Mi accingo a narrare una storia personale non per mettere i fatti miei in piazza, anzi, caratterialmente sono schivo dall’essere protagonista di alcunché. Tuttavia l’argomento che voglio trattare riguarda un uomo di cui ho molta stima e che per le traversie della vita avevo perso di vista, ciononostante mi è caro ringraziarlo pubblicamente per il bene che ho ricevuto nel frequentarlo.
Per esperienza so che il tempo cambia le cose e le persone e non tutti sono felici di sentirmi. La distanza non aiuta a cogliere le altrui sensibilità, e quindi ho in pratica tagliato tutti i ponti quando mi sono trasferito all’estero.
Il personaggio di cui voglio parlare, però, mi ha salvato la vita, qualche mese fa, anche se a sua insaputa e a mille miglia di distanza.
Tantissimi anni fa mi trovai per caso a parlare con il proprietario di una piccola palestra della periferia di Torino. Io, in genere, non bazzico nelle palestre. Sono un Rastapigrario. Credo profondamente nel non fare assolutamente niente, nel scansare ogni tipo di fatica e nel diritto divino dell'Uomo a contemplare il cielo, specialmente le nubi a batuffoli. Le palestre sono oltretutto di una noia mortale e frequentate da gente che non potrebbe essere più lontana dalla mia lunghezza d'onda. La musica é rivoltante. Proprio non mi ricordo perché stessi conversando con questo tipo molto simpatico e molto energetico, ma sono incline a pensare che ci fosse di mezzo qualche tipo di alcolico.
Non ricordo come entrammo nel discorso, ma il tale mi disse che recentemente, per diversificare il prodotto, negli spazi in cui tenevano un corso di ballo e Karate erano riusciti ad inserire un corso di Aikido. L'istruttore di Aikido era a sua detta la persona più straordinaria che si potesse pensare e, se ricordo bene, il tale mi disse che aveva proceduto a sfidare giocosamente tutti i presenti, quando si era presentato, e fu confrontato casualmente da un Marcantonio Culturistico notoriamente ferocissimo (e allievo del Maestro giapponese di Karate, il famoso Miura, anche se nessuno lo sapeva: era un tale che conoscevo personalmente e che era leggendario nel giro dei facchini e scaricatori di Torino, un immigrato pugliese con un fisico eccezionale, alto, biondo, fortissimo, furbo e scattante, il tipo che ha uno sguardo tale per cui non vuoi fissarlo troppo intensamente, per paura che l'abbia a male), il mitico P..
Il proprietario della palestra mi disse che P. fu istantaneamente reso inoffensivo dall'istruttore di Aikido e cordialmente invitato per una serie di lezioni alle quali non si fece vedere, ferito nell'onore. A quanto sembra altri seguirono la stessa sorte in seguiro a più riprese, istruttori di Karate che insegnavano in quella palestra compresi.
Questo fenomeno volevo proprio vederlo. Fino ad allora gli istruttori di Aikido che avevo visto io erano del tipo nazi-mistico "fa più male a me che a te", sadici bastardi apparentemente pacifisti che predicavano l'immoralità della provocazione e l'evitabilità del confronto come tratto morale personale positivo. Trattavano gli allievi come inferiori, reputandosi degli Dei scesi sulla Terra per scontare qualche colpa Olimpica con finta accondiscendenza ed in genere provocavano intensi dolori articolari con il sorriso sulle labbra tipico di un Dott. Mengele alle prese con cavie umane. Questo sembrava essere del tutto diverso, sempre che non fosse "un” diverso. Non avevo molta fiducia, sulla scorta delle mie esperienze e della mia attitudine a questi giochini per bambini che si prendono troppo sul serio.
La prima lezione fu un trauma.
Entrai nel locale che aveva un grande specchio e pavimento in legno, durissimo. Niente materassini.
Pensai che fosse uno scherzo.
Dopo un riscaldamento così intenso che mi lasciò acciaccato per una settimana (ed allora ero neanche 30nne e capace di zompettare per giornate su e giù per picchi e ghiacciai con 30kg sulle spalle) il Sen-Sei (perché così lo appellavano gli altri, ne parlerò dopo) mi chiamò con lui al centro della sala, e, col resto della classe inginocchiato alla giapponese, mi consegnò un bastone e mi chiese di cominciare a bastonarlo. Negli spogliatoi mi era scappato che avevo fatto un pò di Kendo, l'arte della spada giapponese, ed immagino che questa fosse la mia giusta punizione per non avere tenuto la bocca chiusa. Naturalmente portai il solito attacco stilizzato e fintissimo, per niente convinto, che avevo visto regolarmente portare in tutte le palestre di arti marziali. Il Sen-Sei mi fermò e spiegò a tutta la compagnia che non avrebbe mai cessato di ripeterlo: se l'attacco non é reale, la tecnica non può scaturire dall'atto stesso. Io replicai che stavamo giocando, e che non avrei potuto sicuramente bastonare un tale che non conoscevo e che non mi aveva fatto niente. Improvvisamente volò uno schiaffo che atterrò sulla mia faccia. Non solo non fece tanto male, ma mi fece essere semmai più coerente con la mia posizione: non avrei perso la testa e per nessun motivo mi sarei mai prestato a cercare di ammazzare a bastonate qualcuno per scherzo, anche perché ero abbastanza confidente nelle mie doti di bastonatore. L'istruttore aveva davanti qualcuno, pensavo, che magari a mani nude era inoffensivo, ma con un bastone in mano poteva essere decisamente dannoso. Glielo dissi, tutto quanto.
Sbaglio numero uno.
La risposta fu uno di quegli schiaffetti dati per scherno e insulto, che colpiscono il naso andata e ritorno e che farebbero perdere le staffe non solo ad un Santo, ma anche a Gesù Cristo in persona. Invece di registrare il fatto che mi aveva colpito due volte in mezzo secondo ed io non ero stato capace di muovermi, schivare o parare, cominciai istantaneamente a vedere rosso e attaccai per stenderlo.
Sbaglio numero due.
Andai per la classica combinazione Men-Do, finta alla testa (finta solo se la evita) e costole in viaggio per l'ospedale con fendente orizzontale passante. Solo che le sue costole non erano più lì all'appuntamento. "E' un appuntamento che bisogna perdere" - mi insegnò in seguito.
Mi ritrovai per terra.
Il bastone ce l'aveva in mano lui, e con l'altra mano mi manteneva immobile a terra per via di una chiave articolare. Danni (a me ed a lui) nessuno, dolore solo se cercavo di liberarmi. Fui seriamente tentato di fare un buco nel pavimento e sotterrarmici. Non ero stato umiliato così da quando ero un ragazzino. Invece di andare a nascondermi diventai un allievo devoto: scemo, tardivo e scarso, ma devoto nella mia peculiare maniera non troppo convincente, almeno per un pò (non riesco a fare mai niente per più di "per un pò", é la mia natura).
Fui premiato dal fatto di assistere a spettacoli incredibili: porte corazzate staccate dal muro con un colpo di avambraccio ("Mai tirare pugni, le mani si spaccano contro le ossa altrui, meglio schiaffi e colpi con tutto l'avambraccio e la mano"), avversari esperti messi a terra da un urlo spaventoso, gente che non si conosceva e non si era mai vista prima (e che per quanto ne sapevamo poteva essere Bruce Lee redivivo o John Rambo) che veniva puntualmente resa inoffensiva. Un rischio mica da ridere. Il Sen-Sei passava per un pazzo esaltato, per via di queste sfide, ma lui diceva sempre: "Se non mi espongo a questi pericoli, come potete avere fiducia in me? Come potete essere sicuri che vi stia insegnando qualcosa che funzioni? Come posso avere la vostra attenzione, il vostro impegno e la vostra stima?". Nell'ambiente dell'Aikido non era visto di buon occhio, soprattutto perché non aveva nessuna reverenza e rispetto per chi non corresse gli stessi suoi rischi, rischi non solo fisici ma soprattutto rischi per la propria credibilità, ed aveva pienamente ragione nel suo atteggiamento.
Un giorno andammo ad una riunione con un Grande Maestro, di cui non farò il nome per rispetto – in fondo era un mito della storia dell'arte e penso che sia meglio che resti tale. Il Sen-Sei non fu impressionato e sentenziò che quel tale non poteva permettersi di fare l'istruttore perché non sarebbe più stato in grado di applicare l'arte se gli attacchi non fossero stati coreografati. Al massimo poteva dare consigli ed essere un fratello maggiore, ma non un Grande Maestro. A quel punto potevamo ben chiamare lui stesso Sen-Sei e si sarebbe autogratificato autoassegnandosi il 10mo Dan, come facevano i capiscuola del Giappone feudale. Alcuni dei seguaci del Grande Maestro non furono molto contenti nel sentire di sfuggita queste parole sussurrate a noi allievi e mi immaginai ad un passo da una gigantesca rissa nella quale stavamo per prenderci un sacco di legnate, essendo noi 4 gatti e loro centinaia. Il Sen-Sei, leggendomi nel pensiero, mi disse di non preoccuparmi: era già successo prima che qualcuno non fosse contento delle sue idee.
Una sera una tale visitatore chiese come si sarebbe destreggiato di fronte ad un attacco contro un coltello vero. Già temevo di sapere cosa sarebbe successo. Il visitatore fu invitato a provare e gli fu passato un tanto (un coltello giapponese) affilato. Il risultato fu il solito, tranne uno sbrego sanguinante sugli addominali del Sen-Sei e la perdita di una giacca da Aikido che sarebbe stata altrimenti ancora usabilissima per anni. Il Sen-Sei disse, mentre teneva il tale bloccato per terra impugnando il coltello appena rubato, che se non ti graffi un pò la tecnica non funziona.
Tutti fummo così impressionati che chiedemmo al Sen-Sei di fare un corso dedicato alla difesa contro il coltello, roba vera, al di fuori delle solite classi. Lui ci chiese una cifra che tutti pagarono volentieri, sapendo che erano soldi ben spesi. Cominciammo una interminabile sequela di prove e controprove, il cui fine era solo di inducerci a non guardare mai, in nessuna situazione, il coltello. Non é facile. Nessuno ci riusciva. La cifra che pagammo si rivelò ridicolmente bassa, al computo delle interminabili ore passate a cercare di non guardare il coltello. Alla fine qualcosa in testa mi rimase, anche se allora reputai che il corso fosse stato per me un fallimento e che non sarei sopravvissuto ad un reale attacco di qualcuno che volesse ammazzarmi a coltellate. Non che fosse un problema. Non sono granché simpatico a nessuno, ma essere presi a coltellate é di solito un evento di probabilità trascurabile.
Ma qualcosa mi era rimasto, da qualche parte.
Diversi anni fa cominciai a fare un tipo di lavoro per cui l'essere attaccati in qualsiasi modo non é una eventualità poi così remota, anzi, é una minaccia sempre presente.
Ora so che qualcosa evidentemente mi é rimasto, da qualche parte. Lo so di sicuro. Qualche tempo fa qualcuno ha veramente cercato di ammazzarmi con un pugnale, un criminale recidivo e sanguinario, esperto e determinato, a cui non importava delle conseguenze. Io non sono morto e lui starà in galera per parecchi anni, almeno finché farà piacere alla mia Regina (o al prossimo Re).
Se sono ancora vivo, e praticamente illeso, tranne i graffi senza i quali la tecnica non funziona, lo devo anche alla Dea Bendata ma, soprattutto, ad Antonio Trotta, il Sensei.
先生ありがとう
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Sen-sei
Forse anche perchè sono appassionato di arti marziali (anche se completamente inoffensivo), ma è un racconto che ho letto con un piacere straordinario.
Grazie Pike per averlo condiviso
Domanda vigliacca: merito
Domanda vigliacca: merito davvero del Sensei, o in ogni caso non eri destinato a lasciarci le penne in quel momento? Come al solito, bell'articolo Pike.
Mi sembrava di averlo scritto
Sono vivo per intervento della Dea Fortuna e per l'insegnamento del Sensei. Le percentuali sono piu' o meno equivalenti.
Infatti la prima pugnalata, a freddo, di sorpresa e praticamente alle spalle, ha colpito il mio manganello retrattile, che, al contrario di tutti gli altri sbirri, io porto sempre al fianco dentro la cintura dei pantaloni - nella custodia del manganello invece ho il cucchiaino per il the, l'apribottiglie , la penna, le caramelle e roba simile - perche' mi piace sentiro contro la ciccia, cosi' non me lo fregano. Porterei anche la pistola nella stessa maniera, se l'avessi, ma in questo paese non e' standard. In ogni caso manganello non ho avuto il tempo di estrarlo, e non avrei neanche potuto estrarre una ipotetica pistola: in certi casi le armi servono a poco.
Grazie per l'apprezzamento.
La mia era una
La mia era una provocazione...
intendevo sollevare un argomento al quale molti sono allergici: esiste il destino? Se quello non era il tuo momento, Sensei o meno te la saresti cavata comunque... Oppure girando la frittata: Il Sensei è stato lo strumento del fato perchè dovevi superare quel momento...
Per chi crede invece che non esiste altro destino che quello che ci creiamo noi, il grazie al Sensei è genuino e giustificato.
Il destino
Non sono allergico a questo argomento, solo che, come tutti i luoghicomuni, per sviscerarne le origini e le diramazioni ci vogliono centinaia di pagine. In ogni caso, per farla breve io sento che il destino non esiste, o meglio non esiste nel modo comunemente inteso. Il tempo, infatti, va a ritroso. In questo senso il passato ha origine nel presente.
Come al solito questa idea non e' originale ed io l'ho ricevuta (come quasi tutto il resto) dal solito Alan Watts. E' tutto da mettere in relazione con il tempo, che e' una convenzione sociale.
Come al solito Alan lo spiega molto bene, qui:
https://www.youtube.com/watch?v=G4j6cUwCRmI
Cosi' che stare a parlare di futuro o di passato e' semplicemente una tecnica ipnotica, utilizzata da gente che ci vuole prigionieri della allucinazione che ci hanno suggerita (o suggestionata) . Roba come il destino...
Il Maestro insegna, fa vedere
Il Maestro insegna, fa vedere una strada, ma di più non può; siamo noi che dobbiamo praticare e solo la pratica ci porta qualche risultato.
E questo trasforma tutto quello che ci accade intorno, il modo in cui vediamo le cose, e (forse...) modifica anche il corso degli avvenimenti.
Ho qualche anno di pratica di arti marziali sulle spalle e sono sicuro che questo ha influito nel modo in cui penso, vedo ed interpreto la realtà circostante. Non solo, certo, anche altre cose...ma alla fine tutte le pratiche solo una sola pratica, arte marziale o quello che è sono strade che portano allo stesso punto.
Spero che ciò che ho scritto abbia un senso, a quest'ora della notte potrei aver detto delle gran minchiate... :D
Contento che sia andata bene Pike, alla tua!
Non sono allergico a questo
Non era riferito a te Pike, parlavo in termini generali...
Infatti era una provocazione, sono consapevole che certi argomenti andrebbero trattati davanti a una birra e con un pò di tempo a disposizione
...Infatti non ho capito niente di quello che hai detto (di Watts non conosco nulla, se c'è qualcosa in Italiano..)
Si... Mi piacerebbe capire in che termini...
Io comunque mi riferivo a una certa predestinazione degli eventi... Cinematograficamente parlando, James Cameron inserì in Terminator 2 il concetto che il destino non esiste; esiste solo ciò che ci creiamo noi. A sentire le sue interviste questo concetto sostituì in modo prepotente le sue vecchie credenze tanto che volle esprimerlo nel suo film.
Ciò che io sento invece (e capisco benissimo che trattandosi di una cosa interiore non ha nessuna validità nè tantomeno possibilità di verifica e potrebbe inoltre essere completamente errata o distorta da chissà quali sovrastrutture psicologiche/culturali che mi sono creato negli anni), è che le coincidenze non esistono e di conseguenza, anche se abbiamo il libero arbitrio, è probabile che una serie di eventi siano predestinati.
Ricordo un fatto che esprime questo mio pensiero; ce ne sono molti ma racconto questo che mi sembra rappresentativo:
C'era un tale che conosceva mia madre e che aveva un negozio a Venezia. Un tipo che da una vita seguiva una sua routine, tutti i giorni alla tot ora percorreva la solita strada e andava ad aprire il negozio... Tutti i giorni tranne il sabato che andava il figlio mentre lui andava a giocare a golf.
Un bel giorno, per via del cattivo tempo, non potendo andare a giocare a golf, decide di andare lui in negozio.
Mentre fa la solita strada, ad un certo punto si stacca un cornicione da un vecchio palazzo veneziano che lo centra sulla testa ammazzandolo sul colpo.
Il fatto succede proprio il giorno in cui decide di andare lui, il cornicione si stacca proprio mentre sta passando sotto lui.
Giorni fa, in un'altra calle di venezia sempre molto trafficata dai turisti e proprio davanti all'entrata di uno dei bar più famosi (quindi oltre al continuo passaggio di turisti c'è anche il viavai di gente che entra ed esce dal locale), si stacca da un altro palazzo una pesante finestra (con telaio e tutto) che piomba nella calle esplodendo come una bomba. Miracolosamente in quel momento si trovava nei pressi soltanto una turista giapponese che è rimasta lievemente ferita a una gamba. Ma se uno conosce la calle pensa che è stato un miracolo che si sia creato quel vuoto di persone proprio in quel momento perchè altrimenti sarebbe stata certamente una mezza strage.
Quindi? gli appuntamenti con il destino ce li abbiamo o sono tutte casualità?
P.S. aspetto di avere la birra per parlarne