I sostenitori dei diritti di proprietà intellettuale si basano spesso su una di due linee di ragionamento. La prima si basa sulla mancata comprensione del fatto che la frequenza o la quantità delle innovazioni determinano la crescita economica. La seconda è fissata nella domanda, “ Quindi, se spendo 1 miliardo di dollari in Ricerca e Sviluppo per portare una nuovo farmaco sul mercato, chiunque sarebbe in grado di copiare il mio prodotto senza essere ricompensato?”. Entrambe sono basate sullo stesso errore fondamentale: assumere che l’innovazione sia una questione di produzione. Non lo è. L’innovazione è tutta questione di abilità imprenditoriale, ed è per questa ragione che i diritti di proprietà intellettuale non aiutano e non possono aiutare.
L’argomento della crescita economica sembra essere in linea con l’osservazione empirica. Dopotutto, si tratta dell’introduzione e del cambiamento portato da preziose innovazioni a renderci migliori e ad innalzare il nostro tenore di vita. Ma come spesso accade, le osservazioni in economia tendono a portarci a conclusioni problematiche se non del tutto sbagliate. Il mercato è un processo che procede per tentativi ed errori in condizioni di incertezza, nelle quali imprenditori e aziende competono per offrire, in anticipo, beni e servizi atti a soddisfare i consumatori, in un momento futuro, meglio delle offerte di altri. Quindi, senza dubbio, le innovazioni sono importanti.
Ma non è il numero delle innovazioni intraprese a contare. Va considerata anche la scarsità, nel senso che un processo di mercato che genera un gran numero di innovazioni può effettivamente produrre meno valore rispetto ad un processo che ne genera solo alcune. La qualità è più importante della quantità, come quando mirare con una freccia produce un risultato migliore rispetto allo sparare un gran numero di frecce in direzioni casuali. Sebbene gli imprenditori non abbiano quasi mai un obiettivo visibile al quale puntare, la loro “divisione del lavoro intellettuale” costituisce dei confini ai tentativi che sono sperimentati. Le innovazioni sono incerte, ma non sono non indirizzate o casuali.
L’argomento sulla compensazione porta allo stesso errore, ma allo stesso modo lo chiarisce. Il problema nel mercato non è relativo alla compensazione per l’investimento o per lo sforzo fatto, ma è dovuto alla creazione di valore per i consumatori. Non siamo, e non dovremmo essere ricompensati per il tempo e per lo sforzo che mettiamo nel fare qualcosa, ma per aver contribuito al suo valore. Il motivo per cui siamo pagati per il nostro lavoro, non è quello di svegliarci la mattina e passare il giorno a compiere compiti tediosi agli ordini del management, ma perché gli imprenditori assieme ai loro “junior partners”(il management) stanno scommettendo che quel tipo di produzione avrà valore per i consumatori e che genererà dei ricavi maggiori dei costi.
In altre parole, l’investimento di una società in ricerca e sviluppo non è in primo luogo una questione di produzione, ma è relativo a tentare di trovare una soluzione che abbia valore per i consumatori. E’ un modo per generare vendite con il ricavo che supera il costo. Questo ricavo viene generato perché lo sforzo associato si rivela essere di maggiore valore per i consumatori rispetto ad altre iniziative imprenditoriali. Come dice Mises:”L’unica fonte da cui derivano i profitti dell’imprenditore è la sua abilitare di anticipare meglio di altre persone la futura domanda dei consumatori”.
Il problema imprenditoriale, quindi, è quello di immaginare come servire meglio i consumatori. L’innovazione è senza dubbio un mezzo verso questo fine, ma che una innovazione sia profittevole non dipende dal fatto che tale innovazione sia nuova o che richieda molto denaro per svilupparsi, ma dal fatto che sia correttamente posizionata rispetto: (1) ai (futuri) desideri dei consumatori, (2) alle altre (future) offerte degli imprenditori. Entrambi gli aspetti sono necessari per far progredire il processo del mercato e migliorare il nostro tenore di vita di conseguenza.
I diritti di proprietà intellettuale, imposti agli imprenditori in generale e quindi sul mercato, stanno a significare che gli imprenditori sono sollevati dalla seconda parte del problema: il posizionamento rispetto ad altri imprenditori. Questo è lo scopo di questo tipo di regolazione, ma ciò significa che gli imprenditori possono e quindi investiranno eccessivamente in innovazioni conformi ai requisiti di protezione previsti dalle normative. E perseguiranno in questo invece di innovare a beneficio dei consumatori rispetto alle offerte di altri imprenditori.
Il risultato è che le innovazioni vengono perseguite per il semplice fatto di essere innovazioni e non per il loro contributo alla soddisfazione dei consumatori. In altre parole, gli investimenti in ricerca e sviluppo non sono diretti dai desideri del consumatore. Di conseguenza, ciò che conta è l'investimento in R&D piuttosto che nel modello di business: come, quando e in che modo l'offerta viene presentata al consumatore.
Questa è più che un'inefficienza nel sistema di mercato. È un cambiamento di incentivi che distorce in maniera fondamentale il processo di mercato, la sua direzione e quindi la capacità dell'economia di soddisfare le reali esigenze dei consumatori.
La vera soluzione sta nel consentire agli imprenditori di essere imprenditori, e quindi, attraverso i loro creativi sforzi speculativi, di capire come battersi l'un l'altro nell'offrire beni con valore per i consumatori ed essere la "forza trainante" dell'economia. Liberare gli sforzi di innovazione dalla loro componente imprenditoriale non è il modo per migliorare il valore per i consumatori o migliorare il funzionamento del processo di mercato. Si tratta solo di fornire ad alcuni produttori profitti a spese di tutti, nonché dell'economia e della società.
Traduzione per il Portico Dipinto a cura di Johnny Contanti. Articolo originale di Per Bylund.
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