Oggi è la vigilia. Siamo al Trentuno. Giornata carica di Sole. Un pomeriggio dall'aria tagliente. Esco per un caffè ed entrando in un locale del posto, noto una tipa interessante seduta nell'angolo, lì - stranamente da sola, che legge, assorta.
Mai vista prima d'ora.
Non mi sembra sia della zona. Spio il libro che ha tra le mani. Di Lawrence. Già posso trarre qualche considerazione interessante. Alza gli occhi che incontrano i miei. Dura un secondo, più un famoso nanosecondo; quel nanosecondo che le donne ti dedicano, quasi fossero infastidite.
Lei torna a leggere, però noto che le pupille scorrono meno velocemente. "Già" - mi dico, comprendendo che oltre ad averla incuriosita, sta spostando i suoi pensieri verso il lato immaginativo della mente. "Bene". E torno strategicamente al mio caffé.
Rimanendo in disparte, la studio.
Occhi grandi, viso un po' imbronciato, a rivelare quel ché di timidezza che dice di una precisa sensibilità; qualcosa che ai miei occhi la rende più dolce di quel che vuole far credere. Ha un paio di stivaletti che le disegnano un'ottima curva delle caviglie. Vestita in modo comodo, con una maglia che sblusa sotto i fianchi, mani morbide, capelli raccolti solo in parte e senza impegno.
Mi giro di tre quarti verso di lei nascondendomi dietro la tazzina di caffè; così - diciamo per metterla nelle condizioni di esprimere qualcosa, di avere una reazione. Senza staccare gli occhi dal libro, si sposta i capelli liberando il collo alla mia vista. Le ricadono subito come prima. Si concentra meglio sul libro, ma, a questo atteggiamento, aggiunge un respiro più profondo. Vedo bene il suo profilo. Attacco bottone «Lawrence...» le dico giocando d’enfasi «... tra i pochi direi, che non vendeva menzogne spacciandole per emancipazione». Le sfugge un sorriso tirato, che subito ricompone di nascosto sotto quella corposa chioma castana. Sempre chinata sul libro, inclina di poco il capo. "Non sa che dire", penso - lo vedo bene: è indecisa. Però non teme di rivelarla quest'indecisione. In silenzio, mi sta parlando. Un'indecisione che condivide in modo tacito. Una cosa che capita poche volte e in modo così mirato tra due sconosciuti. Non ha prezzo. Trattengo un sospiro. Non dico nulla. Non ha ancora deciso se darmi corda, oppure no. Silenzio. Il silenzio che non vuole riempire vuoti, in cui cerchiamo noi stessi e non una logica. Cercare il senso che abbia un senso. «Sono sposata. Non se ne abbia. Riconosco certi modi. Nulla di male, però la chiudiamo qui» mi dice - quasi sbirciandomi.
Non dico niente e credo che non le sia sfuggito il mio sorriso sotto i baffi - a dirle che non m'incantava ...
... e mentre ci penso, ecco che alza lo sguardo e rivela come le sue parole siano state solo un rito cui si era costretta a sottostare. E adesso, solo pochi secondi dopo, come avesse riconquistato qualcosa del suo spirito, la ritrosità di prima - la trasforma in un viso birbante e si prende la briga di studiarmi meglio. Mi fa una radiografia impertinente e, giunta all'altezza delle spalle, dopo essersi divertita nei miei jeans strappati al ginocchio, ritorna in una timidezza che non desidera, ma a cui di nuovo vuole rendere conto. Ora sorride tornando alle sue pagine. Però un sorriso lontano da se stessa. Questa volta è un congedo.
Non c'è risposta da dare a una donna che nonostante sia interessata a Te, ti fa capire che non puoi andare oltre: - proprio per il fatto di essere interessata a Te! Questo il magnifico paradosso. Si può soltanto agire. Andare via in modo deciso per chi ti dice un "No" che non vorrebbe dire - è comunque AGIRE. Le altre opzioni posso valutarle, ma non mi interessano. Niente mezze misure nelle avventure.
Lascio un euro sul bancone e prendo verso la porta.
Sono fuori.
Faccio una decina di passi e in modo deciso mi avvicino alla macchina. «Sono stata una maleducata» mi sento dire a voce alta, con il tono di chi ti chiama: è lei. In questo momento sta tenendo con forza, e con una mano soltanto, la porta; di quelle pesanti con più vetro che altro, che hanno un richiamo meccanico per chiudersi da sole. Lei è lì - precisamente posta a metà, tra dentro e fuori il locale ... "Una metafora che dice tutto del momento" realizzo divertito. L'aria è gelida. «Fa freddo» mi dice. Mi gusto la scusa che ha voluto darsi per mettersi al riparo, e non dal freddo. Trovo sia dolcissima. Sta mettendosi alla prova, e non dev'essere poco per lei. «Beh ... io non sono sposato» ribatto sarcasticamente e "Niente mezze misure ..." mi ripeto in un mantra. «A me sta bene» risponde con fermezza ... «Venga dentro» mi dice - invitandomi con un cenno della testa, poi si sospende un attimo, e... «Prendiamo qualcosa insieme» aggiunge in uno sguardo gentile e timoroso allo stesso tempo.
La studio meglio... e così fa lei con me.
Ma rimango ancora fermo recitando una mirata indecisione.
"Se veramente è voluta tornare sui suoi passi" - cerco di convincermi - "Allora pretendo di più. Sta a me il gioco adesso". Il rischio che questa volta salti definitivamente l'opportunità, c'è tutto. Sta bene così. Yes! mi piace. E se dev'essere un'avventura, allora la voglio senza fronzoli. Recito sottilmente uno sguardo ironico, a dirle che la possibilità l'aveva avuta prima... e che adesso se la deve giocare meglio. Ed è a questo punto che lascia andare volutamente la porta che teneva con una mano. Questo fa sì che le si richiuda - sbattendole, e anche con una certa violenza, contro la spalla, al punto che la sbilancia sulle gambe. Non se ne cura. Con enfasi dispiega morbidamente le dita come una vela al vento, si sfila la fede che porta al dito e se la mette in tasca «L'aspetto» mi dice.
Ed entra nel locale.
«Cosa fa stasera?» mi chiede. Ora siamo seduti uno di fronte all'altra. «Possiamo darci del Tu» le dico subito. «No» mi fa lei. E si capisce che in quel "No" ... c'è una motivazione che vuole sfruttare in qualche modo. Mi sorride. «Due prosecchi» ordino senza darle a vedere che sto riflettendo sulla sua negazione. Prendo tempo. Poi, guardandola «Vanno bene i prosecchi?» sancisco in un'espressione dispettosa, avendoglielo chiesto dopo e non prima. «Sì, vanno bene» mi risponde in modo complice e nemico insieme: e ravviso per bene come sia consapevole che il non avermi concesso la confidenza del Tu le dà in qualche modo le redini del gioco.
Ci portano da bere.
Mi sorride furbescamente studiandomi le sopracciglia. Ne beve un sorso senza brindare e mi dice «Scommetto che vuole sapere perché non voglio darle del Tu, giusto?». «Sì» le rispondo spiando quegli zigomi alti e, guardandole le labbra, aggiungo «Più che giusto, direi. E penso che le piacerebbe spiegarmelo lei stessa, ma solo quando lo riterrà opportuno, dico bene?» ... e anche io, senza brindare, bevo un sorso. Lei posa il bicchiere, guarda quelle bollicine risalire divertite, cerca qualcosa nei pensieri. Poi lo riprende, come fosse un premio vinto per aver trovato quello che cercava nella sua stessa testa ... e, tenendolo all'altezza del nostro sguardo, con il mignolo ostentatamente distanziato dallo stelo del calice, sporgendosi in avanti - in un sussurro «Perché il LEI, è la distanza che mi serve per non saltarle addosso» e si beve un sorso. «E se dovesse accadere...» le inizio a chiedere facendo finta di non innamorarmi delle sue spalle eleganti e del suo sorriso «... dove le piacerebbe che accadesse?». «Non sono della zona...» mi dice, poi fa un respiro e, strizzando gli occhi nei miei « ... Diciamo che da ieri sono stanca di tutto. Mio marito ha una piccola baita in montagna, su - da queste parti, a un'oretta da qui: le sue origini, così le chiama; di quando era ragazzo. Ma noi adesso viviamo lontani. Sono partita stamattina presto. Senza pensarci sopra. Mi sono fermata a più di metà strada, forse mi sono pentita, non lo so; ero indecisa se ritornare a casa; forse sto sbagliando tutto. Stavo cercando la risposta per sapere se continuare e ho deciso di cercarla tra le pagine di un racconto, assurdo no? ... un libro importante per me, e mi sono detta che forse rileggendo qualche passaggio, mi avrebbe dato qualche segnale il destino ... e poi, voglio dire: guidare e leggere insieme direi che non è il massimo .... in un certo senso, beh ... il libro una risposta me l'ha data, lei è d'accordo?». «Però» le dico sinceramente intrigato e affascinato dalla sua storia «Sì, in effetti è così ....». Ma non mi dà tempo di continuare «... Non voglio sapere come si chiama» incalza velocemente «...non voglio sapere il suo nome» insiste sottolineando questa frase in uno sguardo curioso «Né voglio che lei mi chieda il mio di nome, ok?». «Va bene» le rispondo. Mi fa un cenno impercettibile di assenso e questa volta beve un sorso più deciso, per darsi coraggio. Trattiene un respiro e si ferma nei miei occhi. Quello che sta per dire ... oh ne sono certo ... è il punto di non ritorno. Si fa malinconica, ma una felicità lontana - ecco la raggiunge e le rapisce il viso. "... è così bella adesso" penso. Abbassa un attimo la testa, la rialza e, in un respiro, mi dice «Vuoi scoparmi?». «Mi stai dando del Tu?» le rispondo d'istinto, sorprendendo me stesso in un'ironia che non mi appartiene e contentissimo di aver trovato le parole più efficaci di un Sì qualunque. «Già. Ti sto dando del Tu. Visto?» prosegue ora con una nuova luce negli occhi «Ora non sei più una maschera per me. Ora non sono più un maschera per me stessa. Mi sono fermata in questo Bar perché non avevo il coraggio di andare avanti, ma neanche di tornare indietro. Avevo con me il libro che amo e poi ... poi sei arrivato Tu a parlarmi in qualche modo attraverso il libro stesso. Ora siamo io e Te. Non sai chi sono. Non so chi sei. Può essere pericoloso. Può essere qualsiasi cosa. Però è quello che è. Tu sei la mia storia senza maschere. Sono la tua storia senza maschere. Adesso mi alzo e vado alla macchina. Metterò in moto. Se entro un minuto uscirai da questo Bar e verrai verso di me, allora andremo via insieme, ma se non ti vedrò, me ne andrò. Adesso quella baita in montagna ha senso solo per noi due. Se ci andrò, sarà solo con Te, oppure significherà che dovrò tornare alla mia vita. In caso, addio» e si alza in modo deciso. Si allontana.
Sento il suo odore.
Non proferisco parola, non perché non ne trovassi qualcuna ma perché l'incanto e i sottesi delle cose straordinarie, hanno i loro riti. Mi giro e la osservo alla cassa mentre paga il conto. Non posso fare a meno di farmi un film in testa ... e mi vedo stasera e stanotte in un capodanno unico della mia vita. Non ci credo. Sono felice e non è per suggestione che la trovo così attraente. Così stupendamente inquieta. Quando esce dalla porta, non vuole girarsi: quello che doveva vedere, lo ha già visto, è decisa. Ci crede e io le credo. Se vuole rivedermi, vorrà rivedermi mentre sto andando da lei e per Lei. Passano dieci secondi. Ne ho ancora cinquanta. Qualcosa mi angoscia. Vado alla porta e appena metto la mano sulla maniglia, il riflesso del Sole non mi fa vedere attraverso i vetri. La porta non si apre «Ehi!» dico tra i denti «Ehi! la porta! ...è chiusa a chiave! che significa? devo uscire!» ...un nodo alla gola mi stringe. NO! Sento una macchina lì fuori mettersi in moto ... ma non vedo, non vedo bene! non riesco a distinguere bene le forme, il riflesso della luce è fortissimo. Non c'è più nessuno dietro al banco. Non m'importa di tutto il resto. Dannata porta! e che si spacchi pure! Ma la serratura non cede «EHI!!! EHI!!» ... vedo la sagoma di una macchina lì fuori muoversi e allontanarsi «EHI! sono qui!! ... EHI!!!» ...urlo URLO e mi sveglio, vorrei urlare ancora, ma così come un sogno diventa un incubo, la realtà non è da meno. Se urli nei sogni, nessuno nei sogni ti sente, e, allo stesso modo, urlare nella realtà è un incubo peggiore: perché tutti possono sentirti e nessuno potrà capire.
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Ciao Calvero, nel caso il tuo
Ciao Calvero,
nel caso il tuo articolo sia effettivamente ciò che sembra... Un'esercizio letterario, che da quel che so, mi pare rientri nei tuoi interessi/passioni, mi permetto una piccola critica da lettore.
Il racconto con sorpresa onirica finale, presenta, a mio avviso, alcune problematiche:
1. La parte narrata scorre bene tranne in alcuni punti dove si nota la tua ricerca di una prosa incisiva che rende un pò artefatto il tutto. Nulla di davvero problematico e so bene quanto sia importante per uno scrittore la ricerca della prosa adeguata e la paura di essere banale. Ma può capitare che si arrivi a strafare o ad essere troppo "plastici" se mi passi il termine. Comunque niente di chè, soltanto dettagli.
2. La parte che vedo invece problematica sono i dialoghi, specialmente quelli di lei, eccessivamente descrittivi e giustificativi che non si addicono al personaggio che hai delineato fin dall'inizio e che ammazzano il mistero e il fascino dell'incontro che ti sei preoccupato di creare con cura.
Troppe spiegazioni per il pubblico, in realtà non ce nè bisogno, la comunicazione doveva continuare a piccole frasi, poche parole ma cariche di significato. Purtroppo rendi incredibile di botto il racconto con l'uscita di lei: "Vuoi scoparmi?" Che è l'esempio di un pensiero maschile più che femminile. Non che le donne non lo pensino ovviamente, ma la donna "interessante" non arriva a scoprirsi a questo punto perchè non ha certo bisogno di scioccare per far colpo.
Arriva quindi il finale che doveva dare forza al tutto con il climax del risveglio, ma che viene disinnescato da tutta la prolissità del dialogo precedente e da quella frase a mio avviso completamente fuori sintonia con il racconto.
Ovviamente questi sono soltanto i miei proverbiali 2 cents, prendili per quello che valgono.
Mi permetto di segnalarti un breve racconto per certi versi molto simile, narrato secondo me con una certa maestria nel creare immagini cariche di significato con frasi molto azzeccate.
L'autore anche se decisamente brutale e per nulla elegante in alcuni passaggi (ma molto realistico nel dipingere quello che passa nella testa di un uomo), è invece molto bravo a creare una storiella che mentre si preoccupa di divertire, invita sempre a riflessioni mai banali sulla nostra realtà.
Credo noterai come ci siano dei passaggi in cui la prosa è geniale
https://bagniproeliator.it/mestre-200x/
Un caro amico si dedica alla scrittura
Ciao Calvero,
il racconto mi è piaciuto anche se devo ammettere che il finale l'ho fiutato...prima della fine :-)
Inoltre sono abbastanza d'accordo con Music-Band.
Mi permetto anch'io di consigliare un autore, tra l'altro caro amico e concittadino, che si occupa per lo più di poesia, ma di tanto in tanto si cimenta anche nella prosa. Un assaggio QUI.
Ciao ragazzi
Ciao Music, come stai? Un abbraccio, intanto :) ...
... grazie mille per l'impegno che ti sei preso a leggere, a commentare e a criticare.
Vai veramente tranquillo con me - che l'orgoglio, se mai me ne fosse rimasto, non è un problema in questi ambiti e anche in molti altri. Mi scaldo e m'incazzo, e ne ho anche miriade di esempi (Così nella realtà così come nei forum, che non sono diverso nella vita quotidiana) ma solo quando percpisco allusioni, malizie e la maledetta dialettica disonesta. Ci tengo a dirlo questo, per amor di discussione. Non certo per parlare di me.
In realtà non mi aspettavo neanche che qualcuno mi rispondesse, addirittura - mi criticasse! ... figata! ... quindi per me - è - a prescindere, una piacevole sorpresa che, ti dirò, gradisco e ne faccio inaspettatamente tesoro.
Quindi mi è doveroso spiegare un po' l'antefatto di questo scritto e ti dirò volentieri dove sono d'accordo con Te, che poi vale per la maggioranza delle tue considerazioni; e dove trovo che c'è una distanza "tra noi" che riguarda la consapevolezza e, questo il bello, non posso dire che non sarei d'accordo, poiché in realtà dipende dalla prospettiva e dal proprio bagaglio personale.
Minimamente voleva essere un testo che avvicinasse l'idea di un racconto breve, in qualsivoglia forma. Così come minimamente volevo che la questione del sogno, si prestasse al concetto di "colpo di scena" o "sorpresa". E provo a spiegarmi. Sono certo che se provi a intendere come ho voluto dire le cose, avrai un'altra esperienza. Anche al di là di certi miei errori, che comunque rimangono.
La cosa è nata per gioco e si basa su mie esperienze e concetti - chiamiamoli "filosofici", ma quello che volevo dire, sono certo di averlo detto, anche se malamente o forse dovutamente nascosto.
Nel momento che si realizza che di "sogno/incubo" trattavasi, converrai con me, che il "cosa direbbe o non direbbe una donna in certi contesti" - già non è più sensato considerarlo alla stregua di un racconto che invece avrebbe sostenuto cose reali. La storia è nella mente del protagonista. La razionalità è sostituita dall'ansia e da desideri amplificati. Da visioni "di Te e di una Controparte" che si esprimono attraverso misure manichee e asciutte, per nulla accompagnate; i momenti in cui un dialogo (che in realtà è un soliloquio della coscienza), dicevamo, quando un "dialogo" si fa più profondo, ecco che le considerazioni toccano l'abisso delle tue aspettative, delle tue angosce e delle tue speranze insieme; di ciò che vorresti trascendesse e poi, come nei sogni si "vive": le cose cozzano "qui e là" con dialoghi che di colpo sono infantili e poco attinenti la quotidianità. Ma per questo, così la penso, sono "dialoghi" più veri, più onesti. Così come l'impressionismo in pittura in un qualche modo riflette. Pensaci. Parla meglio della realtà un Van Gogh (sempre a mio avviso) che un Canaletto.
Diciamo o credo che tu ti sia un po' autoingannato con il concetto di plausibilità, visto che tu stesso, hai fatto una disamina, che in certi punti, non era allineata alla logica del concetto che alla fine dava il reale senso alla visione. Quindi se è stato un sogno, non possiamo più applicare logiche di palusibilità. Ecco che se, come hai rilevato, una donna "non parlerebbe così" ... è perché non è lei che sta parlando, ma, appunto, per onestà intellettuale, sono io che sto parlando. Solo che lo scopri alla fine. Quindi l'autore è coerente. Nei sogni non ti interessa rispettare la realtà, ma vuoi adattarla alla tua soggettività. Quanto questa soggettività sia distorta o sana o impaurita o felice o meno, è un altro discorso...
... di cui, però, lascio un discorso sulla sessualità alla fine dell'intervento e lo mettiamo sotto il nome di "curiosità"
Detto ciò:
Il resto delle critiche che mi hai sollevato, sul linguaggio letterario in sé, me le prendo tutte, dico sul serio. Le lacune/mancanze che rilevi, ci sono - eccome. Non solo le tue critiche sono pertinenti, ma sono anche mature e le ho trovate utilissime. Quindi, grazie E queste Sì che le utilizzerò e ne farò tesoro per quello che veramente si intende come scrittura - nel libro che sto scrivendo.
Per fortuna, in questo caso invece, mi salvo per il rotto della cuffia, poiché la mia intenzione era - ed è - quella di voler portare un discorso "filosofico" banalmente celato. Il concetto, non so se ci hai pensato, in realtà è nel linguaggio in codice che ho "criptato" alla luce del Sole, e cioè "di e su" Laurence ...
... dedicato a chi conosce un po' questo autore, e che trarrà qualche riflessione valida, a mio avviso, e importante; e forse riesce a entrare in un altro piano della lettura. Che è quello a cui tenevo.
E ADESSO LA COSA CURIOSA:
Su una cosa soltanto, in senso oggettivo, direi che non stanno come dici Te, le cose. Per quanto, come detto, la natura di un sogno di un autore che vuole rivelarlo tale solo alla fine del racconto, e che quindi non può viaggiare "pari pari" alla realtà e a ciò che noi riteniamo giustamente plausibile ...
... ebbene, devo dirti che quelle donne esistono.
Il punto è interessante, dico davvero. Perché non è la prima volta che mi scontro sulla natura femminile nei discorsi, e siccome non siamo bambini e tutti hanno fatto le loro esperienze, posso parlare in modo abbastanza diretto, ma solo per non essere realmente prolisso e ti dico a quali conclusioni sono arrivato. Tutti i maschi non sono uguali, e "fin qui" (uno dirà: sai che scoperta dell'acqua calda), e invece è proprio una cosa che troppi danno per scontata; ci sono maschi che scatenano la "ragione animale" della donna in modo diretto e assolutamente sganciato dalle logiche femminili più comunemente conosciute. E tanto più il maschio appartiene a quella categoria, tanto più ci sarà una "rottura psicologica" nel gioco - e per conto - delle regole dell'attrazione.
Quindi diciamo, che in linea generale, posso condividere la tua osservazione su come una donna non si comporterebbe, e soprattutto per come la cosa andrebbe "guidata" nell'esercizio della scrittura/racconto; ma non corrisponde affatto ai fatti. Scusa il gioco di parole.
E queste peculiarità non è che siano poi così positive [ per il maschio ] come di primo acchito potrebbero apparire. Perché: - tanto più la donna si lascia andare (come mi è capitato) in modi chiamiamoli - "maschili" (ma non è una questione maschile), come appunto nel dialogo che ho scritto; tanto più sarà lontana dal volerti considerare in modo più approfondito.
Accade eccome, e diciamo che il sentirsi chiedere "Vuoi scoparmi?", potrebbe anche essere un eufemismo.
Ciao Luxio
Ciao Calvero,
il racconto mi è piaciuto anche se devo ammettere che il finale l'ho fiutato...prima della fine :-)
Ciao Luxio, grazie, mi fa piacere.
E ci mancherebbe. Ho risposto a lui, così in realtà in qualche modo rispondo anche a Te
Mi permetto anch'io di consigliare un autore, tra l'altro caro amico e concittadino, che si occupa per lo più di poesia, ma di tanto in tanto si cimenta anche nella prosa. Un assaggio QUI.
Andrò a leggerli, così il tuo, così quello di Music
Grazie ancora per l'interessamento, ho apprezzato molto
Ciao Calvero, fa piacere
Ciao Calvero, fa piacere anche a me risentirti :-)
La tua volontà di rispondere con tutte le argomentazioni del caso a difesa del tuo scritto ti fa onore; nel senso che è così che un autore deve rapportarsi con il suo lavoro. Sembra scontato ma in realtà conosco abbastanza autori da sapere che non tutti lo fanno.
Ora mi "obblighi" a rispondere in modo adeguato :-)
Scherzi a parte, ti risponderò attingendo alla mia esperienza lavorativa nella speranza che questo ti possa essere d'aiuto.
Ho riassunto qui per sommi capi la prima parte della tua risposta; c'è una cosa che è fondamentale sapere nella narrativa (che poi è una regola aurea anche del cinema): non è assolutamente importante che tu sia "plausibile", un film ad esempio non lo è quasi mai. Ma devi essere "credibile". E' una differenza fondamentale perchè ovviamente se il pubblico non può credere a quello che sta leggendo/vedendo, la tua opera ha fallito e non lascerà nulla se non un senso di rifiuto.
Quindi non importa se "alla fine" io scopro che era un sogno. Questo non mi fa dire: "ah allora la donna poteva parlare così". Se nel momento in cui parla così io non posso crederci, non crederò più a tutto quello che segue e il racconto è ormai compromesso.
Detto questo, ora bisogna spiegare perchè non risulti credibile.
Facciamo un piccolo esempio: se mi cali in un contesto surreale, ipotesi: "un coniglio in frac mi apre la porta del bar"... Allora sto entrando in un mondo dove sono disposto ad accettare una donna che mi guarda e mi dice: "Vuoi Scoparmi?"
Oppure: Non voglio mostrare le mie carte, quindi niente elementi surreali, però sposto la location e invece del bar ambiento il tutto in una discoteca. Chi frequenta le discoteche? Molti single che si sentono soli e hanno bisogno di compagnia; inoltre, per la natura del locale, anche gente disposta ad essere aggressiva. Ecco che una donna che ti dice in faccia "Vuoi scoparmi?" in quel contesto diventa immediatamente più credibile.
Il problema del tuo racconto è tutto ciò che prepari "prima" di arrivare a quella frase: l'incontro con la donna che evita di guardare, poi si scopre il collo; tutto il gioco silenzioso che ci costruisci sopra, quello che pensi di intuire di lei: "...a rivelare quel ché di timidezza che dice di una precisa sensibilità..." il libro di Lawrence, i silenzi, il: "sono sposata, non se ne abbia a male" Etc.
Tu costruisci un tipo personaggio che improvvisamente non rendi più credibile. Ora ti dico il perchè:
Tu non hai "scritto" il tuo personaggio "prima" di scrivere il racconto... Lo hai fatto "durante".
Un'altra regola aurea della narrativa esige che tu, prima di iniziare il racconto, scriva delle schede biografiche dei personaggi: devi dare un background, una vita ai tuoi personaggi. Chi è la donna? Dove è nata, come è vissuta, le sue esperienze, il suo lavoro, i suoi amori, etc.
Anche se poi tutto questo non finirà mai nel tuo racconto, renderà però il tuo personaggio "credibile". Perchè tu, conoscendolo a fondo, trasmetterai nel modo di farlo parlare e agire, anche le sue motivazioni, cosa che il lettore percepisce. Viceversa, se tu stesso non sai nulla del tuo personaggio e te lo inventi strada facendo, è estremamente probabile che risulterà "non credibile" perchè trasmetterai questa tua mancanza di conoscenza nel lettore. Questo posso dire che è stato il più grande insegnamento che ho ricevuto dal mio maestro e mentore quando passava sotto analisi i miei testi.
Quindi, come dici alla fine: "Quelle donne esistono"
certo che esistono, ma sta a te come autore fare in modo di renderla credibile nel racconto, che sia un sogno o meno.
Il problema è che sono d'accordo
Essere o non essere.
Questo il problema.
L'ulteriore analisi che proponi è valida.
E mi è piaciuta molto.
E non lo sostengo per ammorbidire e/o indorare una mia reazione.
Posso dirti, e si riconosce dalle tue parole, che quanto dici scaturisce dal bagaglio che ti porti dietro e che sai il cosiddetto "fatto tuo", insomma, hai ben chiaro quali sono e siano le realtà editoriali "del mondo della rappresentazione"....
... e così parafrasiamo pure un grande filosofo
E anche il parallelo cinematografico, è ben allineato alla questione.
Il punto qual'è - Music?
Avere successo?
Far sì che una cosa funzioni?
Scrivere bene?
Lasciare un'opera o lasciare un segnale?
E il sapere comune di oggi, interagisce - come? - con le realtà letterarie, a che prezzo?
La gente sa cosa significa Joyce?
... e, di conseguenza, la domanda seguente è (e che ti faccio) codesta: - ciò che funziona, corrisponde a ciò che deve essere detto oggi?
Provo a spiegarmi però non sono così bravo.
Leggo molto. Anzi, mettiamola così, non ho mai letto in vita mia, ho solo e sempre studiato tutto. Anche se apro una pagina di Novella 2000 in una sala d'attesa di un dentista, la studio. Non riesco a far muovere le pupille "aggratis" ... e/o per intrattenerle un tanto al kilo.
Studio.
Romanzi, saggistica, filosofia, biografie, li leggo e li rileggo e li ririleggo. Leggo per lasciarmi rapire e poi per capire come siano riusciti a rapirmi. Ho letto anche quelli che non mi piacciono, proprio per sfondare ogni mio possibile preconcetto. E sai cosa ho capito?
... che più un libro funzionava nella sua struttura di "accalappiare" me quale lettore; e più mi lasciava indifferente. Però lo capivo dopo. All'inzio ti fa dire "Che figata!" e poi, nulla che abbia avuto un'anima. Ho letto gli autori più blasonati, i grandi classici e i più controversi. I moderni, i post moderni, i "flussi di coscienza", le poesie, i thriller, le trilogie, le favole ... anche le canzoni le studio e le leggo - pure senza la musica, oltre che con la musica...
... e spero mi perdonerai questa ostentazione "personale", ma è l'unico modo per dirti chiaramente che intuisco cosa stai dicendo.
La questione si divide in due:
1) quanto "un Calvero" abbia delle qualità secondo ciò che crede e, quanto queste ipotetiche qualità, se vi fossero, riescano a esprimere un modello che sia un "non modello";
2) quanto i principi in sé della scrittura e il modello stesso che la rispecchia (anche da secoli), siano validi o da rideterminare, di là degli autori e dei loro stessi intenti.
Mi sono letto un romanzo ultimamente che oeserei dire essere PERFETTO, non riuscivo a staccare gli occhi e ammiravo sinceramente la capacità di saper esprimere con semplicità e allo stesso tempo con arguzia ed eleganza, una storia su molti livelli emotivi, sia drammatici che d'azione. Ebbene, come penso immaginerai che ti dirò, arrivato al finale, che mi ha colpito e commosso ...
... ho capito che ero stato preda di un preciso protocollo psicologico per irretire il pubblico. Tanto quello medio-mongolo, che è la maggioranza; tanto quello che potremmo definire di buon livello se non dotto.
Ogni libro (sto generalizzando, ma è questo il punto) è un copia-incolla di quell'altro. Trucchi illusionistici.
Non tutti. Ma è il senso dell'editoria e di come funziona.
Quindi ecco che la questione "credibilità", ed è questo che sostengo, credo sia tale in ragione di una sorta di "Grande menzogna" e di un paradigma che si è cristallizzato in qualche modo distorto nel tempo e tutt'ora detta nell'anima della gente cosa ha senso e cosa no. Ma è un non-senso.
Hai parlato di cinema. Bene.
Hai mai visto i film di P.T. Anderson? Ubriaco d'amore, The master, Vizio di forma, li hai visti? (non è in tono accusatorio, sia mai) ...
Ecco, lì non c'è la regola aurea di cui parliamo. Infatti sono film che non sfondano e anche dove qualcuno li apprezza, lo fa perché si accoda a una critica intellettualoide, così "fa figo", oppure, siccome ci sono star hollywoodiane, allora sprecano i soldi del biglietto, perché se non ci fossero stati certi nomi altisonanti, non sarebbero neanche considerati dalla nicchia. Eppure lì, in Anderson ad esempio, vedo quello che voglio vedere, cioè quello che è realmente l'autore, e cioè un messaggio che non vuole essere credibile - o meglio, VUOLE essere credibile, certo, ma non c'è volontà a ingraziarsi il pubblico che, tradotto, significa...
... sono sganciato dal paradigma, poiché ogni paradigma è comunque un falso paradigma.
La questione divertente (e che non posso assolutamente comprovare), è che se per una serie fortunata di eventi, le tendenze venissero sconvolte, si comprenderebbe che è proprio la credibilità che non esiste nella realtà. Siamo cortocircuitati in un sistema maledetto, in un LOOP di BIAS DI CONFERMA più contorto che mai e confondiamo tutto con tutto ...
... e non è così, perché la realtà in qualche modo, siamo riusciti a confonderla con la rappresentazione...
... perché nella realtà, quando si innescano processi tragressivi, proprio in ragione di essere realmente tali, allora sono distruttivi e degradanti, senza pietà alcuna - e mi dice che è proprio la donna in discoteca che chiede di essere scopata, a essere finta - e non m'interessa raccontarla; che oggi siamo arrivati al punto di dover accodarci in una sorta di auto-censura sulle nostre esperienze e ispirazioni in modo inconscio, anche senza volerlo, e accomodare la realtà a ciò che - purtroppo - funziona ...
... è il paradosso .... e così la penso e così la vedo ...
... ma a me non interessa che funzioni, se non secondo una precisa e trascendente coerenza di spirito; primo - ad esempio, per il mio bagaglio appunto di esperienze, che proprio mi hanno portato a sperimentare le situazioni più contraddittorie a sono tutte "anti-editoriali", dove la donna, quella che non è la solita baldracca, e proprio perché è più femmina e matura, esplode dove il contesto lo vedrebbe improbabile e s'innesca un processo di dissacrazione, morale e culturale - ove la libidine diviene mezzo e non è più il fine.
Quindi, mi faccio una domanda: - secondo quale processo di rappresentazione dovrei mascherare questa realtà per conquistare il pubblico e scrivere qualcosa che funzioni?
Ecco, non mi pongo nemmeno il problema. Scrivo e basta. Tutto qui.
Ma prima che io passi per saputello e l'analista "de noantri", spiego anche questa cosa.
Con DUE ragionamenti veloci. Il primo teorico e il secondo, con cognizione di causa.
Prima quello teorico:
1) Sono ben conscio che siamo sul Portico Dipinto e che se è stato letto quel che ho scritto è perché siamo tra amici e ci vogliamo comunque bene. C'è un rapporto particolare tra noi, che certo non rappresenta la realtà lì fuori. E che insomma, se ti fosse passato sotto le mani per caso, non ci avresti dedicato certo l'interesse che hai mostrato. Probabilmente neanche lo avresti finito di leggere o a malapena - giusto per vedere "come va a finire 'sta roba" ... e questo perché appunto le lacune che ravvisi, ci sono eccome, e la struttura non è solida. Per dire cosa quindi? Per dire che in realtà, questa discussione si è piacevolmente spostata oltre, e il mio racconto ora lo vedo come un pretesto e "un appoggio storto" per argomentare di scrittura e dei principi della medesima;
Cognizione di causa:
2) Un libro l'ho scritto e non mi faccio pubblicità, è in vendita ... in sordina. Non riesco neanche a rileggerlo, perché m'infastidisce a volte. C'è chi non riesce ad andare oltre le prime dieci pagine, chi dice "Vabbé, sarà... boh", chi si scandalizza, ma qual'è il punto? Il punto è la soddisfazione, e non quella di vederlo pubblicato, capirai cosa ci vuole oggi per farlo; no, il punto è la soddisfazione di sapere se "TU" (cioè io) hai avuto o meno il coraggio di essere TU a scriverlo veramente - e un giorno ho avuto la prova, ed è questa la cosa che mi ha gratificato, un ragazzo (un uomo) in una critica - via messaggio - mi ha scritto che: - per lui leggerlo, è stato come navigare nel petrolio e distendere le vele verso qualcosa che ti chiama a ... eccetera... beh, ecco, quel che doveva essere compiuto si è compiuto ....
... questo per me significa che una cosa funziona. Un libro pieno di errori, di cose che non funzionano, e non vuole nemmeno essere anti-conformista, che pure quella è una moda del cazzo, un libro sbagliato. Perché è come me. Come sono realmente gli uomini: sbagliati e che non funzionano. Questo il paradigma che m'interessa.
Ovviamente uno come me potrebbe sostenere queste cose per mascherare la sua inettitudine e incapacità. Può essere. Tant'è. Ahimé, non posso provare il contrario - né altro.
E anche il paragone di prima con il regista Anderson, non voleva essere qualitativo con me: ultimo pirla che non so neanche dove sto. Era - ed è - solo un paragone di principio, e con le debite proporzioni, ovviamente.
Allora... Premesso che: nel
Allora...
Premesso che: nel momento in cui dici: "questa è la mia opera e la ho voluta così", si chiude il discorso. Bella o brutta, corretta o non corretta etc. Non ci sono considerazioni da fare di alcun tipo; è la tua opera, punto.
La mia critica resta valida soltanto nella misura in cui può essere di tuo interesse sapere se il prodotto della tua fantasia funziona come storia di fiction, può avere un mercato, o semplicemente un pubblico, valutare insomma il tuo cimentarti come autore di narrativa.
Io ad esempio, quando mi metto al lavoro, scrivo una storia che mi piacerebbe leggere; deve piacere a me prima. Poi ovviamente spero piaccia anche al pubblico. Ma chiaramente ci sono persone a cui non frega nulla: scrivono per sè stessi e basta.
Quindi se mi dici che scrivendo colmi un tuo bisogno e non hai alcun altro interesse, tanto meno quello di piacere, ti dico OK. Posizione rispettabilissima.
E' inevitabile per me, se parliamo di "storie", vedere la cosa in modo analitico trattandosi del mio lavoro.
Cerco quindi di rispondere fatte le doverose premesse ad alcune tue considerazioni:
Tutto il discorso che hai fatto, tirando in ballo anche Paul T. Anderson (che comunque è un regista che conosce le regole della narrativa e le utilizza), è accettabile in quanto è giusto affermare la volontà di essere sè stessi.
Non ti vuoi conformare? Bello
Nel casu tu voglia superare gli schemi però (se questo è ciò che ti interessa), lasciati dire che prima li devi conoscere.
Picasso ha raggiunto il suo personalissimo tratto in cui molti vedono scarabocchi, soltanto dopo aver imparato a disegnare secondo le regole: prospettiva, figura umana etc.
Superi i limiti e cambi le regole dopo che le conosci e le sai utilizzare.
Se ti capita ad esempio di leggere Brodsky, vedrai che non segue certo le regole classiche della narrativa; "Fondamenta degli Incurabili" che è un capolavoro sembra un insieme di episodi slegati l'uno dall'altro e hai l'impressione che non ci sia un filo da seguire. Ma ciò che scrive ha una forza tale che stai mesi a riflettere su quello che hai letto.
Questo per dire che non è certo necessario mettere insieme le 10 regole auree del racconto perfetto per realizzare un'opera di valore; anzi molti di quelli che la pensano così rimangono a un livello di mediocrità imbarazzante (vedi hollywood).
Però è un bene conoscerle, è un bene cimentarsi con esse e capire come funziona un'opera di narrativa per oltrepassare lo schema e sviluppare un proprio stile.
Jimi Hendrix suonava le canzoni degli altri, faceva le scale, insomma sapeva suonare e poi ha inventato il suo metodo e il suo stile assolutamente personale. Non è che è arrivato lì, ha buttato benzina su una chitarra e ha detto: sono Jimi Hendrix. Poteva farlo ma non se lo sarebbe filato nessuno.
Ma ovviamente si ricade sempre sul: cosa ci interessa.
Ecco, prendi la mia critica per quello che è: ho visto un pezzo di narrativa e ho voluto commentarlo come storia che hai voluto donare al tuo pubblico.
Non mi permetterei mai di considerarti presuntuoso o di dire che vuoi soltanto nascondere la tua inettitudine nel momento in cui affermi che ciò che ho letto è esattamente ciò che volevi scrivere, nè più nè meno.
Prendo semplicemente atto; in fondo mica mi hai chiesto cosa ne pensassi :-)
il nodo
Allora...
Premesso che: nel momento in cui dici: "questa è la mia opera e la ho voluta così", si chiude il discorso. Bella o brutta, corretta o non corretta etc. Non ci sono considerazioni da fare di alcun tipo; è la tua opera, punto.
Ma no, non è questo il punto.
Un puntello l'avevamo messo e l'ho fatto notare. Ed è anche logico.
Facciamo un passo indietro, se no sembra che ci giro in torno, riquoto i tuoi passaggi su cui, appunto, non ho nulla da eccepire, e corroborano che non è questione di " ... è la mia opera e l'ho voluta così", seleziono i concetti che riconosco senza se e senza ma:
MUSIC:
Ma può capitare che si arrivi a strafare o ad essere troppo "plastici" se mi passi il termine.
specialmente quelli di lei, eccessivamente descrittivi e giustificativi
Troppe spiegazioni per il pubblico, in realtà non ce nè bisogno, la comunicazione doveva continuare a piccole frasi, poche parole ma cariche di significato.
Caspita! Non mi sembra poco eh, sono evidenze e riprensioni crucialissime in un racconto; che tu hai rilevato sbagliate e io l'ho riconosciuto senza riserve; e ti dico che ne scrivessi un altro simile di racconto, sicuramente metterò in pratica i consigli che mi hai dato.
Quello invece che io non ti ho riconosciuto e non ti riconosco, si riferisce al momento che se si parla di un sogno, allora ... tu mi ribadisci così:
MUSIC
Ecco, qui prendo le distanze. Non sono più d'accordo, e il discorso che ho fatto prima l'hai svilito nella sua essenza, portandolo da un'altra parte. Nulla di male. Stiamo cercando di capirci. Però non è la mia posizione, mi spiace.
Per me non è così e spiego anche perché non posso essere d'accordo e anche s'un piano logico.
Dovresti spiegarmi perché un sogno dev'essere credibile; per ingraziarmi il pubblico? e perché, di grazia?
Non c'è un motivo di "buona letteratura", ma di "Valido marketing". Sticazzi. Ma non m'interesa confondere queste due cose.
Perché altrimenti non ha successo un libro? Ma ci sta, e però c'è sempre una misura e un equilibrio; oltre un certo equilibrio, chi se ne frega, Music. L'integrità intellettuale non la svendo. Magari mi sbaglio, ma finché la reputo tale, la difendo.
Quindi, ricapitolando: - dal non interessarmi a questa concezione, che io trovo assolutamente disonesta, al farla passare nell'idea che io "La mia opera la voglio così e basta" ... eh no, non è vero. Perché mi metti in bocca concetti o idee e schemi che non mi riguardano.
Non sta in piedi il discorso che fai di Anderson, che conosco come le mie tasche: - ci sono momenti nei suoi film (e anche crucialissimi e importantissimi) che rimangono campati in aria "AD CAZZUM" (senza se e senza ma, a essere gentili) .... sospesi nel "vuoto cosmico delle sue intenzioni", e che ci vorrebbe la sfera di cristallo per averne una misura; passaggi e costrutti artistici senza un perché e senza tutte quelle premesse e regole auree che dovrebbero ingrazziare uno spettatore, o rispettare un certo Verbo/linguaggio cinematografico, e sono obiettivamente sbagliati e continuano ad esserlo, sono fastidiosi addirittura ...
... ma allora, perchè funziona un suo film? ... perché comunque la carica emotiva e il pathos che generano altri passaggi colpiscono l'inconscio con una carica emotiva che viaggia su frequenze sottese...
E perché? certi film di Bergman? - che se un viene preso alla sprovvista, pensa sia qualcuno che si è fatto di LSD ...
.. e va al di là di concetto di "Surreale" perché non è surreale.
Per inciso. Quello da cui è partito Anderson, attenzione, non è proprio dall'ABC del cinema, ma neanche per il piffero. Anderson è partito trascendendo ed evolvendo soprattutto ALTMAN e Rober D. Senior ... e non ha fatto un percorso chi sa quanto "in crescendo" - "alla Picasso".
La cosa è assai soggettiva.
Prendi il cinema orientale, ad esempio. Non quelli commerciali che sono già occidentalizzati. Seguono un percorso estetico così come esteticamente percepiscono diversamente la vita da noi. Non logico: non con la "santa trinità" del processo di identificazione, problema da risolvere, catarsi ed epilogo. Per certi loro film, sbatteremmo la testa sul muro, che se non liberi la mente da tutti i retaggi cui siamo influenzati, apposto siamo. Ma poi piano piano, inizi a capirli e ad apprezzarli.
Per dire cosa? Per dire non certo del cinema orientale, ma per dire che è il rischio di fossilizzare valide ispirazioni, quello che non mi piace. E accade. E sono contro quest'ideale.
E va bene, ci mancherebbe, Music. Ma infatti ti avevo fatto delle domande in tal senso, per capire cosa vogliamo, e non per parlare precisamente e solo del mio scritto. E avevo dato delle risposte in tal senso. Non vedo perché il non accettare certe logiche, debba corrispondere in qualche modo al "Faccio quello che voglio io e non m'interessa cosa pensino gli altri" ...
... ho fatto un discorso profondo e magari è palloso e l'ho spiegato male, ma sta a dire qualcosa di importante. Anche filosoficamente.
Rinbadisco, e lo ribadisco perché è un punto fermo, il punto cui obietto è soltanto uno - e lo trovo contraddittorio o incongruente che dir si voglia.
Se il mio racconto persegue la logica di un sogno, perché dovrei mentire per renderlo commerciale e/o funzionale al lettore?
Ma lasciamo perdere anche il discorso sulla sessualità. Senza incasinare le cose. E mettiamo pure che le donne MAI e POI MAI - direbbero in quella situazione e in quell'atmosfera che ho creato "Vuoi scoparmi?" ...
... ma nel momento che non glielo farei dire, sarei disonesto. Perché nei sogni la realtà si piega al tuo ego, sia esso frustrato o carico di autostima (e non è ovviamente il punto) ma tanto consta... il tuo incosncio costruisce schemi inusuali ...
... ed è questo che m'interessa ed è questo che non mi piace vedere nei film, nei libri, e nelle serie televisive.
... ed è qui che trovo falso l'approccio di cui mi parli.
Di là delle altre lacune di cui sopra, se io avessi scritto diversamente, avrei snaturato il senso. Il lettore invece ... che vinca la pigrizia e si vada a studiare Lawrence, ci mettesse pure sei mesi, affari suoi. Non m'interessa. Perché questo è il punto. Questo è il pensiero espresso dall'autore.
Perché quel passaggio in cui dice "vuoi scoparmi?" potrà mettere a rischio quanto vuole la credibilità del racconto, ma arrivati in fondo - è lì che puoi valutare la credibilità, non prima. Il punto è che se il lettore ne rimane deluso, affari suoi - perché è un problema suo e non dell'onestà del racconto; io dico che il lettore - per primo - deve uscire da determinati schemi. Perché il Climax - nel mio caso - non è il rivelarsi del sogno, ma il discorso che fa lei alla fine. Prolisso, migliorabile, non è un problema, ma quello è il senso e la profondità. Una profondità che solo così può essere messa in gioco. Non altrimenti.
E se uno mi obiettasse "Allora perché non l'hai detto subito che di sogno trattavasi?".
C'è il perché assoluto. C'è un motivo logico ed è quello che l'autore, nel sogno non sa che sta sognando. E deve mettere in "transfert" il suo inconscio. Ed è anche per questo che ho usato la prima persona e il tempo presente.
Non devo invogliare il lettore. Mai. Questa è la mia posizione intellettuale e la difendo.
Prendo semplicemente atto; in fondo mica mi hai chiesto cosa ne pensassi :-)
Ma va benissimo.
Metto sempre le mani avanti, Music, perché in realtà non è solo con Te che parlo.
Per capirci: stessimo discutendo in PM - non userei molte premesse che qui uso e lo faccio quasi sempre. E andrei sempre e subito al sodo.
Temo si sia creata un pò di
Temo si sia creata un pò di confusione...
Forse è meglio se lasciamo perdere i paralleli con il cinema; per evidenziare la costruzione di un film di Anderson o Bergman dovremmo prenderne uno e metterci a fare una bella "analisi testuale". Esercizio divertente e istruttivo ma che esula dal discorso che stiamo facendo.
Cerco quindi di rimanere in tema focalizzandomi sui punti chiave.
Io non ho detto questo, ho cercato di fare una distinzione utilizzando due termini: plausibilità e credibilità. Sottolineando una differenza sostanziale tra le due cose. Non deve essere "credibile" il sogno. Deve essere credibile il personaggio, o meglio, devo io, come lettore, in quel patto silenzioso fatto con l'autore nel momento in cui inizio a leggere un racconto, poter credere a quello che sto leggendo, di qualsiasi cosa si tratti; anche del ratto Johnny che si tromba la più gnocca del reame.
Se per un motivo qualsiasi si rompe questa magia, il racconto cessa di funzionare.
Forse non ti interessa farlo funzionare... Allora qui entriamo come ti dicevo in un ambito diverso. Tu hai ovviamente tutto il diritto di dire: questo è il mio modo di esprimermi, non mi sottometto a logiche narrative e ciò che hai letto è frutto della mia idea di esprimere o far passare X concetti o X contenuti.
Non devi farlo, la menzogna non c'entra, o meglio esiste soltanto nella misura del racconto stesso che è di fatto una menzogna, una storia inventata, una fiction, una rappresentazione.
Hai posto male la domanda la cui risposta è: se il mio racconto persegue la logica del sogno, deve essere credibile, non commerciale o funzionale al lettore. Ma se voglio coinvolgere chi legge, fare in modo che sia assorbito da ciò che sta leggendo perchè questa è poi la prerogativa che mi permette di far passare i contenuti, di comunicare ciò che mi sta a cuore, allora non devo mai mettere il lettore nella posizione di "distaccarsi" e dire: ma che roba è?
Purtroppo non funziona così; non si tratta di mettere a rischio ma proprio di compromettere il resto del racconto. Inoltre tu, dopo quel momento calchi la mano trasformando ancora il personaggio, riempiendolo di scuse e spiegazioni al limite del pedagogico. Questo come ti ho detto succede perchè non ti sei pensato prima il personaggio di questa donna.
Ti faccio un esempio: se tu avessi deciso di rendere più misteriosa la donna lasciandola in silenzio a leggere il suo libro, e lasciando al personaggio maschile tutte le elucubrazioni che fa su di lei. Lasciando cioè soltanto alla sua fantasia la costruzione di questa donna, avresti reso assolutamente più credibile un improvviso sguardo di lei negli occhi dell'uomo e la frase a bruciapelo: "Vuoi scoparmi?" Con una soluzione simile avresti invitato il lettore a proseguire la lettura per capire cosa stava succedendo. Avresti reso forte il personaggio di lei, più introspettivo, avresti creato un nodo da risolvere per lui e il tutto si sarebbe arricchito.
Ma tu dai un carattere preciso alla donna descrivendone i comportamenti e sottolineando il fatto che si presta a quel gioco di sguardi, gestualità e alla fine pure dialogo che identifica il tutto come una storia diversa che viene poi però improvvisamente, e senza motivo tradita da un nuovo personaggio che non è più quello che ti sei preoccupato di costruire fino a quel momento.
E se la metti in questi termini, ribadisco, non c'è nulla da aggiungere, a parte il fatto che non è il lettore che deve uscire dagli schemi, casomai sta a te avere la capacità di portarlo fuori dagli schemi.
Tu dici che
Tu mi dici.
Se per un motivo qualsiasi si rompe questa magia, il racconto cessa di funzionare.
Non sono d'accordo, non perché questo sia un principio errato, ma perché non si applica al mio racconto.
Music, io sto sostendendo che in certe espressioni su carta, il lettore proprio non lo si deve considerare. Non ci credo a quello che dici e non mi dispiace, e proprio perché riconosco il tuo discorso.
Per darti prova che so per certo di cosa parli, un libro l'ho scritto.
Sono l'ultimo pirla, ma le reazioni le ho avute e so come funziona. E il libro ha funzionato per tanti. E in questo senso, o funziona o non funziona. Può essere brutto o bello, mediocre o interessante, ma gli schemi e la magia di cui parli sono stati rispettati. PS (parlo del libro in questo momento)
Quello che in questo racconto non funziona invece, può riguardare una storia priva del necessario "grip", o che abbia in realtà poco da dire. Nei quote successivi chiarirò dove ritengo ti sbagli nero su bianco.
Potrebbe essere invece che una storia non possa funzionare, a prescindere, perché non è una bella storia. Tutto qui. Come molte storie non hanno infatti motivo di essere elevate a racconto, ma possono limitarsi a essere "tradotte" direttamente in una considerazione "così" ... o in un aneddoto al volo davanti a una birra. Nulla di male. Il problema, così fosse, può esistere proprio nell'oggetto in discussione.
Non devi farlo, la menzogna non c'entra, o meglio esiste soltanto nella misura del racconto stesso che è di fatto una menzogna, una storia inventata, una fiction, una rappresentazione.
Non è così. Questo tuo passaggio serve solo a confondere le cose. Questo è un piano inclinato sull'identificazione di una disamina. Il racconto in sé non può essere ripiegato né di fatto né indirettamente a una menzogna, così come sto intendendo e ho ben inteso la mezogna, cioè come: - disonestà intellettuale di un'autore.
Quindi non si parla di "menzogna" nel senso che qualcosa non è accaduto; ma di "menzogna" nel senso che il racconto deve ripiegare sulla sua stessa logica per essere fruibile secondo determinate logiche. Logiche che trovo fallaci.
Sono d'accordo che un racconto debba assorbire il lettore in ciò che sta leggendo.
Sul discorso della credibilità, continuiamo a non capirci.
E finalmente arriviamo al punto.
E qui casca l'asino.
Scusa Music, ma te la stai raccontando da solo.
Quella donna: sono io. Non esiste. Quella donna è la mia coscienza. Sei Te che ti ostini dogmaticamente a rovesciare la natura di un racconto - in nome, di cosa? Mi sembra tu non voglia ammettere un semplice errore che hai fatto sull'ordine logico delle cose.
Per quanto questo racconto nasca e sia nato per gioco, comunque attinge dal mio bagaglio e dalla coerenza di come le cose accadono nei sogni. Quindi ti chiedo, ma Te - quando sogni, cosa fai? Ti costruisci il personaggio perché risulti più credibile a te stesso? Stai sherzando?
Questa cosa non deve essere trasformata nel suo concetto, ma TRASLITTERATA. Il lettore deve essere rispettato. Costi quel che costi.
Sei Te che continui a pretendere che il racconto debba rispecchiare una coerenza che non può avere. Il personaggio non lo dovevo pensare, perché il sogno è un abbaglio che corre sulle montagne russe.
Ed è questo il problema che denuncio e che mi pare tu non voglia abbassarti a discutere. Perché ci sono miriadi di racconti e anche film, dove la parte del "sogno a sorpresa" funziona proprio in ragione di essere una presa per il culo.
Grazie al piffero. Certo che Sì, ma sarebbe stata una menzogna.
Avrei tradito la verità della psicologia in gioco.
PS - e avrei distrutto il discorso filosofico che ne discende.
Il personaggio maschile non sa nemmeno che il personaggio femminile è un suo desiderio; quindi lo vuole modellare in maniera scomposta, e salta dal momento romantico a quello in cui la libidine prende un egoistico sopravvento e fa dire a lei quello che vorrebbe sentirsi dire e che l'inconscio non può gestire in modo equlibrato. SIA MAI! Non sarebbe inconscio allora.
Non dovevo arricchire niente, ma non per puntiglio o orgoglio intellettuale; ma dovevo e devo dire qualcosa di inconscio e anche connesso a una riflessione filosofica che si agita nell'anima dell'autore.
Sta al lettore far girare le rotelle e uscire dagli schemi preconfezionati. E non sono io che lo devo condurre per manina fuori dagli schemi. E questo lo dico anticipandoti che non sono d'accordo con la tua conclusione.
Te la stai raccontando da solo.
Quella donna non esiste: è la mia coscienza a riguardo delle donne. E al lettore non puoi dargli l'idea di un costrutto che ha una base razionale e identificativa con la realtà. Poiché il mio racconto non può identificarsi con la realtà, ma con una psiche che vuole la moglie ubriaca e la botte piena.
Ma ti riesce così difficile accettare un dato oggettivo?
Questo è IL cuore del racconto che ho scritto; piaccia o meno, sia accattivante o meno, sia scritto in maniera prolissa o meno; infatti - nel sogno - non esiste un tradimento della coerenza dei personaggi, ma un conflitto ONIRICO delle proprie concezioni e dei propri ricordi - delle proprie ansie, dei propri traumi, si salta da un punto all'altro, così come nei sogni accade. Così come nei miei sogni accade.
Si tratta di psicologia e, sotto questo aspetto, peccando di vanità, trovo invece che questo racconto sia eccezionale. Eccezionale nel senso che esce dall'ordinario. E lo fa in maniera molto intelligente.
Al lettore può solo piacere o non piacere, interessare o non interessare, trovarlo banale o mediocre, eccetera ...
.. ma tutta la tua formulazione su come dovrebbero costruirsi personaggi e renderli "accattivanti/coerenti" non ha il minimo senso.
Ma neanche per niente, Music, perché è un falso problema.
O hai corticircuitato tu, o cortocircuita lo schema che difendi.
Una delle due.
Come ho scritto sopra a chiare lettere, riconosco e accetto le critiche che ti avevo quotato nel passaggio precedente, e riconosco che anche la scorrevolezza e una mancanza di maturità dialettica si manifesta lungo il racconto.
Ma per il resto, stai fuori strada. Rimango basito di fronte questa tua posizione a voler spostare indebitamente il senso del mio racconto su di un piano che non gli appartiene.
Perché in questo senso invece, il racconto è "perfetto". Come schema intendo. Va al di là di schemi falsi e tendenziosi soliti, e si presta a importanti riflessioni sottese - che, pure quelle, riguardano la realtà di come noi nei sogni metabolizziamo le nostre conoscenze, le nostre esperienze, la nostra cultura, e ...
... dallo stato di veglia ....
... lo trasportiamo nel nostro inconscio che lo metabolizza in modo assurdo e te lo proietta nelle sinapsi per dirti qualcosa "a modo suo".
Non vedo proprio perché dovrei ghettizzare una cosa tanto bella e importante, in un processo che lo trasformerebbe in un "mini cinepanettone".
Ok Calvero, la chiudo qui. Se
Ok Calvero, la chiudo qui.
Se hai pensato che sia salito in cattedra mi spiace. Per me è stato naturale esporre una critica al tuo scritto dal momento che lo hai postato dedicandolo in questo modo a un pubblico.
Nel momento in cui pensi che me la stia raccontando da solo non ha senso continuare questa discussione. Ciò che ho esposto non è certo frutto di una opinione personale maturata sul momento. Non sono stato certo io a gettare le basi della narrativa nè a scrivere la sua storia nel tempo.
Come ho già detto più volte: è il tuo pezzo, la tua espressione... Va bene così e ci mancherebbe fosse altrimenti. Sicuramente ho equivocato io spostando il discorso sulle tecniche narrative. Nulla di male.
Spero che tu non abbia speso molto
Visto che ora ci sono fior di corsi su youtube su come caricare istantaneamente la topa senza che neanche lei se ne accorga, fotterla nel giro di tre minuti e farla innamorare perdutamente di te utilizzando tecniche psicologiche della propaganda commerciale, spero che tu non abbia speso dei soldi.
Come ben sai, caro Calvero, l'unico effetto di questi corsi e' una attivita' onirica frustrante: uno si sveglio sudato, pensando di avere avuto una erezione (siiiiii, magari...) e disperatamente battendo la testa contro l'orologio sveglia che non la vuole piantare di suonare.
Non te la prendere, prima poi s'invecchia e la malattia passa.
PS
Al personaggio della storia e' andata bene, puo' ringraziare la porta che non si apre, perche' nella baita isolata in montagna ci sono quattro culturisti froci che l'avrebbero sicuramente legato ed avrebbero abusato sessualmente di lui. Anche la donna era in realta' un travestito (solo i travestiti dicono: "vuoi scoparmi?").
Mai, mai, mai, lasciare scegliere alla controparte il luogo e la modalita' dell'incontro sessuale: da predatore si diventa preda, ed il maschio, si sa, e' cacciatore.....