Rischio in crescita nei mercati del credito e nel sistema bancario ombra
L'articolo di oggi potremmo considerarlo un addendum al mio ultimo libro, “Il Grande Default”, dato che va ad aggiornare la situazione nel sistema bancario ombra in base agli eventi che si sono svolti sin dalla sua pubblicazione. Leggendo suddetto libro si acquisiscono le basi per comprendere le meccaniche con cui opera tale settore, permettendo al lettore, poi, di affrontare letture più “impegnative” come la seguente. Fortunatamente l'esposizione di Johnson è chiara e lineare, quindi il lettore non avrà difficoltà a seguire il filo. Ciononostante avere un quadro generale coerente ed esaustivo in mente è un requisito minimo per comprendere come si sia evoluto il sistema finanziario al giorno d'oggi e quali rischi pone per il futuro. Per quanto possa sembrare, di primo acchito, una cosa negativa, bisogna tenere a mente un'identità importante: rischio = opportunità. E riuscire a identificare la natura del rischio ex ante e prima degli altri rappresenta una doppia opportunità.
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La trasformazione dei servizi bancari e finanziari, dai tradizionali mercati pubblici e dal sistema bancario stesso, è stata significativa sin dalla crisi finanziaria globale del 2008.
Questo cambiamento ha rimodellato il panorama finanziario, poiché più attività che un tempo erano dominate da banche e mercati pubblici si sono spostate nei settori finanziari privati e non bancari.
Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria, il mondo finanziario ha subito un grave crollo. Le banche, che erano state la spina dorsale dei prestiti e della liquidità, hanno smesso di fidarsi l'una dell'altra, cessando di concedere prestiti sui mercati overnight, cruciali per la liquidità a breve termine. Contemporaneamente i mercati pubblici hanno subito perdite immense, con l'indice S&P 500 che è crollato di circa il 50%.
Di conseguenza sia il sistema bancario che i mercati pubblici si sono congelati, diventando illiquidi e disfunzionali quasi da un giorno all'altro. Ciò che un tempo era stato un ecosistema finanziario altamente liquido e perfettamente funzionante si è bloccato.
Facciamo un salto al presente e assistiamo a un'evoluzione sorprendente: il settore finanziario non bancario, che comprende istituzioni come hedge fund, società di private equity e banche ombra, è cresciuto più del settore bancario tradizionale. Analogamente i mercati privati, come quelli per il private equity, il debito privato e i prestiti diretti, si stanno espandendo a un ritmo molto più rapido rispetto ai mercati pubblici.
Questa rapida crescita sta modificando radicalmente la struttura della finanza globale.
Un cambiamento di questa portata solleva questioni critiche sul potenziale impatto sulle future crisi finanziarie. Una questione chiave è che la valutazione del rischio è ora concentrata in mercati che sono intrinsecamente meno liquidi. Anche prima che si verifichi una crisi di liquidità, il sistema finanziario sta accumulando rischi in mercati che, per loro natura, sono più difficili da abbandonare rapidamente. Cosa succede quando questi mercati già illiquidi affrontano uno shock e diventano ancora meno liquidi, innescando potenzialmente una crisi?
Si prendano in considerazione i prestiti diretti, il credito privato e gli investimenti in private equity, tutti ampiamente concentrati nel settore finanziario non bancario. Se il sistema finanziario globale dovesse sperimentare una crisi della portata di quella del 2008, quando la liquidità si è prosciugata nei mercati pubblici altamente liquidi, cosa accadrebbe se il punto di partenza per la valutazione del rischio fossero i mercati privati molto meno liquidi?
Le conseguenze potrebbero essere più gravi e di maggiore vasta portata.
Questo saggio esplora la rapida espansione del settore finanziario non bancario e i vincoli di liquidità che caratterizzano i mercati privati.
Una delle principali preoccupazioni relative alle crisi di liquidità sono gli effetti a cascata, di secondo e terzo ordine, che possono venirsi a creare. Questi effetti si verificano quando i mercati percepiti come liquidi, mercati in cui gli investitori credono di poter facilmente acquistare e vendere asset, diventano improvvisamente illiquidi, intrappolando i partecipanti e causando diffuse interruzioni.
Tali effetti di secondo e terzo ordine spesso hanno un impatto su investitori, istituzioni e settori che normalmente si considererebbero isolati dalle attività finanziarie ad alto rischio.
Tuttavia l'interconnessione dell'ecosistema finanziario globale significa che gli shock in una parte del sistema possono rapidamente riverberarsi su altre, coinvolgendo attori apparentemente non correlati. Ecco perché comprendere il sistema bancario ombra, i mercati privati e il sistema finanziario non bancario è fondamentale per valutare i rischi a cui è esposto il sistema finanziario nel suo complesso.
La crescente importanza dei mercati finanziari non bancari e privati presenta nuove sfide per la gestione della liquidità e del rischio sistemico. Man mano che il sistema finanziario diventa più dipendente da questi settori meno liquidi, aumenta il potenziale per crisi di liquidità e i loro effetti a catena nell'economia globale, evidenziando l'importanza di monitorare e affrontare i rischi negli ecosistemi del sistema bancario ombra e del mercato privato.
Contesto: la crisi finanziaria globale
Non esistono due crisi finanziarie esattamente uguali, sebbene il comportamento e le emozioni umane siano sempre centrali in esse. Ogni crisi ha le sue caratteristiche uniche e, finché la natura umana rimarrà costante, i cicli di espansione e contrazione saranno inevitabili.
Date le valutazioni azionarie storicamente elevate di oggi, i paragoni con la crisi finanziaria globale del 2008 e la bolla delle dot-com della fine degli anni '90 sono scontati e l'attuale entusiasmo per l'intelligenza artificiale ricorda i periodi di euforia del passato. Tuttavia è importante ricordare che le valutazioni sono sintomi di condizioni di mercato più ampie, non le cause sottostanti. Ad esempio, durante la Mania olandese per i tulipani del 1636, un singolo tulipano nero era valutato diversi anni di stipendio, un indicatore che qualcosa non andava, ma non la radice del problema.
Individuare il momento esatto in cui inizia una crisi finanziaria è spesso possibile solo a posteriori. La crisi finanziaria globale è iniziata con il crollo di due hedge fund di Bear Stearns nel 2007? È stata innescata dalla caduta di Bear Stearns stessa? O forse il crollo della Lehman Brothers? Alcuni potrebbero persino sostenere che è iniziata con l'analisi di Meredith Whitney del 2008, la quale rivelò che Citigroup non era riuscita a conservare il suo dividendo. La risposta dipende dalla prospettiva: coloro che sono stati direttamente colpiti da questi eventi probabilmente darebbero tempistiche diverse.
Ciò che è fondamentale oggi è capire che confrontare le attuali condizioni di credito con quelle del 2008 è fuorviante.
Tutte le crisi di credito hanno una caratteristica comune: standard di prestito lassisti. Prima della crisi finanziaria globale i prestiti subprime rappresentavano circa il 3% dei prestiti ipotecari; nel 2007 erano saliti a quasi il 25%. Gli standard di prestito si deteriorarono così tanto che i default sulla prima rata del mutuo salirono a dismisura, ma questa era solo una parte del problema.
Altri attori chiave della crisi erano istituzioni come Fannie Mae, Freddie Mac e l'assicuratore ipotecario MBIA. Finché queste entità mantenevano i loro elevati rating creditizi, erano in grado di continuare a emettere prestiti a mutuatari che non erano in grado di rimborsarli. MBIA, ad esempio, sottoscrisse miliardi in passività detenendo solo $30 milioni in fondi degli azionisti.
Ma il vero punto di rottura si è verificato quando le grandi banche smisero di prestarsi denaro a vicenda da un giorno all'altro, spinte dalle preoccupazioni sulla liquidità delle controparti e sui loro bilanci eccessivamente indebitati. Bear Stearns, ad esempio, aveva $3 di capitale per ogni $100 di attivi, un rapporto di leva precario di 33:1.
Una volta che i regolatori sono intervenuti dopo la crisi, hanno cercato di impedire che si ripetesse imponendo regole più severe alle grandi banche attraverso il Dodd-Frank Act. Ciò ha ridotto le attività di trading e market making, allineando questi giganti della finanza. Ma come in ogni sistema finanziario, dove c'è domanda, l'offerta troverà una via. Questa volta sono intervenuti gli intermediari finanziari non bancari. In poco più di un decennio, questi ultimi sono cresciuti fino a diventare i maggiori finanziatori, superando le banche tradizionali.
La lezione qui è semplice: la domanda di credito non scompare, ma cambia. Capire dove va questa domanda è fondamentale per prevedere come potrebbero svilupparsi i rischi finanziari futuri.
La rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari
Oltre alla crescente pressione normativa sulle banche dopo la crisi del 2008, il prolungato contesto di tassi d'interesse è stato un importante catalizzatore per la rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari.
Con i tradizionali conti di risparmio e titoli di stato che offrivano rendimenti storicamente bassi, gli investitori hanno iniziato a cercare rendimenti più elevati attraverso canali alternativi. Gli intermediari finanziari non bancari hanno risposto offrendo una gamma di prodotti finanziari che fornivano rendimenti più interessanti, come obbligazioni garantite da prestiti (CLO), debito privato, fondi comuni d'investimento immobiliare (REIT) e altre opportunità di investimento che le banche, a causa di vincoli normativi, non fornivano.
Questo cambiamento ha consentito agli intermediari finanziari non bancari di colmare una lacuna nel mercato soddisfacendo la crescente domanda di prodotti d'investimento basati sul rendimento.
Poiché le banche sono diventate più limitate nella loro capacità di impegnarsi in attività più rischiose e ad alto rendimento a causa di normative post-crisi come il Dodd-Frank Act, gli intermediari finanziari non bancari sono intervenuti con offerte che non erano solo più redditizie, ma spesso anche più complesse e meno trasparenti. La flessibilità degli intermediari finanziari non bancari di operare con meno barriere normative è diventata un'alternativa interessante sia per gli investitori istituzionali che per quelli al dettaglio, affamati di rendimenti decenti in un mondo a tassi bassi.
Allo stesso tempo l'innovazione tecnologica ha accelerato la crescita degli intermediari finanziari non bancari, soprattutto attraverso l'ascesa delle società fintech. Queste aziende hanno rivoluzionato il settore dei servizi finanziari utilizzando analisi dei dati, intelligenza artificiale, blockchain e piattaforme digitali per fornire soluzioni finanziarie più efficienti e accessibili.
Le innovazioni fintech come piattaforme di prestito peer-to-peer, robo-advisor, servizi di gestione patrimoniale online e sistemi di pagamento digitale hanno sconvolto il modello bancario tradizionale. Queste tecnologie offrono servizi più rapidi, convenienti e su misura per il consumatore moderno, consentendo a privati e aziende di accedere al credito, effettuare investimenti e gestire le proprie finanze senza affidarsi alle banche tradizionali. L'ascesa della tecnologia finanziaria ha reso gli intermediari finanziari non bancari ancora più importanti, offrendo un'infrastruttura più agile e reattiva alle richieste del mercato.
Tuttavia questa agilità comporta un compromesso in termini di supervisione.
Poiché gli intermediari finanziari non bancari sono soggetti a meno vincoli normativi rispetto alle banche tradizionali, possono accumulare rischi che potrebbero non essere visibili agli enti regolatori, o agli attori di mercato, fino a quando non è troppo tardi. Gli hedge fund, ad esempio, spesso adottano strategie ad alta leva finanziaria, le quali possono amplificare le perdite durante i periodi di volatilità del mercato. Il crollo di tali fondi può rapidamente trasformarsi in un'ampia instabilità finanziaria, poiché queste aziende sono strettamente interconnesse con banche e istituzioni finanziarie tradizionali attraverso vari canali di prestiti, derivati e portafogli d'investimento.
Un esempio di ciò si è verificato nel 2020, durante la turbolenza del mercato innescata dalla pandemia di COVID-19. I fondi del mercato monetario, un tempo considerati investimenti stabili e a basso rischio, fecero registrare rapidi deflussi poiché gli investitori fuggirono verso asset più sicuri, evidenziando l'imprevedibile fragilità all'interno di alcuni punti del settore degli intermediari finanziari non bancari.
Gli effetti di ricaduta di questi deflussi si riversarono in tutto il sistema finanziario più ampio, sottolineando la natura interconnessa di banche e intermediari finanziari non bancari.
Data l'importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari, i policymaker e gli enti regolatori, tra cui la Federal Reserve e il Financial Stability Board (FSB), si sono preoccupati sempre di più per i potenziali rischi posti dalla crescente influenza di queste istituzioni. È in corso un dibattito se gli intermediari finanziari non bancari debbano essere soggetti allo stesso livello di controllo e supervisione delle banche tradizionali, in particolare quelle che sono cresciute abbastanza da rappresentare una minaccia significativa per la stabilità finanziaria.
La sfida per i regolatori è trovare un equilibrio tra l'incoraggiamento dell'innovazione e della crescita che gli intermediari finanziari non bancari apportano al sistema finanziario, garantendo al contempo che esse non diventino la prossima fonte di rischio sistemico.
Tuttavia la storia suggerisce che i regolatori sono spesso reattivi piuttosto che proattivi quando si tratta di affrontare potenziali crisi. Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi associati agli intermediari finanziari non bancari, l'intervento normativo potrebbe ritardare fino a quando non si siano già verificate perturbazioni finanziarie significative.
L'ascesa degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un profondo cambiamento nel sistema finanziario statunitense. La loro capacità di innovare rapidamente, operare con meno controllo normativo e soddisfare la domanda degli investitori per prodotti ad alto rendimento ha permesso loro di superare il settore bancario tradizionale sotto molti aspetti. Tuttavia la loro crescita richiede anche un esame più attento del loro ruolo nel mantenimento della stabilità finanziaria.
La mancanza di trasparenza sui bilanci e sulle attività degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un rischio, in quanto rende più difficile valutare le loro vulnerabilità e il potenziale di innescare un disagio finanziario più ampio. Man mano che gli intermediari finanziari non bancari continuano a espandersi, comprendere il loro impatto sull'ecosistema finanziario complessivo sarà fondamentale per prepararsi e mitigare i rischi di future crisi finanziarie.
Private Equity e mercati del credito
Il private equity e i prestiti privati non solo sono cresciuti in termini di dimensioni, ma anche di complessità, diventando pilastri fondamentali della finanza globale.
Questi settori si sono evoluti in risposta ai cambiamenti normativi, ai progressi tecnologici e alla domanda mutevole degli investitori, riflettendo tendenze più ampie nel panorama finanziario.
Inizialmente il private equity era un campo di nicchia incentrato sul capitale di rischio per quelle aziende nelle loro fasi iniziali e per gli asset in sofferenza. Svolgeva un ruolo limitato nella finanza aziendale tradizionale. Col tempo il private equity è maturato in un settore sofisticato che ora impiega un'ampia gamma di strategie di investimento, tra cui leveraged buyout (LBO), growth equity, situazioni speciali, investimenti in sofferenza e investimenti infrastrutturali.
In particolare i leveraged buyout (LBO) sono diventati una caratteristica distintiva del private equity. Queste transazioni consentono alle aziende di acquisire società utilizzando un mix di capitale proprio e ingenti quantità di capitale preso in prestito, con l'aspettativa che il flusso di cassa della società target venga utilizzato per estinguere poi il debito.
L'ascesa degli LBO ha trasformato il modo in cui le società di private equity affrontano la creazione di valore, utilizzando la leva finanziaria per amplificare i rendimenti e al contempo prendere il controllo di grandi aziende consolidate. Questa strategia si è dimostrata immensamente redditizia, ma introduce anche livelli di rischio più elevati, in particolare in contesti economici incerti.
Negli ultimi anni le società di private equity sono passate da strategie puramente finanziarie, come la riduzione dei costi e la ristrutturazione, a un approccio operativo più pratico. Conosciuta come strategia di “valore aggiunto operativo”, le società di private equity ora sfruttano la loro competenza e le loro risorse di settore per guidare miglioramenti operativi, trasformazione digitale e sviluppo della leadership all'interno delle loro società in portafoglio.
Impegnandosi più attivamente nelle operazioni aziendali, le società di private equity stanno sbloccando nuove opportunità di crescita e generando rendimenti più sostenibili, distinguendosi dagli investitori tradizionali.
Inoltre le società di private equity stanno investendo sempre di più in settori guidati dalla tecnologia, come software, fintech, tecnologia sanitaria e infrastrutture digitali.
L'ascesa dei fondi di private equity focalizzati sulla tecnologia riflette il crescente riconoscimento che innovazione e analisi dei dati sono fondamentali per rimanere competitivi nell'economia moderna.
Adottando un processo decisionale basato sui dati e migliorando i processi di due diligence, le società di private equity sono ora meglio posizionate per identificare investimenti ad alto potenziale e massimizzare la crescita a lungo termine.
Allo stesso tempo i prestiti privati sono diventati una componente critica della finanza alternativa, fornendo capitale alle aziende che potrebbero non qualificarsi per i prestiti bancari tradizionali. La rapida espansione del settore è una risposta diretta al rafforzamento normativo in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il quale ha limitato la capacità delle banche di impegnarsi in attività di prestito più rischiose.
I prestatori diretti, tra cui fondi di credito privati, hedge fund, società di sviluppo aziendale (SSA) e investitori istituzionali, offrono una vasta gamma di strumenti di debito, come prestiti senior garantiti, prestiti uni-tranche, finanziamenti mezzanini, prestiti ponte e debito subordinato. La flessibilità e la rapidità dei prestatori privati nella sottoscrizione e nell'approvazione dei prestiti li hanno resi un'opzione interessante per le aziende che cercano di finanziare leveraged buyout, acquisizioni, espansioni, o rifinanziamento del debito. La loro capacità di offrire termini più personalizzati rispetto alle banche tradizionali ha permesso ai prestiti privati di diventare una fonte di finanziamento significativa, in particolare per le aziende di medie dimensioni.
L'aumento dei prestiti privati è stato anche alimentato dalla ricerca globale di rendimento in un contesto di tassi d'interesse bassi.
Gli investitori istituzionali, tra cui fondi pensione, compagnie assicurative e fondi di dotazione, hanno allocato sempre più capitale al debito privato in quanto esso offre interessanti rendimenti aggiustati al rischio e una bassa correlazione con i mercati azionari e a reddito fisso.
Questo afflusso di capitale ha consentito alle società di prestiti privati di ampliare le proprie operazioni, concorrendo persino con le banche tradizionali su transazioni più grandi e complesse.
Anche l'innovazione tecnologica ha svolto un ruolo trasformativo sia nel private equity che nei prestiti privati.
Nel private equity i progressi nell'analisi dei dati, nell'intelligenza artificiale e nell'apprendimento automatico hanno rivoluzionato la ricerca di accordi, la due diligence e la gestione del portafoglio. Le aziende ora utilizzano strumenti sofisticati per valutare le tendenze dei mercati, prevedere le prestazioni aziendali e identificare opportunità di investimento ad alto potenziale.
Allo stesso modo nei prestiti privati l'ascesa delle piattaforme digitali ha democratizzato l'accesso al credito, consentendo alle aziende di ottenere prestiti tramite piattaforme online che collegano i mutuatari direttamente con gli investitori.
Questa innovazione ha semplificato il processo di prestito, ridotto i costi e aumentato la trasparenza.
A causa della loro significativa crescita, il private equity e i prestiti privati stanno affrontando un controllo più attento da parte degli enti regolatori a causa delle preoccupazioni relative agli alti livelli di leva finanziaria, mancanza di trasparenza e potenziale accumulo di rischi sistemici.
Nel private equity l'uso del leveraged buyout ha sollevato interrogativi sull'impatto che gli elevati livelli di debito possono avere sulla stabilità finanziaria delle società acquisite, soprattutto durante le crisi economiche. Inoltre l'impatto del private equity sull'occupazione e sui salari ha suscitato diverse critiche, con alcuni che sostengono che le motivazioni di profitto a breve termine possono minare la sostenibilità aziendale a lungo termine.
Nel prestito privato la rapida espansione dei prestiti diretti e dei fondi di credito privati ha suscitato preoccupazioni sull'accumulo di rischi di credito al di fuori del sistema bancario tradizionale. Poiché i creditori privati operano con molti meno vincoli normativi, c'è meno visibilità sulle loro esposizioni al rischio.
Poiché queste istituzioni continuano a crescere e a diventare più interconnesse con le banche tradizionali e altre istituzioni finanziarie, le sofferenze nel mercato dei prestiti privati potrebbero avere implicazioni di vasta portata per il sistema finanziario più ampio.
Il settore degli intermediari finanziari non bancari, di cui il private equity e i prestiti privati sono componenti chiave, ha fatto registrare una crescita esplosiva sin dalla crisi finanziaria del 2008.
Con il settore degli intermediari finanziari non bancari ormai più grande di quello bancario tradizionale negli Stati Uniti, la sua traiettoria di crescita non mostra affatto segni di rallentamento.
Questa rapida espansione ha catturato l'attenzione dei regolatori, come il Financial Stability Board, sempre più preoccupati per i rischi sistemici posti dal settore bancario ombra. Dal punto di vista storico quadri normativi più rigidi, come il Dodd-Frank Act, sono stati emanati solo in risposta a crisi, come il crollo del 2008, quando è diventato chiaro che era necessaria una maggiore supervisione.
La loro rapida crescita e la complessità in continua evoluzione presentano sia opportunità che sfide.
Sebbene questi settori abbiano fornito nuove vie per investimenti e credito, la loro mancanza di trasparenza e supervisione normativa li rende vulnerabili ai rischi sistemici.
L'FSB riconosce la necessità di quadri normativi più rigidi per mitigare questi rischi, ma storicamente tali normative tendono a essere reattive, implementate solo dopo che si è verificata una crisi.
Una legge come la Dodd-Frank non sarebbe stata necessaria se l'amministrazione Clinton non avesse abrogato il Glass-Steagall Act negli anni '90, una legge originariamente promulgata dopo il crollo della borsa del 1929 per regolamentare il settore bancario. L'abrogazione ha rimosso la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, una mossa che molti sostengono abbia contribuito a quegli eccessi che hanno portato poi alla crisi finanziaria globale.
Oggi il settore degli intermediari finanziari non bancari è diventato un mutuatario sempre più importante, il che comporta due implicazioni significative.
In primo luogo la linea di demarcazione tra banche tradizionali e intermediari finanziari non bancari è diventata sempre più sfumata, anche se operano sotto regimi normativi diversi. Questa sfumatura crea ambiguità in merito alla supervisione del rischio.
In secondo luogo gli intermediari finanziari non bancari stanno contraendo prestiti a un ritmo molto più veloce rispetto al mercato generale, sollevando preoccupazioni sul fatto che il settore potrebbe essere diretto verso una crisi a sé stante.
La domanda è: le autorità di regolamentazione agiranno in tempo, o saranno di nuovo costrette a recuperare terreno quando ritmi di crescita come questi diventeranno insostenibili?
Inoltre le società di private equity e i creditori diretti sono diventati fonti vitali di credito per le piccole e medie imprese (PMI) e i leveraged buyout. Queste aree sono spesso considerate troppo rischiose, o ad alta intensità di capitale, per le banche tradizionali, il che sottolinea ulteriormente il ruolo crescente che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nel fornire credito laddove le banche sono diventate più avverse al rischio.
Mentre gli intermediari finanziari non bancari continuano ad aumentare la loro influenza e la loro portata di prestito, cresce l'urgenza per gli enti regolatori di affrontare i loro rischi sistemici, prima che un'altra crisi finanziaria emerga dall'ombra.
Banche ombra e mercati privati: illiquidità
Il rischio di liquidità è una delle sfide più ardue affrontate dalle società di private equity e di credito privato, in gran parte determinato dalla natura illiquida dei loro investimenti, dalle dinamiche di mercato e dalle loro strutture di finanziamento.
Queste società investono principalmente in asset senza mercati secondari attivi, rendendo difficile convertire rapidamente gli investimenti in denaro. Mentre assumersi il rischio di illiquidità consente loro di perseguire rendimenti più elevati, le espone anche a notevoli vulnerabilità, soprattutto in periodi di stress finanziario o crisi economica.
Nel private equity le società acquisiscono partecipazioni in aziende private o si impegnano in leveraged buyout (LBO) di società quotate. Questi investimenti in genere comportano impegni pluriennali, con l'obiettivo di migliorare le operazioni, aumentare il valore e infine uscire tramite una vendita o un'offerta pubblica iniziale (IPO).
Tuttavia quando i mercati entrano in crisi, le strategie di uscita delle società di private equity spesso affrontano gravi vincoli.
In tali situazioni i potenziali acquirenti potrebbero sparire e i mercati delle IPO potrebbero chiudere, lasciando le aziende incapaci di vendere le loro partecipazioni a prezzi favorevoli o, in alcuni casi, incapaci di vendere affatto. Questa mancanza di liquidità crea sfide ardue da fronteggiare, bloccando il capitale molto più a lungo del previsto e potenzialmente facendo deragliare i cicli di investimento pianificati. Senza la possibilità di uscire dai loro investimenti, le società di private equity possono sperimentare una crisi di liquidità, in cui l'incapacità di generare flussi di cassa limita la loro possibilità di restituire il capitale agli investitori, perseguire nuovi investimenti, o soddisfare altri obblighi finanziari.
Allo stesso modo le società di credito privato affrontano i propri rischi di liquidità.
Queste società forniscono prestiti ad aziende che spesso esulano dai canali bancari tradizionali, tra cui aziende di medie dimensioni e quelle con rating creditizi più bassi. Mentre questi prestiti in genere offrono rendimenti più elevati per compensare il rischio maggiore, presentano un importante compromesso: l'illiquidità. A differenza delle obbligazioni quotate in borsa, che possono essere acquistate e vendute rapidamente sui mercati secondari, il credito privato non ha un mercato pronto, rendendo difficile per i creditori raccogliere denaro in tempi di necessità.
Durante i periodi di difficoltà finanziaria, questi rischi diventano ancora più evidenti. Le aziende che finiscono in guai economici potrebbero avere difficoltà a rispettare i propri piani di rimborso, o a rifinanziare il proprio debito, con conseguente aumento del tasso di inadempienze. Salendo queste ultime, il valore dei relativi prestiti può crollare, esponendo i creditori a perdite significative. L'incapacità di vendere, o ristrutturare, tempestivamente questi prestiti illiquidi aggrava il rischio di liquidità, poiché i creditori affrontano una pressione crescente per soddisfare i propri impegni finanziari.
Inoltre il crescente utilizzo di strutture di “payment-in-kind” (PIK), in cui i pagamenti degli interessi vengono capitalizzati anziché versati in contanti, aggiunge un ulteriore livello di complessità.
Mentre gli accordi PIK forniscono un sollievo temporaneo ai mutuatari posticipando i pagamenti in contanti, aumentano i rischi di liquidità per i creditori. Capitalizzare gli interessi anziché ricevere afflussi di cassa ritarda i ricavi e spinge i creditori in posizioni illiquide, limitando ulteriormente la loro capacità di generare liquidità quando necessario. In periodi di stress economico ciò può lasciare i creditori con crescenti obblighi ma opzioni limitate per reperire denaro, intensificando le vulnerabilità finanziarie in tutto il sistema.
Naturalmente un fattore chiave che esaspera il rischio di liquidità sia nel private equity che nei prestiti privati è l'uso della leva finanziaria.
Le società di private equity spesso fanno affidamento sul debito per finanziare le acquisizioni, utilizzando il flusso di cassa dell'azienda acquisita per ripagare tale debito. Quando i flussi di cassa vacillano, o i tassi d'interesse aumentano, il servizio del debito diventa più difficile, costringendo le aziende a iniettare più capitale in società in difficoltà, o a vendere asset a un forte sconto.
Nel mondo del credito privato la leva finanziaria è presente sia nella struttura del prestito che nelle società mutuatarie. Se le condizioni economiche peggiorano, i mutuatari altamente indebitati potrebbero avere difficoltà a rimborsare i propri prestiti, portando a inadempienze e creando ulteriore pressione sulla liquidità per quei creditori che dipendono da rimborsi regolari per mantenere i propri impegni finanziari.
Un'altra dimensione del rischio di liquidità deriva dalla struttura del fondo stesso.
I fondi di private equity e di credito sono in genere chiusi, il che significa che gli investitori non possono accedere alla liquidità giornaliera come nei fondi comuni d'investimento o negli ETF. Gli investitori impegnano il capitale per un periodo stabilito, solitamente da 5 a 10 anni, aspettandosi distribuzioni dalle vendite di asset nel tempo.
Tuttavia se troppi investitori richiedono liquidità anticipata, questi fondi potrebbero essere costretti a liquidare asset in condizioni sfavorevoli, creando quello che è noto come un disallineamento di liquidità. Questo problema è spesso amplificato durante le crisi economiche, quando molti investitori cercano di ritirare i fondi simultaneamente, esercitando ulteriore pressione sui player sopraccitati per generare liquidità quando sono meno in grado di farlo.
La pandemia di COVID-19 ha fornito un esempio eccellente di questo disallineamento di liquidità. Durante le turbolenze nei mercati, molti investitori hanno cercato di ridurre la loro esposizione ad asset più rischiosi, cosa che ha esercitato una pressione significativa sui fondi di private equity e di credito privato per soddisfare tali richieste in un momento sfavorevole. Se costretti a vendite forzate, questi fondi possono spingere i prezzi degli asset verso il basso, innescando una spirale discendente che erode ulteriormente la fiducia degli investitori e aumenta le richieste di rimborso.
Le società di private equity e di credito privato si affidano anche a finanziamenti esterni da parte di banche o altri istituti finanziari per gestire le esigenze di liquidità ed eseguire accordi. Questa dipendenza lega ulteriormente queste società alle banche tradizionali e agli intermediari finanziari non bancari (NBFI), nonostante operino in quadri normativi diversi. In periodi di stress economico le banche possono inasprire le condizioni di prestito, o ritirare il credito, aggiungendo maggiore complessità alla gestione della liquidità per le sopraccitate società.
L'interconnessione dei mercati finanziari significa che i problemi di liquidità all'interno delle società di private equity e di credito privato possono avere implicazioni più ampie per l'intero sistema finanziario. Con la crescita di questi settori, si sono profondamente intrecciati con banche, investitori istituzionali e altri attori di mercato simili. Una crisi di liquidità in un'area può innescare scossoni più ampi, influenzando i prezzi degli asset, la disponibilità di credito e il sentiment degli investitori nell'intero ecosistema finanziario.
Per il settore NBFI, la gestione del rischio di liquidità è fondamentale, poiché influisce direttamente sulla loro stabilità operativa e sulla capacità di gestire lo stress finanziario. Gli intermediari finanziari non bancari, che includono entità come gestori patrimoniali, hedge fund, compagnie assicurative, società di private equity e fondi di credito privato, forniscono servizi finanziari essenziali senza lo stesso accesso alla liquidità della banca centrale o alle basi di deposito su cui fanno affidamento le banche tradizionali.
Questa mancanza di accesso rende la gestione della liquidità più impegnativa per gli intermediari finanziari non bancari, in particolare perché spesso detengono o finanziano attività illiquide come debito privato, immobili o partecipazioni azionarie in società private. Durante i periodi di volatilità, queste attività diventano ancora più difficili da liquidare, esponendo gli intermediari finanziari non bancari a un rischio di liquidità significativo se devono soddisfare improvvise richieste di denaro.
Molti intermediari finanziari non bancari affrontano un'ulteriore sfida derivante dalla loro dipendenza da finanziamenti a breve termine per finanziare investimenti a lungo termine. Questa discrepanza di finanziamento, in cui le passività sono a breve termine e gli attivi sono a lungo termine, li rende vulnerabili quando i mercati dei finanziamenti a breve termine si restringono o diventano più costosi.
Ad esempio, hedge fund e fondi di credito privato spesso dipendono da accordi di riacquisto a breve termine (repo) o cambiali commerciali per finanziare le loro posizioni. Se questi mercati si prosciugano durante periodi di stress, gli intermediari finanziari non bancari possono affrontare gravi pressioni di liquidità e che minacciano la loro solvibilità.
Le fughe degli investitori o le richieste di rimborso di massa sono un altro importante rischio di liquidità per gli intermediari finanziari non bancari. I fondi di investimento, come i fondi comuni d'investimento, gli ETF e gli hedge fund, consentono agli investitori di riscattare i propri investimenti con breve preavviso. In periodi di incertezza una corsa degli investitori che cercano di ritirare il proprio denaro può costringere gli intermediari finanziari non bancari a vendere rapidamente asset a prezzi bassi, esasperando ulteriormente lo stress del mercato e indebolendo la fiducia degli investitori.
Data l'interconnessione degli intermediari finanziari non bancari con il sistema finanziario più ampio, le sfide di liquidità possono avere effetti di vasta portata. Molti di essi mantengono relazioni con banche e altre istituzioni tramite linee di credito, derivati e altri strumenti finanziari.
Se un intermediario finanziario non bancario subisce una crisi di liquidità, l'impatto può diffondersi rapidamente ad altri attori di mercato, influenzando i prezzi degli asset e destabilizzando il sistema finanziario più ampio.
La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di gestire attentamente il rischio di liquidità all'interno di questo settore. Poiché queste istituzioni continuano ad assumere ruoli tradizionalmente ricoperti dalle banche, è aumentato il potenziale delle pressioni sulla liquidità in grado di creare fratture più ampie.
Mentre gli intermediari finanziari non bancari forniscono servizi finanziari e creditizi essenziali, la loro dipendenza da asset illiquidi e finanziamenti a breve termine li rende particolarmente vulnerabili agli shock di mercato, rendendo il rischio di liquidità una preoccupazione centrale per la stabilità del sistema finanziario.
Conclusione
La trasformazione del panorama finanziario globale sin dalla crisi finanziaria mondiale (GFC) del 2008 è stata monumentale.
Il passaggio dai sistemi bancari tradizionali e dai mercati pubblici verso gli intermediari finanziari non bancari (NBFI) e i mercati privati ha alterato in modo significativo la struttura e il funzionamento della finanza. Di conseguenza gli intermediari finanziari non bancari, tra cui hedge fund, società di private equity, fondi di credito privato e società fintech, sono cresciuti fino a occupare una porzione più ampia dell'ecosistema finanziario, diventando attori principali nei prestiti aziendali, nella gestione degli investimenti e nella fornitura di liquidità.
Uno degli sviluppi più profondi è stata la rapida espansione dei mercati del private equity e dei prestiti privati. Questi settori si sono evoluti per soddisfare la domanda degli investitori di opportunità ad alto rendimento, offrendo un'ampia gamma di prodotti finanziari innovativi come leveraged buyout (LBO), credito privato e strutture di debito alternative. L'ascesa di questi mercati è una testimonianza dell'adattabilità della finanza e dell'incessante ricerca di rendimenti. Tuttavia non è priva di rischi significativi, in particolare nel regno della liquidità.
Il rischio di liquidità rimane una sfida critica per le società di private equity e di prestiti privati. Entrambi i settori si basano su asset illiquidi, come debito privato e partecipazioni azionarie, che sono difficili da convertire in denaro quando necessario.
Questa illiquidità intrinseca può diventare una vulnerabilità importante durante i periodi di stress finanziario, quando le condizioni di mercato peggiorano, le strategie di uscita vengono ritardate e le vendite di asset diventano limitate. La natura complessa e spesso opaca di questi investimenti aggrava ulteriormente il rischio, rendendo difficile per gli attori di mercato e gli enti regolatori valutare accuratamente l'entità dell'esposizione.
L'uso della leva finanziaria amplifica questi rischi.
Le società di private equity, in particolare, utilizzano ingenti quantità di debito per finanziare le acquisizioni, mentre i creditori privati forniscono prestiti a mutuatari altamente indebitati. Quando le condizioni economiche peggiorano, la tensione sia per le aziende che per i loro mutuatari diventa acuta, portando a maggiori inadempienze, carenze di liquidità e a vendite forzate di asset. Questa situazione è esasperata dalle strutture “payment-in-kind” (PIK) che ritardano il flusso di cassa, creando ulteriore stress sulle posizioni di liquidità delle aziende.
Un altro aspetto cruciale del rischio di liquidità risiede nelle strutture dei fondi utilizzate da società di private equity e di credito privato. I fondi chiusi con opzioni di liquidità limitate possono affrontare un disallineamento di liquidità durante le crisi economiche, come si è visto durante la pandemia di COVID-19.
Gli investitori, che cercano di ritirare il capitale, possono costringere questi fondi a vendere asset a prezzi sfavorevoli, innescando ulteriori sconvolgimenti nei mercati. Inoltre la dipendenza delle società di private equity e di credito privato da finanziamenti esterni da parte di banche tradizionali, le lega strettamente al sistema finanziario regolamentato nonostante operino in quadri normativi diversi.
Man mano che private equity, prestiti privati e intermediari finanziari non bancari continuano a crescere in influenza, aumenta anche la loro interconnessione con il sistema finanziario più ampio.
Questa interconnessione pone rischi sistemici.
Una crisi di liquidità all'interno di un settore potrebbe rapidamente ripercuotersi sull'intero panorama finanziario, portando a sconvolgimenti più ampi nei prezzi degli asset, nella disponibilità di credito e nel sentiment degli investitori. Gli effetti a catena di una crisi nei mercati privati, o nel sistema bancario ombra, potrebbero indebolire la stabilità dell'economia globale, proprio come è successo con il crollo delle principali istituzioni finanziarie durante la crisi finanziaria del 2008, ma con meno preavviso a causa della minore visibilità.
Il punto di partenza per i mercati privati è l'illiquidità, a differenza dei mercati pubblici il cui punto di partenza è la liquidità. Quando le cose diventano illiquide, e succede sempre, ciò rappresenterà un problema molto più grande per i mercati privati.
Nonostante il ruolo significativo che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nella finanza moderna, il quadro normativo che regola queste istituzioni è in ritardo rispetto alla loro crescente importanza. Gli intermediari finanziari non bancari operano con una supervisione molto inferiore rispetto alle banche tradizionali, il che aumenta i rischi associati alla leva finanziaria e all'illiquidità.
Mentre le lezioni delle crisi passate, come la crisi finanziaria globale, hanno portato ad alcuni miglioramenti normativi, la storia dimostra che le normative spesso seguono le crisi piuttosto che prevenirle.
Resta la questione se i policymaker possano attuare una supervisione più rigorosa del settore degli intermediari finanziari non bancari prima che emerga una crisi causata dalla liquidità.
In conclusione, l'ascesa degli intermediari finanziari non bancari e dei mercati privati presenta sia opportunità che sfide.
Sebbene questi settori abbiano offerto nuove opportunità di investimento e credito, la loro intrinseca illiquidità e l'uso della leva finanziaria li rendono vulnerabili agli shock di mercato. La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di un approccio normativo proattivo per gestire i rischi di liquidità.
Solo affrontando queste vulnerabilità il sistema finanziario può sperare di mitigare l'impatto di future crisi, assicurando che i benefici dell'innovazione finanziaria non vadano a scapito della stabilità sistemica.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Sfatiamo ulteriori 5 grandi equivoci su Bitcoin
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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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Bitcoin confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.
Di recente ho sfatato i dieci equivoci più diffusi su di esso.
Oggi continuerò sfatandone altri cinque.
Equivoco n°11: Bitcoin è vulnerabile alla guerra nucleare e alle interruzioni di servizio
Anche se gli Stati Uniti e la Russia si impegnassero in una guerra nucleare totale, distruggendo gran parte dell'emisfero settentrionale, Bitcoin non perderebbe un colpo nell'emisfero meridionale.
Per avere anche solo una possibilità di fermare Bitcoin, ogni governo del mondo dovrebbe coordinarsi simultaneamente per chiudere l'intero Internet ovunque e poi tenerlo spento.
Anche in un tale scenario improbabile, la rete Bitcoin può andare avanti tramite segnali radio e reti mesh. Allo stesso tempo piccoli pannelli solari portatili possono alimentare i computer che gestiscono la sua rete, se le cosiddette condizioni normali vengono meno.
Inoltre una serie di satelliti trasmette costantemente la rete Bitcoin sulla Terra.
In breve, tutti gli aspetti di Bitcoin sono genuinamente decentralizzati e robusti.
A meno di un ritorno globale all'età della pietra, Bitcoin è inarrestabile.
Equivoco n°12: Bitcoin 2.0 o un “Bitcoin migliore”
In pratica, chiunque può provare a creare un “Bitcoin migliore” quando vuole.
Tutto quello che bisogna fare è prendere il codice open source, disponibile a chiunque, e apportare le modifiche desiderate.
Ma questo non significa che qualcuno seguirà il vostro esempio o apprezzerà la vostra nuova criptovaluta.
Ad esempio, posso facilmente creare un nuovo Bitcoin che aggiunge qualche fronzolo e decantarlo usando l'ultimo termine di moda: Bitcoin 2.0.
Ma questo non significa che posso ereditare le proprietà monetarie superiori del Bitcoin originale, le quali dipendono dalla credibilità della sua offerta, dalla sua estrema resistenza al cambiamento, ecc.
Ecco perché è improbabile che il mercato attribuisca un qualche valore a Bitcoin 2.0.
Ecco un altro modo di vederla.
Immaginate che qualcuno voglia cambiare le regole degli scacchi in modo che le pedine possano muoversi all'indietro. Chiamiamolo Scacchi 2.0.
Ovviamente chiunque potrebbe farlo in qualsiasi momento, ma ciò non significa che Scacchi 2.0 prenderà piede.
Ricordate, chiunque può creare una criptovaluta in pochi minuti.
Questa è la parte facile. Crearne una che nessuno controlla è la parte difficile.
In parole povere, nessun'altra criptovaluta si avvicina minimamente a sfidare l'immutabilità, la decentralizzazione, la resistenza alla svalutazione, la liquidità, gli incentivi economici, gli effetti di rete e, soprattutto, la credibilità della sua offerta di Bitcoin.
Ma supponiamo che arrivi una nuova criptovaluta che sia un vero concorrente di Bitcoin.
Per interromperne il dominio consolidato come rete monetaria, non dovrebbe essere solo un po' migliore, ma di ordini di grandezza migliore.
Secondo il famoso autore Jeff Booth, un nuovo concorrente di una rete consolidata deve essere almeno 10 volte migliore per convincere abbastanza persone ad abbandonare quella esistente e unirsi alla nuova rete.
Ci sono state affermazioni su un “Bitcoin migliore” per molti anni, di solito da parte di persone che non lo capivano o da promotori di altcoin poco raccomandabili.
Non sono propenso a credere a tali affermazioni finché non ci saranno prove concrete che qualcosa potrebbe potenzialmente avere proprietà monetarie di gran lunga migliori di Bitcoin.
Finora, niente ci è andato vicino.
Equivoco n°13: la SEC se la prenderà con Bitcoin
Date le sue dichiarazioni, è chiaro che la Securities and Exchange Commission (SEC) considera quasi tutte le criptovalute come titoli non registrati, rendendole vulnerabili ad azioni esecutive.
Ciò ha portato molti a credere erroneamente che la SEC se la sarebbe presa con Bitcoin.
La realtà è che Bitcoin è l'unica criptovaluta che NON è un titolo.
Il governo degli Stati Uniti ha chiarito che considera Bitcoin, e solo Bitcoin, una merce sotto la competenza della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e del Commodity Exchange Act.
Bitcoin è una merce perché è un asset senza qualcuno che lo emette.
Allo stesso modo, oro, argento, rame, grano, mais e altre merci hanno produttori, ma non hanno chi li emette.
Ogni altra criptovaluta diversa da Bitcoin ha chi la emette, ha anche fondatori identificabili, fondazioni, team di marketing e addetti ai lavori che possono esercitare un controllo indebito.
Bitcoin non ha nessuna di queste cose, proprio come il rame o il nichel non hanno un reparto marketing o un fondatore.
La SEC non potrebbe perseguire Bitcoin anche se volesse, perché non c'è nessuno da perseguire. Non c'è una sede centrale di Bitcoin, non c'è un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.
Ma presumendo che la SEC possa andare dietro a Bitcoin, non lo farà perché anch'essa ammette che Bitcoin non è un titolo e quindi non rientra nella sua sfera di competenza.
Equivoco n°14: violare la crittografia di Bitcoin
La crittografia di Bitcoin non è a rischio.
Se la sua crittografia lo fosse, sarebbe anche un problema esistenziale per ogni banca, sistema di brokeraggio, banca centrale, provider di posta elettronica e qualsiasi altro aspetto essenziale della vita digitale moderna.
Metterei questo rischio nella stessa categoria di un'invasione aliena, qualcosa di teoricamente possibile ma irrilevante per le decisioni di investimento odierne.
Ma supponiamo che un ipotetico problema di calcolo quantistico, o qualche nuova tecnologia, rappresenti una minaccia per la crittografia di Bitcoin.
Esiste una soluzione ipotetica: sarebbe possibile aggiornarla ottenendo il consenso dei nodi per renderla resistente al calcolo quantistico o a qualsiasi nuova tecnologia che rappresenti una minaccia esistenziale per essa.
Equivoco n°15: Bitcoin è troppo volatile per essere denaro
È essenziale chiarire innanzitutto che, sebbene il prezzo di Bitcoin sia volatile, il suo protocollo è la cosa più stabile, prevedibile e affidabile che io conosca nella finanza.
Sin dall'inizio di Bitcoin nel 2009, l'offerta totale di 21 milioni non è cambiata, la rete non si è mai fermata, i miner hanno continuato a creare un nuovo blocco ogni 10 minuti in media e chiunque è sempre stato in grado di utilizzare Bitcoin per inviare valore a chiunque, ovunque, senza bisogno di una terza parte di fiducia.
In breve, nonostante tutto ciò che è accaduto dal 2009, la rete Bitcoin non ha perso un colpo.
Detto questo, la monetizzazione non avviene dall'oggi al domani ed è intrinsecamente un processo volatile per il prezzo.
Mentre l'oro è una moneta consolidata, Bitcoin è una moneta emergente.
Ci sono voluti secoli affinché l'oro completasse il suo processo di monetizzazione. Bitcoin ha buone probabilità di completarlo in un periodo di tempo molto più breve, ed è già sulla buona strada.
Qualcosa non passa dall'avere nessun valore all'essere una moneta globale senza volatilità nel suo prezzo. Ad esempio, Bitcoin è passato da non avere alcun valore nel 2009 a oltre $67.000 nel 2021.
Non è raro che Bitcoin subisca correzioni del 50% o più, cosa che è accaduta otto volte. Inoltre ci sono state tre occasioni in cui Bitcoin è sceso dell'80% o più.
Ecco un grafico che mostra le maggiori correzioni di Bitcoin nel corso degli anni per mettere in prospettiva la sua volatilità.
Se si allarga lo sguardo e si osserva il quadro generale, la volatilità del prezzo di Bitcoin è stata principalmente al rialzo nel lungo termine.
È una serie di massimi e minimi più alti.
Sopportare la volatilità di Bitcoin è il prezzo che dobbiamo pagare per ottenere guadagni sproporzionati mentre si prosegue lungo il processo di monetizzazione.
Sarà un viaggio movimentato, come sulle montagne russe, ma credo che ricompenserà gli investitori pazienti.
Ci sono un paio di modi per aiutare a domare la volatilità del prezzo di Bitcoin.
Innanzitutto, invece di acquistare la quantità desiderata di Bitcoin in un'unica grande transazione, usate la media dei costi in dollari (MCD) per distribuirla nel tempo.
Ad esempio, supponiamo che vogliate investire $10.000 in Bitcoin. Invece di acquistare $10.000 in una volta, effettuate un acquisto di circa $192 ogni settimana per un anno.
La MCD riduce significativamente il rischio di acquistare troppo all'inizio di un ciclo e di non acquistare al minimo.
Ecco come la MCD può trasformare la volatilità di Bitcoin a vostro favore.
In secondo luogo, pianificate di risparmiare per almeno quattro anni, attraverso un ciclo di halving.
Raramente c'è stato un periodo in cui il prezzo di Bitcoin è stato inferiore a quello di quattro anni prima... ma, naturalmente, le performance passate non indicano risultati futuri.
Terzo, ogni volta che vedete volatilità nel prezzo di Bitcoin, chiedetevi due cose:
- Bitcoin ha ancora proprietà monetarie superiori (totale resistenza alla svalutazione ed estrema portabilità)?
- Bitcoin è ancora inarrestabile?
Se la risposta a queste due domande è “Sì”, non mi preoccuperei.
Man mano che l'adozione cresce e Bitcoin diventa più affermato come forma di denaro, la volatilità dovrebbe attenuarsi, ma probabilmente a un prezzo molto più alto.
Ecco perché dovreste acquistare Bitcoin prima che il resto del mondo capisca le sue proprietà monetarie superiori.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Una risposta ai critici dell'economia Austriaca
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Richard Duncan è stato di recente ospite sul podcast Wealth Formula per discutere della Scuola Austriaca. Nonostante duri solo 42 minuti, l'episodio è pieno di errori e fallacie.
Ciò che rende la discussione rilevante per gli Austro-libertari non è il fatto che questi due non sappiano nulla di economia Austriaca, ma che le loro critiche sono tipiche di chi la semplifica eccessivamente e la sposta all'estrema destra dello spettro politico.
Duncan sostiene quanto segue:
- Gli Austriaci partono dal presupposto che l'oro è denaro e che l'espansione del credito non può quindi continuare indefinitamente.
- Gli Austriaci credono che la crescita del credito porti a bolle economiche che alla fine scoppiano sempre: più credito significa più spesa al consumo e più investimenti, portando a una crescita della prosperità, ma quando la crescita del credito si ferma, come deve accadere con un gold standard, la bolla scoppia e il processo si inverte poiché la spesa al consumo, gli investimenti, l'occupazione e la prosperità si riducono.
- L’oro ha smesso di essere denaro nel 1968 e, da allora, il capitalismo si è trasformato in “creditismo”, cambiando il modo in cui funziona il nostro sistema economico: l’esplosione del credito che ha avuto luogo ha reso le economie degli Stati Uniti e del resto del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto altrimenti crescere.
- Gli Austriaci raccomandano di lasciare che questa bolla scoppi: “[Gli Austriaci ci dicono] che abbiamo peccato non sostenendo più il denaro legato all'oro e che, pertanto, dobbiamo subire la dannazione a causa di tutti i nostri peccati atroci”.
- Gli Austriaci non riescono a rendersi conto che la bolla attuale è così enorme che se scoppiasse, la civiltà collasserebbe. Se gli Stati Uniti adottassero un gold standard, o un Bitcoin standard, e non fossero in grado di stampare dollari, presto si troverebbero senza denaro a causa del loro deficit commerciale. Di conseguenza anche le economie di tutti i Paesi che prosperano grazie ai loro grandi surplus commerciali con gli Stati Uniti (principalmente la Cina) crollerebbero e acquisterebbero molti meno beni dagli Stati Uniti, causando il crollo anche dell'economia statunitense. Ciò porterebbe all'implosione dell'intera economia mondiale.
- Fortunatamente non c'è motivo per cui dovremmo permettere che la bolla scoppi perché abbiamo i mezzi per mantenerla gonfia indefinitamente, poiché l'oro non è più denaro.
- Per questo motivo gli Austriaci sono ingiustamente critici nei confronti del sistema di credito globale basato sul dollaro, il quale fornisce la liquidità responsabile della crescita degli ultimi 60 anni e che ha fatto uscire miliardi di persone dalla povertà.
Ciò che è significativo per gli Austriaci non è che questi punti assurdi nascondano una totale mancanza di familiarità con il corretto pensiero economico, ma piuttosto che una corretta confutazione di essi dovrebbe avere cognizione di ciò che dice l'oggetto confutato.
- Il credito non può espandersi indefinitamente perché alla fine porta all'iperinflazione e alla cessazione dell'uso del denaro in quanto tale: un aumento del credito non aumenta i beni e i servizi reali disponibili, ma solo la quantità di denaro che può essere scambiata per essi. Con l'aumento dei prezzi, l'unità monetaria perde potere d'acquisto, incentivando gli individui a ridurre i loro saldi di cassa e ad accelerare il loro comportamento di acquisto. Nessuno vuole più scambiare nulla per denaro e quest'ultimo diventa sempre più privo di valore, rischiando di far tornare la società al baratto.
- I crediti che derivano dal risparmio volontario non hanno questo effetto, perché le maggiori richieste sulla produzione avanzate dai debitori sono controbilanciate dalle minori richieste su di essa avanzate dai creditori. Indipendentemente dal fatto che il denaro assuma la forma di oro, moneta fiat, o qualsiasi altra cosa, l'espansione del credito non coperta dal risparmio reale induce un boom artificiale seguito da una crisi correttiva, come descritto nella teoria Austriaca del ciclo economico. Tuttavia senza espansione artificiale del credito, la crescita economica è organica, endogena e sostenibile.
- L'esplosione del credito che ha avuto luogo dal 1968 non ha reso le economie degli Stati Uniti e del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto essere altrimenti. Da un lato le economie sono cresciute grazie all'aumento del commercio, alla disponibilità di nuove tecnologie/tecniche di produzione e all'assenza di guerre su larga scala; tale crescita è indipendente dall'espansione inflazionistica del credito. Dall'altro lato, invece, l'espansione del credito è responsabile dell'offshoring industriale e prezzi più alti, allontanando le risorse produttive da quei processi in cui avrebbero servito meglio gli scopi più desiderati dei consumatori; tale crescita è semplicemente un trucco contabile, senza alcun riguardo nei confronti del cambiamento del potere d'acquisto, e ciò rappresenta in realtà una distruzione di valore che si concluderà con una recessione economica correttiva.
- L'attribuzione di un tono morale alle raccomandazioni Austriache è del tutto fuori luogo. Il compito della scienza è di chiarire connessioni causali e relazioni funzionali, non di raggiungere giudizi di valore normativi e verdetti morali. Gli economisti Austriaci, in quanto economisti, si limitano a sottolineare le differenze relative negli incentivi e nei panorami di possibilità associati a una moneta sana/onesta o a una moneta fiat.
- L'errore centrale in questo punto è il mito del sottoconsumo. Duncan ritiene che se gli americani smettessero di acquistare i prodotti delle fabbriche cinesi, queste ultime andrebbero in bancarotta. In realtà venderebbero ai successivi migliori offerenti a prezzi più bassi. I cinesi probabilmente consumerebbero di più a livello nazionale in aggregato, aumentando gli standard di vita locali e abbassando quelli degli americani. In risposta i prezzi scenderebbero, le tecniche di produzione cambierebbero e gli americani dovrebbero iniziare a produrre di più anche a livello nazionale. Man mano che l'economia americana crescerebbe in termini di capacità produttive, il valore del dollaro aumenterebbe di nuovo e consentirebbe agli americani di competere sul mercato mondiale per beni e servizi prodotti in altri Paesi e per i quali pagherebbero dollari che gli altri desidererebbero avere per acquistare i beni e servizi prodotti negli Stati Uniti. Il fatto che gli USA abbiano attualmente un deficit commerciale significa che gli americani stanno importando più di quanto esportino, il che non può durare in condizioni naturali.
- Le bolle non scoppiano perché finiscono i soldi, ma a causa dell'esaurimento di beni e risorse reali necessari a sostenerle. Man mano che il capitale viene consumato, i processi di produzione diventano relativamente meno indiretti, riducendo l'efficienza e le economie di scala. Non possiamo sapere come far crescere una bolla indefinitamente perché non abbiamo ancora scoperto come far scomparire la scarsità.
- Il sistema del dollaro non ha emancipato le persone dalla povertà. Immaginare che siano stati stampati e distribuiti milgiaia di miliardi di dollari ai poveri, sollevandoli così al di sopra della soglia di povertà, significa mettere il carro davanti ai buoi. Gli individui diventano più ricchi man mano che aumenta il loro accesso a beni e servizi, e quindi il problema centrale è quello della produzione e dell'accumulo di capitale. Ciò che ha emancipato miliardi di persone dalla povertà è un'espansione della divisione del lavoro, cosa che non è influenzata dalla quantità di denaro in circolazione. Qualsiasi quantità (fisiologica) di denaro andrà bene, e quindi un aumento dei crediti in dollari non può essere ritenuto responsabile di una riduzione della povertà.
In conclusione, quando si discute in pubblico è importante non impantanarsi in tecnicismi, ma concentrarsi sui principali difetti del ragionamento e, in modo rapido ed efficiente, evidenziare la fallacia in questione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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I 7 motivi per cui oggi è necessario un secondo passaporto
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Prima della prima guerra mondiale per viaggiare all'estero non era necessario il passaporto.
Era una verità evidente che un individuo sovrano poteva viaggiare ovunque volesse senza chiedere il permesso a nessuno.
Purtroppo oggi viaggiare non funziona più così.
La vostra cosiddetta libertà di movimento dipende dal consenso di più stati.
È necessario ottenere un passaporto dal governo del proprio Paese di origine, possibilmente uno che contenga i propri dati biometrici immutabili, un visto dal governo del Paese di destinazione e ulteriori visti dai governi di qualsiasi Paese di transito per arrivarci.
Oltre ai passaporti e ai visti, gli stati possono imporre condizioni mediche assurde e invasive per entrare nei loro territori, come ha dimostrato la psicosi di massa del Covid.
Invece di considerare il viaggio un diritto inalienabile, gli stati lo considerano un privilegio speciale concesso alla plebe, che può essere revocato se ci si comporta male, proprio come un adulto tratta la richiesta di un bambino di andare a casa di un amico.
In realtà i passaporti non facilitano i viaggi: sono strumenti per controllarvi e costringervi. Il mondo starebbe meglio senza di essi.
Purtroppo i passaporti non scompariranno.
Continuerete ad averne bisogno per viaggiare, quindi potreste anche averne più di uno affinché il governo del vostro Paese avrà meno potere di controllarvi.
In breve, ottenere un secondo passaporto è fondamentale per liberarsi dalla dipendenza assoluta da qualsiasi Paese. Una volta ottenuta questa libertà, è molto più difficile per qualsiasi governo costringervi o controllare il vostro destino.
Tra le altre cose, avere un secondo passaporto vi consente di investire, gestire banche, viaggiare, vivere e fare affari in luoghi in cui altrimenti non potreste.
Indipendentemente da dove vivete, potete trarre beneficio dei vantaggi di diversificazione politica offerti da un secondo passaporto.
Ecco i sette principali motivi per cui tutti ne hanno bisogno.
Motivo n°1: neutralizzare le restrizioni ai viaggi
Un secondo passaporto impedisce allo stato di chiudervi dentro.
In caso contrario può sottoporvi agli arresti domiciliari e annullare il passaporto, anche se ne possedete solo uno.
Ad esempio, dopo che Castro salì al potere a Cuba, il suo governo fece sì che i cittadini facessero domanda per un visto di uscita per lasciare l'isola. Non veniva concesso facilmente.
Impedire alle persone di andarsene è sempre stato il segno distintivo di un regime autoritario.
Purtroppo questa pratica è in crescita nelle cosiddette democrazie liberali.
Si pensi alle restrizioni totalitarie di viaggio imposte da Canada, Australia e altri Paesi durante l'isteria di massa dovuta al Covid, cosa che hanno impedito ai relativi cittadini di partire a meno che non si sottoponessero a una procedura medica sperimentale.
Negli USA il governo può annullare il vostro passaporto se avete un modesto debito fiscale o se vi accusano di un reato. Non c'è bisogno di una condanna, basta un'accusa.
Molte persone pensano che i reati gravi consistano solo in atti come rapine e omicidi, ma non è così.
La montagna di leggi e regolamenti in continua espansione ha criminalizzato anche le attività più banali. Non è così difficile commettere un crimine come si potrebbe pensare, infatti molti “crimini” senza vittime.
L'avvocato per le libertà civili, Harvey Silverglate, ha scoperto che in media un americano commette inavvertitamente tre reati gravi al giorno.
Quindi se il governo degli Stati Uniti volesse annullare il vostro passaporto, potrebbe trovare qualche cavillo per farlo... a chiunque.
È come un vecchio detto dell'Unione Sovietica: “Mostrami la persona e ti mostrerò il crimine”.
Se avete idee politiche che non piacciono al vostro stato, non sorprendetevi se in qualche modo limita la vostra libertà di movimento.
Naturalmente questo non è un problema esclusivo del governo degli Stati Uniti.
Qualsiasi stato può revocare o annullare il passaporto dei propri cittadini per qualsiasi motivo ritenga opportuno.
Questo perché “il vostro” passaporto non è una vostra proprietà: è di proprietà del governo che lo ha rilasciato.
Avere un secondo passaporto aiuta ad attenuare questo rischio.
Motivo n°2: maggiori opzioni finanziarie
Un secondo passaporto apre le porte a maggiori servizi finanziari internazionali altrimenti non disponibili.
A causa delle gravose e invasive normative americane, molti, ma non ancora tutti, gli istituti finanziari stranieri ora respingono chiunque presenti un passaporto statunitense. Quindi, per essere un cliente gradito, potreste aver bisogno di un passaporto di un altro Paese.
Lo stesso vale per le persone in possesso di passaporti di altri Paesi con un bagaglio politico.
Buona fortuna nell'aprire un conto in una giurisdizione affidabile con un passaporto proveniente dall'Africa, dal Medio Oriente o da un Paese presente nella lista dei “cattivi” di Washington.
Un secondo passaporto potrebbe risolvere questo problema.
Motivo n°3: più viaggi senza visto
Richiedere un visto prima di un viaggio è una vera seccatura. Può essere frustrante, richiede molto tempo ed è costoso. Potrebbe anche essere negato.
Un secondo passaporto vi consente di accedere senza visto a più Paesi.
Nel mondo ci sono 227 Paesi ed entità politiche.
Il passaporto giapponese è il migliore al mondo per quanto riguarda i viaggi senza visto: vi consente di entrare in 193 destinazioni senza ottenere un visto in anticipo.
Motivo n°4: evitare contraccolpi della politica estera
Supponiamo che il vostro stato abbia la cattiva abitudine di ficcare il naso negli affari interni degli altri Paesi. Questo potrebbe rendervi un bersaglio se vi trovaste nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Esistono passaporti con un rischio minimo di contraccolpi in politica estera.
Quando è stata l'ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che prendeva di mira i titolari di passaporto svizzero o uruguaiano?
Motivo n°5: non dovete vivere come un rifugiato
Un secondo passaporto è un'assicurazione sulla mobilità per voi e la vostra famiglia.
Supponiamo che il vostro Paese d’origine “crolli”, come accadde in Russia negli anni ’20 o in Germania negli anni ’30.
I cittadini di Venezuela, Siria, Iraq, Yemen, Libia, Afghanistan, Ucraina e molti altri Paesi si trovano oggi ad affrontare lo stesso problema.
Dove andrete? Sarete accettati?
La verità è che qualsiasi Paese può trasformarsi in un Venezuela, o in qualcosa di peggio, più velocemente di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare o prepararsi.
Indipendentemente da quanto grave possa essere la situazione nel vostro paese d'origine, un secondo passaporto vi dà il diritto legale di vivere e lavorare altrove.
Vi garantisce che non dovrete vivere come un profugo altrove.
Motivo n°6: Rinuncia
Se decidete di rinunciare alla cittadinanza, avrete bisogno di un secondo passaporto.
Ciò potrebbe comportare enormi vantaggi fiscali e normativi se il vostro Paese d'origine grava sui suoi cittadini con tasse soffocanti e inevitabili... come accade negli Stati Uniti.
Ma non riguarda solo questi ultimi.
Diversi altri Paesi stanno valutando l'ipotesi di imporre un modello di tassazione simile basato sulla cittadinanza, in cui la rinuncia alla stessa è l'unica via d'uscita.
Un secondo passaporto vi garantisce di avere sempre la possibilità di emanciparvi.
Motivo n°7: Benefici generazionali
Una volta ottenuto un secondo passaporto, i vantaggi della diversificazione politica dureranno per generazioni.
Potete trasmettere più cittadinanze ai vostri futuri figli e nipoti.
Non è facile, ma necessario
Man mano che la disperazione aumenta, gli stati attuano politiche sempre più distruttive.
Lo stesso schema si è ripetuto più volte in tutto il mondo e nel corso della storia. È prevedibile come il cambio delle stagioni.
Quanto più peggiora la salute finanziaria di uno stato, tanto più distruttive diventano le sue linee di politica.
Questa è la radice del rischio politico: il rischio che lo stato metta a repentaglio il vostro benessere personale e finanziario.
Non è un segreto che il rischio politico stia aumentando in molte parti del mondo. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, in Canada e in Europa dove la spesa sociale e militare ha portato alla bancarotta la maggior parte degli stati.
Non importa quale partito sia al potere. Vanno tutti nella stessa direzione, anche se a velocità diverse.
Mi aspetto che gli stati imporranno presto ulteriori restrizioni ai viaggi.
Ottenere i vantaggi della diversificazione politica offerti da un secondo passaporto è fondamentale per garantire la propria libertà in un mondo in continuo cambiamento.
Sfortunatamente non esiste un modo per ottenere un secondo passaporto che sia allo stesso tempo veloce, facile ed economico.
Tuttavia ciò non rende meno urgente o cruciale l'ottenimento di uno.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Il consenso al neoliberismo sta crollando
Il pezzo di oggi è uno di quelli che vi invito caldamente a leggere e rileggere perché rappresenta un'evoluzione di fatti di cui ho parlato spesso su queste pagine e che adesso iniziano a concretizzarsi. Molti di voi, cari lettori, ricorderanno il tanto citato saggio di Martin Van Creveld sul declino dello stato, ebbene l'articolo di oggi inserisce il tassello mancante in quell'analisi: cosa sostituirà lo stato-nazione? Van Creveld ci lasciava con questo quesito. Ovviamente non poteva far altro per i suoi tempi. Addirittura c'è stato l'autore Frank Chodorov che, prima di lui, aveva ipotizzato uno scenario simile. Avevano la sfera di cristallo? No, come ci ricorda Tucker il sistema dello stato-nazione trasportava sin dalla sua nascita i semi della sua stessa distruzione. L'istruzione pubblica ha lavorato alacremente per nascondere e ritardare la loro germogliazione. L'inevitabilità di questo evento, però, è sempre stata presente e, come ricordo anche nel mio ultimo libro, porterà a delle scelte economiche drastiche che richiederanno alla popolazione generale di essere preparata in anticipo. Almeno per sopravvivervi avendo un vantaggio su coloro che invece resteranno passivi sino alla fine. Il pezzo di oggi, invece, analizza i fattori sociali e istituzionali configurando un'evoluzione degli eventi che, molto probabilmente, ci faranno addirittura rimpiangere l'architettura dello stato-nazione. Anche perché, come affermo anche nel mio libro, senza un'accelerazione ulteriore della centralizzazione dei poteri, l'Europa è destinata a una dissoluzione caotica e precoce.
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La risposta mondiale al Covid è stata il punto di svolta nella fiducia pubblica, nella vitalità economica, nella salute dei cittadini, nella libertà di parola, nell'alfabetizzazione, nella libertà religiosa e di viaggio, nella credibilità dell'élite, nella longevità demografica e molto altro ancora. Cinque anni dopo la diffusione iniziale del virus che ha provocato dispotismi su larga scala, qualcos'altro sembra stia cadendo: il consenso del dopoguerra al cosiddetto neoliberismo. (Filosofia economico/politica, questa, in netto contrasto con quella Austriaca e libertaria, ndt.)
Il mondo come lo conoscevamo solo un decennio fa è in fiamme, esattamente come Henry Kissinger aveva avvertito in uno dei suoi ultimi articoli. Le nazioni stanno erigendo nuove barriere commerciali e affrontando rivolte cittadine come mai viste prima, alcune pacifiche, altre violente. Dall'altra parte di questo sconvolgimento c'è la risposta alla grande domanda: che aspetto ha la rivoluzione politica nelle economie industriali avanzate con istituzioni democratiche? Stiamo cercando di scoprirlo.
Facciamo un rapido excursus nella storia moderna per capire meglio le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Dall'apertura della Cina negli anni '80 all'elezione di Donald Trump nel 2016, il volume delle importazioni commerciali dalla Cina non ha fatto altro che crescere, decennio dopo decennio. È stato il segno evidente di una traiettoria generale verso la globalizzazione iniziata dopo la seconda guerra mondiale e accelerata con la fine della guerra fredda. Dazi e barriere commerciali sono diminuiti sempre di più, mentre i dollari come valuta di riserva mondiale hanno riempito le casse delle banche centrali mondiali. Gli Stati Uniti sono stati la fonte globale di liquidità che ha reso possibile tutto ciò.
Non senza pagare un costo enorme, però, poiché gli Stati Uniti nel corso dei decenni hanno perso i loro vantaggi manifatturieri in decine di settori industriali. Orologi, pianoforti, mobili, tessuti, abbigliamento, acciaio, utensili, costruzioni navali, giocattoli, elettrodomestici, elettronica di consumo e semiconduttori hanno tutti lasciato le coste degli Stati Uniti, mentre altri settori hanno iniziato ad avere difficoltà, in particolar modo le automobili. Oggi anche le tanto celebrate industrie “dell'energia verde” sono destinate a essere surclassate dalla concorrenza.
Questi settori sono stati in gran parte sostituiti da prodotti finanziari alimentati tramite il debito, dal settore medico pubblico, dai sistemi informatici, dall'intrattenimento e dall'istruzione finanziata dallo stato, mentre le principali esportazioni degli Stati Uniti sono diventate debito e prodotti petroliferi.
Molte forze si sono unite per far salire Donald Trump in cima alla catena di comando nel 2016, ma il risentimento contro l'internazionalizzazione della produzione era alto. Mentre la finanziarizzazione sostituiva la produzione nazionale e la mobilità di classe ristagnava, negli Stati Uniti ha preso forma un allineamento politico che ha lasciato sbalordite le élite. Trump si è impegnato sul suo problema preferito, ovvero erigere barriere commerciali contro i Paesi con cui gli Stati Uniti stavano registrando deficit commerciali, principalmente la Cina.
Nel 2018, e in risposta ai nuovi dazi, il volume degli scambi commerciali con la Cina ha subito il suo primo duro colpo, invertendo non solo una traiettoria di crescita di 40 anni, ma anche assestando il primo e più grande colpo al consenso neoliberista.
Poi è successo qualcosa che ha invertito l'inversione. Quel qualcosa è stata la risposta al Covid. Nel racconto di Jared Kushner (Breaking History) egli si recò dal suocero dopo il lockdown e gli disse:
Stiamo cercando di trovare rifornimenti in tutto il mondo. Al momento ne abbiamo abbastanza per arrivare alla prossima settimana, forse due, ma dopo potrebbe diventare davvero brutta la situazione, molto in fretta. L'unico modo per risolvere il problema immediato è ottenere i rifornimenti dalla Cina. Saresti disposto a parlare con il presidente Xi per disinnescare la situazione?“Ora non è il momento di essere orgogliosi”, disse Trump, “odio che siamo in questa posizione, ma cerchiamo di trovare una soluzione”.
È impossibile immaginare il dolore che questa decisione deve aver causato a Trump, poiché ha significato il ripudio di tutto ciò in cui credeva profondamente e di tutto ciò che si era prefissato di realizzare come presidente.
Kushner continua:
Contattai l'ambasciatore cinese Cui Tiankai e proposi che i due leader parlassero. Cui era entusiasta dell'idea. Quando parlarono, Xi fu veloce a descrivere le misure adottate dalla Cina per mitigare il virus. Poi espresse preoccupazione per il fatto che Trump si riferisse al COVID-19 come “virus cinese”. Trump accettò di astenersi dal chiamarlo così se Xi avesse dato agli Stati Uniti la priorità rispetto ad altri nella spedizione di forniture. Xi promise di collaborare. Da quel momento in poi, ogni volta che chiamavo l'ambasciatore Cui per un problema, lui lo risolveva immediatamente.Quale fu il risultato? Il commercio con la Cina salì alle stelle. Nel giro di poche settimane, gli americani indossavano mascherine sintetiche cinesi sul viso, avevano il naso tappato con tamponi cinesi e venivano curati da infermieri e dottori che indossavano camici cinesi.
Il grafico sul volume degli scambi commerciali con la Cina si presentava così. Si può osservare la lunga ascesa, la caduta dal 2018 e l'inversione del volume degli acquisti in seguito ai lockdown e agli interventi di Kushner. Non è durata a lungo, poiché le relazioni commerciali si sono interrotte e sono nati nuovi blocchi commerciali.
L'ironia, quindi, è evidente: il tentativo fallito di riavviare l'ordine neoliberista, se di questo si trattava, si è verificato nel mezzo di un'ondata globale di controlli e restrizioni totalitari. In che misura i lockdown sono stati impiegati per resistere all'agenda di disaccoppiamento di Trump? Non abbiamo risposte a questa domanda, ma osservare lo schema lascia spazio a speculazioni.
In ogni caso, le tendenze degli ultimi 70 anni si sono invertite, facendo approdare gli Stati Uniti in tempi nuovi, descritti dal Wall Street Journal:
Se si scoprisse che i dazi sulla Cina sono al 60% e quelli del resto del mondo sono al 10%, il dazio medio degli Stati Uniti, ponderato in base al valore delle importazioni, balzerebbe al 17% dal 2.3% nel 2023 e dall'1.5% nel 2016, secondo Evercore ISI, una banca d'investimento. Sarebbe la media più alta sin dalla Grande Depressione, dopo che il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act (1932), il quale innescò un'ondata globale di barriere commerciali. I dazi statunitensi passerebbero da quelli più bassi a quelli più alti tra le principali economie mondiali. Se altri Paesi reagissero, l'aumento delle barriere commerciali globali non avrebbe precedenti moderni.Parlare dello Smoot-Hawley Act ci fa davvero sprofondare nella storia. A quei tempi la politica commerciale negli Stati Uniti seguiva la Costituzione degli Stati Uniti (Articolo I, Sezione 8). Il sistema originale garantiva al Congresso il potere di regolamentare il commercio con le nazioni straniere, tra gli altri poteri. Ciò aveva lo scopo di mantenere la politica commerciale all'interno del ramo legislativo per garantire una responsabilità sempre presente. Di conseguenza il Congresso rispose alla crisi economica/finanziaria imponendo enormi barriere contro le importazioni; la depressione peggiorò.
Era una convinzione diffusa nei circoli d'élite che i dazi del 1932 avessero avuto un ruolo principale nell'aggravamento della crisi economica. Due anni dopo iniziarono i lavori per trasferire l'autorità commerciale al ramo esecutivo in modo che quello legislativo non facesse mai più qualcosa di così stupido. La teoria era che il presidente avrebbe avuto più probabilità di perseguire una linea di politica di libero scambio e dazi bassi. Quella generazione non avrebbe mai immaginato che gli Stati Uniti avrebbero eletto un presidente che avrebbe usato il suo potere per fare l'opposto.
Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, un gruppo di diplomatici, statisti e intellettuali lavorò per garantire la pace. Tutti concordarono sul fatto che una priorità nel mondo del dopoguerra fosse quella di istituzionalizzare la cooperazione economica il più ampiamente possibile, sulla base della teoria secondo cui nazioni che dipendono l'una dall'altra per il loro benessere materiale avrebbero avuto meno probabilità di andare in guerra l'una contro l'altra.
Nacque così quello che venne chiamato l'ordine neoliberista. Consisteva in nazioni democratiche con stati sociali limitati che cooperavano dal punto di vista commerciale: barriere sempre più basse. In particolare i dazi vennero criticati come mezzi di sostegno fiscale e protezione industriale. Furono fondati nuovi accordi e istituzioni per essere gli amministratori del nuovo sistema: GATT, FMI, Banca Mondiale e ONU.
L'ordine neoliberista non è mai stato liberale nel senso tradizionale, è stato gestito fin dall'inizio da stati sotto il dominio degli Stati Uniti. L'architettura è sempre stata più fragile di quanto sembrasse. L'accordo di Bretton Woods del 1944, rafforzato nel corso dei decenni, ha coinvolto istituzioni come banche globali e un sistema monetario gestito dagli Stati Uniti che poi è crollato nel 1971. Il difetto in entrambi i sistemi aveva una radice comune: una moneta globale ma sistemi fiscali e normativi nazionali, cosa che ha quindi disabilitato i meccanismi di flow-to-specie che invece avevano bilanciato il commercio nel XIX secolo.
Una delle conseguenze è stata la perdita di produzione sopra menzionata, cosa che è coincisa con una crescente percezione pubblica che le istituzioni pubbliche stessero operando senza trasparenza e partecipazione dei cittadini. L'espansione dello stato militare dopo l'11 settembre e gli sbalorditivi salvataggi di Wall Street dopo il 2008 hanno rafforzato tale punto e preparato il terreno per una rivolta populista. I lockdown, che hanno avvantaggiato le élite, insieme alle rivolte dell'estate 2020, l'obbligo di vaccinazione e l'insorgere di una crisi migratoria, hanno rafforzato ancora di più suddetto punto.
Panico e frenesia, però, non spiegano il motivo per cui quasi tutti i Paesi occidentali stanno affrontando la stessa dinamica. Oggi la lotta politica nel mondo riguarda gli stati e i movimenti populisti contro il tipo di globalismo che ha portato una risposta mondiale al virus e alla crisi migratoria. Entrambe le risposte si sono rivelate sbagliate, in particolar modo il tentativo di vaccinare l'intera popolazione con un'iniezione che oggi è difesa solo dai relativi produttori e da coloro che sono al loro soldo.
Il problema della migrazione più la pianificazione pandemica sono solo due degli ultimi dati, ma entrambi suggeriscono una realtà minacciosa di cui molte persone nel mondo sono appena consapevoli. Gli stati che hanno dominato il panorama politico sin dal Rinascimento, e persino in alcuni casi nel mondo antico, hanno lasciato il posto a una forma di governo che possiamo chiamare globalismo. Badate bene, però, questo termine non si riferisce al commercio transfrontaliero. Riguarda il controllo politico: lontano dai cittadini e verso qualcos'altro che questi ultimi non possono controllare o influenzare.
Dal tempo del Trattato di Westfalia, firmato nel 1648, l'idea della sovranità statale ha prevalso nel mondo della politica. Non tutte le nazioni avevano bisogno delle stesse linee di politica, ciononostante avrebbero rispettato le differenze per raggiungere l'obiettivo della pace. Ciò implicava il permesso di diversità religiosa tra gli stati, una concessione che portò a uno sviluppo della libertà in altri modi. Tutta la governance finì per essere organizzata attorno a zone di controllo geograficamente limitate.
I confini giuridici limitavano il potere e l'idea del consenso avrebbe gradualmente dominato gli affari politici dal XVIII al XIX secolo fino a dopo la Grande Guerra, la quale avrebbe l'ultimo degli imperi multinazionali. Sarebbe rimasto in piedi un solo modello: lo stato-nazione in cui i cittadini avrebbero esercitato la sovranità ultima. Il sistema ha funzionato, ma non tutti ne sono stati contenti.
Per secoli alcuni degli intellettuali di più alto rango hanno sognato un governo mondiale come soluzione alla diversità delle linee di politica degli stati. È stata l'idea di riferimento per scienziati ed eticisti convinti della correttezza delle loro idee: un'imposizione mondiale come soluzione ottimale. L'umanità è stata abbastanza saggia da non tentare una cosa del genere, al di là delle alleanze militari e dei meccanismi per migliorare i flussi commerciali.
Nonostante il fallimento della gestione globale nel secolo scorso, nel XXI secolo abbiamo assistito all'intensificazione del potere delle istituzioni globaliste. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha scelto la risposta alla pandemia per il mondo intero. Le fondazioni e le ONG globaliste sono pesantemente coinvolte nella crisi dei migranti. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, creati come istituzioni per un sistema globale per denaro e finanza, stanno esercitando un'influenza sproporzionata sulla politica monetaria e finanziaria. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) lavora per ridurre il potere dello stato-nazione sulle politiche commerciali.
Poi ci sono le Nazioni Unite. Mi è capitato di essere a New York City qualche settimana fa quando si sono riunite le Nazioni Unite. Non c'è dubbio che sia stato il più grande spettacolo sul pianeta Terra: vaste zone della città sono state chiuse al traffico, con diplomatici e gente nel mondo della finanza arrivati in elicottero sui tetti di hotel di lusso. I prezzi di tutto sono stati aumentati in risposta.
I partecipanti non erano solo statisti da tutto il mondo, ma anche le più grandi società finanziarie e mediatiche, insieme a rappresentanti delle più grandi università e organizzazioni no-profit. Tutte queste forze si riuniscono sovente come se volessero tutte far parte del futuro. E quel futuro è un governo globale in cui lo stato-nazione alla fine viene ridotto a puro orpello senza alcun potere operativo.
L'impressione che ho avuto lì è stata una di profonda separazione del loro mondo da quello del resto di noi. Sono “persone che vivono in una bolla”. I loro amici, coloro che li finanziano, i raggruppamenti sociali, aspiranti carrieristi in un tale mondo e grandi influencer sono distaccati non solo dalle persone normali, ma anche dallo stato-nazione stesso. L'atteggiamento di moda tra tutti loro è quello di considerare lo stato-nazione e la sua storia come sorpassati, fittizi e piuttosto imbarazzanti.
Un globalismo come quello che opera nel XXI secolo rappresenta uno spostamento e un ripudio del modo in cui la governance ha funzionato per mezzo millennio nella pratica. Gli Stati Uniti sono stati inizialmente istituiti come un Paese di democrazie localizzate che si sono poi unite sotto una confederazione libera. Gli Articoli della Confederazione non hanno creato alcun governo centrale, ma hanno piuttosto demandato alle ex-colonie il compito di istituire (o continuare) le proprie strutture di governance. Quando è arrivata la Costituzione, ha creato un attento equilibrio di controlli ed equilibri per limitare lo stato federale preservando al contempo i diritti di singoli stati. L'idea non era di rovesciare il controllo dei cittadini sullo stato-nazione, ma di istituzionalizzarlo.
Dopo tutti questi anni la maggior parte delle persone nella maggior parte delle nazioni, in particolare negli Stati Uniti, ritiene di dover avere l'ultima parola sulla struttura del sistema. Questa è l'essenza dell'ideale democratico, e non come fine a sé stesso, ma come garante della libertà, il principio che guida tutto il resto. La libertà è inseparabile dal controllo del governo da parte dei cittadini. Quando questo legame viene infranto, la libertà stessa viene gravemente danneggiata.
Il mondo odierno è pieno di istituzioni e individui ricchi che si ribellano alle idee di libertà e democrazia. Non amano l'idea di stati geograficamente limitati con zone di potere giuridico. Credono di avere una missione globale e vogliono rafforzare le istituzioni globaliste contro la sovranità delle persone che vivono negli stati-nazione.
Secondo questa gente ci sono problemi esistenziali che richiedono il rovesciamento del modello dello stato-nazione: malattie infettive, minacce pandemiche, cambiamenti climatici, mantenimento della pace, criminalità informatica, stabilità finanziaria, instabilità varie ed eventuali; sono sicuro che ce ne sono altre nella lista che dobbiamo ancora vedere. L'idea alla base è che questi problemi sono mondiali e sfuggono alla capacità dello stato-nazione di affrontarli.
Siamo tutti indotti a credere che lo stato-nazione non sia altro che un anacronismo che debba essere soppiantato. Tenete presente che questo significa necessariamente trattare la democrazia e la libertà come anacronismi. In pratica l'unico mezzo con cui le persone comuni possono frenare la tirannia e il dispotismo è attraverso il voto. Nessuno di noi ha alcuna influenza sulle politiche dell'OMS, della Banca Mondiale, o dell'FMI, tanto meno sulle fondazioni Gates o Soros. Nel modo in cui la politica è strutturata nel mondo oggi, siamo tutti necessariamente privati dei diritti in un mondo governato da istituzioni globali.
Ed è proprio questo il punto: ottenere la privazione universale dei diritti della gente comune in modo che le élite possano avere mano libera nel regolare il pianeta come ritengono opportuno. Ecco perché diventa estremamente urgente per ogni persona che aspira a vivere in pace riconquistare la sovranità nazionale e dire no al trasferimento di autorità a istituzioni su cui i cittadini non hanno alcun controllo.
La devoluzione del potere dal centro è l'unica via attraverso cui possiamo ripristinare gli ideali dei grandi visionari del passato come Thomas Jefferson, Thomas Paine e l'intera generazione di pensatori illuministi. Alla fine le istituzioni di governo devono essere sotto il controllo dei cittadini e riguardare i confini di singoli stati, altrimenti nel tempo diventano tiranniche. Come affermò Murray Rothbard, abbiamo bisogno di un mondo in cui le nazioni esistano per consenso.
Ci sono molte ragioni per rimpiangere il crollo del cosiddetto consenso neoliberista e una forte motivazione per preoccuparsi dell'ascesa del protezionismo e dei dazi. Tuttavia ciò che hanno chiamato “libero scambio” (non la semplice libertà di comprare e vendere oltre confine, ma piuttosto un piano industriale gestito dallo stato) ha avuto anch'esso un costo: il trasferimento della sovranità dalle persone nelle loro comunità e nazioni a istituzioni sovranazionali su cui i cittadini non hanno alcun controllo. Non doveva andare così, ma è così che è andata alla fine.
Per questo motivo il consenso neoliberista costruito nel periodo postbellico conteneva i semi della sua stessa distruzione. Era troppo dipendente dalla creazione di istituzioni al di fuori del controllo delle persone e troppo dipendente dal dominio dell'élite sugli eventi. Stava già crollando prima della risposta alla pandemia, ma sono stati i lockdown, imposti quasi simultaneamente in tutto il mondo per sottolineare l'egemonia dell'élite, a esporre il pugno sotto il guanto di velluto.
La rivolta populista di oggi potrebbe un giorno apparire come l'inevitabile svolgimento degli eventi quando le persone diventano (nuovamente) consapevoli della privazione dei loro diritti. Gli esseri umani non si accontentano di vivere in gabbia.
Molti hanno previsto da tempo una reazione negativa ai lockdown e a tutto ciò che vi era associato. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarla nei fatti. Il dramma dei nostri tempi è tanto profondo quanto quello di qualsiasi altra grande epoca della storia: la caduta di Roma, il Grande Scisma, la Riforma protestante, l'Illuminismo e la caduta degli imperi multinazionali. L'unica domanda ora è se a questo giro finirà come l'America del 1776 o la Francia del 1790.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Anamnesi della vittoria di Trump: cosa e chi ha dato vita alla cosiddetta “onda rossa”
Ci sono schemi per ogni cosa. Ciò che si osserva di questi tempi è la sovrapposizione tra gli schemi dei mercati, in particolare il cosiddetto Trend primario, e gli schemi delle politiche pubbliche.Queste ultime oggi sono sempre più del genere “win-lose” (somma zero), rafforzando il Trend primario e aprendo la strada una discesa ripida. Vilfredo Pareto ci ricorda che ci sono sempre delle persone che formano l'élite di un Paese. Per lo più sono benigne e disponibili: tracciano strade, si assicurano che gli impianti idraulici funzionino, risolvono controversie e stabiliscono standard civili. Ma col tempo i loro cuori piccoli e vili si oscurano: invece di agire come giudici imparziali, assicurandosi che le regole siano rispettate, ne inventano di nuove a loro piacimento. Sanzioni, dazi, regolamenti, leggi, limiti alla libertà di parola, deficit, bombardamenti, uccisioni, sussidi e tangenti: sono tutti parti del programma.
Il potere, come si suol dire, corrompe.
La Repubblica Popolare Cinese è piuttosto nuova: è stata fondata solo nel 1949. Allora l'economia americana era 600 volte più grande di quella cinese. L'America ha continuato a crescere, ma dopo il 1978 la Cina ha intrapreso la strada del capitalismo e ora il 18% del PIL mondiale è suo. In termini di parità del potere d'acquisto, la sua economia è già più grande di quella statunitense.
UNA SCALATA OSTILE MASCHERATA DA INCOMPETENZA
Una delle date chiave per capire come siamo arrivati dove siamo è il 1992. Quello fu l'anno in cui Francis Fukuyama scrisse il suo famoso saggio e si chiese se fosse arrivata la “fine della storia”. L'Occidente era trionfante e non c'era bisogno di ulteriore “storia”. Nessun altro esperimento, non c'era più bisogno di imparare, di evolversi, o di mettere in discussione. Guerre? Rivoluzioni? Nuovi sistemi di governo o economie? Tutto questo era il passato, avevamo trovato la formula vincente. Guardandosi allo specchio, allora, sembrava ovvio cosa sarebbe successo dopo: tutti volevano essere come noi. Erano diventati tutti “occidentali”. La Cina stava già imparando velocemente: seguendo il modello stabilito dal Giappone, stava costruendo un'economia guidata dalle esportazioni vendendo prodotti a basso costo, acquisendo competenze e capitale, e costruendo i suoi settori manifatturieri. Tutte quelle esportazioni contribuirono a mantenere bassi i prezzi al consumo negli Stati Uniti e diedero alla Cina i soldi per acquistare obbligazioni statunitensi. E perché non avrebbero dovuto? Tutti sapevano che erano l'asset più grande, più liquido e più sicuro del mondo.
La Russia, a quel tempo, era appena tornata Russia. L'Unione Sovietica, con la sua pianificazione centralizzata e i soffocanti controlli economici, non riusciva a competere. I suoi addetti ai lavori guardavano oltre confine alla Germania Ovest e volevano ciò che vedevano: si resero conto che possedere i mezzi di produzione, come capitalisti, sarebbe stato meglio che continuare a controllarli come burocrati. Smisero di essere burocrati nel sistema sovietico e divennero oligarchi nel nuovo sistema “occidentale”. Vladimir Putin pensò persino che la Russia avrebbe potuto unirsi alla NATO. Il problema per gli oligarchi era che l'Unione Sovietica produceva pochissimi beni/servizi che gli occidentali avrebbero acquistato. Tutto ciò che avevano veramente erano materie prime ed energia, ma con la carota del profitto davanti a loro, piuttosto che il bastone comunista sulle loro spalle, gli oligarchi si gettarono a capofitto nelle miniere e i pozzi e presto iniziarono a far scendere i prezzi delle risorse energetiche.
Con la minaccia sovietica fuori dai piedi, gli Stati Uniti avrebbero potuto godere di un “dividendo grazie alla pace”, avrebbero potuto tagliare la spesa militare di centinaia di miliardi e, con gli oligarchi che inondavano il mondo di materie prime a basso costo e i cinesi che sfornavano prodotti finiti a basso costo, “l'Occidente” se la passava bene. I suoi costi al consumo stavano scendendo mentre i prezzi dei suoi asset stavano salendo. Il Trend primario era in ascesa per gli asset finanziari e i policymaker in Cina, Russia e Stati Uniti contribuirono a mantenere il boom, ma gettarono anche le basi per il successivo Trend primario: gli Stati Uniti avrebbero potuto usare questo periodo di “vacche grasse” per aumentare i propri risparmi, aggiornare le proprie istituzioni e migliorare la propria infrastruttura, invece, dopo il 1999, hanno commesso alcuni degli errori di politica più disastrosi nella loro storia.
La spesa militare è aumentata; non c'è stato alcun “dividendo grazie alla pace”. Invece ci sono state richieste di capitale per pagare un'invasione dell'Iraq e una farsesca guerra al terrorismo. Poi, nel 2009, i burocrati hanno salvato Wall Street e hanno portato i tassi d'interesse sotto lo zero (aggiustati all'inflazione) e li hanno lasciati lì per più di 10 anni. Come se non bastasse, sono state istituite barriere commerciali per rallentare le importazioni cinesi; sono state imposte sanzioni sconsiderate, indebolendo il sistema di pagamenti internazionali basato sul dollaro; migliaia di miliardi di dollari sono stati sperperati per finanziare guerre all'estero e assegni dello stato sociale in patria.
Nel 1992 gli Stati Uniti ebbero un'opportunità straordinaria: erano già in cima al mondo e, grazie alle nuove linee di politica in Cina e Russia, avrebbero potuto rafforzare la loro posizione, liberarsi dai debiti, liberarsi dai grovigli burocratici... in pace e più prosperi che mai. Invece si sono lanciati in una serie di guerre e spese in deficit aggiungendo $30.000 miliardi al loro debito e ora la sua politica interna è uno zimbello, la sua politica estera è una vergogna, e lotta contro un nuovo e spietato Trend primario.
ESASPERARE IL NUOVO TREND PRIMARIO
I tassi d'interesse ultra bassi hanno esasperato i massimi, ora, come se fossero guidati da una “mano invisibile”, esaspereranno i minimi. Le amministrazioni americane precedenti a quella Trump, ad esempio, hanno speso troppi soldi a livello statale, hanno tenuto in piedi troppe guerre, hanno limitato il commercio, hanno premiato gli “ammanicati”, hanno punito i loro oppositori e hanno promulgato regolamenti che limitavano la produzione, aumentando così i prezzi reali al consumo e aumentando la povertà.
Potere e sfere di influenza mutevoli tendono a far degenerare un impero che ha raggiunto la sua grandezza massima. Non è una semplice supposizione, è la realtà. È vandalismo, è l'apertura dei cancelli ai “barbari”. E finora le amministrazioni democratiche, in particolare, hanno fatto esattamente questo: il loro vero obiettivo è stato quello di abbassare di livello gli Stati Uniti e peggiorare le cose per la maggior parte degli americani. Questo punto di vista è il migliore per comprendere l'ennesimo invio di aiuti esteri approvati dalla Casa Bianca di Biden.
E che dire delle generazioni che ci hanno preceduto e che ora dormono sottoterra? Erano chiari al riguardo: per gli Stati Uniti era opportuno evitare “coinvolgimenti esteri”; ora invece sono dappertutto. E per 180 anni hanno fatto del loro meglio per controllare i deficit. Perfino ai tempi dell'amministrazione Reagan il debito totale accumulato dagli Stati Uniti era inferiore a $1.000 miliardi. Erano stupidi anche loro per aver cercato di vivere secondo le proprie possibilità?
L'ELEZIONE DI TRUMP
La vittoria di Trump in queste elezioni epocali ha indirizzato in definitiva il Paese verso quel cambiamento di paradigma di cui ho scritto nel dettaglio nel Capitolo 6 del mio ultimo libro, Il Grande Default. Questo cambiamento di percorso è iniziato nel 2017 e, per quanto sia stato rallentato negli ultimi 4 anni, adesso è pienamente operativo: spostare l'epicentro del Grande Default e piazzarlo lì dove merita di essere, ovvero in Europa. L'emancipazione monetaria di cui parlo in quel capitolo è una strategia di sopravvivenza che gli USA possono permettersi, Bruxelles no. Ecco perché da questo lato dell'oceano si sperava in una vittoria della Harris. Ecco perché la cricca di Davos ha riscoperto un vecchio adagio: le bugie sono costose da mantenere a lungo andare, la verità si vende da sola. La pubblicazione del sopraccitato libro, infatti, ha l'intenzione di fornire un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato “fuori controllo” negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto con i membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
La cosiddetta “onda rossa” che vedete nell'immagine qui sotto non equivale a una “rivolta popolare” contro il malgoverno democratico, rappresenta invece una presa di posizione del sistema bancario commerciale statunitense contro la “soluzione” proposta dalla cricca di Davos al problema del debito pubblico: scalata ostile del dollaro e riduzione degli USA a mera succursale dell'Europa e, soprattutto, della City di Londra. Chi riceve le chiamate qui non è Trump, ma personaggi del calibro di Jamie Dimon. Senza la benedizione di Wall Street la FED non avrebbe mai potuto rialzare i tassi d'interesse. Se non si ha chiaro il vero obiettivo dell'Agenda 2030 del WEF, ovvero il sistema bancario commerciale statunitense, allora non si è in grado di unire coerentemente i puntini. Una volta compreso questo punto, va da sé che diventa chiaro come deve essere un meccanismo di difesa: chiudere i rubinetti dell'eurodollaro e indicizzare i debiti interni a un indice nazionale (SOFR) piuttosto che internazionale (LIBOR).
Come avevo avuto modo di dire in precedenza, la FED avrebbe agevolato il compito di Trump una volta eletto tagliando i tassi (senza mai tornare, però, allo zero percento). Non l'avrebbe fatto con la Harris, invece, dato che una sua amministrazione avrebbe portato “serpi in seno” così come le hanno portate le amministrazioni Biden e Obama. Fino a quando ci sarà Powell alla FED, quest'ultima rimarrà indipendente e apporrà quanta più pressione politica possibile affinché vengano risanati le deformità fiscali alimentate dalle amministrazioni precedenti. In questi ultimi anni la FED ha resistito a diversi assalti alla sua indipendenza tramite il proxy del budget fiscale: giganteschi deficit, curva dei rendimenti “impazzita”, senatori come Elizabeth Warren che avrebbero voluto rifonderla con il Ministero del Tesoro, ecc. Tutte le linee di politica adottate dalla FED negli ultimi 4 anni in particolar modo sono state tutte indirizzate per arrivare al momento di oggi, “all'onda rossa”. Con una maggioranza sia alla Camera che al Senato, la FED potrà tagliare i tassi e permettere al sistema bancario commerciale americano di affrontare la tormenta finanziaria. Questo è solo l'inizio di un cammino lungo, non avverrà in 4 anni, le deformazioni economiche del passato sono state talmente profonde che richiederanno anni per essere risanate.
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Con la vittoria di Trump è legittimo aspettarsi oggi un taglio dei tassi di 25 punti base e un ulteriore taglio da 50 punti base il mese prossimo, premesso che i Dem non mettano i bastoni tra le ruote al normale processo di insediamento.
La reazione dei mercati post-elezioni era prevedibile: euro in calo, sterlina in calo, mercato obbligazionario europeo in calo... mercato azionario statunitense in ascesa. Liquidità drenata dal mercato dell'eurodollaro e che vola nei mercati finanziari statunitensi. Niente di più, niente di meno di quanto scrivo nel mio libro per spiegare con dovizia di dettagli il momento a cui siamo arrivati partendo dal suo incipit. Alla luce di tutto ciò, ecco perché Dimon è uno di coloro che guida il processo decisionale dietro Trump. “L'onda rossa” equivale a dire a chi lavora per la fazione avversa, o cricca di Daovs, e che ha remato contro gli USA: “Ora voi lavorate per me”. Sto parlando di gente come Mitt Romney, Mitch McConnell, Susan Collins, Lisa Murkowski, Elizabeth Warren, ecc.
Come ho sempre detto, vedetela come una cupola mafiosa al cui interno le famiglie a volte stringono accordi e a volte si accoltellano alle spalle. Il messaggio di Dimon è chiaro: “Se non volete perdere quel poco che vi resta ancora, farete come diciamo e approverete le leggi che vi diremo di approvare. Potrete tenervi le vostre ricchezze, potrete ricevere contratti di ricostruzione in Ucraina o altrove, verrete pagati. Però voterete a favore di qualsiasi cosa vi diremo di votare quando l'amministrazione Trump proporrà leggi in materia fiscale, commerciale, tagli agli sprechi, ecc. Adesso lavorate per noi. Siete asset americani adesso. Non volete? Bene, ci sarà qualcuno che vi rimpiazzerà... ma voi verrete distrutti così come le vostre famiglie”. È così che funziona questo gioco. Questa gente, quindi, verrà richiamata “all'ordine” fino a quando la cricca di Davos si ritroverà che nessuno dagli USA risponderà più alle sue chiamate. Sono queste le vere conseguenze dell'elezione di Trump.
Da questo punto di vista la carta vincente è stata senza dubbio la scelta di Musk di comprare Twitter. Per quanto si sia rivelato, nel breve termine, una scelta economicamente negativa (visto che ci sta perdendo soldi), si sta invece rivelando una scelta economicamente vantaggiosa per il lungo periodo. Twitter, ormai X, ha rappresentato una breccia nelle vie di comunicazioni della cricca di Davos, la quale ha visto aumentare il costo delle menzogne. In particolar modo dopo la questione Twitter files. Vogliamo poi parlare di come Starlink abbia funzionato come un mezzo attraverso il quale le persone nelle zone di guerra hanno potuto inviare video e quindi scavalcare quelle notizie fuorvianti date dai media generalisti?
Questo è un tipo di mentalità che è stata venduta egregiamente da Trump e amplificata da Musk. Inutile dire che il mio intero libro è permeato dalla necessità di spiegare questa filosofia, perché sarà cruciale nel futuro prossimo, soprattutto per gli USA. I “troppo grandi per fallire”, la cricca di Davos e le sue sfere d'influenza, adesso sono “troppo grandi da tenere in piedi”.
Infatti, sulla scia della vittoria di Trump, quegli “strumenti” che la cricca di Davos ha usato per modificare usi/costumi della società e seminare il controllo capillare di cui aveva bisogno per sedimentare la propria influenza, si sono spuntati. La cultura woke sta esalando i suoi ultimi respiri, così come tutto quel perbenismo e politically correct che ha permeato negli ultimi anni il mondo LGBT, per non parlare dell'abominio rappresentato dalla sessualizzazione precoce dei bambini. Lo stesso destino attende i criteri ESG, già in dismissione da parte di Wall Street da un po' di tempo. Altrettanto “curioso”, poi, è l'implosione del governo tedesco e dell'azienda ucraina Ukrenergo legata a doppio filo all'UE tramite la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Perché è importante? Perché può rappresentare una potenziale LTCM dei giorni nostri. Se lo scorso luglio c'era ancora tempo per concedere una moratoria all'Ucraina per il rimborso dei suoi prestiti, adesso l'orologio sta ticchettando più forte. Come ho detto anche in precedenza, non mi sorprenderebbe vedere istituti finanziari che come asset hanno titoli ucraini (sia sovrani che non). L'eurodollaro è prosciugato e gli USA si apprestano a mettere ordine anche dal lato fiscale dell'equazione, quindi i pasti gratis per Bruxelles sono destinati a diminuire drasticamente.
CONCLUSIONE
Come Buffett, è opportuno essere pronti per un periodo di caos finanziario. Il Trend primario è sceso; potrebbe durare per molti anni. Con il calo dei prezzi degli asset è inevitabile che si verifichino delle crisi. Non è necessario fare alcuna previsione, basta solo vedere che le azioni sono costose. L'indice S&P ha un rapporto CAPE di 35+, il doppio del prezzo medio delle azioni, storicamente nel 97° percentile. Ciò suggerisce che i prezzi delle azioni potrebbero scendere della metà, solo per tornare a un intervallo “normale”.
Il rapporto Dow/oro ci dice che le azioni hanno ancora molta strada da fare per scendere. Il rapporto è solitamente intorno a 10; ora è 16,5. Le azioni dovranno perdere circa il 40% del loro valore per tornare alla media. Ma i mercati non si spostano semplicemente alla “media” e ci rimangono. Passano da prezzi troppo alti a prezzi troppo bassi... e viceversa. In questo momento le azioni sono destinate a una fase di ribasso di portata sconosciuta, ma poiché le banche centrali hanno spinto l'ultimo Trend primario all'estremo, e poiché ora sembra che stiano spingendo all'estremo opposto, il prossimo periodo di caos dovrebbe essere decisamente pronunciato.
Il modello Dow/oro ci dice di restare in “modalità sicurezza” finché il rapporto non scende a 5 o meno (quando si può acquistare l'intera lista di 30 azioni Dow Jones per l'equivalente di 5 once d'oro). A quel punto sarà il momento di seguire il consiglio di Buffett e “giocare all'attacco mentre gli altri si dannano per sopravvivere”. Ma per questi aspetti c'è sempre il servizio di consulenza del blog a cui potete rivolgervi.
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Benvenuti nella modalità “Solo su”
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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All'inizio di quest'anno, dopo aver digerito una brusca correzione dopo le approvazioni degli ETF, Bitcoin ha raggiunto un nuovo massimo storico, il che è stato anomalo, perché l'halving doveva ancora arrivare. Nei cicli passati i nuovi massimi storici non venivano raggiunti fino a dopo l'halving, come minimo qualche mese dopo.
Questa volta ne è arrivato uno nuovo (in realtà due consecutivi) prima dell'halving, ma il prezzo si è subito ritirato e fino a poco tempo fa BTC stava oscillando lateralmente in una banda che i bitcoiner hanno chiamato “chopsolidation”.
L'oro, da parte sua, aveva mostrato un andamento simile, anche se su onde più lunghe. Quando il metallo giallo ha segnato un nuovo massimo storico a dicembre 2023, ho guardato la dinamica su DollarCollapse.
Dal massimo dell'oro nel 1980 a $800/oz, ci sono voluti 28 anni per raggiungerne un altro. Una volta entrato nell'era post-Grande crisi finanziaria, ha avuto diverse difficoltà: ogni nuovo massimo storico preannunciava un possibile ritiro e consolidamento pluriennale. Quando l'oro ha raggiunto il picco nel 2011 dopo la sua corsa post-Grande crisi finanziaria, ha segnato l'inizio di una fase di “chopsolidation” durata più di un decennio.
Ci sono voluti più di otto anni affinché l'oro superasse il massimo storico del 2011 e più di tre anni perché ci riuscisse di nuovo alla fine del 2023.
Nel 2024 l'oro ha cambiato marcia, facendo registrare una serie di nuovi massimi storici (ben oltre trenta volte ormai) e si trova in un mercato rialzista indiscusso (e comunque non supererà i massimi storici del 1980 in termini di aggiustamento all'inflazione fino a quando non raggiungerà quota $3.000 l'oncia).
L'oro è entrato in modalità “Solo su”.
E ora, catalizzato dalla storica e schiacciante vittoria delle elezioni americane, anche Bitcoin è entrato in modalità “Solo su”.
Dopo aver raggiunto un nuovo massimo storico subito dopo la conclusione della campagna elettorale, da allora ha continuato a farne registrare di nuovi, tra cui uno appena sotto gli $81.000 mentre scrivo questo articolo.
I trader più astuti, che hanno cercato di prevedere il momento giusto per investire in oro o Bitcoin, avrebbero potuto fare bene a vendere nei momenti di massimo e riacquistare nei momenti di calo, e per un po' di tempo ciò avrebbe funzionato.
Il problema è che, se l'oro e Bitcoin si trovano in mercati rialzisti, a un certo punto questi movimenti ciclici o subciclici cambiano ritmo: nuovi massimi storici iniziano ad arrivare a intervalli più brevi, per non parlare dei consolidamenti pluriennali o mensili, finiamo con nuovi massimi ogni tot. settimane o giorni, oppure, data la velocità con cui si muovono i mercati delle criptovalute, ogni tot. ore.
Una volta che ciò accade, siamo in modalità “Solo su”.
Nonostante l'animosità tra la folla “oro contro Bitcoin” (come ho sempre detto, sono un tipo da “oro e Bitcoin”, anche se da molto tempo sono più sbilanciato su Bitcoin che sull'oro) entrambi gli asset sono entrati in suddetta modalità.
Mentre in passato non c'era molta correlazione, nel 2024 quella tra Bitcoin e oro ha iniziato ad avvicinarsi; ecco un grafico che utilizza la media mobile a 10 settimane, anche se bisogna ammettere che c'è volatilità (quella dopo le elezioni ne è un buon esempio).
Ma nel complesso questi due asset ci stanno dicendo la stessa cosa: l'era della moneta fiat sta per concludersi.
È troppo tardi per prendere posizione?
Molte persone osservano la crescita senza precedenti di Bitcoin e pensano che sia troppo tardi per cogliere il lato positivo di questa operazione.
Utilizzo questa frase per un motivo: come ho sottolineato per anni, Bitcoin non è uno trade, ma un cambiamento di paradigma monetario.
E il parametro di riferimento che utilizzo per valutare a che punto siamo nel processo (siamo in anticipo o è troppo tardi?) è la capitalizzazione del mercato obbligazionario globale rispetto a quella di Bitcoin:
Accanto a questi livelli di debito davvero sbalorditivi, abbiamo il mercato obbligazionario globale: $120.000 miliardi (di cui circa $15.000 miliardi hanno un rendimento negativo) e l'offerta M2 degli USA è nell'intervallo dei $20.000 miliardi.
Per comprendere il Great Reset, immaginate i $120.000 miliardi in obbligazioni e tutta la massa monetaria M2 come enormi palloncini, i cui steli sono collegati a un marchingegno dall'aspetto steampunk che aspira l'aria da questi due palloncini e la pompa fuori dall'altra estremità in palloncini molto più piccoli su cui c'è scritto “Oro” e “Bitcoin”. L'ultima parte di questo esercizio è ricordare una cosa: non prestare attenzione ai numeri (il “valore nominale”) sui palloncini Bond e M2.
Ciò che bisogna davvero tenere sotto controllo è il flusso d'aria da sinistra a destra.
Questo flusso d’aria è chiamato “potere d’acquisto”.
Il nostro obiettivo è quello di creare ricchezza e accumulare asset all'interno dei palloncini in espansione sul lato destro. Ciò che stiamo vivendo come enormi bolle dei prezzi degli asset soddisfa tutte le definizioni di ciò che gli economisti della Scuola Austriaca chiamano “Crack Up Boom”.
Si tratta di un volo globale fuori dai palloncini dalla parte sbagliata della storia. In realtà si tratta dei primi brontolii di un evento iperinflazionistico mondiale, uno che colpirà tutte le valute nazionali, capovolgerà il sistema monetario globale, sostituirà lo status di valuta di riserva mondiale del dollaro, eliminerà il contante e sposterà il mondo intero lungo un nuovo ordine monetario.
Naturalmente all'epoca in cui scrivevo questa cosa, circolavano obbligazioni con rendimento negativo per circa $20.000 miliardi a fronte di una capitalizzazione di mercato totale di $100.000 miliardi.
Ora sembra che le obbligazioni stiano prendendo la direzione opposta: nonostante i tagli dei tassi da parte della FED, i rendimenti stanno salendo, e questo è un problema per la gigantesca bolla del debito.
Bitcoin è ora un asset da $1.500 miliardi e le obbligazioni sono ancora 100 volte più grandi, ciononostante hanno iniziato a essere considerate “rischio senza rendimento”. Le obbligazioni sono un “morto che cammina”.
Non sto dicendo che ci sarà un esodo da queste ultime e che $120.000 miliardi in titoli sovrani e aziendali finiranno in Bitcoin.
Ma vedo che gli allocatori stanno riducendo la loro ponderazione e potrei vedere il 10% o il 20% delle obbligazioni spostate su altri asset; se anche il 10% di questa percentuale cerca di entrare in BTC, ciò si tradurrà in altri $1.200 miliardi in entrata.
Il grande salto
Abbiamo attraversato un cambiamento di fase, in cui in passato gli allocatori di asset avrebbero affrontato un rischio reale per quanto riguarda la loro carriera se avessero allocato risorse in Bitcoin. È qualcosa che è stato inaugurato da miliardari anticonformisti ed eccentrici, fondamentalmente persone come Stan Druckenmiller, Paul Tudor Jones o Bill Miller, i quali gestiscono i propri fondi e hanno già abbastanza influenza da non doversi preoccupare di rispondere a nessuno.
Ora invece se avete un ruolo come gestore di fondi, un family office, o un fiduciario, finite sotto torchio se non investite in Bitcoin. Da oltre un anno lo definisco “il mantra dell'1%” e lo stiamo vedendo concretizzarsi.
????????It started with a 0.1% allocation to Bitcoin by the Wisconsin pension fund.
????????Then it escalated with a 3% allocation by a British Pension fund...
????Who will be the next shoe to drop and how big will their allocation be?
The $72 trillion pension fund… pic.twitter.com/5mTG0oxvDq
Ora che siamo alle prese con la valanga di voti per Trump (e improvvisamente essere un negazionista elettorale è accettabile), è significativo notare che nessuno dei due candidati ha mai parlato del debito galoppante e dei deficit in aumento, e tanto meno di affrontarli come parte del proprio programma elettorale.
Questo è l'elefante nella stanza e nessuno se ne sta occupando, perché è irrisolvibile. L'unica linea d'azione è quella di gonfiare il debito e distruggere la valuta: quale? Tutte.
Ecco perché il semplice atto di “partire da zero”, da qualsiasi importo, e poi integrarlo con acquisti regolari (un approccio basato sul costo medio del dollaro) — $100 al mese, $5 a settimana, ecc. — vi posizionerà in uno strato socio-economico completamente diverso da chi non avrà alcun bitcoin quando il cambio di paradigma monetario finalmente arriverà. A quel punto si instaurerà una sorta di apartheid monetario di fatto.
Siamo alle battute finali di questo gioco.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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“Quella è un’esca!” Agitare l’amo nelle acque dei media generalisti non funziona più come una volta
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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di Tom Luongo
C'è un momento grandioso in Mad Max: Fury Road in cui i protagonisti si avvicinano a una donna nuda incatenata a una torre e Max pronuncia una delle sue quattordici battute in tutto il film: “Quella è un'esca!”. Questa è una metafora dell'intero panorama mediatico nell'era dei social media.
Da quando Trump ha vinto, i soliti noti hanno gettato in mare ogni possibile cattiva idea per scoraggiare e indebolire quella vittoria. È tutto un'esca!
Non erano passate nemmeno 24 ore dal discorso di resa delle armi di Kamala Harris, una copia carbone di quello pronunciato da Hillary Clinton nel 2016, prima che le acque venissero pasturate di fronte ai libertari affinché iniziassero a scatenarsi con gli slogan per porre fine alla FED.
Kamala Harris said the word “fight” 20 times in her concessions speech.
20 times. I counted.
She also said “and we will continue to wage the fight… in the public square”.
Impeach her. Their rules, not mine.#ImpeachKamala pic.twitter.com/tqJ0IkB0j0
Jerome Powell è stato costretto a rispondere a una domanda durante la conferenza stampa all'ultima riunione del FOMC circa le sue dimissioni, qualora gli venissero chieste dal presidente Trump.
Powell ha “chiuso la porta” a tutto questo con una sola parola: “No”.
A quel punto tutti sono rimasti scioccati nello scoprire che il presidente della FED non può essere rimosso perché al Presidente della nazione non piace. Lo stesso vale per i giudici della Corte Suprema, per esempio. Questa è politica, gente, non filosofia. Non approvo la situazione, voglio solo sottolineare che coloro che hanno ripetuto a pappagallo “End the FED” da quando Ron Paul si è candidato nel 2008 avrebbero dovuto saperlo.
Quindi, dati questi presupposti, si deve concludere che si tratta della più sporca delle linee di politica sporche, progettata per creare divisioni all'interno della cerchia dei sostenitori MAGA, in un momento in cui dovremmo unirci sulle giuste questioni, dotare la nuova amministrazione di personale, discutere quali dipartimenti tagliare, come finanziare il debito.
In altre parole dovremmo essere noi a dettare il ritmo, anziché reagire di fronte a chi è più vulnerabile a un governo statunitense e a una Federal Reserve che lavorano insieme per difendere la sovranità degli Stati Uniti.
Per più di un anno vi ho detto che ci sarebbero stati due grandi obiettivi nel mirino dei democratici in questa tornata elettorale: Jerome Powell ed Elon Musk.
Powell è il nemico pubblico numero uno per la sua politica monetaria restrittiva, cosa di cui tutti gli Austriaci dovrebbero rallegrarsi piuttosto che inventare argomenti sempre più torbidi su un “QE nascosto”. Per i pensatori sistemici, avere un diagramma di flusso a un livello su qualcosa di così importante e pertinente come la politica monetaria è, francamente, un aspetto piuttosto patetico.
Musk concorre ora con Powell per il primo posto nell'elenco delle cartoline di auguri della cricca di Davos, a causa del modo in cui Twitter e Starlink hanno messo a dura prova il loro motore di creazione delle narrative.
Tornando a Powell, sin dalla crisi bancaria del marzo 2023, da lui fomentata per ragioni politiche e a metà della quale ha rialzato i tassi d'interesse, solo per assicurarsi che tutti quelli che contavano ricevessero il fottuto promemoria, ho smesso di arrabbiarmi nei confronti di Elizabeth Warren e ho iniziato a ridere di lei.
Ha inviato lettere severe chiedendo alla FED di riabbassare i tassi d'interesse a ogni riunione del FOMC, cercando di alimentare la polemica sulla FED. E non era per dare sollievo a qualcuno, ma per aiutare i democratici a vincere le elezioni e allentare la morsa mortale che la linea di politica di Powell “higher for longer” aveva sui mercati dei capitali europei.
Ma grazie a questa domanda sciocca posta da un giovane collaboratore di Politico, ora la “sinistra woke” e la “destra woke” si vedono derubate di ciò che restava dei vecchi cartelli bancari che entrambe credono di dover combattere.
Se non fosse così dannatamente importante, starei già ridendo.
Poi è toccato all'esca lanciata ai conservatori su persone come Mike Pompeo e Nikki Haley. Il segnale più forte che Trump avrebbe probabilmente vinto a valanga è stato il blob dell'intelligence che ha fatto circolare la voce settimane fa che Trump amasse ancora Pompeo e che quest'ultimo stesse già annusando il posto di Segretario di Stato o della Difesa.
Era un'esca, gente! E Trump l'ha segnalata in quanto tale dopo un paio di giorni. Avrebbe dovuto zittirla prima, ma chi sono io per dare consigli al Maestro della Finestra di Overton su queste questioni?
BREAKING: President Trump clarifies that he will not be inviting Amb Nikki Haley and Sec Mike Pompeo into his next administration. pic.twitter.com/ZypWqhGr5v
— Charlie Kirk (@charliekirk11) November 9, 2024Anche la Haley non era sulla sua lista. Trump la odia. Ora ha le porte spalancate per una carriera nei fast food.
In quale altro modo si potrebbe far uscire dal Senato “Little Marco” e sostituirlo con qualcuno che lavorerà con Trump, piuttosto che contro di lui, sulla grande legislazione che deve essere approvata nel 2025?
Promuovetelo, tenetelo al guinzaglio per quanto riguarda le riforme e fatelo fare il pavone sulla Cina. E se non fa quello che gli viene chiesto? “Sei licenziato!”
E se mi sbaglio e Rubio sarà solo l'ennesima esca per i neocon, allora Masal Tov! Oi vey.
Quelle voci su Mike Rogers a capo della CIA e tutto il resto che avete visto... sono tutte esche. Tutti tentativi di inondare l'etere di cattive informazioni e creare spaccature tra i più grandi sostenitori di Trump e lui stesso.
Se a questo punto del gioco non riuscite a cogliere i tentativi britannici di divide et impera, forse siete solo dei pessimi giocatori.
Ci è voluta la fuga di notizie di una votazione segreta organizzata dal leader uscente della maggioranza del Senato, Mitch McConnell, per far finalmente capire alla gente fino a che punto il sistema immunitario burocratico sta lottando contro la chemioterapia rappresentata dalla vittoria di Trump.
Se Marjorie Taylor Greene contribuirà a impedire a John Cornyn di diventare il nostro leader al Senato, ritirerò la maggior parte delle cattiverie che ho detto su di lei.
La maggior parte, almeno...
Scandalo a Berlino
La vittoria di Trump ha causato un terremoto politico a Berlino: il crollo del governo tedesco dopo che il cancelliere Olaf Scholz ha cercato di soddisfare una richiesta di denaro sull'Ucraina. Il ministro delle finanze dell'FDP, Christian Lindner, ha rifiutato di approvare altri €6 miliardi all'Ucraina. Ma la Germania è a corto di soldi in questo anno fiscale e doveva andare al Bundestag, così Scholz lo ha licenziato e Lindner ha tirato fuori l'FDP dalla coalizione.
Ora la situazione in Germania è una di quelle che solitamente vediamo solo nei luoghi colpiti da rivoluzioni colorate.
Sono così disperati nel tentativo di mantenere il potere che ora ci viene offerta l'ennesima fantasia dei “Separatisti sassoni”, tutti e tre, come ragione per bandire Alternativa per la Germania (AfD) e impedirgli di partecipare alle prossime elezioni anticipate.
Questa è un'altra esca per i tedeschi. Anche se il divieto non funzionasse, toglierebbe un paio di punti ai totali nazionali dell'AfD, ma queste sono solo ritirate tattiche. Non è una vittoria, è più un tentativo di non perdere subito.
Il cambiamento culturale e demografico contro questa follia globalista è già avvenuto.
Stiamo osservando il vecchio ordine politico in Germania, tenuto insieme in precedenza dal pugno di ferro di Angela Merkel, andare in pezzi. L'idea che i tedeschi avrebbero votato per annichilirsi a causa della loro colpa collettiva non si è mai concretizzata.
A un certo punto la classe industriale tedesca avrebbe fatto sentire la sua presenza. La vittoria di Trump probabilmente ha catalizzato questo sentimento recondito.
L'intero progetto della cricca di Davos si basava sull'uso dell'impronta generazionale della popolazione del dopoguerra per fabbricare realtà politiche in contrasto con i loro interessi personali. Ma questo pone un limite temporale a un tale progetto: doveva materializzarsi prima che le generazioni che avevano combattuto la seconda guerra mondiale, e che erano cresciute nella fase di ricostruzione, si sarebbero estinte.
Ad esempio, per i tedeschi era la loro vergogna collettiva nei confronti di Hitler. Per il Giappone era la vergogna di essere stati bombardati dagli americani. Per l'America era alimentare la nostra autosufficienza e trasformarla in autocompiacimento.
Come ha sottolineato Howard Lutnick su CNBC qualche mese fa, abbiamo ricalibrato queste persone attraverso il nostro dominio e consentito loro di imporre dazi sui nostri beni per rigenerare le loro economie locali. Tali dazi sono ancora in vigore ed è tempo di rimuoverli negoziando accordi migliori per tutti.
Ma il cambiamento demografico è avvenuto. Lo abbiamo visto nelle elezioni in Germania lo scorso settembre, quando AfD ha visto enorme consenso tra i 18-29enni. La stessa cosa è accaduta in Grecia in seguito allo smantellamento del Paese da parte della Germania/UE dopo le sue molteplici crisi del debito sovrano.
Negli USA i giovani si stanno allontanando dai boomer. Anche i millennial stanno finalmente realizzando i loro desideri di autenticità, dopo essere sopravvissuti a tre fallimenti nazionali nel corso della loro vita: Millennium bug, Lehman Bros. e COVID-19.
Ciò ha permesso alla Generazione X di affermarsi finalmente e di ottenere il risultato di cui il mondo aveva bisogno.
Quindi, per favore gente: esultate per la vittoria e chiudete Twitter per qualche giorno. Vogliono che siate ansiosi e spaventati. È tutto ciò che gli è rimasto. Abbiamo appena detto loro che non vogliamo ciò che stanno offrend,o o che non abbiamo bisogno di ciò che ci hanno venduto
Fidatevi un po' del risultato che avete ottenuto. Questa non è la stessa storia del 2016.
La fiducia nei media generalisti non solo è crollata, ma ha ormai raggiunto la sua fase terminale. Abbiamo appena rotto le sue vie di comunicazione, perché mai dovremmo volerle vedere riparate dando credibilità alla loro volgarità?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Indipendentemente dalla sua forma, il denaro facile è sempre una frode
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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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di Jane Johnson
P. T. Barnum avrebbe dichiarato che “ogni minuto nasce un babbeo”, anche se non ci sono prove che lo abbia effettivamente detto. Che sia vero ai tempi di Barnum o nell'era odierna dei social media, l'aforisma descrive coloro che sono abbastanza creduloni da credere a qualsiasi cosa, anche quando il buon senso (se ne possiedono uno) suggerisce loro il contrario.
Circola una storia su TikTok, dove il 40% dei giovani adulti si informa in questi giorni: video immortalano persone che credono di poter ottenere denaro “gratis” dagli sportelli automatici della Chase Bank. Questi video mostrano persone che depositano assegni per grandi somme di denaro agli sportelli automatici della Chase e poi effettuavano prelievi per importi più piccoli, ciononostante sostanziali, portando a credere di aver scoperto un problema informatico di cui approfittare. Un video visualizzato oltre 100.000 volte mostra una giovane donna che chiama sua madre e le dice che potrebbe ottenere da $40.000 a $50.000 dal suo conto Chase depositando un assegno e sfruttando il “problema”.
La Chase normalmente consente ai clienti di prelevare una parte degli assegni depositati prima che l'importo totale dell'assegno venga liquidato, ma un errore tecnico ha consentito ai clienti di prelevare tutti i fondi da un assegno prima che fosse liquidato. La Chase afferma che questo errore è perdurato per alcuni giorni prima di essere rapidamente risolto.
Se sembra una frode, lo è. In passato simili schemi venivano chiamati “check-kiting”, quando qualcuno sfruttava il saldo attivo della banca per utilizzare fondi inesistenti. È illegale sia per legge statale che federale da molti anni. Il check-kiting è molto meno comune oggi rispetto al passato, non perché i clienti delle banche siano più rispettosi della legge, ma perché il tempo trascorso dal deposito dell'assegno alla sua approvazione si è notevolmente ridotto nel tempo.
Il bank float potrebbe offrire l'opportunità di fare check-kiting
In passato un assegno cartaceo da $100 emesso da una banca di New York City, ad esempio, e poi depositato in una banca di San Francisco, poteva impiegare da tre a cinque giorni via treno per raggiungere la banca di New York per l'accredito e l'incasso, e talvolta anche di più, a seconda delle condizioni di trasporto e meteorologiche. Durante questo processo di autorizzazione dell'assegno, i $100 comparivano nei conti sia di chi firmava l'assegno che del destinatario.
La banca di San Francisco poteva accreditare sul conto del destinatario i $100 prima che l'assegno venisse effettivamente incassato dalla banca di New York. Ciò offriva al titolare del conto della banca di San Francisco l'opportunità di utilizzare fondi che in realtà non possedeva ancora. Questo spiega perché le banche molti anni fa si sono rese conto della necessità di bloccare la disponibilità di fondi per impedire il check-kiting.
Questo lasso di tempo tra il deposito dell'assegno presso la banca del destinatario e la sua approvazione presso la banca che lo emetteva è chiamato “bank float” e i $100 venivano conteggiati due volte durante tale periodo. Quando l'ufficio postale statunitense ha aggiornato il suo servizio dal trasporto ferroviario a quello aereo, il bank float è diminuito in modo significativo, ma è comunque rimasto.
Storicamente la maggior parte del check-kiting si verificava tra banche nella stessa città o nelle vicinanze, come nel caso dei video di TikTok. In questo caso esiste il bank float, sebbene il tempo di compensazione trascorso sia molto più breve rispetto a quello nell'esempio New York-San Francisco.
Per ridurre ulteriormente il bank float, nel 2003 il Congresso ha approvato e il Presidente George Bush ha firmato la legge Check 21 che ha ulteriormente ridotto sia i tempi di compensazione degli assegni sia la possibilità di check-kiting. Questa legge ha apportato numerose modifiche all'elaborazione degli assegni: ora tutte le compensazioni degli assegni vengono effettuate elettronicamente, la maggior parte di essi viene compensata durante la notte, gli assegni originali non vengono più trasportati fisicamente da una banca all'altra e i clienti della banca non ricevono più regolarmente i loro assegni annullati con i loro estratti conto mensili.
Le valute digitali delle banche centrali (CBDC) potrebbero prevenire le frodi legate al check-kiting?
Il sistema di pagamento tramite assegno bancario è sopravvissuto per molti decenni, ma il volume di emissione è diminuito significativamente negli ultimi anni, poiché le carte di credito e di debito, così come i sistemi di pagamento per l'e-commerce, hanno guadagnato popolarità e accettazione tra le transazioni aziendali e personali. In seguito al miglioramento della compensazione degli assegni derivante dalla legislazione Check 21 del 2003, le banche distrettuali Federal Reserve hanno ridotto il numero dei loro uffici di elaborazione degli assegni cartacei da quarantacinque nel 2003 a un solo nel 2010.
Ora i Paesi di tutto il mondo stanno iniziando a prendere in considerazione le valute digitali delle banche centrali (CBDC). Se implementata negli Stati Uniti, una CBDC renderebbe tutti clienti della Federal Reserve, un accordo radicalmente diverso da quanto mai visto in questo Paese perché essa non ha mai svolto il ruolo di banca per il pubblico. Una CBDC creerebbe conti bancari presso la FED per ogni americano.
La tesi a favore delle CBDC è che funzionano in modo simile alle valute fiat, aggiungendo alcuni vantaggi della valuta digitale o crittografica. Ad oggi solo quattro CBDC (Zimbabwe, Nigeria, Bahamas e Giamaica) sono state inaugurate ufficialmente, anche se molte altre sono in fase di pilotaggio o sviluppo.
Alcuni sostengono che le CBDC potrebbero aiutare nella prevenzione delle frodi. Una proposta prevede di rilasciare fondi dai pagamenti solo dopo che siano stati soddisfatti criteri specifici. A parte rallentarli, imporre blocchi sulla disponibilità di credito e migliorare l'autenticazione, finora non è stata introdotta alcuna soluzione semplice ed efficace. Le preoccupazioni sulla privacy, inoltre, continuano a perseguitare la discussione sulle CBDC, poiché la banca centrale di una nazione sarebbe a conoscenza dei modelli di spesa di tutti.
Risoluzione del problema evidenziato dai video su TikTok
Pochi istanti dopo la diffusione del video su TikTok, la Chase Bank ha avvisato i clienti e il pubblico in generale che la truffa del denaro facile non era un glitch, ma piuttosto una frode pura e semplice, e che i responsabili sarebbero stati perseguiti con la massima severità della legge. La Chase continua a indagare sulla truffa e sull'entità delle sue perdite, ma non ha rilasciato altre notizie a parte l'annuncio che l'errore è stato corretto. Quindi la storia potrebbe rimanere semplicemente l'ennesimo esempio del vecchio adagio “se sembra troppo bello per essere vero, quasi sicuramente lo è”, una lezione che la generazione di TikTok dovrà imparare prima o poi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Il mito dello stato-imprenditore
Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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La rinomata economista Mariana Mazzucato ha ottenuto ampi consensi per il suo lavoro sul concetto di “stato-imprenditore”, in cui sostiene che lo stato svolge un ruolo fondamentale nel guidare l'innovazione. I suoi saggi e libri sottolineano la capacità dello stato di guidare progressi rivoluzionari. Mentre la Mazzucato è abile nell'esaltare le virtù delle iniziative guidate dal governo, la sua argomentazione trascura un difetto cruciale: la suscettibilità dello stato agli incentivi politici.
A differenza degli imprenditori di mercato, che sono spinti dalla ricerca del profitto, lo stato opera in base a motivazioni politiche. Di conseguenza i funzionari governativi potrebbero continuare a sostenere progetti fallimentari per il bene del prestigio nazionale piuttosto che per la fattibilità economica e per servire il consumatore.
Sul mercato i prodotti e i servizi poco performanti vengono migliorati o abbandonati in favore di alternative più efficaci. Al contrario, la visione della Mazzucato dello stato-imprenditore è quella che dà priorità alle iniziative politicamente attraenti, indipendentemente dalla redditività. I programmi di energia verde, ad esempio, rimangono importanti nei circoli politici, nonostante i ripetuti fallimenti. Il modello della Mazzucato, in sostanza, sostiene uno stato interventista che dà priorità all'hype rispetto alla sostenibilità e alla redditività.
Mentre il lavoro della Mazzucato ha scatenato un dibattito feroce, molti dei suoi critici non sono riusciti a riconoscere fino a che punto gli incentivi politici ostacolano il potenziale imprenditoriale dello stato. Un'eccezione degna di nota è l'economista Randall Holcombe, il quale sostiene che il raggiungimento di traguardi tecnologici non dovrebbe essere confuso con il successo imprenditoriale. Al contrario, tali risultati riflettono imprese ingegneristiche piuttosto che imprenditorialità generatrice di valore. Gli stati spesso finanziano progetti su larga scala per promuovere l'orgoglio nazionale, ma Holcombe sostiene che questa attenzione al simbolismo piuttosto che alla fattibilità economica indebolisce l'essenza stessa dell'imprenditorialità. Uno stato più interessato a costruire prestigio nazionale che a creare valore spreca inevitabilmente risorse ignorando le forze di mercato.
Il caso di Singapore è spesso citato come esempio di stato-imprenditore, ma i ricercatori suggeriscono che l'imprenditorialità guidata dallo stato abbia soffocato l'innovazione interna. Incanalando risorse in iniziative statali, esso ha inavvertitamente soppresso l'imprenditorialità indipendente e reindirizzato il capitale lontano da settori tradizionalmente più redditizi. Inoltre l'economia singaporegna fa molto affidamento sulle multinazionali per l'innovazione, sfatando l'idea che uno stato-imprenditore possa coltivare una società veramente imprenditoriale.
L'esperienza di Singapore pone una sfida diretta alla tesi della Mazzucato, ma anche altri esempi mettono in dubbio la sua visione. Negli Stati Uniti la ricerca ha dimostrato che i programmi pubblici di R&S per le piccole imprese hanno estromesso i finanziamenti privati senza produrre risultati positivi. Le aziende che ne beneficiano sono meno produttive, soprattutto perché quelle meno efficienti dipendono maggiormente dagli aiuti statali.
Le carenze dello stato-imprenditore diventano ancora più evidenti quando si esaminano più in dettaglio le prestazioni delle iniziative legate all'energia verde. In Cina gli investimenti statali nell'energia eolica hanno portato a un lento progresso tecnologico e a numerosi fallimenti. Gli analisti sostengono che il coinvolgimento dello stato ha portato a un disprezzo per i principi economici a favore di obiettivi politici. Analogamente, in Europa, le aziende legate all'energia verde sostenute dallo stato sono diventate dipendenti dai sussidi senza dimostrare una crescita significativa nella produttività.
Questi esempi sono in linea con le recenti scoperte di Martin Livermore secondo cui il coinvolgimento dello stato nelle attività commerciali tende a causare più fallimenti che successi. Questo risultato non sorprende affatto, poiché lo stato opera con incentivi diversi rispetto agli imprenditori. I politici possono dichiarare un programma un successo anche se fallisce sul mercato, purché serva i loro interessi politici. Al contrario, gli imprenditori di mercato devono soddisfare le richieste dei consumatori o rischiare di chiudere baracca e burattini. Le realtà del processo decisionale politico rivelano che lo stato-imprenditore è più un costrutto teorico che pratico.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Bibliografia di Freedonia
In questa pagina del blog trovate i vari titoli che ho pubblicato e che ho tradotto nel corso del tempo, sia le versioni cartacee che le versioni digitali.
Il Grande Default {versione cartacea | versione digitale}
L'economia è un gioco da ragazzi {versione cartacea | versione digitale}
L'economia cristiana in una lezione {versione cartacea | versione digitale}
L'avanzamento e il declino della società {versione cartacea | versione digitale}
La radice di tutti i mali economici {versione cartacea | versione digitale}
La fine delle fallacie economiche {versione cartacea/versione digitale}
Un testo elementare sul libero mercato dell'elettricità
L'elettricità è uno dei settori più regolamentati dell'economia statunitense. Un secolo di barriere all'ingresso e tariffe dei servizi pubblici non ha fatto altro che far soccombere il settore a tutta una serie di nuovi interventi governativi. L'elettricità all'ingrosso è pianificata centralmente nella maggior parte degli stati, creando un mercato al dettaglio artificiale. Allo stesso tempo le politiche governative hanno sempre più sostituito la generazione termica (gas naturale, petrolio, carbone e nucleare) con energia eolica e solare intermittente, cosa che richiede costosi accumulatori di energia sotto forma di batterie.
Oggi un numero crescente di regioni è soggetto a tariffe elettriche in aumento, appelli per la conservazione e interruzioni del servizio. Il grande blackout del Texas del febbraio 2021 ha causato centinaia di morti per mancanza di riscaldamento e altri servizi, per non parlare di cento miliardi di dollari di danni. La California, che nel 2000-2001 ha subito carenze che hanno portato alla chiusura di aziende e scuole, sopporta tariffe “verdi” che sono il doppio rispetto alla media nazionale. Altri stati e regioni stanno perseguendo linee di politica che preannunciano risultati simili.
La discoordinazione economica può creare disagi, interrompere il servizio e persino uccidere, ma questa minaccia all'elettricità affidabile e conveniente non è il risultato di un fallimento del mercato, bensì di un fallimento dello stato, alimentato anche dagli errori dei cosiddetti esperti fuorviati dal problema della conoscenza e dalla politicizzazione.
Elettricità regolamentata
Per più di un secolo, l'elettricità è stata regolamentata come un “monopolio naturale”. Negli ultimi decenni la rete interconnessa per la distribuzione dell'elettricità (“la rete”) è stata regolamentata come un “bene comune”.[1] Una transizione forzata all'eolico e al solare, guidata da Big Green, ha creato una tempesta perfetta di aumenti dei costi e instabilità del servizio. Questo tsunami statalista implora un'alternativa non governativa.
La teoria del monopolio naturale postula situazioni in cui un'azienda porta all'esaurimento le economie di scala, acquistando concorrenti e raggiungere una posizione dominante al minor costo. La progressione naturale verso il controllo del singolo permette a un'azienda di “sfruttare” i consumatori.
“È riconosciuto che la moltiplicazione dei cavi aerei è un male e un pericolo impellente", scrisse un riformatore nel 1889. “Si può dubitare che sia il colmo della follia continuare lungo questa strada, e che davvero l'unico modo razionale di affidare il servizio elettrico a società costituite sia consentire a una sola società di operare in un distretto e controllare i prezzi con mezzi diversi dalla concorrenza?”[2]
Circa 80 anni dopo l'economista Alfred Kahn descrisse la “prestazione accettabile” per il “monopolio regolamentato” come una situazione in cui c'è bisogno di “barriere all'ingresso, impostazione dei prezzi, prescrizione della qualità e delle condizioni del servizio, e l'imposizione di un obbligo di servire tutti i richiedenti a condizioni ragionevoli”.[3] Il quid pro quo della protezione del franchising per l'azienda in cambio di tariffe massime autorizzate da un'autorità centrale divenne noto come patto di regolamentazione.
La regolamentazione dell'elettricità da parte dei servizi pubblici è stata affiancata negli ultimi decenni da un regime normativo più completo: un mercato energetico all'ingrosso pianificato centralmente e basato sull'accesso aperto obbligatorio (AAO) nella trasmissione, da cui può emergere la “concorrenza” sia nella generazione che nella distribuzione. Per portare l'energia alle case e alle aziende, la regolamentazione interstatale da parte della Federal Energy Regulatory Commission (FERC) a metà degli anni '90 è stata affiancata dall'AAO intrastatale a partire dalla California (1996) e dal Texas (1999).[4]
Sotto il cosiddetto retail wheeling, l'utility in franchising ha mantenuto il suo monopolio di trasmissione con tariffe “disaggregate” limitate più un ragionevole ritorno (secondo la regolamentazione dei servizi pubblici). Ma l'utility ha dovuto consentire ai generatori e ai rivenditori esterni di accedere ai suoi cavi, creando rivalità con l'utility in franchising.
Questo sistema non è né una deregolamentazione né una stazione di passaggio verso la deregolamentazione. L'accesso aperto obbligatorio viola i diritti di proprietà privata sottraendo il controllo ai proprietari (dei servizi). “Quello che è tuo è mio”, hanno scritto due critici di questo “socialismo infrastrutturale”.[5]
In secondo luogo, il collegamento vitale della trasmissione è rimasto sotto una rigida regolamentazione in fatto di servizi pubblici.
In terzo luogo, un'entità governativa è tenuta a pianificare e coordinare la rete socializzata di fatto. Ciò che veniva fatto prima dall'azienda, ovvero acquistare, trasportare e vendere energia in base “all'obbligo di servire”, adesso è coordinato dai dipendenti dell'Independent System Operator (ISO) o del Regional Transmission Organization (RTO). Entrambe le agenzie governative si spingono ben oltre il controllo ingegneristico delle operazioni di rete: determinano i prelievi, i prezzi e il rilascio.[6]
Le sette agenzie centrali sono mostrate nella Figura 1, con la regolamentazione tradizionale che governa il Nordovest, il Sudovest e il Sudest (tutti o parte di 17 stati).
Fonte: Federal Energy Regulatory CommissionLa decantata “concorrenza” in base all'AAO è artificiale, forzata, sollevando il problema dell'eccesso di entrate e dello spreco di risorse rispetto a ciò che emergerebbe in un vero processo di scoperta di libero mercato.
“Ma niente è così permanente come un programma governativo temporaneo”, scrissero Milton e Rose Friedman nel 1983.[7] La spinta alimentata dallo stato per l'energia eolica e solare dimostra questo punto.
Operativamente collaudati a New York fin dal 1880, le turbine eoliche e i pannelli solari non sono industrie nascenti. Essendo diluite e intermittenti (il sole non splende sempre, né il vento soffia perennemente), entrambe le fonti di energia erano antieconomiche e indesiderate per generare elettricità, soprattutto se confrontate con l'elettricità più affidabile e distribuibile generata prima col carbone e l'idroelettrico, poi con il petrolio e il gas naturale.
L'attuale boom dell'energia eolica può essere ricondotto all'Energy Policy Act del 1992, il quale ha introdotto un considerevole credito d'imposta per ogni kilowattora generato. Destinato a scadere nel 1999, il credito è stato prorogato 14 volte. Il beneficio fiscale ha persino consentito ai produttori di energia eolica di offrire prezzi negativi, pagando le persone per usare l'elettricità. Tale situazione paradossale ha causato il ritiro prematuro di mezzi affidabili di produzione di energia e l'assenza di nuovi ingressi nel settore, esponendo la rete a problemi di affidabilità in periodi di picco della domanda o eventi imprevisti.
I sussidi federali per l'energia solare risalgono al 1978 e sono stati prorogati 15 volte. Il boom risale all'EPAct del 1992, il quale ha triplicato l'Investment Tax Credit (ITC) per coprire il 30% dei costi di installazione dell'energia solare.
La duplicazione della rete con una generazione più costosa e inaffidabile è una storia di lobbying spiegata dal fenomeno dei benefici concentrati, dei costi diffusi e dalla politica dei battisti (ambientalisti) e dei contrabbandieri (aziende eoliche e solari). La linea di politica governativa in questi casi ha creato grandi industrie che avrebbero avuto solo applicazioni di nicchia, come l'energia solare fuori dalla rete.
Il controllo della rete da parte di ISO/RTO ha semplificato l'ingresso dell'energia eolica e solare in grandi regioni. Le preferenze fiscali sproporzionate, le disposizioni federali obbligatorie e il basso costo marginale hanno garantito un rapido ingresso dell'elettricità più costosa e meno affidabile. La politica climatica della decarbonizzazione è evidente nelle sette regioni di controllo.
Normativa di libero mercato
Un libero mercato dell'elettricità è definito come l'assenza di proprietà, controllo o regolamentazione governativa. Elettricità e stato sono separati, a parte la protezione legale contro la forza o la frode. Lo stato sostiene in modo neutrale l'applicabilità dei contratti privati e di altre norme di mercato in base allo stato di diritto.
La proprietà e il controllo privati dirigono ogni fase del settore, dalla generazione alla trasmissione fino alla consegna e all'utilizzo finali. Entrata, uscita, prezzi e altri termini di servizio non sono prescritti dallo stato in un contesto di libero mercato. L'organizzazione industriale (come l'integrazione verticale o orizzontale) non è limitata; il coordinamento dei gruppi commerciali e la cooperazione tra aziende sono esenti da controllo antitrust. Oltre a ciò, un processo di scoperta del mercato determinerebbe i particolari del settore.
Il liberalismo classico mette in guardia contro la direzione e il controllo dello stato, dal socialismo assoluto (proprietà municipale) alla protezione del franchising e ai massimali tariffari basati sui costi (regolamentazione dei servizi pubblici), all'accesso aperto obbligatorio per le parti esterne (un'acquisizione non compensata), ai requisiti dell'energia rinnovabile (la sostituzione forzata dell'energia eolica e solare).[8]
La storia offre forti prove a favore dei mercati liberi rispetto al controllo statale dell'elettricità. I problemi di regolamentazione e pianificazione in un contesto politico hanno portato a un secolo di interventi in espansione, da locali a statali fino a quelli federali (si veda la Figura 2).
L'era dell'elettricità di libero mercato, frutto dell'azione umana ma non della progettazione umana, risale all'inizio del settore fino all'avvento della regolamentazione dei servizi pubblici. La “regolamentazione tramite concorrenza” è durata decenni: a New York dal 1882 al 1905; in Illinois dal 1881 al 1914; in California dal 1879 al 1911.[9]
L'era del mercato fu caratterizzata da tariffe in calo, utilizzo in espansione e servizio affidabile.[10] “Vendi il tuo prodotto a un prezzo [che] ti consentirà di ottenere un monopolio”, disse il padre del moderno servizio elettrico integrato (e protetto di Thomas Edison), Samuel Insull, prima della regolamentazione dei servizi pubblici nel suo stato.[11]
La politica tariffaria “taglia e vinci” e “ridicolmente bassa” di Insull consolidò ed espanse il mercato di Chicago, un modello che poi portò nei sobborghi e nelle campagne.[12] Con il suo territorio assicurato, questo cosiddetto monopolista naturale cercò di “fare di tutto per abbassare i costi di produzione [...] in modo da servire il pubblico e ottenere/conservarne la buona volontà”.[13]
Il processo di mercato non veniva mai terminato dopo che un'azienda aveva consolidato un'area sostituendo piccole e inefficienti “dinamo” con grandi generatori in stazioni centrali e installando una trasmissione a valle per raggiungere utenti distanti. La competizione per il mercato era un processo, non un punto di arrivo.
Insull sfruttò le economie di scala, dalla “produzione di massa” al “vangelo del consumo”. Il fattore di carico fondamentale, ovvero l'utilizzo medio delle apparecchiature di generazione e trasmissione, richiedeva di riempire le valli di utilizzo tra i picchi. La redditività della stazione centrale, per non parlare dell'affidabilità, era guidata da una tariffazione in due parti, in base alla quale gli utenti pagavano un sovrapprezzo speciale per i macchinari in modo che fossero pronti per il loro picco di domanda. Le utility interconnettevano le loro reti (la “superutility”) per migliorare i fattori di carico con meno investimenti.[14] Tutto questo come se fosse guidato da una “mano invisibile”.
La fisica dell'elettricità guidava gli imprenditori di mercato. L'integrazione verticale e orizzontale rifletteva economie di scala con una merce che doveva essere consumata nel momento in cui veniva generata. L'affidabilità doveva essere infallibile, le case elettrificate e gli uffici cablati non potevano rimanere al buio, gli ascensori e i tram non potevano essere bloccati. L'accumulo in batterie di emergenza entrò in scena a metà del decennio del 1890, per quanto costoso serviva a evitare i costi umani e finanziari dei blackout.[15]
Le operazioni integrate e dirette dal mercato determinarono un'accessibilità economica senza precedenti e un servizio continuo e coordinato. La responsabilità era sotto lo stesso tetto del capitale di quella (grande) azienda a rischio di blackout. È vero, pochi o nessun indipendente nella generazione, trasmissione o distribuzione potevano competere con il “monopolio naturale”, tuttavia l'unicità dell'elettricità richiedeva un funzionamento multifase altamente coordinato, evidente nel petrolio e nel gas naturale (in un libero mercato). La protezione governativa del franchising non era necessaria.
L'elettricità non è mai stata considerata una risorsa comune in contrasto con i diritti di proprietà privata definibili e un funzionamento efficiente. La teoria dei “beni comuni” è nata solo con la trasmissione ad accesso aperto imposta dallo stato, di per sé una chiara violazione dei diritti di proprietà privata. Durante l'era di mercato dell'elettricità, ampie aree di controllo o bilanciamento (economie di scala) erano all'interno dell'azienda, non all'esterno.
Regolamentazione guidata dalle utility: monopolio innaturale
Le economie di scala riducono notevolmente la rivalità tra aziende, ma lo “sfruttamento”, in cui un monopolista naturale trattiene l'offerta o aumenta i prezzi per i suoi clienti prigionieri, non è pervenuto. “La teoria economica del monopolio naturale è estremamente breve ed [...] estremamente poco chiara”, ha osservato l'economista Harold Demsetz. “Non riesce a dimostrare i passaggi logici che la portano dalle economie di scala nella produzione al prezzo di monopolio sul mercato”.[16]
Infatti i “monopolisti naturali” si sono rivolti al monopolio innaturale tramite la regolamentazione dei servizi pubblici a livello statale. In un discorso storico del 1898 davanti alla National Electric Light Association (ora Edison Electric Institute), Samuel Insull della Chicago Edison Company chiese una via di mezzo tra “socialismo municipale” e “concorrenza”.
Il franchising competitivo, si lamentava, “spaventa l'investitore e costringe le aziende a pagare un prezzo molto alto per il capitale”. Un consolidamento “inevitabile” pone fine allo spreco economico di strutture duplicate. La soluzione era il quid pro quo di franchigie esclusive per la regolamentazione delle tariffe.
Il miglior servizio al prezzo più basso possibile può essere ottenuto solo [tramite] franchigie esclusive [...] unite alla condizione del controllo pubblico che richiede che tutti i prezzi per i servizi stabiliti dagli enti pubblici siano basati sul costo, più un profitto ragionevole [...]. Più certa è la protezione [del franchising], più basso sarà il tasso d'interesse e più basso sarà il costo totale di esercizio e, di conseguenza, più basso sarà il prezzo del servizio per gli utenti pubblici e privati.[17]Le tariffe scesero e il servizio si espanse rapidamente senza tale regolamentazione. Non c'era alcun “fallimento del mercato”, tanto meno un notevole malcontento dei contribuenti. I leader del settore dovevano creare la domanda di regolamentazione con campagne di pubbliche relazioni e sforzi di lobbying.[18]
Insull e altri leader del settore desideravano bloccare nuovi entranti e assicurarsi un profitto migliore con la regolamentazione del costo del servizio, ma una preoccupazione primaria era quella di evitare una regolamentazione locale potenzialmente punitiva e la minaccia della municipalizzazione.[19] L'economia politica della regolamentazione, che come una valanga avrebbe portato a una serie di nuove norme, era evidente.
Fallimento ed espansione della regolamentazione
Le commissioni statali che regolamentavano l'elettricità come servizio pubblico iniziarono nel Massachusetts (1887), New York (1905) e Wisconsin (1907). Il fervore intellettuale e industriale per tale controllo portò all'adesione di altri 35 stati all'inizio degli anni '20 del Novecento.[20]
Adottati come ideale progressista, esperti imparziali si misero a implementare una regolamentazione “scientifica” basata su dati determinabili, ma la soggettività intervenne e i monopolisti legali “impararono a regolamentare la regolamentazione”.[21] Le utility giocarono con la regolamentazione del costo del servizio massimizzando (gonfiando) la base tariffaria e sfuggirono alla giurisdizione delle commissioni statali tramite transazioni interaziendali o interstatali.
“I primi sostenitori della regolamentazione statale”, osservò l'economista John Bauer, “pensavano di aver trovato il modo di sfruttare il monopolio privato a vantaggio pubblico”. Invece
la regolamentazione è stata inefficace. Non ha fornito l'estensione e la regolarità della protezione dei consumatori come previsto [...]. Peggio ancora, ha permesso le perversioni di organizzazione e gestione nel settore dell'energia elettrica durante gli anni '20, le quali hanno creato ulteriori barriere a una regolamentazione soddisfacente.[22]Un crollo della regolamentazione portò a un intervento sempre più ampio.[23] Due importanti leggi del New Deal vennero promulgate nel 1935: il Federal Power Act estese la regolamentazione dei servizi pubblici al commercio interstatale, conferendo poteri alla Federal Power Commission (ora Federal Energy Regulatory Commission); il Public Utility Holding Company Act impedì alle società di holding elettriche (e del gas) di possedere proprietà separate in stati diversi. L'integrazione orizzontale era limitata a una proprietà contigua. Seguirono importanti disinvestimenti di società di gas ed elettricità.[24]
Colmare le lacune normative con un intervento sempre più ampio (da locale a statale a federale) era all'ordine del giorno (vedere Figura 2). L'affidamento alla “regolamentazione tramite la concorrenza” venne politicamente dimenticato.[25]
Fonte: Immagine dell'autoreReplica liberale classica
La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità venne poco contestata fino agli anni '60, quando gli economisti di libero mercato riesaminarono il caso del fallimento del mercato e dell'intervento statale “correttivo”.
In Capitalism and Freedom, Milton Friedman sosteneva il “monopolio privato non regolamentato ovunque questo fosse tollerabile”.[26] George Stigler si schierò dalla parte dei mercati imperfetti, confrontando la teoria con la pratica: “I meriti del laissez-faire si basano meno sui suoi fondamenti teorici e più sui suoi vantaggi nei confronti delle prestazioni effettive di forme rivali di organizzazione economica”.[27]
Harvey Averch e Leland Johnson spiegarono il gold-plating, un processo mediante il quale le aziende soggette a regolamentazione dei servizi di pubblica utilità sono incentivate ad ampliare artificialmente (e in modo antieconomico) la base tariffaria su cui viene calcolato il loro tasso di rendimento regolamentato.[28] Più investimenti di capitale, maggiori profitti. Con una base tariffaria deprezzabile su cui applicare il tasso di rendimento consentito, si incoraggiava un investimento eccessivo per mantenere la redditività. Mantenere le apparecchiature obsolete nei libri contabili era una strategia; stipulare contratti per centrali nucleari nonostante il rischio di ritardi nella costruzione e costi gonfiati era un'altra.
“Why Regulate Utilities?” (1968) di Harold Demsetz fornì un'indicazione per la libera concorrenza di mercato. Sosteneva che la rivalità per un franchising forniva concorrenza per il settore. In altre parole, più aziende potevano fare offerte per vincere i diritti di monopolio dove i vantaggi delle economie di scala si sarebbero riflessi nelle tariffe e in altri termini di servizio.
Gli acquirenti, seguendo questa linea di ragionamento, potevano organizzarsi come un monopsonio per stipulare contratti contro un'unica azienda già operativa. Senza regolamentazione, gli imprenditori terzi potevano sottoscrivere blocchi di contribuenti per contrastare un'azienda di servizi di pubblica utilità con un unico venditore ed evitare lo “sfruttamento”. Avvocati e consulenti avrebbero avuto una nicchia di libero mercato per realizzare l'autoregolamentazione e lo stato sarebbe stato messo da parte.
Scrisse Demsetz: “[L]a rivalità del mercato aperto disciplina in modo più efficace rispetto ai processi normativi delle commissioni. Se i dirigenti delle aziende di servizi di pubblica utilità dubitano di questa convinzione, suggerisco loro di riesaminare la storia del loro settore per scoprire chi ha fornito la maggior parte della forza dietro il movimento normativo”.[29] Infatti non sono stati i consumatori, ma coloro che dovevano essere regolamentati, con gli esperti al seguito, a fare pressioni per ottenere il patto normativo.
Non furono solo gli economisti della Scuola di Chicago a mettere in discussione il monopolio naturale come pretesto per la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità.[30] L'economista aziendale Walter Primeaux Jr. ha documentato la rivalità tra aziende, definita come “situazione in cui due aziende elettriche servono la stessa città e i consumatori hanno la possibilità di essere serviti da un'azienda o dall'altra”.[31] Furono identificate quasi 50 città in una situazione di monopolio non così naturale. Altrimenti esisteva una competizione tra combustibili per diversi servizi energetici, tra cui gas naturale, propano, elettricità e petrolio.
Anche la Scuola Austriaca era in disaccordo con il fallimento del mercato e la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità. “Un settore di 'servizi pubblici' non differisce concettualmente da nessun altro, e non esiste un metodo non arbitrario con cui possiamo designare alcuni settori come 'vestiti di interesse pubblico', mentre altri no”, scrisse Murray Rothbard nel 1962.[32] La concorrenza in sé non riguardava il numero di aziende (anche se ce n'era solo una), ma le condizioni di entrata/uscita e di funzionamento senza barriere.
Una visione liberale classica spiegava il processo di mercato intrinsecamente competitivo. La concorrenza poteva comportare una rivalità diretta con strutture duplicate, oppure poteva essere un'unica azienda a mantenere un mercato contro potenziali rivali. In entrambi i casi, i costi privati e pubblici dell'intervento statale potevano essere aggirati e i segnali di mercato ripristinati.
Questa tradizione venne resa popolare da un libro curato da Robert Poole Jr., Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (1985). L'eccesso di capitale e il ritardo normativo erano solo due problemi che impedivano “la modernizzazione e un servizio più responsabile”, spiegava l'introduzione.[33]
Socialismo infrastrutturale: accesso aperto obbligatorio
Gli incentivi perversi basati sulle tariffe (maggiori profitti derivanti dalla sovracapitalizzazione) raggiunsero il loro apice con gli sforamenti di costo associati alle centrali nucleari, di per sé un'industria alimentata dallo stato.[34] I grandi impegni per il nucleare da parte delle utility negli anni '60 provocarono problemi senza precedenti negli anni '70, persino cancellazioni in fase di costruzione. Nel frattempo il rapido miglioramento della generazione a gas naturale creò una grande disparità tra il costo marginale dell'energia generata dai nuovi impianti rispetto al costo medio dell'energia gonfiato dalle utility.
Con la legislazione federale del Public Utility Regulatory Policies Act del 1978 (PURPA), che sovvenzionava i produttori di energia indipendenti, in particolare la cogenerazione a gas, i gruppi di clienti fecero pressioni per un'elettricità più economica che potesse essere trasportata a tariffe con tetto massimo dei costi. Ciò suscitò entusiasmo tra economisti e regolatori a favore dell'accesso aperto obbligatorio, in base al quale le utility erano obbligate ad aprire i loro cavi (regolati dalle tariffe) a terze parti tra l'impianto di generazione e il consumatore. L'Energy Policy Act del 1992 prescriveva tale “wheeling” interstatale, così come le successive iniziative a livello statale per l'accesso all'ultimo miglio (al dettaglio).[35]
L'AAO ha declassato la pianificazione e il servizio di pubblica utilità all'autorità dello stato per quanto riguarda chi, cosa, dove e quanta energia, e su più aree di pubblica utilità. I bacini di energia centralizzati ISO/RTO hanno consentito alle nuove aziende di acquistare e vendere la merce. La continua regolamentazione della trasmissione-distribuzione da parte dei servizi pubblici (“mettere in quarantena il monopolio”) ha consolidato la protezione del franchising, eliminando al contempo l'incentivo del profitto per il miglioramento.
Il calcolo economico ha tormentato le ISO/RTO: per le aziende la determinazione dei prezzi in due parti (tariffa di domanda e tariffa volumetrica) ha consentito di soddisfare la domanda di picco in modo redditizio, ma per i pianificatori centrali incaricati dell'affidabilità dell'intero sistema le diverse opzioni si sono rivelate difficili e persino distruttive. Alcune regioni hanno implementato “tariffe di capacità” per premiare i generatori per la capacità di riserva. Altre hanno puntato su prezzi “solo energia”, scommettendo che un'ampia capacità sarebbe stata incitata da periodici cali di prezzo. La “taglia unica” ha sostituito una tariffa personalizzata e meno centralizzata per il cliente.
Il benessere dei consumatori e “l'obbligo di servire” sono andati perduti nella transizione alla pianificazione centralizzata, così come nella ricerca governativa di decarbonizzazione. Peggio ancora, gli errori delle agenzie governative (come l'aumento in preda al panico dei prezzi della sola energia in Texas nel febbraio 2021) sono stati protetti dall'immunità sovrana.
Riforma di libero mercato
Un libero mercato dell'elettricità porrebbe fine alle attuali disposizioni di statuti federali come il Power Act del 1935, il Public Utility Holding Company Act del 1935, il Public Utility Regulatory Policies Act del 1978, l'Energy Policy Act del 1992, l'Energy Policy Act del 1995 e l'Inflation Reduction Act del 2022. L'abrogazione della regolamentazione dei servizi pubblici sarebbe richiesta a livello statale, tra cui il Public Utility Regulatory Act del 1975 del Texas, il Public Utility Regulatory Act del 1995 e l'Electric Restructuring Act del 1999.
Le riforme di cui sopra eliminerebbero le funzioni elettriche della Federal Energy Regulatory Commission (nata Federal Power Commission) e della Securities and Exchange Commission, nonché, in Texas, della Public Utility Commission e dell'Electric Reliability Council. Organismi semi-governativi come la North American Electric Reliability Corporation e la National Association of Regulatory Utility Commissioners verrebbero riorganizzati secondo linee private, o chiusi.
In altre parole, un programma di riforma di libero mercato eliminerebbe:
• Protezione delle franchigie, regolamentazione delle tariffe e regole di entrata/uscita
• Decreti di trasmissione a livello federale e statale
• Limitazioni della struttura del settore
• Sussidi fiscali e altre preferenze per nucleare, eolico, solare, batterie, ecc.
• Restrizioni sugli accordi volontari tra aziende (legge antitrust)
Un vero libero mercato basato sui diritti di proprietà privata mette gli imprenditori in cerca di profitto, non i regolatori e i pianificatori, a capo della produzione, trasmissione e distribuzione dell'elettricità. Le aziende sarebbero contrattualmente soggette ai consumatori o ai loro rappresentanti. Cesserebbero gli incentivi malevoli che aumentano le tariffe, così come le spese associate a terze parti.
Dell'esercito di esperti e pianificatori nel mondo dell'elettricità politicizzata, alcuni diventerebbero dipendenti o consulenti per le aziende con potere di mercato o rappresenterebbero blocchi di consumatori che negoziano con queste aziende. Con la pianificazione centralizzata e i dettagli normativi declassati, le risorse liberate e l'imprenditorialità ampliata spingerebbero il processo di distruzione creativa alla ricerca di tariffe migliori e altri termini di servizio.
Conclusione
Il libero mercato non ha fallito nell'offrire i suoi benefici nei decenni iniziali dell'elettricità commerciale. Gli imprenditori, sebbene ostacolati dallo stato, hanno servito con successo case, aziende e industrie. Il risultato complessivo è stato un ordine non progettato che ha premiato sia i fornitori che i consumatori.
La svolta verso la regolamentazione dei servizi pubblici era politica, non economica. Una fede ingenua nel controllo capillare ha conferito nuovi poteri allo stato, ma le soluzioni si sono rivelate illusorie poiché tale interventismo ha creato nuovi problemi. I regolatori non erano imparziali e le questioni complicate sui costi “prudenti” e sui profitti “ragionevoli” sono diventate punti critici.
Le basi tariffarie gonfiate dei servizi hanno creato una grande discrepanza nei costi che l'accesso aperto obbligatorio pretendeva di fornire ai consumatori. Ma la pianificazione centrale, unita all'integrazione della generazione eolica e solare alimentate dallo stato, ha lasciato i contribuenti e l'economia con il peggiore dei mondi possibili.
L'elettricità di libero mercato si basa su fondamenta teoriche ed evidenti consolidate nel tempo. Purtroppo l'alternativa liberale classica alla regolamentazione pesante è stata ignorata (non confutata) per più di un secolo. Un ripensamento radicale e una successiva riforma politica promettono di abbassare le tariffe, garantire l'affidabilità e liberare risorse per il resto dell'economia: una vittoria quasi per tutti, tranne che per una parte della popolazione politica che, giustamente, dovrebbe essere smantellata.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Note
[1] La tesi delle risorse comuni organizzate dallo stato è stata avanzata da L. Lynne Kiesling, Deregulation, Innovation and Market Liberalization: Electricity Regulation in a Continually Evolving Environment (New York: Routledge, 2009), capitolo 8.
[2] Charles Whiting Baker, Monopolies and the People (New York: G. P. Putnam’s Sons, 1889), pp. 66–67. Nel 1920 la questione principale era come regolare al meglio il mercato. Si veda, per esempio, Charles Stillman Morgan, Regulation and the Management of Public Utilities (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1923).
[3] Alfred Kahn, The Economics of Regulation: Principles and Institutions (Cambridge, MA: The MIT Press, 1970, 1995), vol. 1, pp. 3, 11.
[4] Questo intervento fu preceduto dalle leggi del diciannovesimo secolo sugli acquirenti comuni e sui trasportatori comuni emanate grazie alla forza politica dei produttori di petrolio greggio a spese degli oleodotti. Robert L. Bradley Jr., Oil, Gas, and Government: The U.S. Experience (Lanham, MD: Rowman & Littlefield, 1996), pp. 118–119, 609–18. Ha sfruttato la cosa anche l'AAO a spese degli oleodotti di gas naturale. Robert L. Bradley Jr., “The Distortions and Dynamics of Gas Regulation” in New Horizons in Natural Gas Deregulation, ed. Jerry Ellig and Joseph Kalt (Westport, CT: Praeger, 1996), pp. 16–19.
[5] Adam D. Thierer and Clyde Wayne Crews Jr., What’s Yours Is Mine: Open Access and the Rise of Infrastructure Socialism (Washington, DC: Cato Institute, 2003).
[6] In termini di economia politica queste agenzie svolgono una “pianificazione non esaustiva”, in contrapposizione alla piena proprietà e al controllo delo stato. Don Lavoie, National Economic Planning: What Is Left? (Cambridge, MA: Ballinger Publishing, 1985), pp. 3–4.
[7] Milton and Rose Friedman, Tyranny of the Status Quo (New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1983), p. 115.
[8] I mandati di utilizzo finale e la regolamentazione della conservazione sarebbero un'altra intrusione al di fuori delle azioni di mercato nel settore elettrico. La domanda sarebbe regolata da prezzi e contratti, non da politiche governative.
[9] Prima della regolamentazione statale i comuni emettevano franchigie e spesso prescrivevano tariffe massime. Ma non tutti lo facevano e le utility avevano generalmente margine di manovra entro i vincoli tariffari. Anche sfide legali e lasca applicazione delle norme hanno caratterizzato l'era del libero mercato dell'elettricità.
[10] Robert Bradley, Jr. “The Origins of Political Electricity: Market Failure or Political Opportunism?” Energy Law Journal 17, no. 1 (1996), pp. 60–61, 70.
[11] Samuel Insull, “Sell Your Product at a Price Which Will Enable You to Get a Monopoly,” in Central-Station Electric Service: Selected Speeches, 1897–1914 (Chicago, IL: Privately Printed, 1915), p. 116.
[12] Un biografo di Insull ha descritto la strategia come “una parte di servizio di qualità, due parti di vendita aggressiva e tre parti di tagli alle tariffe”. Forrest McDonald, Insull (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 104. Si veda Robert L. Bradley Jr., Edison to Enron: Energy Markets and Political Strategies (Hoboken, NJ: John Wiley & Sons; and Salem, MA: Scrivener Publishing, 2011), pp. 71–72.
[13] Samuel Insull, “The Obligations of Monopoly Must Be Accepted”, in Central-Station Electric Service, p. 122.
[14] Bradley, Edison to Enron, pp. 71–77.
[15] Bradley, Edison to Enron, p. 90.
[16] Harold Demsetz, “Why Regulate Utilities?” The Journal of Law and Economics 11, no. 1 (April 1968), p. 56.
[17] Insull, “Standardization, Cost System of Rates, and Public Control”, June 7, 1898. Ristampato in Insull, Central-Station Electric Service, p. 45.
[18] Lo sforzo di Insull (e di Theodore Vail) per influenzare l'opinione pubblica verso la regolamentazione implicava “servizi editoriali standard, l'invio di manager a diventare leader di gruppi comunitari, la produzione di articoli scritti da ghostwriter e la modifica dei libri di testo scolastici”. Si veda Marvin N. Olasky, Corporate Public Relations: A New Historical Perspective (Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, 1987), capitolo 4.
[19] Bradley, Edison to Enron, pp. 86–88.
[20] Robert L. Bradley Jr. “The Origins of Political Electricity”, pp. 65–66.
[21] William E. Mosher et al., Electrical Utilities: The Crisis in Public Control, ed. Mosher (New York: Harper & Bros., 1929), p. 1.
[22] John Bauer and Peter Costello, Public Organization of Electric Power: Conditions, Policies, and Programs (New York: Harper & Brothers, 1949), pp. 37–38.
[23] Si veda Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 81–82.
[24] Douglas W. Hawes, Utility Holding Companies: A Modern View of the Business, Financial, SEC, Corporate Law, Tax, and Accounting Aspects of Their Establishment, Operation, Regulation, and Role in Diversification (New York: Clark Boardman Co., 1987), at 2-18.
[25] Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 75–76, 77–78, 78–82.
[26] Milton Friedman, Capitalism and Freedom (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 155.
[27] George J. Stigler, “Monopoly”, in The Fortune Encyclopedia of Economics, ed.David R. Henderson (New York: Warner Books, 1993), p. 409.
[28] Harvey Averch and Leland L. Johnson, “Behavior of the Firm Under Regulatory Constraint”, American Economic Review 52, no. 5 (1962): 1052–69.
[29] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 65.
[30] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 55. Richard A. Posner, Natural Monopoly and Its Regulation (Preface of the 30th Anniversary Edition. Washington, DC: Cato Institute, [1969], 1999), p. vi.
[31] Walter J. Primeaux Jr., Direct Electric Utility Competition: The Natural Monopoly Myth (New York: Praeger, 1986), p. ix.
[32] Murray Rothbard, Man, Economy and State: A Treatise on Economic Principles (Los Angeles, CA: Nash Publishing, 1962), pp. 619–20.
[33] Robert W. Poole Jr.,Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (Lexington, MA: Lexington Books, 1985). Un capitolo era di Primeaux, presentato a Poole da Gordon Tullock, uno dei fondatori della scuola Public Choice.
[34] Negli anni '50 le centrali nucleari richiedevano limiti di responsabilità (il Price Anderson Act del 1957), cinque anni di uranio arricchito gratuito dalla Atomic Energy Commission e un'azione di pressione da parte dei funzionari statali e federali affinché le aziende di servizi pubblici stipulassero contratti nucleari sotto la protezione della regolamentazione dei servizi pubblici (per il trasferimento dei costi e un profitto).
[35] Si veda Paul L. Joskow, “The Difficult Transition to Competitive Electricity Markets in the United States,” in Electricity Deregulation: Choices and Challenges, ed. James M. Griffin and Steven L. Puller (Chicago, IL: University of Chicago Press, 2005), pp. 31–97. Si veda qui per la versione originale del 2003.
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Sfatiamo i 10 più grandi equivoci su Bitcoin
Bitcoin è stato spesso paragonato all'ornitorinco... il che sembra un paragone strano.
L'ornitorinco è uno strano mammifero dal becco d'anatra con zampe palmate e un corpo peloso come un castoro. Praticamente ha caratteristiche di uccelli, mammiferi e rettili. Le femmine depongono le uova ma allattano anche i loro piccoli; i maschi producono un potente veleno.
Quando gli europei scoprirono l'ornitorinco in Australia nel 1798, scrissero lettere alla gente a casa per descrivere questo bizzarro e nuovo animale: si pensava che fosse uno scherzo o una bufala, perché non rientrava nella classificazione degli animali a quel tempo.
Ma era un animale vero.
La gente non lo capiva perché era una cosa nuova che non rientrava nei paradigmi consolidati.
Bitcoin è più o meno la stessa cosa: non rientra nel quadro delle metriche di analisi finanziaria tradizionali.
Non esiste un rapporto P/E (prezzo-utile) perché Bitcoin non ha utili; non esiste un rapporto P/B (prezzo/valore contabile) perché Bitcoin non ha un valore contabile.
Bitcoin non ha un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.
Bitcoin è un asset completamente nuovo che le persone stanno adottando come denaro per le sue proprietà monetarie superiori, vale a dire, la sua resistenza all'inflazione.
La sua monetizzazione è davvero diversa da qualsiasi cosa chiunque abbia mai visto prima. Non c'è niente di altrettanto paragonabile.
Come l'ornitorinco, Bitcoin è un animale completamente nuovo; ecco perché confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.
Di seguito, quindi, provvederò a sfatare gli equivoci più diffusi su di esso.
Equivoco n°1: Bitcoin è denaro fiat
Bitcoin è una forma di moneta di libero mercato.
Oltre 114 milioni di persone in tutto il mondo hanno determinato soggettivamente che ha valore per loro. Hanno scelto volontariamente di scambiare altre forme di valore con Bitcoin. Non l'hanno scelto perché le leggi sulla moneta a corso legale o i decreti statali li hanno costretti a farlo, come accade per la moneta fiat.
L'Oxford English Dictionary definisce la moneta fiat come “moneta cartacea inconvertibile resa a corso legale da un decreto statale”.
Bitcoin non è chiaramente moneta fiat.
Equivoco n°2: Bitcoin non ha valore intrinseco
Una delle prime e più importanti cose che l'economia Austriaca insegna è che tutto il valore è soggettivo.
Non esiste un valore intrinseco.
Qualcosa ha valore solo perché gli individui determinano soggettivamente che ce l'ha per loro.
Ad esempio, quando le persone non capivano cosa fosse il petrolio greggio, lo trovavano nei loro cortili e pensavano che fosse uno scarto. Quindi pagavano per farlo rimuovere dalla loro proprietà.
Una volta che hanno capito il potenziale economico del petrolio greggio, si è trasformato da rifiuto indesiderato in merce redditizia.
Il petrolio non è cambiato; è rimasto sempre lo stesso. Ciò che è cambiato è stato il modo in cui le persone lo hanno valutato.
I marxisti dissentono in quanto credono che il lavoro abbia un valore intrinseco, ma questa ridicola nozione è facilmente sfatata.
Il grande economista Murray Rothbard confutò questo punto quando chiedeva di fare e poi vendere torte di fango, non dolci al cioccolato.
Secondo i marxisti le torte hanno un valore oggettivo e intrinseco a causa del lavoro che qualcuno impiega per realizzarle. Buona fortuna nel convincere qualcuno a pagare, volontariamente, per torte fatte con la terra.
Il concetto che tutto il valore è soggettivo si applica a tutti i beni, compresi quelli monetari come l'oro e Bitcoin.
Equivoco n°3: Bitcoin non può essere denaro perché non ha un uso industriale
Il denaro è qualcosa di utile per immagazzinare e scambiare valore. È una tecnologia per inviare valore attraverso il tempo e lo spazio. Tutto qui.
Un'idea sbagliata comune vuole che il denaro debba anche avere un uso industriale per essere un buon denaro.
È come dire che una scarpa deve anche essere utile come martello per essere una buona scarpa.
Molte persone sostengono erroneamente che Bitcoin non può essere una buona forma di denaro perché non ha alcuna utilità industriale o non monetaria.
Tuttavia l'uso industriale non è necessario per rendere qualcosa utile come denaro. Usare qualcosa in tal senso ovvero per immagazzinare e scambiare valore, è sufficiente affinché lo sia.
Il fatto che l'oro abbia un qualche uso industriale non gli conferisce proprietà monetarie superiori. Le persone lo valutano come moneta principalmente perché è la merce fisica più resistente alla svalutazione, non perché viene utilizzata in odontoiatria, elettronica o altri settori.
Al contrario, direi che gli usi industriali ridotti dell'oro non ne migliorano le caratteristiche monetarie. Se lo facessero, perché i metalli con un uso più industriale, come rame o nichel, non sono più desiderabili come moneta?
Quando si tratta di denaro, ci interessa solo la sua capacità di immagazzinare e scambiare valore. Non ci interessa qualcosa il cui valore è ostaggio dei capricci delle condizioni industriali mutevoli.
Ecco perché l'uso industriale non è un beneficio monetario ma, in realtà, un potenziale danno.
L'oro sarebbe una forma di denaro migliore senza la variazione della domanda/offerta derivante dai suoi usi industriali, i quali non sono correlati al suo uso come moneta.
Equivoco n°4: Bitcoin non è denaro perché il supermercato non lo accetta
Il processo di un nuovo asset che diventa una moneta globale non avviene da un giorno all'altro ed è intrinsecamente volatile.
Bitcoin è una forma emergente di denaro che centinaia di milioni, presto miliardi, adotteranno per le sue proprietà monetarie superiori, vale a dire la sua totale resistenza alla svalutazione e l'estrema portabilità.
Ci sono voluti secoli affinché l'oro percorresse il sentiero della monetizzazione.
Bitcoin ha buone probabilità di fare lo stesso in un periodo di tempo molto più breve ed è già sulla buona strada.
Bitcoin è passato dall'avere nessun valore di mercato nel 2009 all'essere utilizzato per acquistare due pizze nel 2010, il primo scambio commerciale, fino a generare oggi decine di miliardi di dollari in volume di transazioni giornaliere in tutto il mondo.
Molte migliaia di commercianti accettano Bitcoin come pagamento e il loro numero sta crescendo rapidamente.
Se fosse una valuta statale, Bitcoin sarebbe la diciottesima valuta più grande per capitalizzazione di mercato, appena prima del dollaro di Singapore. In altre parole, Bitcoin è già più grande della maggior parte delle valute nazionali.
Grandi aziende e stati stanno iniziando a detenere Bitcoin come asset di riserva.
Ecco come appare il processo di un nuovo asset che diventa denaro ed è appena iniziato.
Man mano che gli effetti di rete di Bitcoin crescono, crescerà anche il numero di persone che lo accetteranno (o lo richiederanno) come pagamento.
Equivoco n°5: Bitcoin è troppo lento e le commissioni sono troppo alte
Bitcoin non è solo un nuovo modo per effettuare pagamenti, come un concorrente di PayPal o Venmo, è qualcosa di molto più profondo; è un'alternativa superiore alle banche centrali.
Molti pensano erroneamente che, poiché le transazioni Bitcoin possono richiedere 10 minuti (o più) per essere confermate e hanno commissioni che variano (a seconda delle condizioni di mercato) da $0,05 a $40 per transazione, esso non sia adatto come denaro.
Ecco il modo corretto di pensarla...
Quando usate la carta di credito per comprare un caffè da Starbucks, il denaro non finisce sul conto bancario di Starbucks quando Visa approva la transazione.
Entra in gioco un intermediario che processa il pagamento, aggrega un mucchio di altre transazioni in un certo periodo di tempo e utilizza una banca commerciale, che a sua volta utilizza la Federal Reserve (la banca centrale degli Stati Uniti), per spostare il denaro dal suo conto al conto di Starbucks per la liquidazione finale.
A parte le transazioni fisiche in contanti, non è pratico per Starbucks ottenere immediatamente la liquidazione finale. L'azienda non deve compensare con la Federal Reserve ogni tazza di caffè che vende, invece utilizza questo approccio a strati per facilitare le transazioni quotidiane.
Tutti i sistemi finanziari di successo hanno utilizzato un approccio a strati per la scalabilità, incluso quello basato sul gold standard, l'attuale sistema di valuta fiat e ora Bitcoin.
La caratteristica principale delle transazioni finanziarie di Livello 1 è la finalità. Rappresentano la capacità di eseguire transazioni irreversibili che possono trascendere i confini.
Nell'attuale sistema di valuta fiat, il Livello 1 prevede che la banca centrale compensi le transazioni per la liquidazione finale.
In un gold standard le banche centrali di due nazioni erano solite regolare i saldi tra loro con oro fisico. Una volta che il Paese A consegnava l'oro fisico al Paese B, si verificava la liquidazione finale.
Le transazioni sulla blockchain di Bitcoin sono paragonabili a queste: rappresentano la liquidazione internazionale finale.
Il Livello 1 è tipico per transazioni di alto valore che necessitano di sicurezza e saldo finale. Sono, invece, inappropriate per la maggior parte delle transazioni dei consumatori: non è necessario utilizzare un bonifico internazionale per pagare una tazza di caffè, che invece può avvenire sul Livello 2.
Le transazioni sul Livello 2 non dovrebbero essere confrontate con le transazioni sul Livello 1: sono totalmente diverse.
Il Livello 2 coinvolge sistemi costruiti al di sopra del Livello 1 e offre maggiore praticità.
Usare una carta di credito per pagare una tazza di caffè è un esempio di transazione sul Livello 2: coinvolge una società di carte di credito e chi processa il pagamento abilitando transazioni comode oltre all'autorizzazione della Federal Reserve per la liquidazione finale.
Quindi quali transazioni Bitcoin dovrebbero essere sul Livello 1 e 2?
Queste sono decisioni soggettive che ogni individuo deve prendere.
Il libero mercato per la risorsa scarsa (spazio sulla blockchain di Bitcoin) deciderà il suo uso più efficiente e, quindi, quali transazioni dovrebbero essere sul Livello 1 o 2.
In altre parole, chiunque sia disposto a pagare la commissione di transazione ai miner può far registrare le proprie transazioni sulla blockchain di Bitcoin (Livello 1).
È probabile che le transazioni più grandi, e che richiedono un elevato livello di sicurezza, utilizzeranno la blockchain di Bitcoin.
Le transazioni più piccole utilizzeranno probabilmente soluzionidi Livello 2: più comode, proprio come accade ora e accadeva con il gold standard.
L'idea è di mantenere sicuro il livello di base di Bitcoin e di scalare costruendoci sopra. Non avrebbe senso scalare Bitcoin compromettendo il suo Livello 1. Sarebbe cattiva ingegneria.
Molte soluzioni di Livello 2 per Bitcoin emergeranno inevitabilmente, tuttavia Lightning Network è la più dominante.
Lightning Network è una rete aperta peer-to-peer costruita su Bitcoin.
Su Lightning Network le persone possono eseguire un numero illimitato di transazioni senza doverle aggiungere subito alla blockchain di Bitcoin. Non è necessario delegare la custodia dei fondi a una terza parte: si può sempre mantenerne il controllo.
Lightning Network può eventualmente gestire ogni transazione dei consumatori nel mondo, molti milioni al secondo.
Lightning Network consente anche micro-transazioni istantanee che sono frazioni di un centesimo e che possono essere la base per tutti i tipi di applicazioni, tra cui monetizzazione dei contenuti, marketing aziendale, paywall web e controlli aziendali interni.
A differenza delle transazioni sul Livello 1 e che possono richiedere 10 minuti o più per essere saldate, Lightning Network ha una velocità quasi istantanea e commissioni quasi pari a zero.
In veste di commerciante, per accettare transazioni sul Livello 2 come una carta di credito nell'attuale sistema monetario fiat è necessario ottenere la benedizione di chi processa il pagamento: una banca e la banca centrale.
Lightning Network è una rete aperta e senza autorizzazione con zero rischi di controparte. Chiunque può unirsi a essa e a nessuno può essere impedito di utilizzarla.
Equivoco n°6: non c'è privacy su Bitcoin
Come si ottiene la privacy sulla blockchain pubblica di Bitcoin?
È una buona domanda che confonde molte persone.
La risposta riguarda il nascondersi tra la folla.
Ottenere la privacy su Bitcoin è stato paragonato alla scena del film V per Vendetta in cui migliaia di persone mascherate marciano per strada. Tutti impegnati in un atto pubblico, ma le loro identità sono nascoste perché indossano tutti la stessa maschera, il che consente loro di nascondersi tra la folla.
La privacy su Bitcoin funziona in modo simile.
Diversi strumenti per la privacy sono disponibili per chiunque in questo momento e migliorano ogni giorno.
Ad esempio, potete trovare una tipica transazione JoinMarket, una transazione speciale ottimizzata per la privacy, a questo link.
Riuscite a dire chi è il mittente e chi il destinatario?
Equivoco n°7: i miner controllano Bitcoin
A dire il vero, non sono un fan del termine “mining” perché è confusionario riguardo al processo che vuole descrivere.
Il processo di mining di Bitcoin è meglio concepito come una competizione con ricompense finite, come vincere una medaglia d'oro alle Olimpiadi.
Circa ogni 10 minuti i miner inviano un nuovo blocco, o set di transazioni, alla rete Bitcoin, aggiungendolo al database esistente (blockchain) ma solo se il blocco segue il protocollo.
La rete Bitcoin verifica la validità del blocco ed eventualmente il miner guadagnerà nuovi bitcoin, oltre alle commissioni di transazione associate, come ricompensa.
Tuttavia prima che un miner possa inviare un nuovo blocco alla rete, e quindi guadagnare le ricompense, deve competere per risolvere problemi matematici difficili da risolvere ma facili da verificare. Il primo miner che risolve il problema matematico ha la possibilità di proporre un nuovo blocco alla rete e quindi guadagnare le ricompense. Il processo, poi, ricomincia da capo.
I miner devono sostenere costi reali, hardware costoso per computer e grandi quantità di elettricità, per risolvere questi problemi matematici e avere la possibilità di inviare un nuovo blocco alla rete per guadagnare le ricompense.
Se il blocco che inviano non segue il protocollo Bitcoin, o è altrimenti non valido, la rete lo rifiuterà immediatamente. Se ciò accade, il miner non guadagnerà alcuna ricompensa nonostante abbia sostenuto costi enormi per inviare il blocco in primo luogo.
La genialità del modello di sicurezza asimmetrica di Bitcoin è che è difficile e costoso per i miner inviare un nuovo blocco, ma è facile, economico e veloce per la rete verificare se è legittimo.
È ciò che mantiene una rete monetaria globale del valore di centinaia di miliardi, presto migliaia di miliardi, in funzione senza problemi e senza che nessuno se ne occupi.
Se un miner provasse ad allontanarsi dal protocollo Bitcoin o a includere transazioni non valide nel blocco, la rete lo rileverebbe facilmente e lo rifiuterebbe immediatamente.
Non sarebbe solo uno sforzo infruttuoso per il miner, ma imporrebbe dei costi effettivi. In altre parole, ci vogliono molti sforzi e costa molto proporre un nuovo blocco alla rete Bitcoin, e se il miner non segue il protocollo sprecherà tutto.
Saifedean Ammous lo ha detto meglio di chiunque altro: “I miner sono schiavi di Bitcoin, non padroni”.
Saifedean intende che i miner devono soddisfare la rete Bitcoin, non il contrario.
I miner devono seguire il protocollo Bitcoin ed essere onesti. Se non lo fanno, non faranno altro che sprecare soldi e alla fine dovranno affrontare la bancarotta.
Equivoco n°8: il Deep State ha creato Bitcoin per inaugurare le CBDC
Sebbene la vera identità del creatore di Bitcoin, che ha utilizzato lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, sia incerta, sappiamo che proveniva dal movimento cypherpunk e che Bitcoin è stato il culmine dei loro sforzi per molti anni.
I cypherpunk sono un gruppo di attivisti che sostengono tecnologie di crittografia e privacy come via per il cambiamento sociale e politico.
Mirano a dare potere all'individuo e a toglierlo allo stato, non impegnandosi nel processo politico o chiedendo il permesso, ma scrivendo codice e rilasciando software inarrestabili.
I cypherpunk sono i buoni.
Sono dietro non solo a Bitcoin, ma anche ad altre tecnologie e organizzazioni orientate alla libertà che hanno causato grande costernazione al governo degli Stati Uniti, come WikiLeaks, BitTorrent, Tor, Pretty Good Privacy (PGP), l'Electronic Frontier Foundation e altri.
Di conseguenza i cypherpunk avevano spesso un rapporto ostile con il governo degli Stati Uniti.
Sono quindi scettico sull'affermazione che un cypherpunk lavorasse segretamente per il governo degli Stati Uniti. L'onere della prova ricade sulla persona che avanza l'accusa (infondata) secondo cui il Deep State abbia in qualche modo dato vita a Bitcoin. A meno che non emergano prove convincenti, non sono propenso a crederci.
Inoltre Bitcoin è un software open source, il che significa che il suo codice è disponibile per chiunque voglia scaricarlo, ispezionarlo, suggerire modifiche ed eseguirlo.
Bitcoin è stato rilasciato nel 2009 e chiunque ha avuto molti anni per ispezionarne il codice open source, ma nessuno ha mai trovato nulla di sinistro. Se pensate che ci sia qualcosa di sinistro nel codice Bitcoin, niente vi impedisce di dimostrarlo.
Ancora una volta, l'onere della prova ricade sulle persone che avanzano queste affermazioni e, finora, non ne hanno fornita alcuna, quindi non le trovo credibili.
Per quanto riguarda le valute digitali delle banche centrali (CBDC), è fondamentale capire che esse sono una reazione a Bitcoin.
Le banche centrali hanno notato il potenziale dirompente di Bitcoin e hanno capito che era meglio fare qualcosa. Le CBDC sono la loro risposta e, come vedrete, è patetica.
In breve, nonostante tutto il clamore, le CBDC non sono altro che un rebranding della truffa della valuta fiat. È vino vecchio in bottiglie nuove.
Le CBDC e Bitcoin condividono alcune caratteristiche, ad esempio, sono entrambe digitali e facilitano i pagamenti rapidi da un telefono cellulare, ma è qui che finiscono le somiglianze.
La realtà è che le CBDC e Bitcoin sono completamente diverse nelle caratteristiche chiave.
Avete bisogno del permesso e della benedizione dello stato per usare una CBDC, mentre Bitcoin non ha permessi.
Gli stati possono (e lo faranno) creare tutte le unità che vogliono. Con Bitcoin non potranno mai essere più di 21 milioni e non c'è nulla che qualcuno possa fare per svalutarlo.
Le CBDC sono centralizzate; Bitcoin è decentralizzato.
Gli stati possono censurare le transazioni e congelare, sanzionare e confiscare le unità CBDC quando vogliono; Bitcoin è resistente alla censura, nessuna sanzione o legge di un Paese può influenzarne il protocollo.
Non c'è privacy con le CBDC; con Bitcoin, se si adottano misure specifiche, è possibile mantenere una ragionevole privacy.
Le CBDC sono denaro statale facile da produrre e danno ai politici una quantità terrificante di controllo sulla vita delle persone; Bitcoin è denaro non statale che aiuta a liberare gli individui da suddetto controllo.
In breve, le CBDC sono un patetico tentativo di competere con Bitcoin. Sono un disperato tentativo disperato per mantenere in vita la truffa della moneta fiat.
Equivoco n°9: lo stato lo vieterà
È certamente possibile che il presidente degli Stati Uniti possa emettere un ordine esecutivo che vieti Bitcoin.
Ricordate, l'Ordine esecutivo 6102 mise al bando la proprietà dell'oro per i cittadini americani dal 1933 fino alla sua abrogazione nel 1974.
Tuttavia tale risultato è improbabile per tre motivi.
Motivo 1: il codice informatico è linguaggio protetto
Bitcoin è codice informatico.
Nel caso Bernstein contro il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, le corti federali hanno stabilito che il codice informatico è equivalente alla libertà di parola protetta dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.
D'altra parte la Costituzione non è un protettore affidabile dei diritti, come hanno dimostrato l'isteria del Covid, la guerra al terrorismo e la guerra alla droga, quindi non farei affidamento esclusivamente su di essa per proteggere Bitcoin.
Tuttavia i precedenti che stabiliscono il codice informatico come equivalente alla libertà di parola complicano qualsiasi tentativo di vietarlo.
Motivo 2: esiste già chiarezza normativa
Il governo degli Stati Uniti ha definito Bitcoin come una merce e una proprietà.
L'IRS, la SEC, la CFTC e altre agenzie federali hanno dato a Bitcoin quadri normativi e fiscali chiari.
Ciò ha aiutato molte grandi aziende statunitensi a entrare in Bitcoin, tra cui molti grandi istituti finanziari. Invertire queste linee guida genererebbe una forte resistenza e sarebbe arduo.
Motivo 3: vietare Bitcoin è impraticabile
I divieti statali possono limitare qualcosa, ma non possono farlo sparire approvando una legge.
Pensate ai governi in Argentina, Venezuela e numerosi altri Paesi che hanno leggi che limitano l'accesso dei loro cittadini ai dollari.
Queste leggi hanno scarso effetto sul desiderio e sulla capacità dei loro cittadini di utilizzarli; creano, invece, un fiorente mercato nero o, più precisamente, un libero mercato.
Allo stesso modo pensate a quanto successo hanno avuto gli stati nel proibire la cannabis nel corso dei decenni. Nonostante i loro sforzi essa è sempre stata disponibile nella maggior parte delle grandi città.
Cercare di imporre un divieto su qualcosa di digitale e senza confini come Bitcoin è del tutto impraticabile. Sarebbe molto più difficile per gli stati vietare Bitcoin rispetto ai dollari o a una pianta.
Inoltre molti wallet Bitcoin usano seed word di 12 parole per recuperare i fondi e se riuscite a memorizzarle, potete potenzialmente immagazzinare miliardi di dollari di valore solo nella vostra testa.
Provate a vietarlo: è come cercare di vietare la matematica.
Anche se fosse pratico farlo, è già troppo tardi: c'è una massa critica di sostenitori di Bitcoin tra grandi aziende, politici e persone normali.
Schiereranno tutti i loro avvocati, lobbisti e contatti politici per sostenere Bitcoin. È un sacco di potenza di fuoco e i loro numeri non fanno che crescere.
Secondo un sondaggio di NYDIG, 46 milioni di americani possiedono Bitcoin. Si tratta di circa il 22% di tutti gli adulti negli Stati Uniti.
Sostenere un divieto di Bitcoin significa andare contro decine di milioni di americani, non pochi dei quali sono ricchi, potenti e con agganci importanti.
In breve, mettere fuori legge Bitcoin non aiuterà nessuno a vincere le elezioni.
Bitcoin ha già raggiunto la velocità di fuga. In altre parole, è troppo popolare politicamente per essere messo fuori legge e ogni giorno diventa più forte man mano che aumenta l'adozione.
Inoltre se il governo degli Stati Uniti fosse abbastanza sciocco da vietare Bitcoin nonostante tutto questo, darebbe a Russia, Cina e altri rivali un'opportunità d'oro per essere in prima linea in una nuova industria redditizia.
Vietare Bitcoin sarebbe un errore finanziario e geopolitico di primissimo ordine.
Anche se vietarlo sarebbe politicamente impopolare e incostituzionale, potrebbe comunque prendere in considerazione la mossa se potesse farlo in modo efficace e senza dare un vantaggio ai suoi rivali.
Ma non può, quindi non lo farà.
Penso che il governo degli Stati Uniti dovrà adattarsi a questa realtà e lo ha già fatto dando a Bitcoin un chiaro quadro normativo per aziende e investitori.
Equivoco n°10: BlackRock cambierà Bitcoin o manipolerà il prezzo
Voglio essere chiaro: non sono un fan di Fink, BlackRock e dei loro nefandi programmi.
Francamente mi piacerebbe vedere BlackRock andare in bancarotta e Fink pulire i bagni per guadagnarsi da vivere.
Tuttavia è importante ricordare che Bitcoin è una rete monetaria apolitica, aperta e senza permessi, accessibile a chiunque e non controllata da nessuno. A nessuno può essere impedito di usare Bitcoin.
Bitcoin è per tutti, comprese le persone che non vi piacciono.
Alcuni temono che BlackRock possa cambiare Bitcoin, ma è infondato.
Ricordate, nessuno può cambiare il protocollo di Bitcoin, nemmeno Elon Musk, Jeff Bezos, il governo cinese, il governo degli Stati Uniti o una qualsiasi di queste potenti entità messe insieme.
Anche se Satoshi Nakamoto tornasse dopo essere scomparso nel 2011, non potrebbe alterare Bitcoin.
Le Blocksize War, che sono culminate nel 2017, ne sono la prova.
Fu allora che la stragrande maggioranza dei miner (principalmente con sede in Cina) e altri importanti insider e grandi aziende tentarono di unirsi e cambiare il protocollo di Bitcoin per aumentare la dimensione dei blocchi.
Sebbene rappresentassero la maggior parte dei miner, alcuni degli insider più potenti, importanti influencer e grandi aziende, il loro tentativo non portò a niente.
Invece di forzare un cambiamento in Bitcoin, come desideravano, crearono semplicemente un fork noto come Bitcoin Cash.
Non mi preoccuperei troppo del fatto che BlackRock cercasse di creare un “Bitcoin nuovo” o di cambiarlo in altro modo, anche se fossero abbastanza sciocchi da farlo, l'evento risulterebbe in un semplice fork.
Un'altra preoccupazione è che BlackRock possa manipolare il prezzo di Bitcoin creando più rivendicazioni su di esso di quelle che esistono realmente.
Prendere la consegna fisica dell'asset sottostante sarebbe un modo per rivelare la frode e con Bitcoin è semplice come inviare un'e-mail.
Se qualcuno è abbastanza idiota da creare più rivendicazioni su Bitcoin di quanti ne esistano realmente, rivelare la frode sarà molto più facile che con altri asset.
Se BlackRock o qualche altra entità tenterà questa strada, consideratelo un regalo.
Sarete in grado di accumulare più Bitcoin a prezzi artificialmente più bassi finché il loro schema Ponzi non esploderà, proprio come è successo con FTX.
Conclusione
Bitcoin rappresenta un miglioramento rivoluzionario nel denaro.
Quando mettete insieme tutto, avete una forma di denaro inarrestabile e superiore che conquista il mondo. Non è difficile capire come andranno le cose.
Eppure molte persone non capiscono ancora Bitcoin o le sue implicazioni.
Bitcoin può dare sovranità monetaria all'individuo, consente a chiunque nel mondo di possedere e utilizzare denaro incorruttibile e a prova di svalutazione senza bisogno di terze parti.
In breve, Bitcoin elimina le banche centrali e le loro valute fiat inflazionistiche. Non è un risultato da poco: è l'innovazione più importante nel denaro in centinaia di anni e altera profondamente lo status quo.
Le implicazioni di Bitcoin potrebbero infrangere i paradigmi esistenti ed essere dirompenti come l'invenzione della polvere da sparo, della stampa e di Internet.
Ecco perché ho pochi dubbi che Bitcoin continuerà a essere una delle più grandi tendenze finanziarie del decennio.
Pensateci.
Avete la possibilità di anticipare i principali investitori, le grandi multinazionali e persino i governi entrando in questa tendenza prima di loro.
È un'enorme opportunità irripetibile e la più grande storia d'investimento che abbiate mai visto.
Eppure la stragrande maggioranza dell'umanità non possiede o non comprende Bitcoin. Molte persone credono in uno o più dei preconcetti di cui sopra.
Questo divario di percezione è una benedizione, poiché ci consente di capitalizzare questa asimmetria informativa con investimenti che sfruttano questa potente tendenza.
Scommetto che non passerà molto tempo prima che il resto del mondo capisca il potenziale di Bitcoin e agisca in base a tale conoscenza. E quando lo faranno, l'opportunità di realizzare profitti probabilmente sarà persa.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Perché la democrazia ha una tale resistenza
di Finn Andreen
Come è stato sottolineato in precedenza, la “regola della maggioranza”, in senso politico, non esiste nel modo in cui viene presentata dalle istituzioni dominanti nelle cosiddette “democrazie” occidentali. L'avversione della popolazione occidentale alle critiche alla “democrazia” è a dir poco sconcertante.
La resistenza della democrazia rappresentativa in Occidente può essere spiegata come segue: la democrazia è acriticamente vista come un sistema politico progressista e illuminato che ha sostituito le monarchie, solitamente descritte come retrograde e repressive; nonostante le criticità del “governo della maggioranza”, la democrazia svolge un ruolo di canalizzazione del dissenso dell'opinione pubblica in una società politicizzata. Questi due punti verranno spiegati di seguito.
La democrazia come presunto miglioramento rispetto alla monarchia
La narrativa dominante è quella che vede la democrazia come un miglioramento morale rispetto alla monarchia. I governi odierni ricevono la loro legittimità dalla “volontà del popolo” e non più dal diritto divino dei re. Tuttavia questa è una visione in gran parte caricaturale e controfattuale, non da ultimo perché le elezioni e le pratiche di voto non sono specifiche delle “democrazie liberali”; alcune erano in uso molto prima che venisse introdotta la rappresentanza politica.
La tanto decantata “volontà del popolo” è l’ultima “formula politica”, per usare l’espressione dello storico italiano Gaetano Mosca, che consente alla “minoranza organizzata” di giustificare il suo dominio su una “maggioranza disorganizzata e disinteressata” nell’era dei diritti individuali. Da questo punto di vista non c’è alcuna differenza tra democrazia e monarchia.
Come riassunse James Burnham in The Machiavellians (1943):
L'esistenza di una classe dirigente minoritaria è, bisogna sottolinearlo, una caratteristica universale di tutte le società organizzate di cui abbiamo traccia. Essa vale indipendentemente dalle forme sociali e politiche, che la società sia feudale o capitalista o schiavista o collettivista, monarchica o oligarchica o democratica, indipendentemente dalle costituzioni e dalle leggi, indipendentemente dalle professioni e dalle credenze.Sebbene oggi sia comune parlare bene della democrazia rispetto alla monarchia, ciò diventa problematico quando il metro di paragone è la libertà. La libertà economica e politica non sono una conseguenza ovvia del diritto di voto, come dovrebbe essere chiaro oggi in Occidente. La libertà è correlata alla protezione della proprietà privata e dovrebbe essere vista come inversamente correlata alle dimensioni e al potere dello stato.
Nonostante i difetti della monarchia, specialmente nella sua tarda espressione assolutista, come sistema politico che collega il potere alla proprietà privata della terra essa aveva una naturale inclinazione a proteggere i diritti di proprietà. Con il tempo, in particolare nell'era democratica, il demanio pubblico è cresciuto a spese della proprietà privata. Non a caso la crescita dello stato regolatore moderno, finanziato da un'esplosione di stampa di denaro e tassazione, è iniziata quando le società sono diventate democratiche.
Nelle democrazie moderne le differenze tra i partiti politici sono diminuite sulla scia della forza centripeta del centro politico. L'elettorato spesso vota per programmi che conosce a malapena e che, in seguito, difficilmente vengono implementati. La frode elettorale è diffusa. Troppo spesso le promesse elettorali hanno poco a che fare con la politica effettiva. Rousseau potrebbe non aver esagerato quando scrisse, in The Social Contract (1762) sul parlamentarismo britannico, che tra un'elezione e l'altra “l'individuo è uno schiavo, non è niente”.
Questa realtà sta iniziando a far capolino sempre di più in Occidente, come si può notare dalle crescenti tensioni politiche, ma l'illusione rimane così forte, non da ultimo tra le persone istruite, che la maggior parte sembra, come nella favola “I vestiti nuovi dell'imperatore”, complice volontaria di questo inganno.
La democrazia come valvola di sfogo per l’opinione pubblica
L'importanza dell'opinione pubblica per il potere politico fu riconosciuta da Tommaso d'Aquino nel XIII secolo e poi espressa da Etienne de la Boétie nel suo Discorso sulla servitù volontaria (1549). David Hume scrisse (1777) che “È [...] solo sull'opinione che si fonda lo stato e questa massima si estende ai governi più dispotici e più militari, così come a quelli più liberi e popolari”.
Le democrazie tengono quindi conto dell'opinione pubblica, ma non tanto per la loro natura “democratica” quanto perché sono obbligate a farlo. Ma poiché i governanti traggono la loro legittimità dalla “volontà del popolo”, la gestione dell'opinione pubblica è decisamente più importante nei sistemi politici “rappresentativi” che nei regimi autoritari, come ha osservato anche Noam Chomsky. Di conseguenza gli stati democratici saranno tentati di usare propaganda, disinformazione e censura al fine di ottenere, o mantenere, il consenso del popolo, come riconobbe con lungimiranza Aldous Huxley.
Un quarto potere forte e indipendente è ovviamente cruciale. Come scrisse il teorico del diritto tedesco, Carl Schmitt, “discussione” e “apertura” sono prerequisiti affinché una democrazia rappresentativa non scivoli nell’autoritarismo.
Alla discussione appartengono le convinzioni condivise, la volontà di essere persuasi, l'indipendenza dai legami di partito, la libertà da interessi egoistici. La maggior parte delle persone oggi considererebbe un tale disinteresse come implausibile, ma anche questo scetticismo appartiene alla crisi del parlamentarismo.Infatti una democrazia che soddisfi questi prerequisiti, ovvero che consenta tali condizioni di trasparenza nella società, è “implausibile” perché tende inevitabilmente a diventare vittima del suo stesso successo. La minoranza al potere, pressata dall'inevitabile controllo politico e dalla sana critica consentita dalle condizioni sopraccitate, cerca di indebolire proprio “discussione” e “apertura” che inizialmente hanno contribuito a legittimarne il governo. I tentativi di restrizioni e controllo dei contenuti sui social media sono esempi per eccellenza di una tale deriva.
A differenza dei regimi autoritari, il processo democratico può consentire alla maggioranza di sanzionare o premiare pubblicamente diverse forze politiche all'interno della minoranza dominante, agendo come un canale per l'opinione pubblica. Come spiegò Mosca: “La funzione elettorale è un mezzo con cui alcune forze politiche controllano e limitano l'azione di altre, quando viene esercitata in buone condizioni sociali”. Queste “buone condizioni sociali” includono i criteri di Carl Schmitt di cui sopra.
Anche Ludwig von Mises riconobbe la “funzione sociale” della democrazia, “quella forma di costituzione politica che rende possibile l’adattamento del governo ai desideri dei governati senza lotte violente”. In particolare, nell’Occidente politicizzato, con i suoi stati altamente interventisti, il processo democratico può, quando le condizioni lo consentono, fungere da valvola di sfogo per l’insoddisfazione politica repressa della maggioranza.
Quando le condizioni sociali sono sfavorevoli affinché questo processo abbia un effetto significativo, allora la democrazia come sistema politico inizia a essere messa in discussione e ne consegue una crisi politica. Questo è ciò che sta accadendo oggi in Occidente, poiché le elezioni difficilmente portano cambiamenti politici e l'oligarchia globalista occidentale cerca di rafforzare il suo controllo sull'agenda politica internazionale.
Nonostante le debolezze della democrazia, essa ha comunque una notevole capacità di resistenza in Occidente per le ragioni di cui sopra. Poiché questa capacità di resistenza si sta progressivamente erodendo, è essenziale ricordare al pubblico i principi e i benefici della libertà.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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L'oro è tornato e anche Judy Shelton
di Joe Vidueira
L'oro è in ascesa e anche la tipica nostalgia per il gold standard che è esplosa ogni volta che l'inflazione dei prezzi, le crisi bancarie e/o le preoccupazioni sul debito si sono regolarmente ripresentate dopo la caduta di Bretton Woods. L'ascesa del metallo giallo, come al solito, sta segnalando che non tutto va bene.
All'inizio di quest'anno il metallo giallo è salito oltre i $2500 l'oncia, raggiungendo i massimi storici e diventando uno degli asset con le migliori performance del 2024, dopo un aumento del prezzo del 13% nel 2023, risultato di persistenti incertezze economiche e geopolitiche. Ancora più interessante è il fatto che il World Gold Council riferisca che le banche centrali sono state gli acquirenti più aggressivi, acquistando 1.037 tonnellate di oro solo nel 2023, il secondo acquisto annuale più alto della storia, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Infatti un sondaggio del Gold Council ha rivelato che il 29% delle banche centrali intervistate ha pianificato di aumentare le proprie riserve auree nel prossimo anno, la percentuale più alta da quando il World Gold Council ha iniziato questo sondaggio nel 2018.
Un articolo recente sul The Times (di Londra) riassume il momento:
L'oro non può più essere ignorato. La prospettiva di tassi d'interesse statunitensi in discesa, un calo del dollaro e preoccupazioni sulla sostenibilità del debito americano dovrebbero portare più denaro istituzionale e al dettaglio ad affluire nell'oro [...]. Si dice persino che la nuova valuta a lungo discussa creata dai BRICS sarà coperta da una serie di asset, tra cui l'oro. A un secolo dalla fine del Gold Standard [classico], crollato negli anni tra le due guerre in mezzo a una crisi della cooperazione delle banche centrali su come gestirlo, l'oro sta silenziosamente diventando un punto di riferimento importante nel nostro sistema finanziario piuttosto che una reliquia obsoleta del XX secolo.Tutto ciò ha scatenato discussioni su una moneta sana, criptovalute e persino della fattibilità di un nuovo gold standard, come attesta l'ultimo libro dell'ex-consigliere economico dell'amministrazione Trump e sostenitrice di lunga data di una moneta sana/onesta, Judy Shelton: Good as Gold: How to Unleash the Power of Sound Money, attualmente un best-seller su Amazon.
Shelton, di ritorno da un recente incontro a Nuova Delhi alla Mont Pelerin Society, la conferenza sull'economia di libero mercato fondata da Friedrich Hayek e Milton Friedman, rimane sorprendentemente ottimista sulle prospettive monetarie del metallo giallo, nonostante la miriade di battute d'arresto degli ultimi cinquant'anni.
“Ce l'abbiamo l'oro”, dice, riferendosi alle riserve dichiarate dal governo degli Stati Uniti pari a 261,5 milioni di once, più di qualsiasi altra nazione. “Perché non utilizzarlo?”
Shelton, sostenitrice di una moneta sana/onesta, ritiene che il momento attuale è particolarmente propizio, soprattutto a livello internazionale. Il fatto che l'acquisto di oro da parte delle banche centrali abbia raggiunto quasi la frenesia “testimonia buone prospettive per la seria considerazione di una nuova proposta”.
E ne ha una, ovviamente: un piano ben articolato per riaffermare la convertibilità dell'oro per la prima volta dai tempi del Gold Standard Classico (1815-1914) e tutto inizia con la proprietà di obbligazioni del Tesoro USA legate all'oro. Per la Shelton il diritto alla convertibilità dollaro-oro, il suo obiettivo finale per l'intero sistema monetario statunitense, è essenziale: non significherebbe solo rettitudine fiscale e monetaria “fornirebbe la regola semplice e definitiva per regolare l'offerta di denaro in conformità con i diritti individuali e i principi del libero mercato”, uno degli argomenti chiave del libro.
La sua proposta prevede una nuova emissione di titoli del Tesoro a cedola zero, denominati Treasury Trust Bonds, che offrono tassi d'interesse più bassi rispetto ai titoli del Tesoro tradizionali (riducendo così i deficit correnti), ma con la caratteristica distintiva che possono essere rimborsati alla scadenza in dollari o a un equivalente prestabilito in oro, a discrezione dell'acquirente.
In altre parole, se la politica monetaria dovesse continuare sulla sua attuale traiettoria fuori dai binari e il potere d'acquisto del dollaro dovesse diminuire in modo significativo, ciò potrebbe comportare una perdita significativa di oro del governo statunitense. In caso contrario, e se gli Stati Uniti raddrizzassero le proprie finanze, la maggior parte delle obbligazioni verrebbe rimborsata in dollari. In sostanza offrirebbero una disposizione “fidati ma verifica”, come la chiama Shelton, puntando le riserve auree della nazione su una nuova rotta e dimostrare rettitudine fiscale e monetaria. “Tutto ciò che i funzionari pubblici dovrebbero fare per rendere l'emissione un successo è superare le aspettative”, perché se lo facessero le obbligazioni aprirebbero la strada “a uno strumento finanziario denominato in dollari che è, letteralmente, tanto buono quanto l'oro”.
Riconoscendo che la sua proposta appare modesta in confronto alla “proposta impressionante di gold standard” uscita dalla Commissione statunitense sull’oro durante gli anni di Reagan, la Shelton sostiene che stabilendo con successo questo tipo di “testa di ponte per una moneta sana/onesta” e “baluardo per l’integrità fiscale e monetaria”, ne seguirebbe una sostanziale riforma monetaria qui e all’estero, forse persino dando luogo a un nuovo sistema monetario internazionale basato sull’oro.
In tal caso il potere della Federal Reserve dovrebbe essere sostanzialmente ridotto, ovviamente. Descrivendo le sue opinioni economiche come “più vicine a quelle della Scuola Austriaca rispetto ad altre”, nonostante la sua lunga associazione con sostenitori e teorie supply-side, la Shelton concorda con gli Austriaci sul fatto che il difetto fatale di Bretton Woods (1945-1971), così come di una miriade di altre proposte basate simili, è che si basano sulle “inclinazioni discrezionali delle autorità tecnocratiche”. Infatti riconosce che il gold standard classico della fine del diciannovesimo secolo era “molto meglio” del gold exchange standard annacquato di Bretton Woods (in cui agli individui veniva negata la convertibilità diretta) dato che “dava agli individui, non allo Stato, il potere di controllare l'offerta di denaro”.
Inoltre il nuovo libro chiarisce che
- la pianificazione centrale non ha mai funzionato e mai funzionerà, né nella vecchia Unione Sovietica né nella moderna politica delle banche centrali;
- la “soppressione dei risultati di libero mercato da parte della Federal Reserve potrebbe un giorno generare lo stesso tipo di cinismo che ha causato il crollo dell'approccio sovietico”.
La conclusione per la Shelton è che “il livello più alto di performance a cui una banca centrale potrebbe aspirare sarebbe quello di eguagliare le interazioni economiche e i risultati che probabilmente si verificherebbero con un gold standard”, una tesi che il suo libro sostiene esaminando i risultati dei precedenti sistemi monetari. In alternativa, alludendo al libro più noto di Hayek, “sostituire la perspicacia delle autorità monetarie all'acume condiviso di centinaia di milioni di persone che eseguono transazioni volontarie per facilitare le loro esigenze quotidiane e i loro sogni futuri significa percorrere la strada verso la schiavitù”.
In breve, mentre il nuovo piano della Shelton potrebbe rappresentare l'ennesima riforma monetaria tutt'altro che ideale, segnerebbe certamente un passo positivo nella direzione inequivocabile di una moneta sana/onesta. Forse genererà persino un entusiasmo popolare per la vera libertà monetaria, il motivo per cui spera che i bond sopraccitati vengano inaugurati nel 2026, il 250° anniversario della Dichiarazione di Indipendenza.
Infatti il nuovo libro presenta una difesa così solida e articolata del capitalismo di libero mercato nel contesto della storia americana e dei suoi principi fondanti, che fa chiedere se le prospettive per una linea di politica sana/onesta siano migliori oggi perché a Judy Shelton è stato impedito di entrare nella Federal Reserve nel 2020.
Con il nuovo libro, la Shelton ha raddoppiato tutto ciò che l'ha fatta etichettare come membro della “destra eccentrica ed estremista” e “gold bug” da parte di scrittori e analisti mainstream. E il suo piano Treasury Trust Bond, e una visione più ampia per una moneta sana/onesta, avrà avuto successo, dice, se condurrà la nazione verso un futuro in cui “il pagamento in dollari è considerato letteralmente tanto buono quanto l'oro”.
“Questo”, dice, “sarebbe un evento di portata storica”. Lo sarebbe sicuramente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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La soluzione di Trump al disastro fiscale
L'articolo di oggi ha un'importanza particolare, dato che il contenuto va a ricalcare un testo pubblicato nei lontani anni '50 e già allora individuava la cosiddetta radice di tutti i mali economici. Chi volesse recuperarlo, può farlo cliccando qui e troverà la versione cartacea che ho provveduto a pubblicare di recente. È fuor di dubbio che i conti della nazione sono ancora un disastro, ma qualora dovesse essere eletto Trump e mantenere fede a quanto detto in campagna elettorale, questo sarebbe di certo un passo verso la giusa direzione. Le basi teoriche e filosofiche sono state fornite da Chodorov nel libro sopraccitato, quelle pratiche possono essere visualizzate in numeri nell'esercizio odierno di Stockman.
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Nelle ultime settimane della sua campagna elettorale, Donald Trump sta facendo strame dell'imposta federale sul reddito quasi con la stessa rapidità con cui ha servito le patatine fritte allo sportello drive-thru del McDonald's. Finora ha proposto di estendere le aliquote più basse, i crediti d'imposta per le famiglie e gli incentivi agli investimenti del Tax Act del 2017 dopo la loro scadenza nel 2025 e di esentare dall'imposta federale sul reddito anche le mance, i sussidi della previdenza sociale e gli straordinari.
Solo queste voci genererebbero una perdita di entrate pari a $9.000 miliardi nel prossimo decennio, ma di recente ha proposto di esentare dall'imposta federale sul reddito anche i vigili del fuoco, gli agenti di polizia, il personale militare e i veterani.
Altri $2.500 miliardi di perdite di entrate in 10 anni. Ci sono 370.000 pompieri, 708.000 poliziotti, 2,86 milioni di militari in uniforme e 18,0 milioni di veterani negli Stati Uniti. Questi 22 milioni di cittadini hanno un reddito medio stimato di $82.000 all'anno, cosa che si traduce in circa $60.000 ciascuno di reddito lordo rettificato. A un'aliquota media dell'imposta sul reddito del 14,7%, queste esclusioni genererebbero $250 miliardi all'anno di pagamenti ridotti dell'imposta sul reddito.
In totale Trump ha quindi buttato lì la promessa di tagliare le imposte sul reddito per $11.500 miliardi nel prossimo periodo di bilancio decennale. A loro volta queste riduzioni radicali ammonterebbero a oltre il 34% delle entrate fiscali di base stimate dal CBO nello stesso periodo: $33.700 miliardi. Ahimè, persino nei giorni felici del taglio delle imposte di Reagan nessuno si sognava davvero di eliminare completamente un terzo del cosiddetto crimine del 1913 (il XVI emendamento che introdusse l'imposta sul reddito).
Perdita decennale delle entrate:
• Estendere i tagli fiscali del 2017: $5,350 miliardi
• Reddito esente da straordinari: $2.000 miliardi
• Porre fine alla tassazione delle prestazioni della previdenza sociale: $1.300 miliardi
• Reddito da mance esentato: $300 miliardi
• Reddito esentato da imposte per vigili del fuoco, poliziotti, militari e veterani: $2.500 miliardi
• Perdita totale di entrate per Trump: $11.500 miliardi
• Entrate di base dell'imposta sul reddito del CBO: $33.700 miliardi
• Perdita di entrate di Trump in % rispetto al valore di base: 34%
D'altro canto Trump potrebbe avere in mente qualcosa di epico: eliminare completamente l'imposta sul reddito a favore della tassazione dei consumi tramite imposte su beni e merci importati.
“Ai vecchi tempi, quando eravamo intelligenti, quando eravamo un Paese intelligente, nel 1890, quando il Paese era relativamente il più ricco che sia mai stato, c'erano solo i dazi. Non c'era un'imposta sul reddito”, ha detto Trump durante un incontro con gli elettori a New York per Fox & Friends.
“Adesso abbiamo le tasse sul reddito e abbiamo persone che muoiono di fame”.
Il New York Times è profondamente allarmato: “L’ex-presidente ha ripetutamente elogiato un periodo della storia americana in cui non esisteva l’imposta sul reddito e il Paese faceva affidamento sui dazi per finanziare il governo federale”.
In realtà l'America del XIX secolo era persino più intelligente di quanto Trump creda. Nel 1900 la spesa federale totale ammontava a solo il 3,5% del PIL perché a quel tempo l'America era ancora una repubblica pacifica e non aveva alcun Stato militare o persino un esercito permanente altrove. E, a parte i distretti più avanzati d'Europa, nemmeno lo Stato sociale era stato ancora inventato.
Quindi, sì, i cosiddetti “dazi sulle entrate” del XIX secolo soddisfacevano le esigenze di reddito del governo federale al punto di pareggiare il bilancio anno dopo anno tra il 1870 e il 1900. Infatti i surplus annuali furono per giunta abbastanza grandi da ripagare la maggior parte del debito della Guerra Civile.
Oggi lo Stato militare, lo Stato assistenziale e le spese folli di Washington rappresentano il 25% del PIL, quindi Trump ha ragione nel voler tassare i consumi piuttosto che il reddito, ma sbaglia quando si tratta delle dimensioni del bilancio federale che deve essere finanziato.
Ha promesso di imporre un dazio universale del 20% su tutte le importazioni da tutti i Paesi con un'aliquota specifica del 60% per le importazioni cinesi. Sulla base degli attuali livelli di importazione degli Stati Uniti ($3.500 miliardi all'anno) da fonti mondiali e dalla Cina ($450 miliardi), i dazi di Trump genererebbero circa $900 miliardi di entrate all'anno.
Di sicuro l'affermazione di Trump secondo cui questi dazi sarebbero pagati da cinesi, messicani e socialisti europei è una sciocchezza: sono pagati dai consumatori.
La verità è che lo stato dovrebbe essere pagato tramite la tassazione dei cittadini attuali, non rifilato sotto forma di debiti enormi ai cittadini futuri, nati e non ancora nati. Quindi se vogliamo avere un governo federale al 25% del PIL anziché al 3,5% del PIL, meglio che l'onere venga posto sui consumi, non sulla produzione, sul reddito e sugli investimenti.
Dopotutto oggi “chi fa” viene colpito duramente dall'attuale sistema di imposta sul reddito estremamente sbilanciato. L'1% più ricco paga il 46% delle imposte sul reddito, mentre il 5% più ricco paga il 66% e il 10% più ricco paga il 76% di tutte le imposte sul reddito. Invece il 50% più povero paga solo il 2,3% delle imposte sul reddito individuale, mentre il 40% di tutte le famiglie non paga alcuna imposta sul reddito.
In ogni caso, i calcoli fanno sì che i dazi proposti da Trump genererebbero circa $9.000 miliardi nel prossimo decennio, ovvero quasi l'80% della perdita di entrate da $11.500 miliardi derivante dalla drastica riduzione della copertura dell'imposta sul reddito e del tasso di riscossione. Questo è un grande passo avanti nella direzione della solvibilità fiscale piuttosto che altri pasti gratis all'Unipartito.
Di sicuro il corretto riorientamento della politica fiscale federale sarebbe un'imposta nazionale sulle vendite, o un'imposta IVA, che potrebbe essere applicata sia ai beni e ai servizi, sia alla produzione nazionale che alle importazioni. Un'IVA del 5% sugli attuali $20.000 miliardi all'anno di PCE (spese al consumo personali) totale genererebbe l'equivalente dei dazi di Trump, mentre un'imposta del 15% sulla PCE totale potrebbe sostituire interamente sia i dazi di Trump sia il resto dell'imposta sul reddito.
Nonostante i suoi difetti un dazio è un inizio atteso da tempo nella giusta direzione. La posizione audace di Trump a favore della tassazione dei consumi piuttosto che del reddito e dell'obbligo per tutte le famiglie di sostenere i costi del governo federale, non solo il piccolo numero di produttori in cima alla scala economica, è chiaramente superiore allo status quo.
Tuttavia questo radicale cambiamento nella composizione e nell'incidenza della politica fiscale non mette davvero a tacere il disastro fiscale.
Se si presumono i dazi e i tagli radicali alle imposte sul reddito e che le altre imposte federali su buste paga, società e accise rimangano le stesse, le entrate decennali ammonteranno a soli $60.000 miliardi rispetto alla spesa integrata di $85.000 miliardi secondo la linea di base del CBO. In breve, anche con una versione gigantesca di dazi, il piano di bilancio di Trump genererebbe comunque $25.000 miliardi di inchiostro rosso nel prossimo decennio.
Prospettive di bilancio decennale con tagli fiscali e dazi di Trump, dal 2025 al 2034:
• Imposte sul reddito delle persone fisiche con i tagli di Trump: $22.000 miliardi
• Dazi di Trump: $9.000 miliardi
• Imposte sul reddito esistenti: $20.900 miliardi
• Imposta vigente sulle società, tagliata al 15% per i produttori: $4.600 miliardi
• Altre entrate federali esistenti: $3.500 miliardi
• Entrate federali totali secondo la linea di politica di Trump: $60.000 miliardi
• Spese federali di base secondo il CBO: $85.000 miliardi
• Potenziale deficit di Trump nei prossimi 10 anni: $25.000 miliardi
Di sicuro Trump ha promesso di scatenare Elon Musk in una crociata contro gli sprechi e l'inefficienza del governo federale, e noi siamo più che felici che avvenga. Se qualcuno ha il coraggio e l'intelligenza per affrontare la Palude, sicuramente Elon Musk è in cima alla lista.
Trump ha promesso anche di proteggere l'82% del bilancio da qualsiasi taglio. Esatto. Elon potrebbe sbuffare e ridurre di un terzo i programmi e le agenzie non esenti e lasciare comunque deficit superiori a $20.000 miliardi nel prossimo decennio.
Costo decennale dei programmi sostenuti da Trump e che ha promesso di non tagliare o che non può tagliare:
• Previdenza sociale: $20.000 miliardi
• Medicare: $16.000 miliardi
• Pensioni federali militari e civili: $2.500 miliardi
• Programmi per i veterani: $3.000 miliardi
• Bilancio per la sicurezza nazionale: $15.500 miliardi
• Interessi sul debito pubblico: $13.000 miliardi
• Totale programmi esenti: $70.000 miliardi
• Programmi esenti in % dei $85.000 miliardi calcolati dal CBO: 82%
In breve, anche con i dazi di Trump e supponendo che Elon possa effettivamente tagliare il 33% del bilancio non esente senza chiudere il Washington Monument, la matematica di base lascia poco all'immaginazione. Una spesa di $80.000 miliardi ammonterebbe al 22,7% del PIL, mentre il pacchetto di entrate di Trump genererebbe $60.000 miliardi di entrate federali nel prossimo decennio, pari a circa il 17,0% del PIL.
A sua volta ciò lascerebbe un deficit strutturale di quasi il 6% del PIL. E questa proiezione presuppone che non ci sarà mai più una recessione e che l'interesse su un debito pubblico che si avvicinerà ai $60.000 miliardi entro il 2034 sarà in media solo del 3,3% nell'intero spettro di scadenza. Inutile dire che la proiezione del CBO, $1.700 miliardi di spesa annuale per interessi entro il 2034, è probabilmente sottostimata.
In ogni caso, la sfida di finanziare questi deficit giganteschi insieme ai $900 miliardi all'anno di dazi sarebbe considerevole. Questi ultimi da soli ammonterebbero a quasi il 10% del consumo annuale degli Stati Uniti di beni di consumo e beni d'investimento fissi.
Quindi se la FED dovesse “accomodare” questi enormi dazi accendendo le rotative a tutto gas nel tentativo di compensare la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, potrebbe benissimo innescare un’ondata di inflazione ancora più virulenta di quella del 2021-2024.
D’altro canto se dovesse aderire alla corretta soluzione del denaro sano/onesto e rifiutarsi di “accomodare” sia gli enormi deficit sia i giganteschi dazi, i rendimenti obbligazionari e i tassi d'interesse salirebbero alle stelle, anche se l’economia di Main Street si contraesse bruscamente in risposta a un aumento una tantum del 10% del livello generale dei prezzi.
Finanziare enormi deficit di bilancio onestamente nei mercati obbligazionari, anziché tramite le rotative della FED, scatenerebbe anche la madre di tutti i crolli nei mercati finanziari. Trump otterrebbe quindi i suoi dazi e un sostanziale rimpatrio della produzione industriale, ma anche una recessione su Main Street e Wall Street.
Sfortunatamente questo è il prezzo che l'America deve pagare per eliminare gli effetti distruttivi di decenni di politiche di spesa, prestiti e stampa di denaro dell'Unipartito.
Tuttavia esiste uno scenario decisamente peggiore: la perpetuazione dello status quo dell'Unipartito, ciò che otterremmo se nello Studio Ovale ci finisse il candidato democratico.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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La ricchezza di una nazione
I mercati non necessariamente forniscono ciò che le persone vogliono, ma danno sempre loro ciò che meritano. Se lasciati in pace, i mercati forniscono prodotti, servizi, svaghi, droghe, alcol... qualsiasi cosa per cui le persone paghino volentieri. Quando i burocrati interferiscono (es. sovvenzionando, penalizzando, proibendo) le persone ottengono meno di ciò che vogliono e di più di ciò che vogliono i burocrati. Di solito ottengono anche molto di ciò che nessuno vuole. Gli interventi statali hanno quasi sempre conseguenze impreviste: non riescono a fornire i benefici promessi e quasi sempre comportano conseguenze indesiderate. Ad esempio, i tassi d'interesse ultra bassi hanno portato il Trend primario del 1980-2020 a livelli estremi. Una delle promesse frequenti dei politici è quella di ridurre la “disuguaglianza”. La sinistra italiana diceva che era la sua massima priorità, ma grazie alla politica dei tassi a zero, azioni e obbligazioni hanno entrambi raggiunto massimi da record e i ricchi sono diventati più ricchi che mai. Nel frattempo la crescita del PIL ha rallentato, l'inflazione è aumentata e ci ritroviamo con un rapporto debito pubblico/PIL che non può essere ripagato.
E ora, limitati dall'inflazione, i burocrati non possono resuscitare il boom del 1980-2021. Invece tutto è cambiato: azioni e obbligazioni rischiano di crollare e i burocrati rafforzano il nuovo Trend primario con tassi d'interesse più alti e deficit sproporzionati. E proprio come le loro linee di politica hanno portato a una ricchezza estrema (almeno per alcuni) durante l'ultimo boom, è probabile che le loro nuove linee di politica portino povertà estrema (forse per molti) mentre il nuovo Trend primario fa il suo corso.
I politici, a loro modo, dicono sempre la verità. Omettere pezzi non equivale a mentire. Di conseguenza ecco che l'economia italiana “cresce” se si fa il cherry picking di dati e si omette di spiegare come un'occupazione maggiore, ad esempio, non è sinonimo di crescita economica. Almeno in questo modo, seppur sulla carta, il verbo keynesiano viene soddisfatto: tassare durante i periodi di vacche grasse. Ma davvero sono grasse? Tralasciando la questione controversa del PIL, un dato sulla bocca di tutti i policymaker è l'occupazione, a detta loro da record. In realtà, è il sommerso che è diminuito, ma questi posti di lavoro già esistevano prima sono semplicemente venuti alla luce adesso; non è stato aggiunto niente. Poi, come da immagine qui sotto, la produzione industriale è in calo da 19 mesi consecutivi; difficile affermare che le cose stiano migliorando se si esclude questo parametro fondamentale.
In particolar modo, non si può affermare una crescita sostenuta in presenza di debito pubblico e deficit fuori controllo... a meno che, ovviamente, non vengano intesi come “anticipo” di una crescita futura, una ipoteca su quest'ultima attraverso uno stimolo fiscale. La questione tasse, infine, è un altro aspetto critico. È vero che non ne sono state create di nuove... sono state semplicemente aumentate le vecchie. Dalle rivalutazioni catastali, i limiti tolti alla web tax e la sua imposizione sul fatturato (cosa che colpisce particolarmente le PMI), la diminuzione delle detrazioni fiscali, ecc. abbiamo un'economia tutt'altro che frizzante ma con un nodo alla gola stretto sempre di più.
E come se non bastasse, a livello europeo è arrivato un nuovo giro di vite che va a penalizzare gli standard di vita delle persone. La teoria economica ci ricorda, in particolare attraverso la voce di Ricardo, che il vantaggio comparato è un supporto per quelle nazioni specializzate in altro. Ancora meglio, è un sollievo per quelle nazioni che devono rimettere in sesto il proprio comparto industriale chiave a causa di scelte imprenditoriali scellerate. Come già affermato all'inizio di questo pezzo, tale è il risultato quando si vogliono soddisfare i “desideri” dei burocrati piuttosto che quelli delle persone. Per essere più specifici, uno dei comparti industriali più in sofferenza è quello delle auto. Detto in modo diretto, nessuno le vuole. Ciononostante il chiaro messaggio che erutta dalle sale decisionali dell'Europa è quello di ridurre l'impronta di anidride carbonica, a qualunque costo. Di conseguenza, malgrado il flop delle auto elettriche, Stellantis decide di continuare a puntare su una scommessa perdente dato che dal prossimo anno i limiti alle emissioni di CO₂ diventeranno più stringenti. Non solo, a ciò bisogna aggiungere un mercato del lavoro ingessato, tassato e i cui costi sono decisamente alti; senza contare, poi, che l'Europa non gode di materie prime in grado di sostenere una produzione industriale automobilistica a basso costo. Questo a sua volta si traduce in un asset, quello dell'auto, che sta tornando a essere sempre di più un “bene di lusso” e data questa pesante barriera all'ingresso ciò inficia la capacità d'indipendenza delle persone.
Inutile dire che un simile assetto avvalora la tesi che ho presentato in maggiore dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default, in cui esploro la natura tirannica e totalitaria dell'UE come fine ultimo della sua “strategia” di risoluzione della crisi economica. Detto in parole povere, un “reset” attraverso un controllo capillare della società in modo da minimizzare eventuali proteste quando dovranno essere prese “decisioni drastiche”. E i venti di guerra che continuano a essere alimentati, prima in Georgia e adesso in Moldavia, sono funzionali a questo scopo. Questa tesi è ulteriormente supportata se incastriamo nel mosaico anche il tassello dei dazi alle auto elettriche cinesi. Piuttosto che sfruttare questo avanzamento tecnologico estero in grado di fornire sollievo alla classe media qualora l'obiettivo reale fosse davvero una decarbonizzazione genuina e dettata dalla volontà di migliorare le condizioni ambientali, si sceglie invece l'autarchia e la dannazione per la classe media.
Sarebbe come dire: “Ehi stranieri... avete un nuovo prodotto? Prezzi più bassi? Una tecnologia migliore? Beh... tenetevela per voi!”. Lo scopo “ufficiale” della Commissione europea è quello di proteggere il continente dalle “esportazioni sleali” derivanti dalla “sovraccapacità industriale della Cina”. Non ho idea di cosa sia una “esportazione sleale”, ma si spaccia l'idea velenosa che limitare il commercio renderebbe gli europei più ricchi. Dal punto di vista tecnologico la Cina ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto quando si parla di rimpicciolimento dei chip. Certo, non sono ancora ai livelli di TSMC, ciononostante ha superato il continente europeo in quanto a ricerca & sviluppo. Quest'ultimo, infatti, langue con un ritardo di circa 18 mesi su tutti i fronti del settore tecnologico, interessata più a tassare che innovare. Di conseguenza quella dell'Europa, e dell'Occidente in generale, vuole essere una strategia di contenimento, più che di concorrenza e quindi miglioramento: impedire ai BRICS, in particolar modo Cina e Russia, di esprimere il loro potenziale.
Dal punto di vista industriale la Cina ha percorso la stessa strada percorsa dall'Inghilterra quando sorpassò gli olandesi in termini navali: copiare, arrivare allo stesso livello, superare. Dal punto di vista geopolitico il potenziale contenimento passa attraverso una escalation militare che non accenna ad arrestarsi. O per meglio dire, non si vuole arrestare. Se ricorderete, cari lettori, lo scorso giugno vi mettevo in guardia dal pericolo eruttante in Georgia a tal proposito, ora tale pericolo si sta espandendo anche alla Moldavia. La neutralità di tale nazione nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina non collima più con il leitmotiv dell'Occidente: “O con noi, o contro di noi”. È esistenziale. Di conseguenza le ingerenze europee nella politica moldava e la costruzione della nuova base militare statunitense in Romania (tra il confine moldavo e il Mar Nero) sono due facce della stessa medaglia: risoluzione dei guai economici attraverso la guerra. O peggio ancora, guerra totale.
C'è un modello di ciclo di vita che dà un senso a tutto questo: quando una nazione è giovane e vigorosa, è desiderosa di competere; quando è vecchia e stanca, diventa timorosa.
Sin dai tempi di Adam Smith è stato ovvio che il commercio è la chiave del successo economico. Cosa succederebbe se l'Italia imponesse un dazio del 100% sulle auto importate dalla Germania? Cosa succederebbe se la concorrenza in chirurgia fosse vietata, cosicché invece di cercare il miglior chirurgo per la vostra operazione al cervello dovreste affidarvi al veterinario locale? Il progresso materiale deriva dalla tecnologia e dalla divisione del lavoro. Il muratore sa posare i mattoni meglio del fornaio; il fornaio sa come fare il pane. Scambiano la rispettiva produzione ed entrambi stanno meglio.
Nelle società primitive le persone devono fare tutto da sole: cacciano il loro cibo, costruiscono i loro rifugi e cuciono i loro vestiti. In una società ricca, si specializzano. La persona tipica oggi si siede davanti a un computer, chiama un fisioterapista per aiutarlo a raddrizzare la schiena e ordina cibo tramite il food delivery. Non semina, né caccia, ciononostante mangia. Usa un computer, ma non ha idea di come funzioni. Fa una doccia calda e guida un'auto: Dio non voglia che non funzionino. Il suo intero tenore di vita si basa su una vasta rete di conoscenze specializzate, provenienti da tutto il mondo. Qualsiasi cosa facciano i burocrati per interferire con questi scambi volontari renderà le persone più povere. Ma non è questo il punto? Adam Smith rese popolare l'idea che, badando a sé stesse, le persone in realtà migliorano le cose per gli altri. Era come se fossero guidate da una “mano invisibile”.
È possibile che anche i burocrati siano guidati da una “mano invisibile”? Nel tentativo di migliorare le cose per sé stessi, invariabilmente le peggiorano per tutti gli altri. E nel tentativo di forzare i mercati a fare la loro offerta, inevitabilmente esagerano le tendenze che stavano cercando di fermare.
“PICCO CINESE”?
Abbiamo visto come le linee di politica in ambito monetario e fiscale abbiano creato la bolla alla fine del Trend primario 1980-2021; abbiamo visto come le nuove linee di politica (tassi d'interesse più alti, deficit enormi) contribuiscano al nuovo Trend primario: prezzi più bassi (aggiustati all'inflazione) di azioni e obbligazioni insieme a livelli di inflazione dei prezzi più elevati. Abbiamo anche esaminato come le politiche commerciali amplificano tale trend, aumentando i prezzi al consumo per la popolazione generale e sprecando capitale prezioso nel tentativo di mettere un bastone tra le ruote ai nostri concorrenti. La questione morale è secondaria, per chiunque voglia tirarla in ballo: non sto parlando di giusto o ingiusto, buono o cattivo. Ci dobbiamo concentrare sull'effetto delle linee di politica sul mondo finanziario.
Il vero progresso economico è fatto da scambi volontari di beni e servizi. Si può avere potere politico, come diceva Mao, con la “canna di una pistola”, ma non potere economico. Prima che Deng Xiaoping permettesse agli imprenditori cinesi di scatenarsi, la Cina di Mao era un inferno: non produceva praticamente nulla che il mondo volesse acquistare; ora, invece, è il principale esportatore mondiale. Ma oggi i politici occidentali seguono l'esempio di Mao, non quello di Deng: cercano di intimidire, criticare, imporre dazi e sanzioni per raggiungere il successo. In realtà non faranno altro che esagerare il nuovo Trend primario: i prezzi degli asset scenderanno e la maggior parte delle persone diventerà più povera. E se ho ragione, vedremo questa tendenza riflessa nel rapporto Dow/oro: il prezzo dell'oro sale e quello del Dow scende (aggiustato all'inflazione).
C'è una nuova convinzione tra gli storici della macroeconomia secondo cui abbiamo già assistito al “Picco cinese”. La Cina ha trovato un punto debole nel commercio mondiale, dicono, mettendo centinaia di milioni di contadini a lavorare con salari da fame; poi l'America ha fatto un grosso errore aprendo i suoi mercati ai prodotti cinesi a basso costo. Ma quella fase si è esaurita, aggiungono, i salari in Cina non sono più bassi e gli Stati Uniti stanno chiudendo le porte. La Cina avrà un ruolo minore in futuro. Inoltre la Cina è gestita da comunisti che sono pianificatori centrali peggiori di quelli occidentali. È così? Sì, certo. Commettono gli stessi errori? Sì, certo. Non cadranno in guerre, depressioni e povertà autoimposta? Molto probabilmente sì. Lungi da me affermare di sapere come sarà il futuro, però il “Picco cinese” potrebbe non essere ancora arrivato. Leggiamo dal Financial Times:
I governi degli Stati Uniti e dell'Europa si sono concentrati molto sulla necessità di “ridurre i rischi” delle catene di approvvigionamento, allontanandosi dalla Cina dopo l'invasione russa dell'Ucraina e le chiusure delle frontiere durante la pandemia. Ma più la Cina continentale diventa competitiva, più è difficile per gli attori industriali internazionali andarsene.
Sia le vecchie che le nuove aziende industriali sottolineano la necessità di essere in Cina per scopi di ricerca e per accedere al suo vasto mercato. Windrose Technology, una start-up di camion elettrici, mira a quotarsi negli Stati Uniti, ma attualmente si affida a partner della Cina continentale, tra cui Anhui Jianghuai Automobile Group di proprietà statale, per la produzione. “Come produttore di veicoli elettrici, se non sei collegato alla Cina e fingi di essere il miglior produttore di camion al mondo nel settore dei veicoli elettrici, nessuno ti crederà”, ha affermato Wen Han, fondatore di Windrose.
Negli ultimi anni la Cina è passata dall'essere un produttore a basso costo di beni per la casa a un produttore avanzato di prodotti elettronici e tecnologie verdi. La manodopera a basso costo è stata sostituita da robot e intelligenza artificiale. Una nuova fabbrica per Xiaomi, originariamente un produttore di smartphone, produce una nuova auto elettrica ogni 76 secondi, o 40 all'ora, senza essere toccata da mani umane.Infine leggiamo da NikkeiASIA:
XPeng, EHang e altre aziende cinesi metteranno in commercio auto volanti quest'anno, sfruttando i vantaggi del Paese nelle tecnologie delle auto elettriche per rivendicare una quota importante del mercato globale emergente.
XPeng AeroHT, una sussidiaria della startup di veicoli elettrici, mira a vendere un veicolo elettrico a decollo e atterraggio verticale (eVTOL) a doppia modalità, che si può guidare sulla terraferma come un'auto e staccare un modulo volante per il viaggio aereo.
Il prezzo sarà di circa 1 milione di yuan ($138.000). Qiu ha affermato che l'azienda spera di abbassare il prezzo a centinaia di migliaia di yuan.
“Se la produzione di massa su larga scala diventa possibile, possiamo ridurre drasticamente i costi” per materiali come la fibra di carbonio, ha affermato.
I leader cinesi commetteranno errori? Certo che sì. Ma saranno in grado di soffocare l'energia di milioni di imprenditori e uomini d'affari? Forse no.
Nel frattempo le società mature dell'Occidente (incluso il Giappone) sono alle prese con i problemi del passato: le sue burocrazie, le sue promesse e il suo debito. L'ordine post-seconda guerra mondiale, con l'Occidente al comando, appare stanco, vecchio e debole. Le nazioni emergenti rappresentano una minaccia: devono essere tenute al loro posto. Le nuove tecnologie devono essere regolamentate e controllate, il libero scambio deve essere sostituito da un commercio micro-gestito, la libertà di parola deve essere controllata dalle élite. E persino il clima della Terra non deve essere lasciato cambiare.
La cosa più importante: i sussidi per la vecchiaia devono essere protetti. Queste sono democrazie, i vecchi votano.
Al contrario, le società più dinamiche del “Sud del mondo” (Brasile, Indonesia, Sudafrica, Turchia, India, Russia e Cina) vogliono un Nuovo Ordine Mondiale. Pensano che sia giunto il momento per loro di uscire alla luce del sole e questo potrebbe significare cacciare via dalla spiaggia i pensionati flaccidi dell'Occidente.
4/4
La lungimiranza dei BRICS è stata sostanzialmente l'aver accumulato titoli del Tesoro USA e oro; ora puntano sulla geografia, sulla debolezza dell'Occidente e sul riassestamento delle sfere d'influenza per ottenere un posto al tavolo decisionale. Nessun salvatore è in vista.
STUPIDITÀ? NO, VANDALISMO
Siamo tutti umani, troppo umani, come diceva Nietzsche. Paura, avidità, gelosia, odio, brama di potere, complicità, generosità, patriottismo: gli elementi di base sono sempre presenti, ma le strutture di potere, come l'ordine mondiale del secondo dopoguerra, cambiano. Ovviamente le persone al vertice vorrebbero mantenere le loro posizioni di comando, con tutti i vantaggi che ne derivano, ma quando le proprie “soluzioni” vengono di volta in volta sconfessate da un peggioramento delle cose che dovrebbero essere migliorate e le promesse del passato vanno puntualmente in fumo, ecco che il cambiamento spinge sempre di più. In Europa, in particolar modo, questo fenomeno viene canalizzato in quei partiti definiti dal mainstream come “estremi”; in realtà di “estremo” c'è solo l'estrema ratio di elettori stufi che in qualche modo si rifugiano ancora nelle elezioni piuttosto che diventare “estremi” in altro modo.
Come abbiamo visto nelle sezioni precedenti il mondo è sommerso dal debito, soprattutto Europa e Inghilterra, e devono giustificarne il default. L'escalation dei vari fronti di guerra serve allo scopo. Nel frattempo bisogna resistere alla prova del tempo e degli imprevisti, facendo strame dello stato di diritto. In questo contesto, infatti, s'inserisce la proposta danese di tassare gli unrealized capital gain su Bitcoin. Questa è solo l'ultima proposta in ordine cronologico di una volontà europea ben precisa: saccheggiare il saccheggiabile dalla classe produttiva per rimanere a galla e riciclare il vecchio sistema in uno nuovo, ma con le stesse caratteristiche di base del precedente. Non sorprende vedere poi la stessa tipologia di tassa accarezzata dall'amministrazione Biden, alimentata in particolare dalla neo-canditata democratica Harris.
Una tassa simile serve sostanzialmente a distruggere ciò che resta di una formazione efficiente del capitale privato. Una transizione imprescindibile per il proverbiale capitalismo degli stakeholder. Questa è una guerra e in prima linea ci sono i risparmi degli individui. Anche questa è una guerra esistenziale, soprattutto per coloro che popolano il vertice della piramide sociale, ora che le fazioni che la compongono sono in guerra l'una contro l'altra. L'amministrazione Biden è l'infiltrato per eccellenza della cricca di Davos negli Stati Uniti, il cui scopo è impantanarli in guerre estere affinché il flusso di dollari continui a scorrere fuori dalla nazione (ora più che mai dato che i rubinetti degli eurodollari sono stati chiusi dalle decisioni di Powell). Infatti saprete che il prossimo presidente sarà Trump se l'escalation dei vari fronti di guerra si farà sempre più intensa. L'obiettivo è quello di lasciargli come minimo due guerre da cui gli USA non si potranno tirare indietro e quindi rendergli la vita impossibile nel mettere a posto il quadro fiscale della nazione. La battaglia sul lato monetario infatti è stata persa, nonostante gli scudi alzati dai democratici e la pressione da parte di alcuni di loro, capitanati da Elizabeth Warren, di far riassorbire la FED dal Tesoro americano.
La banca centrale americana, adesso, è la migliore carta che esiste per contrastare i piani distopici di un gruppo di comunisti europei. Powell, diversamente dalla Yellen e da Bernanke che sono accademici, viene dal mondo di Wall Street e si trova in quel ruolo proprio per salvaguardare quest'ultimo e l'indipendenza della FED stessa. Ciò gli ha permesso di mettere un freno alla trasformazione sovietica degli Stati Uniti. Come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stato attraverso gli eurodollari che gli USA sono stati svuotati della loro capacità industriale e finanziaria; la riforma dei mercati pronti contro termine statunitensi nel 2019, l'aumento delle remunerazioni in tale mercato nel 2021, l'introduzione del SOFR e infine il ciclo di rialzo dei tassi sono state tutte mosse di “Private Equity” Powell di rimpatriare la politica monetaria e toglierla dalle mani estere (inglesi ed europee). In sintesi, la FED ha smesso di essere la banca centrale del mondo.
I conti della nazione rimangono tutt'altro che solidi, ecco perché è richiesta un'azione radicale a Capitol Hill ed ecco perché l'unico appiglio che rimane alla cricca di Davos è quello dal lato fiscale dell'equazione. La logica conclusione in base a quanto detto finora è riassunta dalla seguente citazione tratta da un recente pezzo di Peter Earle sulla unrealized capital gain tax:
IL GIOCO DELLA COLPA
Nel mio pezzo di due settimane fa, Il piatto europeo non deve saltare, abbiamo visto che è possibile scendere dalla montagna del debito, più o meno in sicurezza. La Giamaica l'ha fatto, la Grecia sembra farlo e l'Argentina ha iniziato a farlo. Lo si fa, però, solo tagliando la spesa... bruscamente. Abbastanza per avere un surplus che utile per ridurre il debito. Come dice Javier Milei: un bilancio in pareggio è “non negoziabile”. A tal proposito sarebbe come minimo incoraggiante se gli Stati Uniti tagliassero dalla spesa pubblica i circa $1.000 miliardi di “aiuti esteri”.
Nell'ultimo disegno di legge americano sugli “aiuti esteri”, troviamo molte delle caratteristiche “negative” del carattere umano: furto, corruzione, illusione, arroganza. Per quanto riguarda il furto, la misura includeva una sezione che consentiva ai burocrati di rubare asset di proprietà russa. È come se, in risposta all'invasione statunitense dell'Iraq, la Francia avesse sequestrato i conti bancari degli americani a Parigi. La corruzione segue abbastanza presto. Poi c'è l'illusione che l'Ucraina sia una democrazia modello e che inviandole più soldi vincerà la guerra e il mondo sarà un posto migliore. Nemmeno gli ucraini ci credono. Nella seconda guerra mondiale gli americani facevano la fila negli uffici di reclutamento, desiderosi di “fare la loro parte”. Le cose stanno diversamente in Ucraina. Zelensky, poi, ha messo al bando undici partiti di opposizione, ha preso il controllo della copertura dei notiziari televisivi, ha annullato le elezioni, ha proibito di parlare russo e ha perseguitato i cristiani ortodossi. Che tipo di democrazia è questa? Ancora più importante, c'è qualche motivo per cui gli americani dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà la battaglia per le province di lingua russa dell'Ucraina?
Gli Stati Uniti hanno speso dollari che non avevano per benefici che non otterranno mai. Un'analisi costi-benefici convenzionale rivela costi enormi e benefici improbabili, o imponderabili. Allora perché farlo? Più sicurezza? Improbabile. Più pace? Niente affatto. Più prosperità? Esattamente il contrario. Tutto ciò che si otterrà di sicuro sarà più debito. Ciò rende i dollari in “aiuti esteri” – a persone che non ne hanno bisogno (Israele), che non possono ottenere nulla con essi (Ucraina), o che non ne hanno un reale utilizzo (Taiwan) – ancora più fuori luogo. Gli americani saranno accusati per il massacro degli innocenti a Gaza; in Ucraina saranno accusati per non aver dato ai soldati abbastanza potenza di fuoco per vincere e per aver promosso una guerra persa con centinaia di migliaia di vittime; in Asia verranno tagliati fuori dal commercio amichevole con l'economia più innovativa e produttiva del pianeta. Invece di ottenere i benefici del commercio (win-win, o vicendevolmente vantaggiosi) con la Cina, gli Stati Uniti raccoglieranno i costi amari della rivalità (win-lose, o somma zero).
Gli schemi della megapolitica suggeriscono anche che questo tipo di spesa eccessiva e di ingerenza negli affari altrui favorirà il declino dell'impero statunitense. Come se fossero guidati da una mano invisibile, i burocrati fanno ciò che devono fare, quando devono farlo, distruggendo la posizione finanziaria dell'America, minando la sua posizione morale e, in ultima analisi, distruggendo la sua posizione di principale potenza mondiale.
Like many others, including J.D. Vance, I’m very much on record in warning about Donald Trump from 2015 onward, including articles and an entire book (which is still valuable) on the rightest version of collectivism.
As we approach election day, my opinions have undergone a…
L'indebitamento extra eserciterà una pressione al rialzo sui tassi d'interesse. Il denaro abbandonerà quindi il mercato azionario per trarre vantaggio dai tassi più alti sulle obbligazioni. Le azioni perderanno valore. I prezzi al consumo saliranno (spinti verso l'alto da deficit più grandi). Gli americani saranno più poveri e il Trend primario seguirà il suo corso.
Ma aspettate, c'è di più: arroganza. Perché rafforzare la potenza militare degli Stati Uniti per “contrastare” l'influenza cinese? Perché vietare TikTok o sovvenzionare l'industria statunitense dei chip? Perché fare della Cina un nemico? Perché cercare il “primato in Asia”? È perché lavorare con la Cina in modo pacifico e reciprocamente vantaggioso non dovrebbe giovare al sistema politico corrotto, all'industria della potenza di fuoco, ai suoi lobbisti e think tank, ai politici che prendono i suoi soldi e votano a suo favore? Una relazione win-win, o vicendevolmente vantaggiosa, con la Cina non farebbe aumentare i prezzi al consumo, né farebbe aumentare il debito degli Stati Uniti, né contribuirebbe a tassi d'interesse più alti e prezzi degli asset più bassi. Né darebbe ai guerrafondai qualcosa di cui blaterare in TV. Invece le “strane politiche” americane potrebbero aiutare i cinesi a raggiungere la gloria a cui aspirano.
Non ha senso... a meno che non si uniscano puntini aggiuntivi. Allora diventa chiaro come mai i neocon americani abbiano cambiato casacca e remino contro il benessere della nazione, portandola sull'orlo del fallimento e rendendola il bersaglio di tutte le critiche mondiali (fondate e infondate).
La certezza che il prossimo presidente statunitense sarà Trump è direttamente proporzionale all'intensità dell'escalation dei vari fronti di guerra.
— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) October 27, 2024Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
L'evoluzione degli asset pensionistici e l'ascesa di Bitcoin in questo campo
L'oro ha svolto un ruolo fondamentale in economia e politica, influenzando gran parte dell'attività finanziaria umana tramite cambiamenti nei sistemi economici; ha dimostrato versatilità e stabilità attraverso i vari sconvolgimenti e cambiamenti sociali; è persino diventato uno strumento fondamentale nel commercio globale e nello scambio di valute come le conosciamo oggi.
Nel XIX secolo l'oro era la spina dorsale del sistema monetario mondiale. Le nazioni si affidarono al gold standard fino alla Grande Depressione e alla Prima Guerra Mondiale. Questi eventi furono importanti catalizzatori inflazionistici e le economie, in una transizione lunga decenni, abbandonarono il gold standard.
Questo processo culminò nel 1971 quando la Federal Reserve non poté più cambiare dollari in oro. Nel 1976 il gold standard fu completamente abbandonato e l'oro divenne un asset libero.
Oggi è ancora considerato un affidabile deposito di valore con un mercato ben consolidato. Dopotutto ha avuto il lusso di secoli, attraverso vari cicli di prosperità e sconvolgimenti economici, per dimostrare la sua reputazione. L'oro vanta un'elevata liquidità e può essere facilmente scambiato o venduto in più forme: lingotti, monete, gioielli, o altri strumenti rappresentativi.
ORO CONTRO BITCOIN: LA BATTAGLIA DEGLI ASSET NON CORRELATI
Negli investimenti pensionistici l'oro è un asset non correlato che ha avuto un rendimento annuo medio in grado di tenere il passo con l'inflazione. In tempi di incertezza economica gli investitori si spostano sull'oro per la sua reputazione di riserva di valore e la sua non correlazione con le azioni, cosa che lo rende ideale durante le flessioni del mercato.
Tuttavia l'attuale tecnologia monetaria ha fornito agli investitori una nuova opzione: Bitcoin. Sebbene sia un asset relativamente nuovo il cui impatto economico è ancora in fase di evoluzione, Bitcoin è già stato definito “oro digitale”. Condivide molte caratteristiche con l'oro, tra cui la sua offerta limitata e il suo potenziale come riserva di valore.
Inoltre Bitcoin offre un nuovo tipo di valore nell'era della connettività: può essere trasferito digitalmente, cosa preclusa all'oro fisico. È il primo asset digitale al portatore, un'impresa notevole raggiunta attraverso la convergenza di progettazione economica, crittografia e reti decentralizzate.
Per gli investitori il portafoglio perfetto, ovvero un equilibrio di asset che rispecchia la preferenza di rischio di un individuo e si adatta al clima economico del momento, è un obiettivo in continua evoluzione. Tutti gli investitori e i gestori di fondi professionisti cercano nuovi modi per aggiungere crescita e diversificazione.
I pensionati cercano investimenti che forniscano diversificazione, conservazione della ricchezza e stabilità. Oltre a ciò molti pensionati cercano un reddito continuo che può derivare solo dalla crescita, investimenti che capitalizzano le opportunità del momento.
Trovare il giusto mix di asset meno rischiosi, stabili e ad alto rischio è sempre stato difficile anche per i pianificatori finanziari più esperti. Alcuni credono che Bitcoin si adatti al nuovo portafoglio pensionistico. Come l'oro, può funzionare come asset non correlato e proteggere dai rischi sistemici.
BITCOIN NEI CONTI PENSIONISTICI
Un altro modo per replicare gli attuali prodotti di investimento è la creazione di conti pensionistici in Bitcoin. L'IRS considera Bitcoin e altri investimenti in criptovalute nei conti pensionistici come proprietà. Le norme governative impediscono ai Roth IRA di detenere “monete” e “oggetti da collezione”, ma queste non includono Bitcoin.
Secondo le relazioni del NYDIG, Bitcoin è stato in cima alla lista dei rendimenti del 2023 in base alla classe di asset. Al 6 ottobre 2023 vantava un aumento del 63,3% annuo, superando le grandi capitalizzazioni statunitensi (28,2%), le materie prime (6%), il denaro contante (3,8%) e l'oro (1,1%).
Alcuni provider di conti IRA (individual retirement account) stanno già offrendo investimenti in criptovalute. Un Bitcoin IRA funziona come qualsiasi conto IRA autogestito (SDIRA) e comporta gli stessi vantaggi. Invece di investire direttamente in Bitcoin e di farsi carico della custodia, i Bitcoin IRA offrono all'investitore comodità, sicurezza e semplicità.
Un Bitcoin IRA vi consente di acquistare e vendere Bitcoin in un conto pensionistico con agevolazioni fiscali; consente ai pensionati di mantenere conti pensionistici tradizionali pur avendo un conto separato che investe in nuove valute come Bitcoin.
PERCHÈ AGGIUNGERLO AL VOSTRO PORTAFOGLIO?
Molti sostenitori di Bitcoin lo promuovono come “oro digitale”. Questa visione semplificata è stata sostenuta e promossa da coloro che credono che Bitcoin possa fungere da riserva di valore affidabile in forma digitale.
Sulla base di questa visione, vengono già creati investimenti in Bitcoin analoghi ai prodotti in oro. Proprio come gli ETF in oro hanno come sottostante l'oro fisico, i prodotti Bitcoin sono strutturati in modo simile a questi ETF e forniscono esposizione tramite fondi negoziati in borsa.
Le prime domande di ETF Bitcoin sono state presentate negli ultimi anni, con gestori patrimoniali multimiliardari come BlackRock e Fidelity che hanno espresso ottimismo sul loro futuro.
RENDERE LA PIANIFICAZIONE PENSIONISTICA MENO COMPLESSA CON UN BITCOIN IRA
Nonostante il suo status di nuovo asset, la performance di Bitcoin nel 2023 si è distinta per la sua capacità di mantenere un intervallo di negoziazione ristretto nonostante le intense pressioni esterne. È stato scambiato intorno all'intervallo tra $25.000 e $31.000, resistendo alla volatilità e alle rotture in entrambe le direzioni.
I pensionati o coloro che pianificano la pensione interessati ad aggiungere asset più rischiosi ai propri portafogli, a stare al passo con i tempi e a cercare strade per una crescita futura possono aggiungere Bitcoin ai propri investimenti pensionistici senza dover imparare le sfumature tecniche.
Possono impostare un Bitcoin IRA come con i conti tradizionali. Un Bitcoin IRA consente prelievi esenti da imposte durante la pensione e offre una crescita con differimento fiscale. I pensionati con fasce fiscali più elevate possono trarre vantaggio da questa funzionalità.
Perché prendere in considerazione un Bitcoin IRA rispetto all'acquisto diretto di bitcoin? Si estendono facilmente alla pianificazione patrimoniale, offrendo un nuovo vantaggio rispetto ai tradizionali conti pensionistici. I Bitcoin IRA di Swan, ad esempio, offrono una custodia di livello aziendale con copertura assicurativa; forniscono un livello di protezione essenziale per i pensionati che potrebbero non essere esperti di sicurezza delle criptovalute.
Inoltre i Bitcoin IRA forniscono un quadro giuridico per gli investitori individuali, proteggendoli da problemi fiscali, incertezze legali e rischi di non conformità. Gli investitori hanno la certezza che i loro investimenti sono pienamente conformi alle normative finanziarie esistenti.
Nonostante siano uno strumento nuovo, i Bitcoin IRA possono fornire un percorso per continuare a creare ricchezza durante la pensione. Offrono il potenziale per crescita, diversificazione e vantaggi fiscali in un unico pacchetto nel quadro di un ambiente familiare e regolamentato. Sono un modo per trarre vantaggio dalla natura non correlata e dal potenziale futuro di Bitcoin.
Come per qualsiasi investimento, i pensionati dovrebbero consultare un consulente finanziario per confermare se un Bitcoin IRA è conforme alle loro aspettative, tolleranza al rischio, orizzonte temporale e obiettivi finanziari. I Bitcoin IRA offrono una proposta alternativa, innovativa e convincente per esplorare i premi degli investimenti in Bitcoin, anche per coloro che non desiderano addentrarsi nelle complessità tecnologiche delle criptovalute.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Nonostante gli ingenti stimoli fiscali, l'accoppiata Biden-Harris non ha affatto raggiunto un'economia “forte”
Buona parte dell'illusione di un'economia “forte” deriva dalla scelta selettiva dei numeri fuorvianti contenuti nel conteggio mensile del BLS sui “posti di lavoro”. L'indice delle ore lavorate nel settore della produzione di beni ad alta produttività e retribuzione elevata si è in realtà contratto del 18% rispetto al picco raggiunto nel lontano 1978, ma ciò è stato più che compensato da un aumento del 128% nell'indice delle ore per il settore ricreativo, di cui il 75% è attribuibile a bar, ristoranti e altre attività di ricreazione.
Ahimè, quella che potrebbe essere definita la tesi della “grande sostituzione di posti di lavoro” non è minimamente un confronto tra mele e mele. Il tipico “lavoro” part-time, con salario quasi minimo nel settore ricreativo, paga l'equivalente di $24.400 all'anno, o solo il 37% dell'equivalente annuo di $66.000 per i lavori nella produzione di beni. Quindi in termini di peso economico, o valore di mercato implicito di produzione e reddito, abbiamo sostituito i principali giocatori nella forza lavoro con ciò che equivale a delle riserve di terz'ordine.
Ma in alcuni casi potrebbe essere anche peggio: né i dati sull'occupazione del BLS, né i numeri del PIL sono privi di pregiudizi sistematici dovuti al fatto che sono progettati e istituzionalizzati principalmente da economisti keynesiani pagati dal governo. Questi ultimi hanno equiparato la produzione economica e i posti di lavoro a ciò che il loro quadro di dati vuole misurare, anche se tali dati macro sono esclusivamente importanti per loro che armeggiano con i quadranti fiscali e monetari nel tentativo di migliorare il benessere economico superiore.
Di conseguenza i dati economici contemporanei non si preoccupano di vaste fasce dell'economia non monetizzata, tra cui il lavoro domestico, le attività self-service (ad esempio guidare, fare la spesa e tagliare l'erba da soli) e la cosiddetta economia sommersa lontana da esattori delle tasse, autorità di regolamentazione e forze dell'ordine.
Il problema, ovviamente, è che quando l'attività economica migra dall'economia informale e sommersa all'economia monetizzata, viene registrata come output, posti di lavoro e reddito aggiuntivi nei nostri conti keynesiani del lavoro e del PIL. In molti di questi casi non viene generato alcun nuovo output, o reddito; viene semplicemente registrato ufficialmente.
Ad esempio, tra il 2014 e il 2023 il numero di tassisti e autisti di limousine negli Stati Uniti è più che raddoppiato, passando da 131.800 a 264.600. Ma non crediate che l'attività e l'occupazione in questo settore siano effettivamente cresciute al tasso implicito dell'8,1% annuo. Ciò che è accaduto è che l'esplosione dei servizi Uber e Lyft ha spinto molti conducenti a lasciare le loro auto in garage e a utilizzare invece conducenti a noleggio, forse anche mentre giocavano ai videogiochi sui loro iPhone sul sedile posteriore.
Né questa illustrazione è una questione banale: il grafico qui sotto traccia un enorme movimento di attività domestiche non misurate che è migrato nell'economia monetizzata e conteggiata dal BLS sin dal picco di occupazione nella produzione di beni nel 1978.
In altre parole, il tasso di occupazione (linea viola) per la popolazione femminile in età lavorativa (25-54 anni) è salito dal 56,5% nel primo trimestre del 1978 al 75,4% nel secondo trimestre del 2024. Di conseguenza il lavoro di quasi un quinto della popolazione femminile in età lavorativa è passato dall'economia domestica non conteggiata all'economia monetizzata durante suddetto periodo di 46 anni. Tuttavia è ovvio che ciò non ha rappresentato una nuova produzione, o nuovi posti di lavoro, ma semplicemente la monetizzazione di ciò che era già presente.
Inoltre, in termini di conteggio dei posti di lavoro, questa migrazione dalla famiglia all'economia monetizzata non è stata irrilevante. Durante il periodo sopraccitato, il numero di donne impiegate in età lavorativa negli Stati Uniti è aumentato da 23,5 milioni nel primo trimestre del 1978 a 48,9 milioni nel secondo trimestre del 2024. Ma quasi la metà di tale aumento di 25,3 milioni è stato dovuto all'ascesa del tasso di occupazione femminile e quindi al conteggio di posti di lavoro che in precedenza non erano registrati.
Nell'ambito dell'economia statunitense nel suo complesso, questi 12,2 milioni di lavoratrici hanno rappresentato quasi il 20% dell'aumento complessivo dell'occupazione negli Stati Uniti, passata da 94,8 milioni nel primo trimestre del 1978 agli attuali 161,2 milioni.
Inutile dire che il monitoraggio di questa migrazione di produzione e posti di lavoro verso l'economia monetizzata non è stato semplice e lineare, come quando le casalinghe sono diventate cuoche nei ristoranti. In alcuni casi quelle donne storicamente impiegate in casa (o anche gli uomini, per quel che conta) sono diventate dottori che, a loro volta, hanno avuto bisogno di asili nido per prendersi cura dei propri figli e governanti per occuparsi delle pulizie e del bucato.
Se, quindi, si considerano le tre categorie occupazionali del BLS, strettamente correlate al lavoro domestico che è diventato monetizzato, la migrazione delle lavoratrici dall'economia domestica all'economia monetizzata è evidente.
Durante i 46 anni tra il 1978 e il secondo trimestre del 2024, l'occupazione totale negli Stati Uniti è cresciuta dell'1,16% all'anno, cosa che utilizziamo come proxy per il tasso di crescita dell'input del lavoro nell'economia complessiva. Tuttavia per le donne impiegate nei tre settori principali che hanno assorbito il lavoro domestico, i tassi di crescita sono stati molto più elevati.
Aumenti in 46 anni:
• Donne impiegate nel settore sanitario e nell'istruzione privata (linea rossa): +15,37 milioni di lavoratrici e crescita annua del 3,13%
• Donne impiegate nel settore ricreativo: +6,08 milioni di lavoratrici e crescita annua del 2,58%
• Donne impiegate in altri servizi: +2,17 milioni di lavoratrici e crescita annua del 2,54%
In breve, l'aumento delle donne impiegate in questi tre soli segmenti del mercato del lavoro è stato pari a 23,62 milioni nel periodo 1978-2024, rappresentando quindi quasi il 36% dell'aumento totale dell'occupazione segnalata dal BLS negli ultimi 46 anni. Tuttavia una parte molto sostanziale del precedente aumento non ha rappresentato né una nuova crescita economica, né nuovi posti di lavoro.
Invece rifletteva il radicale cambiamento nei costumi sociali durante suddetto periodo e nel ruolo delle donne nella vita economica, mentre si spostavano in tutti i segmenti della forza lavoro retribuita. Allo stesso tempo il settore domestico è diventato un nuovo e importante datore di lavoro per la manodopera retribuita presso ristoranti, lavanderie, asili nido, servizi di pulizia, agenzie di assistenza domiciliare, case di cura ecc. ciò che in precedenza era produzione e occupazione domestica non monetizzata.
Tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 54 anni e dipendenti nei settori ricreativo, assistenza sanitaria e istruzione privata e di altri serviziL'implicazione è semplice: i tanto sbandierati “dati in entrata” non sono tutto oro ciò che luccica. Infatti per visualizzare esattamente lo stato attuale dell'economia statunitense, è necessario notare un semplice set di dati: il confronto tra la crescita del debito federale sin dal quarto trimestre 2019 e il PIL nominale vi dirà tutto ciò che dovete sapere.
Variazione tra il quarto trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2024:
• Debito pubblico: +$11.630 miliardi
• PIL: +$6.750 miliardi
• Crescita del debito in % della crescita del PIL: 172%
Naturalmente gli apologeti ell'accoppiata Biden-Harris lasciano intendere che non c'è niente da vedere qui, o semplicemente l'ennesimo caso in cui Washington è al lavoro per aiutare la macroeconomia a procedere verso l'orizzonte felice.
Le cose non stanno affatto così. Durante il periodo di massimo splendore della prosperità americana tra il 1954 e il 1970, il debito pubblico è cresciuto di un misero 2,2% annuo in un periodo in cui il PIL nominale si espandeva del 6,5% annuo. Di conseguenza il debito pubblico aumentò solo al 16% rispetto all'aumento del PIL nominale, l'esatto opposto degli ultimi quattro anni.
Cambiamento tra il 1954 e il 1970:
• Debito pubblico: +$110,1 miliardi
• PIL: +$689,0 miliardi
• Crescita del debito in % della crescita del PIL: 16%
Né uno stimolo fiscale così tiepido significò che la crescita reale e gli standard di vita vacillavano. Nel periodo 1954-1970 le vendite finali reali crebbero del 3,75% annuo, o di quasi il doppio dell'aumento dell'1,93% annuo registrato nel secondo trimestre del 2020.
Ancora più impressionante è che durante il periodo di massimo splendore 1954-1970, la crescita del reddito familiare mediano reale superò di gran lunga gli ultimi quattro anni, come mostrato di seguito. Il reddito familiare mediano reale salì da $38.730 a $65.050 in dollari del 2023, ovvero del 3,29% annuo. Al contrario, il reddito familiare mediano reale di $101.700 registrato nel 2019 è sceso a $100.800 nel 2023.
Reddito familiare mediano reale, dal 1954 al 2024La stessa storia vale per quanto riguarda il debito pubblico e privato totale. Il debito totale salì da $558 miliardi nel 1954 a $1.648 miliardi nel 1970. L'aumento risultante di $1.098 miliardi fu solo di poco superiore all'aumento di $700 miliardi del PIL durante tale periodo.
Al contrario, durante i 4 anni e mezzo tra il quarto trimestre 2019 e il secondo trimestre 2024, il debito pubblico e privato totale è salito da $74.900 miliardi a $99.800 miliardi. L'incredibile aumento di quasi $25.000 miliardi ha superato di gran lunga la crescita di $6.800 miliardi del PIL nominale durante suddetto periodo.
In breve, non c'è nulla di organico, naturale, sostenibile o forte nei numeri del PIL attualmente pubblicati, nonostante tutte le vanterie dell'accoppiata Biden-Harris.
In realtà l'economia statunitense è artificialmente gonfiata e sostenuta dal debito a basso costo alimentato dalle banche centrali.
Non è vero e mai lo sarà che si possa spendere, prendere in prestito e stampare per raggiungere la prosperità economica. E la traballante economia dell'accoppiata Biden-Harris lo dimostra.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Ctrl+Alt+Regolamentare: il riavvio pericoloso della competizione tramite il DMA
Il Digital Markets Act (DMA) dell'Unione Europea rappresenta un tentativo maldestro di regolamentare i mercati digitali, resuscitando il paradigma obsoleto e profondamente imperfetto denominato Structure-Conduct-Performance (SCP). Questo saggio sostiene che l'approccio strutturale del DMA non è semplicemente inadatto alla natura dinamica dei mercati digitali, ma attivamente dannoso, minacciando di soffocare l'innovazione, impedire il progresso del mercato e, in ultima analisi, danneggiare gli stessi consumatori che pretende di proteggere.
Il paradigma SCP, che costituisce il fondamento del DMA, è una reliquia dell'economia industriale di metà XX secolo, tristemente inadeguata per comprendere gli ecosistemi digitali moderni. Questo framework postula ingenuamente che la struttura del mercato determina la condotta aziendale cosa che, a sua volta, influenza le prestazioni del mercato. Aggrappandosi a questo modello obsoleto, i regolatori dell'UE dimostrano una profonda incomprensione delle dinamiche dell'economia digitale.
La metodologia di base del DMA tradisce la sua profonda dipendenza dal paradigma SCP, in particolare nella sua ossessione per la struttura del mercato. Ciò è evidente nei suoi criteri per la designazione dei “gatekeeper”, i quali si basano principalmente su metriche strutturali quantitative come fatturato annuo, capitalizzazione di mercato e dimensione della base di utenti. Concentrandosi su questi elementi strutturali statici, il DMA fraintende la natura della concorrenza nei mercati digitali. Presuppone erroneamente che la relativa struttura del mercato sia il principale determinante del comportamento competitivo e dei risultati di mercato, ignorando i processi dinamici che guidano realmente l'innovazione e la concorrenza digitale.
Questa fissazione porta a un approccio normativo che è sia riduttivo che potenzialmente dannoso. Prendendo di mira le aziende in base alle loro dimensioni e alla loro posizione di mercato piuttosto che alla loro condotta effettiva, o ai risultati che producono, il DMA rischia di penalizzare il successo e l'efficienza. Crea una struttura di incentivi perversa in cui le aziende possono deliberatamente limitare la loro crescita, o innovazione, per evitare il controllo normativo. Inoltre questo approccio non riesce a tenere conto dei rapidi e spesso imprevedibili cambiamenti nei mercati digitali, dove l'attore dominante di oggi può rapidamente diventare la piattaforma obsoleta di domani. Le rigide soglie strutturali e le normative ex ante del DMA sono quindi destinate a essere perpetuamente disallineate con le realtà di mercato, ostacolando potenzialmente le dinamiche competitive che mirano a proteggere.
I mercati digitali sono caratterizzati da rapida innovazione, confini fluidi e costante interruzione. L'attenzione del DMA sugli elementi strutturali, come la designazione di “gatekeeper” in base a soglie quantitative arbitrarie, è simile all'uso di una meridiana per misurare i nanosecondi. Non è solo impreciso, ma assurdo. È davvero importante comprendere la concorrenza così com'è. Come disse Hayek: “Vorrei ora parlare della concorrenza come una procedura per scoprire fatti che, se tale procedura non esistesse, rimarrebbero sconosciuti o come minimo non verrebbero utilizzati”. Non un tipo di posizione o struttura statica.
Il DMA rappresenta un monumento all'eccesso normativo, costruito sulle fondamenta instabili del paradigma SCP. Le sue conseguenze saranno probabilmente gravi e di vasta portata:
- Strangolamento dell'innovazione: imponendo regole draconiane alle grandi piattaforme, il DMA soffocherà inevitabilmente l'innovazione. Le risorse che potrebbero alimentare le tecnologie di prossima generazione saranno invece sprecate in conformità normativa.
- Sabbie mobili normative: la natura ampia e prescrittiva del DMA crea un pantano di incertezza per le aziende. In questo contesto la stagnazione prudente diventa una strategia più sicura dell'innovazione audace.
- Disallineamento con la realtà: i criteri utilizzati per designare i gatekeeper sono strumenti rudimentali che non riescono a catturare le dinamiche competitive e sfumate dei mercati digitali. Questo disallineamento minaccia di distorcere gli incentivi di mercato e la concorrenza.
- Privazione del potere dei consumatori: nel loro zelo paternalistico, i regolatori dell'UE hanno trascurato il potere della scelta dei consumatori nel plasmare i mercati digitali. Il DMA presuppone implicitamente che i consumatori siano pedine indifese piuttosto che partecipanti attivi al mercato.
L'approccio strutturale del DMA tradisce un'arroganza tra i regolatori dell'UE: la convinzione di poter gestire in modo efficace il complesso ecosistema digitale in rapida evoluzione. Questa è una pericolosa illusione. Gli enti regolatori non hanno l'agilità, la competenza e la lungimiranza per supervisionare efficacemente tali ambienti dinamici.
L'implementazione del DMA sarà probabilmente un incubo burocratico, con i regolatori che saranno perennemente in ritardo rispetto alle realtà del mercato. È come se l'UE avesse deciso di regolamentare Internet tramite una commissione di operatori telegrafici.
I difetti dell'approccio strutturale del DMA diventano ancora più evidenti se visti attraverso la lente della Scuola Austriaca. Quest'ultima offre una prospettiva radicalmente diversa sui mercati e sulla concorrenza, la quale sfida il paradigma SCP alla base del DMA. Mentre il modello SCP vede la struttura del mercato come il principale determinante del comportamento aziendale e dei risultati di mercato, gli economisti Austriaci vedono il mercato come un ordine spontaneo che nasce naturalmente da azioni individuali senza controllo centrale. Questa prospettiva suggerisce che i tentativi di regolamentare i mercati attraverso leggi antitrust, come il DMA, fraintendono profondamente la natura organica e autoregolante dei sistemi economici, interrompendo quei processi di mercato benefici anziché migliorarli. Come scrisse Murray Rothbard in Man, Economy, and State:
Le leggi e le azioni penali antitrust, sebbene concepite per combattere il monopolio e promuovere la concorrenza, in realtà hanno l'effetto opposto, poiché penalizzano e reprimono coercitivamente forme efficienti di struttura e attività di mercato.Al centro della critica Austriaca c'è il concetto di concorrenza come procedura di scoperta dinamica piuttosto che come processo statico o concorrenza perfetta come implicato dal paradigma SCP. Questo processo consente agli attori di mercato di scoprire nuove informazioni, innovare e migliorare continuamente, il che è essenziale per un sano funzionamento dei mercati. Concentrandosi sulla conservazione di determinate strutture o sulla limitazione delle dimensioni delle aziende, gli interventi del DMA potrebbero soffocare questo processo di scoperta, danneggiando l'innovazione e il benessere dei consumatori. Inoltre l'enfasi Austriaca sulla natura soggettiva dei prezzi è in netto contrasto con le metriche oggettive utilizzate nell'analisi strutturale del DMA. Questa soggettività del valore suggerisce che le soglie quantitative e gli indicatori strutturali impiegati dal DMA potrebbero non riuscire a catturare le vere complessità e dinamiche dei mercati digitali, portando a interventi fuorvianti che faranno più male che bene. Come scrisse Ludwig von Mises in Human Action: “Il mercato non è un luogo, una cosa o un’entità collettiva [...]. Le forze che determinano lo stato in continuo cambiamento del mercato sono i giudizi di valore degli individui e le loro azioni, dirette da questi giudizi di valore”.
Il Digital Markets Act rappresenta una pericolosa rinascita dei difetti del paradigma SCP. È un tentativo maldestro di forzare il mondo dinamico e innovativo dei mercati digitali in un quadro normativo statico e obsoleto. Il DMA minaccia di sostituire la saggezza dei mercati con l'arroganza dei regolatori, soffocando potenzialmente l'innovazione e la competizione che afferma di promuovere.
Ciò di cui c'è bisogno non è una messa a punto di questo approccio imperfetto, ma un completo cambio di paradigma: un CTRL+ALT+CANC normativo. I policymaker devono riavviare la loro comprensione dei mercati digitali, abbandonando la comoda ma fuorviante semplicità del paradigma SCP. Devono abbracciare la natura complessa, incerta e dinamica della concorrenza digitale.
Il futuro dell'economia digitale è troppo importante per essere lasciato in balia di regolamentazioni fuorvianti basate su obsolete teorie economiche. È tempo di un riavvio del nostro approccio alla regolamentazione del mercato digitale. Altrimenti l'UE rischia di trasformare la sua economia digitale in una landa desolata, dove l'innovazione appassisce e i consumatori alla fine subiscono le conseguenze di interventi presumibilmente ben intenzionati ma profondamente dannosi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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