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FEUN (Föhn)

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Il feun impazza in Val Padana.  Sull'aereo il pilota inglese ci riferisce i dati che l'aereonautica militare italoamericana gli ha appena fornito: il tempo è di molto migliore che in Inghilterra ma la temperatura più rigida, attorno ai sei gradi centigradi.  Quando la hostess apre la porta dell'aereo tutti  i passeggeri chiudono i giacconi e indossano i loro berretti. Appena scesi dalla scaletta tutti quanti vengono colpiti dalla verita' innegabile: ci sono più di venti gradi di temperatura, cosicchè tutti cominciano concitatamente a spogliarsi di gran fretta, tutti tranne una manciata di passeggeri, dall'aspetto italiano.  Non che esista un aspetto italiano standardizzato, ma alcune indicazioni sono chiarissime, dagli indumenti bizzarramente ricercati ai baffettini e pizzetti al laser.

Siamo quasi nel centro della grande pianura del Po e non ci va molto per arrivare alla Città di Mezzo, chiamata dai Romani Mediolanum, ma io sono diretto verso una città più ad Ovest. L'aereoporto sembra un tomba egizia, un Pantheon immenso, il Tempio di Salomone versione XL.

Vuoto.

Pochi i passeggeri nei corridoi immensi, che sembrano ancora più immensi ai viaggiatori provenienti dagli altresì trafficatissimi aereoporti inglesi. Negli spazi faraonici, i negozi sono sempre più sparuti in numero molto inferiore, a giudicare dalla mia ultima visita. La farmacia, però, come d'altronde tutte le farmacie del Paese, sembra una gioielleria di lusso, e si pensa che probabilmente sia gradita la prenotazione (nessun addetto in vista, da fuori) e obbligatorio l'abito da sera.  Mi introduco timoroso e  dopo un certo lasso di tempo arriva una tizia santimoniosa tirata a lucido per una serie di sedute fotografiche in una rivista di moda (almeno a me sembra che in nessun altro lavoro ci si possa presentare conciate così) che mi guarda come se fossi una apparizione infernale e pretende (almeno lo spero, per lei) di non sapere cosa sia il solfato di magnesio.

Esco  e aspetto l'autobus per Torino, che dovrebbe partire entro un paio d'ore allo stallo numero 6 nel Deserto dei Tartari. Mi godo in maglietta a maniche corte la venticinquina di gradi ed il sole invernale circondato da gente preoccupatissima che perambula da stallo a stallo con bagagli da esodo vestita stile spedizione polare.  Alla fine un autobus della ditta giusta arriva in ritardo, con la scritta giusta sul parabrezza e mi snobba completamente mentre segnalo allo stallo numero 6, per dirigersi a velocità spedita allo stallo numero 2.

Corsetta con panzone tremolante e pretesa falcata atletica, arrivo allo stallo due, salgo sull'autobus e chiedo cortesemente all'autista se quello sia proprio l'autobus per Torino.  Beffardamente lui risponde con una faccia disgustata: «C'è scritto davanti» . Non sa probabilmente cosa rischierebbe nel dare una risposta simile nelle isole piovose, ma qui siamo in un paese dove il pubblico è passivo ad ogni tipo di sopruso. La mia reazione è molto poco inglese - la reazione inglese sarebbe quella di sparare un diretto alle gengive dell'autista - e faccio presente che se vuole proprio fare lo sbruffone dovrebbe prima essere capace di leggere i numeri degli stalli visto che si è fermato in quello sbagliato.  La reazione comunque lo colpisce: qui nessuno reagisce mai, evidentemente: argomentano, si lamentano, hanno una rabbia repressa che scaricano in discussioni interminabili con altre vittime in un secondo tempo, ma non reagiscono al momento. L'autista mi brontola sotto ai baffi di sedermi dove preferisco, senza neanche controllare il mio biglietto.

Durante il viaggio tutti quanti sembrano intenti nel comunicare al telefono magico senza fili con gente assente, e realmente impegnati ad ignorare accuratamente i presenti, come se quel che li circonda fosse solo un sogno inconveniente ma purtroppo necessario, e la vita telefonica fosse l'unico tipo di esistenza alla quale aspirano.  La loro vita sembra infatti costruita sulle regole di un club esclusivo, che appunto esclude chiunque non sia stato introdotto nella propria elite telefonica da qualcun altro dei soci dello stesso club, il quale produce il nuovo preziosissimo numero telefonico al resto del club.

Difficile, se non impossibile, conoscere quindi gente nuova, che nella loro vita virtuale non esiste, visto che sono disposti ad arrivare a lunghezze imbarazzanti per evitarne lo sguardo estraneo.  L'unica cosa che può momentaneamente unire sconosciuti sembra essere la estemporanea lamentazione su questioni di difficile soluzione, come il tempo o il governo, che fanno sempre cosa vogliono, indipendentemente dai desideri umani.  Ambedue, governo e tempo, potrebbero essere resi sopportabili dagli individui con piccole mosse correttive del loro comportamento, ma è chiaro che da una popolazione che si lamenta ferocemente del caldo oppressivo mentre indossa piumoni artici, sciarpe di lana merino doppio strato a doppio nodo attorno le carotidi e berretti calati fin sugli occhi non ci si possa aspettare delle reazioni razionali e contromisure con qualche traccia di buon senso.

Arrivato finalmente dopo un paio d'ore spese nell'autobus con il riscaldamento degno di un forno crematoio - l'autista sosteneva che fosse difettoso, ma non era completamente convincente - e bocchette dell'aria e luci per la lettura ovviamente non funzionanti, mi metto immediatamente alla ricerca di un tabaccaio, il quale - nonostante non ci sia un gran nesso tra tabacco e trasporti tranne che il tabacco deve arrivare trasportato al negozio - come da previe esperienze mi potrà fornire un abbonamento settimanale per le linee di trasporto urbano.

Il tabaccaio è una donna di mezza età con il piglio da Cerbero e più niente di umano o di almeno vagamente femminile - sicuramente sistemata in tutti i sensi - ed il negozio vende soprattutto speranze di acquisire tanti soldi in futuro alle spalle degli altri 'azionisti' di una impresa d'azzardo, sborsandone molto pochi immediatamente, tanto che faccio fatica a trovare l'articolo al quale il negozio deve la propria classificazione.  Chiedo un biglietto settimanale e la risposta è: «Ce l'ha il BIP (o BEP, BUP, BAP, ora non ricordo)?»

Io cerco di informarmi sul calibro di questo Bip, ma ottengo solo uno sguardo severissimo.  Il Cerbero spiega: «Non c'è più il Cartaceo, le serve la scheda elettronica ricaricabile» Invece di chiederle se volesse riferirsi piuttosto al Cretaceo, taglio corto e mi dichiaro pienamente disponibile a pagare per una di quelle tessere.  Il Cerbero mi scruta con aria afflitta dalla pena e dallo schifo: «Vuole mica che glielo si faccia noi qui, eh????» «Nooooo?» rispondo io. «Deve andare ad un punto GTT (o CCT o GPL o RSA)» « Ahaaaaa...» replico con tono sollevato.   Naturalmente dopo un lungo silenzio chiedo: «Dov'è il PVC?»  «Il Cosaaaa?!?» il cerbero urla così forte che un tale completamente assorbito da un giochino elettronico fa un balzo. «Il posto dove mi vendono quella scheda elettronica!» urlo parimenti anche io. Facendo ricorso ad una suprema pazienza propulsa dalla misericordia per le forme di vita più semplici ed ignoranti, il Cerbero incomincia la sua lezioncina: «Ce ne sono tre, uno in centro, uno a nord ed uno a sud». A quel punto sono oramai stremato: «Molto istruttivo.  Ed il più vicino, è distante da qui?» Il Cerbero con aria sicura mi annuncia: «No, è qui dietro» , e si ritira in una stanza nel retro.  Dopo avere controllato che il PPC (o FFG) non fosse dietro il bancone, esco e cerco il «Dietro».

Effettivamente trovo un ufficio senza insegna percepibile che sembra un ufficio postale con una ressa allucinante, gente infagottata che suda in una coda scomposta e pure un altro tabaccaio.  Entro dal tabaccaio dove un giovane allegro mi conferma che quello è proprio l'ufficio che sto cercando.  Che culo, ci sono tre uffici per più di un milione di abitanti e sono proprio capitato vicino ad uno di loro, quello in Centro!  Più tardi riconsidererò questo colpo di fortuna, ma al momentro entro senza esitazione e prendo un tagliando col numero per il mio turno, scoprendo che dal numero che stanno servendo, al mio, c'è una differenza di 70 unità: avrei dovuto aspettarmelo, con un bacino di utenza di potenzialmente almeno mezzo milione di persone. Attendo.  Sguardi fatui e vuoti, cervelli scollegati e vecchiette sperdute che ribalzano dagli sportelli agli scrittoi implorando aiuto, ma è un mondo spietato.

Agli sportelli concitatamente sento la classica frase in un accento meridionaleggiante standard che si può ascoltare solo ed esclusivamente al Nord: «Si, ma se mio cogggnato che è vvenuto qui l'altro ggiorno ha fatto diverso e gli hanno riconosciuto la indennitta' di qualcosa, ccossa dovrei fare io che sono all'80 peccento???». Dopo un discreto lasso di tempo passato nell'osservazione della fauna umana locale, col tizio del 'coggnato' ancora testardamente intento a provocare una orchite fatale all'impiegato allo sportello, arriva finalmente il mio turno.  Duro poco. «Dov'è il modulo?!» mi redarguisce una virago severissima.

Così perdo il turno e mi ritrovo a cercare un modulo per la bisogna pensando che in ogni caso la penna è sepolta nel mio bagaglio a mano (l'unico che ho, per non passare giornate a cercare di rintracciare il bagaglio all'aereoporto), una borsa piena di calze e mutande schiacciate da una pressa industriale per farcele entrare e pronta ad esplodere come una mina antiuomo, se solo mi avvicino alla cerniera. Ma non importa, veramente, perchè dopo una scorsa alle domande sul modulo mi rendo conto che è meglio lasciar perdere.

La taglia delle mie scarpe la so, ma il numero di codice fiscale è una formula che risveglia i Golem del Burosauro, senza considerare che serve anche una fotografia formato passaporto ed un recapito al cui, probabilmente con tempi tecnicissimi e dopo un esame completo della situazione che non può essere intrapreso a cuor leggero ed in tempi brevi, mi spediranno la tessera tramite le mitiche Poste Italiche, quelle ancora impegnate a sbrigare la posta del contingente italiano nella Campagna di Russia.

Ci rinuncio. Torno dal tabaccaio giovane e allegro per lamentarmi del fatto che avrebbe potuto dirmelo, che da non residente non avrei  potuto ottenere una scheda.  Lui divertitissimo mi guarda con un aria di commiserazione e mi dice: «Ma insomma, ci va un po' di iniziativa: vada lì e dica che è un immigrato extracomunicatorio che non ha ancora casa e lavoro e che gli serve l'abbonamento altrimenti pianta un casino, si siede per terra e non si muove più, e ,vedrà che glielo fanno all'istante con una foto qualsiasi.»

Non ci provo.  Andrò a piedi, tanto il feun  impazza e si gira in maglietta anche di sera.  O meglio: io giro in maglietta e mi sento un diverso, con tutti gli altri a sudare sotto i berretti di piumino e nylon. In ogni caso in autobus ci vanno solo vecchi (per alcuni di loro mi hanno detto che è gratis), negri, cinesi ed arabi, neanche più gli immigrati dall'Europa dell'Est. Alcuni malfidenti suggeriscono che nessuno di questi paghi mai la corsa, e che i controllori ne becchino ritualmente di tanto in tanto uno nel mucchio mentre il tram si svuoterebbe completamente in tutta fretta.  Non so se sia vero, ma certamente l'etnicita' dei clienti è limitata.

Non che ci sia niente di male, ma uno moderatamente pallido e non completamente decrepito che usi il tram si sente presto sotto continuo scrutinio come un soprammobile che venga inserito per celare un microfono spia.  Gli altri, gli europei, sembrano concentrati esclusivamente in Metropolitana, e questo è scorcentante: si può definire la metropolitana di questa città in molti modi (miniatura, giocattolo che essendo riservato ai minori chiude nelle ore in cui i bambini dovrebbero essere a letto, dopo Carosello), ma non conveniente, capillare ed estesa.  Come faranno i metropolitanesi a raggiungere cantoni della città non serviti dalla ferrovia sotterranea, vale a dire la maggioranza?  Un bel mistero.  Bisogna dire anche che la bicicletta quale strumento di locomozione sta guadagnando qualche punto (mai quel che dovrebbe, in una città con un estesa rete di piste ciclabili, con un microclima asciutto ed in pianura) presso impiegati incravattati e lodenmuniti, o studenti universitari con abbigliamento di pregio.

Gli altri invece non usano la bici. Gli altri, quelli che si vorrebbe affamati e disperati, non rovistano neanche i cassonetti dell'immondizia, che ormai sono milioni e occupano una ragguardevole percentuale dei posti auto di una città nella quale il parcheggio è permanente e la circolazione flebile: non c'è più traffico.  No, non sono loro gli sciacalli della pattumiera, sono quegli impiegati già citati più sopra, muniti di bici, cravatta e cappotto di loden, a cercare disperatamente qualcosa (comportandosi come se l'avessero perso proprio dentro un cassonetto) nei cassoni dell'immondizia e quando lo trovano, quel qualcosa, con fare furtivo lo avvolgono in una busta che hanno sempre pronta sul portapacchi della bicicletta immacolata.

A quel punto improvvisa una apparizione dal Cielo: Centro Informazioni Turistiche, recita l'insegna di quella che pare una farmacia o una gioielleria. Entro immediatamente, con la speranza di essere finalmente arrivato in un posto dove possano aiutare i turisti.  All'interno, tutto un tripudio di pieghevoli, depliants, foglietti illustrativi tutti rigorosamente in tre lingue e, al comando di tavoli di design supermoderno, degli impiegati vestiti come se fossero appena usciti da una sartoria di Saville Row, e con un piglio aristocratico da gentiluomo spagnolo ma bonario e progressista che da fiducia, specie quando fanno il gesto inevitabile di togliersi gli occhiali dal viso, ponderato, maestoso e calcolato. Espongo loro le mie peripezie e loro sembrano allarmati e indignati, anzi, indignados.

Mi passano immediatamente il depliant dei trasporti pubblici e mi salutano caramente.  Invece di uscire, do una scorsa al depliant e scopro che non da informazioni di nessun tipo, ma è solo un tripudio celebrativo di autopacche sulle spalle per essere così moderni ed in-for-ma-ti-zza-ti!  Ritorno ad uno dei tavoli e lo faccio notare a Lord Brummell, che è veramente indignados.  Con aria bonaria mi spiega che la cosa migliore da farsi è andare in una tabaccheria non lontana, fornitissima, dove sanno tutto.  Dopo una complicatissima ricerca via Internet mi citano la tabaccheria del Cerbero, accompagnati dal regale giubilo delle impiegate emerse dagli uffici a retro alla notizia incredibile che qualcuno stava effettivamente facendo qualcosa.

Pianto loro un vaffanculo micidiale accompagnato da una schiera di improperi che farebbero impallidire uno scaricatore di Glasgow, il tutto senza affettazione, spontaneamente, in Inglese.  Lord Brummell e gli altri pari della corona, con il coretto femminile di supporto, continuano a salutarmi caramente, evidentemente non versi nell'idioma albionico.  Ho il sospetto che anche mandarli affanculo in francese non sortirebbe alcun effetto, perchè - ho una improvvisa illuminazione - loro sono lì non per aiutare i turisti, ma per sfoggiare lo stile italiano, specie quello classicamente inglese che indossano loro.

Preso dalla disperazione esco e mi imbatto in un mendicante venuto chissa' da dove e che parla come il gobbo de Il Nome della Rosa, con il fedele cagnetto e la borsa di plastica trasparente contenente tutti i suoi averi, l'unica faccia umana ancora in vita che vedo da quando sono sceso dall'aereoplano.  Lo accompagno ad una pizzeria da asporto dove lo rifocillo con un arancino ed un the caldo.  Ci stringiamo la mano mentre li vicino due tizi col loden e la bici, che probabilmente rovistano cassonetti, parlano di telefonia e di come sono furbi, intelligenti e di quanto guadagnano, solo giocando a rimpiattino tra varie compagnie fornitrici del servizio, come se spender meno fosse una fonte di guadagno per tirare a campare, anche se sospetto che non abbiano altro lavoro che quello.

Pago il piccolo conto, il cane mi saluta (ho preso una polpetta anche per lui) e mi allontano a piedi nel feun che impazza sulle strade dritte e lunghissime, sui viali e controviali alberati dai quali si vedono le altissime montagne imbiancate e si può percepire la neve che si sta sciogliendo al vento caldo di gennaio, sulle case Rococò e su quelle della Belle Epoque, sui tram che non voglio o posso (non a due cucchi e mezzo per una manciata di fermate) abbordare e sulle decine di vetrine di kebap (avete letto bene, keba-p, piuttosto che keba-b, mettono la carne al cartone in panini, bap in in Inglese) turchi e Compro Oro.

Le mie scarpe sono troppo pesanti ed io pure, mentre il feun soffia su di noi.  La prevedo dura, questa permanenza di una settimana in Italia.  Probabilmente domattina la nebbia nasconderà rami resi una scultura di cristallo dalla brina, sottozero.

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Rimpianti

Ritratto di Calvero

Mi hai fatto pentire di non aver, ogni volta che ho vissuto avventure italiote, preso nota e arrangiato un diario apposito. Ovviamente sarebbe mancato [a me] l'occhio di chi vive paradigmi inversi (o divergenti?) ma, comunque, se non sei infetto dalla miserrimità (esiste 'sto termine?) del degrado di questo circo (discendente da chi? dai romani? ma qualcuno ci crede?)  neanche più italiota [poiché frullato da altre miserie straniere] e hai quel minimo di distacco, si potrebbe lo stesso delineare lo status di questa sub-civiltà - di qua delle Alpi...

... e, questioncina: - ma si potrà andare molto più in là (intendo peggio) di tutta questa moderna normalità?

 

Che dire, al solito, come altre volte, gracias: - almeno una lettura piacevole, che (per citare un film) se si sospende il giudizio morale, anche sembrerebbe avere un posto nell'universo quest'epoca sì decadente (chiedo scusa al termine, che avrebbe anche accezioni più nobili, nonostante in negativo).

 

Ciao Pike

Un giorno di ordinaria follia

Ritratto di Punto

Il pezzo racconta una giornata "normale" della vita sulla penisola. Ora io non posso permettermi di fotografare o raccontare come si vive al di fuori non avendo un riscontro diretto. 

A lasciarmi un pò perplesso è però, un senso di superiorità o di snobbismo che sembra trasparire da parte di chi racconta.

E' chiaro che il soggetto del racconto, è alieno rispetto al resto dell'ovile, e questa palese diversità può poi sfociare in tante cose.

E se, come in sempre più contesti, sono sempre più evidenti le differenze, e vengono sottolineate le linee di demarcazione, esempio ne è il bombardamento mediatico di questi giorni (se non tutti i mussulmani sono terroristi, è pur vero che tutti i terroristi sono mussulmani, IL MANTRA DELLA SETTIMAN IN TV), si riesce sempre meno a riflettere e discutere di quello che ci accomuna. L'avere è ormai l'unico tema predominante del dibattico culturale e del nostro tempo. E ancor più grave è il parlare di averi (mussulmani, italiani, biondi), confondendoli con essere. (un Uomo non è mussulmano, ma ha come credo, la religione mussulmana, un uomo non è italiano,ma ha la cittadinanza italiana, un uomo ha i capelli biodi, non è biondo, un uomo è un Uomo)

EDIT.

Pike vorrei precisare che quando affermo il soggetto è alieno, non do alcuna accezzione dispregiativa, tutto il contrario. Un alieno in una società alienata. Non ti nascono che personalmente le città mi fanno sentire cosi SOLO. 

 

Depliant Italy

Ritratto di Buster Keaton

I veri turisti snob non tarderanno ad arrivare a frotte nei prossimi anni.

Il continente farà la fine della Sardegna: un luogo di villeggiatura frequentato da un'elite di parassiti.