Professore di psicofisiologia e antropologia esegue esperimenti sugli stati alterati di coscienza per scoprire i segreti della memoria del DNA e arrivare alle radici della natura umana e dell’evoluzione. Nel suo percorso entra in contatto con le esperienze iniziatiche di tribù indios assumendo allucinogeni. Le esperienze allucinatorie scateneranno mutazioni biologiche e genetiche spalancando le porte a forze incontrollabili che si manifesteranno con una violenta fenomenologia nel mondo reale.
Film estremamente controverso del genio visionario e discontinuo del regista Ken Russell che, lo sanno tutti, è fuori come un terrazzo. La pellicola, ispirata a un romanzo di Paddy Chayefsky, che disconobbe il film, in particolare il modo in cui il regista aveva alterato la sua sceneggiatura, ci regala momenti di esaltante genialità e grandi emozioni, soprattutto a livello figurativo.
Stati di allucinazione ci parla dell'euforia che aleggiava nel mondo accademico nel ‘68; e delle nuove frontiere della ricerca che in quel periodo ispirarono molti intellettuali, grazie anche allo straordinario successo del saggio di Carlos Castaneda: “A scuola dallo stregone” Opera prima dell’allora giovane antropologo dell’università della California, che esplose in modo dirompente nel mondo accademico rendendo famoso il suo autore prima che la stessa comunità scientifica, con un'inversione di marcia, lo scomunicasse come un eretico grazie ai suoi libri successivi. Il saggio riporta le esperienze raccolte e valutate con metodologia scientifica di 5 anni trascorsi in compagnia di uno stregone Yaqui a sperimentare stati di realtà “non ordinaria” indotti da piante come il peyote, utilizzate dagli sciamani del Messico per aumentare la percezione e accedere ai misteri del “terribile”.
In “Stati di Allucinazione” si respira l’entusiasmo di questi ricercatori la cui cultura si appoggia agli studi scientifici ma è contaminata dalle filosofie orientali che in quegli anni, prima dell’esplosione del fenomeno della “new age” con tutto il bagaglio di scempiaggini che si è trascinata dietro, avevano fortemente ispirato le nuove leve del mondo accademico occidentale. Accade così che la pura “ricerca”, spalanca le porte dell’inconoscibile sfociando nel misticismo. L’uomo, nella sua angosciosa ricerca della verità dell’esistenza, si scontra con l’immensità dell’ignoto e, come un bambino ignaro, spalanca il vaso di Pandora liberando l’accesso a questo mondo a tutte le sue ataviche paure.
Le sequenze oniriche del film regalano momenti di grande cinema, in cui l’uso e la manipolazione dei simboli assume un ruolo fondamentale in un tripudio di metafore visive a cui non è possibile rimanere indifferenti; anche se non si ha una conoscenza della simbologia mistica occidentale, le immagini che scorrono sullo schermo con una forte carica espressiva colpiscono a livello subliminale provocando disagio e incutendo in molti una specie di timore reverenziale. Quando il sopranaturale esplode nel mondo reale, non c’è più spazio alle interpretazioni ma ci si trova semplicemente alle prese con “forze” non controllabili. I richiami alle similitudini e all’annullamento delle differenze tra macrocosmo e microcosmo sono assai evidenti: la chiave per capire l’universo sta nella comprensione del proprio essere.
Il film purtroppo ha un difetto nel finale forzato in cui si ha l'impressione che Russell non avesse idea di come chiudere tutte le porte che ha aperto. Ma nonostante questo, la forza del film rimane intatta; ed è un titolo da riscoprire anche per l’ottimo montaggio e per la suggestiva fotografia.
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