Sono nato in un paesino di campagna. Quando ero piccolo piccolo e uscivo dalla porta di casa, trovavo le galline della vicina a farmi festa. Il mio babbo lavorava i campi a tempo perso e io potevo sedere sul parafango del trattore (una volta si usava così, tenendosi con le mani al bordo della lamiera. E siamo ancora tutti vivi. I miracoli esistono). Quando si cominciava a crescere, iniziava la prima voglia d'evasione. Avevamo la televisione. Guardavamo Happy Days e pensavamo che l'America fosse quella degli anni 50 rappresentata da un telefilm degli anni 70, poi guardavamo i film e vedevamo l'America degli anni 80. A quell'età non si va molto per il sottile: era America, sia col ciuffo di Fonzie sia con i grattacieli di Manhattan, non si perdeva tempo a sindacare.
Cominciavo a sentire il paese stretto e volevo la città. Solo che a nove, dieci anni il concetto di città è dello stesso tipo di quello di America: basta che non sia qui e ci siano un po' di palazzi. E dopo poco fui accontentato. A scuola in città. Città chiamavo quella specie di paesone con le mura attorno. In effetti notavo delle differenze. La gente parlava italiano e non dialetto. I giovani spendevano soldi in motorini costosi, anziché comprare un Ciao e tamarrarlo pezzo per pezzo (generalmente per mezzo de il Polini, rigorosamente al maschile). L'interesse delle ragazze crolla a valori negativi (niente fetish del villico, purtroppo). Nessuno ascoltava musica da discoteca (che era l'unica riguardo alla quale potevo esprimere qualche genere di cultura, non nel senso che mi piaceva, ma nel senso che era quello che si ascoltava nella mia cultura).
Comunque, a parte un primo periodo di assestamento, dopo un po' capii che, miglioramenti estetici a parte, quel paesone con le mura non era esattamente la “città” come l'avevo immaginata. Certo, la gente si vestiva secondo la moda di due anni prima, anziché sette anni come al mio paese, ma sempre fuori moda era. E in fondo la differenza media di larghezza di vedute non era sensibile. Alla fine anche il paesone con le mura ha cominciato ad andarmi stretto.
Sono finito all'università, pensando che lì ci sarebbe stata almeno una scrematura degli elementi presenti. All'inizio poi pensavo proprio di essere l'ignorante capitato per caso, perché tutti parlavano di cose molto noiose con termini molto ricercati. Ma anche qui, è bastato acclimatarsi per vedere che la maggior parte dei colleghi non era certo molto più educata di me e in molti casi era... direi quasi meno educata di me. C'erano i fini intellettuali, ma credo che adesso stiano ancora in ginocchio sotto la scrivania di qualche docente nella speranza di ottenere un dottorato.
Non fraintendetemi: ho trovato carissimi amici all'università. Il problema erano le aspettative che facevano a pugni con la realtà.
E così, tra il lusco e il brusco e senza particolare stupore dei lettori, mi sono trovato all'estero. Mai da piccino avrei pensato di finire ad abitare nel paese da cui provenivano quegli strani personaggi che vedevo al mare indossare bislacche calzature e che assumevano strani colori di pelle dopo cinque minuti di esposizione solare. Men che meno avrei immaginato di condividere in peccato mortale il giaciglio con una dolce Fräulein, di andare al lavoro tra i grattacieli e di parlare con i colleghi in una lingua straniera.
Forse qualcuno potrebbe pensare che si scateni l'effetto “ragazzo di campagna”, arrivando . Invece no... perché lungo l'ascesa dal dalla campagna alla metropoli si impara a non aspettarsi niente e anche la città straniera alla fine così grande non è, così caotica insomma dai, non esageriamo.
La cosa interessante è come cambia l'ottica con cui si guarda al proprio Paese, soprattutto in certi aspetti. Ad esempio l'esterofilia italiana. E' una cosa abbastanza tipica, di cui soffrono in molti (in qualche modo anche io ci sono passato).
Essa non è molto, anzi direi per niente, differente dal mio atteggiamento di bambino che voleva andare a vivere in città: enormi aspettative riguardo ad una realtà ignota ma idealizzata. L'esterofilia è il tratto tipico di chi l'estero lo ha visto in cartolina e pensa che la cartolina sia la verità. Ultimamente poi, a leggere giornali e blog, pare che l'Italia sia un paese di neandertaliani mentre gli altri sono delle Città del Sole; sembra che fra poco arriveranno degli esploratori dall'Europa a portare la ruota e il fuoco.
E' chiaro che in altri Paesi molte cose funzionano meglio. In generale non c'è una corruzione così pervasiva e questo conta molto. Se dovete prendere un treno avete la ragionevole certezza che parta e arrivi in orario. O che parta. O che arrivi. E via dicendo. Quello che però l'esterofilo non sa, perché non lo può vedere in una settimana di vacanza o leggendo un quotidiano italiano, sono gli aspetti più importanti e preponderanti della vita normale in un Paese straniero.
Sorrido sempre, ad esempio, quando sento parlare della tv straniera come esempio da imitare e di quanto sia migliore della pessima tv italiana. Che la tv italiana sia pessima è un dato di fatto; ma un altro dato di fatto è che l'80 per cento delle trasmissioni italiane sono format stranieri che si vedono in tutto il mondo. Ciò significa che Amici, il Grande Fratello, UnoMattina, Ballando sotto le stelle li potete vedere uguali in ogni Paese d'Europa. E a volte sono peggiori di quelli italiani: a confronto dei partecipanti tedeschi, i “ragazzi del Grande Fratello” sono un gruppo di dotti a convivio; i miei poveri occhi hanno assistito ad una puntata in cui una specie di truzzona bionda si faceva la doccia completamente nuda, esibendo due seni al silicone grandi come palloni da calcio, perfettamente sferici e ignari della gravità, a guardia del suo delicato fiore che ha avuto la cortesia di mostrare a tutta la Bundesrepublik. In giro per i vari YouPorn troverete numerose sessioni di sesso esplicito, ricco di particolari, provenienti dai vari Grandifratelli europei.
La mia esperienza con la tv tedesca è questa: 70 per cento di reality-show. Di tutti i tipi. C'è un reality per ogni cosa, persino per chi vuole diventare parrucchiera. 20 per cento di film e telefilm, la cui parte preponderante è americana ed una frazione è tedesca, ma cerca di scimmiottare quella americana (tipo Ris vs. Csi, per capirci). Il resto varie ed eventuali, telegiornali e programmi assortiti (molti di cucina).
In sostanza è come la tv italiana, solo che non esistono le veline. Quindi immaginate la tv italiana privata dell'unica cosa che la rende interessante e avrete la tv tedesca. Una noia senza limiti, per la quale pagate 17 euro al mese per apparecchio.
Sicuramente uno o due lettori se ne usciranno con la pensata che almeno qui in Germania non si fa strame della figura femminile. Dipende. Sicuramente non esistono quei personaggi tipo la Varone o Monica Setta o la Parietti, perché non esiste nella mentalità tedesca l'idea di donne del genere, ancor di più se di classe sociale elevata. D'altro canto, in tv non vedete mai donne vecchie, grasse e molto intelligenti. Le conduttrici e le giornaliste televisive sono tutte estremamente belle (più che in Italia – a dire il vero), quindi le cose sono due: o le brutte schifano la tv per principio, oppure ai provini le donne vengono giudicate a seconda del loro grado di avvenenza.
Oh, dimenticavo... ARTE. Credo sia memorizzata attorno al 17, ma la evito perché succedono cose strane: se per caso cammino di fronte alla tv sintonizzata su ARTE, mi addormento immediatamente, cadendo come corpo morto cade e rischiando l'osso del collo. Meglio evitare.
Altro luogo comune è che nel resto d'Europa tutti lavorino con contratti a tempo indeterminato, salvaguardati da un sistema pubblico di assistenza e previdenza che funziona alla perfezione, con una sanità che ti tratta da gran signori.
Non posso parlare per gli altri stati, anche se di recente ho sentito la storia di una ragazza tedesca che lavora in Svizzera, la quale – incinta – ha lavorato fino a 2 giorni prima del parto (venerdì al lavoro, domenica parto) e che presto dovrà tornare in ufficio, perché in Svizzera funziona così. Però vi posso dire quello che vedo qui in Germania.
A lungo la Germania è stata un Paese tra i più vicini al concetto di “socialismo di Stato”. Le condizioni salariali erano ottime, vacanze come neanche a scuola, sanità gratuita e università eccellente. Un operaio della Opel lavorava 30 ore la settimana per uno stipendio più che ottimo; un quadro di una grossa industria automobilistica amico di Frau Angelo lavora(va?) 25 ore a settimana e spendeva grosse porzioni del suo anno in Austria a sciare. Ho conosciuto persone dell'ex DDR che campano col sussidio di disoccupazione da quando è caduto il muro, fanno vent'anni tondi, solo perché non hanno intenzione di trovare altro lavoro se non quello che facevano quando c'erano i soviet. Insomma, le portate del pranzo sono state ricche ed abbondanti, ma prima o poi qualcuno deve pagare il conto. Cioè chi lavora oggi.
Scordatevi il sistema sanitario nazionale. Ogni persona ha un'assicurazione sanitaria privata. Privata. Il che vuol dire che se non paghi, non hai l'assicurazione sanitaria (anche se non so nel concreto cosa accada a chi non ce la fa). In più il mio stipendio viene tassato ad oltre il 40% ma, siccome le vacche sono magre, dal netto che incasso devo far saltar fuori i soldi per una pensione integrativa privata (altrimenti quello che riceverò da vecchio servirà a malapena a pagarmi il pannolino) e per l'equivalente privato della previdenza sociale, nel caso in cui avessi un incidente e non potessi più lavorare. Una vita di contributi lasciata andare a violette.
Trovare un lavoro a tempo indeterminato è assai difficile, mentre abbondano i lavoratori dipendenti mascherati da autonomi: si chiamano Freiberufler e non Co.co.pro, ma la sostanza non cambia. Ci sono anche gli 1 Euro Job (pronunciato ain oiro giob), in cui vi lascio immaginare quale sia la paga oraria. Non vi suona tutto così familiare?
Avete presente quando l'Italia manda in guerra il proprio esercito andando contro la propria Costituzione? Ecco, anche la Germania voleva mandare il proprio esercito in guerra, ma non sarebbe mai andata contro la propria Costituzione, ci mancherebbe. La Germania infatti prima ha cambiato la Costituzione, poi ha mandato i soldati in guerra. Tutto un'altro stile, volete mettere?
Avete presente quando in Italia si è avuta la bella pensata di rendere l'università bipartita in triennio e biennio, in base al principio che 4 è maggiore di 3+2? Ecco, qui è successa la stessa cosa in contemporanea, con i medesimi, grotteschi, effetti.
Molti giornali cavalcano l'onda della “fuga dei cervelli”. Storie strappalacrime di giovani riceratori brillanti che trovano lavoro all'estero. La stampa, oltre alla captatio benevolentiae verso quella fascia di lettori, compie un'operazione davvero di bassa lega. Un ricercatore universitario che va all'estero è la normalità. Ho conosciuto parecchi ricercatori della locale università e se lo facessero anche i giornalisti italiani scoprirebbero che è scontato che nelle università ci siano team di ricercatori internazionali, perché è così che funziona. Non c'è niente di strano che un italiano vada a lavorare all'estero, soprattutto se è un lavoratore di alto livello. Lo fanno in tutti gli altri stati. E' la stampa italiana che vuole far passare queste persone come dei novelli emigranti con la valigia di cartone, che lasciano la propria famiglia e i propri amici per andare a coltivare banane nella giungla.
E poi i rapporti sociali... non sono ancora riuscito ad abituarmi al fatto che qualsiasi forma di rapporto interpersonale debba passare attraverso enormi quantità di alcol, soprattutto tra i maschietti. Qui non si parlano senza l'aiutino del bicchiere. Salite in metropolitana il sabato sera e vedrete ragazze da sole o a coppie che si finiscono una bottiglia di vino per scaldarsi prima della festa. Non credo onestamente che un ragazzo sobrio abbia il coraggio di parlare ad una ragazza ad un festa. Anzi, non credo proprio che la cosa venga contemplata tra i comprtamenti da tenere in società. Molte delle persone che ho conosciuto da noi sarebbero considerate al limite dell'alcolismo o comunque con problemi di natura psicologica. Qui invece sono normali.
Sorrido quando sento dire che gli altri Paesi sono “civili”: mi fa venire in mente la mia fanciullezza, quando guardavo la tv commerciale e pensavo che la vita di città fosse quella, e parlavo male del mio paesino e pensavo di saperla lunga su come vive la gente di città. E chiamavo città quel paesotto con le mura intorno, dove la gente spendeva i propri soldi nell'inutile tentativo di nascondere le proprie radici.
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