Ci siamo conosciuti al liceo, tramite amici comuni. Ci si vedeva alla ricreazione, talvolta alle feste. Non ci parlavamo molto all'epoca. Ero timido e volevo far credere di non essere interessato e poi anche tu eri così aspra all'inizio, era difficile anche solo starti vicino. Col tempo ci siamo conosciuti meglio, io ho imparato ad accettare te, tu ti sei addolcita. Finché alla fine abbiamo ceduto l'un l'altra. Quanto tempo è passato! Ci vedevamo di nascosto, anche dagli amici. Poi gli amici hanno saputo, e bastava non farlo sapere agli altri. E poi, raccogliendo tutta la spavalderia dell'adolescenza, cominciammo a non aver più timore di nessuno, ci facevamo vedere il pubblico, con aria di sfida. Ma non ai miei genitori. Loro non accettevano il nostro rapporto, non l'hanno mai accettato, nemmeno più avanti, quando era chiaro che non ti avrei abbandonata facilmente.
Ricordo che tu c'eri sempre, anche nei momenti in cui ho creduto che la vita mi si stesse rivoltando contro. Tu c'eri. Come si dice? Nella buona e nella cattiva sorte. Quando le pedate nel didietro arrivavano forti e secche, quando gli schiaffi sul viso bruciavano l'orgoglio, venivo sempre da te.
Sei stata a lungo compagna di viaggi, insieme abbiamo visto posti lontani e magnifici. In Ungheria, quando ci era persino consentita l'intimità di certi vecchi vagoni del treno; in Grecia, quando soli io e te sedemmo al Capo Sunio, senza nessuno attorno, a contemplare il mare dove nacque la civiltà.
Poi vennero tempi più duri. Quando credemmo di poter finalmente vivere il nostro rapporto apertamente e senza più vergogna, arrivarono i moralisti a condannare e giudicare e puntare il dito. Quante volte fummo io e te in un pub a godere una fresca e spumosa birra scura? Ma no, non più, ora la gente ci guardava di traverso, alla stregua degli assassini, colpevoli del solo delitto di amarci. Persino nelle stazioni del treno, il luogo dove a tutti gli amanti è consentito lasciarsi andare, non potevamo più vederci. E questo ci rese più vicini. Ma forse segnò anche la nostra fine. Cominciai a non poter fare a meno di te, ti bramavo e ti pensavo ad ogni momento. E tu non ti tiravi indietro mai, mai, nemmeno quando il desiderio volgeva in lussuria, in sfrenato abbandono ai sensi: mai hai detto “basta”, semplicemente tacevi, mi guardavi e ti lasciavi prendere una volta, due volte, tre volte, finché ansimante mi coricavo. Eri amore e sei diventata ossessione. E ti lasciai.
Chi mi sta intorno è felice per me. Mia madre, finalmente placata. Mio padre. I miei amici. Tutti a chiedere come sto, se è stata dura, com'è la vita dopo così tanto tempo. E io dico che è stata la scelta giusta, che doveva andare così. Lo dico, ma non lo penso. Lo dico, perché so che è ciò che gli ipocriti si vogliono sentir dire. Ora saranno felici, mi vedono senza di te. Ma loro non sanno, non possono capire cosa significava per me stare con te; cosa significava vivere una quotidianità intensa ed intima; non aver paura di portare alla bocca cose che altrimenti sarebbero state disgustose; senture il tuo profumo, che non mi abbandonava mai. Ora tutto è perso. Da tre anni. Ci siamo rivisti qualche volta, a qualche festa. Non è più stato lo stesso. So di aver rovinato tutto.
Ti ho fumata per l'ultima volta all'aeroporto e ho buttato il pacchetto ancora mezzo pieno. Ti ho aspirata lentamente, con dolore. Tu hai lasciato fare, hai lasciato che il destino si compisse. Sei divenuta mozzicone e sei stata portata via da uno spazzino qualunque.
Mi manchi.
Ciao.
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