di Philippe Schneider
Al momento della legislazione PIPA/SOPA negli Stati Uniti e, soprattutto, dell'esplosione mediatica sulla chiusura di Megaupload, ci sembra illuminante, nel contesto dell’evoluzione del copyright (diritto d'autore), riconsiderare la peculiarità dell’attuale modello economico di produzione musicale, per misurare le sue prospettive per il 2020.
La creatività ha beneficiato, in questo ultimo decennio, delle più recenti innovazioni nel campo della registrazione e del confezionamento. La miniaturizzazione delle apparecchiature, l’ineguagliabile qualità ad un costo ragionevole, la grafica, hanno permesso la diffusione di case discografiche (etichette) ed il notevole sviluppo delle produzioni fai da te. Anche se il budget medio per disco è sempre di ca. 24.00 Euro1, il suo concepimento è stato completamente liberato dai vincoli di localizzazione (gli studios sono stati eliminati da sintetizzatori tipo ProTools, da processori audio come Auto-Tune, persino da softwares di composizione tipo Max/MSP) e di spazio (un computer portatile può sostituire uno o più strumenti elettronici o convenzionali), per offrire un nuovo spazio di produzione di cui Soundcloud o Sound-fishing (condivisione di suono online) possono prefigurare un futuro o piacevole o penoso.
Se 106.000 nuovi albums sono stati prodotti negli Stati Uniti nel 2008, contro i 36.000 del 20002, e se 10 milioni di pagine degli artisti sono state aperte nel 2010 su MySpace, contro le 600.000 del 20051, l'alternativa tra vincolo di redditività (margini, gusti) ed integrità (criteri artistici) tende a perdere la sua forza. La produzione diffusa, in passato seduta sull’intangibile linea di demarcazione tra profitto ("lavoro a tempo pieno", mainstream) e controcultura ("lavoro giorno per giorno", underground), sta ora crescendo lontana dalle strategie delle maggiori etichette discografiche (EMI, Sony, Warner, Universal, etc.), ed incorpora i rinnovati metodi di marketing e di distribuzione, quest’ultima tornata ad essere il fattore decisivo nella riconfigurazione del nostro modo di acquistare musica nei prossimi decenni.
La musica, attraverso la sua produzione di massa, è passata dallo status di opera d'arte a quello di oggetto di consumo e di distrazione, per parafrasare la profezia di Walter Benjamin: Varèse, Lil B, Battles, o le canzoni dei Pigmei Aka, sono tutte sullo stesso orizzonte, i cui vantaggi sono costituiti da protocolli il più possibile condivisi, come BitTorrent, come il download o come l'ascolto on line (streaming).
Intorno a questi ultimi due, nel 2000, è stata costituita una struttura ad albero, potenziata da una tecnologia di compressione [continuamente affinata (files MP3, FLAC)] e di comfort auditivo, sia da fermo che in movimento. Quindi, se un musicista ha bisogno in media di 1.000 downloads a pagamento perché una registrazione sia redditizia (costo medio di 10.800 Euro), il costo per il consumatore varia in base alla sua scelta, determinata dal suo grado d’immersione in una zona grigia in continua espansione, i cui assi sono costituiti dai downloads gratuiti (proposti singolarmente o in extenso da tutte le etichette) o in streaming (UbuWeb, Winamp, Pandora, Spotify, o siti come YouTube), e dall'acquisto (iTunes, Juno Download, eMusic) attraverso i social networks (Google +, Facebook, Ping, MySpace) o di tipo formale (i blogs con o senza e-trade, tipo Mutant Sounds, Pitchfork o Boomkat).
Questo network porterà tre importanti conseguenze nel periodo 2010-2020: lo sviluppo esponenziale del mercato nero, la proliferazione degli aiuti all’ascolto (listening aids, cfr. Wikipedia, ndt), e la caduta delle grandi compagnie di Ricerca e Sviluppo.
Il Mercato Nero
Dietro al diritto d’autore, elemento essenziale per il controllo del profitto, come ha analizzato Jacques Attali in "Bruits"3, lo hacking (cfr. Wikipedia, ndt) prenderà molteplici forme, sempre più sofisticate nella loro capacità di autenticare le fonti. Seguendo l'esempio del "Marchio di Qualità" degli anni 60/70, gli strumenti digitali non solo consentiranno di garantire l'origine, ma anche di creare un packaging standard con velocità e scala al di fuori della portata del suo formato originale. In altre parole, il consumatore non sarà tratto in inganno sull'origine dei contenuti (mancata autorizzazione dall'artista) ed anche sulle fluttuazioni della riproduzione (versioni leggermente modificate vocalmente, strumentazione, lunghezza del titolo o dell'album).
Il principale effetto del Mercato Nero sarà la riduzione dei margini commerciali sulle produzioni, il rinnovo delle modalità di consumo, e la caduta della qualità mainstream. Le piattaforme del commercio digitale soppianteranno definitivamente i negozi tradizionali, per la loro già immensa capacità d’immagazzinamento, per la frammentazione dei fornitori (cfr. Discogs, Gemm, Amazon), per la sicurezza delle loro consegne (valutazione del venditore e dell'acquirente, raccomandazioni), per la proliferazione dei mezzi di comunicazione, in fase di costante sviluppo, per il comfort (ascolto, ergonomia) e la facilità di utilizzo anche quando si è in movimento.
La notevole diffusione dell'offerta farà anche da catalizzatore ad un fenomeno di retro-futurismo, che ora è percettibile: la necessità di tenere un ascoltatore prigioniero, e non più quella di un rapido ritorno sull'investimento, ha sostenuto lo sviluppo di supporti fuori-moda, come il vinile o il K7. Molte etichette hanno colto l’opportunità di produrre un numero limitato in diversi formati (331/3, 7', 10'), permettendo agli artisti, contro tutte le attese, una maggiore libertà di scelta, al di là delle strategie di marketing.
Medusa, Child Of Microtones, Winebox Press, American Tapes, No Fans, Faraway Press, Time-Lag, Cassauna, Not Not Fun, 100% Silk, ad esempio4, traducono il fallimento delle majors nella loro incapacità di trovare nuovi talenti. Se, negli anni '90, il mainstream era costituito dai New Order, i Nirvana, oppure Morrissey (senza neanche menzionare gli anni '80!), i quali hanno prodotto singoli di qualità, oltre agli albums, oggi le major pongono l'accento sui primi, riducendo de facto la qualità globale della produzione. Velocità di rotazione elevate su web-TV tematiche (VEVO in particolare), seducenti clips e tournées commerciali, faranno di questo trend un ulteriore decisivo elemento del panorama musicale.
Un rinnovato rapporto con la musica
La diffusione della produzione e dell’ascolto in movimento, farà da supporto al rilancio degli shows. Davanti alla caduta della redditività, le majors investiranno in concerti dai grandissimi effetti speciali. La moltiplicazione virtuale, tramite lo streaming o gli ologrammi, ridefinirà de facto il rapporto tra ascoltatore/spettatore ed artista. In quest’ambito, le majors si troveranno a rivaleggiare con nuove etichette indipendenti e con gli stessi produttori, mentre nuove tecnologie offriranno nuovi mezzi di auto-promozione.
La saturazione dell'ascoltatore, immerso in un universo sonoro in piena espansione [le cui strutture di produzione (underground/mainstream) tendono a sparire, ridefinendo il rapporto con la musica attraverso la sua rinnovata trasmissione], rimane il fattore decisivo per un cambiamento di paradigma. La trasmissione, una volta appannaggio dell'istruzione nella famiglia e nella scuola [le librerie multimediali ne sono un’estensione], si sviluppa per linee orizzontali, senza mediazione e potenzialità commerciali.
L’ascolto in movimento diventato quasi continuo, e la rinnovata apertura a diversi campi di esperienza musicale, si cristallizzano in un nuovo profilo di ascoltatore, mutevole ed infedele. Passando da un ambiente sostanzialmente limitato [difficoltà di riproduzione dei suoni, limitato potere d’acquisto], ad uno diversificato ed intenso, l'ascoltatore, d'ora in poi meno asservito al marketing, troverà in ultima analisi più difficile fare le sue scelte.
Perché egli sarà imprevedibile, sempre più incline alla sperimentazione, abbandonerà il suo status di semplice consumatore per quello più fecondo di migrante fra gli artisti, con infinite risorse tecnologiche, in un mondo esterno dal ritmo sempre più complesso...5
- 1. a. b. "Investing in Music", 03.10, IFPI
- 2. "Collateral Damage", Bob Ostertag, n ° 330, The Wire
- 3. Jacques Attali, Bruits: Essai sur l'économie politique de la musique, seconde édition Fayard 2001
- 4. David Keenan, n ° 329, The Wire, Simon Reynolds, Retromania
- 5. Per saperne di più: Visions in Excess
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