzionalmente, cioè nello stesso tempo e nella stessa percentuale, i cambiamenti monetari non avrebbero effetti “reali” (o al limite ne avrebbero pochi) sui prezzi relativi, sui salari, sulla produzione e sulle relazioni di output. Ad esempio, supponiamo che il prezzo di un paio di scarpe sia di $10 e che il prezzo di un cappello sia di $20; il loro rapporto di prezzo relativo sarebbe pari a due paia di scarpe scambiate per un cappello. Se un aumento del 10% della quantità di moneta comportasse un aumento proporzionale del prezzo delle scarpe a $11 e del prezzo di un cappello a $22, il rapporto di prezzo relativo tra scarpe e cappelli sarebbe ancora di due paia di scarpe per un cappello, anche se in termini assoluti il ​​prezzo di entrambi sarebbe più alto. I cambiamenti monetari sarebbero “neutri” nei loro effetti sulle relazioni “reali” tra prezzi e beni sul mercato.


La non neutralità dei cambiamenti monetari

Tuttavia questo non era il modo in cui i cambiamenti nella quantità di moneta influiscono e influenzano i prezzi o le relative offerte di beni nel processo di mercato. La moneta, invece, è “non neutrale” nei suoi effetti. Mises, ovviamente, non fu il primo economista a sottolinearlo. Richard Cantillon (1680–1734) attirò l’attenzione su questo aspetto nel suo Saggio sulla natura del commercio in generale  (1755), così come fece David Hume (1711–1776) nel suo famoso saggio “Of Money” (1752). Un'analisi particolarmente dettagliata degli effetti non neutrali della moneta fu fornita da John E. Cairnes (1823–1875) nei suoi saggi sull'impatto delle nuove scoperte auree in Australia sui prezzi globali: Essays in Political Economy (1873).

Ma Mises fece della non neutralità della moneta il fulcro della sua analisi in The Theory of Money and Credit e nelle sue successive esposizioni in Monetary Stabilization and Cyclical Policy (1928), nonché in Human Action, A Treatise on Economics (1949). Non esiste un “helicopter money” che fa cadere soldi dal cielo ed essi raggiungono le tasche di ciascun membro della società nello stesso momento e nella stessa quantità. Quantità nuove o aggiuntive di denaro vengono introdotte o “iniettate” nel mercato in alcuni punti particolari, nelle tasche di alcuni individui prima che in quelle di altri.

Supponiamo che ci sia un aumento nell’offerta di oro, come ha analizzato Cairnes nel caso delle scoperte di oro in Australia. L'oro appena estratto apparve per primo nelle tasche dei cercatori che lo portarono nelle città costiere dell'Australia. È stato utilizzato per aumentare la domanda per la varietà di beni e servizi particolari che i minatori desideravano acquistare, con i prezzi di questi beni che aumentavano per primi a fronte di una maggiore domanda monetaria per loro.

Per soddisfare la nuova domanda, una parte dell’oro appena scoperto fu esportato in Gran Bretagna e in altri Paesi europei in cambio di maggiori forniture di manufatti richiesti da quelle città australiane, con i prezzi europei che aumentavano a loro volta e in una certa sequenza. Per espandere la produzione di quei beni di esportazione e soddisfare le maggiori richieste dei consumatori che ora avevano i mezzi finanziari per aumentare la propria domanda di beni desiderati, parte dell’oro aggiuntivo nelle mani degli europei fu esportato in altre parti del mondo in cambio di maggiori forniture di risorse e materie prime nel tentativo di aumentare l’offerta di manufatti. I prezzi delle risorse, delle materie prime e dei beni iniziarono a salire in una certa sequenza in altre parti del mondo per soddisfare la nuova domanda.

Lentamente, ma inesorabilmente, le scoperte di oro in Australia influenzarono i prezzi globali, prima nelle zone costiere australiane, poi in varie parti d’Europa, seguite dall’aumento dei prezzi in altri angoli del mondo. Molti, se non tutti, i prezzi alla fine subirono un impatto in tutto il mondo, sosteneva Cairnes, ma in una particolare sequenza temporale che rifletteva chi intascava per primo, secondo e terzo le nuove scorte di oro e l’effetto modellato che ciò aveva su prezzi relativi, salari, profitti e produzioni. L’effetto finale di questo processo fu un “livello” dei prezzi generalmente più elevato nell’economia mondiale, ma ciò non avvenne né simultaneamente né proporzionalmente.

Se si segue la “microeconomia” dell’effetto “macroeconomico” dei cambiamenti nella quantità di moneta, non vi è alcun modo in cui i prezzi in generale possano aumentare se non attraverso il processo sequenziale attraverso il quale nuove quantità di moneta vengono introdotte nelle mani di un certo gruppo di persone, poi in quelle di un altro gruppo, seguite da quelle di un altro e un altro ancora. È solo allora che, attraverso la crescente domanda prima di alcuni beni, poi di altri beni e poi di altri ancora, i prezzi in generale saliranno cumulativamente secondo uno schema disomogeneo e sequenziale.


I punti dell'iniezione monetaria e il loro impatto non neutrale

Mises sottolineò che non esiste un processo rigido e meccanico, perché tutto dipende dalle circostanze storiche e istituzionali di come viene introdotto il cambiamento nella quantità di moneta. La sequenza sopra delineata con un aumento delle forniture di oro “iniettate” nell’economia globale attraverso, in un primo momento, i modelli di spesa dei minatori d’oro australiani, sarà diversa da un sistema di moneta fiat in cui la valuta cartacea viene stampata e utilizzata da uno stato per coprire, ad esempio, le spese di guerra.

Come spiegò Mises, in questo scenario alternativo, il nuovo denaro entra nell’economia come una maggiore domanda di armamenti militari e materiale bellico di accompagnamento. La domanda e i prezzi dei prodotti bellici tenderanno ad aumentare per primi. I loro margini di profitto aumentano all’inizio, seguiti dai salari e dai prezzi dei fattori di produzione necessari per soddisfare le maggiori richieste per la guerra. I ricavi e i redditi relativi più elevati di coloro che lavorano e sono coinvolti nelle produzioni legate alla guerra aumentano la loro domanda di moneta per altri beni desiderati, determinando aumenti in un altro insieme di prezzi e così via finché i prezzi in generale nell’economia salgono.

Un altro elemento in questo processo monetario non neutrale, sosteneva Mises, era l’inevitabile modificazione e ridistribuzione del reddito e della ricchezza. Il fatto stesso che alcune domande, prezzi e salari aumentino prima di altri migliora necessariamente la posizione di reddito di alcuni nella società e riduce i redditi reali di altri. Coloro che sperimentano prezzi e salari più elevati per i loro beni e servizi nelle prime fasi di questa sequenza temporale hanno redditi monetari più elevati da spendere prima che molti dei prezzi dei beni che desiderano aumentino di conseguenza; hanno più soldi da spendere per beni i cui prezzi non sono ancora aumentati o perolmeno non tanto quanto i loro. Ciò rappresenta un aumento reale del loro reddito, almeno finché i prezzi di ciò che vendono continuano a aumentare prima dei prezzi dei beni e dei servizi che poi acquistano.

Agli altri nella società non va altrettanto bene. Data la sequenza temporale in cui le domande e i prezzi dei vari beni aumentano durante l’espansione monetaria, gli individui e i gruppi d'individui che sperimentano prezzi più alti per ciò che acquistano regolarmente rispetto a ciò che vendono subiscono un calo dei loro redditi reali. Questi membri della società perdono durante il processo inflazionistico monetario, mentre quelli appartenenti ai primi gruppi ci guadagnano. Coloro che percepiscono redditi fissi o pensioni sono le vittime più evidenti dell’inflazione monetaria.


Le deflazioni monetarie sono ugualmente non neutrali nei loro effetti

Mises era altrettanto chiaro sul fatto che le contrazioni monetarie, o processi “deflazionistici”, erano altrettanto non neutrali nei loro effetti su prezzi, salari, profitti e redditi:

L’apprezzamento monetario [calo dei prezzi], così come il deprezzamento monetario [l’aumento dei prezzi], non avviene improvvisamente e in modo uniforme in tutta la comunità, ma di regola inizia dalle singole classi e si diffonde gradualmente [...]. I primi tra coloro che devono accontentarsi di prezzi più bassi rispetto a prima per le merci che vendono, mentre devono ancora pagare prezzi più alti di prima per le merci che acquistano, sono quelli che sono danneggiati dall'aumento del valore del denaro. Ma quelli che per ultimi hanno dovuto ridurre i prezzi delle merci che vendono, e nel frattempo hanno potuto approfittare del calo dei prezzi di altre cose, sono quelli che traggono profitto dal cambiamento.

Questo è il motivo per cui Mises considerava inutile e controproducente cercare di compensare gli effetti di una precedente inflazione monetaria facendola seguire da una deflazione monetaria. Essa porta semplicemente con sé effetti non neutrali diversi e che non compensano in alcun modo le perdite che particolari individui hanno subito durante l’inflazione monetaria:

[Alcuni] suggeriscono metodi per annullare i cambiamenti nel potere d’acquisto del denaro; se c'è stata un'inflazione desiderano sgonfiarla nella stessa misura e viceversa. Non si rendono conto che con questo procedimento non annullano le conseguenze sociali del primo cambiamento, ma vi aggiungono le conseguenze sociali di un nuovo cambiamento. Se un essere umano è rimasto ferito perché investito da un'automobile, non è rimedio lasciare che l'auto lo investa nella direzione opposta.

Mises scrisse che il modo in cui le espansioni (o contrazioni) monetarie si fanno strada attraverso il mercato dipende dalle particolari circostanze istituzionali e storiche in cui avviene il cambiamento monetario. Ma, di fatto, l’assetto istituzionale monetario e bancario di quando Mises pubblicò e revisionò The Theory of Money and Credit e scrisse le sue esposizioni successive, è rimasto più o meno lo stesso: le espansioni monetarie e creditizie avvengono attraverso sistemi bancari supervisionati e fondamentalmente controllati dalle banche centrali.

Preso in considerazione questo assetto istituzionale dei moderni sistemi monetari e bancari, Mises applicò la sua teoria della non neutralità della moneta per comprendere e analizzare i processi attraverso i quali si verificano inflazioni e recessioni e  cicli di boom/bust. E, inoltre, quali cambiamenti istituzionali dovrebbero essere introdotti se le cause e le conseguenze del ciclo economico venissero eliminate o almeno notevolmente ridotte.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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???? Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/08/ludwig-von-mises-e-la-teoria-austriaca_01824675579.html

???? Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/09/ludwig-von-mises-e-la-teoria-austriaca.html


L'irruzione di Bitcoin

Gio, 08/08/2024 - 10:11

 

 

da Zerohedge

Quasi tutti nel mondo Bitcoin saranno già a conoscenza del discorso tenuto dall'ex-presidente Donald Trump alla conferenza Bitcoin 2024.

Lì Trump ha promesso che, se rieletto, la sua amministrazione manterrà tutte le partecipazioni federali in Bitcoin, creando una “riserva nazionale strategica di bitcoin”. Ha sottolineato anche che il governo federale possiede attualmente quasi 210.000 bitcoin, circa l'1% dell'offerta totale, per la maggior parte sequestrati ai criminali informatici, e ha promesso che la sua amministrazione non li venderà mai, aderendo al principio fondamentale dell'ecosistema Bitcoin.

Inoltre ha promesso di licenziare il presidente della SEC, Gary Gensler, nel suo primo giorno in carica, criticandone le rigide normative che molti ritengono abbiano ostacolato l'innovazione nel settore delle criptovalute.

Comunque la si pensi, è stato un successo per Bitcoin. L'idea come asset di riserva è sempre stata il Santo Graal per i massimalisti e il discorso di Trump ha portato le fantasie di uno “standard” Bitcoin un passo più vicine alla realtà.

E anche se online ci sono state molte speculazioni sulle motivazioni di Trump, con alcuni che dicono che sta semplicemente cercando voti ovunque possa ottenerli, a questo punto non importa: la palla di neve della Teoria dei giochi di uno “standard” Bitcoin ha ufficialmente iniziato a rotolare giù per la montagna.

Questa psicologia pro-Bitcoin e la Teoria dei giochi annessa al suo essere asset di riserva, e ciò che potrebbe fare per il mondo indipendentemente dal fatto che Trump venga rieletto o meno, non possono essere più sottovalutati.

La comunità Bitcoin ha ora, per la prima volta, visto un ex e potenziale presidente degli Stati Uniti sostenerlo come asset di riserva strategica per il Paese. A mio avviso questo è molto più importante della quotazione degli ETF Bitcoin a Wall Street, perché accelera l'adozione di Bitcoin  indipendentemente dal fatto che Trump venga rieletto o meno. L’idea che gli Stati Uniti possano potenzialmente rendere Bitcoin parte di uno standard monetario è stata ufficialmente lanciata nell’orbita dello zeitgeist economico del Paese.

Per fare un confronto, quando ho iniziato ad appassionarmi all’idea di Bitcoin circa 6 mesi fa, ho ipotizzato che il sistema monetario del Medio Oriente sarebbe stato il prossimo, dopo El Salvador, a inserire Bitcoin in un bilancio sovrano. Da lì ho ipotizzato che una mossa del genere avrebbe potuto scatenare uno tsunami di Teoria dei giochi, con molti altri Paesi che si sarebbero affannati a recuperare il ritardo in tutto il mondo, non diversamente dal modo in cui i democratici – il partito di Elizabeth Warren – si stanno ora affannando a modificare la loro posizione sulle criptovalute.

Troppo tardi, perdenti!

Se mesi fa mi avessero detto che uno dei due principali candidati presidenziali degli Stati Uniti ed ex-presidente sarebbe stato il primo ad assicurare al mondo che avrebbe inserito Bitcoin nel bilancio sovrano della nazione più potente del mondo, avrei risposto che il resto del mondo lo avrebbe seguito.

Questo è esattamente ciò che sta succedendo.

E rimuovendo la burocrazia nel mondo del Bitcoin, non solo l’amministrazione Trump manderebbe l’adozione dell’asset a livelli stratosferici, ma sarebbe anche il primo tacito riconoscimento pubblico che la crisi fiscale in atto negli Stati Uniti non è sostenibile e dev'essere affrontata con mezzi diversi dalla stampa di dollari.

In altre parole, detenere una riserva di bitcoin rappresenterebbe un tentativo strategico verso una moneta sana/onesta, indipendentemente dal fatto che Bitcoin stesso resista o meno alla prova del tempo.

L'annuncio di Trump non ha segnato solo un'occasione importante per Bitcoin, ma ha segnato un'occasione importante anche per tutti coloro dal lato Austriaco del corridoio economico: che un politico iniziasse a prendere sul serio l'insostenibilità della traiettoria fiscale su cui si trovano il Paese e il dollaro. Si è trattato di una sorta di ammissione passiva che, alla fine, il Paese avrà bisogno di una soluzione al suo problema monetario diversa dallo schema keynesiano di stampare più denaro fiat.

E anche se siete sostenitori dell'oro o dell'argento, come me, è facile vedere che questa non è solo una vittoria per Bitcoin, ma una vittoria del buon senso economico.

Basti pensare a questo: due importanti candidati presidenziali negli Stati Uniti, sia Donald Trump che Robert F. Kennedy, hanno dichiarato pubblicamente il loro sostegno a Bitcoin. Questo, di per sé, è qualcosa di enorme.

Ancora più consequenziale è il fatto che il colosso orwelliano pro-regolamentazione noto come Partito Democratico, che non sembra mai averne abbastanza di supervisione o controllo su come le persone vivono la propria vita, compreso il risparmio e la spesa dei propri soldi, ha iniziato a rendersi conto che sta combattendo una battaglia persa.

Ciò è stato evidente quando i titoli dei giornali hanno iniziato a coprire il discorso di Trump e diversi democratici stavano già esortando Kamala Harris a rivedere la sua posizione anti-cripto. Si tratta di una svolta mostruosa, soprattutto considerando che la senatrice Elizabeth Warren, pietra miliare del partito, è stata la critica più esplicita delle criptovalute negli ultimi anni. Secondo me questa inversione di marcia arriva troppo tardi: i democratici si trovano già in secondo piano per quanto riguarda l’adozione delle criptovalute.

In altre parole, il detto secondo cui “non sei tu a cambiare Bitcoin ma è Bitcoin a cambiarti” si è dimostrato vero per l'ennesima volta. La storia ha dimostrato che, alla fine, le persone si allineano a Bitcoin finché esso rimane come la gente lo vuole. La lungimiranza di Trump nel voler essere il primo a capire che non vale la pena combattere i sostenitori delle criptovalute, ma piuttosto unirsi a loro, potrebbe essere una delle decisioni più importanti che determineranno l'esito delle elezioni di quest'anno.

Qual è un argomento migliore a favore di una campagna populista che offrire metodi populisti per salvare, immagazzinare e preservare la propria ricchezza?

Bitcoin funzionerà se le persone decideranno di volerlo. È uno dei pochi strumenti che ho visto nel corso degli anni in grado di restituire un po' di potere alle persone nel mondo dell'economia. E nonostante la Harris possa affrettarsi a correggere la sua posizione sulla questione, non diversamente da quello che sta facendo sul fracking, avere la libertà di scegliere come conservare la propria ricchezza – anche se si dovesse rivelare poco efficace – è congruo con la libertà e la libertà personale. Ed entrambe in questo momento sono molto più in linea con il partito repubblicano rispetto al partito che invece ci ha obbligato a indossare mascherine mentre eravamo fuori in spiaggia, a tre anni dall’inizio del Covid.

Se Trump fosse intelligente, continuerebbe ad attingere alla base indipendente e libertaria del Paese annunciando che, se eletto, farà di RFK Jr. il suo zar di Bitcoin. Nella mia intervista a quest'ultimo diverse settimane fa, mi ha detto che stava esplorando idee simili a quelle di Trump:

Una delle bozze che abbiamo ora è un disegno di legge per il Ministero Tesoro basato su una valuta coperta, magari partendo dall'1% e aumentandolo. Su metalli ad esempio, come un paniere che includerebbe il platino, l'oro, l'argento e Bitcoin. Mio zio provò a fare qualcosa del genere poco prima di morire, per dare agli americani una copertura contro l'inflazione.

E ci sono molti modi in cui possiamo farlo: ad esempio, rendendo disponibile Bitcoin e fermando la guerra contro di esso in modo che le persone della classe media e della classe operaia che vogliono proteggersi dall'inflazione possano farlo. Non devono fare affidamento sulla valuta fiat.

E questo instillerà disciplina nella stampa di denaro. Infatti se gli americani avranno una scelta, sarà proprio questa che instillerà disciplina nella stampa di denaro, cosa che non abbiamo in questo momento.

Forse Trump potrebbe anche assumere Michael Saylor come consigliere. In un'intervista con lui mi ha detto che l'adozione di Bitcoin sarà inevitabile a causa “dell'inefficienza del governo centrale e dei pianificatori nelle banche centrali”. Finora sembra avere ragione: sono le persone a spingere Trump verso Bitcoin, non il contrario, e quando le persone vogliono qualcosa, i funzionari eletti non hanno altra scelta che cospirare per realizzarlo.

E così, anche se il prezzo di Bitcoin è sceso dopo il discorso di Trump, probabilmente si è trattato solo di un classico evento “sell the news”.

Il lancio degli ETF su Bitcoin quest’anno è stato un grande stimolo per l’adozione dell’asset digitale e uno dei motivi per cui ho iniziato a riconsiderare fortemente la mia posizione su di esso. Per quanto sia triste, se Wall Street sostiene un’idea, trova un modo affinché essa si realizzi, anche se alla fine esaurisce il mordente o crolla di valore lungo la strada.

Allo stesso modo quando gli Stati Uniti, come Paese, sostengono un’idea, riescono a creare scosse di assestamento in tutto il mondo. La mia tesi è che se Bitcoin riuscirà a sopravvivere nel lungo termine, il mondo potrebbe guardare indietro ai commenti di Trump come a un punto di svolta nella storia americana, nella politica monetaria americana, e vederlo come il giorno in cui sono scomparsi gli ultimi dubbi sulla sostenibilità a lungo termine di Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Un manuale sul valore — per chi investe e non investe

Mer, 07/08/2024 - 10:09

 

 

di Thorsten Polleit

“Il valore è [...] l’importanza che singoli beni, o quantità di beni, hanno ai nostri occhi, perché siamo consapevoli di dipendere da essi per la soddisfazione dei nostri bisogni.”[1]

Il concetto di “valore” è l’elemento centrale di una teoria generale del comportamento umano, trascende i confini tradizionali della scienza economica.

Il valore è un concetto soggettivo – il che significa: il valore sta negli occhi di chi guarda; non esiste un “valore oggettivo”.

I beni o le cose (libri, mele, computer, ecc.) non hanno valore di per sé. È sempre l'individuo che attribuisce loro valore (o meno).

Il valore non è un concetto inventato artificialmente, è invece una categoria dell'azione umana ed è un concetto prasseologico (o una logica dell'azione umana).

L'azione umana significa, in generale, sostituire uno stato di cose a un altro stato di cose, che si prevede sarà più vantaggioso per l'attore di mercato.

È un fatto primordiale che gli esseri umani agiscano.

E l’affermazione “l’essere umano agisce” non può essere negata senza provocare una contraddizione logica, cioè dire qualcosa di falso.

L’affermazione “l’essere umano agisce” è apoditticamente vera, è un a priori (nel senso kantiano): la negazione di un’affermazione a priori ne presuppone la validità.

Se dite qualcosa del tipo: “Dai, gli esseri umani non agiscono”, allora agite, dimostrando la verità della stessa affermazione che desiderate negare.

Dall’affermazione apoditticamente vera “l’essere umano agisce” possiamo dedurre altre affermazioni vere.

Ad esempio, l'azione umana implica che il comportamento di un attore di mercato abbia uno scopo, che sia diretto verso obiettivi. Anche questa affermazione non può essere negata senza causare una contraddizione logica.

Un attore di mercato deve impiegare i mezzi per raggiungere i suoi fini. L'azione senza mezzi è logicamente impossibile da immaginare.

L'azione umana implica che l'attore di mercato abbia scelto consapevolmente determinati mezzi per raggiungere i suoi obiettivi.

E poiché l'attore di mercato desidera raggiungere questi obiettivi (qualunque essi siano), devono essere preziosi ai suoi occhi e di conseguenza deve avere un set di valori che governa le sue scelte.

Inoltre ogni scopo dell'azione umana dev'essere considerato superiore al suo costo e capace di produrre un profitto (risultato il cui valore è superiore a quello dell'opportunità mancata).

E che ogni azione è anche invariabilmente minacciata dalla possibilità di una perdita se un attore di mercato scopre in retrospettiva che, contrariamente alle sue aspettative, il risultato raggiunto ha un valore inferiore a quello che avrebbe avuto l’alternativa a cui ha rinunciato.

Per ribadire: il valore è un concetto prasseologico e questa affermazione non può essere contestata senza causare una contraddizione logica (e quindi dire qualcosa di falso).

In questo contesto è facile capire cosa succede in uno scambio volontario. Considerate il caso in cui acquistate, ad esempio, 1 Krugerrand per $3.000 l'oncia nel vostro negozio di monete preferito, gestito da Mr. Rich.

In una transazione del genere cederete qualcosa che considerate meno prezioso ($3.000) rispetto a qualcosa che apprezzate di più (1 Krugerrand).

Allo stesso modo Mr. Rich riceve qualcosa che apprezza di più ($3.000) rispetto alla cessione di qualcosa (1 Krugerrand) che apprezza di meno.

Lo scambio volontario avvantaggia voi e Mr. Rich. Non è un gioco a somma zero (ovvero, una persona trae vantaggio a scapito di un’altra). Anzi!

Lo scambio volontario è vantaggioso per entrambe le parti coinvolte, aumentando così il loro stato di soddisfazione rispetto a una situazione in cui non si sarebbe affatto svolto lo scambio volontario.

Va sottolineato che lo scambio volontario non avviene per volontà di armonia da parte vostra e di Mr. Rich. Avviene a causa di scale di valore opposte: voi volevate 1 Krugerrand in cambio di $3.000 mentre Mr. voleva $3.000 in cambio di 1 Krugerrand.

Lo scambio volontario ha portato ad un risultato pacifico e reciprocamente vantaggioso. Non è meraviglioso?

Affrontiamo ora più nel dettaglio la questione del “valore” e dell'”utilità”.

Si assegna valore alle cose perché ne si trae la cosiddetta utilità (possedendole, vedendole, toccandole, mangiandole, ecc.).

Il valore e l’utilità non possono essere misurati.

Potete misurare, ad esempio, una distanza in metri o miglia, o un peso in grammi o libbre, o una temperatura in gradi Celsius o Fahrenheit. In questi casi abbiamo a che fare con grandezze estese e sono aperte ai numeri cardinali.

Valore e utilità, invece, non sono grandezze estensive, ma intensive. Possono essere concettualizzati solo in termini ordinali (ma non in termini cardinali) come “più è meglio che meno” o “mi piace A più di B”.

Un attore che assegna valore alle cose (e ne trae utilità) significa che le classifica in base a una “scala di valori”.

Tutto ciò che un attore di mercato può dire è “mi piace A più di B”, oppure “mi piace C meno di D”. Non può dire “mi piace A due volte più di B”, o “mi piace C cinque volte meno di D”. Dirlo non avrebbe senso.

Inoltre il valore soggettivo non può essere confrontato tra persone diverse.

Come notato in precedenza, il valore e l'utilità associata non possono essere misurati, possono solo essere classificati sulla scala ordinale di un individuo.

In questo contesto è importante ricordare la legge dell’utilità marginale decrescente (anch'essa può essere derivata dalla logica dell’azione umana ed è quindi un a priori).

Cosa dice la legge dell’utilità marginale decrescente? Murray N. Rothbard (1926–1995) ce lo spiega:

Ci sono [...] due leggi dell’utilità, entrambe derivanti dalle condizioni apodittiche dell’azione umana: in primo luogo, data la dimensione di un’unità di bene, l’utilità (marginale) di ciascuna unità diminuisce all’aumentare dell’offerta; in secondo luogo, l’utilità (marginale) di un’unità di dimensioni maggiori è superiore all’utilità (marginale) di un’unità di dimensioni inferiori. La prima è la legge dell’utilità marginale decrescente; la seconda è stata chiamata legge dell’utilità totale crescente. Il rapporto tra le due leggi e tra gli elementi considerati in entrambe è puramente di rango, cioè ordinale.

Per illustrare la spiegazione di Rothard della legge dell'utilità marginale decrescente, si consideri la seguente scala di valori di un attore di mercato (ad esempio, Mr. Schulz):

Scala dei Valori[2]

3 uova

2 uova

1 uovo

2° uovo

3° uovoQuanto più in alto si trova un elemento in questa scala individuale per le uova, tanto più alto sarà il valore. Per la seconda legge 3 uova hanno un valore più alto di 2 uova e 2 uova hanno un valore più alto di 1 uovo.

Per la prima legge, invece, il 2° uovo sarà classificato sotto il primo uovo sulla scala dei valori[3] e il 3° uovo sotto il 2° uovo.

Non esiste alcuna relazione matematica tra, ad esempio, l'utilità marginale di 3 uova e l'utilità marginale del terzo uovo, tranne per il fatto che la prima è maggiore della seconda.

Diamo una breve occhiata a un altro esempio di scala di valori di un attore di mercato: Mr. Smith ha dieci obiettivi che desidera raggiungere, classificati sulla linea verticale nel grafico qui sotto. Il suo scopo più importante è mostrato in cima alla linea verticale (1) e quello meno importante in basso (10). L'asse orizzontale mostra il numero di mezzi (unità) disponibili per raggiungere i suoi scopi.

La scala di valori di Mr. Smith (dieci scopi, sei mezzi)

Se Mr. Smith ottiene, diciamo, sei unità di mezzo (ad esempio, unità monetarie) per soddisfare i suoi scopi, allora i primi 6 fini possono essere soddisfatti mentre quelli classificati da 7 a 10 rimangono insoddisfatti.

La prima unità dei suoi mezzi va a soddisfare il fine 1, la seconda unità il fine 2, ecc. La sesta unità viene utilizzata per soddisfare il fine 6.

Il diagramma illustra ciò che dice la legge dell'utilità marginale decrescente: l'utilità (valore) di più unità è maggiore dell'utilità di meno unità (poiché più unità aiutano a raggiungere più obiettivi) e l'utilità di ciascuna unità successiva diminuisce all'aumentare della loro quantità.

Supponiamo ora che Mr. Smith debba rinunciare a un'unità dei suoi mezzi. Con 5 unità può soddisfare solo 5 dei suoi 10 scopi. Data l'intercambiabilità (presunta in questo esempio) delle unità, rinuncia a soddisfare il 6° fine classificato e continua a soddisfare i fini più importanti dall'1 al 5.

La cosa importante è: l'attore di mercato rinuncia al bisogno di rango più basso che lo stock originale (in questo caso sei unità) era in grado di soddisfare.

Questa è chiamata unità marginale, o unità al margine. Questo fine meno importante raggiunto dalle azioni è noto come la soddisfazione fornita dall’unità marginale, o l’utilità dell’unità marginale. Nel grafico sopra l'utilità marginale è classificata al 6° posto tra i fini.

Finora abbiamo preso in considerazione i beni di consumo, ma che dire dei cosiddetti beni di produzione – beni che vengono prodotti e poi utilizzati per produrre beni di consumo e/o altri beni di produzione?

I beni di produzione (quei fattori che cooperano alla produzione di beni di consumo) non hanno alcuna connessione immediata con la soddisfazione dei bisogni umani. Tuttavia attraverso il processo di produzione incidono indirettamente sul processo di soddisfazione di tali bisogni.

L'imprenditore tenterà di impiegare un bene/fattore di produzione al prezzo che sarà inferiore al suo prodotto a valore marginale. Quest'ultimo è il ricavo monetario che può essere attribuito, o “imputato”, a un’unità del bene di produzione.

Il punto importante è: il valore di un bene di consumo (dal punto di vista dei consumatori) è imputato ai beni di produzione impiegati nella sua creazione, perché questi ultimi sono una causa necessaria, anche se indiretta, della soddisfazione che è direttamente attribuibile alla quantità di beni di consumo.

Supponiamo, ad esempio, che un’impresa combini i fattori nel modo seguente:

4X + 10Y + 2Z → 100 once d'oro

Quattro unità di X più 10 unità di Y più due unità di Z producono un prodotto che può essere venduto per 100 once d'oro.

Supponiamo ora che l’imprenditore stimi che quanto segue accadrebbe se un’unità di X venisse eliminata:

3X + 10Y + 2Z → 80 once d'oro

La perdita di un'unità di X, a parità di altri fattori, comporta la perdita di 20 once d'oro di entrate lorde.

Questo, quindi, è il prodotto a valore marginale dell'unità in questa posizione e con questo utilizzo.

Possiamo anche invertire questo processo. Supponiamo che l'impresa produca nelle ultime proporzioni e raccolga 80 once d'oro. Se aggiunge una quarta unità di X alla sua combinazione, mantenendo costanti le altre quantità, guadagna 20 once d'oro in più. Quindi anche in questo caso il prodotto a valore marginale di questa unità è di 20 once d'oro.

In quest'ultimo esempio, un produttore sarebbe disposto a pagare fino a 20 once d’oro per un’unità di X, ovvero il prodotto a valore marginale di X.

Passiamo ora al denaro e chiediamoci: e il valore del denaro?

Il denaro è un bene come un altro. È “speciale” solo nel senso che ha la massima commerciabilità/liquidità.

Essendo un bene come qualsiasi altro, il valore della moneta (dal punto di vista individuale) rientra nella legge dell'utilità marginale decrescente (la legge economica delineata in precedenza).

Tenendo presente questo punto, possiamo capire cosa succede se il numero di unità monetarie nelle mani di un singolo attore di mercato aumenta: l’utilità marginale dell’unità monetaria diminuisce.

E cosa succede se si verifica un aumento della quantità di moneta nell’economia nel suo complesso? Ludwig von Mises (1881–1973) ci dà la risposta:

Un aumento dello stock di moneta in una determinata comunità significa sempre un aumento della quantità di moneta detenuta da un certo numero di agenti economici, siano essi coloro che emettono la moneta fiat, o il credito, o i produttori della sostanza di cui è fatta la moneta-merce. Per queste persone il rapporto tra la domanda di moneta e la sua disponibilità è alterato; hanno una eccedenza di denaro e una carenza di altri beni economici. La conseguenza immediata di entrambe le circostanze è che per loro l’utilità marginale dell’unità monetaria diminuisce. Ciò influenza necessariamente il loro comportamento sul mercato. Sono in una posizione più forte come acquirenti. Esprimeranno sul mercato la loro domanda per gli oggetti che desiderano in modo più intenso di prima; sono in grado di offrire più denaro per le merci che desiderano acquistare. La conseguenza evidente sarà che i prezzi delle merci in questione aumenteranno e che, al confronto, il valore di scambio oggettivo del denaro diminuirà. Ma questo aumento dei prezzi non sarà in alcun modo limitato al mercato dei beni desiderati da coloro che originariamente hanno a disposizione la nuova moneta. Inoltre coloro che hanno portato questi beni sul mercato vedranno aumentare i loro redditi e le loro scorte di moneta e, a loro volta, saranno in grado di domandare più intensamente i beni che desiderano, in modo che anche questi ultimi aumenteranno in termini di prezzo. L'aumento dei prezzi continua così con effetto decrescente finché esso non raggiunge tutte le merci, alcune in misura maggiore, altre in misura minore. L’aumento della quantità di moneta non significa un aumento del reddito per tutti gli individui. Al contrario, quelle fasce della comunità che sono le ultime ad essere raggiunte dalla quantità addizionale di moneta vedono ridurre i loro redditi, come conseguenza della diminuzione del valore della moneta provocata dall’aumento della sua quantità [...]. La riduzione del reddito di queste classi avvia una controtendenza che si oppone alla tendenza originale di diminuzione del valore del denaro.[4]

Ricorrendo alla legge del valore marginale decrescente, Mises spiega che:

  1. un aumento della quantità di moneta riduce il valore di scambio dell'unità monetaria;
  2. colpisce i diversi attori di mercato in modo diverso, arricchendone alcuni a scapito di altri;
  3. provoca distruzione nel processo economico (e finanziario) innescando cicli di boom/bust.[5]

Infine va notato che il valore soggettivo della moneta è condizionato dal suo valore di scambio, o potere d'acquisto: “Per quanto riguarda la moneta il valore d'uso soggettivo e il valore di scambio soggettivo coincidono”.[6] Il denaro non ha utilità per l'attore di mercato, o valore, se non quello che deriva dalla possibilità di scambiarlo con altri oggetti vendibili.

Passiamo ora alla prossima domanda: che dire del valore dell'impresa o del prezzo delle azioni di un'impresa?

Come abbiamo visto, quando un bene viene valutato soggettivamente, qualcuno lo classifica in relazione ad altri beni in base alla sua scala di valori.

Tuttavia quando un bene viene “valutato” nel senso di determinarne il suo “valore di mercato”, il valutatore stima il prezzo in termini di denaro (in futuro) in cui il bene potrebbe essere venduto.

Questo tipo di attività è nota come valutazione e dev'essere distinta dalla valutazione soggettiva.

Se X dice: “Potrò vendere queste azioni la prossima settimana a $250”, egli “valuta” il potere d’acquisto delle azioni, o il suo prezzo in denaro, a $250.

Non classifica le azioni e il dollaro sulla propria scala di valori, ma valuta il prezzo monetario delle azioni in un determinato momento futuro.

Potreste chiedervi: come fa X a formulare la sua stima di $250 per le azioni?

Ebbene, potrebbe avere un “modello” in mente – come, ad esempio, il modello dei flussi di cassa (secondo il quale un’azienda “vale” il valore attuale di tutti i suoi flussi di cassa futuri, attualizzati al giorno d’oggi); oppure può moltiplicare il profitto annuale di un'impresa per un multiplo; oppure ha semplicemente avuto una sensazione viscerale.

La valutazione (di un bene come un'azione, una merce) implica un'azione individuale e una valutazione di successo richiede spirito imprenditoriale, talento e acume: alcune persone sono brave in questa attività (in termini di comprensione del prezzo di mercato futuro di un'azione), mentre altri falliscono.

Detto questo, non c'è da meravigliarsi se nel mondo reale ci siano grandi differenze di opinione riguardo il valore stimato di un'azienda, e quindi il valore stimato di ciascuna delle azioni di tale azienda.

Se X giunge alla conclusione che il prezzo di mercato di un titolo dovrebbe essere, diciamo, $250, mentre esso attualmente viene scambiato a, diciamo, $500, potrebbe voler venderlo (impedendogli così una perdita di capitale).

Ma torniamo alla questione del valore soggettivo non appena X vende le sue azioni sul mercato per, diciamo, $250. Ciò dimostra che egli valuta le azioni, in base alla sua scala di valori personale, meno della quantità di dollari che riceve in cambio delle stesse (allo stesso modo l’acquirente valuta l’azione più dei $250 che cede).

Concludiamo questo saggio sul valore con una citazione istruttiva di Carl Menger:

Il valore non è quindi nulla di inerente ai beni, nessuna proprietà di essi, né una cosa indipendente esistente di per sé. È un giudizio che gli esseri umani danno all'importanza dei beni a loro disposizione per il mantenimento della loro vita e del loro benessere. Il valore non esiste al di fuori della coscienza degli esseri umani. È quindi del tutto errato chiamare “valore” un bene che ha valore per gli individui, o che gli economisti parlino dei “valori” come di cose reali indipendenti e li oggettivizzino. Infatti gli enti che esistono oggettivamente sono sempre solo cose particolari o quantità di cose, e il loro valore è qualcosa di fondamentalmente diverso dalle cose stesse; è un giudizio espresso dagli individui sull'importanza che il loro controllo sulle cose ha per il mantenimento della loro vita e del loro benessere. L’oggettivazione del valore dei beni, che è di natura del tutto soggettiva, ha contribuito moltissimo alla confusione sui principi fondamentali della nostra scienza.[7]


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] Menger (1871), Principles of Economics, p. 115 – Secondo Menger il valore è una relazione bilaterale tra l'individuo e il bene economico. Per Mises, invece, come sottolinea anche Hülsmann (2003, pp. xxxvi–xxxvii), il valore è una relazione trilaterale che coinvolge l'attore di mercato e due beni economici: il valore del bene è determinato dalla preferenza dall'attore di mercato in quanto egli valuta un bene (come minimo) rispetto a un altro e sottoposto alla stessa scelta; in tal contesto vi basti pensare alla situazione in cui un attore di mercato riflette se spendere la sua banconota da $1 (primo bene) per una mela (secondo bene) o no.

[2] Si veda Hoppe (1999), Murray N. Rothbard: Economics, Science, And Liberty, pp. 227–8.

[3] Si veda Rothbard (2009), Man, Economy, and State, pp. 21–33, esp. p. 25 ff.

[4] Si veda Mises (1953), The Theory of Credit and Money, p. 139–140.

[5] Ciò sarebbe particolarmente vero se l’aumento della quantità di denaro avvenisse attraverso i mercati del credito.

[6] Si veda Mises (1953), The Theory of Credit and Money, p. 97.

[7] Si veda Menger (2007), Principles of Economics, pp. 120–1.

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Dieci punti sull'economia post-lockdown

Mar, 06/08/2024 - 10:08

 

 

di Jeffrey Tucker

I lockdown del marzo 2020, in tutto il mondo, sono stati uno dei momenti più scioccanti della storia. Il nocciolo del problema economico fin dall’inizio dei tempi documentati è stato quello di ottenere più di quello che le persone necessitavano, date le scarsità intrinseche dello stato di natura.

Indipendentemente dal sistema, la creazione di ricchezza era l’obiettivo dichiarato e l’umanità ha gradualmente scoperto che il commercio, gli investimenti, il marketing e l’accesso a qualcosa di più attraverso i viaggi e la creatività erano la via da seguire.

In un attimo tutte queste considerazioni sono finite nel dimenticatoio per combattere quella che si diceva fosse una malattia mortale. Inoltre la convinzione era che la fine dell’attività economica, almeno quella ritenuta non essenziale, fosse la strada verso la soluzione della crisi sanitaria.

Per quanto? Inizialmente era stato pubblicizzato per due settimane, ma col passare del tempo il periodo di blocco si è prolungato sempre di più ed è diventato chiaro che il punto era aspettare un vaccino. Ciò si basava sul presupposto, privo di prove, che l’intera popolazione fosse minacciata e che tale iniezione avrebbe risolto il problema.

L’economia mondiale è crollata – intenzionalmente – come mai visto prima nei tempi moderni. Come disse all’epoca Trump, anche se dava il via libera ai lockdown, nessuno aveva mai sentito parlare di una cosa del genere. Questo perché è pazzesco e profondamente pericoloso. Non esiste una cosa come spegnere e riaccendere un’economia mondiale, come se avesse un interruttore da spingere quando arriva il momento.

Ecco dieci osservazioni generali sui risultati.

  1. I mercati del lavoro non si sono mai ripresi. Sia la partecipazione al lavoro che il rapporto occupazione/popolazione rimangono al di sotto dei livelli del 2019. Forse questo è il risultato del pensionamento, forse è la disabilità, forse è solo demoralizzazione. In ogni caso, non siamo mai tornati alla normalità. Dal 2021 tutti i discorsi sulla grande macchina del lavoro non sono altro che persone che lo ritrovano dopo averlo perso durante i lockdown, o nuove persone che entrano nel mercato.


    Il mercato del lavoro non è stato affatto “caldo”. I dati mensili riportano indagini istituzionali, che li contano due volte, ma raramente ci sono indagini sulle famiglie che invece mostrano una continua debolezza. La divergenza tra questi due elementi non è mai stata così ampia. Non siamo affatto vicini alla tendenza pre-lockdown.


  2. Lo stimolo fiscale è stato spazzato via dall’inflazione dei prezzi. Quando gli assegni sono iniziati ad arrivare direttamente sui conti bancari, la gente non faceva assolutamente nulla a casa e le imprese ricevevano entrate dallo stato anche quando le loro porte erano chiuse. Le ricchezze cadevano dal cielo. È durato circa 18 mesi. Una volta arrivata l’inflazione, il potere d’acquisto di quei dollari è stato spazzato via. La creazione di denaro era arrivata a un livello mai visto prima nei tempi moderni; circa $6.000 miliardi sono stati creati dal nulla per acquistare incredibili quantità di debito. Tutto veniva tassato tramite il più antico schema per ingannare la popolazione.

  3. Le vendite al dettaglio e gli ordini di fabbrica all’ingrosso non sono in aumento. Tra tutti i dati rilasciati, solo i numeri del PIL vengono regolarmente aggiustati all’inflazione. Per la maggior parte delle altre relazioni, bisogna farlo in modo indipendente. Le vendite al dettaglio e gli ordini di fabbrica sono riportati in termini nominali, il che funziona bene in tempi normali, ma in tempi inflazionistici questa abitudine produce assurdità. Si finisce per incrementare la spesa per gli stessi beni e servizi, perché tutto è più costoso.
    EJ Antoni ha approfondito questo punto. Anche l’aggiustamento dell’inflazione, solitamente sottostimata, dimostra che né il commercio al dettaglio né quello all’ingrosso si sono realmente ripresi. Questi aggiustamenti si basano sui dati IPC convenzionali, quindi la realtà effettiva è ben peggiore.


  4. La produzione non è aumentata. Nella narrativa convenzionale i lockdown hanno creato una recessione istantanea, ma è durata solo un paio di mesi. Una volta che lo stimolo è stato terminato e l’economia è stata riaperta, il boom ha invertito tutti i danni. Da allora siamo cresciuti moderatamente.


    In altre parole, i dati convenzionali raccontano la storia dello scenario meno plausibile, un bellissimo lockdown che non ha causato danni netti ma ha messo in pausa la vita economica finché tutto non è tornato alla normalità. Davvero tutta questa storia è così semplice? Ci sono due fattori principali: l’inclusione della spesa pubblica come costituente della crescita economica e un aggiustamento dell’inflazione che è inferiore anche all’indice dei prezzi al consumo, elaborato appositamente per l’uso nelle statistiche sul reddito nazionale.
    Tutti sanno oggi che la prosperità nella Seconda Guerra Mondiale non era reale a causa dell’inclusione dello stato come principale contribuente alla presunta produzione economica. Il debito pubblico in percentuale del PIL ha raggiunto e superato i livelli del tempo di guerra negli ultimi quattro anni. Questo dovrebbe dirci qualcosa di importante sulla credibilità di questa apparente ripresa.


  5. I dati sull’inflazione sono falsi. Secondo i dati ufficiali nel gennaio 2020 il dollaro ha mantenuto l’82% del suo valore, vale a dire ha perso solo il 18% del suo valore in quattro anni. Rapportate questa cifra alla vostra vita quotidiana, in base alle vostre bollette, ai vostri acquisti e a ciò che potete vedere con i vostri occhi. Ripensate ai bei vecchi tempi del 2019. In quale mondo è anche solo vagamente plausibile che i prezzi che pagate (o pensate di pagare ma poi vi astenete) siano aumentati solo del 18%?
    Com'è possibile che l’indice dei prezzi al consumo sgonfi gli aumenti dei prezzi a livelli così bassi? I dati escludono i tassi d'interesse, l’assicurazione dei proprietari di case, le tasse, la shrinkinflation e le commissioni aggiuntive; i dati sui prezzi dell'assicurazione sanitaria vengono aggiustati al ribasso per favorire il consumo medico; i dati sui prezzi delle case vengono forniti attraverso una formula estremamente complicata chiamata affitto equivalente dei proprietari di case ed è diventata una fantasia. Nel grafico qui sotto la linea rossa è esclusa dall’indice dei prezzi al consumo a favore della linea blu.


    Anche nei dettagli il Bureau of Labor Statistics non sembra riflettere i prezzi effettivi del settore. Il BLS ha registrato un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari del 26% sin dal 2019, ma i dati del settore indicano un aumento dei generi alimentari del 35%. Gli aumenti di prezzo più bassi si registrano nel commercio al dettaglio di liquori (11%) ed è proprio per questo che cocktail, vino e birra sono così apprezzati nei ristoranti: è un buon posto per ottenere margini di profitto.


    Poi c'è la serie di aggiustamenti edonistici che consente ai burocrati di sgonfiare il prezzo di qualsiasi prodotto suggerendo che, dopo tutto, non dispiace a nessuno pagare di più per una qualità superiore, quindi non è proprio aumento del prezzo.
    Infine c'è l’esclusione della maggior parte delle principali forme di shrinkinflation e delle commissioni aggiuntive. Quanto di tutto questo fa salire l'IPC? Non lo sappiamo davvero. Non è del tutto impossibile che l’inflazione reale nell’arco di quattro anni sia stata del 30%, o del 50%, o addirittura superiore. Modificate tutti gli altri dati in base a ciò e otterrete un quadro completamente diverso di ciò che sta accadendo.

  6. Si sono formati blocchi commerciali che non ci salveranno. Quando tutte le catene di approvvigionamento del mondo sono state congelate nel marzo 2020, per poi riaprirle gradualmente in base alle politiche nazionali, abbiamo visto lo sfilacciamento di 70 anni di integrazione globale. I produttori di chip sono passati dalla fornitura di automobili e altri beni industriali negli Stati Uniti ai computer portatili e alle macchine da gioco. Subito dopo la riapertura gli Stati Uniti hanno de-dollarizzato gli asset russi, dando ai BRICS nuovi incentivi ed energia per diventare più robusti. A distanza di anni la nuova forma del mondo sta diventando evidente: è tutta una questione di sfere d'influenza politica, mandando in frantumi una forza trainante della crescita economica globale durata decenni.

  7. I diritti di proprietà non sono sicuri. Mai prima d’ora nella storia degli Stati Uniti così tante piccole imprese sono state chiuse da una costa all’altra con tanta brutalità. Quando hanno riaperto spesso la loro capacità era ridotta, dando un enorme impulso ai ristoranti e agli hotel più grandi rispetto a quelli piccoli. Tutto ciò rappresentava un attacco fondamentale ai diritti di proprietà, il nucleo stesso di una vita economica funzionante e ciò ha sicuramente scosso la psicologia della formazione aziendale a livello nazionale. Sebbene non disponiamo di dati empirici al riguardo, resta il fatto che uno stato che attacca la proprietà in questo modo non può aspettarsi un mondo fiorente di start-up imprenditoriali. Se la vostra attività può essere chiusa per le ragioni più disparate, perché avviarne una? Questo è il tipo di problema istituzionale che provoca il decadimento economico in modi impercettibili.

  8. Il debito è fuori controllo; personale, aziendale e pubblico. Molti hanno scritto sul problema del debito pubblico, i cui interessi ora fagocitano tre quarti delle tasse pagate.
    La nave del debito societario è salpata molto tempo fa con il folle esperimento dei tassi a zero dopo il 2008. Sono stati lasciati salire per far fronte all’inflazione e ciò che ne deriva è profondamente doloroso per qualsiasi attività non pubblica che dipende dalla leva finanziaria per le proprie operazioni.
    Il problema del debito dei consumatori è ancora più evidente: in periodi di tassi alti, i risparmi dovrebbero aumentare, non diminuire, e il debito dovrebbe diminuire, non aumentare. Sta accadendo il contrario perché il reddito reale sta diminuendo drasticamente e ciò avviene ormai da tre anni. Anche utilizzando i dati IPC convenzionali, non ci siamo ancora ripresi dal lockdown.


  9. Le CBDC sono essenziali per il piano. Una delle principali ambizioni della risposta al Covid era la creazione di un passaporto universale per i vaccini. È stata attuata prima a New York: l’intera città è stata chiusa in tutte le sue strutture pubbliche ai non vaccinati. A nessuno che rifiutasse l'iniezione era consentito andare nei ristoranti, nei bar, nelle biblioteche, o nei teatri. Boston poi ha seguito l'esempio, così come New Orleans e Chicago. Questo piano è fallito perché il mondo degli affari si è lamentato e il software su cui doveva girare è risultato un flop, nonostante le decine di milioni spesi. Tutti questi sforzi sono stati annullati, ma il piano stesso ha rivelato l’agenda più ampia: il controllo attraverso la raccolta e l’applicazione dei dati. L’ambizione non è scomparsa e probabilmente tornerà sotto forma di valuta digitale della banca centrale, ora utilizzata in molte parti del mondo. Permette la sorveglianza universale, le scadenze temporali delle valute e il razionamento della spesa a riflesso delle priorità politiche. Non c’è dubbio che le élite la vogliano.

  10. I mercati finanziari prospereranno fino a quando non lo faranno più. Nel corso degli ultimi folli quattro anni ci è stata risparmiata una grave crisi finanziaria, sia azionaria che bancaria. Ciò non è del tutto insolito nel mezzo di una selvaggia espansione della moneta e del credito. Dopo aver toccato prezzi e salari, il nuovo denaro confluisce nei sistemi finanziari, il cui rialzo è visto come una notizia fantastica piuttosto che come una semplice inflazione dei prezzi. Detto questo, il mercato azionario non è l’economia. È di buon auspicio per le persone che investono e accumulano conti pensionistici, ma non fa nulla per i salariati e gli stipendi di Main Street.

I lockdown hanno rappresentato la più grande ed elaborata farsa economica mai realizzata nella storia dell’umanità. Hanno lasciato il mondo intero meno libero e meno prospero, e con le speranze prosciugate che il ripristino della normalità potesse avvenire in tempi brevi. Per aggiungere danno alla beffa, la maggior parte delle istituzioni sta producendo dati falsi per nascondere il tutto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Il movimento per la decrescita è antiumano e ai suoi sostenitori va bene così

Lun, 05/08/2024 - 10:15

 

 

di Lipton Matthews

L’assimilazione delle idee legate alla decrescita a livello mainstream fa presagire conseguenze disastrose per il benessere economico. La decrescita viene pubblicizzata come la soluzione per evitare una catastrofe climatica, ma invertirà le sorti economiche di chi la pratica. La crescita economica sostenuta è diventata la norma ormai e sicuramente la maggior parte delle persone non vuole un ritorno a un’era preindustriale con crescite episodiche e standard di vita più bassi; la persona media oggi sarebbe riluttante a scambiare i lussi raggiunti con i ninnoli che offrirebbe una società meno dinamica.

Nonostante gli elogi a favore della decrescita, è difficile prendere sul serio i sostenitori, perché mancano di un quadro di riferimento chiaro. Gli intellettuali delle classi alte dei Paesi ricchi non dovrebbero raccomandare la decrescita, perché non si sono mai confrontati con la povertà. I risultati della crescita economica nel ridurre la povertà e nel migliorare gli standard di vita sono eccezionali, quindi le misure per frenarla non faranno che peggiorare la difficile situazione dell’umanità.

Chi sostiene la decrescita dimentica che la crescita economica migliora l’ambiente nel lungo termine, soprattutto nei Paesi più ricchi che possiedono istituzioni migliori e alti livelli di capitale umano. L’aumento dei redditi accresce la consapevolezza ambientale, perché la prosperità offre alle persone il tempo di investire nell’ambiente. La crescente ricchezza porta anche a posti di lavoro nei servizi più sicuri che non comportano il saccheggio dell’ambiente fisico. I sostenitori della decrescita non sono consapevoli del fatto che le loro raccomandazioni riportano la società a un sistema economico basato sull’agricoltura e che richiede un maggiore utilizzo del territorio. La dipendenza dall’agricoltura ostacola l’obiettivo di ridurre l’inquinamento, poiché la produzione agricola è una delle principali cause dell’inquinamento atmosferico.

Inoltre i sostenitori della decrescita non sono consapevoli del fatto che la tendenza attuale è quella di separare le emissioni di anidride carbonica dalla crescita economica. Quest'ultima viene dissociata dalle emissioni di CO₂ nei Paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo. Nel periodo 2007-2019 le emissioni sono diminuite del 15% nonostante l’aumento del prodotto interno lordo pro capite. Come l’America, l’Australia e Israele hanno fatto registrare emissioni inferiori, nonostante tassi di crescita più elevati. Anziché fare affidamento sull’energia verde, la transizione verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica è stata accelerata dal passaggio dal settore manifatturiero a quello dei servizi. I lavori a minore intensità energetica nel settore dei servizi rappresentano ora una quota maggiore di posti di lavoro nei Paesi ricchi. Germania, America e Messico hanno tutti osservato un calo della produzione nel periodo 2007-2019.

Ancora più contraddittorio è il presupposto secondo cui la decrescita sia la via verso la sostenibilità ambientale. L’ironia è che le innovazioni generate dall’economia di libero mercato limiteranno la dipendenza dai combustibili fossili e dal carbone. Senza innovazioni basate sul mercato, non può esserci alternativa alle fonti energetiche condannate dagli attivisti della decrescita. Un altro problema è che la minore crescita priva i Paesi della capacità di investire nelle tecnologie di adattamento climatico. Una crescita ridotta indica che gli imprenditori e altri attori di mercato non avranno risorse sufficienti per sviluppare le tecnologie per ridurre le emissioni di gas nocivi.

La decrescita rende le società più vulnerabili all’inquinamento e alla povertà. Inoltre alcuni teorizzano che la decrescita potrebbe peggiorare il deterioramento ambientale costringendo le aziende a sostituire tecnologie di produzione costose, ma più pulite, con tecnologie più economiche ma più inquinanti. Sebbene il movimento per la decrescita stia guadagnando slancio, le sue affermazioni sono sconfessate dall’evidenza empirica. Infatti le proposte dei sostenitori della decrescita rischiano di danneggiare il benessere della società: ad esempio, le tecnologie legate alle energie rinnovabili sono promosse come ecocompatibili, tuttavia i dati dimostrano che l’impronta materiale di queste fonti è maggiore di quella dei combustibili fossili.

Lo scienziato Mark P. Mills sostiene che la costruzione di sistemi solari ed eolici richiede un aumento di circa dieci volte del tonnellaggio totale di materiali comuni per produrre una quantità equivalente di energia rispetto alla costruzione di una centrale elettrica a gas naturale o a idrocarburi. Ancora più significativo, i minerali necessari per costruire tecnologie rinnovabili vengono acquisiti attraverso il controverso processo di estrazione mineraria dal punto di vista ambientale. Non solo le energie rinnovabili comportano inquinamento, ma sono anche costose, intermittenti e faticano a competere senza sussidi.

Le politiche sostenute dal movimento per la decarbonizzazione sono così rovinose che Christopher Marquis, in un saggio in difesa della decrescita, ha ammesso che queste proposte sono impraticabili: “L'idrogeno verde viene prodotto utilizzando elettricità rinnovabile, ma il processo è costoso e comporta un uso inefficiente delle risorse rinnovabili. Le tecnologie di cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica (CCS) sono complesse, costose e tecnicamente difficili da implementare; molti dei primi progetti sono stati abbandonati”.

Nel frattempo i critici sostengono che il movimento per la decrescita è irrilevante, perché viviamo già in un’era di decrescita e questo non ci piace. Il professor Wim Naudé ritiene che il declino economico sia una caratteristica piuttosto che un problema della civiltà e che stiamo entrando in un periodo di stagnazione economica. La crescita economica sta rallentando nei Paesi occidentali, quindi i politici seri dovrebbero delineare una tabella di marcia per risollevarla invece di ascoltare le sciocchezze di attivisti deliranti. Ovviamente perseguire la decrescita non è un obiettivo lodevole, perché la crescita lenta sta diventando la norma e non ha portato benefici al mondo.


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Lezioni dal passato sulle perdite future

Ven, 02/08/2024 - 10:06

 

 

di Francesco Simoncelli

«Rifletti, figlio mio; sei di nuovo in bilico sul filo del rasoio del destino.»

~ Tiresia, Antigone

Cosa dovrebbe fare un vecchio? Cosa dovrebbe essere? Non è più adatto per far crescere i figli, non è più un capitano d'industria e nemmeno un ingranaggio dell'industria stessa. Non più adatto alla battaglia o al ruolo di protagonista in una commedia romantica. Qual è il suo ruolo? Non è forse utile ricordare? Nell'antica Irlanda i seanachaí cantavano le lezioni del passato: saggi, poeti e narratori di storie ricordavano ai re e alla gente comune i grandi eroi del passato, i loro trionfi e le loro sconfitte; alcuni erano personaggi storici reali e altri erano mitologici. E ora, cosa dovrebbe fare un vecchio? Non dovrebbe ricordare e mettere in guardia? Non dovrebbe dire ai suoi nipoti di fare scorta di legna da ardere e dirigersi verso terreni elevati? Non dovrebbe ricordare il mercato ribassista del '66-82, il crollo del mercato azionario giapponese nel 1990, l'inflazione degli anni '70 e la guerra del Vietnam. Con un occhio guardare gli errori e con l'altro le virtù, unire poi la vista e avvertire: “Non lo farei se fossi in te”.

Certo, il giovane ignorerà il consiglio non richiesto, ma solo perché il suo consiglio non è gradito non ne diminuisce il dovere di darlo in modo chiaro e semplice. E come il vecchio Tiresia, può voltarsi con un po' di dignità e dire: “Lasciami andare a casa. Tu porta i tuoi fardelli, io porterò i miei. È meglio così, credimi”. Più tardi potrà avere il piacere di dire “Te l'avevo detto”. Ci sono pochi vantaggi nella vecchiaia e i “Te l'avevo detto” sono uno di questi. Sì, ci sono i biglietti scontati in alcuni teatri, i biglietti gratis in alcuni musei e sconti in alcuni ristoranti, ma il grande vantaggio è aver visto più “Grandi Perdite” e sapere come sono.

Re Creonte ignorò il vecchio Tiresia e finì per incappare nella Grande Perdita: perse un figlio e la moglie (dopotutto Antigone è una tragedia greca). E se avete più di 70 anni, probabilmente avete visto anche voi delle “Grandi Perdite”: matrimoni andati in pezzi, aziende fallite, persone che sono andate in bancarotta, crolli, omicidi, massacri, errori, bugie, glorie vane e transitorie. E tutti noi siamo sempre in bilico sul filo del rasoio del destino, cadere nella direzione sbagliata può essere tragico. Ricordate la delusione provata dagli investitori dopo la fine del boom del mercato azionario nel 1966? E quella dopo lo shock inflazionistico negli anni '70? E il disastro della guerra del Vietnam? Nel 1966 gli investitori avevano le Nifty Fifty come versione dei Magnifici 7 di oggi. Erano considerati investimenti “unidirezionali” che potevate comprare e mantenere finché morte non ve ne avesse separato. Erano le migliori aziende, nel miglior mercato azionario, nella migliore economia, durante il miglior decennio, nella migliore nazione della storia. Eastman Kodak, 3M, Procter and Gamble: avevano la migliore tecnologia e tanti soldi; potevano assumere i migliori ingegneri e manager. Cosa poteva andare storto

Dove sono andati dopo il 1966? Da nessuna parte. Il gruppo sarebbe rimasto più o meno invariato per i successivi 16 anni, e questo in termini nominali di dollari, perché l'aggiustamento all'inflazione ha significato una perdita dal 70% all'80%. Poi sono arrivati ​​gli anni '70 con l'incredibile inflazione dei prezzi di quegli anni. Il primo tonfo arrivò nel 1969 quando i prezzi salirono del 6%, poi scesero al 3% e le autorità dissero che era finita, ma l'ondata successiva, nel 1974, fece salire i prezzi a un ritmo annuo del 12%. Dopo che quell'ondata raggiunse il culmine, l'inflazione scese a circa il 6% e di nuovo la gente pensò che non c'era più bisogno di preoccuparsene. L'ultima ondata non arrivò fino al 1979, 10 anni dopo la prima, con un'inflazione a un tasso del 13%. Se questo modello è di qualche indicazione, la prossima grande ondata arriverà nel 2032, con la valuta fiat che perderà circa il 70% del suo valore da qui ad allora.

Per gran parte di quel periodo, dal 1966 al 1975, un'assurdità morbosa incombeva sugli Stati Uniti: la guerra del Vietnam. L'idea era di impedire che cadessero le tessere del domino. Quelli di voi che hanno più di 70 anni potrebbero ricordare amici che andarono in “Nam” e non tornarono vivi. E gli Stati Uniti sperperarono così tanti soldi in guerra che il presidente Nixon si sentì obbligato ad abbandonare il gold standard, dando il via alla finanziarizzazione dell’economia, all’enorme aumento del debito e alla bancarotta dell'impero statunitense. Ricordiamo gli argomenti a favore della continuazione della guerra, ora usati per prolungare la guerra per procura contro la Russia: era fondamentale preservare la “credibilità” della nazione, bisognava fermarli [i comunisti] lì altrimenti l'Occidente avrebbe dovuto affrontarli in California. Voltar loro le spalle sarebbe stato un atto di pacificazione.

Alla fine le tessere del domino sono cadute lo stesso e a nessuno è importato. Ora gli americani vanno in vacanza in Vietnam e comprano magliette e pantaloni da corsa dalle fabbriche vietnamite. Migliaia di miliardi buttati in un buco nero, un milione di morti e tutto per niente. Sì, come il vecchio Tiresia, i saggi hanno visto la loro parte di miseria, follia e stupidaggini.


QUANDO IL PASSATO FAGOCITA IL PRESENTE, IL FUTURO È SEGNATO

Più reddito corrente avete da destinare alle spese passate, meno vi rimane per le spese correnti. Per dirla in breve: le persone con meno soldi da spendere sono più povere. Lo stato deve prendere in prestito sempre più denaro per pagare gli interessi sul suo debito e continuare a spendere. Inevitabilmente finisce per competere con i mutuatari privati ​​e ciò fa aumentare i tassi d'interesse. Oggi in Italia, ad esempio, ci sono più di €400 miliardi in debito ipotecario e gran parte di questa cifra è a tasso fisso, a tassi molto bassi. Le vendite si sono prosciugate, però, perché significherebbe sobbarcarsi un nuovo mutuo a tassi molto più alti. L'aggiustamento a tassi più alti richiede tempo, ma già ora il settore immobiliare non sta costruendo il numero di case che costruiva prima, proprio perché non riesce a venderle. Con un prezzo medio delle case di €300.000 (in aumento rispetto ai €110.000 equivalenti di 64 anni fa!), un mutuo al 4% significherebbe rate mensili da circa €1.500. Il reddito medio della famiglia italiana è di circa €34.000 annui, il che significa circa €3.000 al mese; non lascia molto per vivere. Anche al 3.67%, tasso medio di oggi, la rata del mutuo (€1.180 al mese) sarebbe più di quanto la maggior parte delle persone possa permettersi.

Molto probabilmente i prezzi delle case scenderanno man mano che la domanda di case costose si ridurrà, ma è probabile che i tassi dei mutui continuino a salire man mano che aumenterà la domanda di credito. A un certo punto inizierà una crisi del debito, l'economia si sgretolerà e poi si spegnerà come un lumicino.

Questo spazio divulgativo ha lanciato l'allarme sul debito pubblico, a intermittenza, negli ultimi 14 anni e questo mi dà un po' di credibilità nel settore della sventura e della tristezza. La maggior parte delle persone può pensare che il mio orologio si sia fermato, un quarto di secolo è quasi il “lungo termine” e possono presumere che se non è successo niente di male finora, non succederà affatto. Qualcuno con la barba grigia ricorderà l'esperienza del secondo dopoguerra: il rapporto debito/PIL allora era alto quanto lo è ora, ciononostante non ne seguì alcuna catastrofe. Invece il debito scese e l'economia si riprese. Non potrebbe succedere di nuovo? Molto improbabile. Il debito della seconda guerra mondiale era diverso, era interamente causato dalla guerra. Le famiglie e le aziende, incapaci di acquistare nulla, risparmiarono i loro soldi. Alla fine della guerra erano pieni di soldi da spendere, investire e costruire. Con la resa giapponese, la spesa militare crollò e quella civile salì alle stelle.

Oggi la situazione è quasi l'opposto. Anche i consumatori e le aziende sono profondamente indebitati, e qualunque sia la “guerra” in cui siamo impegnati, non c'è una fine in vista.

Ma tutto richiede tempo per svolgersi. Potete bollire un uovo in 3 minuti, potete guardare un film in un'ora e mezza, ma né il vino né il whisky maturano da un giorno all'altro. E Roma non è stata distrutta in due settimane. Potreste vedere la cometa di Halley nel cielo notturno e poi continuare a cercarla; dopo qualche anno vi arrendereste. La cometa è finita nell'universo più oscuro, potreste concludere, per non essere mai più vista, ma vi arrendereste troppo presto dato che ritorna ogni 75 anni circa. Anche saltare giù da un aereo vi lascia apparentemente sospesi in aria... come se il tempo si fermasse. Eppure non importa quanto tempo ci vorrà, alla fine vi schianterete a terra.

Ci sono voluti 128 anni all'Italia per accumulare i suoi primi €1.000 miliardi di debito pubblico, da lì in poi la sua corsa è accelerata e il tempo di accumulo man mano si è ridotto.

L'evoluzione del debito pubblico italiano dal 1861 al 2009

Oggi siamo abbiamo superato la soglia dei €2.900 miliardi e le ultime proiezioni mostrano un debito nazionale oltre i €3.000 miliardi entro due anni. Inutile dire che tutto ciò si porterebbe dietro anche la spesa per interessi sul debito. Gli “ammanicati” traggono vantaggio dalla spesa pubblica e controllano i politici. Non c'è nessun paracadute.

L'evoluzione del debito pubblico italiano nel biennio 2023/2024

In un modo o nell'altro, il passato avrà ciò che si merita. Pazienza.


SEGNALI DAL FUTURO: ORO E BITCOIN

La guerra russo-ucraina interessa poco alla maggior parte delle persone, dopotutto è una guerra di confine in Europa. L'area, ora chiamata Ucraina, faceva parte dell'Impero Unno intorno al 400 d.C., cento anni dopo era controllata dalle tribù slave, poi, solo 100 anni dopo, faceva parte del Khaganato Avaro, finché i Teveri, chiunque fossero, non presero il potere nell'VIII secolo, e così via. Saltando avanti, lungo tutto un periodo di conflitti tribali, conquiste e confusione... Ungheresi, Moldavi, Uzes, Peceneghi, l'Orda d'Oro, l'Impero austro-ungarico... arriviamo nel 1991 dove, per la prima volta nella storia, abbiamo un Paese indipendente chiamato Ucraina. Questa parola in russo significa “terra di confine” e ora Putin è determinato a fare un aggiustamento della zona di confine portando i russofoni nelle province orientali sotto la protezione della Federazione Russa. Egli dice che le persone nelle province orientali dovrebbero avere il diritto di parlare la propria lingua, pregare nelle proprie chiese e decidere i propri leader. La CIA, l'amministrazione Biden e il complesso militare-industriale statunitense non sono d'accordo. Dicono che la guerra è una presa di potere palese da parte del neo-zar russo e immaginano persino che se non verrà fermato a Kiev, presto terrà una parata della vittoria sugli Champs Elysee.

Le persone possono pensare quello che vogliono, ma (una parte de)gli Stati Uniti ha scelto di farsi coinvolgere nella guerra, non solo dando soldi e armi agli ucraini, ma anche usando il sistema bancario internazionale per cercare di mettere la Russia sotto controllo. Gli stranieri ora possono vedere quanto facilmente possono finire nei guai e come la valuta di riserva mondiale può chiudere le loro economie. E ovviamente cercano soluzioni alternative. Larry Johnson dal suo Substack:

Che errore colossale. E l'amministrazione Biden ha raddoppiato [le sue ingerenze] tagliando fuori l'accesso della Russia allo SWIFT. L'effetto delle sanzioni ha portato la Russia a muoversi rapidamente per formare nuove alleanze economiche con la Cina e altre grandi economie del Sud del mondo e le sanzioni hanno accelerato lo sviluppo di un sistema di pagamento alternativo indipendente dal dollaro. O l'amministrazione Biden ha ignorato gli avvertimenti degli analisti della CIA, secondo cui l'enorme riserva di risorse naturali della Russia (es. petrolio, gas, carbone, alluminio, nichel, azoto e terre rare) la isolavano dalle sanzioni occidentali, o la CIA non è riuscita ad analizzare accuratamente la forza dell'economia russa.

Invece di indebolire il sostegno pubblico in Russia nei confronti di Vladimir Putin, la sua posizione politica è diventata più forte. Invece di isolarlo, la guerra per procura della NATO ha aiutato Putin a consolidare ed espandere le relazioni con Cina, India, Iran, Corea del Nord, Sud Africa e Brasile.

Ma niente dura per sempre: i confini si spostano e le valute di riserva cambiano. Dal 1400 l'aspettativa di vita di una valuta di riserva è stata di circa 100 anni. Il dollaro è diventato la valuta di riferimento mondiale nel 1944, alla conferenza di Bretton Woods. Se il futuro rispecchierà il passato, le nazioni del mondo, incluso il suo più grande esportatore, la Cina, continueranno a cercare alternative al sistema monetario statunitense e il dollaro “rinuncerà” al suo status come valuta di riserva mondiale nei prossimi 20 anni. Attenzione, però, perché la maggior parte delle spiegazioni si ferma a questo punto, come se lo zio Sam se ne rimanesse a guardare mentre gli altri fanno le loro scelte. Infatti la maggior parte delle analisi pensa che gli Stati Uniti siano in balia degli altri a causa del debito statunitense acquistato all'estero e che questo li renda “schiavi” dei capricci di Paesi come la Cina. Pensarla in questo modo è un errore madornale: l'America sta rinunciando volontariamente e per questo motivo i titoli di stato americani sono l'asset più liquido/richiesto sui mercati finanziari. Se non fosse così, Powell non sarebbe stato credibile quando ha annunciato la sua strategia “higher for longer” e la corsa agli sportelli dello zio Sam sarebbe stata devastante.

Invece non è accaduto niente del genere e il dollaro continua a essere la cinghia di trasmissione nei mercati mondiali. Perché? Perché il tassello che manca nella maggior parte delle analisi è che gli USA, nel 2022, si sono finalmente liberati dalla spada di Damocle rappresentata dal mercato dell'eurodollaro. Non si sono invece liberati dalla crisi finanziaria che per anni le precedenti amministrazioni politiche e governatori della FED hanno alimentato. Ciononostante la prossima crisi sarà diversa dalle altre. Ecco perché gli USA adesso, dopo la ricerca di isolamento dal resto del mondo dal punto di vista finanziario, stanno attivamente perseguendo una linea di politica pro-Bitcoin. Oltre a entrare a far parte dello Stato profondo americano, l'ecosistema Bitcoin rappresenta una copertura più dinamica e affidabile rispetto a quella aurea.

JUST IN - Trump, if President, pledges to form a Bitcoin Reserve, using 210,000 Bitcoin seized by the Department of Justice, as the core of a new “Strategic National Bitcoin Stockpile.” pic.twitter.com/ucvlyP3BDx

— Disclose.tv (@disclosetv) July 27, 2024

Entrambe verranno utilizzate come strumento di protezione, ma Bitcoin è il classico “nemico da tenersi più stretto” dato il vero effetto disruption che è in grado di scatenare. La sua finanziarizzazione serve esattamente a questo scopo: si vende la percezione della realtà che gli USA sono in controllo del suo destino e si vende la percezione della realtà che, nonostante le difficoltà economiche, gli USA possono ripagare i loro oneri grazie alla credibilità di tale hard asset. Non solo, ma sfruttando l'efficienza energetica garantita dal mining di Bitcoin, gli Stati Uniti possono potenziare, rispetto alla concorrenza, la loro indipendenza energetica. E l'energia sarà l'ago della bilancia nel prossimo decennio. Infatti non è un caso che, da una manciata di anni, gli USA sono indipendenti dal punto di vista energetico. In gioco, ora, ci sono due forze distinte che si stanno scontrando ed è questo il punto che manca alla maggior parte degli analisti i quali finiscono per interpretare male i segnali dal passato per decifrare il presente e quindi anticipare il futuro.

Non esiste una volontà unica, una nazione unica, ma rivoli di influenze che infine fanno un fiume e quindi una nazione.


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Cosa potrebbe significare una presidenza Trump per Bitcoin

Gio, 01/08/2024 - 10:07

 

 

di Mark Jeftovic

“Solo perché qualcosa è inevitabile non significa che sia imminente.”

~ Douglas Casey

Per molto tempo chiunque avesse prestato un minimo di attenzione sapeva che le banche centrali che stampavano denaro dal nulla, poi lo prestavano agli stati e lo immettevano nell’economia avrebbero inesorabilmente portato a una tale disparità di ricchezza che la società sarebbe crollata.

Si sarebbe arrivati al punto in cui le rivolte popolari avrebbero minacciato di sopraffare la posizione dell’élite, coloro che troneggiano su questo sistema che ha creato valore ex nihilo e ha fatto sì che, attraverso l’inflazione, la stragrande maggioranza della ricchezza andasse a beneficio delle “classi alte” della società...

Una delle mie battute preferite è: alla fine arriva sempre prima di quanto tutti si aspettino.

Sono passati più di tre anni da quando ho pubblicato il Crypto Capitalist Manifesto e in esso ho esposto la mia tesi d'investimento di base secondo cui il “Grande Reset” non aveva in realtà nulla a che fare con il cambiamento climatico o con nessuno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Tutto ciò con cui aveva a che fare era il debito:

“NON POSSIEDERAI NULLA E SARAI FELICE”

I messaggi provenienti dalle élite globali come il World Economic Forum, la cricca di Davos, il Fondo monetario internazionale e persino da luoghi disparati come il Vaticano e Hollywood si rivolgono tutti allo stesso tema: voi, la classe media, la classe inferiore, le masse – dovrete abituarvi a uno standard di vita inferiore.

Il vero motivo non è il cambiamento climatico, o addirittura il COVID: è il debito. Il mondo ha infine esaurito le sue possibilità di calciare il barattolo quando l’economia globale minaccia di cadere in recessione, o quando le precedenti bolle scoppiano. Tutti quei decenni di vita al di sopra delle nostre possibilità hanno infine raggiunto il limite.

Gli stati hanno speso oltre le loro possibilità per decenni e ora i conti sono arrivati a scadenza. L’unico modo per ripagarli includerà l’inflazione e l’austerità. Una demolizione controllata dell’intera classe media. Il modo più semplice per farlo sarà trasformarla in una classe dipendente dallo stato sociale attraverso lockdown infiniti, programmi di reddito di base universale e passaporti sanitari obbligatori.

Tuttavia il “Grande Reset” è fondamentalmente un riavvio monetario. Un modo per ristrutturare l’eccesso di debito globale e trasformare il “denaro” in lubrificante tecnocratico per attuare grandiosi progetti d'ingegneria sociale: la maggior parte di essi mira ad abbassare il tenore di vita delle masse del mondo sviluppato e a sopprimere il tenore di vita dei tanti Paesi sviluppati nel Terzo Mondo.

Il “Grande Reset” e “Build Back Better” hanno tentato di gettare le basi per l’eventuale (e ancora in qualche modo inevitabile) passaggio dal denaro fiat alle valute digitali delle banche centrali (CBDC). Quasi certamente saranno fusi con sistemi di credito sociale denominati in quote d'impronta di anidride carbonica – e quindi un meccanismo per attuare l’austerità forzata nelle economie sommerse dal debito, con il risultato di una sorta di “apartheid monetario”.


Cosa ho sbagliato nel mio Manifesto

A parte il fatto che gli eventi che presumevo si sarebbero verificati nel corso di decenni si sono verificati in 18 mesi, c'era un altro difetto nella mia analisi: ho scoperto Bitcoin per la prima volta durante la crisi bancaria di Cipro nel 2013, quando le persone iniziarono a capire che “sicuro come il denaro in banca” non significava più quello che significava prima.

I ciprioti sono stati colpiti con un “bail-in” del 10%, ma ancora più inquietante – le disposizioni sul bail-in hanno cominciato a spuntare un po' ovunque:

Mentre il bail-in veniva pianificato ed eseguito nel marzo 2013, il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, disse agli intervistatori che Cipro sarebbe servita da modello per le future ristrutturazioni bancarie nella zona Euro.

Nell'aprile 2013, nel mio Paese natale, il Canada, emerse l'idea di sancire un quadro normativo per i bail-in con il governo conservatore Harper.

Le disposizioni di bail-in sono state preservate anche dopo che i liberal sotto Justin Trudeau hanno assunto l’incarico nel 2015. Nel 2018 è diventato ufficialmente il regolamento di conversione della ricapitalizzazione bancaria (bail-in).

In Australia il disegno di legge di modifica della legislazione sul settore finanziario (poteri di risoluzione delle crisi e altre misure) del 2017 ha conferito al governo australiano il potere di facilitare i bail-in.

E nel caso ve lo stiate chiedendo, gli Stati Uniti sono stati in prima fila nella codifica in legge del bail-in: il disegno di legge Dodd-Frank approvato nel 2010, apparentemente per riformare il settore bancario dopo la crisi finanziaria globale, contiene disposizioni per i “Bail-In” e ricapitalizzare le banche “di importanza sistemica” che finiscono nei guai.

Infatti, nel 2014, nuove leggi sovranazionali sul bail-in sono entrate in vigore in tutto il G20.

È stato durante il bail-in di Cipro che Bitcoin è salito sopra i $100 per l'ultima volta. Non sarebbe stato mai più scambiato a un livello a doppia cifra.

Anche così non avrei mai pensato che Bitcoin sarebbe diventato la  valuta di riserva mondiale, o addirittura una componente di ciò che sarebbe successo dopo l’era post-post-Bretton Woods in cui viviamo ora.

Il mio modello mentale per Bitcoin, fino al 2022, era come una sorta di “Notgeld” a livello globale – un termine tedesco nato durante l’iperinflazione di Weimar degli anni ’20 e tradotto in inglese come “denaro di emergenza”.

In Germania, le singole città iniziarono a stampare la propria tessera, durante l’iperinflazione dello Zimbabwe, le persone iniziarono a utilizzare carte telefoniche e benzina prepagate. Ogni iperinflazione ha il suo Notgeld e, fino all'inizio del 2022, questo era quello che pensavo fosse Bitcoin a livello globale.


Sono successe due cose che mi hanno fatto cambiare idea 

  1. Gli Stati Uniti hanno sequestrato le riserve di asset estere di due stati – non importa chi fossero o cosa abbiano fatto per “meritarselo”.
  2. Durante il #FreedomConvoy il governo canadese ha dichiarato la legge marziale e ha sequestrato i conti bancari dei camionisti e di tutti i cittadini che li sostenevano.

La prima sequenza di eventi ha cambiato per sempre il calcolo che le nazioni avrebbero utilizzato per decidere come allocare e mantenere la propria ricchezza sovrana.

La seconda ha cambiato le cose per i singoli cittadini. Da sola ha cambiato l'opinione di Robert F Kennedy Jr. che un anno dopo avrebbe fatto di Bitcoin una questione elettorale negli Stati Uniti, aprendo il suo storico intervento al Bitcoin 2023 a Miami con le parole: Sono diventato un bitcoiner quando ho visto cosa ha fatto il governo canadese ai camionist”.

Da quel momento in poi Bitcoin si è trasformato dall’essere “Notgeld” – denaro di emergenza nel mezzo di un evento iperinflazionistico globale a lenta evoluzione – a diventare una componente inevitabile del sistema monetario futuro.


Il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà un bitcoiner

Non importa cosa pensate di Donald Trump, o se siete più imparziali e obiettivi, resta il fatto che una valanga di voti per il Partito repubblicano è quasi inevitabile per il 5 novembre.

Come RFK Jr., Trump è saltato saldamente sul carro di Bitcoin. È diventato un bitcoiner.

Trump ha dichiarato che “vuole che tutti i futuri bitcoin vengano minati negli Stati Uniti”. Certo, non funziona proprio in questo modo, ma ha continuato a ribadirlo, così come il diritto all'autocustodia, alla Convention Nazionale Repubblicana.

Donald Trump makes EPIC promise to US crypto holders: pic.twitter.com/LqCRtEZTbD

— Altcoin Daily (@AltcoinDailyio) July 19, 2024


Il grande annuncio arriverà il 27 luglio

Quest'anno Trump terrà il discorso programmatico al Bitcoin 2024 a Nashville, in Tennessee. Sarà presente anche RFK Jr. Entrambi i candidati sono fermamente d'accordo su Bitcoin, anche se uno è destinato alla presidenza più dell'altro (mi aspetto che RFK approderà da qualche parte all'interno dell'amministrazione Tump nel gennaio 2025).

La notizia è che in quel discorso programmatico, Trump dovrebbe annunciare la sua intenzione di creare una riserva strategica di Bitcoin per il Tesoro degli Stati Uniti.

HUGE BREAKING: Trump to announce a USA #Bitcoin strategic reserve in Nashville ???????? - Sources

— Dennis Porter (@Dennis_Porter_) July 18, 2024

Farlo potrebbe essere semplice come un tratto di penna il giorno dell’inaugurazione, dato che gli Stati Uniti hanno già circa $5 miliardi equivalenti in BTC.

The next President of the USA should sign an executive order to convert the $5.5 billion held by the US Government into a strategic reserve at the US Treasury then use that reserve to back the dollar with #Bitcoin. pic.twitter.com/NYjcbCWXmV

— Dennis Porter (@Dennis_Porter_) July 18, 2024

Una volta che ciò accadrà, saremo in una situazione completamente nuova. La teoria dei giochi di Bitcoin cambierà irrevocabilmente a livello mondiale e gli stati saranno incentivati a seguirne l’esempio.

Indipendentemente da come andrà a finire, Bitcoin ha già attraversato il proverbiale Rubicone. È qui per restare, non è una sorta di “denaro d'emergenza” per eludere temporaneamente il disfacimento in corso del fiat standard: ora fa parte dell'impianto idraulico.


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Davvero l'amministrazione Biden ha battuto l'inflazione?

Mer, 31/07/2024 - 10:10

La stampa generalista ci tiene a farci sapere che grazie agli “sforzi” dell'amministrazione Biden, il “mostro” dell'inflazione dei prezzi è stato sconfitto. Ma è davvero così? Oggi vedremo che, dal punto di vista statistico, le cose non stanno affatto così e il proverbiale “cherry picking” è l'esercizio preferito dalle autorità per vendere agli sprovveduti una percezione della realtà diametralmente opposta a quella reale. Quando si ha chiaro il quadro generale, invece, tali manipolazioni ad hoc cadono di conseguenza. Ma non basta, perché è necessario aggiungere ulteriore contesto e attraverso la logica/ragionamento è possibile arrivare a una conclusione coerente che va a spiegare in modo succinto il meccanismo attraverso il quale l'amministrazione Biden è riuscita a barcamenarsi e al contempo ha anche affossato gli Stati Uniti (obiettivo originale). Infatti ha usato la volatilità del petrolio per fare in modo che il prezzo fosse soffocato, mentre si dava fondo alla Strategic Petroleum Reserve e il Brent veniva re-indicizzato. In tal modo è stata venduta la narrativa “l'inflazione è stata contenuta”, narrativa contrastata da Powell attraverso il suo “higher for longer”. La compressione della volatilità è un segno importante che va a denotare l'esaurimento della capacità di una pressione al ribasso sui prezzi del petrolio. Solo un tetto effettivo adesso potrà funzionare... almeno per un po'. Sappiamo benissimo a cosa porterà questa eventuale linea d'azione: carenze e sovrabbondanze, con conseguente esplosione della pressione finora tenuta soffocata.

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di David Stockman

Su tutto ciò che fa la differenza per il costo della vita di Main Street, i prezzi sono aumentati dal 32% al 36% sin dal gennaio 2021. Proprio così. Tra i cinque grandi fattori – servizi, cibo, energia, trasporti e casa – che costituiscono una quota schiacciante del bilancio familiare, il tasso di aumento dei prezzi durante gli ultimi sette anni e mezzo è vicino al 4,0% annuo! E questo tasso di crescits significa che i prezzi raddoppierebbero ogni 18 anni.

Inoltre gli aumenti cumulativi per quei cinque elementi essenziali si concentrano strettamente al 4,0% annuo. Ciò che conta è l’inflazione cumulativa su un periodo di tempo ragionevole e i movimenti mensili nelle principali componenti dell’IPC non sono una guida affidabile per l’andamento a lungo termine del livello generale dei prezzi.

Aumenti annuali della componente IPC da gennaio 2017:

• Servizi meno i servizi energetici: +3,8%

• Alimentari: +3,9%

• Trasporti: +3,9%

• Energia: +4,2%

• Casa: +4,3%

Indice delle principali componenti dell'IPC da gennaio 2017

In passato la missione principale dei banchieri centrali era la stabilità dei prezzi nel tempo, non un gioco statistico basato sul tasso d'inflazione annuo per periodi brevi e scelti arbitrariamente. E l’attenzione si concentrava su un livello generale stabile dei prezzi, non sull’attuale preoccupazione per tutti i tipi di sottocomponenti del deflatore IPC o PCE e sulle variazioni torturate e segate degli indici generali.

Ad esempio, qualche tempo fa andava di gran moda il cosiddetto SuperCore CPI, che copre i servizi meno le case. Ciò significava che oltre il 60% del peso nel paniere dell'IPC veniva cancellato.

Inoltre due anni fa l’indice SuperCore correva ben al di sotto del livello del 9% registrato nell’indice IPC principale e anche nel cosiddetto IPC meno cibo ed energia. Ciò ha quindi suscitato molte chiacchiere speranzose a Wall Street secondo cui l’inflazione era sovrastimata e che la FED era sempre più vicina al nirvana di un altro ciclo di tagli dei tassi.

Durante i festeggiamenti per la vittoria sull’inflazione della scorsa settimana, l'indice SuperCore ha fatto registrare ancora un +5% su base annua. Quindi, per quanto ne sappiamo, non ha ricevuto nemmeno una menzione d'onore dal coro di alleluia degli economisti di Wall Street. Come al solito è toccato a Zero Hedge pubblicare la scomoda verità.

Fonte: Bloomberg

In ogni caso, quando si riformula il primo grafico qui sopra in base al cambiamento annuo, il vero trend dell’inflazione viene completamente offuscato dalle fluttuazioni a breve termine e dal rumore nei dati. Invece di raggrupparsi attorno al trend dell’inflazione reale al 4% degli ultimi sette anni, i tassi di variazione per il periodo annuo fino a giugno 2024 sono ovunque: tra le stesse cinque componenti principali dell’indice dei prezzi al consumo, i servizi sono ancora in crescita del 5%, mentre l’energia è passata dal +42% annuo fino a giugno 2022 ad appena +0,9% durante il periodo annuo fino a giugno 2024.

In breve, il primo grafico qui sopra è il segnale: i dati annui mostrati di seguito rappresentano il rumore. Infatti individuare e scegliere le istantanee dell’inflazione su base mensile, o addirittura trimestrale, tra componenti e sottoindici che sono sempre in movimento – e raramente in sincronia – è un gioco da ragazzi. Non ci dice nulla, però, sulla tendenza dell’inflazione di fondo, né dell’impatto cumulativo sul potere d’acquisto.

Variazione annua fino a giugno 2024:

• Servizi meno servizi energetici: +5,0%

• Alimentari: +2,2%

• Energia: +0,9%

• Casa: +5,1%

• Trasporti: +1,2%

Variazione annua nelle cinque componenti dell'IPC, da gennaio 2017 a giugno 2024

Il grafico seguente, che illustra l'andamento della variazione annua dell'IPC 16% trimmed mean, ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla vera storia dell'inflazione. Negli ultimi 75 mesi la misura più stabile dell’inflazione ha fatto registrare una cifra annua ben al di sopra del 2,00%. Su base cumulativa, infatti, gli aumenti sono stati in media del 3,7% annuo.

A dire il vero l' “obiettivo” stesso di un'inflazione annua al 2,00% non ha senso, ma quando lo si supera abbondantemente, perché mai bisogna cantare vittoria sull’inflazione e acclamare a gran voce il prossimo ciclo di tagli dei tassi e stimoli monetari?

In realtà mantenendo il piede sui freni monetari, la FED potrebbe impedire un’altra esplosione di inflazione, nonostante quella più recente è stata assorbita da risparmiatori, salariati e imprenditori. Infatti dopo sei anni di inflazione elevata, le ragioni per diluirne il trend con un periodo di inflazione bassa o nulla sono schiaccianti. Ad esempio, se l’IPC trimmed mean dovesse attestarsi esattamente al 2,00% annuo per i prossimi tre anni, l’aumento dell’indice da marzo 2018 sarebbe comunque in media  del +3,25% annuo; e anche all’1,0% annuo per altri tre anni, l'aumento cumulativo da marzo 2018 sarebbe +2,81% annuo.

Cosa c'è di così splendido in entrambe queste cifre? E perché la FED non dovrebbe essere obbligata a abbassare la media per un intervallo ancor più prolungato, visto l’impennata dell’inflazione degli ultimi anni?

Variazione annua dell'IPC 16% trimmed mean, da marzo 2018 a giugno 2024

Inutile dire che questo ci porta al difetto fatale del sistema bancario centrale keynesiano: un’inflazione minima al 2,00%. Ed è disposto a rischiare una ripresa dei tassi d'inflazione perché il suo vero obiettivo non è la stabilità dei prezzi basata sul buon senso e un potere d’acquisto stabile, il suo modello equivale a una gestione macroeconomica plenaria basata sull’errata visione secondo cui esiste una curva di Phillips che incarna un compromesso tra crescita macroeconomica e inflazione. E che per ottenere una crescita ottimale, creazione di posti di lavoro e la “piena occupazione”, è necessario un livello modesto d'inflazione; e che quando la macroeconomia minaccia di vacillare o di precipitare in recessione, una discreta quantità di rischio d'inflazione non solo è tollerabile, ma giustificata ed essenziale.

Vale a dire, l'attenzione maniacale sul tasso di variazione annuo di breve periodo (vale a dire il deflatore della PCE) non ha assolutamente nulla a che fare con una moneta sana/onesta o con qualsiasi nozione tradizionale di sistema bancario centrale. Al contrario è pianificazione monetaria centrale che ripetutamente soddisfa Wall Street con scuse per un nuovo ciclo di tagli dei tassi il più spesso e il più presto possibile.

Come mostrato di seguito, da marzo 2018 il deflatore della PCE meno cibo ed energia (linea viola) è salito più lentamente di quasi qualsiasi altra misura disponibile, incluso l’IPC principale (linea rossa), l’IPC 16% trimmed mean (linea nera linea) e l’IPC per tutti i servizi (linea arancione).

Peggio ancora, il deflatore della PCE non è nemmeno un paniere fisso di elementi che funge da proxy per il livello generale dei prezzi da un punto all’altro nel tempo. Viene continuamente rivalutato mensilmente, il che significa che quando i consumatori in difficoltà sostituiscono il pollo con la bistecca, il deflatore della PCE segnala un'inflazione inferiore a quella che sarebbe altrimenti.

Inutile dire che questa tecnica può avere senso dal punto di vista statistico quando si tenta di misurare il livello di produzione in dollari costanti nell’economia totale, ma non misura “l’inflazione” generale dei prezzi incorporata in un paniere fisso di beni e servizi.

Indici dell'inflazione, da marzo 2018 a maggio 2024

Inutile dire che, quando questa propensione viene estesa per periodi di tempo più lunghi, la differenza è decisamente più marcata. Ad esempio, dal gennaio 2000 il deflatore della PCE meno cibo ed energia è aumentato solo del 64% rispetto all’83% dell’IPC 16% trimmed mean, all’85% dell’IPC principale e al 109% dell’IPC relativo a tutti i servizi.

Indici dell'inflazione, da gennaio 2000 a maggio 2024

In ogni caso, Wall Street ama le linee di politica pro-inflazione e gli incessanti sforzi per fingere che gli enormi aumenti cumulativi nel livello dei prezzi mostrati nel grafico qui sopra avvengano in conformità con le leggi dell'economia. Gary Cohn, il tipico agente tra Wall Street e Washington, ha sostanzialmente fatto uscire il genio dalla lampada in un commento sulla relazione dell'IPC di giugno.

“Il presidente Powell non dovrebbe farsi trovare in ritardo nel tagliare i tassi”, ha detto alla CNBC l'ex-funzionario di Goldman Sachs e Trump, Gary Cohn. “Soprattutto dopo che tutti lo abbiamo accusato di aver tardato a rialzare i tassi”.

Per dirla tutta, l’idea stessa di “presto” e “tardi” nel gioco arbitrario di armeggiare con i quadranti dei tassi d'interesse è assurda. Lo squilibrio tra il tasso d'interesse su ciò che equivale a fiches da gioco a Wall Street (cioè i fondi overnight) e la macroeconomia nazionale e globale è così grande da rendere le istantanee sull’inflazione a breve termine equivalenti a rumore di fondo.

L’economia statunitense è stata così rifornita di liquidità in eccesso a causa delle massicce misure di stimolo durante il periodo pandemico che i rialzi dei tassi hanno a malapena intaccato il ritmo della spesa e dell’attività a breve termine. E per lo stesso motivo l’economia americana è ora talmente sommersa dal debito – $99.000 miliardi nei bilanci pubblici e privati ​​messi insieme – che 100 o anche 240 punti base di tagli non stimoleranno molto un’indebitamento incrementale, la spesa, il PIL e l’occupazione.

Durante il periodo di massimo splendore della teoria keynesiana, negli anni ‘60 e ‘70, il debito totale pubblico e privato negli Stati Uniti ammontava in media a circa il 150% del PIL, una cifra che era rimasta in gran parte costante durante i precedenti 100 anni di massiccia crescita industriale e di costante aumento della qualità della vita negli Stati Uniti.

Anche se non ha mai avuto senso che l’aumento del rapporto di leva finanziaria potesse generare PIL incrementale, posti di lavoro e ricchezza nel lungo periodo, nel breve periodo i tassi d'interesse a buon mercato tendevano a stimolare ulteriori prestiti da parte delle famiglie e delle imprese, aumentando così temporaneamente il PIL, anche se in un modo che in realtà equivaleva a rubare al futuro.

Ma sin dalla Grande Crisi Finanziaria il rapporto debito/PILè rimasto bloccato nella stratosfera macroeconomica: 350% del PIL. Questi due giri aggiuntivi di debito rispetto al reddito nazionale fanno sì che il debito totale in circolazione sia attualmente pari a $99.000 miliardi rispetto a quelli che sarebbero stati $42.000 miliardi con il vecchio rapporto di leva finanziaria nazionale al 150%.

Oserei dire che in un’economia sommersa dal debito come quella raffigurata di seguito – dove i settori produttivi si trascinano dietro $57.000 miliardi in più di debito – è probabile che il taglio dei tassi d'interesse non avrà quasi alcuna spinta macroeconomica.

Quindi il nocciolo della questione è chiaro come il sole: l’obiettivo d'inflazione al 2,00% è insensato e irraggiungibile attraverso il goffo meccanismo di aggiustamento del tasso di finanziamento overnight, mentre un’altra tornata di tagli dei tassi non farà nulla per la piena occupazione, rischiando invece l'ennesima sciagura per risparmiatori e salariati.

Indice della leva finanziaria dell’economia statunitense, dal 1960 al 2024


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Valute digitali delle banche centali: carenze nonostante gli scaffali pieni

Mar, 30/07/2024 - 10:02

Gli stati sanno che possono mascherare i loro squilibri fiscali attraverso la graduale riduzione del potere d’acquisto del denaro, ottenendo due cose: l’inflazione è un trasferimento nascosto di ricchezza dai risparmiatori/salariati allo stato ed è una tassa nascosta. Inoltre la parte produttiva dell’economia viene ulteriormente espropriata tramite l'emissione dei bond statali. La regolamentazione dell’intero sistema finanziario si basa sulla falsa premessa che l’attività a rischio più basso siano i titoli di stato e ciò costringe le banche ad accumulare valuta – obbligazioni sovrane – incentivando così una spirale di intervento statale e “crowding out” del settore privato. La valuta è debito e i titoli di stato sono valuta. Quando gli stati esauriscono il loro spazio di manovra fiscale, l’effetto “crowding out” sul credito si cumula ai crescenti livelli di tassazione paralizzando l’economia produttiva e favorendo l'emersione di passività non finanziate. Gli economisti mettono in guardia dall’aumento del debito, il che è corretto, ma a volte ignoriamo l’impatto sul potere d’acquisto della valuta delle passività non finanziate. In Paesi come l'Italia le passività pensionistiche pubbliche non finanziate superano il 450% del PIL; in Spagna superano il 500% del PIL. Nell’Unione Europea, secondo Eurostat, la media è vicina al 200% del PIL. E si tratta solo di passività pensionistiche non finanziate, Eurostat non analizza le passività non finanziate dei programmi di welfare. Ciò significa che gli stati continueranno a tassare la classe media e a imporre la tassa più regressiva di tutte: l’inflazione. Non è una coincidenza che la BCE voglia implementare una CBDC il più rapidamente possibile. Essa è sorveglianza mascherata da denaro e un mezzo per eliminare i limiti alle politiche inflazionistiche degli attuali programmi di QE. I banchieri centrali sono sempre più frustrati perché i meccanismi di trasmissione della politica monetaria non sono completamente sotto il loro controllo ed eliminando il canale bancario commerciale, e quindi il sostegno all’inflazione da parte della domanda di credito, possono altresì eliminare la concorrenza di forme di denaro indipendenti attraverso la coercizione e la svalutazione. L'aumento dei prezzi di Bitcoin e dell'oro riflettono questa realtà. Entrambi questi asset non sono affatto costosi, anzi. Le autorità sanno che ci sarà un solo modo per far quadrare i conti pubblici con migliaia di miliardi in passività non finanziate: (provare a) ripagarle con una valuta che non vale niente.

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di Paul Cwik

Di tutte le aree che gli studenti di economia devono padroneggiare, il ragionamento controfattuale è in cima alla lista. Esso delinea e confronta le differenze e le somiglianze tra due alternative. Sebbene tutti usiamo i ragionamenti controfattuali, come scegliere cosa mangiare a pranzo, gli economisti guardano alle conseguenze più profonde e remote. Un tipico esempio che devono esaminare riguarda gli effetti del controllo dei prezzi: cosa succede quando viene imposto un prezzo massimo inferiore al prezzo di equilibrio rispetto a ciò che accade in un mercato libero? La risposta più ovvia è che si sviluppano carenze: le persone acquistano rapidamente quanti più articoli possibile mentre i fornitori esitano a rifornire gli scaffali.

Le carenze sono impopolari. Una causa di penuria permanente è il tetto ai prezzi e viene spesso imposto ai mercati perché accade qualcosa di ancora più impopolare: inflazione dei prezzi. Mentre i prezzi salgono, le persone vogliono incolpare qualcuno per la loro sfortuna; facili capri espiatori sono i negozianti che chiedono prezzi sempre più alti. I politici che cercano di guadagnare favore elettorale sostengono il tetto ai prezzi come soluzione.

Esiste una chiara catena causale di eventi: gli stati spendono più di quanto tassano, di conseguenza si rivolgono alla creazione di denaro per coprire il deficit. Le nuove unità monetarie vengono immesse nell’economia, il che svaluta la valuta e fa salire i prezzi. I politici presentano i tetti ai prezzi come la cura per questa crisi, con conseguenti carenze e infine una reazione politica, per quanto i primi si sforzino di deviare tale reazione e scaricare la colpa su qualcun altro.

Ma cosa accadrebbe se questo potesse essere evitato? No, non sto suggerendo di trasformare i politici in rappresentanti responsabili che “vivono secondo le proprie possibilità”. È chiaramente un mito. Voglio dire: “E se il contraccolpo potesse essere evitato perché non si sviluppano carenze?” Alcuni potrebbero pensare che l’unico modo per raggiungere questo obiettivo sia sospendere le leggi dell’economia. Impossibile. Esiste una potenziale soluzione che è quasi alla portata dei nostri politici e si chiama valute digitali delle banche centrali.

Al di là del nome, cos’è una CBDC ed è diversa dalle altre valute digitali? Oggi la maggior parte della nostra valuta è digitale. La maggior parte delle persone utilizza le carte o il proprio telefono (portafogli elettronici) per la maggior parte delle transazioni. Solo una piccola parte (circa il 10%) del totale in circolazione è fisica ($2,2 miliardi in valuta contro $20,8 miliardi in M2).

Una delle principali differenze tra le CBDC e i dollari digitali di oggi è che le CBDC utilizzano la tecnologia blockchain. Quest'ultima fa per la valuta digitale ciò che il numero di serie fa per la banconota fisica, ma va anche molto oltre. Non solo ogni dollaro CBDC viene identificato, ma viene salvata tutta la cronologia dei passaggi da un conto all'altro. Molte altre valute digitali, come Bitcoin, hanno la stessa funzionalità di tracciamento. La differenza, però, è che i proprietari dei conti CBDC sono conosciuti dalla banca centrale mentre i proprietari dei conti Bitcoin sono anonimi per tutti. La banca centrale conoscerà la storia di ciascun dollaro CBDC e chi possiede quale dollaro CBDC in qualsiasi momento, perché tutti i conti saranno centralizzati sotto la sua autorità. Ogni persona, entità senza scopo di lucro, società, ecc., dovrà avere un conto presso la banca centrale.

La tecnologia blockchain utilizzata in questo modo fornisce alla banca centrale l’accesso all’intera storia di chi possedeva ogni dollaro, quando è stato scambiato e, con una certa sicurezza, il motivo di quella transazione. In altre parole, con un sistema CBDC la banca centrale saprà quando ha avuto origine un particolare dollaro CBDC, vedrà che è stato trasferito su quale conto specifico di proprietà della società X, saprà che è stato trasferito sotto forma di stipendio a Y, e così via. Mentre altre criptovalute che utilizzano la tecnologia blockchain funzionano in modo simile, la differenza è che i proprietari dei conti e il motivo di qualsiasi transazione sono sconosciuti. Le criptovalute anonime utilizzano suddetta tecnologia come un libro mastro aperto che è più simile a quando guardate i quadrati di una scacchiera (conti diversi) e vedete il movimento dei pezzi (trasferimenti di fondi) ma non sapete chi possiede quale quadrato.

Bitcoin e criptovalute simili sono decentralizzate, indipendenti e anonime. I conti Bitcoin possono ricevere denaro da chiunque in qualsiasi momento, ma possono essere “spesi” solo dal proprietario. Nessun altro, nemmeno il governo federale, può “estrarre” bitcoin da un conto. Al contrario la banca centrale controllerà l’accesso ai dollari CBDC; avrà il potere di regolare il flusso di fondi trasferiti tra i conti.

Sebbene questo livello di controllo e sorveglianza da parte della banca centrale sia inquietante, in un certo senso avviene già oggi. Ciò che farebbe una CBDC sarebbe condensare la capacità di indagare sugli affari di chiunque in un'unica organizzazione, la banca centrale. Qualsiasi attrito tra le autorità ficcanaso è un bene per chi ci tiene alla privacy, ma la realtà è che anche se queste funzioni sono distribuite su diverse agenzie, il governo degli Stati Uniti può monitorare le transazioni, congelare i conti, pignorare direttamente i salari e così via.

L’unica minaccia riscontrata in una CBDC, che le conferisce un carattere più sinistro, è che è programmabile.

Una valuta programmabile conferisce al creatore un potere enorme: qualsiasi cosa potrebbe essere fatta con tale potere ha il potenziale per essere effettivamente fatta. I conti potrebbero essere congelati, il denaro potrebbe essere sottratto da tali conti, le transazioni potrebbero essere parzialmente bloccate o bloccate totalmente, i conti potrebbero essere collegati ad altri dati consentendo agli algoritmi di manipolare selettivamente gli acquisti, ecc. Sono queste manipolazioni che danno alla banca centrale il potere definitivo sulla vita delle persone.

Ad esempio, supponiamo che i dati sanitari di un professore di economia mostrino che il suo indice di massa corporea è troppo alto. Gli algoritmi della banca centrale possono consentire l'acquisto di frutta fresca, ma negare quello di una torta di mele. In alternativa l’algoritmo potrebbe esaminare l’indice di smog della città e quindi limitare la quantità di benzina acquistata in quella zona per quella settimana. Oltre ad essere in grado di microgestire le transazioni quotidiane di tutti (il che è già orwelliano), si potrebbero attuare politiche interventiste più invasive.

Torniamo alla precedente situazione di spesa eccessiva da parte dei politici. Quando lo stato copre un deficit di bilancio attraverso la creazione di denaro, quest'ultimo viene iniettato nell’economia in punti specifici. Man mano che si diffonde nell’economia, i prezzi aumentano, ma non simultaneamente o in modo uniforme; alcuni prezzi aumentano più di altri. Queste distorsioni economiche sono chiamate Effetto Cantillon. L’aumento dei prezzi di molti beni di consumo popolari genererà una reazione politica: coloro che detengono il potere cercheranno un modo per deviare la colpa e trovare una soluzione per dimostrare che stanno “facendo qualcosa”.

Ovviamente la soluzione corretta è quella di smettere di espandere l’offerta di denaro, ma poiché questa scelta richiederebbe disciplina fiscale, le possibilità sono remote. Nel corso della storia i controlli sui prezzi sono stati ripetutamente adottati per fermarne l’aumento. L'imposizione di un tetto ai prezzi su determinati articoli ne impedisce l'aumento, tuttavia crea anche conseguenze indesiderate: quando il prezzo è mantenuto al di sotto del suo livello di equilibrio, la quantità domandata è maggiore della quantità offerta e si verificano carenze. Anche le carenze sono impopolari e spesso i politici cercano di scaricare la colpa sulle aziende avide, ma con una CBDC le cose cambiano.

E se, invece di consentire l’emergere di carenze, l’importo della spesa per determinati articoli potesse essere ridotto? Con la stessa facilità con cui può impedire a una persona di acquistare una torta di mele, la banca centrale potrebbe impedire le transazioni di articoli specifici che scarseggiano. Durante i primi mesi della crisi sanitaria, le persone furono prese dal panico e fecero scorta di carta igienica; la conseguente carenza persistette a causa di un’interruzione delle catene di approvvigionamento. E se invece di lasciare che gli acquisti dettati dal panico persistessero, la banca centrale avesse avuto il potere di intervenire e ridurre la quantità di carta igienica che una famiglia avrebbe potuto acquistare?

Coloro che supportano una CBDC sosterranno che questo potere di limitare selettivamente la domanda sarebbe estremamente vantaggioso per tutta la società. Forse in quel caso singolare di carenza di carta igienica, le autorità avrebbero potuto avere ragione. Tuttavia viviamo in un mondo dinamico e non in eventi occasionali: la storia dell’Unione Sovietica ha dimostrato che alcuni negozi erano pieni mentre altri erano vuoti. I negozi speciali erano pieni perché limitavano l’accesso alle “persone giuste” e a quelle con valute forti.

Allo stesso modo anche una CBDC pone restrizioni agli acquirenti e potrebbero essere severe, come consentire solo ai membri del partito in carica di effettuare acquisti, o più gentili e delicate, come limitare quanto una famiglia può acquistare al mese (razionamento). Nonostante l’immissione di nuovo denaro nel sistema, il risultato è che i prezzi verrebbero mantenuti bassi. Gli indici dei prezzi non farebbero registrare aumenti significativi e l’inflazione dei prezzi verrebbe “risolta”. E anche se gli scaffali sarebbero pieni, pochissime persone riuscirebbero a portare a termine gli acquisti desiderati: verrebbero negati e non avrebbero diritto di ricorso.

Ci sarebbero carenze con gli scaffali pieni. I politici sarebbero in grado di continuare a spendere in deficit e creare denaro per coprire ila loro dissolutezza. I consumatori potrebbero arrabbiarsi e sentirsi frustrati, ma non saprebbero dove concentrare la propria rabbia. Nessuna soluzione immediata sarebbe perseguibile, perché richiederebbe di riflettere su diversi livelli di teoria economica; nessuno slogan elettorale potrebbe riassumerla, nemmeno “Ent the FED”.

Ma aspettate, c'è di più! Come dimostra Ludwig von Mises in “Middle-of-the-Road Policy Leads to Socialism” e “A Critique of Interventionism”,  l’interventismo non è una soluzione stabile. Ci presenta l'esempio del mercato del latte in cui viene imposto un tetto massimo al prezzo. Esso porta a una carenza e il politico si chiede perché l'agricoltore abbia ridotto la quantità di prodotto e l'agricoltore risponde che i suoi costi sono troppo alti. Il politico “risolve” il problema dell'agricoltore fissando un tetto massimo al prezzo su un costo importante: l'alimentazione degli animali. Questo tetto porta a una carenza di mangimi e quando al produttore di mangimi viene chiesto perché abbia ridotto la sua produzione, egli risponde che il prezzo dei fertilizzanti e dei pesticidi è troppo alto. Il processo si ripete.

Ogni intervento produce conseguenze secondarie indesiderabili. Invece di ammettere un errore e invertire la linea di politica, questi effetti spingono i politici a mettere in atto nuovi interventi per risolvere i nuovi problemi. L’interventismo porta all’espansione del potere statale e al controllo su diversi settori dell’economia. Anche l’adozione di una CBDC creerà conseguenze indesiderate. Gli effetti dei vari algoritmi stimoleranno ulteriori interventi finché alla fine il mercato sarà completamente dominato dallo stato.

La linea di politica migliore è non intraprendere questa strada e riconoscere che la cosiddetta cura è peggiore della malattia. Migliorare le nostre capacità di ragionamento controfattuale è necessario per proteggere i mercati dall’invasione dello stato; ogni cittadino deve diventare uno studente di economia e spiegare i percorsi alternativi che ci vengono proposti. Non dobbiamo perdere tempo perché non abbiamo un attimo da perdere: la tecnologia per implementare una CBDC esiste già oggi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Durante l'attentato a Trump la libertà di parola ha funzionato alla grande

Lun, 29/07/2024 - 10:06

 

 

di Jeffrey Tucker

Esiste solo una delle principali piattaforme social che è relativamente libera dalla censura: si tratta di X, un tempo nota come Twitter e di proprietà di Elon Musk, il quale da anni predica la libertà di parola e sacrifica miliardi di dollari in pubblicità per proteggerla. Se non ce l'abbiamo, dice, perdiamo la libertà stessa; sostiene inoltre che sia la strada migliore per trovare la verità.

La crisi scoppiata dopo l'attentato a Donald Trump ha messo alla prova questo principio. Ho pubblicato aggiornamenti regolari e non sono mai stato censurato; non sono a conoscenza di nessuno che lo sia stato. Abbiamo ricevuto aggiornamenti secondo per secondo in tempo reale; i video volavano insieme a tutte le voci immaginabili, molte false e poi corrette, accanto a “spazi” di libertà di parola in cui tutti condividevano le proprie opinioni.

Durante quel frangente Facebook e la sua suite di servizi sono rimasti in silenzio, in linea con la nuova etica di tutte queste piattaforme: censurare tutti i discorsi fino a quando non verrà approvata una narrazione ufficiale e poi consentire solo ciò che è coerente con i comunicati stampa.

Questa è l’abitudine nata dagli anni del Covid ed è rimasta: ora tutte le piattaforme evitano qualsiasi notizia nuova, tranne quelle già confermate dai media generalisti. Forse funziona nella maggior parte dei casi in cui le persone non prestano attenzione e i lettori non sanno cosa si perdono. Il problema era che durante le ore successive all'attentato, quando quasi tutti sul pianeta volevano aggiornamenti, non arrivavano comunicati stampa.

Per abitudine ho acceso quella che una volta si chiamava televisione. Le reti erano piene di teste parlanti e di giornalisti con la consueta eloquenza; ciò che mancava in tutte le trasmissioni che ho visto erano eventuali aggiornamenti concreti. Anche loro aspettavano la conferma di questo o quello prima di fornire qualsiasi informazione oltre le nozioni di base. Lasciano parlare i loro “esperti” il più a lungo possibile solo per perdere tempo prima di pubblicare nuovi annunci.

Man mano che passava il tempo ho capito una cosa: X era la fonte delle notizie, mentre i giornalisti dovevano attendere il permesso prima di leggere le battute scritte.

Nel frattempo, su X, la situazione era assolutamente convulsa. I post volavano veloci e furiosi: circolavano voci (nome e affiliazioni dell'assassino, storie di una seconda sparatoria, affermazioni secondo cui Trump sarebbe stato colpito al petto e così via), ma poco dopo sono circolate anche le smentite. La funzione chiamata “Community Notes” teneva sotto controllo le notizie false, mentre la verità gradualmente veniva a galla e succedeva argomento dopo argomento.

Si è permesso che apparissero le teorie più folli, mentre altri le confutavano con argomentazioni ragionate. I lettori potevano decidere da soli. Si poteva vedere come l'apparente caos si organizzasse gradualmente in una comunità in cerca di verifica. Gli utenti sarebbero diventati sempre più attenti a pubblicare affermazioni che non potevano essere verificate, o almeno a spiegare cosa fossero.

X da solo teneva conto di tutti i media aziendali e giornalisti ed editori ovviamente sono finiti per dipendere dai loro feed su X per capire cosa dire dopo. Con i giornali è stato lo stesso. Quando il NYT, la CNN, il WaPo e così via commettevano grossi passi falsi, gli utenti su X li denunciavano, la voce raggiungeva gli editori e il titolo o la storia cambiavano.

Alla fine X è diventato l'unico luogo in cui si poteva trovare la pienezza della verità. Nel frattempo i media del vecchio mondo distribuivano i titoli più ridicoli che si potessero immaginare. Per molte ore il New York Times, la CNN, il Washington Post e altri organi simili si sono rifiutati di dire che si trattava di un tentativo di omicidio nei confronti di Trump. I loro titoli hanno inizialmente portato a credere la gente che si trattasse di un raduno MAGA con alcuni tiratori casuali che si erano lasciati trasportare e quindi Trump era stato fatto evacuare. È successo davvero e i lettori sono rimasti indignati.

La CNN è stata probabilmente la peggiore, con il seguente titolo: “I servizi segreti portano Trump fuori dal palco mentre cade durante la manifestazione”.

Ci sono volute molte ore e ripetuti tentativi, ma alla fine i media generalisti hanno finalmente affermato che l'incidente era “in fase di indagine” come tentativo di omicidio, anche se era ovvio che si trattasse di un attentato alla sua vita a cui è sopravvissuto a malapena.

Era il tipo di ondata di sciocchezze che ha screditato ulteriormente i vecchi media aziendali proprio di fronte a un intero pianeta che ormai non crede più a nulla di ciò che dicono.

È difficile sapere perché la stampa generalista abbia agito così: era semplicemente cauta e preoccupata per la disinformazione? Se è così, come mai molti dei suoi titoli erano dello stesso tipo rifiutandosi di dire che qualcuno aveva tentato di uccidere Trump? Ha semplicemente l'abitudine di aspettare che i funzionari le dicano cosa dire? Difficile dirlo, ma il fallimento è stato evidente ed è ancora evidente agli occhi di tutti.

Ciò che risalta sopra ogni altra cosa è il modo in cui la libertà di parola su X abbia funzionato bene per scovare la vera storia, spingendo al tempo stesso la stampa generalista a correggere i suoi errori e a raccontare le cose nel modo giusto. Rabbrividisco al pensiero di come sarebbero andate le cose in assenza di questa piattaforma, la quale è diventata il punto di riferimento per tutti. La lezione più importante: la libertà di parola ha funzionato e alla grande anche.

Tutte le società occidentali sono attualmente alle prese con la questione di quanto discorso consentire su Internet. La traiettoria ormai da anni non è buona e le piattaforme una volta libere sono diventate più ingessate, più propagandistiche, più serie e più noiose, anche se X ha creato una cultura di libertà combinata con la responsabilità alimentata dalla comunità.

Questa libertà ha realizzato esattamente ciò che avrebbe dovuto realizzare, mentre le piattaforme censurate hanno mantenuto la disinformazione molto più a lungo di quanto avrebbero dovuto.

Troppo spesso la battaglia sulla libertà di parola è inquadrata come disinformazione/libertà contro fatti/verità/restrizione; si è dimostrato vero il contrario. La piattaforma gratuita si è dimostrata capace di rapide correzioni di rotta e massima agilità nell'elaborare il flusso costante di nuove informazioni. Nel frattempo i luoghi in cui la “disformazione” è stata anatemizzata hanno finito per esserne la fonte principale.

La libertà funziona. Per quanto disordinata sia, funziona meglio di qualsiasi altro sistema. Nel frattempo i governi di tutto il mondo hanno preso di mira X per distruggerlo: gli inserzionisti continuano a boicottarla e gli enti regolatori continuano a minacciarla.

Finora non ha funzionato, e grazie al cielo, altrimenti per X le ultime 24 ore sarebbero state molto diverse: nient’altro che propaganda, a parte qualche voce sparuta qua e là. E qui sta un’altra ironia: il modo in cui viene gestito X aumenta la fiducia degli utenti anziché ridurla.

La lezione dovrebbe essere ovvia: la risposta ai problemi della libertà di parola è maggiore libertà alla parola.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


Sovranismo, parte #7: la libertà trionfa su tutto

Ven, 26/07/2024 - 10:00

 

 

di Robert Breedlove

“Non sono le carestie, né i terremoti, né i microbi, né il cancro, ma l’essere umano stesso il pericolo più grande per sé stesso, per la semplice ragione che non esiste una protezione adeguata contro le epidemie psichiche, le quali sono infinitamente più devastanti dei peggiori disastri naturali.”

~ Carl Jung

Una psicosi di massa è un’epidemia psichica. Si verifica quando gran parte della società perde il contatto con la realtà e precipita nella follia. Come la psicosi individuale, una psicosi di massa si manifesta quando gli agenti perdono il contatto con le rispettive arene d’azione. Sebbene le cause della psicosi di massa siano molteplici, posso affermare che il denaro – un’estensione psicotecnologica critica della mente umana e la forma più alta di proprietà privata – è una pietra di paragone per una relazione integrata tra i singoli agenti e le loro rispettive arene socioeconomiche d'azione.

Quando il denaro è controllato centralmente, i sistemi di prezzo che coordinano l’azione umana sono corrotti dal capriccio burocratico: un rumore che soffoca il segnale dei desideri reali dei consumatori espressi attraverso l’acquisto e la vendita. Quando i segnali di prezzo sono corrotti dalla monopolizzazione, è sempre più difficile per gli attori di mercato valutare i risultati delle loro azioni (profitti e perdite). Tale confusione mentale induce una regressione nell’accumulo di capitale e quindi nella civiltà. Introducendo rumore in questo canale di comunicazione economica, gli sforzi imprenditoriali vengono gettati nel caos e ne derivano conseguenze socioculturali deleterie. La principale tra queste conseguenze della manipolazione monetaria è il fenomeno della psicosi di massa.

I processi alle streghe di Salem rappresentano un esempio storico su piccola scala (ma ben noto) di psicosi di massa. Negli anni 1692 e 1693 nell'attuale Danvers, Massachusetts, migliaia di persone, per lo più donne, furono brutalmente assassinate. Coloro assassinati non erano criminali, bensì capri espiatori psicologici di una società in balia della psicosi. Dopo che la frenesia si estinse definitivamente, non rimasero quasi più donne vive. La maggior parte delle persone oggi sa di questo massacro. Meno comunemente noto è che i decenni precedenti al famigerato culmine di questa psicosi di massa coinvolsero la contraffazione, i controlli sui capitali e le lotte stataliste che circondano il “privilegio sovrano” dell’emissione di valuta (ovvero il diritto di contraffarla).

Nel 1652 fu istituita la Boston Mint nel tentativo di impedire a chiunque (a parte la zecca) di contraffare la valuta. Furono applicate rigorose politiche di “perquisizione e sequestro” per impedire l’uscita dell’argento dal Massachusetts. Tuttavia queste misure furono di effetto limitato e sia la contraffazione che la fuga di capitali continuarono fino a quando il re d’Inghilterra emanò un “Order of Council” contro la defunta Boston Mint alla fine del 1686. Sebbene i documenti scritti siano scarsi, sembra che la contraffazione esplose ancora una volta a Salem nel periodo precedente agli orrori nei processi alle streghe di Salem. Nel 1690 Boston fece il passo coraggioso di diventare il primo governo della civiltà occidentale a emettere valuta fiat; nel 1692 le “streghe” venivano bruciate vive da una società sotto l’incantesimo di una psicosi di massa. Documenti scritti dell'epoca descrivono in dettaglio alcune attività di contraffazione che portarono a questo massacro psicotico:

Questi dollari spagnoli erano rozze ‘pannocchie’ ricavate da un ciuffo d’argento, senza nemmeno una forma standard. Gli spagnoli coniavano le pannocchie il più rapidamente possibile, principalmente come un modo semplice per inventariare e contrassegnare l'argento raffinato da spedire in Spagna dove sarebbe stato fuso per vari usi. Le pannocchie non erano state progettate per essere utilizzate come moneta circolante. Tuttavia nelle colonie queste monete d’argento grezze riempivano un grave vuoto economico e venivano utilizzate regolarmente. Sfortunatamente, a causa della loro forma irregolare, molti possessori di queste monete tosavano un piccolo pezzo d'argento dal bordo irregolare della moneta per venderlo in un secondo momento e poi spacciare la moneta per il suo intero valore. Man mano che queste monete circolavano da una persona all'altra, diventavano sempre più leggere. La forma irregolare non solo favoriva la tosatura, ma facilitava anche la contraffazione. Naturalmente i contraffattori avrebbero incluso quanta più lega possibile in modo che la moneta contenesse meno del contenuto minimo di argento richiesto (cioè la finezza).

La storia del denaro in questo periodo era uno dei tanti esempi della Legge di Gresham: gli incentivi spingevano le persone ad accendere prestiti, spendere il denaro debole e ad accumulare denaro forte. Altri esempi di contraffazione che portano alla psicosi di massa includono gli episodi di totalitarismo del XX secolo, di cui parleremo nella prossima puntata di questa serie di saggi. Come vedremo, lo statalismo nelle sue forme più estreme è incarnato dai processi alle streghe di Salem, poiché entrambi sono resi possibili dalla diffusa contraffazione della valuta. La domanda è: come sono correlati i fenomeni apparentemente non correlati della contraffazione monetaria e della psicosi di massa? Ancora una volta, le cause della psicosi di massa sono molteplici, ma il fattore che contribuisce alla contraffazione monetaria (e alle violazioni dei diritti di proprietà più in generale) è spiegato da un ramo delle scienze cognitive chiamato Material Engagement Theory.


Il bastone del cieco

“La mente non abita nel corpo, è invece il corpo che abita nella mente.”

~ Dr. Lambros Malafouris

In alternativa al materialismo, che considera la creazione di significato come un processo mentale puramente soggettivo, la Material Engagement Theory (MET) presuppone che il significato sia una proprietà emergente che gli attori manifestano attraverso l'interazione con il mondo materiale. Secondo la MET “la mente” non è un’entità strettamente legata al cervello, ma è invece un complesso di coinvolgimenti relazionali che incorpora cervelli, corpi e cose. Né soggettivo, né oggettivo, la MET sostiene che il significato è un fenomeno transiettivo simile all'adattamento darwiniano. Per chi sostiene questa teoria “il mondo” non è un dominio strettamente segregato che gli esseri umani esaminano con i sensi per trasmettere informazioni ai loro processori interni. La cognizione secondo la MET è invece una dinamica relazionale generata dall’accoppiamento di un organismo al suo ambiente, mediante appendici, strumenti, simboli o – come mostreremo – denaro e diritti di proprietà.

Un aspetto importante da comprendere sulla vita è la distinzione tra genotipo e fenotipo. Il genotipo è l'informazione digitale trasmessa su una forma di vita, in genere attraverso le generazioni e include il materiale genetico codificato nel DNA, ma può anche includere le norme culturali o istituzionali codificate attraverso interazioni ritualizzate con gli altri. Il fenotipo è la manifestazione fisica di uno di questi set di istruzioni comunicate geneticamente o culturalmente. Pensate al genotipo come a un algoritmo di sviluppo biologico (come il DNA di una tigre) e al fenotipo come il risultato dell'applicazione di queste istruzioni (le strisce mimetiche della tigre). Il genotipo è informazione; il fenotipo è l'istanziazione.

Spesso i biologi distinguono tra fenotipi standard ed estesi. Le corna di un ariete, ad esempio, sono un fenotipo standard poiché sono prodotte come parte dello sviluppo biologico dell’animale, mentre i ramoscelli utilizzati per costruire il nido di un uccello fanno parte del suo fenotipo esteso, poiché il codice genetico dell’uccello non ha assemblato direttamente la sua dimora. Contribuendo in modo significativo al proprio dominio sul mondo, gli esseri umani sono eccezionalmente abili nell'estendere i propri fenotipi. Gli esseri umani sono “cyborg nati” e specializzati nella progettazione, fabbricazione e utilizzo di strumenti sempre più sofisticati per la soddisfazione dei propri obiettivi. Gli strumenti quindi, e l’impegno con la realtà materiale più in generale, sono estensioni della mente umana. Come scrive il famoso teorico della MET, Malafouris:

Se accettiamo che la mente si evolva ed esista nel dominio relazionale come il nostro mezzo fondamentale per interagire con il mondo, allora la cultura materiale è potenzialmente coestensiva e consustanziale alla mente.

Comprendere la propensione umana all'estensione fenotipica è la chiave per comprendere l'importanza della MET. L’esempio fornito da Malafouris per spiegare la relazione tra cognizione e fenotipo esteso è l’ipotesi del bastone del cieco. Questo esercizio teorico ci aiuta a riconsiderare i confini tradizionali che tracciamo mentalmente attorno al cervello, al corpo e alle cose. Chiedetevi: “Dove inizia il sé del cieco?” Inizia dal bordo della pelle, dal centro del bastone, o forse dalla punta di quest'ultimo? Per comprendere meglio la MET, Malafouris suggerisce di concentrarsi su due domande chiave:

  1. Cosa fa il bastone per i ciechi?
  2. Anche per i ciechi vale il limite biologico della pelle?

Per rispondere alla prima domanda, Malafouris sostiene che il bastone consente al cieco di “vedere”, fornendogli un mezzo per rilevare i modelli fisici rilevanti per la continua riorganizzazione cognitiva necessaria per orientarsi nell’ambiente circostante. Infatti gran parte dell’elaborazione cognitiva del feedback tattile fornito dal suo “bastone della vista” viene elaborata in aree del cervello tipicamente utilizzate per la percezione visiva, ma riproposte per assimilare i flussi di dati tattili. Per la seconda domanda, il confine “delineato dalla pelle” ha poca rilevanza, poiché il bastone viene incorporato in un processo percettivo complesso tanto da diventare effettivamente “trasparente”: il cieco non vede il bastone nella sua mente, vede attraverso il bastone.

Guardando il bastone del cieco con gli occhi della mente, è il contatto della punta con il mondo materiale che “scopre” il feedback tattile utile a un cieco per orientarsi con successo nell’ambiente circostante. Senza questo strumento, il cieco diventerebbe “un animale completamente diverso” poiché mostrerebbe un'idoneità molto inferiore al suo ambiente spaziale (camminare contro i muri, inciampare su terreni irregolari, ecc.). In questo modo il bastone migliora sostanzialmente la capacità del cieco come attore consapevole nel mondo; un cambiamento che si riflette direttamente nelle modifiche cognitive offertegli da un elemento critico del suo fenotipo esteso: il bastone. Quest'ultimo, come tutti gli altri strumenti, è solo un dispositivo di mediazione nella relazione tra agente e arena: un modello “materiale” attraverso il quale mente e materia si interfacciano.

Diversamente dai modelli mentali incentrati sulla sostanza, la MET concettualizza il mondo come un complesso caleidoscopico di schemi compenetrati. Molti di questi modelli sono stratificati insieme e sono spesso simili, coerenti con la geometria frattale della natura. Fiocchi di neve, caratteristiche geologiche e strutture organiche mostrano tutti frastagliature frattali e somiglianze su scale diverse. Esteso ben oltre i confini fisici del cranio, la MET concepisce la mente umana come un modello estensibile emulativo dei modelli ambientali in cui è immersa. In questo modo gli schemi mentali (agenti) e i loro ambienti (arene) interagiscono reciprocamente, spesso mutualizzando forme e contorni simili. Secondo questo punto di vista mente e materia sono modelli speculari prismatici. Forse è per questo che il consiglio di Jordan Peterson di “pulire la propria stanza” è efficace per purificare la mente!

La MET spiega perché le menti e i mercati – processi di cognizione distribuita denominati in denaro – sono frattali che si riflettono a vicenda: il denaro è lo strumento che fa scalare la mente nel mercato attraverso lo scambio e il mercato fa scalare la mente verso l’interno attraverso i prezzi con una continua reciprocità. Il libero mercato è una matrice di menti interconnesse attraverso segnali di prezzo. Visto in questo modo, non sorprende che la consapevolezza associata a una mente individuale sia un meccanismo di correzione degli errori simile alla funzione svolta dalle dinamiche del libero mercato. La MET spiega il meccanismo dell'interfaccia tra mente e materia, sebbene renda difficile, se non impossibile, delineare specificamente tra i due. Portata all'estremo, la MET evidenzia le somiglianze osservate tra l'architettura cellulare del cervello e i superammassi galattici del cosmo più profondo.

As Karl Friston said: "...the anatomy of any system has to contain within it a model of the environment in which that system is immersed..."#Bitcoin is decentralized money for decentralized brains operating in a decentralized universe. pic.twitter.com/nLQ4j6TKG3

— Robert ₿reedlove (@Breedlove22) May 13, 2020


Mente, materia e denaro

“Mente sulla materia; il denaro su tutto.”

~ Wayne Carter

Secondo la MET il cervello è solo una componente della mente. La cognizione umana, quindi, avviene non solo all'interno del cervello riguardo alle cose, ma anche all'esterno dello stesso e attraverso le cose. Si ritiene infatti che la mente degli esseri umani pre-alfabetizzati fosse impegnata esclusivamente attraverso le cose, senza alcun bisogno di rappresentazione mentale. L'essere umano antico pensava attraverso l'azione, con poca riflessione sul prima o dopo. Ciò potrebbe aver inibito la sua capacità di pianificare, ma lo manteneva “in stretto contatto” con il presente, utile per la caccia e il monitoraggio. Alla luce di ciò, le menti dei nostri antenati non sono scomparse con il deterioramento del loro cervello, ma sono state codificate in documenti archeologici intatti che riflettono i loro modelli di azione. La MET afferma che nell'ambito dell'azione e della cognizione umana, la materia è la mente e la mente è la materia. Esiste una reciprocità, o addirittura una continuità, di influenza tra queste entità tradizionalmente segregate. Come John Culkin descrive succintamente:

Diventiamo ciò che vediamo. Diamo forma ai nostri strumenti e poi i nostri strumenti modellano noi.

Il filosofo A. Illopoulos fa un ulteriore passo avanti per descrivere l’apparente unità di mente e materia:

Considerando che il significato è prodotto attraverso le abitudini, non sarebbe irragionevole vedere la materia come ‘nient’altro che una mente che ha abitudini talmente indurite da farla agire con un grado particolarmente elevato di regolarità meccanica, o routine.

Per gli attori di mercato un’interfaccia significativa tra mente e materia è il sistema dei prezzi espresso in denaro. Gli esseri umani oggi pensano al denaro in molte situazioni, come la pianificazione economica e le negoziazioni. Il denaro è uno degli strumenti più importanti per l’azione umana: è antecedente alle psicotecnologie, le quali sono fondamentali per pensare e agire quanto l’alfabetizzazione e la matematica. In altre parole, commerciamo da molto più tempo rispetto alla parola e ai calcoli. Infatti l’alfabetizzazione e la capacità di calcolo ci forniscono buoni esempi di quanto le psicotecnologie possano diventare profondamente radicate nei software cognitivi degli esseri umani. Molto spesso riflettiamo attraverso la lingua, i numeri e il denaro piuttosto che su di essi. Ad esempio, oggi è difficile immaginare di strutturare i pensieri senza parole, perché praticamente pensiamo sempre attraverso le parole, al punto che il dialogo interno denominato in parole diventa invisibile agli occhi della mente, proprio come fa il bastone per il cieco. L’aspetto psicotecnologico del denaro è simile: pensiamo così spesso attraverso il denaro che la maggior parte di noi non smette mai di pensare al denaro. Per analogia: il denaro è l’acqua economica in cui nuotano tutti gli esseri umani.

Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota nella direzione opposta, il quale annuisce e dice: ‘Buongiorno, ragazzi. Com’è l’acqua?’. I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e poi alla fine uno di loro guarda l’altro e dice: ‘Che diavolo è l’acqua?’.

Il denaro è il luogo in cui la semiotica delle capacità umane incontra l’azione umana. Il confine effimero tra mente e materia è esemplificato nell’ibridazione del denaro come tecnologia e della psicotecnologia. Dal punto di vista storico il denaro richiesto un’incarnazione fisica affinché si radicasse nelle realtà termodinamiche alla base dell’economia come il lavoro, il sacrificio e la scarsità. Dal punto di vista psicotecnologico, gli esseri umani nel corso della storia hanno cercato di “informazionalizzare” al massimo le loro implementazioni del denaro per ottimizzare le sue funzioni cognitive di calcolo, negoziazione e riconciliazione delle relazioni di scambio. In termini di permissibilità, i processi di libero mercato hanno promulgato quella valuta basata sull’oro come moneta ideale: una tecnologia monetaria informatizzata con un’offerta protetta dalla svalutazione grazie all’unica cosa che nessun essere umano può contraffare... il lavoro.

Le possibilità ricercate dalla moneta (divisibilità, durabilità, riconoscibilità, portabilità e scarsità) spiegano sia la selezione dell’oro sia la sua successiva trasformazione in valuta. L’oro è una tecnologia monetaria che mostra una scarsità saldamente radicata nella termodinamica del lavoro. L’applicazione della valuta ha “informalizzato” l’oro in un modo tale da consentire agli attori di mercato di trattarlo più come una psicotecnologia e meno come una tecnologia monetaria fisica (lucente, pesante e ingombrante). Per inciso: combinando e sfruttando le proprietà economiche sia dell’oro che della valuta, Bitcoin perfeziona il denaro, essendo uno strumento puramente informativo che si adatta al lavoro svolto nel suo processo di produzione. In quanto moneta digitale che si adatta all’azione umana, Bitcoin è “denaro vivente”. A questo proposito, e come ho già sostenuto in precedenza, Bitcoin potrebbe rivelarsi l’idea più brillante dell’umanità.

Tornando all’ipotesi del bastone del cieco proposta dalla MET, possiamo ricavare un’analogia utile per comprendere l’impatto della manipolazione del denaro sulla mente umana. Innanzitutto è importante comprendere che i diritti di proprietà funzionano come una “presa” che gli esseri umani usano per rimodellare il mondo in base alle loro preferenze. Partendo dall’assioma dell’autoproprietà individuale, la proprietà è la relazione tra proprietari e beni, tra agenti socioeconomici e i loro ambiti. Quando i diritti di proprietà vengono violati – come accade quando l’offerta di denaro viene gonfiata arbitrariamente – i circuiti di feedback vengono disturbati e gli attori di mercato perdono la capacità di discernere le conseguenze specifiche delle loro azioni. I diritti di proprietà soggetti a violazione separano gli attori dalle conseguenze delle loro azioni, e, alla fine, contribuendo al collasso della civiltà. Le violazioni della proprietà fanno sì che gli attori di mercato “perdano la presa” sul mondo, creando un’opportunità per l’espansione dello statalismo. In altre parole, l’integrità dei diritti di proprietà è il mezzo attraverso il quale gli attori di mercato “restano in contatto” con la realtà. In questo modo l’inviolabilità della proprietà è essenziale per la salute e la stabilità psicologica di massa.

Quella forma di “denaro forte” è una con un’offerta difficile da modificare, il che significa che i diritti di proprietà che sancisce sono difficili da violare. Quella forma di “denaro debole”, d’altro canto, ha un’offerta che è più facile da modificare, il che significa che i diritti di proprietà che simboleggia sono più facili da violare attraverso l’inflazione. Collegando il concetto denaro all’analogia del bastone del cieco, la moneta forte è come un bastone rigido, mentre la moneta debole è più simile a una pasta molle. I segnali tattili trasportati dal bastone inflessibile di un cieco – come i segnali di prezzo trasportati da una moneta con un’offerta inflessibile – sono più salienti, accurati e utili di quelli propagati dalla forma flaccida di un bastone morbido, o dal suo equivalente la moneta debole. L’integrità strutturale del bastone è tanto importante per gli sforzi di navigazione del cieco quanto lo è l’integrità dell’offerta di denaro per un’imprenditorialità efficace. Come ha scritto John Dewey a proposito di questo “arco riflesso” tra agente e arena:

Lo stimolo e la risposta formano fasi specifiche di coordinamento, i quali ci aiutano a unificare le parti disgiunte fornite dalla teoria. Lo stimolo rappresenta le condizioni che devono essere soddisfatte per realizzare un coordinamento efficace; la risposta fornisce la chiave per soddisfare queste condizioni e serve come strumento per influenzare il successo del coordinamento.

Ogni essere umano è un modello di azione esteso attraverso lo spaziotempo. Le distribuzioni della ricchezza influenzano fortemente questi modelli di azione degli esseri umani, poiché gran parte della vita dell’individuo medio viene spesa lavorando in cambio di denaro. Per questo motivo il proprio patrimonio netto determina in gran parte i pensieri e i movimenti che si fanno quotidianamente. Se sieteun miliardari, i tipici schemi di azione che ripetete sono ben lontani da quelli di qualcuno che vive di stipendio in stipendio. E, come spiega la MET, l’azione determina in gran parte il modo in cui modelliamo il mondo che ci circonda, e quindi il modo in cui modelliamo le nostre menti. In questo modo il denaro – lo strumento socioeconomico definitivo della MET – influenza profondamente l’imprinting della conoscenza procedurale di chi lo usa. Nel corso del tempo l’autoriflessione porta questa conoscenza procedurale a cristallizzarsi in conoscenza semantica; l'azione è antecedente alla parola e al pensiero linguistico, il che spiega l'ubiquità della metafora spaziale nel linguaggio umano. Pervertendo i diritti di proprietà, l’accumulo di conoscenza procedurale viene compromesso, creando così distorsioni della mente e della materia. In questo modo l’inflazione e tutte le altre violazioni della proprietà privata, almeno in parte, provocano esplosioni di psicosi di massa.

Il denaro è fondamentale per l’esistenza umana: è il collante che tiene insieme i modelli di azione umana ed è la prima arma estratta in un combattimento. Come ha scritto Jeff Booth a proposito di questa familiare progressione geopolitica: “Guerre monetarie, poi guerre commerciali, poi guerre vere”. In quanto sistema contabile per i diritti di proprietà, il denaro è essenziale per il rapporto tra agente e arena, pertanto possiamo dire che il denaro è l'elemento motore dell’azione umana. È il protocollo di base per triangolare mentalmente la propria posizione all’interno delle gerarchie socioeconomiche e questo è il motivo per cui la contraffazione monetaria provoca reazioni psicologiche così avverse tra le popolazioni. Visti in questo modo, gli orrori associati ai processi alle streghe di Salem possono essere compresi più chiaramente. Data questa connessione fondamentale tra denaro e mente, non sorprende che gli statalisti utilizzino il denaro per manipolare i modelli di azione umana ed emarginare la forza mentale dei cittadini ogni volta che ciò si adatta ai loro interessi economici.

Ricordate: tutte le organizzazioni umane sono imprese e tutte le imprese sono strategie di acquisizione di ricchezza. Lo statalismo è una strategia aziendale in cui i contribuenti sono i raccolti standardizzati. Sebbene lo statalismo rimanga oggi la modalità dominante dell’organizzazione umana, lo possiamo definire quel momento più scuro prima dell'alba. Prima di immergerci nell’oscurità dello statalismo nella sua forma più estrema, esploriamo il suo strutturalismo ideologico per mostrare perché è destinato a fallire. Nonostante i migliori sforzi degli autoritari e dei politici nel corso della storia, non ci sono state implementazioni sostenibili dello statalismo proprio perché i modelli generati dalla libertà trionfano inesorabilmente alla fine.

Non si può costringere qualcuno a rispettarvi e il rispetto è la valuta definitiva.

Il sovranismo supera lo statalismo per ragioni estremamente pragmatiche. Come avevano capito i Padri fondatori americani, la libertà crea esternalità positive, mentre il suo opposto suscita esternalità negative. Le civiltà che abbracciano la libertà diventano più prospere di quelle che danno priorità alla forza. Oppure, come dice Jordan Peterson, facendo eco alle scoperte dell’epistemologo genetico Jean Piaget: “Le strutture equilibrate superano le strutture disequilibrate”. Ma cosa significa esattamente questo e cosa ha a che fare con libertà? Scopriamolo.


La libertà trionfa su tutto

“La prosperità dello Stato, come quella dei sindacati, è direttamente correlata alla leva finanziaria per l’estorsione. Essa era molto più bassa nel XIX secolo rispetto al XX secolo. Nel XXI secolo scenderà quasi al punto di svanire”

~ The Sovereign Individual

L’interazione umana nell’ambito dell’economia mostra dinamiche di Teoria dei giochi. Un gioco è qualsiasi situazione in cui vi è competizione per risorse scarse: nel caso di un gioco da tavolo, queste risorse sono tipicamente punti o obiettivi; nel caso dei mercati, queste risorse sono i fattori produttivi (terra, capitale e lavoro) e il potere d’acquisto del denaro. Ogni volta che ci sono potenziali vincitori e perdenti, si sta giocando una partita. Una strategia è un approccio al processo decisionale nell'ambito del gameplay. Le strategie si basano sulle costanti che governano il gioco: tipicamente sono le regole, ma possono anche essere fattori fenomenologici come la gravità o la termodinamica. Gli attori formulano le loro strategie in previsione delle azioni dei loro concorrenti nell'ambito di queste regole, o fattori governativi.

In un gioco in cui le regole non sono immutabili, la strategia superdominante è ottenere il controllo sulla creazione delle regole. In tal modo, qualunque cosa accada, il giocatore che stabilisce le regole può sempre piegarle per ottenere la vittoria: controllare le regole significa controllare il risultato di ogni partita. Dato il grande potere che la regolamentazione offre a un attore, questa è la strategia più accanitamente perseguita, se possibile. Il problema, ovviamente, è che nessun giocatore vuole giocare a un gioco in cui un altro giocatore si è arrogato il potere di stabilire (e rifare continuamente, o addirittura infrangere selettivamente) le regole. Immaginate di sedervi per giocare a scacchi contro un avversario che ha la capacità di cambiare la manovrabilità dei suoi pezzi ogni tot. turni, magari facendo saltare i suoi pedoni per lunghe distanze sul tabellone come una regina in un turno, o spostando le sue torri diagonalmente come gli alfieri. Esercitando un potere così straordinario nel gioco degli scacchi, l’esistenza stessa del giocatore che crea (o infrange) le regole sarebbe estremamente demoralizzante agli occhi di tutti i suoi avversari, poiché questo privilegio asimmetrico renderebbe il gioco decisamente ingiusto per tutti quelli contro cui si scontra. In poche parole: chi governa tende a rimanere imbattuto. Questo ovvio principio è l'impulso alla base del sistema bancario centrale:

“Permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi interesserà chi farà le leggi.”

~ Nathan Mayer Rothschild

Il problema con il potere della creazione delle regole è che non c'è nulla di più contestato nella sfera del gameplay. La creazione di regole è il potere di vincere per sempre, e quale giocatore sano di mente non lo vorrebbe? Tuttavia la regolamentazione è un privilegio costoso da preservare. A causa del potere assoluto che conferisce, i giocatori combattono costantemente per assumere la posizione di creatore delle regole quando esse sono mutevoli. Per questo motivo i legislatori sono costretti a spendere costantemente grandi risorse per difendere le proprie posizioni e far rispettare le regole agli altri giocatori. Ciò spiega l’ascesa e la caduta periodiche delle valute di riserva mondiali:

La storia umana è segnata dalla violenza geopolitica volta a ottenere il controllo sulle “regole del denaro”

Un gioco con regole mutevoli è intrinsecamente instabile: è una struttura sbilanciata, il che significa che i decisori delle regole sosterranno i costi della protezione del territorio e dell’applicazione delle regole nelle loro infinite contese per mantenere il controllo del gioco. Naturalmente la domanda allora diventa: come fanno questi regolatori a pagare questi costi per preservare i loro privilegi? Per i legislatori la risposta è semplice: basta stravolgere le regole in modo da estrarre risorse dagli altri giocatori, prendendone abbastanza da coprire i costi di protezione e applicazione e lasciando un certo margine come profitto. Naturalmente data la possibilità di un’alternativa meno costosa, i giocatori tassati (uso questo termine di proposito) abbandoneranno il gioco sbilanciato e sceglieranno di giocarne un altro. In assenza della minaccia di coercizione o violenza, questo processo fa sì che gli attori convergano su regole più prevedibili, resistenti alla manipolazione e favorevoli ai loro interessi personali. Questo è il motivo per cui i processi di scoperta pragmatica della verità nel libero mercato convergono su strutture equilibrate: giochi in cui nessun giocatore sostiene i costi di protezione o di applicazione associati a una struttura disequilibrata. Quando le regole vengono “scoperte” in questo modo (es. legge sostanzialmente giustificabile) e adottate volontariamente da tutti, è necessaria una minore spesa per la protezione o l’applicazione. Di conseguenza le strutture equilibrate superano naturalmente le loro controparti disequilibrate. Questa inevitabile realtà economica è il motivo per cui l’oro è stato monetizzato sul libero mercato, perché Internet ha soppiantato le intranet e perché Bitcoin sta attualmente riscuotendo molto successo. A lungo termine le reti aperte e volontarie superano sempre le reti chiuse e involontarie.

Come avrete intuito, lo statalismo è sbilanciato, mentre il sovranismo è una struttura equilibrata. Gli Stati-nazione spendono enormi risorse standardizzando, manipolando e tassando le loro popolazioni. Questi costi possono essere pagati solo quando il rapporto costi-benefici della coercizione è sufficientemente basso. In altre parole, la redditività dello statalismo dipende da ritorni economici della violenza che devono essere superiori ai costi di protezione e applicazione della legge. Man mano che gli attori di mercato si renderanno conto dell’indebita tassazione imposta loro dalle banche centrali, adotteranno una linea d’azione razionale e venderanno le loro posizioni in valuta fiat per Bitcoin. Questa vendita esercita una pressione al ribasso sui potenziali ricavi inflazionistici degli Stati-nazione in tutto il mondo, poiché accelera il deprezzamento del potere d’acquisto delle valute fiat. Per mantenere almeno una parvenza di solvibilità, ciò forzerà la mano agli Stati-nazione che non avranno altra scelta se non quella di compensare le carenze delle entrate legate all’inflazione con aumenti della tassazione diretta. Aspettatevi di vedere applicazioni sempre più esotiche come la tassazione delle plusvalenze non realizzate, l’esproprio, il bail-in e il saccheggio delle cassette di sicurezza mentre la disperazione finanziaria degli Stati-nazione aumenta. La fine di tutto questo? L’unica moneta nella storia umana con un tasso d'inflazione terminale dello 0% e un’elevata resistenza a tutti gli altri schemi fiscali grazie alla sua natura digitale e iperportabile: in questo modo il sovranismo reso possibile da Bitcoin è la campana a morto per lo statalismo e la nascita di una prosperità senza precedenti.

“Ogni volta che le circostanze consentono alle persone di ridurre i costi di protezione e di minimizzare i tributi pagati a coloro che controllano la violenza organizzata, l’economia cresce notevolmente.”

~ The Sovereign Individual

L’unica strategia di sopravvivenza efficace per gli Stati-nazione è acquistare Bitcoin. Di conseguenza saranno inevitabilmente costretti a ridursi nella loro portata, ad aumentare l’efficienza operativa e a sforzarsi di soddisfare le richieste dei cittadini. Mentre la competizione per attrarre i sovranisti si inasprisce, le nazioni saranno costrette a offrire servizi migliori a prezzi più convenienti, forniti in modi più innovativi. Il risultato finale non avrà nulla a che vedere con gli Stati-nazione che conosciamo oggi. Gli “Stati in rete” (come quelli descritti da Balajis) sono un risultato possibile. Le persone andranno dove saranno trattate meglio e non saranno vincolate a nessuna singola unità geografia. In breve: il capitale iperportabile darà potere a determinate capitali indipendentemente dalla loro localizzazione. Lo statalismo è destinato a dissolversi nell’“acido digitale” del libero scambio e della proprietà a prova di saccheggio. Il sovranismo vincerà perché è una meritocrazia priva di coercizione.

La MET ci insegna la concordanza tra i creatori e le loro creazioni. Quando viene imposto un intervento dall'alto, i processi di scoperta necessari per una sana cognizione vengono disturbati, contribuendo così alla psicosi di massa. Una tale comprensione può essere stabilita solo tra agenti e arene attraverso un consenso di azioni volontarie. Quando i diritti di proprietà vengono violati attraverso l’inflazione o altri mezzi, gli attori di mercato “perdono di vista” la realtà e diventano mentalmente emarginati.

L’ammorbidimento del denaro nelle mani degli attori di mercato equivale alla disintegrazione strutturale del bastone del cieco, cosa che oscura le interrelazioni tra agenti e arena, facendo sì che l’azione umana cada in modelli distruttivi di disarmonia. L’integrità degli strumenti percettivi – come la rigidità del bastone del cieco o l’inflessibilità dell’offerta di denaro – sono indispensabili per il successo degli attori di mercato nella navigazione delle arene socioeconomiche. La disintegrazione strutturale di questi strumenti è causa di psicosi e decivilizzazione.

Fortunatamente l’assoluta integrità di 21 milioni di bitcoin offre una grande speranza per un mondo che soffre sotto l’incantesimo della psicosi indotta dallo Stato. Nella Parte 8 entreremo nell’oscurità dello statalismo portato alla sua forma più estrema: il totalitarismo. Fortunatamente i sovranisti hanno dalla loro parte la fisica, l’economia e la Teoria dei giochi. Tuttavia la strada per uscire dallo statalismo sarà probabilmente un po’ insidiosa, ma alla fine ne varrà la pena.

“La tirannia, come l’inferno, non è facile da sconfiggere, eppure abbiamo questa consolazione: più duro è il conflitto, più glorioso sarà il trionfo.”

~ Thomas Paine


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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???? Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2023/12/sovranismo-parte-1-distruzione-creativa.html

???? Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/01/sovranismo-parte-2-bitcoin-sistema.html

???? Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/01/sovranismo-parte-3-mega-politica-la.html

???? Qui il link alla Quarta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/02/sovranismo-parte-4-lascesa-della.html

???? Qui il link alla Quinta Parte:  https://www.francescosimoncelli.com/2024/03/sovranismo-parte-5-lestinzione.html

???? Qui il link alla Sesta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2024/05/sovranismo-parte-6-la-strategia-dello.html

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Quando Bitcoin a $100.000? Dipende dalla prossima mossa di Biden

Gio, 25/07/2024 - 10:02

 

 

 

da Zerohedge

Per gran parte dell'anno scorso Geoffrey Kendrick di Standard Chartered ha avuto in mente un bel numero tondo per il suo obiettivo di prezzo di fine 2024: dopo aver previsto (in modo piuttosto accurato) alla fine del 2022 che Bitcoin sarebbe potuto crollare fino a $5000 in seguito alla crisi di FTX, ha ribaltato la situazione a metà del 2023 e da allora ha sostenuto che a causa dei “cambiamenti sismici nell'approccio istituzionale a Bitcoin da parte degli Stati Uniti” avrebbe raggiunto i massimi storici nel 2024 (lo ha fatto) e sarebbe salito fino a $100.000 (non è ancora riuscito a farlo).

Poi all'inizio del 2024, e dopo che la SEC ha approvato gli ETF su Bitcoin, Kendrick ha raddoppiato i numeri tondi e ha affermato che, sulla base delle sue ipotesi sull'afflusso negli ETF, sebbene pensi ancora che un obiettivo di prezzo di fine 2024 di $100.000 sia realistico, guardando più lontano ha previsto che un livello di fine 2025 a $200.000 è possibile. Ciò presuppone che tra 437.000 e 1,32 milioni di nuovi bitcoin saranno detenuti negli ETF spot statunitensi entro la fine del 2024. In termini di dollari, questo dovrebbe essere di circa $50-100 miliardi.

Poi, all'inizio di maggio, una volta diventato sempre più realistico che non solo Trump aveva una possibilità di sconfiggere Biden ma che i giorni di Gary Gensler erano probabilmente contati — con l'incessante resistenza della SEC contro gli ETF su Ethereum — Kendrick ha aggiunto un'ulteriore osservazione riguardo la sua precedente previsione, affermando che Bitcoin supererà i $100.000 “quando ci avvicineremo alla vittoria elettorale di Trump, quindi ci sarà un forte rally da settembre fino a fine anno”.

Standard Chartered analyst Geoffrey Kendrick predicts that bitcoin will surge above $100,000 once Trump fires @GaryGensler: "when we get closer to Trump election victory we can rally hard from say Sept. to year-end"

— zerohedge (@zerohedge) May 6, 2024

Quindi eccoci qui, due mesi dopo, e non solo Bitcoin non è affatto vicino al bel numero tondo, ma in effetti è sceso in modo piuttosto notevole da dove veniva trattato a fine maggio.

Cos'è successo?

Come spiega Kendrick nella sua ultima nota pubblicata questa mattina, “i tori frustrati hanno escogitato una serie di teorie sul motivo per cui siamo bloccati in un intervallo. La più popolare (quella che ho sentito di più e che ha anche senso) è che i detentori a lungo termine continuano a vendere ad acquirenti a più breve termine, quindi i rally vengono venduti e i cali vengono acquistati”.

La domanda quindi è: quale macroelemento motore sarà in grado di fermare tutto ciò? Kendrick ritiene che ci sarà una combinazione di movimenti tra i rendimenti dei titoli del Tesoro e un contesto politico americano costruttivo, ed entrambi i risultati “avverranno presto”.

Partendo dal primo, sui rendimenti dei titoli di stato americani possiamo individuare 3 elementi motore che dovrebbero essere costruttivi per BTC:

• Una curva nominale 2Y/10Y più ripida

• Un aumento maggiore dei pareggi rispetto ai rendimenti reali

• Un aumento del premio a termine

E sebbene lungi dall'essere perfetta, Kendrick ritiene che esista una “correlazione ragionevole” tra ciascuno di questi fattori e i prezzi di BTC, mostrati qui come variazioni a 3 mesi. È interessante notare che nelle ultime settimane i movimenti UST hanno iniziato a migliorare nella direzione di BTC (o almeno hanno iniziato a lateralizzare) mentre i prezzi di BTC sono stati deboli, il che suggerisce che c'è qualcos'altro che sta soffocando i prezzi.

Ma se i movimenti sempre più favorevoli dei tassi non stanno avendo un impatto sui prezzi di Bitcoin, allora di cosa si tratta? Perché i prezzi di BTC sono stati più deboli di quanto suggerirebbero gli elementi motore del dollaro?

Qui Kendrick pensa che abbiamo a che fare con lo stato attuale delle elezioni presidenziali americane.

Ricordiamo la relazione positiva discussa in precedenza tra le probabilità elettorali di Trump (mostrate qui come percentuale di probabilità di vittoria riflessa nei mercati delle scommesse) e i prezzi di BTC. La logica qui è che sia la regolamentazione che il mining sarebbero visti in modo più favorevole con Trump.

Osservando il grafico qui sopra, si può affermare con certezza che i prezzi di BTC hanno superato le probabilità di vittoria di Trump rispetto agli afflussi degli ETF, ma ora però sono in ritardo. Perché?

Kendrick ritiene che questa volta i prezzi di BTC siano inferiori alle probabilità di vittoria di Trump perché la probabilità che Biden si dimetta/venga sostituito è in aumento. Nello specifico, questa settimana le probabilità combinate di Trump e Biden sono scese fino al 90%, il livello più basso da marzo. Cioè, i mercati delle scommesse dicono che c’è una probabilità del 10% che qualcun altro oltre a Trump o Biden possa andare alla Casa Bianca.

Infatti la storia di oggi proviene dal portavoce preferito della CIA secondo cui i democratici sono ora allo sbando e che Hunter Biden è effettivamente al comando del Paese...

Hunter Biden has joined meetings with President Biden and his top aides this week at the White House, four people familiar with the matter tell my colleagues, who are told the reaction from some senior White House staff has been, “What the hell is happening?”

— Ken Dilanian (@KenDilanianNBC) July 2, 2024

... cosa che ha fatto impennare le probabilità di Kamala Harris di diventare la candidata democratica.

this is pretty terrifying pic.twitter.com/wy2k464YE6

— zerohedge (@zerohedge) July 2, 2024

In senso probabilistico, ciò significa che il mercato ora dice che Trump ha più probabilità di vincere (buono per BTC), seguito da Biden (male per BTC), ma con una ragionevole probabilità diversa da zero che Biden possa essere sostituito da qualcun altro — Michelle Obama, Kamala Harris, o Gavin Newsom (male per BTC).

Da qui Kendrick vede 2 possibili esiti:

• Biden rimane in corsa e, dati i prezzi di mercato, si prevede che perderà contro Trump (buono per BTC);

• Biden esce dalla corsa e il nuovo arrivato potrà avere più possibilità di battere Trump rispetto a lui (male per BTC).

La buona notizia è che non dovremo aspettare molto per avere la risposta: la data chiave è il 4 agosto, data in cui la legge dell'Ohio prevede la registrazione dei candidati presidenziali. Quindi se Biden sarà ancora il candidato democratico dopo questa data, lo sarà ancora nella prima settimana di novembre.

Andando avanti ciò che gli analisti di Standard Chartered si aspettano di vedere è quanto segue:

Molto probabile (90%): a fine luglio sarà chiaro che Biden sarà il candidato a correre per la presidenza e le probabilità di vittoria di Trump aumenteranno ulteriormente. BTC si muoverà più in alto. È probabile un nuovo record in agosto, poi $100.000 entro il giorno delle elezioni americane;

Meno probabile (10%): a fine luglio Biden si farà da parte, i prezzi di BTC scenderanno a $50-55.000. Se il nuovo candidato democratico sarà molto credibile (Michelle Obama), i prezzi di BTC rimarranno bassi. In caso contrario, sarà una fantastica opportunità di acquisto. I prezzi di BTC andranno a $100.000 entro il giorno delle elezioni statunitensi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La follia dell'Impero e l'albatross del debito

Mer, 24/07/2024 - 10:08

 

 

di David Stockman

Come è accaduto con Roma, l'Impero sta mandando in bancarotta l'America. Il costo fiscale reale del bilancio della sicurezza nazionale supera ora i $1.300 miliardi l'anno (se si contano anche le spese per i veterani, le operazioni internazionali e gli aiuti), ma non esiste che possano essere in qualche modo ripagati.

Questo perché i 78 milioni di baby boomer sono al posto di comando della politica americana: non permetteranno che lo stato sociale da $3.500 miliardi l'anno venga tagliato. Allo stesso tempo Washington è diventata la Capitale Mondiale della Guerra dove l'Unipartito insediato ritiene che le gigantesche rivendicazioni fiscali dello settore militare non siano negoziabili.

Il bilancio federale è praticamente diretto verso l'abisso. Con i tassi d'interesse che finalmente si stanno normalizzando e il debito si accumula a un ritmo superiore alla crescita nominale del PIL, i costi degli interessi sul debito pubblico schizzeranno alle stelle.

Le prospettive sono così tetre che il CBO non si azzarda a pubblicare i numeri al ungo termine riguardo il debito. Invece tenta di mascherare questa catastrofe mostrando i numeri in termini di “% del PIL” senza pubblicare le cifre di quest'ultimo.

Ciononostante ci sono tutte le cifre per ricavarseli e salta fuori che il CBO nelle sue ultime letture ha proiettato un PIL nominale in crescita del 3.8% l'anno per 30 anni. Ciò significa $85.000 miliardi entro il 2054; e se si applica la cifra del 172% del PIL al debito pubblico, il risultato è $146.000 miliardi!

Non è un errore di battitura. In base allo scenario roseo del CBO per i prossimi tre decenni la linea di politica fiscale partorirà un debito talmente grande che la cifra non viene nemmeno pubblicata nei documenti ufficiali. Ciò significa, a sua volta, che l'America sta volando verso una spesa per interessi di $7.500 miliardi l'anno in base all'attuale rendimento medio sulla curva del debito statunitense.

Il CBO proietta che il debito pubblico raggiungerà i $146.000 miliardi entro la metà di questo secolo

Sfortunatamente la generazione che ha marciato sul Pentagono nel 1968 protestando contro la Guerra in Vietnam di Lyndon Johnson ha da tempo abbandonato la causa della pace. In questo modo i baby boomer hanno permesso al settore militare di crescere indisturbato, soprattutto da quando gli Stati Uniti sono diventati la sola superpotenza dopo che l'Unione Sovietica è finita nella pattumiera della storia nel 1991.

Ciononostante c'è una ragione per cui la fine della guerra dei 77 anni non permise al mondo di ritornare allo status quo pre-1914 dove regnavano una pace relativa e una prosperità mondiale alimentata dal capitalismo: l'ideologia dell'eccezionalismo americano e della Nazione Indispensabile.

Di conseguenza la missione di Washington era diventata quella di diventare un egemone mondiale. Si trasformò, sotto la presidenza di Bush e Clinton, nella Capitale Mondiale della Guerra e diede vita a tutta una serie di think tank, organizzazioni non governative, agenzia di consulenza, “agenzie legali” e lobby di tutte le specie. Ed è stata l'idea della Nazione Indispensabile che ha fornito il collante alla classe politica affinché appiccicasse a Washington l'etichetta dell'Impero e trasferisse quante più risorse fiscali al settore militare.

Inutile dire che l'Impero è una cosa terribile perché diventa la salute dello stato e l'acerrimo nemico della prosperità capitalistica e delle libertà costituzionali.

Cresce e si metastatizza abbandonando le verità repubblicane del non intervento all'estero e del commercio pacifico con tutte le nazioni del mondo, abbracciando invece il ruolo auto-insignito di Egemone Mondiale. Piuttosto che badare alla difesa interna, la linea di politica dell'Impero è quella di un ficcanaso imperiale, egemone militare e applicatore brutale di sanzioni, capricci, linee rosse e stati canaglia.

Non c'è niente di più emblematico del tradimento del non interventismo repubblicano di quello che succede oggi: la guerra per procura dell'Ucraina contro la Russia, vari cambi di regime falliti in Medio Oriente, la campagna ventennale fallimentare e sanguinosa in Afghanistan, la Settima Flotta statunitense che si intromette nel Mare cinese meridionale e, soprattutto, l'infinita ossessione di Washington nei confronti dell'Iran.

Per quanto riguarda quest'ultimo, non c'è assolutamente nessun motivo per cui l'Impero debba continuamente tenerlo nel mirino. Il proverbiale marziano che ci guarda dall'alto rimarrebbe perplesso riguardo al motivo per cui Washington vuole sempre attaccare briga contro i governanti puritani e totalitari dell'Iran, ma in fin dei conti innocui a livello geopolitico.

Dopo tutto l'Iran non ha violato il patto nucleare del 2014 agli occhi di una qualsiasi autorità affidabile – per giunta anche agli occhi della CIA. Né questo stesso consenso di istituzioni ritiene che abbia mai avuto un programma di ricerca sull'armamento nucleare sin al 2003.

Allo stesso modo il suo PIL modesto da $410 miliardi è uguale a soli cinque giorni di spesa statunitense, quindi sarebbe arduo considerarla una piattaforma industriale da cui i suoi teocrati possano plausibilmente minacciare l'America.

Né il suo minuscolo bilancio militare da $10 miliardi, che ammonta a soli quattro giorni di spese del Dipartimento della Difesa, può infliggere un qualsiasi danno ai cittadini americani.

Infatti l'Iran non ha una marina che può operare fuori dal Golfo Persico; i suoi aerei da combattimento possono a malapena raggiungere Roma senza fare rifornimento; il suo arsenale di missili difensivi a medio raggio non possono colpire la maggior parte dei membri della NATO, figuriamoci il continente Nord americano.

La risposta al proverbiale marziano è che l'Iran non è affatto una minaccia militare alla sicurezza dell'America. La sua demonizzazione, quindi, deriva dall'egemonia di Washington: non può avere una linea di politica estera indipendente e quindi stringere alleanze con la Siria, il partito politico di spicco libanese (Hezbollah), le autorità che governano Baghdad e gli Houthi in Yemen.

Tutti questi regimi, a eccezione dello stato pupazzo dell'Iraq, sono considerati da Washington come la fonte della proverbiale “instabilità regionale” e l'alleanza dell'Iran con essi è stata etichettata come un atto di sponsorizzazione del terrorismo.

Lo stesso discorso vale per il modesto arsenale di missili balistici a breve e medio raggio dell'Iran. Queste armi sono per autodifesa, ma Washington insiste sul fatto che siano per aggredire – salvo ignorare qualsiasi altro caso simile in cui altre nazioni sono clienti dei mercanti di armi statunitensi.

Per esempio, l'acerrimo nemico dell'Iran nel Golfo Persico, l'Arabia Saudita, ha una scorta cospicua di missili balistici forniti dalla NATO con percorribilità superiori (2600 km). Lo stesso vale per Israele, Pakistan, India e un'altra mezza dozzina di altre nazioni che sono o alleate di Washington oppure hanno ricevuto un lasciapassare dagli Stati Uniti per esportare armi.

In breve, l’incessante guerra economica e la pressione politica, diplomatica e militare di Washington sull’Iran è un esercizio di egemonia mondiale, non di autodifesa territoriale della propria patria. È una testimonianza del modo in cui la nozione storica di difesa nazionale si è trasformata nell'arrogante affermazione di Washington di costituire una “Nazione Indispensabile” che presumibilmente si erge come baluardo dell'umanità contro il disordine mondiale tra le nazioni.

Inutile dire che l’Iran è solo un tipico esempio di questo concetto in azione, ci sono anche altri punti caldi che non sono altro che esercitazioni dell’aggressione egemonica che ne deriva inesorabilmente.

Washington ha alimentato la carneficina ucraina sponsorizzando, finanziando e riconoscendo il colpo di stato del febbraio 2014 che rovesciò un governo favorevole alla Russia, sostituendolo con uno nazionalista e aspramente antagonista alla Russia. E lo ha fatto per la ragione più superficiale e storicamente ignorante che si possa immaginare: opporsi alla decisione del precedente governo ucraino alla fine del 2013 di allinearsi economicamente e politicamente con il suo storico egemone Mosca piuttosto che con l’UE e la NATO. Eppure il governo ucraino, giustamente eletto e costituzionalmente legittimo allora guidato da Viktor Yanukovich, aveva intrapreso quella strada principalmente perché aveva ottenuto da Mosca un accordo migliore di quello richiesto dagli artisti della tortura fiscale dell'FMI.

Inutile dire che il conseguente colpo di stato, sponsorizzato dagli Stati Uniti, scaturito dalla folla nelle strade di Kiev nel febbraio 2014, ha riaperto profonde ferite nazionali. L’aspro divario dell’Ucraina tra i russofoni nell’Est e sulla sponda del Mar Nero e i nazionalisti ucraini nel centro e nell’Ovest risale al brutale controllo di Stalin in Ucraina durante gli anni ’30 e alla collusione ucraina con la Wehrmacht di Hitler nel suo cammino verso Stalingrado.

È stato proprio il ricordo di quest’ultimo incubo, infatti, a innescare nel marzo 2014 lo scoppio, alimentato poi dalla paura, del separatismo russo nel Donbass e dal voto referendario del 96% in Crimea per riaffiliarsi formalmente alla madre Russia.

In questo contesto anche una vaga familiarità con la storia e la geografia russa ricorderebbe che l’Ucraina e la Crimea sono affari di Mosca, non di Washington.

In primo luogo, in Ucraina non c’è nulla di importante in gioco. Negli ultimi 700 anni è stato un insieme tortuoso di confini alla ricerca di un Paese.

Infatti gli intervalli in cui l’Ucraina è esistita come nazione indipendente sono stati pochi e rari. I suoi governanti, piccoli potentati e politici corrotti, facevano accordi o si arrendevano a ogni potere esterno che si presentava alla loro porta.

Questi includevano, tra gli altri, lituani, turchi, polacchi, austriaci, moscoviti e zar. Infatti nei tempi moderni l’Ucraina è stata parte integrante della Madre Russia, fungendo da granaio e crogiolo di ferro e acciaio sotto zar e commissari sovietici. Considerata questa storia, l’idea che l’Ucraina dovesse essere indotta ad aderire alla NATO era semplicemente folle.

Il territorio presumibilmente “occupato” della Crimea fu in realtà acquistato dagli Ottomani da Caterina la Grande nel 1783, soddisfacendo così la lunga ricerca degli zar russi per uno sbocco sui mari meridionali. Nel corso dei secoli Sebastopoli è diventata una grande base navale sulla punta strategica della penisola di Crimea, dove divenne sede della potente flotta degli zar e poi anche dell'Unione Sovietica.

Per i successivi 171 anni la Crimea fu parte integrante della Russia. Tal periodo che va finisce nel 1954 supera di gran lunga i 106 anni trascorsi da quando la California fu annessa a questo continente, fornendo così alla Marina degli Stati Uniti il ​​proprio porto a San Diego.

Sebbene nessuna forza straniera abbia successivamente invaso le coste della California, sicuramente non furono i fucili, l'artiglieria e il sangue ucraini e polacchi ad annientare la carica della brigata leggera nella città di Balaclava in Crimea nel 1854; i coraggiosi difensori erano russi che proteggevano la loro patria dagli invasori turchi, francesi e inglesi.

E il ritratto dell’“eroe” russo appeso nell’ufficio di Putin è quello dello zar Nicola I – il cui brutale regno trentennale ha portato l’Impero russo al suo apice storico. Eppure, nonostante la sua crudeltà, Nicola I è venerato nell’agiografia russa come il difensore della Crimea, anche se perse la guerra del 1850 contro ottomani ed europei.

In fin dei conti la sicurezza del suo storico porto in Crimea è la linea rossa della Russia, non quella di Washington. A differenza dei politici odierni a Washington, ignoranti quado si tratta di storia, anche l’indebolito Franklin Roosevelt sapeva di trovarsi nella Russia sovietica quando fece scalo nella città di Yalta, in Crimea, nel febbraio 1945.

Manovrando per consolidare il suo controllo sul Cremlino nella lotta per la successione a Stalin, Nikita Khrushchev cedette la Crimea ai suoi subalterni a Kiev.

La Crimea è diventata parte dell’Ucraina solo per volere di uno degli stati più crudeli e riprovevoli della storia umana – l’ex-Unione Sovietica:

Il 26 aprile 1954: il decreto del Presidium del Soviet Supremo dell'URSS trasferisce l'oblast di Crimea dalla SFSR russa alla SSR ucraina [...] tenendo conto del carattere integrale dell'economia, della vicinanza territoriale e degli stretti legami economici e culturali tra la provincia di Crimea e la SSR ucraina [...].

Proprio così. Le accuse ipocrite e tendenziose di Washington contro il riassorbimento della Crimea da parte della Russia implicano che la mano del presidio sovietico dev'essere difesa a tutti i costi – come se la sicurezza del Nord Dakota dipendesse da questo!

Infatti il tumulto sulla “restituzione” della Crimea è un chiaro esempio dell’arroganza egemonica che ha preso il sopravvento sulla Washington imperiale dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991.

Dopotutto, durante i lunghi decenni della Guerra Fredda, l’Occidente non ha fatto nulla per liberare la “nazione prigioniera” dell’Ucraina – con o senza l’appendice della Crimea. Né ha tracciato alcuna linea rossa a metà degli anni ’90 quando un’Ucraina finanziariamente disperata ha restituito Sebastopoli e le ridotte strategiche della Crimea a una Russia altrettanto impoverita.

In breve, nell’era precedente all’acquisizione del nostro porto nel Pacifico nel 1848, e anche durante l’intervallo di 176 anni successivi, la sicurezza nazionale americana non è dipesa per nulla dallo status della Crimea, né da quello del resto dell’Ucraina. Che le popolazioni di lingua russa della Crimea, del Donbass e della zona del Mar Nero abbiano ora scelto la fedeltà a Mosca invece che ai ruffiani che hanno preso Kiev nel colpo di stato del 2014 è un’affare che riguarda solamente loro!

La verità è che quando si parla di Ucraina non c'è poi molto lì: i suoi confini si sono trasformati per secoli tra le tribù, i popoli, i potentati, i patriarchi e i pretendenti in lotta di una piccola regione, e non sono affari di Washington.

Tuttavia è stata la spinta aggressiva di Washington e della NATO negli affari interni dello storico vassallo della Russia, l’Ucraina, a portare avanti la demonizzazione di Putin. Allo stesso modo è la fonte della falsa affermazione secondo cui la Russia ha progetti aggressivi ed espansionistici nei confronti degli stati dell’ex-Patto di Varsavia nei Paesi Baltici, in Polonia e oltre.

Quest'ultima è una fabbricazione senza senso, sono stati i neoconservatori di Washington a schiacciare l’ultima parvenza di governo civile dell’Ucraina quando hanno consentito agli ultranazionalisti e ai cripto-nazisti di ottenere posizioni di governo dopo il colpo di stato nel febbraio 2014.

In un colpo solo quell'imperdonabile stupidità ha riaperto la sanguinosa storia moderna dell'Ucraina, la quale s'interruppe con il ripopolamento da parte di Stalin della regione orientale del Donbass con lavoratori russi “affidabili” dopo il genocidio dei kulak all'inizio degli anni '30.

Successivamente fu esacerbata dalla collaborazione su larga scala dei nazionalisti ucraini della Galizia e di altri territori occidentali con la Wehrmacht nazista. Insieme devastarono polacchi, ebrei, zingari e altri “indesiderabili” nel loro viaggio verso Stalingrado nel 1943. Successivamente seguì un’uguale e contraria ondata di barbare vendette mentre la vittoriosa Armata Rossa marciava di nuovo attraverso l’Ucraina nel suo cammino verso Berlino.

Quindi ci si potrebbe giustamente domandare: quale stupido non ha ancora capito che l'avvio del “cambio di regime” da parte di Washington a Kiev avrebbe riaperto tutta questa sanguinosa storia di conflitti settari e politici?

Inoltre una volta aperto il vaso di Pandora, perché è ancora così difficile capire che una spartizione totale dell’Ucraina con autonomia per il Donbass e la Crimea, o addirittura l’adesione allo stato russo da cui provenivano queste comunità, sarebbe una soluzione perfettamente ragionevole? Dopotutto questo è esattamente ciò che prevedeva l’accordo di Minsk II e ciò su cui Putin aveva concordato durante i negoziati del marzo 2022 a Istanbul – un accordo che avrebbe potuto evitare la successiva carneficina, ma che è stato sabotato da Boris Johnson.

Certamente ciò sarebbe stato di gran lunga preferibile piuttosto che trascinare tutta l’Europa nella follia delle attuali sanzioni anti-Putin e coinvolgere le fazioni ucraine in una guerra civile suicida. La presunta minaccia russa all’Europa, quindi, è stata fabbricata dalla Washington imperiale, non nel Cremlino.

Ancora più orribili sono le provocazioni e le manovre della Settima Flotta nel Mar Cinese Meridionale. Qualunque cosa stiano facendo su quegli isolotti artificiali non costituisce una minaccia per la sicurezza dell’America, né vi è alcuna ragione plausibile per credere che sia una minaccia anche per il commercio globale.

Dopotutto sono le economie mercantiliste della Cina e dell’Asia orientale a crollare quasi istantaneamente se Pechino tentasse d'interrompere il commercio mondiale: sono i $3.500 miliardi di guadagni in valuta forte derivanti dalle sue esportazioni che impediscono allo Schema Rosso di Ponzi di crollare.

Inutile dire che nessuno di questi interventi era nemmeno immaginabile nella sonnolenta città di Washington appena 110 anni fa. Ma si tratta di un’evoluzione funesta dalla capitale di una Repubblica focalizzata su un Impero mobilitato a livello globale, nato in ultima analisi dall’eresia della Nazione Indispensabile.

Infatti finché la Washington imperiale continuerà le sue varie missioni autoproclamate di stabilizzazione, mantenimento della pace, punizione, attacco, occupazione, sanzionamento e altre manovre egemoniche, non c’è alcuna possibilità che i conti fiscali americani possano essere salvati.

La follia della Nazione Indispensabile incombe, quindi, sull’edificio marcio del debito pubblico/privato americano da $98.000 miliardi, come una moderna Spada di Damocle.

Ma l’Impero è una malattia corrosiva per il governo democratico: alla fine metastatizza in arroganza imperiale, esagerazione e prepotenza; cade preda del dominio di bellicosi guerrafondai e teppisti come John Bolton e Mike Pompeo dal lato repubblicano e Antony Blinken e Jake Sullivan dal lato democratico.

Nel caso presente è la prima coppia che ha sfruttato l’ignoranza di Trump sull’accordo sul nucleare iraniano: è stata la loro polemica imperiale contro il diritto legittimo dell'Iran come nazione sovrana alla propria politica estera che gli ha dato la copertura per reimporre il massimo delle sanzioni, costringendo di fatto Teheran ad un atto di guerra. Mentre la seconda coppia non ha avuto il coraggio d'invertire gli errori commessi dai guerrafondai della precedente amministrazione.

Sì, l’establishment considera le sanzioni economiche una sorta di strumento benevolo al soldo di una sorta di diplomazia illuminata – la proverbiale carota che impedisce il ricorso al bastone; ma queste sono solo chiacchiere ipocrite.

Quando si perseguitano i porti del pianeta tentando di bloccare le vendite di petrolio dell’Iran, che sono la sua principale e vitale fonte di valuta estera, o di interrompere l’accesso da parte della sua banca centrale al sistema globale di saldo monetario noto come SWIFT, o si fanno pressioni politiche per fermare tutti gli investimenti e il commercio nei confronti dell'Iran – stiamo parlando di atti di aggressione tanto minacciosi e dannosi quanto un attacco missilistico.

O almeno una volta s'intendeva così. Nel 1960 il grande Dwight Eisenhower accettò con (molta) riluttanza di mentire sull'aereo U-2 di Gary Power quando i sovietici lo abbatterono e catturarono vivo il pilota della CIA.

Ma Ike lo fece perché era abbastanza antiquato da credere che anche penetrare nello spazio aereo di un nemico senza permesso fosse un atto di guerra. E questo non era nelle sue intenzioni, nonostante il programma di sorveglianza della CIA.

Oggi, al contrario, Washington invade con alacrità lo spazio economico di decine di nazioni straniere. Infatti l’Office of Foreign Asset Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti elenca con orgoglio 30 diversi programmi di sanzioni, inclusi quelli su Bielorussia, Burundi, Cuba, Congo, Libia, Somalia, Sudan, Venezuela, Yemen e Zimbabwe, insieme ai programmi più visibili contro i presunti malfattori di Iran, Russia e Corea del Nord.

Anche queste sono le impronte dell’Impero, non le misure di difesa della patria adatte ad una Repubblica in cerca di pace. Quest’ultima costerebbe circa $400 miliardi all’anno e farebbe affidamento su una capacità nucleare già costruita e pagata per la deterrenza, e su una Marina e un’Aeronautica modeste per la protezione delle coste e dello spazio aereo della nazione.

L' eccesso di $500 miliardi nell'attuale bilancio della difesa da $900 miliardi è il costo dell'Impero; è il peso fiscale schiacciante che deriva dalla follia della Nazione Indispensabile e dal suo presupposto disastrosamente sbagliato secondo cui il pianeta sarebbe precipitato nel caos senza gli interventi dell’Impero americano.

Inutile dire che non crediamo che il pianeta sia incline al caos in assenza delle cure di Washington. Dopotutto i dati storici dal Vietnam all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia, alla Siria e all’Iran suggeriscono esattamente il contrario.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Pericolo! L'antisemitismo potrebbe continuare a diffondersi

Mar, 23/07/2024 - 10:05

 

 

di Barry Brownstein

Cerchiamo di diffidare della narrativa rassicurante che minimizza la gravità del crescente antisemitismo: la convinzione che l’odio verso gli ebrei diminuirà una volta conclusa la guerra tra Israele e Hamas potrebbe essere fuorviante.

Nella mia vita quotidiana l’antisemitismo è ancora una cosa del passato. Non è così nei campus universitari e in alcune città. Come Elon Musk sono scioccato dalla denuncia del dilagante odio verso gli ebrei.

Lo scorso novembre, quando il nostro agricoltore di fiducia stava chiudendo la stagione, ci ha chiesto informazioni sui nostri programmi per le vacanze. È rimasto a bocca aperta quando mia moglie ha menzionato la celebrazione di Hanukkah e del Natale. Incuriosito, ha chiesto: “Chi di voi è ebreo?” Conosciamo questo agricoltore da trent'anni e la domanda non si era mai posta. Perché proprio in quel momento? È un uomo onesto e laborioso, che non presta attenzione alle caratteristiche superficiali dei suoi clienti.

L'economia di mercato premia chi dimostra una genuina empatia verso questi ultimi; infatti gli imprenditori empatici possono mettersi nei panni dei propri clienti e considerare come servirli al meglio. Il processo di mercato, sostenuto dallo stato di diritto, facilita l’empatia e il rispetto per gli altri e una società pacifica e prospera.

Allora perché dico che l’antisemitismo probabilmente crescerà? Quanto più siamo lontani dai legami e dagli affetti creati dal commercio, tanto più le nostre menti saranno occupate dallo spazio per l’odio primitivo.

Gli intellettuali che insegnano una miscela tossica di politica dell’identità, teoria critica della razza e marxismo hanno preso il controllo delle istituzioni educative e di altro tipo. In alcune classi K-12 vengono insegnati “Studi etnici liberatori” che fanno uso di “modelli liberatori basati su marxismo e maoismo”. Ciò che Helen Pluckrose e James Lindsay chiamano il “sistema delle caste di giustizia sociale” etichetta gli ebrei come oppressori a causa del loro successo economico.

Nel libro Marxism, Thomas Sowell sottolinea che Marx viveva come un intellettuale senza alcuna “responsabilità” per il suo sostentamento e per le “conseguenze sociali” della sua “visione”. Sowell spiega che “gli intellettuali di oggi vivono in una sorta di isolamento dalle conseguenze dell'errore, qualcosa di cui non gode nessun uomo d'affari, capo militare, ingegnere, o addirittura allenatore atletico”.

Nel suo libro Intellectuals, il defunto Paul Johnson descrive Marx come un uomo con un “atteggiamento infantile” che “prendeva in prestito denaro, lo spendeva e poi era invariabilmente stupito e arrabbiato quando arrivavano a scadenza i conti più gli interessi”.

Marx era un odiatore accanito che “si risentiva per la più piccola critica” ed era soggetto a “enormi scoppi di rabbia. Al centro della sua rabbia e frustrazione, e forse alla base del suo odio per il sistema capitalista, c’era la sua grottesca incompetenza nel maneggiare il denaro”. Johnson ci informa che alla madre di Marx “è attribuito l’amaro desiderio che ‘Karl accumulasse capitale invece di limitarsi a scriverne’”.

Le fantasie di Marx sugli ebrei e sui capitalisti che sfruttavano gli altri erano una proiezione del suo stesso sfruttamento nei confronti della sua di famiglia. La proiezione si verifica quando cerchiamo di scagliare i nostri fallimenti morali e la spazzatura psicologica sugli altri.

Marx era bloccato in una tale proiezione. Rifiutandosi di “intraprendere una carriera”, Marx perseguitava la sua famiglia in cerca di “elemosina”. Abituato a saccheggiarla, Marx vedeva il proprio comportamento negli altri, scrivendo che c’è sempre “una manciata di ebrei da cui frugare nelle tasche”.

Nel libro Sulla questione ebraica, Marx scriveva: “Qual è la religione mondana dell’ebreo? Mercanteggiare. Qual è il suo Dio terreno? [...] Il denaro è il dio geloso di Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere”.

Di Marx, Johnson scrive: “Tutta la sua teoria della classe è radicata nell’antisemitismo”.

Nel suo romanzo, Life and Fate, Vasily Grossman osservava che l’antisemitismo era uno “specchio dei fallimenti degli individui. Ditemi di cosa accusate gli ebrei e vi dirò di cosa siete colpevoli”.

Gli antisemiti ritraggono gli ebrei nei modi più mostruosi, perché vederl come vili giustifica i loro stessi fallimenti.

Marx non era solo un odiatore degli ebrei, era un odiatore e basta. Il suo antisemitismo faceva parte di un modello più ampio.

In The Road to Serfdom F. A. Hayek sottolinea che Marx espresse opinioni sui cechi e sui polacchi successivamente espresse dai nazisti. Marx scrisse dei Balcani che avevano “la sfortuna di essere abitati da un conglomerato di razze e nazionalità diverse, di cui è difficile dire quale sia la meno adatta al progresso e alla civiltà”.

Hayek esplorò il motivo per cui “il nemico, sia esso interno, come l’”ebreo” o il “kulak”, o esterno, è un requisito indispensabile nell’armeria di un leader totalitario”. In Germania e in Austria, scrisse Hayek, “l’ebreo era arrivato a essere considerato il rappresentante del capitalismo”.

Marx scrisse che “ogni tiranno è sostenuto da un ebreo”. Invertì causa ed effetto: i tiranni devono opprimere gli ebrei.

Hayek inoltre scrisse: “Sembra quasi una legge della natura umana che sia più facile per le persone mettersi d’accordo su un programma negativo – sull’odio di un nemico, sull’invidia di chi sta meglio – che su qualsiasi compito positivo”. L'odio per il capitalismo o l'odio per gli ebrei, per chi ha bisogno di odiare, è la stessa cosa.

Hayek aggiunse: “Il contrasto tra il 'noi' e il 'loro', la lotta comune contro coloro che sono al di fuori del gruppo, è un ingrediente essenziale in qualsiasi credo che unisce solidamente un gruppo verso un'azione comune”.

Coloro che non vogliono assumersi la responsabilità delle proprie scelte gravitano attorno a movimenti di massa che promettono di alleviare le conseguenze delle loro decisioni sbagliate. Dovrebbe sorprendere che le idee marxiste abbiano contribuito ad alimentare il comunismo, uno dei movimenti di massa più distruttivi della storia?

Dovremmo sorprenderci che l’attuale esplosione di antisemitismo si concentri nei campus universitari dove il sentimento anticapitalista è la norma?

Oggi il pensiero “noi” e “loro” è parte integrante della vita nei nei campus universitari. Si presume che se non riuscite a combinare niente nella vostra vita è perché “loro” vi hanno fermato. Dal punto di vista storico gli ebrei si sono ritrovati tragicamente costretti a ricoprire il ruolo ingiustificato di “loro”.

Oggi i professori e gli amministratori universitari evitano che gli studenti siano esposti a idee diverse dalle loro. Marx non volle mai affrontare le conseguenze della sua scarsa intelligenza emotiva e morale. Quanti studenti universitari, come Marx, non vogliono affrontare la loro scarsa intelligenza emotiva e morale?

Le forze illiberali hanno sempre bisogno di un “loro”. Anche nei Paesi senza popolazione ebraica, gli ebrei sono ancora “loro”. Ayaan Hirsi Ali è cresciuta in Somalia dove non c'erano ebrei, ma come ha spiegato al Wall Street Journal:

Quando ero piccola, mia mamma perdeva spesso la pazienza con mio fratello, con il droghiere o con un vicino. Urlava o imprecava sottovoce “Yahud!”, seguito da una descrizione dell'ostilità, dell'ignominia, o del comportamento spregevole del soggetto della sua ira. Non era solo mia madre; gli adulti intorno a me esclamavano “Yahud!”, il modo in cui gli americani usano la parola che inizia con la F. Mi fecero capire che gli ebrei – Yahud – erano tutti cattivi. Nessuno si prendeva la briga di costruire un quadro razionale attorno all’idea – cosa difficilmente necessaria, dal momento che non c’erano ebrei in giro.

La Somalia è una società chiusa e le società chiuse sono destinate al fallimento finché non emerge um’indagine critica dall’interno.

Gli studenti attraversano il sistema educativo addestrati ad avere menti chiuse piuttosto che a esplorare le idee. Il fallimento è una certezza quando queste ultime non vengono messe in discussione, e deve esserci un “loro” da incolpare per il fallimento. Per gli antisemiti e gli anticapitalisti, gli ebrei sono oggetto condiviso di odio. Gli ebrei vengono usati per rendere conto dei piani falliti generati da idee imperfette. Finché programmi illiberali domineranno i nostri sistemi educativi, entrambi gli odi non potranno far altro che crescere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Chi governa gli Stati Uniti?

Lun, 22/07/2024 - 10:04

 

 

di Daniel Greenfield

Le elezioni presidenziali del 2016 si sarebbero dovute disputare tra due candidati, ovvero, Jeb Bush e Hillary Clinton, i cui “turni” erano arrivati.

E poi Donald Trump è sceso da una scala mobile, ha preso il suo “turno” e da allora l'establishment non è più stato lo stesso, proprio perché era il loro di “turno”.

Nel 2020 è stato il “turno” di Joe Biden, un uomo la cui unica credenziale politica era quella di essere rimasto in giro abbastanza a lungo da restare fedele a cose come il Senato e la Vicepresidenza.

Ora, nel 2024, è di nuovo il “turno” di Joe Biden. Nessuno nel suo partito aveva l'impressione che fosse il miglior candidato, il miglior attivista o il miglior presidente, ma dannazione, era il suo di “turno”.

E ora i democratici sono nel panico perché il candidato che sta prendendo il suo “turno” in realtà sta implodendo.

Il crollo pubblico di Biden ha spaventato i democratici, ma non hanno ancora una risposta su come fermare il disastro che tutti gli altri potevano vedere arrivare da chilometri di distanza; e non esiste una buona strategia se non quella di convincere i leader del partito a confrontarsi con il loro candidato e chiedergli di dimettersi. Ma come si fa a togliere il “turno” a Biden quando esso rappresenta la cosa più sacra in politica?

Non è un problema esclusivamente democratico. Il Partito repubblicano mise Bob Dole contro Bill Clinton e John McCain contro Barack Obama, perché era il loro “turno”; lasciarono che Mitt Romney si scontrasse con Obama una seconda volta perché era il suo “turno” e dopo che i repubblicani persero due elezioni presidenziali consecutive, perché presentavano candidati dell’establishment al loro “turno”, gli elettori ne erano così stufi che fecero quello che non avrebbero mai fatto prima e scelsero Trump.

Perché, infatti, non era il suo di “turno”.

La politica del “turno” è quella che continua a imperare.

I candidati alla presidenza concorrono perché hanno le reti più grandi di colleghi politici, donatori e attivisti di partito. È come se la Major League di Baseball favorisse i giocatori sulla base dell'anzianità e della loro capacità di creare reti, non sulla base di quanto bene sanno lanciare o colpire.

Ma a differenza dello sport, la politica non è una meritocrazia, non è nemmeno una democrazia, è un'oligarchia.

Gli elettori pensano con presunzione alle elezioni come a una grande competizione politica, ma è come giudicare le aziende in base ai discorsi principali dei loro amministratori delegati. Le elezioni sono la parte meno importante della politica, tutti gli aspetti veramente importanti si svolgono a porte chiuse. Ciò che fanno i politici non è candidarsi, ma creare reti, stringere accordi e pianificare la propria carriera.

Tale rete, che a volte chiamiamo con nomi del tutto inadeguati come “establishment” o “addetti ai lavori”, è la ragione per cui Biden è di nuovo attivo nel 2024: perché non è possibile liberarsene.

Le persone che pensano ingenuamente che Obama stia segretamente guidando l’amministrazione Biden non capiscono suddetta rete o come funziona. Obama affrontò Hillary quando fu il suo “turno” nel 2008, vinse e strinse un accordo che avrebbe spostato la rete democratica più a sinistra. Fece di nuovo la stessa cosa nel 2020 coinvolgendo la gente di Bernie Sanders ed Elizabeth Warren in modo che l’amministrazione Biden fosse ancora più radicale ed estrema della sua.

Ma da dove viene Obama? Proviene da quella rete di attivisti radicali, donatori e personale governativo che ora governa il Paese. Obama non è un genio o un uomo brillante, è solamente un avvocato come tanti e per giunta poco originale; uno delle decine di migliaia usciti dalla Ivy League che si uniscono al lato politico della rete e che vogliono massimizzare le proprie ambizioni.

E le reti di sinistra gli hanno dato l’opportunità di farlo in cambio di una diffusione più profonda del Partito Democratico nel governo e nel Paese. E poi è arrivato il suo “turno”.

Obama non voleva che Biden gli succedesse. Lo scartò a favore di Hillary, e poi cercò di portare un candidato a sorpresa contro di lui nel 2020. Ma alcune cose sono sacre e nemmeno Obama, soprattutto una volta uscito dalla Casa Bianca, potrebbe togliere il “turno” a Biden due volte.

Ma, a dirla tutta, non è proprio il “turno” di Biden: è il turno degli strateghi, dei lobbisti, dei membri dello staff, dei donatori, degli alleati e delle figure più nebulose conosciute come “ammanicati” che hanno accumulato potere nel corso degli anni. Hanno investito nel suo successo, ne vogliono trarre profitto e non si arrenderanno facilmente.

Cercare di sostituire Biden con Gavin Newsom (a parte le questioni legali e logistiche) sarebbe uno scontro tra due reti che richiederebbe o attente trattative o una vera e propria guerra civile. Questa è una cosa che si fa sempre con i principali rivali che difatti diventano vicepresidenti o membri del gabinetto, ma sostituire un presidente in carica che ha anche vinto la nomina e ha raccolto/speso un'enorme fortuna richiederebbe un livello di trattative delicate come quelle necessarie a portare la pace in una guerra civile africana.

Soprattutto se quel presidente è instabile, incline ad attacchi di rabbia ed è isolato dagli stessi alleati politici la cui ricchezza e potere dipendono dalla vittoria di Biden per un secondo mandato.

Non si tratta solo di Jill e Hunter Biden: Joe Biden ha decine di migliaia di bocche politiche da sfamare. È stato raccolto denaro, promessi favori, la gente ha acquistato case nelle comunità dormitorio di Washington, i lobbisti si sono assicurati grossi contratti e i donatori hanno aperto i loro portafogli.

Sostituire Biden con un altro candidato sconvolgerebbe gran parte di Washington, manderebbe in fumo decine di miliardi di dollari e creerebbe una massiccia instabilità in questa corrotta economia locale. Gran parte di Washington preferirebbe affrontare la tempesta (dal momento che una nuova campagna elettorale richiederà tanti soldi quanti quelli già spesi) e preservare l'integrità delle reti e i giuramenti legati al mignolo che consentono agli “interessi speciali” di acquistare influenza.

Questo è ciò che significa veramente “è il suo turno”.

Non è impossibile per i democratici sostituire Biden, ma nonostante tutto l’allarmismo su Trump, che è il loro unico slogan elettorale, nessuno di loro lo vede come una minaccia esistenziale sufficiente a sconvolgere uno stile di vita politico che ha permesso a un truffatore mediocre come Biden di arrivare fin qui.

Le persone che non capiscono tutto ciò erano sconcertate dal fatto che Biden si sarebbe candidato e che avrebbe ottenuto la nomination. Dopo l'ultimo dibattito, gran parte del partito si è lasciato prendere dal panico e gli outsider hanno pensato che Biden sarebbe stato scaricato. La verità è che i democratici vorrebbero poterlo fare.

La corruzione del “turno” minaccia ancora una volta la sopravvivenza del partito e tuttavia non riescono a staccarsene perché i partiti sono veicoli di carrierismo e denaro.

Le reti attorno ai politici costruiscono carriere e muovono denaro, e tali reti governano il Paese.

Quando le persone si sono domandate “chi governa il Paese” dopo il dibattito Trump-Biden, la risposta è che sono le stesse persone che l'hanno sempre governato, ovvero, il circolo di insider a Washington.

I politici in uno stato di evidente declino mentale come Biden, o la senatrice Dianne Feinstein, che continuano a presentare bozze di legge, approvarle, twittare ed esprimere opinioni forti su questioni nei loro comunicati stampa non sono aberrazioni, sono sintomi di un problema molto più grande.

Non solo Biden, ma molti, se non la maggior parte, dei funzionari eletti sono prestanome che esistono per mediare accordi favorevoli tra le loro reti di donatori e membri dello staff, quelle di altri funzionari eletti e quelle della burocrazia che fanno la politica nell'effettivo. La porta girevole tra dipendenti, personale, incaricati e lobbisti che si spostano tra amministrazioni, uffici, consigli di amministrazione, aziende, think tank e aziende governative è la vera forza che governa il Paese. I politici fanno la loro parte, incontrandosi, salutando e approvando ciò che viene detto loro sarà positivo per la loro carriera all'interno delle reti di cui fanno parte. In breve, sono dei semplici addetti alle relazioni pubbliche.

E se accumulano abbastanza cachet, un giorno toccherà anche a loro “il turno” di essere al vertice.

Ecco perché i democratici non riescono a risolvere la grana Biden: il problema non è il declino di un uomo, ma una crisi sistemica. Biden incarna ciò che i democratici, il sistema e la politica sono realmente) e, sebbene sostituirlo potrebbe risolvere il problema nell'immediato, non aggiusterà l'intero sistema.

Biden è un test di quanto il sistema sia disposto a rischiare e quanto è alta l’implosione pubblica che è disposto a tollerare per proteggere il sacro diritto del “turno”. I democratici lasceranno cadere il loro partito per proteggere il sistema? Continueranno a mentire ai loro elettori e ai loro donatori? I media generalisti, che per breve tempo si sono allontanati dalle bugie dopo il dibattito, riprenderanno a sostenere la truffa?

Altri “Biden”, alcuni anziani, confusi e inetti come Joe, altri di mezza età, confusi e inetti come Kamala, e alcuni addirittura giovani, confusi e inetti come Alexandra Ocasio Cortez, riempiono il sistema perché è così che funziona. Non è una meritocrazia che eleva i migliori, una democrazia scelta dal popolo, ma un'oligarchia che gestisce il sistema ed è anche IL sistema.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Una crisi prevedibile e prevista

Ven, 19/07/2024 - 10:10

 

 

di Francesco Simoncelli

I leader militari sono spesso degli invasati, così come i leader civili, e quando si riuniscono ciò che segue è un disastro. L'Unione Europea continua ad avanzare verso quella che promette di essere la crisi più attesa e più facilmente evitabile della sua storia. Se prendiamo come esempio l'Italia, essa ha un debito pubblico invalidante e – date le previsioni attuali – continuerà a crescere fagocitando tutti quegli altri settori che finora l'hanno reso, non senza difficoltà, sopportabile. Nessuna nazione è mai sopravvissuta a un carico di debito così enorme – non senza bancarotte, depressione, grave inflazione, sommosse popolari, o guerre… a volte tutte queste cose. Infatti secondo le ultime notizie c'è bisogno dell'intervento di ulteriore finanza creativa per permettere alle cose di non scollarsi improvvisamente, soprattutto per mantenere un paravento di sostenibilità agli occhi del mondo. Malgrado ciò basta poco per far crollare questo castello di carte, in particolar modo nelle condizioni di stress finanziario di oggi. Quanto detto, quindi, è il motivo per cui l'Unione Europea non farà eccezione.


IL COMPLESSO MILITARE-INDUTRIALE-MEDIATICO

Heinz Guderian inventò il Blitzkrieg: l'uso di carri armati senza supporto di fanteria per interrompere le comunicazioni dei nemici e creare panico tra le truppe. Nacque in quella che oggi è conosciuta come Chelmno, in Polonia, ma quando venne al mondo era territorio prussiano e i prussiani l'avevano conquistata secoli prima. Duri a morire, intelligenti, erano la spina dorsale degli ufficiali della Wehrmacht ed erano anche quelli che avevano più da perdere nella guerra di Hitler contro i sovietici.

La famiglia di Guderian perse la sua casa quando la Polonia riprese il controllo dell’area dopo la prima guerra mondiale, poi, nel 1939, prese il comando del 19° corpo d’armata, guidò un’offensiva in Polonia e “liberò” la sua casa d’infanzia. Sin dalla nascita delle società civilizzate, uno dei problemi principali è stato come tenere sotto controllo persone come Heinz Guderian. Per definizione le (nostre) società civili preferiscono risolvere i propri affari senza violenza; si basano su “regole consensuali”, non sulla forza bruta. Le persone concordano su quali leggi e regolamenti seguire: guidano a destra, o a sinistra; le donne possono apparire in pubblico senza velo, oppure no; votano per i loro leader, oppure no, ecc. Gli eserciti hanno lo scopo di proiettare violenza, non la civiltà. Sono i muscoli dello stato, ci si aspetta che uccidano o siano uccisi per promuovere l’agenda del governo in carica. Ma nel mondo moderno le loro tendenze all’omicidio e al caos dovrebbero essere tenute sotto controllo dai leader civili.

Questo è ciò che non accadde nella Germania nazista. Il potere militare e quello civile si unirono nella persona di Adolf Hitler, che indossò un'uniforme nel settembre 1939 e fu così che il generale Heinz Guderian si ritrovò subordinato all'ex-caporale ora Fuhrer. Nel 1943 Hitler insistette affinché i suoi carri armati attaccassero i sovietici a Kursk. Guderian si oppose alla campagna e dopo mesi di preparazione ed esitazione c’erano poche speranze di successo. I sovietici avevano già i piani di battaglia dei tedeschi e si erano preparati: potevano lasciare che i tedeschi si esaurissero contro le loro difese, e poi, con più carri armati e più uomini di quelli che la Wehrmacht avrebbe potuto mettere in campo, avrebbero contrattaccato. E questo è quello che è successo.

A quel punto i nazisti stavano perdendo la guerra. Gli Alleati stavano avanzando attraverso la Sicilia e l'Italia vacillava, preparandosi a impiccare Mussolini e ad accogliere le truppe americane d'invasione. Le uniche vere domande erano quando e come sarebbe arrivata la fine. Hitler rappresentava chiaramente un ostacolo a qualsiasi soluzione decente, non solo con i suoi comandi militari dilettantistici, ma anche in termini di negoziati. Nel gennaio del 1943 Roosevelt annunciò che gli Alleati avrebbero accettato solo una “resa incondizionata”. Tuttavia se la Germania si fosse sbarazzata del Fuhrer, avesse riportato le sue truppe in Germania e avesse promesso di non scendere mai più sul sentiero di guerra, forse sarebbe stato possibile evitare la resa totale e l’occupazione.

Imperatori, re e parlamenti hanno sempre lottato per mantenere in riga i loro soldati: erano costosi da tenere sul campo e pericolosi da tenere troppo vicino in patria. Un potente generale avrebbe potuto condurre un colpo di stato contro le autorità civili. Ecco perché Cesare non doveva marciare su Roma alla testa del suo esercito e le truppe dovevano rimanere dall'altra parte del fiume Rubicone. Cesare era popolare tra le sue truppe, ma anche lui dovette affrontare un ammutinamento, che però riuscì a gestire senza problemi. Dopo che Guglielmo il Conquistatore prese il controllo di gran parte dell'Inghilterra, tornò in Normandia, lasciando il suo nuovo regno a subordinati fidati. L’esercito si scatenò: stupri e saccheggi in gran parte del sud dell’Inghilterra. Guglielmo tornò per rimetterli in riga, ma a quel punto gli inglesi erano così infuriati che si ribellarono, portando a un'ulteriore guerra costosa. Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero nel 1527, era forse un comandante meno abile e le sue truppe facevano ciò che volevano. Non aiutò il fatto che trascurò di pagarle: attaccarono Roma saccheggiando, stuprando e uccidendo. Papa Clemente VII fuggì a Castel Sant'Angelo e sopravvisse pagando un riscatto alle truppe ammutinate, ma le sue guardie svizzere furono annientate.

Cosa consente a un governo civile di controllare le sue forze armate? Il denaro... quello reale. Gli stati in genere controllano le entrate fiscali e le usano per tenere i loro combattenti al guinzaglio, ma quando siamo passati al denaro “fasullo” – stampabile in quantità apparentemente illimitate – sono stati scatenati i proverbiali mastini della guerra. I budget militari sono saliti, anche dopo il 1991, quando l’Unione Sovietica è finita nella pattumiera della storia e ciò ha messo nelle tasche del complesso militare-industriale miliardi di fondi “in eccesso”, utilizzati per corrompere i parlamenti e oliare gli ingranaggi di media, think tank e università.

Quella di Eisenhower non era una “teoria del complotto” quando avvertì che l’industria della potenza di fuoco avrebbe presto esercitato una “influenza ingiustificata” sul governo civile; stava semplicemente osservando una tendenza. I gruppi di potere ne vogliono di più e a meno che non siano ostacolati, lo otterranno.


UN DISASTRO PREVEDIBILE ED EVITABILE

Non che io sappia qualcosa a livello di insider e che quindi abbia notizie certe sui avari temi affrontati, ma miro a evitare la Grande Perdita ed è qui che penso che possa derivare: dal mondo della megapolitica, dalle forze più profonde e nascoste dietro i titoli dei giornali. Donald Trump ha avvertito l’Europa che farebbe meglio a pagare di più per la propria difesa, ma difesa da cosa? Dopo tre anni di guerra, la Russia ha dimostrato di riuscire a malapena a conquistare un’area, proprio al suo fianco, di russofoni che vogliono far parte della Federazione Russa e che chiamavano il loro Paese Nuova Russia. L’idea che la Russia, con un PIL inferiore al valore di Nvidia, rappresenti una minaccia per Germania e Francia, con un PIL tre volte più grande, è una fantasia. Perché allora gli europei dovrebbero sprecare soldi per acquistare più armi?

L'Europa si sta dirigendo verso un disastro prevedibile ed evitabile: il classico epilogo di un coacervo di popoli e culture. Ma non è ancora il presente, più immediata e inevitabile è una crisi del debito, fallimenti, depressione, inflazione, ecc. Perché allora i policymaker “non fanno qualcosa al riguardo”, qualcosa di talmente ovvio e facile come tagliare la spesa? Perché? Perché questo è un problema megapolitico, non un problema politico. Gli interessi di chi decide e gli interessi dela popolazione sono in conflitto. Ridurre i deficit richiederebbe tagli nell’unica area di spesa discrezionale che potrebbe effettivamente fare la differenza, ma è anche l’area che non può essere controllata. I mastini della guerra hanno tolto il guinzaglio e l’industria militare – compreso l’intero “bilancio dell’impero” costituito da aiuti esteri, spie, sovvenzioni universitarie e a think tank, contratti con fornitori di “difesa” – è la più grande e potente attività al mondo. È così grande e così ricca che non può più essere messa in ginocchio.

Quando gli europei spendono di più per la “difesa”, acquistano armi dall’industria statunitense. Quando l’Ucraina ottiene più soldi, i suoi leader corrotti ne prendono una parte; il resto va ad acquistare forniture dall’industria americana della potenza di fuoco e dai lobbisti che ne chiedono di più. Questa non è una previsione, è solo matematica. Gli interessi sui debiti sono soverchianti e gran parte di essi è stato contratto a tassi d'interesse tra i più bassi della storia economica. Man mano che tali obbligazioni verranno rinnovate, verranno rifinanziate a tassi più elevati. Ciò significherà che porzioni crescenti di tutte le entrate fiscali dovrà essere destinato al servizio del debito.

Cosa faranno i pianificatori centrali? Smetteranno di inviare gli assegni della previdenza sociale? Fregheranno i creditori e andranno in default sul debito? Spegneranno le luci dei monumenti e serviranno solo pasti freddi nei ristoranti dei parlamenti? Ciò che non faranno è tagliare le spese “militari”. È una lobby talmente radicata che è impossibile da sradicare, e poiché ciò che vuole più di ogni altra cosa è più potere e più denaro, la spesa per la potenza di fuoco non può essere tagliata, i bilanci non possono essere equilibrati e il disastro non può essere evitato.


LEZIONI DAL PASSATO

Alla fine degli anni ’80 quasi tutti erano convinti che il Giappone avrebbe conquistato una crescente gloria economica. Le business school statunitensi insegnavano tecniche di management giapponesi, termini giapponesi (come kaizen, miglioramento continuo) furono inseriti nei rapporti degli analisti di Wall Street, le scuole superiori alla moda sostituirono il latino e il francese con il “nihongo” (giapponese). Alla fine degli anni ’80 il Nikkei veniva trattato con un P/E superiore a 70; le singole società solo occasionalmente meritano prezzi così elevati, ma per un intero mercato azionario si trattava... beh... di un'esuberanza irrazionale. E la logica di tale fantasia era che il Giappone aveva più pianificatori centrali degli Stati Uniti, con l'MCII (Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria) accreditato a guidare l’economia verso il successo strategico.

Per quanto uno possa conoscere poco delle dinamiche future dei mercati, un P/E superiore a 20 è probabilmente una bolla in formazione; oltre i 70 è ora di andarsene a gambe levate.

Una cosa importante da sottolineare è che l'MCII non fu responsabile del successo del Giappone. I principali esportatori (aziende automobilistiche) ignorarono il consiglio dell'istituzione quando entrarono nel mercato statunitense e il coinvolgimento dei pianificatori centrali, non importa dove si trovino o quale lingua parlino, causa sempre problemi. Infatti i pianificatori centrali che causarono i maggiori danni furono negli Stati Uniti, non in Giappone: fecero pressioni sul Giappone affinché limitasse il numero di automobili che poteva importare negli Stati Uniti. Di conseguenza Honda e Toyota passarono a modelli più costosi e di qualità superiore, e presto dominarono l'intero mercato automobilistico mondiale.

Allora, come oggi, il ritornello popolare era: “Buy the dip!”. I giapponesi erano dei geni, si dicevano gli investitori, e si riprenderanno rapidamente. Poi, però, non si sono ripresi affatto: i gestori degli investimenti dovettero scusarsi con i loro clienti per i successivi 34 anni. Il Giappone non sarebbe più riuscito a sostenere un rally: sei volte il Nikkei ha tentato di rialzarsi e sei volte è stato rispedito al mittente. Nel 2012 – ventidue anni dopo il crollo – il mercato era ancora in calo di oltre l’80%.

Peccato per i poveri investitori! Distrutti i loro risparmi, ogni mattina si spostavano davanti allo schermo del computer, controllando i loro portafogli, solo per masticare amaro ancora e ancora. Piani per le vacanze, seconde case, pensione... tutti rimandati a data da destinarsi. Sono andati in rovina e sono impazziti. Gli investitori over 60 al momento del crollo hanno detto addio ai loro soldi e non li hanno più rivisti. Molti sono morti senza un soldo, maledicendo il giorno in cui avevano deciso di acquistare azioni.

E ora che le azioni del Nikkei sono tornate al futuro nel 1989, finalmente stanno dando i loro frutti... o forse no. I vecchi investitori sono stati risanati? No, subiscono ancora una perdita di circa il 20% al netto dell’inflazione e dopo un’intera generazione di perdite.

Questa è una Grande Perdita.


CONCLUSIONE

I pianificatori centrali hanno sempre sostenuto la natura anti-ciclica dell'industria bellica: in caso di recessione fare ricorso a tensioni geopolitiche per sistemare le cose. Il problema è che lo spazio di manovra s'è esaurito per quante volte si è fatto ricorso a questo espediente: bacino della ricchezza reale stagnante. Troppa torta economica è stata data in pasto a questa lobby. Almeno il nutrimento dato ai mastini di guerra avrà un risvolto positivo, tutto sommato: i piani del WEF sono andati in frantumi. Almeno in questa generazione non vedremo un governo unico mondiale... dal punto di vista politico. Infatti i sentieri perseguiti sono quelli battuti dal nazionalismo e dal protezionismo, in un contesto del genere è praticamente impossibile unire. Occhio, però, questo sviluppo non coincide con sovranità. A livello finanziario il discorso acquisisce una diversa accezione, invece, visto che sta emergendo sempre di più la possibilità di avere un registro contabile unico per tutte le valute con sede in Svizzera. Inutile dirlo, è un sistema di matrice cinese e la collaborazione tra Cina e Svizzera non si ferma qui, dato che va a toccare altri settori e sta irritando gli Stati Uniti. Infatti la piattaforma in evoluzione si prefigge di sostituire in un futuro prossimo il dollaro, inglobando invece l'euro; malgrado ciò stiamo parlando di una contabilità internazionale centralizzata e la creazione di un governo mondiale ombra alimentato tramite sistemi di regolamentazione finanziaria e restrizioni sull'uso del denaro.

Una severa correzione economica/finanziaria è incombente, una che farà a brandelli l'Europa in particolar modo: la Francia è ingovernabile ormai e il comparto industriale, soprattutto il settore automobilistico, è in caduta libera; la Germania condivide lo stesso fato ma su scala maggiore, senza contare l'assenza di un governo che decida per conto del popolo tedesco; l'Italia ha talmente tanti guai impilati l'uno sull'altro che è impossibile elencari tutti in serie e molti di essi sono anche emersi sulla scia della sciagurata regolamentazione europea; ecc. Stiamo, quindi, assistendo allo sgretolamento di un sistema globale che non sta più in piedi e l'epicentro è proprio l'Europa. La guerra, così come tutte le “emergenze”, maschera il passaggio da un sistema obsoleto a uno nuovo. Infatti non saranno risparmiate nemmeno le banche centrali: non è più possibile controllare un mondo finanziario diventato una giungla di derivati e tenuto insieme, fino al 2022, col nastro isolante attraverso l'eurodollaro.

Da qui la necessità di allargare ancora di più la platea di coloro che parteciperanno alla sopraccitata contabilità finanziaria centralizzata per cercare di tenere a bada le schegge impazzite che schizzeranno fuori da suddetta correzione. Nel frattempo il dollaro continuerà a essere predominante e si aiuterà a contrastare questa ondata di centralizzazione anche con Bitcoin. C'è un ricambio nel cosiddetto Deep State statunitense, con nuovi player che prendono il posto di alcuni di quelli precedenti. L'industria della tecnologia è una di questi, soprattutto il comparto legato all'intelligenza artificiale e, chissà, forse anche il mining.


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Trump è la scelta migliore per Bitcoin

Gio, 18/07/2024 - 10:08

 

 

da Bitcoin Magazine

Un americano su quattro possiede bitcoin.

La maggior parte sono americani di età superiore ai 65 anni, ma quanto spesso avete sentito i candidati alle elezioni rivolgersi ai proprietari di criptovalute?

Donald Trump ha compiuto un grande sforzo durante la sua campagna elettorale per attirare i bitcoiner.

Alla recente Libertarian National Convention, Trump ha promesso di “fermare la crociata di Joe Biden per schiacciare le criptovalute” e ha assicurato specificamente ai possessori di bitcoin che sostiene il diritto all’autocustodia.

“Con il vostro voto terrò Elizabeth Warren e i suoi scagnozzi lontani dai vostri bitcoin e non permetterò mai la creazione di una valuta digitale da parte della banca centrale”, ha detto Trump.

È chiaro quale candidato il prossimo novembre sarà la scelta migliore per i possessori di bitcoin e per l’intero settore. Trump sembra comprendere la saggezza delle posizioni pro-Bitcoin assunte da leader popolari in tutto il mondo, come i presidenti Javier Milei dell'Argentina e Nayib Bukele di El Salvador.

Di conseguenza sta prendendo una posizione chiara.

Trump riconosce il diritto all’auto-sovranità e forse nessuno comprende meglio di lui il valore della decentralizzazione, dal momento che le persone hanno perso fiducia in istituzioni come il governo e le banche. Trump è stato il bersaglio di un’azione legale senza precedenti che ha politicizzato il sistema giudiziario e le organizzazioni affiliate a lui sono state attaccate e ostracizzate sia dal punto di vista sociale che finanziario.

Il presidente Biden, nel frattempo, ha posto il veto alla legislazione che avrebbe garantito il diritto del cliente di far custodire i propri bitcoin, o altri asset digitali, al proprio istituto finanziario regolamentato, il tutto in nome della “protezione del consumatore”.

L’amministrazione Biden è stata straordinariamente ostile a Bitcoin e all’ecosistema più ampio delle criptovalute. Ha approvato l'Operazione Choke Point 2.0 in base alla quale i regolatori hanno di fatto istituito nuove regole tramite un comunicato stampa che ordina alle banche di smettere di fare affari con le aziende nel settore degli asset digitali. Inoltre la Casa Bianca ha proposto una tassa del 30% sull’energia utilizzata per minare Bitcoin, il che renderebbe non redditizio e del tutto antieconomico per il settore fare affari negli Stati Uniti. Il Dipartimento per l'Energia ha anche tentato di raccogliere informazioni riguardanti i contratti energetici dei miner Bitcoin per cercare di mandarli fuori mercato. Il Dipartimento di Giustizia ha addirittura rotto con le linee guida di lunga data del Dipartimento del Tesoro quando ha tentato di regolamentare, tramite istanza giudiziaria, i wallet self-hosted, secondo cui dovrebbero essere trattati come attività di trasmissione di denaro. Tutte queste cose sono state fatte di proposito, visto che si vuole bandire l’industria delle criptovalute.

Tutto inizia ad avere senso se si considera che l’amministrazione Biden ha anche gettato le basi per una valuta digitale della banca centrale.

Alcuni politici sostengono la creazione di una CBDC, perché desiderano il controllo completo. Vogliono essere in grado di monitorare le nostre transazioni e dirci come possiamo e non possiamo spendere i nostri soldi. Bitcoin rappresenta l’esatto opposto: la libertà dal collettivismo alimentato dallo stato e l’emancipazione dell’individuo.

Per essere chiari, ci sono molti leader pro-Bitcoin nel partito democratico, come il senatore Kirsten Gillibrand e i rappresentanti Ritchie Torres e Wiley Nickel, solo per citarne alcuni. Oltre 70 democratici alla Camera dei Rappresentanti hanno votato di recente a favore di una legislazione sulla struttura del mercato. Ma ce ne vogliono molti altri.

Il presidente Biden ha ceduto su questi temi di fronte all’autoproclamata senatrice “anti-criptovalute” Elizabeth Warren e ai suoi accoliti. Ciò ha portato a linee di politica che rispecchiano l’approccio del Partito Comunista Cinese nei confronti di Bitcoin: tagliare fuori i servizi finanziari, tentare di interrompere l’accesso all’energia in nome dell’ambientalismo, imporre regolamentazioni di mercato impossibili e fare tutto ciò che si può per ostacolare la rete Bitcoin mentre lavora allo strumento definitivo di controllo sulla popolazione, ovvero una CBDC.

La stessa senatrice Warren ha persino proposto una legislazione che vieterebbe di fatto il mining di Bitcoin negli Stati Uniti, trattando i miner alla stregua delle istituzioni finanziarie e richiedendo standard antiriciclaggio nonostante il fatto che essi non custodiscano alcun patrimonio dei clienti. Come ben sa, se non ci sono miner Bitcoin, non ci sono transazioni Bitcoin, e il percorso verso una CBDC sarebbe molto più semplice.

La buona notizia per i bitcoiner è che hanno un’alternativa chiara. Questo è fondamentale, perché un terzo degli elettori afferma di valutare le opinioni dei candidati sugli asset digitali.

La scelta è chiara: Trump proteggerà il diritto degli americani a possedere Bitcoin, a minare Bitcoin, a effettuare transazioni con Bitcoin e, per molti di noi, a lavorare nel settore Bitcoin. Ritengo che sosterrà la capacità dei miner di contribuire a rivoluzionare i settori finanziario ed energetico negli Stati Uniti e a mantenere la leadership economica americana per il futuro. E vieterà una CBDC, proteggerà l’autocustodia e impedirà ai regolatori fuori controllo di mandarci fuori mercato. Se siete dei bitcoiner, Trump è il miglior candidato quest’anno per, oserei dire, far tornare Bitcoin a essere una cosa grandiosa agli occhi del governo degli Stati Uniti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Eppure si continua a usare il termine “autoritario”

Mer, 17/07/2024 - 10:02

 

 

di Jeffrey Tucker

Conoscete il termine “autoritario” e pensate di sapere cosa significhi.

Un padre, un capo, o un governo autoritario dice: o questa minestra, oppure la finestra. Abbaiano continuamente ordini e vedono la conformità come la risposta a tutti i problemi umani. Non c’è spazio per l’incertezza, l’adattamento al tempo e al luogo, o la negoziazione. Non viene tollerato alcun dissenso.

Essere autoritari significa essere disumani, governare con imposizioni arbitrarie e capricciose. Può anche significare essere governati impersonalmente da una macchina, a prescindere dal costo.

Sembra proprio una burocrazia governativa convenzionale, giusto? Infatti basti pensare al Dipartimento della Motorizzazione Civile, all’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e al Dipartimento dell’Energia che stanno emanando proprio adesso degli editti che permetteranno alla vostra lavatrice di lavare i vestiti e alla vostra auto di andare lontano.

Ci fanno questo da molti decenni, con o senza il permesso del Congresso o del presidente. Le agenzie governative sono letteralmente fuori dal controllo, nel senso che nessuno può controllarle.

Qualsiasi società gestita da un apparato burocratico ampio e invadente è necessariamente autoritaria. Un governo che non sia autoritario è necessariamente limitato in termini di dimensioni e portata del suo potere.

Diciamo che c'è un leader politico che regolarmente chiede di poter mettere un freno all'autoritarismo delle burocrazie. Intende utilizzare tutto il potere di cui dispone per frenare il governo autonomo delle burocrazie amministrative e sottometterle ai desideri delle persone, che idealmente dovrebbero essere responsabili del sistema nel quale vivono.

Un leader del genere non sarebbe definito autoritario, verrebbe definito il contrario: un emancipatore che cerca di smantellare le strutture autoritarie.

Se tutto quanto sopra ha senso per voi, provate a dare un senso a questa notizia del New York Times, dove si parla degli sforzi di molti attivisti per resistere a un secondo mandato di Donald Trump.

L’articolo dice: “Se tornasse Trump imporrebbe cambiamenti radicali, molti dei quali con sfumature autoritarie”, tra cui “rendere più facile licenziare i dipendenti pubblici”.

Si aggiunge, poi, che intende sostituire i dipendenti licenziati con “lealisti”. Forse... Ma prendete in considerazione l'alternativa: il presidente dovrebbe essere apparentemente responsabile di oltre 2 milioni di burocrati impiegati da oltre 400 agenzie nel ramo esecutivo, ma in realtà non sono tenute a portare avanti le linee di politica del presidente eletto. Possono infatti ignorarle completamente.

Com'è compatibile tutto questo con la democrazia o con la libertà? Non lo è infatti. Non c’è nulla nella Costituzione che parli di un vasto esercito di burocrati che governano dietro le quinte e che non sia in alcun modo raggiungibile o gestibile dai rappresentanti eletti.

Il tentativo di tirarsi indietro, frenare o fare qualcosa per risolvere questo problema non è da autoritari. Anzi è proprio il contrario. Anche se i “lealisti” sostituissero i dipendenti licenziati, ciò rappresenterebbe un miglioramento rispetto a un sistema di governo in cui le persone non hanno davvero alcun controllo.

A due anni dal primo mandato di Trump, la sua amministrazione capì che questo era un problema. Prevedeva alcune svolte cruciali nella linea di politica in una serie di settori e tutto ciò che ha ottenuto, invece, è stata la tenace resistenza da parte di persone che credevano che fossero loro a comandare e non il presidente eletto. Nei due anni successivi sono stati compiuti molti sforzi per risolvere almeno questo problema: il presidente dovrebbe essere responsabile del governo che rientra nella sua giurisdizione.

Ciò ha senso. Immaginate di essere l'amministratore delegato di un'azienda e scoprite che le divisioni principali che di fatto gestiscono l'azienda non si preoccupano di ciò che dite e non possono essere licenziate anche se lo ritenete opportuno: eppure siete ritenuti personalmente responsabile di tutto ciò che fanno quelle divisioni. Che cosa fareste?

Non è da “autoritari” spodestare o tentare in altro modo di ottenere il controllo su ciò di cui si è ritenuti responsabili, a livello professionale o politico. Questo è tutto ciò che suggeriscono i sostenitori di Trump e non è altro che un sistema costituzionale: dovremmo avere un governo da e per il popolo. Ciò significa che il popolo elegge l’amministratore del potere esecutivo e, come minimo, il vincitore delle elezioni deve essere in grado di avere una certa influenza su ciò che fanno le agenzie del ramo esecutivo.

E per aver suggerito questa linea d'azione e aver cercato di perseguirla, Trump viene definito autoritario. Preparatevi: verrà detto milioni di volte da qui a novembre. Possono i media generalisti cambiare completamente il significato di un termine? Certo che possono, ma ci sono anche tutte le ragioni per impedire che ciò accada.

Il linguaggio è un costrutto umano. Più la società è vivace e in rapido movimento, più il linguaggio cambia. Può essere una cosa meravigliosa e infatti uno dei miei libri preferiti è The American Language di H. L. Mencken, scritto da questo genio quando veniva censurato per le sue opinioni in tempo di guerra.

È una meravigliosa cronaca dell'evoluzione degli usi/costumi americani, pubblicata nel 1919, ma stranamente pertinente anche oggi, applicabile al numero sempre minore di persone che riescono ancora a formare frasi coerenti.

Quando si tratta di vocabolario, ci sono due scuole di pensiero in generale: prescrittivista e descrittivista. La visione prescrittivista è che le parole hanno significati intrinseci che si possono rintracciare da altre lingue e dovrebbero essere usate come previsto. L’approccio descrittivista vede il linguaggio più come un’esperienza viva, uno strumento utile per rendere possibile la comunicazione, nel qual caso tutto va bene.

Come americani, accettiamo per lo più la prospettiva descrittivista, ma questa può spingersi ben oltre. Le parole non possono significare letteralmente nulla, tanto meno il contrario, ed è esattamente ciò che sta accadendo. Lo stesso vale per la parola “democrazia”, che dovrebbe significare la scelta del popolo, non qualunque cosa le élite ci propongano. Se Trump è la scelta, così sia; rappresenterebbe lo sviluppo della democrazia.

Se vogliamo che il presidente sia l’amministratore delegato del ramo esecutivo del governo – e questa è una descrizione abbastanza buona di ciò che stabilisce la Costituzione degli Stati Uniti – allora l’amministrazione dovrebbe avere quell’autorità gestionale. Se non vi piace, parlatene coi Padri Fondatori.

Ricordate: qualsiasi società gestita da un apparato burocratico ampio e invadente è necessariamente autoritaria. Un governo che non sia autoritario è necessariamente limitato in termini di dimensioni e portata del potere.

Qualunque presidente che agisca per frenare il potere e la portata dell’autorità arbitraria non è un autoritario, bensì uno che cerca di restituire autorità al popolo. Un essere umano simile sarebbe un emancipatore, anche se tutti dovessero dire il contrario.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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La Federal Reserve, ieri

Mar, 16/07/2024 - 10:11

Il pezzo di oggi non deve essere inteso come un mero esercizio di critica fine a sé stesso. Il pezzo di oggi vuole portare all'attenzione del lettore l'obiettivo finale dell'attuale strategia d'uscita da parte di Powell: ritorno della politica monetaria statunitense nelle mani della Federal Reserve e contrazione di quell'interventismo della banca centrale americana che, negli ultimi 20 anni in particolar modo, è diventato onnipresente. È importante notare il momento in cui questo treno è deragliato e, “guarda caso”, è coinciso con l'espansione incontrollata del mercato degli eurodollari. Non solo, tale degenerazione era diventata una manna per i mercati finanziari ogni volta che finivano nei guai. L'abbattimento selettivo dei livelli di leva finanziaria che si sono accumulati nel sistema bancario ombra, cosa che ha fatto schizzare alle stelle le masse monetarie ombra, rappresenta un gigantesco spartiacque nella linea di politica della Federal Reserve, la quale mira a togliersi di dosso l'aura di “ente salvatore del mondo”, obtorto collo, nei momenti di stress economico/finanziario. Per quanto i mercati mondiali abbiano testato la volontà di Powell nel voler perseguire questa strada dopo tutto il 2022 e 2023, la sua campagna “higher for longer” sta sortendo gli effetti desiderati e, soprattutto, sta ridonando credibilità ai mercati dei capitali statunitensi. Detto in parole povere, il ritorno del cosiddetto “tocco leggero” o “guardiano passivo” è il ruolo che Powell vuole ricucire sul vestito sfilacciato della FED a causa di decenni di interventismo progressivo e manipolazione/distorsione/deformazione innaturale dei mercati attraverso gli eurodollari.

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di David Stockman

L’economia americana del dopoguerra se la cavò bene tutto sommato, senza alcun obiettivo riguardo i tasso d'interesse, acquisto di obbligazioni, o aiuto generale nella gestione macroeconomica da parte della FED. L'onnipresente dominio del sistema bancario centrale sul sistema finanziario ed economico era inesistente all'epoca.

Sto parlando dell’intero decennio compreso tra il quarto trimestre del 1951 e il terzo trimestre del 1962, quando il bilancio della FED rimase piatto a soli $51 miliardi (linea nera), ciononostante l’economia statunitense non vacillò per la mancanza di ossigeno monetario. Durante quel periodo il PIL crebbe da $356 miliardi a $609 miliardi, ovvero del 71% (linea viola), una crescita nominale del 5,1% annuo e la maggior parte di essa rappresentava guadagni di produzione reale, non inflazione.

Variazione del bilancio della Federal Reserve rispetto al PIL, dal quarto trimestre del 1951 al terzo trimestre del 1962

Si dà il caso che il sopraccitato arco temporale abbracciasse il periodo immediatamente successivo al cosiddetto Accordo Tesoro-FED del marzo 1951, il quale pose fine all’espediente della Seconda Guerra Mondiale che aveva fissato i titoli del Tesoro statunitensi a breve termine allo 0,375% e quelli a lungo termine al 2,50% al fine di finanziare il flusso di debiti di guerra.

L’effetto di questi ancoraggi fu che la FED fu obbligata ad assorbire tutta l’offerta di titoli del Tesoro statunitensi che il mercato non riequilibrava ai rendimenti target. Non sorprende che il bilancio della FED, $12 miliardi nel 1937, fosse aumentato di 4,3 volte arrivando a $51 miliardi al momento di suddetto Accordo, riflettendo quella che equivaleva a una monetizzazione del debito pubblico giustificata dalla  esigenze della guerra.

Nel periodo post-ancoraggio mostrato di seguito, la FED permise ai tassi d'interesse di trovare i propri livelli di compensazione di mercato. Diversamente da quello che accade oggi, a Wall Street non ci furono continue ipotesi riguardo al livello a cui la FED avrebbe fissato i tassi d'interesse a breve termine. Allora era chiaro che le forze della domanda e dell’offerta nei mercati obbligazionari erano pienamente in grado di scoprire i giusti tassi d'interesse.

La combinazione di crescita elevata, investimenti robusti, salari forti e reddito familiare reale in forte aumento, da un lato, e inflazione ai minimi dall’altro, costituisce la regola aurea di performance per una moderna economia capitalista.

Il tutto avvenne in un sistema “tocco leggero” delle banche centrali che presupponeva che il capitalismo di libero mercato avrebbe trovato la propria strada verso una crescita economica, occupazione, investimenti e prosperità ottimali. Non era necessario nessuno sherpa monetario all'Eccles Building.

Non era nemmeno necessaria alcuna stampa di denaro. I risultati economici descritti di seguito si sono verificati durante un periodo di 11 anni in cui la FED non acquistò un centesimo di debito del Tesoro statunitense!

Variazione annua, dal quarto trimestre del 1951 al terzo trimestre del 1962

• Vendite finali reali: +3,8%

• Investimenti reali interni: +4,1%

• Crescita della produttività non agricola: +2,5%

• Salario orario reale: +3%

• Reddito familiare medio reale: +2,3%

• Aumento dell’IPC: +1,3%

Passività della Federal Reserve, dal 1937 al 1962

Non c’è assolutamente nulla in tal periodo che renda la performance macroeconomica sopra riassunta aberrante, casuale, o irreplicabile. Infatti il presidente Eisenhower tagliò drasticamente le spese per la difesa ed eliminò completamente il deficit fiscale durante il suo secondo mandato, pertanto l’aumento cumulativo del debito pubblico durante quel periodo di 11 anni fu di appena $30 miliardi, ovvero un esiguo 0,6% del PIL, a causa dei prestiti contratti durante la Guerra di Corea.

Ma anche questo modesto aumento del debito non fu monetizzato dall’acquisto di obbligazioni da parte della FED, invece fu finanziato con i risparmi privati. I rendimenti obbligazionari a lungo termine, quindi, salirono dal livello fissato al 2,5% mostrato di seguito fino al 4%, come dettato dalla domanda e dall’offerta. Tuttavia nel periodo 1959-1962 l’IPC si attestò in media solo all’1,2%, il che significa che i rendimenti reali sfiorarono il +3,0% durante i primi anni ’60.

All’epoca la FED non aveva visto la necessità di spingere i tassi reali a zero e addirittura in territorio negativo, come è avvenuto per gran parte degli ultimi due decenni. Il fatto è che l’economia di Main Street prosperò enormemente e i tassi aggiustati all’inflazione fornirono un solido rendimento a risparmiatori e investitori.

Rendimento dei titoli del Tesoro USA a lungo termine, dal 1942 al 1962

Ciò che pose fine all’economia favorevole dal 1951 al 1962 fu il flagello della finanza di guerra. LBJ (Lyndon B. Johnson) intensificò la guerra del Vietnam dopo il 1963, provocando un’impennata del debito e un aumento del decennale statunitense fino a quasi il 6% all’inizio del 1968. Ma Johnson non era disposto a lasciare che i tassi d'interesse di compensazione finanziassero la sua miserabile impresa di portare la Great Society nel Sud-est asiatico.

Così “persuase” il presidente della FED nel suo ranch in Texas e ordinò di tagliare il tasso di riferimento per far fronte al crescente deficit federale. Quest’ultimo era cresciuto da $4,8 miliardi e -0,8% del PIL nel 1963 a $25,2 miliardi e -2,8% del PIL nel 1968.

Sfortunatamente, dopo aver aumentato costantemente il tasso di riferimento dal 2,9% nel dicembre 1962 al 5,75% nel novembre 1966, mentre crescevano anche i deficit di Johnson, la FED abbassò suddetto tasso di riferimento al 3,8% nel luglio 1967. A sua volta ciò scatenò un’ondata di speculazione e inflazione, con l’indice dei prezzi al consumo che salì dall’1% annuo nell’agosto 1964 a un picco di +6,4% nel febbraio 1970.

Non vi è alcun mistero sul motivo per cui il genio dell’inflazione fosse ormai uscito dalla lampada: tra il terzo trimestre del 1962 e il quarto trimestre del 1970, il bilancio fino ad allora piatto della FED (linea nera) salì alle stelle, passando da $52 miliardi a $85 miliardi nel corso di un periodo di otto anni. Ciò equivaleva a un aumento del 6% annuo, il che significava che il precedente di un’espansione aggressiva del bilancio era ormai saldamente stabilito.

Rendimento del decennale statunitense aggiustato all’inflazione & crescita del bilancio della FED, dal 1962 al 1970

La prima vittima, ovviamente, sono stati i rendimenti obbligazionari aggiustati all’inflazione (linea viola). Come mostrato sopra, il sano rendimento reale al +3% del 1962 scese ad appena il +1% alla fine del 1970.

La FED non fu spinta a questo primo giro di stampa di denaro e monetizzazione del debito sin dal dopoguerra perché l’economia privata era entrata in un misterioso svenimento o modalità di fallimento, e quindi aveva bisogno dell’aiuto della banca centrale.

Al contrario, si trattò di un allontanamento, guidato da Washington, da una sana attività bancaria centrale; da lì in poi si è partiti per la tangente.

Una volta uscito dalla lampada il genio dell’inflazione, con l’indice dei prezzi al consumo che raggiunse il 6% nell’autunno del 1970, la FED lottò per più di un decennio per riportarlo dentro. Di conseguenza qualsiasi attenzione allo stimolo della crescita, dell’occupazione, dell’edilizia abitativa e degli investimenti fu rara e decisamente secondaria rispetto alla lotta all’inflazione.

È importante notare che, nonostante quattro recessioni (1970, 1975, 1980 e 1981) e pochissimo aiuto a favore della crescita da parte di quella che era ormai diventata una FED ossessionata dall’inflazione, l’economia statunitense si espanse a un ritmo decente durante l’intervallo tra il quarto trimestre del 1969 e il secondo trimestre del 1987.

Il tasso di crescita economica (base reale delle vendite finali) fu in media di un solido +3,1% annuo, ma ciò avvenne grazie alle propensioni alla crescita insite nel capitalismo e nonostante gli ostacoli periodici durante le contrazioni monetaria. Infatti tre presidenti della FED prestarono servizio durante quell’intervallo di 17,5 anni – Burns, Miller e Volcker – e con vari gradi di successo il loro obiettivo fu prevalentemente quello di sopprimere l’inflazione, non di stimolare la crescita.

I tassi di crescita dell’occupazione, della produttività e del reddito familiare medio reale durante suddetto periodo non furono particolarmente eccezionali, malgrado ciò questi stessi parametri non sprofondarono nemmeno in un buco nero.

Questi risultati furono opera del capitalismo di mercato, non del sistema bancario centrale. Quest’ultimo si oppose fortemente all’inflazione per gran parte di quel periodo, quindi l'assenza di “aiuto” da parte della banca centrale fu solo un’ulteriore prova del fatto che lo stimolo monetario non è necessario per una crescita solida e la prosperità.

Variazione annua, dal quarto trimestre 1969 al secondo trimestre 1987

• Vendite finali reali del prodotto interno: +3,1%

• Ore lavoro impiegate: +1,5%

• Produttività non agricola: +1,8%

• Reddito familiare medio reale: +1,2%

A scanso di equivoci, ecco il percorso del tasso di riferimento mentre si stava svolgendo la performance macroeconomica di cui sopra. In altre parole, le ricorrenti iniziative anti-inflazione della FED fecero sì che suddetto tasso saltasse in alto come una sorta di fagiolo saltatore. Nel periodo precedente a ciascuna delle quattro recessioni indicate dalle aree ombreggiate nel grafico, l’aumento del tasso di riferimento della FED è stato il seguente:

• 1970: +340 punti base

• 1974: +960 punti base

• 1980: +1290 punti base

• 1981: +440 punti base

Inutile dire che queste successive campagne di rialzo dei tassi ammontarono a colpi di martello per l’economia di Main Street. Non è possibile che queste violente oscillazioni dei tassi d'interesse e il conseguente avvio e arresto dei cicli economici – quattro recessioni in soli 17 anni – siano stati un tonico per la crescita durante quest’era di inflazione elevata.

Infatti la performance macroeconomica ragionevolmente solida sopra quantificata rappresenta una sorta di minimo del libero mercato. Riflette la spinta incessante di lavoratori, consumatori, imprenditori, uomini d’affari, investitori, risparmiatori e speculatori a migliorare la propria situazione economica, anche di fronte agli ostacoli inflazionistici e alla manipolazione finanziaria anti-inflazione da parte della banca centrale.

Tasso di riferimento, da agosto 1968 a giugno 1987

Naturalmente, gli ostacoli all’inflazione erano enormi e ben al di là di qualsiasi precedente esperienza in tempo di pace. Rispetto all’inflazione media dell’1,3% nel periodo 1951-1962, l’IPC salì al 5,6% nel periodo quarto trimestre del 1969 e secondo trimestre del 1987.

E ciò includeva il beneficio del forte calo dell’inflazione progettato da Paul Volcker durante gli ultimi quattro anni di suddetto periodo. Pertanto durante il decennio degli anni ’70, fino al picco di inflazione annuo del 14,6% nell’aprile 1980, l’IPC salì in media del 7,7% annuo.

A sua volta ciò introdusse per la prima volta le classi salariate nella routine dei tassi salariali nominali in forte aumento, quasi interamente consumati dal forte aumento dei prezzi al consumo. Pertanto durante il decennio terminato con il picco inflazionistico nel secondo trimestre del 1980, la retribuzione oraria media in termini nominali salì del 7,6% annuo, ma, ahimè, ciò che rimase impresso sui conti bancari dei lavoratori fu un guadagno di solo l’1,1% annuo nello stesso periodo. Tutto il resto fu divorato dall’inflazione.

Variazione annua dell'indice dei prezzi al consumo, dal 1960 al 1987

Se l’effetto tapis roulant salari/prezzi introdotto dopo il 1969 fosse tutto, l’impatto avremmo potuto considerarlo tollerabile. La resilienza del capitalismo di mercato si è dimostrata sufficientemente forte da superare gran parte degli ostacoli inflazionistici, insieme ai cicli punitivi di stretta anti-inflazione della FED.

Sfortunatamente, però, ciò che si materializzò negli anni ’70 furono due corollari estremamente dannosi.

Il primo era l’idea che il compito della banca centrale fosse quello di gestire il tasso di variazione del livello generale dei prezzi piuttosto che il mandato originario, molto più modesto. Quest’ultimo presupponeva la presenza di una moneta non inflazionistica coperta dall’oro, quindi la gestione dell’inflazione sarebbe stata un ossimoro. Di conseguenza il mandato statutario della FED era semplicemente quello di fornire liquidità e riserve al sistema bancario sulla base dei tassi d'interesse di mercato. I capi della FED non avevano bisogno di conoscere l'IPC, il deflatore PCE, o qualsiasi altro metro di misurazione moderno dell'inflazione che ancora non era stato inventato.

In realtà, la gestione del ritmo di breve periodo con cui il livello generale dei prezzi sale ha rappresentato un passaggio fatale verso il sistema bancario centrale statalista e la gestione plenaria della macroeconomia in cui gli indici dell'inflazione sono inestricabilmente integrati. Alla fine il figlio bastardo di questa apertura a un potere statale ampliato si è materializzato come il feticcio dell’inflazione al 2%.

Ecco il punto: fino a quando il dollaro coperto dall’oro non fu stroncato da Nixon nell’agosto del 1971 e la possibilità di un’inflazione crescente e persistente in tempo di pace non si materializzò negli anni ’70, l’idea di una gestione del tasso d'inflazione da parte della banca centrale non era neanche lontanamente contemplata. Questo perché la stabilità dei prezzi in tempo di pace era la condizione predefinita del mondo durante il gold standard. Infatti dalle guerre napoleoniche in poi “inflazione” e tempo di guerra furono praticamente sinonimi, perché la moneta fiat era quasi invariabilmente un espediente temporaneo in tempo di guerra.

L’altra eredità degli anni ’70 è stata l’esplosione dei costi unitari del lavoro nell’economia statunitense. Questa deformazione economica inutile, ma pervasiva, alla fine ha portato alla massiccia delocalizzazione dell’economia industriale statunitense.

L’implicazione in tutto ciò è che sarebbe stato molto meglio restare fedeli all’epoca d’oro di William McChesney Martin, caratterizzata da una crescita elevata, una bassa inflazione, un bilancio piatto della Federal Reserve e tassi d'interesse guidati dalle forze della domanda e dell’offerta nei mercati finanziari. Purtroppo il bilancio della FED durante il decennio di alta inflazione era tutt’altro che piatto.

Durante la presidenza dei tre governatori successivi a Martin, il bilancio della FED crebbe ai seguenti ritmi annuali composti:

• Arthur Burns (dal febbraio 1970 al marzo 1978): +6,9%

• William Miller (dal marzo 1978 ad agosto 1979): +9,5%

• Paul Volcker (dall'agosto 1979 ad agosto 1987): +6,8%

Crescita del bilancio della Federal Reserve, dal primo trimestre del 1970 al secondo trimestre del 1987

In poche parole, Volcker rallentò bruscamente la crescita travolgente del bilancio della FED che si era verificata sotto la presidenza di William Miller, lo sfortunato ex-amministratore delegato di un conglomerato che produceva golf cart, motoslitte e aerei Cessna. Ma alla fine anche Volcker continuò a pompare nuova moneta nell’economia a un ritmo appena inferiore a quello di Arthur Burns. E Burns, ovviamente, era lo smidollato che aveva ignominiosamente ceduto alle suppliche di Nixon a sostegno della sua campagna di rielezione nel 1972.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Panico da petrodollaro: separare la realtà dalla finzione

Lun, 15/07/2024 - 10:09

 


di Michael Lebowitz

Di recente i media generalisti hanno avvertito dell’imminente fine dell’accordo sul petrodollaro, comunemente chiamato petrodollaro. Con tali narrazioni arriva l’ansia degli investitori soprattutto se si prendono in considerazione i seguenti titoli sull'argomento.

• L’OPEC interromperà il legame con il dollaro per la determinazione del prezzo del petrolio – The New York Times

• Il petrodollaro è morto e questo è un grosso problema – FX Street

• Dopo 50 anni la morte del petrodollaro segnerà la fine dell'egemonia statunitense – The Street Pro

Prima di saltare alle conclusioni, discutiamo di cosa è e cosa non è il petrodollaro. Con questa consapevolezza potremo poi affrontare le preoccupazioni sulla sua presunta morte. Inoltre possiamo screditare titoli minacciosi come: L'accordo sul petrodollaro scade: perché questo potrebbe innescare il “collasso di tutto”.

Prima di iniziare è necessario fare un disclaimer: l'articolo del New York Times di cui abbiamo parlato sopra non è recente, l'ho aggiunto per dimostrare che questa non è una storia nuova. L’articolo del giugno 1975 inizia così:

LIBREVILLE, Gabon, 9 giugno — I Paesi produttori di petrolio hanno concordato oggi di recidere il legame tra i prezzi del petrolio e il dollaro e di iniziare a quotare i prezzi in Diritti Speciali di Prelievo, ha detto il governatore della banca nazionale iraniana, Mohammed Yeganeh.


Cos'è il petrodollaro?

Nel 1974, in seguito all’embargo petrolifero in cui il prezzo del petrolio greggio al barile aumentò di quattro volte, provocando quindi un’impennata dell’inflazione dei prezzi e indebolendo l’economia, gli Stati Uniti cercarono disperatamente di evitare un altro embargo a tutti i costi. I politici statunitensi teorizzavano che un rapporto più forte con l’Arabia Saudita avrebbe contribuito notevolmente al raggiungimento del loro obiettivo.

Fortunatamente anche i sauditi speravano in una relazione vantaggiosa con gli Stati Uniti e avevano bisogno di investimenti affidabili per le loro nuove ricchezze; desideravano anche un migliore equipaggiamento militare. All’epoca l’Arabia Saudita fece registrare un enorme surplus di bilancio a causa dei guadagni derivanti dagli alti prezzi del petrolio e dalle esigenze di spesa relativamente minori provenienti dall’interno del Paese.

Sebbene non sia mai esistito un patto formale sul petrodollaro, è opinione diffusa che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita abbiano stipulato un accordo sottobanco per soddisfare i reciproci bisogni. L’Arabia Saudita fu incoraggiata a investire il proprio surplus in titoli del Tesoro statunitensi, in cambio gli Stati Uniti avrebbero venduto attrezzatura militare all’Arabia Saudita. Entrambi speravano che una relazione migliore sarebbe stata un sottoprodotto di questo accordo.


Il petrodollaro non riguardava realmente il dollaro

Ritengo che le discussioni sul petrodollaro riguardassero principalmente l’Arabia Saudita che necessitava di un luogo sicuro per i propri surplus e gli Stati Uniti che cercavano dollari per finanziare i propri deficit fiscali. Anche se il dollaro sarebbe stata la valuta per tali transazioni, probabilmente non era il fulcro dei colloqui.

Nell’affrontare gli immensi costi della guerra in Vietnam e l’ambiziosa spesa sociale per pacificare i disordini sociali, l’America cercò finanziamenti in deficit; l’Arabia Saudita aveva bisogno di investire le sue eccedenze. Considerata la liquidità e la sicurezza senza precedenti del mercato dei titoli del Tesoro statunitense rispetto ad altre opzioni, l’“accordo” aveva molto senso per entrambe le parti. Inoltre, poiché i proventi petroliferi sauditi sarebbero stati utilizzati per acquistare titoli del Tesoro statunitensi, era logico che l’Arabia Saudita richiedesse ad altri acquirenti di petrolio di pagare in dollari.

Condivido due grafici per apprezzare meglio il deterioramento della posizione fiscale statunitense in quel momento. Il primo grafico qui sotto evidenzia i deficit durante la metà degli anni ’70. Oggi molti considererebbero ridicolo un deficit di $50 o $60 miliardi; d’altra parte i deficit rappresentavano un netto allontanamento dalla norma.

Il secondo grafico fornisce il contesto adeguato: la nazione stava sperimentando deficit federali più significativi tra la metà e la fine degli anni ’70 rispetto a quelli affrontati durante la seconda guerra mondiale. Considerata l’immensa spesa per quest'ultima, tale fatto fu sorprendente per molte persone all’epoca.


L'Arabia Saudita non ha dollari da investire

Oggi la situazione è diversa. L’America ha ancora un disperato bisogno di finanziamenti, ma l’Arabia Saudita non ha surplus di bilancio da investire. Secondo un articolo di Bloomberg intitolato Il petrodollaro è morto, lunga vita al petrodollaro:

Avanti veloce fino ad oggi e l'Arabia Saudita non ha affatto un surplus da riciclare. Invece il Paese si sta indebitando pesantemente sul mercato del debito sovrano e sta vendendo asset, comprese parti della sua compagnia petrolifera nazionale, per finanziare i suoi piani economici. È vero, Riyadh detiene ancora importanti riserve in valuta forte, alcune delle quali investite in titoli del Tesoro statunitensi, ma non li accumula più. La Cina e il Giappone hanno molto più denaro immobilizzato sul mercato del debito americano rispetto ai sauditi.


Il monopolio sulle riserve

Molti credono che il governo degli Stati Uniti costringa i Paesi stranieri a utilizzare il dollaro, forzandoli così ad avere riserve in dollari. Ciò sembra logico in quanto le riserve devono essere investite e possono contribuire a finanziare i nostri deficit.

Non sappiamo cosa dicono i nostri politici agli altri Paesi a porte chiuse, ma presumiamo che una certa “persuasione” spinga altri Paesi a utilizzare il dollaro. Indipendentemente da ciò, non ci sono molte opzioni oltre al dollaro.

Gli Stati Uniti offrono ad altre nazioni il posto migliore in cui investire per quattro ragioni principali:

Le quattro ragioni, lo stato di diritto, la liquidità dei mercati finanziari e la potenza economica e militare, garantiscono che la morte del dollaro non avverrà in tempi brevi.

Nessun altro Paese possiede tutte e quattro queste caratteristiche. Cina e Russia non dispongono dello stato di diritto e di mercati finanziari liquidi; inoltre la Russia ha un’economia piccola e fragile. L’Europa non ha mercati dei capitali sufficientemente liquidi, né potenza militare.

Si dice spesso che l’oro e Bitcoin siano candidati a usurpare il dollaro. Tanto per cominciare, non guadagnano un ritorno sull’investimento e i loro prezzi sono incredibilmente volatili. Ci sono molte altre difficoltà che impediscono loro di ottenere lo status di valuta a pieno titolo, che tratterremo però in un altro articolo.


Riepilogo

Anche se ci fosse stato un accordo formale, il petrodollaro non andrà da nessuna parte. Anche se l’Arabia Saudita accetta rubli, yuan, pesos, od oro per il suo petrolio, dovrà convertire quelle valute in dollari in quasi tutti i casi.

L’Arabia Saudita mantiene ancora il suo valore valutario ancorato al dollaro, come mostrato nel grafico qui sotto. Detengono inoltre circa $135 miliardi in titoli del Tesoro statunitensi, il massimo degli ultimi tre anni. Sembra davvero che l’Arabia Saudita stia cercando di dissociarsi dal dollaro e dai mercati finanziari statunitensi?

Storie come quella sul petrodollaro e sulla sua morte “imminente” del dollaro circolano da decenni. Un giorno avranno ragione e il dollaro seguirà la strada delle precedenti valute di riserva mondiali, ma affinché ciò accada è necessario che ci sia un’alternativa migliore e ad oggi non esiste nulla che ci si avvicini.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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