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I neuroni comunicano fra loro anche tramite campi elettrici

Due studi indipendenti dimostrano l’esistenza di una nuova forma di comunicazione neurale

 
Traduzione dell’articolo di Kate Melville per Science A Gogo
3 feb. 2011
 
 
Si è sempre ritenuto che i neuroni (le cellule presenti nel cervello e nel sistema nervoso) comunicassero fra loro esclusivamente tramite le sinapsi, connessioni che uniscono fisicamente un neurone all’altro. 
Ma un team di ricercatori del Caltech (California Institute of Technology) ha scoperto che i neuroni comunicano fra loro anche attraverso deboli campi elettrici. Una scoperta che potrebbe aiutare a comprendere come la biofisica dà origine alla conoscenza - il Santo Graal delle neuroscienze. 
 
La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience [1], spiega come il cervello sia letteralmente inondato da attività elettriche, e non solo dai ‘ping’ di singoli neuroni che comunicano l’uno con l’altro. 
In realtà il cervello è avvolto da innumerevoli campi elettrici che si sovrappongono, generati dai circuiti di neuroni comunicanti. 
 
Spiega il dr. Anastassiou, neuroscienziato e primo firmatario dello studio: “Si è sempre pensato che questi campi fossero un epifenomeno, una sorta di ‘bug’ che si verifica durante la normale comunicazione neurale [attraverso sinapsi fisiche]”. 
Ma la nuova ricerca suggerisce che i campi elettrici abbiano un ruolo molto importante e che possano di fatto rappresentare una ulteriore forma di comunicazione neurale
 
“Mentre i neuroni attivi danno origine a campi extracellulari, questi stessi campi generano un ‘feedback’ verso i neuroni modificandone il comportamento”, anche se i neuroni non sono fisicamente connessi fra loro - un fenomeno noto come “ephaptic coupling”. [2] 
“Fino ad oggi si pensava che la comunicazione neurale si verificasse attraverso strutture localizzate, chiamate sinapsi. Il nostro lavoro suggerisce un ulteriore mezzo di comunicazione fra i neuroni, che sfrutta lo spazio extracellulare, indipendente dalle sinapsi”.
 
Campi elettrici extracellulari esistono in tutto il cervello vivo, anche se sono particolarmente intensi e ripetitivi in regioni specifiche come l’ippocampo, che è coinvolto nella formazione della memoria, e la neurocorteccia, coinvolta nella memoria a lungo termine. “Le fluttuazioni di questi campi extracellulari sono il segno distintivo della vita e del comportamento del cervello in tutti gli organismi, e la loro assenza è un forte indicatore di un cervello in coma profondo, o addirittura morto”. 
 
In precedenza, i neurobiologi presupponevano che i campi elettrici potessero influenzare l’attività neurale solo durante gravi condizioni patologiche, come le crisi epilettiche, che inducono campi molto intensi. Pochi studi avevano valutato l’impatto di campi di tipo non-epilettico, di gran lunga più deboli ma molto più comuni
“La ragione è semplice. E’ molto difficile condurre un esperimento in vivo, in assenza di campi extracellulari” per osservare cosa cambia quando non sono presenti campi.  
 
Per valutare questi effetti, il team di ricerca si è concentrato su campi elettrici relativamente più forti ma dotati di lente oscillazioni, chiamati “potenziali di campo locali” (LFP), che vengono generati da circuiti neurali composti da poche cellule di cervello di topo. 
Misurare i campi e i loro effetti ha richiesto il posizionamento di un gruppo di minuscoli elettrodi all’interno di uno spazio equivalente al volume di una singola cellula, e a distanze inferiori a 50 micron (50 milionesimi di metro) l’uno dall’altro. 
 
Un risultato inaspettato e sorprendente è che campi extracellulari anche molto deboli possono influenzare l’attività neurale
“Abbiamo osservato che campi deboli come 1 milliVolt per millimetro alterano fortemente l’attivazione di singoli neuroni, e aumentano la cosiddetta “spike-field coherence”, ossia il sincronismo con cui i neuroni si attivano in relazione a un campo elettrico. Sappiamo che nel cervello dei mammiferi i campi extracellulari possono facilmente superare i 2 o 3 milliVolt per millimetro. I nostri risultati suggeriscono che in queste condizioni tale effetto diventa significativo”. 
 
Il dr. Anastassiou ipotizza che la comprensione di come funzionano questi campi potrebbe trasformare la nostra comprensione di come funziona veramente il cervello. 
“L’aumento di questa coerenza può aumentare notevolmente la quantità di informazioni trasmesse dai neuroni, oltre che migliorarne l'affidabilità. Inoltre si sa da tempo che gli schemi di attività cerebrale correlati alla memoria e alla navigazione spaziale generano forti campi e aumentano la spike-field coherence. Riteniamo che questo fenomeno dell’ephaptic coupling non comporti un singolo effetto maggiore, ma che influisca sul cervello a più livelli durante l’elaborazione intensa”. 
 
Secondo Anastassiou, la comprensione dell'origine e della funzionalità dei campi cerebrali endogeni porterà a rivelazioni per quanto riguarda il trattamento delle informazioni a livello di circuiti del cervello, dove si ritiene abbiano origine le percezioni e i concetti.
 
Anastassiou ipotizza anche che campi elettrici esterni possano avere effetti profondi sul cervello
“La fisica impone che qualunque campo esterno avrà un effetto sulla membrana neuale. Durante le crisi epilettiche, i campi elettrici possono raggiungere i 100 milliVolt per millimetro, influenzando fortemente l’attivazione dei neuroni e dando origine a stati super-sincronizzati”. E questo, aggiunge, suggerisce che l’attività di campi elettrici dall’esterno in certe aree del cervello, durante specifici stati cerebrali, possa avere profondi effetti cognitivi e comportamentali. 
 
Ad appoggiare questa ipotesi controversa è anche uno studio indipendente, pubblicato sulla rivista PLoS ONE [3] e realizzato da ricercatori dell’Università di Sydney. 
Il loro lavoro suggerisce che potremmo essere sul punto di essere in grado di stimolare il cervello in stati super-creativi tramite un “casco del pensiero elettrico”. 
 
Nello studio, i ricercatori Richard Chi e Allan Snyder hanno rilevato che i partecipanti che hanno ricevuto una stimolazione elettrica ai lobi temporali frontali avevano una probabilità 3 volte maggiore di raggiungere una visione necessaria a risolvere un problema difficile e poco familiare, rispetto al gruppo di controllo. 
 
Secondo gli autori, la nostra propensione ad applicare rigidamente strategie e intuizioni che hanno avuto successo in precedenza, è un serio ostacolo a compiere balzi creativi che possono farci risolvere nuovi problemi.
 
Avviene di norma un compromesso cognitivo tra la necessità di essere veloci da un lato e di essere ricettivi alle novità dall’altro. 
Snyder e Chi sostengono che possiamo differenziare questo compromesso a nostro vantaggio, applicando la stimolazione transcranica diretta (tDCS), una tecnica sicura e non-invasiva che aumenta o diminuisce temporaneamente l’eccitabilità di un gruppo di neuroni. 
 
In particolare, la tDCS può essere usata per manipolare la competizione tra emisfero destro e sinistro attraverso l’inibizione o la stimolazione dall'esterno di alcune reti neurali. I loro risultati sono coerenti con le prove dalle quali risulta che il lobo temporale frontale destro è associato all’intuizione e a nuovi significati, e l’inibizione del lobo temporale frontale sinistro può indurre uno stato cognitivo meno influenzato dai preconcetti. 
 
Mentre sono necessari nuovi studi sulla stimolazione cerebrale in combinazione con neuroimmagini, per chiarire l’esatto meccanismo che porta alla comprensione, Snyder e Chi immaginano un futuro in cui la stimolazione cerebrale non invasiva sarà impiegata per risolvere problemi che eludono i tradizionali approcci cognitivi. 
 
 
Fonte: 
“Brain’s neurons found to communicate via electric fields”
by Kate Melville - 3 feb. 2011
 
Fonti originarie: California Institute of Technology, University of Sydney. 
 
 
NOTE: 
 
 
[2] Ephapstic coupling: accoppiamento fra due o più neuroni molto vicini fra loro mediato da campi elettrici generati dai neuroni stessi durante la loro attività elettrica.