Un giorno stavo parlando con un mio amico francese e, siccome io sono italiano, si è arrivati a parlare di Berluscone. Il mio amico è un ingegnere delle telecomunicazioni, ha insegnato all'università per qualche tempo, prima di lavorare in Germania ha vissuto a lungo in Inghilterra. Tanto per sottolineare che non è il primo babbalone di passaggio, ma una persona dotata di sicura intelligenza. Dicevo, tocchiamo l'argomento Berluscone. Il francese, che si informa e studia, comincia ad enumerarmi tutto quello che B. ha fatto e non ha fatto... il ragazzo è certamente informato. Parla che ti parla, capisco che l'idea di Italia che si è fatto è di un posto come la Francia, solo che c'è Berluscone a rovinare tutto. Se non ci fosse lui, in Italia si starebbe bene. Cerco di fargli capire che è vero che Berluscone è un problema, ma che appunto è un, non il problema. Ma non c'è niente da fare, lui è convinto e cerca di spiegare a me come funzionano le cose nel mio Paese. Dopo un po' lascio perdere, perché capisco che in effetti, a meno di non leggere la stampa filoberlusconiana, tutti gli altri dipingono il Berluscone esattamente a questo modo: come un tumore nato in un corpo altrimenti sano. Berluscone, per il mio amico e per le fonti da cui prende le notizie, è la causa di un male, estirpata la quale il corpo tornerà ad essere sano.
E' lo stesso discorso che si fa per il crocifisso. Eliminiamo il crocifisso dalle scuole, così avremo una scuola migliore e più rispettosa di tutti. Eliminiamo i privilegi fiscali alle curie, così diventeremo un Paese migliore e meno bigotto.
E' questa forma mentis ad essere sbagliata, ed è questo che contestavo nel post precedente. E' il credere che l'Italia faccia schifo per colpa di una causa o due e che sia sufficiente asportarla per farla ritornare com'era (per inciso, è il modo di pensare speculare a quello di leghisti e berlusconiani: in Italia ci sono i comunisti che controllano tutto ma, eliminati loro e messi i nostri, tutto andrà meglio).
Credere questo significa postulare l'esistenza di uno stato primigeneo di naturale bontà, dal quale l'Italia è stata strappata da Berlusconi, dal Vaticano, da Andreotti o da altro a scelta. Il problema è che questo stato di bontà non esiste e non è mai esistito. Il problema è che sembra impossibile parlare di queste cose senza che l'interlocutore si tappi gli orecchi e chiuda gli occhi. E un motivo c'è.
A parte le ovvie e dovute eccezioni, oggi i pubblici sostenitori dello Stato laico tendono a sinistra. Essi cercano in qualche modo di far passare l'idea che l'Italia sia uno Stato di stampo anglosassone, con un codice penale di stampo anglosassone, un sistema elettorale e politico di stampo anglosassone. Questo perché cercano di far proprie tutte le idee dello stato liberale di stampo anglosassone, ma non ne sono capaci, poiché fino all'altro ieri loro o i loro “padri politici” letteralmente sputavano addosso alle idee liberali. Forse in molti lo hanno già dimenticato, forse alcuni lettori più giovani non possono ricordarlo, ma la politica italiana era sostanzialmente divisa tra Democrazia Cristiana da una parte, Socialisti e Comunisti dall'altra. Il tutto innestato su una struttura sociale, politica ed economica fascista. I liberali veri erano pochi, inascoltati e sostanzialmente ininfluenti.
Ciò significa che le due principali e più potenti forze sociali in Italia erano entrambe fortemente avverse ai principi di uno Stato laico e liberale. Lo Stato laico, liberale di matrice anglosassone si fonda sul principio che l'individuo è detentore di diritti inalienabili, tra cui vi è la proprietà, e che lo Stato debba ridurre la propria azione al minimo indispensabile nel regolare i rapporti tra individui, con tutte le conseguenze sul piano economico, giuridico, sociale. Ora, tutto ciò era profondamente inviso ai socialisti (in senso lato) perché contrario alla loro ideologia. Ma ciò era inviso anche ai democristiani, perché la dottrina sociale della Chiesa condanna(va) sì il socialismo, ma altrettanto condannava le idee liberali e capitaliste. Entrambi gli schieramenti, poi, si trovavano a proprio agio perché la struttura portante dello Stato (codice penale, esercito, polizia, scuola...) era fascista, cioè nasceva in un contesto in cui l'individuo era considerato subordinato alla collettività, andando volutamente contro i principi di uno stato liberale anglosassone.
In altre parole: la classe dirigente italiana sopra i 35 anni per tutta la vita ha seguito queste ideologie e non è attrezzata culturalmente per parlare di stato laico o liberale. Non lo è perché dal 1924 in poi essa è stata educata a ritenerlo un male contrario all'interesse generale e in questi 80 anni ha modellato il Paese secondo questa impostazione culturale. Quindi, quando Bersani vi parla di liberalizzare le licenze dei taxi, ricordate che per tutto il resto della sua vita ha predicato l'abolizione delle proprietà privata. Non aggiungiamo altro.
Ciò detto, esiste in Italia un buon numero di persone istruite, con lavori intellettualmente stimolanti, che vorrebbe vivere in un Paese di stampo anglosassone. Questo desiderio è talmente radicato nel loro animo, da impedir loro di vedere quello che altrimenti è sotto gli occhi di tutti: che l'Italia non è uno Stato anglosassone. Poiché l'esperienza fa cortocircuito con la loro idea, cercano di trovare una causa a questo cortocircuito, individuandola in alcuni oggetti specifici, siano essi Berluscone, il crocifisso o altro.
Attenzione, non sto dicendo che queste persone abbiano torto nei principi, sto dicendo che credono talmente tanto in quei principi da confonderli con la realtà, impendendo loro di analizzarla per quello che è. E' una situazione che è sempre esistita in Italia. Una parte della classe dirigente è genuinamente mossa da ottimi intenti, è colta, studia, parla le lingue, si sente cosmopolita e sa prendere quello che di buono arriva dall'estero. Ma soffre di un difetto ancestrale: stare lontana dalla realtà, dalla gente comune e, in ultima istanza, essere incapace di modificare quella realtà. E così non comprende alcuni fatti di per sé molto semplici. Un ottimo esempio di tutto questo è, per limitarci alla cultura pop, Marco Travaglio. Travaglio è un ottimo giornalista, fa benissimo il suo mestiere, ma evidentemente non si rende conto di come sia la realtà italiana. Leggendolo, si capisce che per lui i giudici farebbero bene il loro lavoro, se solo non esistesse qualche politico corrotto; la polizia pure, le leggi e la Costituzione anche. Per Travaglio, almeno da quello che si può capire leggendolo, tolto di mezzo Berluscone e qualche amico suo, l'Italia tornerà ad essere quello che non è mai stata, cioè uno stato in cui il diritto regna sovrano, i torti vengono raddrizzati, i poveri hanno le stesse opportunità dei ricchi e la legge è più forte del più forte. Secondo Travaglio, senza Berluscone l'Italia ridiventerà l'ipotetico stato di diritto anglosassone teorizzato a cavallo tra sette e ottocento da una manciata di filosofi liberali che secondo lui dovrebbe essere, e che quindi è. Ma se anche voi vivete nello stesso Paese di Travaglio, sapete benissimo che non è così. Perchè?
Perché in Italia hanno proliferato fascismo, DC, PCI, CL e le Coop rosse? Perché in Italia la corruzione è il motore che regola i rapporti tra politica ed economia? Perché esiste la mafia? Perché esistono i nepotismi? Perché si trova lavoro solo grazie alla rete di conoscenze e parentele? Perché l'apparato giudiziario e poliziesco è ancora quello già condannato da Manzoni? Perché si insegna la religione cattolica a scuola?
La risposta piacerà a pochi, ma il fatto è che in Italia, nella concezione dei rapporti sociali ed economici, siamo ancora legati al feudalismo. Tutti i perché delle righe precedenti si originano in questo tratto costituente della mentalità italiana. Tutti quelli che sembrano mali, in realtà sono solo il proseguire di una mentalità che in altri Paesi è tramontata da tre secoli.
E non parlo tanto della popolazione in generale. Mi riferisco proprio alla classe dirigente, ai professionisti, agli intellettuali. Sono costoro che giocoforza segnano la direzione che il Paese prenderà. In altri Paesi il modello socio-economico feudale è stato sostituito da quello dello Stato moderno. In Italia no. In Italia si è cercato di sovraimprimere la forma-Stato su un territorio che non voleva né poteva assumerla.
Non è un caso che l'Italia sia stata una grande nazione finché è arrivata la modernità. Finché l'antico regime ha funzionato, ne siamo stati straordinari interpreti. Non gli unici, non direi mai una cosa del genere, ma a lungo l'Italia è stata faro di cultura e civiltà. Quando l'antico regime è crollato ed è stato sconfitto dal nuovo Stato moderno, da una nuova concezione di uomo, di economia, di cultura, l'Italia non ha saputo tenere il passo, ed è rimasta quella di prima in un mondo stravolto.
Mafia, nepotismo, corruzione, superstizione religiosa sono quel che resta dei rapporti socio-economici pre-moderni nel mondo post-industriale (prego notare l'abbondante uso di trattini, che fanno tanto articolo accademico). Dei fossili culturali che non possono interagire attivamente con l'ambiente in cui si trovano. E non è che eliminando il crocifisso dalle scuole o Berluscone dal governo cambierà qualcosa, perché quelli sono solo gli effetti e non la causa dei problemi.
Il problema è avere una classe dirigente profondamente ignorante e tagliata fuori dal mondo. In Italia sforniamo laureati che a malapena sanno leggere e scrivere. Abbiamo medici convinti che la pillola del giorno dopo sia aborto. La maggioranza degli insegnanti italiani non sa usare un computer e si rifiuta di imparare, così come moltissime persone colte si rifiutano di utilizzare dei banali strumenti informatici perché si rifiutano di accettare la modernità. Ci sono schiere e schiere di studenti che vengono allevati secondo i principi educativi gentiliani, secondo cui l'unica cultura buona è la cultura morta. Ecco che abbiamo pochi ingegneri e fisici, ma schiere di umanisti. Almeno, produciamo cultura? No, perché abbiamo una schiera di intellettuali che non vive in questo mondo perché gli fa schifo e quindi non è in grado di produrre cultura, ma solo ripetizione onanistica di poesie scritte 1000 anni fa.
In altri paesi la gente studia perché vuole lavorare da Google o Microsoft, da noi studia per vincere il concorso. In altri paesi la gente studia letteratura e finisce a scrivere sceneggiature per i Soprano, da noi per diventare supplente a vita. E non per sfiga, ma perché da noi chi studia schifa tutto, schifa il moderno, schifa la televisione, schifa la letteratura commerciale, schifa i videogiochi, schifa Facebook, schifa internet, schifa l'economia. E tutto questo principalmente perché è quello che viene loro insegnato. Le conseguenze sono catastrofiche: mentre in altri Paesi le teste migliori vengono cercate e incentivate e vengono utilizzate per creare il mondo circostante, da noi no, è il contrario.
Non credete a quello che scrivo? Massimo Fini ha pubblicato un articolo sul Fatto in cui elogia il feudalesimo, le caste, le gilde, la servitù della gleba e tutti quello che ci va di contorno. Capite? Il feudalesimo, il medioevo vengono proposti come modelli economici di riferimento. Non si tratta di stabilire fanciullescamente se un periodo storico sia stato buono o no, ma di essere convinti che un modello socio-economico superato da 300 anni sia una valida alternativa al presente. Per me è rasentare la follia, a dir poco. E' come cercare di risolvere il problema del traffico cittadino proponendo il ritorno del cavallo.
E' facile capire che in questo contesto Berluscone è solo l'effetto e non la causa; che togliere il crocifisso dalle classi più che far contento qualche mangiapreti non può. C'è un'intera classe dirigente da cambiare. Nel mio piccolo, lo sperimento ogni giorno. Come ho già scritto, lavoro in una azienda internazionale leader del settore, insieme a gente di molte e molte nazioni e dove il turn-over dei lavoratori è relativamente alto. Gli italiani che arrivano fanno impressione anche a me che sono italiano. Non fraintendetemi, sono tutti antiberlusconiani, ci mancherebbe. Salvo poi iniziare a costruire la propria rete di amicizie sul lavoro, quella ragnatela mafiosetta e paracula nella quale entra solo chi dicono loro e dalla quale sono esclusi tutti quelli che potrebbero emergere. Immancabilmente, quelli bravi rimangono poco e sono osteggiati, mentre le capre ammanicate prosperano e si moltiplicano. Nel mio dipartimento, il girone degli infimi, la cosa si fa sentire in maniera leggera, ma già vedo i gironi più alti e la situazione è drammatica. Laureati in lingue che non sanno parlare inglese. Manager che scrivono mail in cui non si capisce cosa vogliano dire. Però per carità, tutti a parlare male di Berluscone in pausa caffè, tutti a prendere in giro i provini del grande fratello, poco importa che loro siano uguali a quelli che prendono in giro.
Perché è facile dare la colpa al Berluscone o al crocefisso; meno facile è fare autocritica e chiedersi se non si sia parte del problema, anziché vittime del sistema.
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