Quali regole per il mercato?
L’uomo della strada, scevro di nozioni economiche, tende a vedere con sospetto l’economia di mercato. Dopotutto essa consiste di una miriade di individui che agisce egoisticamente per raggiungere i propri obiettivi, non preoccupandosi affatto di quello che è il cosiddetto “bene comune”. Il mercato è una giungla dove vige la legge del più forte, dove trionfa l’odiata logica del profitto. Come possono gli economisti liberisti affermare che il mercato si regola da sé e porta al benessere collettivo guidato dalla mano invisibile di Adam Smith? Le crisi economiche non dimostrano forse che questa visione è completamente errata?
Seguendo questa prospettiva diventa necessario che ci sia un organismo di vigilanza che intervenga con la necessaria motivazione e conoscenza per regolamentare il mercato ed impedire che si autodistrugga.
Come abbiamo visto nel primo capitolo, però, il liberismo laissez-faire non sostiene che il mercato proceda con il pilota automatico e nemmeno che le regole non siano necessarie. Mette però in guardia contro gli interventi statali che, distorcendo i segnali prodotti dal mercato, producono boom insostenibili ed il proliferare di comportamenti di azzardo morale.
La teoria neoclassica: servono regole al mercato?
Vi è poi la posizione della teoria economica neoclassica, la quale considera il mercato (o meglio i mercati) come uno stato piuttosto che come un processo dinamico. Studiando microeconomia si impara la nozione di “stato di equilibrio economico generale” o di “concorrenza perfetta” senza che venga minimamente affrontato il problema di come si arrivi a questo stato. Spesso e volentieri, poi, la teoria viene elaborata supponendo che ogni attore possieda una perfetta informazione riguardo l’intera economia.
Gli economisti che seguono questo approccio si possono poi dividere in due categorie:
C’è chi ipotizza che i mercati realizzino sempre un risultato vicino a quello di equilibrio competitivo. Il sistema di mercato, quando non è distorto dagli interventi del regolatore, è efficiente ed i prezzi sono approssimativamente al loro livello ideale in modo che tutte le opportunità di transazione volontaria sono realizzate. I problemi sono tali solo per chi ha idee e valori che si discostano da quelli prevalenti nel mercato e quindi non vi è affatto la necessità di un intervento del regolatore che anzi è solo deleterio.
Questi sono gli economisti che l’uomo della strada chiama “liberisti” ma il più delle volte queste posizioni in realtà sono utilizzate solo per giustificare interventi di apparente deregolamentazione che in realtà forniscono privilegi a particolari gruppi di interesse.
Vi è poi un’altra categoria di economisti che segue l’approccio microeconomico neoclassico la quale nota invece come i mercati sono spesso lontani dalla situazione di equilibrio competitivo. Se questo avviene, in assenza di intervento distorsivo dello Stato, è perché vi è la presenza di asimmetrie informative o di cartelli che impediscono di raggiungere lo stato di perfetta concorrenza e di assicurare alla collettività l’allocazione ottima delle risorse.
Queste situazioni non ottimali sono chiamate “fallimenti del mercato” ed il regolatore è chiamato in causa per correggere la situazione ed assicurare che la situazione ottima venga raggiunta.
Mises, Hayek ed il mercato come processo
La scuola austriaca di economia contesta espressamente la visione del mercato come stato ed invece concentra il suo studio sul processo dinamico che guida gli attori economici verso uno stato di equilibrio posto lontano nel tempo ma che non viene mai raggiunto.
Scrive Mises (2007, p.244):
«Lo stato di equilibro finale è una costruzione immaginaria, non una descrizione della realtà. Questo perché lo stato di equilibrio finale non verrà mai raggiunto. Emergeranno sempre nuovi fattori di disturbo prima che venga realizzato. E’ necessario ricorrere a questa costruzione immaginaria perché il mercato, ad ogni istante, si sta muovendo verso questo stato di equilibrio. Ogni istante successivo, però, può creare nuovi fatti che alterano lo stato di equilibrio finale».
Friedrich Hayek (2002) va oltre e sottolinea l’assurdità di chiamare “concorrenza perfetta” uno stato in cui «l’opportunità per quell’azione che chiamiamo competizione non c’è più».
Nell’economia di mercato o meglio l’ordine di mercato, come viene definito da Hayek, gli individui prendono le loro decisioni di consumo, produzione, etc. in base alle opzioni disponibili che ritengono migliori .
Poiché il risultato di queste scelte dipende dalle azioni future di tutti gli altri attori economici, esse sono prese sulla base delle aspettative di quello che sarà il futuro. Poiché il domani è incerto alcune aspettative saranno giuste, altre sbagliate e le scelte fatte condurranno a risultati (guadagni o perdite) che verranno utilizzati per formare aspettative più accurate.
L’ordine di mercato, in sostanza, è un processo di scoperta in cui i partecipanti vengono a conoscenza, attraverso gli scambi, i profitti e le perdite, di quelle che sono le abilità ed i desideri degli altri. Ad esempio se nell’anno 2008 vengono vendute molte meno automobili rispetto al 2007, ciò significa che i consumatori non intendevano realmente comprare ogni anno così tante automobili come era sembrato in precedenza. Le perdite nel settore automobilistico segnalano quindi che, per il 2009, il mercato richiede meno automobili e non che il governo deve intervenire con leggi (es. proibendo la circolazione delle vecchie automobili) e sussidi per stimolare la domanda di automobili nuove.
Qual è una buona regola per il mercato?
Seguendo il pensiero di Hayek, Israel Kirzner (1982) scrive che:
« [Per giudicare gli interventi del regolatore sul mercato] dobbiamo chiederci: può la struttura istituzionale (o le modifiche che vengono proposte) stimolare un flusso ragionevolmente regolare e significativo di scoperte corrette? [..] Se una modifica aumenta la propensità del sistema di stimolare (corrette) scoperte allora rappresenta una proposta “benigna”; al contrario, se è invece probabile che la proposta impedisca o alteri il processo di scoperta allora è dannosa.»
Come spiega sempre Kirzner il mercato, laddove non via siano barriere artificiali che impediscono a nuovi potenziali competitori di entrare, tende ad assicurare il processo di scoperta delle informazioni mentre il regolatore istituzionale, anche quando non è spinto da interessi particolari (ad es. le lobby) tende a stabilire regole dannose.
«E’ probabile che i tentativi di migliorare [il processo di scoperta del mercato] con regole dirette siano basati su informazioni erronee (perché i regolatori non possono utilizzare il processo di scoperta costituito dalla ricerca del profitto) e quindi probabilmente bloccheranno o produrranno distorsioni al delicato processo di scoperta del mercato».
Abbiamo visto come tutta la regolamentazione del settore immobiliare abbia alterato il processo di scoperta delle informazioni di quel mercato (i prezzi delle case) e come l’intervento della Fed abbia invece alterato il processo di scoperta dell’intera economia, alterando artificialmente il tasso di interesse.
E’ quindi la deregulation la soluzione? Non è detto.
Il criterio di giudizio proposto da Kirzner ed Hayek è infatti valido non solo quando viene introdotta una regola ex novo ma anche quando viene modificato il sistema esistente e quindi anche quando viene rimossa qualche regola.
Come nota Thomas Woods (2008)
«In un sistema tanto lontano dal vero libero mercato che terze parti (i contribuenti) devono pagare per il comportamento folle e azzardato di imprese private [..] la “deregulation” è l’approccio migliore? Questo a meno che non si proceda ad una vera deregulation, che abolisca tutti i privilegi di monopolio e promuova la libera concorrenza, che tratti le banche come un’industria qualsiasi e non come istituzioni privilegiate che possono scaricare sulla collettività i costi dei loro errori, e che soprattutto che proceda ad eliminare il monopolio governativo sulla moneta, ovvero la causa prima del ciclo economico e dell’inflazione.»
Conclusione: Ritorno al libero mercato
Ludwig Von Mises (2007) sosteneva che esistono due concezioni economiche di società estreme ed opposte: la prima è quella del libero mercato così come concepito dai sostenitori del capitalismo laissez-faire, la seconda è la pianificazione centrale tipica della concezione socialista.
Le società reali si collocano in una via di mezzo tra i due estremi ma, sempre secondo Mises, finché permane la possibilità di uno scambio tendenzialmente libero, ovvero finché rimane un sistema di prezzi di mercato, esse saranno sempre economie di mercato, più o meno distorte dall’interventismo statale.
Friedrich Hayek ( 2002) sottolineava proprio come fosse il sistema dei prezzi a coordinare l’informazione e la conoscenza e conciliare quindi le pretese individuali su risorse scarse. E’ quindi chiaro che, secondo questa visione, avere un sistema di veri (non distorti) prezzi di mercato è necessario per assicurare quel delicato processo di scoperta che è alla base dell’ordine di mercato.
Ma qual è il prezzo più importante per l’ordine di mercato? Secondo gli economisti austriaci, questo “prezzo” è il tasso di interesse, perché trasmette informazioni sulle preferenze temporali degli attori del mercato (quanto vogliono consumare? Quanto risorse sono state risparmiate per finanziare gli investimenti?) e permette quindi il coordinamento della produzione nel tempo.
La distorsione artificiale del tasso di interesse, provocata dalle banche centrali e dal sistema bancario, produce un generale scoordinamento temporale tra le decisioni degli agenti economici investitori e i consumatori, producendo quindi i cicli economici di espansione e contrazione.
Le politiche fiscali anticicliche keynesiane, le politiche monetarie monetariste ed i giochi di prestigio di Greenspan, non solo non sono necessari per stabilizzare l’economia ma anzi vanno a distorcere ulteriormente la struttura produttiva, impedendo che questa si riorganizzi.
Quello che è necessario è invece riformare il sistema monetario vigente, basato su di una moneta fiat e sulla garanzia statale dei depositi delle banche commerciali, per tornare ad una moneta sana e ad un sistema bancario solido.
Quali regole possono assicurare questi obiettivi? Anche in questo caso sono state proposte soluzioni molteplici:
Murray Rothbard (2001) ha proposto il ritorno all’oro come moneta (si badi bene all’oro, non al gold standard), ovvero ad una moneta coperta al 100% da riserve aurifere, e ad un sistema bancario in cui le banche commerciali sono obbligate a mantenere a riserva il 100% dei depositi a vista dei propri correntisti.
Friedrich Hayek (2008b) ha proposto una soluzione diversa, liberalizzando di fatto la produzione di moneta e lasciando che sia il mercato a decidere quale moneta privata adottare. Per quanto riguarda invece il sistema bancario, Hayek propone la soluzione del free banking, ovvero lasciare che siano le banche stesse a decidere quale percentuale dei depositi tenere a riserva ma senza che vi sia una garanzia statale dei depositi e quindi una protezione dai bank run. Anche in questo caso sarà il mercato a selezionare le banche più virtuose.
A quanto pare gli Stati sono invece intenzionati a seguire un’altra strada, ovvero la creazione di una moneta internazionale (o un paniere di monete) e di una vera e propria banca centrale mondiale.
E’ inutile dire che questa soluzione non risolverebbe affatto il problema dei cicli economici ma anzi lo renderebbe ancora più globale e distruttivo nei suoi effetti.
Come scriveva Rothbard (1990):
«l’obiettivo massimo della maggior parte dei leader politici americani e mondiali è la vecchia visione keynesiana di un sistema basato su un’unica moneta cartacea a corso forzoso, una nuova unità monetaria emessa da una Banca di Riserva Mondiale (BRM). Che la nuova moneta sia chiamata “bancor” (secondo la proposta di Keynes), “unita” (proposto da Harry Dexter White, funzionario del Tesoro americano durante la seconda guerra mondiale) o “phoenix” (suggerito dall’Economist) non è importante. L’aspetto essenziale è che tale moneta cartacea internazionale, sebbene immune dalle crisi delle bilance dei pagamenti (perché la BRM potrebbe emettere “bancor” a piacimento e determinarne la quantità per qualsiasi paese), offrirebbe un canale per un’inflazione mondiale illimitata, non disciplinata da eventuali crisi delle bilance dei pagamenti o da riduzioni nei tassi di cambio. La BRM sarebbe quindi il potentissimo soggetto che stabilisce la quantità di moneta in tutto il mondo e la sua suddivisione fra paesi. La BRM potrebbe assoggettare il mondo ad una illusoria inflazione controllata. Sfortunatamente, niente si opporrebbe al catastrofico olocausto economico dell’iperinflazione mondiale, niente eccetto la dubbia capacità della BRM di regolare l’economia mondiale»
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