Oggi è la vigilia. Siamo al Trentuno. Giornata carica di Sole. Un pomeriggio dall'aria tagliente. Esco per un caffè ed entrando in un locale del posto, noto una tipa interessante seduta nell'angolo, lì - stranamente da sola, che legge, assorta.
Mai vista prima d'ora.
Non mi sembra sia della zona. Spio il libro che ha tra le mani. Di Lawrence. Già posso trarre qualche considerazione interessante. Alza gli occhi che incontrano i miei. Dura un secondo, più un famoso nanosecondo; quel nanosecondo che le donne ti dedicano, quasi fossero infastidite.
Lei torna a leggere, però noto che le pupille scorrono meno velocemente. "Già" - mi dico, comprendendo che oltre ad averla incuriosita, sta spostando i suoi pensieri verso il lato immaginativo della mente. "Bene". E torno strategicamente al mio caffé.
Rimanendo in disparte, la studio.
Occhi grandi, viso un po' imbronciato, a rivelare quel ché di timidezza che dice di una precisa sensibilità; qualcosa che ai miei occhi la rende più dolce di quel che vuole far credere. Ha un paio di stivaletti che le disegnano un'ottima curva delle caviglie. Vestita in modo comodo, con una maglia che sblusa sotto i fianchi, mani morbide, capelli raccolti solo in parte e senza impegno.
Mi giro di tre quarti verso di lei nascondendomi dietro la tazzina di caffè; così - diciamo per metterla nelle condizioni di esprimere qualcosa, di avere una reazione. Senza staccare gli occhi dal libro, si sposta i capelli liberando il collo alla mia vista. Le ricadono subito come prima. Si concentra meglio sul libro, ma, a questo atteggiamento, aggiunge un respiro più profondo. Vedo bene il suo profilo. Attacco bottone «Lawrence...» le dico giocando d’enfasi «... tra i pochi direi, che non vendeva menzogne spacciandole per emancipazione». Le sfugge un sorriso tirato, che subito ricompone di nascosto sotto quella corposa chioma castana. Sempre chinata sul libro, inclina di poco il capo. "Non sa che dire", penso - lo vedo bene: è indecisa. Però non teme di rivelarla quest'indecisione. In silenzio, mi sta parlando. Un'indecisione che condivide in modo tacito. Una cosa che capita poche volte e in modo così mirato tra due sconosciuti. Non ha prezzo. Trattengo un sospiro. Non dico nulla. Non ha ancora deciso se darmi corda, oppure no. Silenzio. Il silenzio che non vuole riempire vuoti, in cui cerchiamo noi stessi e non una logica. Cercare il senso che abbia un senso. «Sono sposata. Non se ne abbia. Riconosco certi modi. Nulla di male, però la chiudiamo qui» mi dice - quasi sbirciandomi.
Non dico niente e credo che non le sia sfuggito il mio sorriso sotto i baffi - a dirle che non m'incantava ...
... e mentre ci penso, ecco che alza lo sguardo e rivela come le sue parole siano state solo un rito cui si era costretta a sottostare. E adesso, solo pochi secondi dopo, come avesse riconquistato qualcosa del suo spirito, la ritrosità di prima - la trasforma in un viso birbante e si prende la briga di studiarmi meglio. Mi fa una radiografia impertinente e, giunta all'altezza delle spalle, dopo essersi divertita nei miei jeans strappati al ginocchio, ritorna in una timidezza che non desidera, ma a cui di nuovo vuole rendere conto. Ora sorride tornando alle sue pagine. Però un sorriso lontano da se stessa. Questa volta è un congedo.
Non c'è risposta da dare a una donna che nonostante sia interessata a Te, ti fa capire che non puoi andare oltre: - proprio per il fatto di essere interessata a Te! Questo il magnifico paradosso. Si può soltanto agire. Andare via in modo deciso per chi ti dice un "No" che non vorrebbe dire - è comunque AGIRE. Le altre opzioni posso valutarle, ma non mi interessano. Niente mezze misure nelle avventure.
Lascio un euro sul bancone e prendo verso la porta.
Sono fuori.
Faccio una decina di passi e in modo deciso mi avvicino alla macchina. «Sono stata una maleducata» mi sento dire a voce alta, con il tono di chi ti chiama: è lei. In questo momento sta tenendo con forza, e con una mano soltanto, la porta; di quelle pesanti con più vetro che altro, che hanno un richiamo meccanico per chiudersi da sole. Lei è lì - precisamente posta a metà, tra dentro e fuori il locale ... "Una metafora che dice tutto del momento" realizzo divertito. L'aria è gelida. «Fa freddo» mi dice. Mi gusto la scusa che ha voluto darsi per mettersi al riparo, e non dal freddo. Trovo sia dolcissima. Sta mettendosi alla prova, e non dev'essere poco per lei. «Beh ... io non sono sposato» ribatto sarcasticamente e "Niente mezze misure ..." mi ripeto in un mantra. «A me sta bene» risponde con fermezza ... «Venga dentro» mi dice - invitandomi con un cenno della testa, poi si sospende un attimo, e... «Prendiamo qualcosa insieme» aggiunge in uno sguardo gentile e timoroso allo stesso tempo.
La studio meglio... e così fa lei con me.
Ma rimango ancora fermo recitando una mirata indecisione.
"Se veramente è voluta tornare sui suoi passi" - cerco di convincermi - "Allora pretendo di più. Sta a me il gioco adesso". Il rischio che questa volta salti definitivamente l'opportunità, c'è tutto. Sta bene così. Yes! mi piace. E se dev'essere un'avventura, allora la voglio senza fronzoli. Recito sottilmente uno sguardo ironico, a dirle che la possibilità l'aveva avuta prima... e che adesso se la deve giocare meglio. Ed è a questo punto che lascia andare volutamente la porta che teneva con una mano. Questo fa sì che le si richiuda - sbattendole, e anche con una certa violenza, contro la spalla, al punto che la sbilancia sulle gambe. Non se ne cura. Con enfasi dispiega morbidamente le dita come una vela al vento, si sfila la fede che porta al dito e se la mette in tasca «L'aspetto» mi dice.
Ed entra nel locale.
«Cosa fa stasera?» mi chiede. Ora siamo seduti uno di fronte all'altra. «Possiamo darci del Tu» le dico subito. «No» mi fa lei. E si capisce che in quel "No" ... c'è una motivazione che vuole sfruttare in qualche modo. Mi sorride. «Due prosecchi» ordino senza darle a vedere che sto riflettendo sulla sua negazione. Prendo tempo. Poi, guardandola «Vanno bene i prosecchi?» sancisco in un'espressione dispettosa, avendoglielo chiesto dopo e non prima. «Sì, vanno bene» mi risponde in modo complice e nemico insieme: e ravviso per bene come sia consapevole che il non avermi concesso la confidenza del Tu le dà in qualche modo le redini del gioco.
Ci portano da bere.
Mi sorride furbescamente studiandomi le sopracciglia. Ne beve un sorso senza brindare e mi dice «Scommetto che vuole sapere perché non voglio darle del Tu, giusto?». «Sì» le rispondo spiando quegli zigomi alti e, guardandole le labbra, aggiungo «Più che giusto, direi. E penso che le piacerebbe spiegarmelo lei stessa, ma solo quando lo riterrà opportuno, dico bene?» ... e anche io, senza brindare, bevo un sorso. Lei posa il bicchiere, guarda quelle bollicine risalire divertite, cerca qualcosa nei pensieri. Poi lo riprende, come fosse un premio vinto per aver trovato quello che cercava nella sua stessa testa ... e, tenendolo all'altezza del nostro sguardo, con il mignolo ostentatamente distanziato dallo stelo del calice, sporgendosi in avanti - in un sussurro «Perché il LEI, è la distanza che mi serve per non saltarle addosso» e si beve un sorso. «E se dovesse accadere...» le inizio a chiedere facendo finta di non innamorarmi delle sue spalle eleganti e del suo sorriso «... dove le piacerebbe che accadesse?». «Non sono della zona...» mi dice, poi fa un respiro e, strizzando gli occhi nei miei « ... Diciamo che da ieri sono stanca di tutto. Mio marito ha una piccola baita in montagna, su - da queste parti, a un'oretta da qui: le sue origini, così le chiama; di quando era ragazzo. Ma noi adesso viviamo lontani. Sono partita stamattina presto. Senza pensarci sopra. Mi sono fermata a più di metà strada, forse mi sono pentita, non lo so; ero indecisa se ritornare a casa; forse sto sbagliando tutto. Stavo cercando la risposta per sapere se continuare e ho deciso di cercarla tra le pagine di un racconto, assurdo no? ... un libro importante per me, e mi sono detta che forse rileggendo qualche passaggio, mi avrebbe dato qualche segnale il destino ... e poi, voglio dire: guidare e leggere insieme direi che non è il massimo .... in un certo senso, beh ... il libro una risposta me l'ha data, lei è d'accordo?». «Però» le dico sinceramente intrigato e affascinato dalla sua storia «Sì, in effetti è così ....». Ma non mi dà tempo di continuare «... Non voglio sapere come si chiama» incalza velocemente «...non voglio sapere il suo nome» insiste sottolineando questa frase in uno sguardo curioso «Né voglio che lei mi chieda il mio di nome, ok?». «Va bene» le rispondo. Mi fa un cenno impercettibile di assenso e questa volta beve un sorso più deciso, per darsi coraggio. Trattiene un respiro e si ferma nei miei occhi. Quello che sta per dire ... oh ne sono certo ... è il punto di non ritorno. Si fa malinconica, ma una felicità lontana - ecco la raggiunge e le rapisce il viso. "... è così bella adesso" penso. Abbassa un attimo la testa, la rialza e, in un respiro, mi dice «Vuoi scoparmi?». «Mi stai dando del Tu?» le rispondo d'istinto, sorprendendo me stesso in un'ironia che non mi appartiene e contentissimo di aver trovato le parole più efficaci di un Sì qualunque. «Già. Ti sto dando del Tu. Visto?» prosegue ora con una nuova luce negli occhi «Ora non sei più una maschera per me. Ora non sono più un maschera per me stessa. Mi sono fermata in questo Bar perché non avevo il coraggio di andare avanti, ma neanche di tornare indietro. Avevo con me il libro che amo e poi ... poi sei arrivato Tu a parlarmi in qualche modo attraverso il libro stesso. Ora siamo io e Te. Non sai chi sono. Non so chi sei. Può essere pericoloso. Può essere qualsiasi cosa. Però è quello che è. Tu sei la mia storia senza maschere. Sono la tua storia senza maschere. Adesso mi alzo e vado alla macchina. Metterò in moto. Se entro un minuto uscirai da questo Bar e verrai verso di me, allora andremo via insieme, ma se non ti vedrò, me ne andrò. Adesso quella baita in montagna ha senso solo per noi due. Se ci andrò, sarà solo con Te, oppure significherà che dovrò tornare alla mia vita. In caso, addio» e si alza in modo deciso. Si allontana.
Sento il suo odore.
Non proferisco parola, non perché non ne trovassi qualcuna ma perché l'incanto e i sottesi delle cose straordinarie, hanno i loro riti. Mi giro e la osservo alla cassa mentre paga il conto. Non posso fare a meno di farmi un film in testa ... e mi vedo stasera e stanotte in un capodanno unico della mia vita. Non ci credo. Sono felice e non è per suggestione che la trovo così attraente. Così stupendamente inquieta. Quando esce dalla porta, non vuole girarsi: quello che doveva vedere, lo ha già visto, è decisa. Ci crede e io le credo. Se vuole rivedermi, vorrà rivedermi mentre sto andando da lei e per Lei. Passano dieci secondi. Ne ho ancora cinquanta. Qualcosa mi angoscia. Vado alla porta e appena metto la mano sulla maniglia, il riflesso del Sole non mi fa vedere attraverso i vetri. La porta non si apre «Ehi!» dico tra i denti «Ehi! la porta! ...è chiusa a chiave! che significa? devo uscire!» ...un nodo alla gola mi stringe. NO! Sento una macchina lì fuori mettersi in moto ... ma non vedo, non vedo bene! non riesco a distinguere bene le forme, il riflesso della luce è fortissimo. Non c'è più nessuno dietro al banco. Non m'importa di tutto il resto. Dannata porta! e che si spacchi pure! Ma la serratura non cede «EHI!!! EHI!!» ... vedo la sagoma di una macchina lì fuori muoversi e allontanarsi «EHI! sono qui!! ... EHI!!!» ...urlo URLO e mi sveglio, vorrei urlare ancora, ma così come un sogno diventa un incubo, la realtà non è da meno. Se urli nei sogni, nessuno nei sogni ti sente, e, allo stesso modo, urlare nella realtà è un incubo peggiore: perché tutti possono sentirti e nessuno potrà capire.
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