Tomorrow in battle think of me
(Shakepeare: Riccardo III)
Taken together, these two (rationalization and science) have played significant role in Western Civilization for centuries, but have always remained periferical to the experience of ordinary men. One of the chief consequences of World War II is that they are no loger periferical... (from Tragedy and Hope by Carroll Quigley)
Prese insieme, queste due (razionalizzazione e scienza) hanno giocato un ruolo importante per secoli nella Civilta' Occidentale, ma sono sempre rimaste ai margini dell'esperienza dell'uomo comune. Una delle principali conseguenze della Seconda Guerra Mondiale e' che non sono piu' cosi marginali.
La “Razionalizzazione” e l'innovazione scientifica erano gia' in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, nel 19* secolo e soprattutto all'inizio del 20*, state usate con successo nei sistemi di produzione di massa, attraverso analisi e misurazioni si riuscirono ad ottimizzare tempi e modi di produzione in primo luogo, poi la distribuzione e la strategia di vendita, raggiungendo l'obbiettivo finale di massimizzare i profitti.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, il principio della razionalizzazione scientifica invade l'Europa a seguito delle truppe americane e dilaga ovunque le condizioni sociali ed economiche lo permettano.
Paradossalmente gli eserciti e i loro generali sembrano siano stati sempre piuttosto scettici fino a tempi insospettabilmente recenti (la prima guerra mondiale) nell'applicazione di nuove scoperte scientififiche e dei principi della razionalizzazione all'arte della guerra, confidando piu' sull'intuito e coltivando un'idea “romantica” della guerra, mentre i primi businessmen non ebbero scrupoli nell'usarle per ricavarne i massimi vantaggi.
Furono gli Inglesi prima e poi, con piu' impeto, gli Americani che introdussero quelle tecniche e quelle pratiche, che stavano dando grandi frutti nella competizione industriale, in ambito militare.
Il successo alleato nella seconda guerra mondiale, agendo come una sorta di cavallo di Troia, e l'enorme eco delle invenzioni scientifiche applicate all'arte della guerra, disvelarono ai molti l'impressionante impatto che scienza e razionalizzazione potevano avere su esiti di battaglie e sulla vita delle persone...
Inoltre il modo come e' stata combattuta e l'estremizzazione dei suoi scopi, espressi nel concetto di guerra totale (ben spiegato da john Kleeves in: “sacrifici umani, Stati Uniti: i signori della guerra”, dove dice: “il loro esercito, oltre che combattere, ed anzi in molti casi invece di combattere l'esercito avversario, combatté anche contro la popolazione del paese avverso”) ove non sono piu' solo gli eserciti a combattersi ma i popoli, e il suo scopo e' l'annientamento dell'avversario o la sua resa incondizionata sotto il ricatto di massacri di innocenti. La guerra non e' solo questione tra soldati, professionisti o meno, ma coinvolge tutti, magari solo in quanto obiettivi bellici.
A questa nuova qualita' del combattere si somma poi il lavoro di scienziati e tecnici che perfezionano armi sempre piu' sofisticate e potenti, da rendere complenamente plausibile l'esito dell'annientamento del popolo nemico fino alla sua completa estinzione se non intendesse arrendersi.
Da allora scienza applicata e razionalizzazione come sistema piu' efficente di lotta, sono cosi' preponderantemente entrate nella nostra vita, sottilmente insinuandosi nei nostri pensieri e nei nostri sentimenti.
Esse, oltre a creare uno stato di alienazione esistenziale, come nelle catene produttive o nelle ossessioni del marketing, portano con se uno stato di guerra permanente e generalizzata.
Noi viviamo in un mondo in perpetua battaglia. L'idea del successo, che ha stretto legame con l'idea di guerra totale, si sovrappone all'idea di buon vivere e la cancella, vivere per il successo ha preso il posto del vivere tout cour.
A livello individuale, il concetto di guerra totale, sfuma molto spesso in quello di guerra di sopravvivenza, i civili attaccati, quelli che solo vorrebbero vivere le loro vite, devono armarsi e combattere o asservirsi a qualche “signore della guerra” che lo faccia per loro (cantava de Andre' : io e il mio cugino De Andrade eravamo gli ultimi uomini liberi, perche' avevamo un cannone nel cortile)
Naturalmete per gli inventori del paradigma della guerra “civile” permanente, ovvero le grandi conglomerazioni corporative dietro cui si nascondono, con volti anonimi e atteggiamenti dimessi i veri artefici, ovvero i “signori di questa moderna guerra sottile” si trovano perfettamente a loro agio nella totalizzazione dei loro scopi, effetivamente combattono una gruerra che ha come fine il dominio, che deve arrivare ad essere assoluto. E credo che siano stati essi stessi ad iniettare il pericoloso siero della totalita' nella pratica del combattere
Problema secondario, ma credo anche piu' grave, e' il fatto che questo sistema di guerra permanente sia stato completamente interiorizzato dai “popolini” di quasi tutte le nazioni mondiali. All'inizio nelle citta' dove le nuove idee viaggiavano veloci, in seguito ovunque.
Chi sceglie di mettersi in gioco, invece di rifugiarsi in attivita piu' discrete di retroguardia comunque caratterizzate da pervasivi stati di alienazione e repressione, lo fa contro qualcun altro, e quello che conta non e' la bellezza della giocata o l'eleganza del tocco, ma il bruto risultato, per raggiungere il quale si puo' usare qualsiasi trucco o inganno.
Cosi' la competizione e' ridotta ad una sola dimensione, come esattamete lo e' nella guerra totale pervasiva, dove non conta giocare bene ma conta solo vincere. Tutte le altre possibili varianti del valore di un confronto, ovvero la bellezza, la moralita' di un atto, l'eleganza, la generosita', il coraggio etc, che caratterizzano le relazioni tra esseri umani vengono cancellate dalla guerra sociale o economica, risultando accessori utili solo in caso di vittoria, o per sproloqui dei piu' vari commentatori, ben saldi sui loro scranni, totalmente falsi e indegni.
La pervasivita' di questo sistema di pensiero e la sua deleteria influenza si possono riscontrare facilmente nei loro esiti che abbiamo di fronte ai nostri occhi ogni giorno:
La bruttezza e l'estrema standardizzazione dei prodotti di massa, l'insalubrita' di alimenti e medicinali, i tentacoli sempre piu' invadenti di sistemi burocratici (gli arbitri sempre corrotti piu' o meno cosapevolmente), lo stess continuo e soffocante, l'assordante merdume sparso a piene mani da tutti i mezzi di comunicazione di massa, la distruzione sistematica di habitat naturali e umani.. l'elenco puo' essere quasi infinito... non sono altro che il frutto del “successo” ottenuto attraverso l'ideologia di chi vince ha sempre ragione. Un discorso autoreferenziale che sta alla base del sistema di potere che ci domina.
Il mitico concetto del fair play puo' trovare ancora applicazione in qualche competizione tra lord inglesi o nelle strette di mano di uomini dal gusto un po antico, in fatti minori della nostra vita quotidiana o in villaggi sperduti non ancora completamente invasi ada questa ideologia.
Un po' di umanita' rimane anche nelle nostre citta', dove seppur in una condizione di estrema pressione c'e' chi ancora distingue gli amici dai nemici, mantenendo con i primi rapporti fondati su valori piu' umani che non siano quelli della lotta fino alla fine o kl'opportunismo di avere alleati.
Ma la battaglia continua comunque e ovunque creando uno stato di ansia permanente in ognuno di noi, perfettamente ingegnerizzato dai signori di questa guerra, per cui assistiamo a necessarie fughe in oblii alcolici o chimici o sensuali di molti o a estreme esplosioni di violenza di pochi altri, in questo caso piu' in sintonia con l'effettivo stato delle cose.
Uno dei fenomeni piu' assurdi e incomprensibili della nostra societa' moderna dalla fine della grande guerra ad oggi, e' la costante maggiore invadenza nelle nostre vite del “lavoro” in termini di tempo e di coinvolgimento emotivo.
Da che la “tecnologia” doveva liberarci dal fardello di lavorare, aprendo nuovi spazi alla nostra espansione mentale, siamo al punto che il lavoro si prende quasi tutto di noi, e sempre di piu'.
Ma questo in un contesto di guerra permanente appare totalmente logico, se l'obbiettivo individuale e sociale e' solo quello di vincere, piu' gli altri si mobilitano, piu' noi ci dobbiamo mobilitare per controbattere, creando un escalation di esaperazioni che si confrontano in una battaglia che non avra' mai fine se non con la propria autodistruzione fisica e morale.
Le nostre risorse sono finite, quelle dei signori della guerra no. Se si gioca il loro gioco, loro vincono noi moriamo.
Poi ci sono gli altri, quelli che non lavorano, i disoccupati (mi ricordo Silvano Agosti un bel po di anni fa in un cinema della mia citta' disse che il contrario di occupato non e' “disoccupato” ma “libero”), loro hanno gia' perso, o neache partecipato, sono i paria, i fantasmi o i gia' morti di questa guerra.
I due caratteri predominanti di questo stato di guerra permanente sono, mi ripeto:
-
Le grandi strutture corporative, troppo grandi da temere un confronto tranne che tra se stesse, che hanno iniziato ed esportato questo paradigma, da un lato.
-
I vari popolini del globo che hanno interiorizzato questo paradigma, e alimentano nuovi focolai di guerra ovunque nel mondo, dandogli un peso ben maggiore di quello che aveva gia', dall'altro.
Vivere in queste condizioni per normali esseri umani non e' sostenibile e, visto che il processo sembra esasperarsi con progressive accellerazioni, l'esito non puo' che essere il rifiuto di molti ad un certo punto di combattere e la richiesta di un aiuto, di un interveto esterno pacificatore.
A quel punto, quando si sara' raggiunta la massa critica, i vari popolini del mondo accetteranno quasiasi soluzione a loro proposta... da chi? e' facile saperlo....
La scena finale del film “i 7 Samurai” di Kurosawa mi lascio' sempre perplesso: i due samurai sopravvissuti, dopo aver sconfitto i banditi, assistono in disparte alla festa del villaggio che hanno difeso solo in cambio solo di cibo. Parlano tra loro e il leader del gruppo dice al suo amico: ce l'abbiamo fatta ancora una volta, anche se molti valorosi sono morti. Certo siamo vivi, quelli del villaggio festeggiano la vittoria, ma noi abbiamo perso, noi perdiamo sempre”.
La lascio cosi', non so commentarla, e magari non c'entra nenche nulla con quello che ho detto su, ma sento di lasciarvela qui, che ognuno si faccia la sua idea di quello che intendeva il grande Akira.
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