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Mises e Hayek: un unico paradigma dei fenomeni sociali

Von Mises Italia - Ven, 03/02/2017 - 08:02

Certamente, per gli scopi della scienza sociale noi dobbiamo partire dall’azione individuo perché essa è la sola cosa di cui possiamo avere conoscenza diretta.

Qualsiasi forma di società è, infatti, operativa nelle azioni degli individui che mirano a fini cercati.

Tuttavia, se i fenomeni sociali non manifestassero altro ordine all’infuori di quello conferito loro da un’intenzionalità programmata, non ci sarebbe posto per alcuna approfondita ricerca teorica riguardante loro.

E’ solo nella misura in cui un certo tipo di fenomeno sociale emerge come risultato dell’azione dei singoli, ma senza essere stato da alcuni di essi pianificato, che si pone davvero il problema di una spiegazione teorica dei fenomeni sociali.

Di conseguenza, non risulta essere contraddittorio affermare che sono gli esseri umani a far funzionare la società, ma la società è un qualcosa che tende a sfuggire agli esseri umani perché (infinitamente) più complessa di loro.

Si può avere così un approccio metodologico nello studio dei fenomeni sociali che nello stesso tempo non sia olista, ma nemmeno rivolto verso un riduzionismo superficiale.

Si respinge la nozione di rappresentazione collettiva e l’idea ad essa collegata di una totalità sociale anteriore ai suoi elementi costitutivi, poiché la conoscenza che mobilita il sistema è inevitabilmente dispersa sull’insieme dei suoi elementi costitutivi e non potrebbe mai venir descritta come una conoscenza del sistema riguardo a sé stesso.

Si accetta però il fatto che può sussistere un salto di complessità dal locale al globale, in quanto data una rete di elementi le cui interazioni sono definite localmente, ne può derivare un ordine sociale globale che osservando le interazioni locali non si era in grado assolutamente di prevedere.

I fenomeni sociali (il denaro, il diritto, il linguaggio, la morale, il mercato, lo Stato, etc.), di norma, non nascono come l’esito di una volontà comune diretta alla loro costituzione.

Questa volontà comune tende più che altro a manifestarsi soltanto negli stadi progrediti dell’evoluzione della vita collettiva e provoca non già la nascita, bensì solo il perfezionamento dei fenomeni sociali sorti e sviluppatisi almeno nelle prime fasi attraverso un’interazione sociale non programmata.

Quel che, di norma, succede è semplicemente che ciascuno cercando di soddisfare un proprio bisogno senza far uso di coercizione su altri individui, finisce anche per favorire il perseguimento dei fini altrui.

Le azioni allora si intersecano e tendono a co-adattarsi il che nel tempo da origine ad un fenomeno sociale spontaneo, cioè non vincolante; spontaneo perché non rientrava nei singoli piani individuali, spontaneo perché nessuno lo aveva previamente programmato.

Non può sussistere un fenomeno sociale spontaneo senza un sistema di regole astratte.

Non possono sussistere regole astratte senza un fenomeno sociale spontaneo.

Un sistema di regole astratte pertanto non può che emergere spontaneamente.

In realtà, i fenomeni sociali spontanei si mobilitano su due livelli e tra questi livelli sussiste un rapporto di “codeterminazione ricorsiva”.

Da una parte il fenomeno concreto: date certe regole astratte, le azioni individuali si organizzano in modo coerente mediante una certa ripartizione dei diritti e delle obbligazioni ed una certa allocazione delle risorse.

Dall’altra il fenomeno astratto: le regole astratte si adattano continuamente alle circostanze ed ai fatti nuovi che scaturiscono dal fenomeno concreto.

Se il fenomeno astratto rappresenta una cornice che detta il passo al fenomeno concreto, nel lungo periodo però il fenomeno concreto finisce per retroagire sul fenomeno astratto.

Questa è la “teoria dell’evoluzione culturale”.

Tuttavia, non è affatto detto che attraverso il processo dell’evoluzione culturale vengano selezionati sempre quei comportamenti che, all’interno del fenomeno sociale spontaneo, vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti.

La viralità di un comportamento, infatti, può dipendere anche da altri fattori cruciali, quali il tempo che viene impiegato a trasmetterlo, gli strumenti con cui viene divulgato, le aspettative che mediante esso si riescono a suscitare.

La suddetta selezione rappresenta quindi solo un orientamento e non anche una legge immutabile della storia ed in quanto tale può in taluni momenti arrestarsi o addirittura subire un’inversione.

Al fine di sostenere quei mutamenti sociali che vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti, fare affidamento esclusivo sulle conseguenze spontanee può non essere sufficiente.

E’ auspicabile e talvolta necessario allora che queste conseguenze spontanee vengano accompagnate da una conoscenza cosciente da parte degli individui sui nessi di causa ed effetto che queste stesse sono in grado di generare nel tempo in modo circolare.

Impiegando la ragione, intesa come conoscenza cosciente, in maniera critica è possibile pertanto convincere gli individui e conseguentemente convogliare le loro azioni verso quella che è la dimensione più oggettiva della realtà.

In conclusione, si può affermare che:

i fenomeni sociali, di norma, sono il frutto di un’interazione sociale non programmata, poiché la ricerca di un interesse individuale ha finito col produrre anche un meccanismo di interazione collettiva che nessuno aveva previamente programmato;

se poi vogliamo che a prevalere sistematicamente, all’interno dei fenomeni sociali spontanei, siano quei comportamenti che vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti, dobbiamo saper comunicare e convincere gli altri della “superiore lungimiranza” di certi comportamenti piuttosto che di altri.

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Crisi e l’aridità dei numeri

Von Mises Italia - Mer, 01/02/2017 - 08:04

Le Crisi dal XIV secolo ad oggi. Il coinvolgimento delle banche.

1340 RE EDOARDO III D’INGHILTERRA non è in grado di ripagare i banchieri fiorentini che gli avevano presto i soldi per le campagne di guerra. Nel 1345 i banchi dei Peruzzi e dei Bardi falliscono: l’importo è di un milione e mezzo di fiorini (600.000 i Peruzzi, 900.000 i Bardi). Il sistema bancario fiorentino non è più in grado di sopportare un “buco” così ampio e le conseguenze sono catastrofiche. Ovviamente vi è l’effetto domino che trascina con sé gli Antellesi, gli Acciaioli e vari altri banchi, oltre ad un nutrito numero di cittadini fiorentini falliti (350 ad onor di cronaca). Non c’è più liquidità.

1637 LA BOLLA DEI TULIPANI

I primi futures. La bolla dei tulipani ha dato inizio alla prima grande crisi finanziaria tramite l’utilizzo di strumenti finanziari con finalità speculative e coinvolse tutto il sistema economico europeo di quei tempi.

La bolla dei tulipani culminò nella famosa asta di Alkmaar del 5 febbraio 1637, in cui centinaia di lotti di bulbi furono venduti per un ammontare monetario di 90.000 fiorini (l’equivalente di circa 5 milioni di euro), ossia ciascun bulbo fu venduto, al prezzo medio, pari al reddito di oltre un anno e mezzo di un muratore dell’epoca. Poi il crollo. La lobby dei fioristi, gravemente colpita, in questo periodo indusse la giustizia delle Provincie unite olandesi a decretare la trasformazione dei contratti a termine (i futures) in contratti di opzione. In questo modo il detentore del contratto (il fiorista o il commerciante) fu autorizzato a non onorare l’impegno (nei confronti dei contadini o coltivatori) pagando solo una penalità pari al 3,5% del prezzo pattuito, anziché essere obbligato a comprare a prezzi elevatissimi un bulbo che in quel momento aveva un valore di mercato largamente inferiore a quanto previsto nel contratto originario.

1711 LA COMPAGNIA DEI MARI DEL SUD – LA “SOUTH SEA BUBBLE” La Compagnia dei Mari del Sud è una delle tante imprese nate all’inizio del XVIII secolo (e sono delle vere e proprie società per azioni) con gli scopi più disparati. In Francia, in Inghilterra e subito dopo la guerra di successione spagnola, si accumularono forti debiti pubblici, a Parigi ed anche a Londra decisero di riscattare le sorti finanziarie dei paesi affidandosi ad una compagnia commerciale: la “Compagnia dei Mari del Sud”, fondata nel 1711 da Robert Harley, conte di Oxford, e da John Blunt anche con partecipazione pubblica. Il valore delle azioni aumentò fino al 1720 anno in cui fallì per mancanza di prospettiva realistica del commercio. Furono in seguito emanate regole.

1717 LA COMPAGNIA DEL MISSISSIPPI Detta anche Compagnia dell’Occidente fu creata dall’economista John Law. La finalità era quella di commerciare con le colonie francesi del nord America, spacciandola come lo “Eldorado” agli azionisti che, in breve nel 1719, portarono alla triplicazione del valore delle azioni. Poi, come in tutte le bolle si sgretolò la fiducia e un giorno di luglio, nel 1720 il valore dei titoli crollò portando la Compagnia al fallimento. Il panico si diffuse e davanti alla Banque Royale e quindici persone persero la vita nella calca.

1800 LA BOLLA DELLE FERROVIE INGLESI Il motore trainante dell’economia europea fu la rivoluzione industriale del’800. Con queste premesse il commercio triplicò nel giro di pochi anni. Nel contesto l’invenzione del treno dette una spinta all’innovazione che entrò nel mirino degli investitori. Il primo treno fu brevettato nel 1802 da George Stephenson (anche se il primo modello di veicolo a vapore era stato ideato nel 1797 da Richard Trevithick), ed entrò in funzione nel 1804. Il 27 settembre del 1825 fu inaugurata la prima tratta ferroviaria tra Darlington e Stockton. Nel periodo 1850-1870 la rete ferroviaria inglese triplicò in dimensione ed il fenomeno si estese a tutta l’Europa alla fine del XIX secolo creando la nuova era industriale. Tra il 1844 ed il 1847 vi fu una grande corsa ai titoli delle ferrovie e, come sempre accade, subito dopo il crollo mandando in miseria molti speculatori tra i quali George Hudson detto il “Re delle ferrovie”.

 

1819 LE SPECULAZIONI IMMOBILIARI

la prima crisi immobiliare è del 1819 la successiva del 1837. E’ interessante valutare come nell’arco di circa venti di anni: l’economia, i paesi e le persone siano in grado di rimuovere completamente dalla memoria l’esperienza passata.

1873 LA CRISI ECONOMICA PIÙ LUNGA CHE SI RICORDI È QUELLA DURATA DAL 1873 AL 1895; 22 (VENTIDUE) ANNI.

1907 U.S.A LA BOLLA DEL CAFFÈ

Il 1907 viene ricordato come l’iniziò della bolla del caffè ed è conosciuto anche come il Panico dei banchieri del 1907, allorché vi fu un repentino il calo di quasi il 50% dei valori del mercato. La motivazione:

  1. credito facile,

  2. manipolazioni dell’alta finanza,

  3. eccessiva speculazione nel settore immobiliare.

La crisi derivante dalla speculazione nel settore del Rame, che vide coinvolti la H.J. Heinze Company che con la United Cooper e la Guggenheim, innescò il crollo. La perdita di fiducia dei correntisti fece scattare corsa agli sportelli (bank run). Non fallirono solo le banche, ma anche le Società Fiduciarie. Un banchiere si distinse fra tutti JP Morgan apportando parecchia liquidità, anche grazie ad un prestito del governo. Forse, potremmo consideralo come l’ideatore dell’attuale “QUANTITATIVE EASING”; riportando così la calma sui mercati.

1929 MARTEDÌ 29 OTTOBRE

La grave crisi economico-finanziaria del 1929, iniziata negli Stati Uniti d’America, ha sconvolto l’economia mondiale dalla fine degli anni venti fino a buona parte del decennio successivo. Devastanti furono le ripercussioni sociali e politiche. John Kenneth Galbraith ha riassunto i fattori di crisi in alcuni punti:

  1. cattiva distribuzione del reddito,

  2. cattiva gestione e struttura delle aziende finanziarie,

  3. cattiva struttura del sistema bancario,

  4. eccessivi prestiti a carattere speculativo,

  5. eccessivo perseguimento del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale deleterio in assenza della domanda,

  6. infine, la stretta creditizia contribuì ad accrescere la crisi.

Dopo il periodo di stabilità garantito dagli accordi di Bretton Woods, è utile ricordare:

1970/1980: L’INFLAZIONE, SPAURACCHIO DELL’OCCIDENTE

La parola “inflazione” evoca in tutte le persone che hanno vissuto negli anni ’70 e ’80 un mostruoso accadimento di una gravità assoluta e chiunque avesse proposto un rimedio veniva considerato come un’ancora di salvezza. In realtà l’aumento generalizzato dei prezzi non è un male, né un bene in assoluto, ma come molti fenomeni ha effetti diversi a seconda ceto sociale e da chi lo osserva. Per i lavoratori dipendenti l’inflazione è negativa, ma la la cosiddetta “scala mobile” (in Italia) ha attenuato, con l’adeguamento automatico dei salari, il costo della vita. Per tutti gli altri soggetti è stato assolutamente indifferente. Per chi aveva debiti l’inflazione si è rivelata un aiuto perché nel momento della restituzione del prestito il valore era diminuito in termini reali, mentre per tutti quelli che avevano crediti l’inflazione si è rivelata un danno per le ragioni contrarie di cui sopra.

1973 LA PRIMA CRISI ENERGETICA Il “miracolo economico” degli anni ’60 ha prodotto una crescita impressionante del Prodotto Interno Lordo (PIL): per esempio in Giappone per circa un decennio il P.I.L. è aumentato in media di circa il 10% l’anno, in Italia del 5,4% l’anno. All’inizio degli anni ’70 c’era già un ridimensionamento della spinta del “miracolo economico” ed ecco subentrare prepotentemente l’aumento scioccante del costo dell’energia dando il colpo definitivo a tutte le speranze della continuità di crescita.

1979 BOLLA IMMOBILIARE USA

1979 LA SECONDA CRISI PETROLIFERA

1982 MESSICO INSOLVENTE

1985 BANCAROTTA BANCHE LOCALI USA

Le “Savings and Loans” Banks (Casse di risparmio e credito). Delle 3362 casse 450 Casse sono insolventi. La causa: edilizia e credito al consumo.

1987 LUNEDI’ 19 OTTOBRE CROLLO WALL STREET

L’indice Dow Jones Industrial perde in un solo giorno il 22,61%.

1989 NUOVA BOLLA IMMOBILIARE NEGLI STATI UNITI

1989 BOLLA IMMOBILIARE GIAPPONESE

E’ INTERESSANTE NOTARE CHE: TRA IL 1795 E IL 1998 IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE HA CONTATO 212 (duecentododici) CRISI.

1992 CRISI VALUTARIA E LA FINE DELLO S.M.E. (Sistema Monetario Europeo)

1994 CRISI DEL MESSICO

Nei primi anni ’90 venne introdotta la liberalizzazione delle transazioni finanziarie facendo affluire, in Messico, ingenti capitali. Per combattere l’elevata inflazione di quegli anni, la valuta messicana si ancorò al dollaro statunitense (peso/dollaro) fissando così i tassi a livelli più elevati per incentivare gli investitori a detenere pesos. L’ancoraggio al dollaro si trasformò in un boomerang, anche per la impossibilità di utilizzare lo strumento della svalutazione facendo così perdere competitività al Paese sui mercati internazionali, con un calo delle esportazioni ed un progressivo aumento del deficit della bilancia commerciale. Tra il settembre 1994 e l’aprile 1995, il peso si svalutò di quasi il 100 per cento (da una parità centrale di poco più di 3 pesos per dollaro a una parità di 6 nuovi pesos per 1-uno- dollaro americano).

1997 LA CRISI DEL SUD EST ASIATICO

La crisi valutaria. In questa crisi valutaria, è stata ben studiata a tavolino da speculatori molto aggressivi, la più colpita fu la Thailandia ancorata: bath/dollaro, trovandosi a dover fronteggiare un debito estero insostenibile. Il sistema bancario tailandese è risultato molto vulnerabile perché si era indebitato in dollari a breve termine ed aveva erogato credito in bath a lungo termine. Nel luglio 1997 la Banca centrale tailandese decise la svalutazione ed in seguito ad una serie di attacchi speculativi, da parte di fondi di investimento internazionali, il bath finì per deprezzarsi di circa il 60%. Per ripristinare la fiducia nel mercato, il F.M.I. concesse prestiti condizionati a “riforme strutturali” con:

  • tagli alla spesa pubblica,

  • aumento della pressione fiscale,

  • maggiore apertura e trasparenza del sistema finanziario,

  • oltre ad una riforma della legislazione su banche e istituti di credito.

1997 – 98 CRISI DELLA RUSSIA

Contagio a banche ed economia reale. La crisi valutaria innesca inevitabilmente una crisi del debito sovrano russo, che ha pesanti riflessi sul sistema bancario, con una rilevante esposizione verso il debito pubblico domestico accompagnato dalla chiusura del mercato interbancario. Il default degli istituti di credito venne evitato grazie a numerosi interventi a sostegno. Anche l’economia reale registra un calo del P.I.L. pari al 5% nel 1998. Il 2 settembre del 1998 venne definitivamente abbandonato l’ancoraggio rublo/dollaro. Il tasso di cambio passa in pochi giorni da 6 rubli per dollaro a 21 rubli per dollaro.

1997 – 2000 LO SCOPPIO DELLA BOLLA DELLE COSI’ DETTE “DOTCOM”

Una bolla speculativa generata e sviluppatasi attraverso la classica sequenza:

  1. estrema fiducia da parte degli investitori nelle potenzialità di un prodotto/azienda,
  2. crescita rapida del prezzo del prodotto,
  3. evento che fa vacillare le aspettative di importanti guadagni,
  4. elevati flussi di vendite,
  5. crollo finale del prezzo del prodotto.

La New Economy si contrappone alla Old Economy basata prevalentemente sul settore manifatturiero. In pochi anni si assiste al sorprendente sviluppo di aziende operanti nel settore Internet o nel settore informatico, chiamate appunto Dot-com companies (dal suffisso “.com” -punto com-), agevolate anche dal basso costo del capitale in un contesto di bassi tassi di interesse (tra il 1995 e il 1999 la Banca Centrale degli Stati Uniti riduce il tasso ufficiale dal 6% al 4,75%). IN ITALIA LE AZIONI DELLA TISCALI SUPERANO, PER CAPITALIZZAZIONE, LA FIAT.

1998 SALVATAGGIO DEL FONDO LONG TERM CAPITAL MANAGEMENT

Il fondo fu istituito nel 1994 da John Meriwether ed il suo team della Salomon Brothers basato sui modelli matematici creati dai premi Nobel Robert C. Merton e Myron Scholes. Lo hedge fund aveva in gestione un capitale di 4 miliardi di dollari e li utilizzarono per operazioni di arbitraggio economico, con le leve finanziarie, ed ebbero rendimenti di circa il 40 % annuo. Naturalmente tutte le cose “belle” finiscono e per salvare il fondo nel 1998 intervenne direttamente la Federal Reserve evitando così il peggio.

1998-99 Brasile

Verso la fine 1998 forti vendite di obbligazioni brasiliane, pubbliche e private, innescarono pressioni sul tasso di cambio, sopravvalutato rispetto ai fondamentali economici del Paese. Anche in questo caso il rapporto era real/dollaro che si rivela presto insostenibile. Nell’ottobre del 1998 il FMI vara un programma di aiuti finanziari, per un ammontare complessivo di oltre 41 miliardi di dollari, al fine di attenuare gli squilibri finanziari, richiedendo un piano di aggiustamento fiscale. Le risorse messe a disposizione del FMI consentirono di sostenere il real brasiliano solo temporaneamente: nel gennaio 1999 il Brasile abbandona il regime di cambi fissi con il dollaro e nei due mesi seguenti il real subisce un deprezzamento di circa il 40%.

2001 ARGENTINA

L’ingente debito accumulato nel corso delle lunghe dittature militari ed il rigido ancoraggio del peso/dollaro portano alla crisi. Nel 1999 il PIL argentino diminuisce del 4% ed il paese entra in recessione. Il governo decide di non abbandonare il cambio fisso con il dollaro e questo contribuisce a peggiorare la situazione. Nel 2001 l’incertezza per una svalutazione innesca una corsa agli sportelli bancari (bank run) da parte dei correntisti che ritirano pesos per convertirli in valuta pregiata. Le misure restrittive imposte dal governo per arginare i prelievi provocarono in poco tempo una vera e propria rivolta popolare. La diffusione in Italia dei bond argentini. L’appetibilità dei tassi delle obbligazioni argentine sono presenti nel portafoglio di circa 430.000 clienti retail italiani che ne detengono per complessivi 12,8 miliardi di euro.

2001 FALLIMENTO DELLA ENRON

Fallimento Enron: trucchi contabili, aiuti politici ed aiuti ai politici sono alla base della disastrosa gestione di Enron. Questo grande raggiro è costato molto anche ai fondi pensione statunitensi.

2002 FALLIMENTO WORLDCOM

Il colosso truccava i bilanci, dicendo che guadagnava ma non era vero. Questo fallimento molti lo ritengono l’ENRON al quadrato. Praticamente è un falso in bilancio galattico e ricorda molto la Compagnia dei Mari del Sud.

2007-2009 LA CRISI FINANZIARIA La crisi finanziaria dei mutui subprime ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2006. Le basi della crisi risalgono al 2003, quando si comincia ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero mai ottenuto credito, poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie. I fattori che hanno stimolato la crescita dei mutui subprime sono riconducibili anche alle dinamiche del mercato immobiliare statunitense e allo sviluppo delle cartolarizzazioni (cessione di attività e/o passività, beni e/o debiti di privati o di crediti di una società a titolo oneroso).

La bolla immobiliare. Dal 2000 e fino alla metà del 2006, negli Stati Uniti i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in maniera costante e significativa, generando una vera e propria bolla immobiliare. La dinamica era favorita dalla politica monetaria accomodante della Federal Reserve (FED), che mantenne i tassi di interesse bassi fino al 2004, in risposta alla crisi della bolla Internet e all’attacco dell’11 settembre 2001.

La politica monetaria. Tassi di interesse bassi, uguale (=), basso costo del denaro per le famiglie, che richiedevano i mutui ipotecari, finendo con lo stimolare la domanda di abitazioni e alimentandone i prezzi. La bolla immobiliare, inoltre, rendeva conveniente la concessione di mutui da parte delle istituzioni finanziarie che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il denaro prestato attraverso il pignoramento e la rivendita dell’abitazione.

La cartolarizzazione immobiliare, i bassi tassi di interesse e la crescita dei mutui subprime sono stati lo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione, ossia la possibilità per gli istituti creditizi di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in un titolo, a soggetti terzi (le cosiddette “società veicolo”) e recuperando buona parte del credito, immediatamente, che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine dei mutui stessi (10, 20 o 30 anni dopo). La cartolarizzazione consente alle banche, di liberarsi del rischio di insolvenza dei mutuatari ed indebolendo l’incentivo e la corretta valutazione dell’affidabilità dei clienti. Le società veicolo, a loro volta, finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati mediante l’offerta agli investitori di titoli a breve termine. VERA E PURA SPECULAZIONE!

2008 BOLLA DEL RODIO Il rodio è un metallo appartenente a gruppo del platino. Altrettanto misteriosa fu la bolla del Rodio del 2008 con valutazioni incredibili.

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO DEL 2010-2011 La crisi si è sviluppata nei paesi periferici dell’eurozona (Portogallo, Irlanda e Grecia) per poi estendersi nel corso del 2011 a Spagna e Italia.

La crisi e le misure di contrasto. A maggio 2010 i Paesi dell’eurozona ed il FMI hanno approvato un prestito di salvataggio per la Grecia di 110 miliardi di euro (30 da parte del FMI). Nel mese di novembre è emersa la crisi del sistema bancario irlandese: il Governatore della banca centrale irlandese ha comunicato che le perdite delle banche domestiche ammontavano a 85 miliardi di euro (pari al 55% del PIL) e le istituzioni europee con la partecipazione del FMI hanno approvato un piano di sostegno per un ammontare pari a 85 miliardi di euro. A maggio 2011, UE, BCE e FMI (la cosiddetta Troika) hanno concesso un prestito di 78 miliardi di euro anche al Governo portoghese.

 

2017 ULTIMISSIMI DATI

GIAPPONE: rapporto P.I.L./Debito 236%

CINA: rapporto P.I.L./Debito 250%

U.S.A.: rapporto P.I.L./Debito 101%

 

2016 ELENCAZIONE SPARSA DI DATI E’ da sottolineare che dal 1720 al 2010 si sono registrate circa 55 (cinquantacinque) grandi crisi finanziarie (Kindleberger, 2005; International Monetary Fund, 2010). Le grandi crisi finanziarie ricorrono mediamente ogni 6 anni.

Unimpresa: “Ricchezza famiglie calata di 120 miliardi in un anno”.

E’ crollata di quasi 120 miliardi di euro in un anno la ricchezza finanziaria degli italiani!

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Mises e Hayek: un’unica visione dell’azione umana e della conoscenza

Von Mises Italia - Lun, 30/01/2017 - 08:59

L’essere umano non è soltanto homo sapiens, ma anche homo agens.

Tuttavia, gli esseri umani che per difetti di nascita o acquisiti sono inevitabilmente inadatti all’azione nel senso stretto del termine, non possono essere considerati homo agens.

Anche il neonato non è un homo agens, perché non ha ancora percorso l’intera via della concezione al totale sviluppo delle sue qualità umane; solo alla fine della sua evoluzione diviene un uomo agente.

Scopo ultimo di ogni azione dell’uomo agente è sempre la soddisfazione di un suo desiderio e non sussiste misura di maggiore o minore soddisfazione all’infuori dei giudizi individuali di valore, differenti da persona a persona e da tempo a tempo per la stessa persona.

La prasseologia ci dice che qualunque azione dell’uomo agente è mossa dalla volontà di ottenere uno stato di cose più soddisfacente rispetto ad uno che lo è meno.

Tuttavia, la prasseologia non tratta dei moventi o dei fini ultimi ma si occupa dell’azione dell’uomo agente sotto l’ottica dei mezzi applicati all’ottenimento di un fine cercato.

In tal senso, l’azione dell’uomo agente, anche quella partorita da un impulso decisamente emotivo, non può che essere qualificata come sempre razionale, poiché i mezzi che l’uomo agente sceglie per la loro soddisfazione sono sempre determinati da una considerazione di spesa e risultato.

Ciò, ovviamente, non esclude che le azioni dell’uomo agente possano fallire nel raggiungere l’obiettivo prefissato e quando questo accade, è perché la percezione soggettiva della realtà non è sufficientemente in linea con la dimensione oggettiva della stessa.

Il contrario dell’azione dell’uomo agente non è allora l’azione irrazionale, bensì la reazione a stimoli degli organi e degli istinti corporali controllabili dalla volizione.

Asserito quanto, le regole che governano l’azione dell’uomo agente nel mondo fisico e sociale non sono pienamente esplicitabili attraverso una teoria.

Accanto ad una conoscenza cosciente, codificata ed esprimibile con flussi comunicativi strutturati, esiste quindi una cosiddetta conoscenza tacita, situata a livello inconscio, che è legata al contesto di riferimento, che è impossibile da formalizzare chiaramente e distintamente e che può essere acquisita solo mediante un apprendimento attraverso la pratica.

Tuttavia, la conoscenza cosciente è sempre il risultato di un’intuizione o di un atto di creazione, che altro non sono che manifestazioni di una conoscenza tacita.

Ciò significa che la conoscenza umana si sviluppa tramite un percorso che da tacito si estende progressivamente al cosciente.

In ogni caso però non tutta la conoscenza tacita riesce a divenire anche conoscenza cosciente.

In tal senso, non esiste comunque un’azione dell’uomo agente che possa definirsi irrazionale, ma ogni azione si fonda sempre su una dimensione della conoscenza tacita precedentemente interiorizzata nella mente individuale.

L’essere umano non ha iniziato ad azionare il mercato allorché è stato in grado di codificare e trasmettere con flussi comunicativi strutturati i vantaggi di questa attività.

L’essere umano ha invece iniziato ad azionare il mercato perché mosso da una conoscenza che era capace di applicare ma non in grado di spiegare sul come rimuovere quella tendenza al disequilibrio presente nella vita individuale.

Inoltre, imparare a fare mercato non è un qualcosa che possa essere trasmesso da uomo agente ad altro come un elenco di istruzioni, giacché imparare a fare qualcosa non equivale ad imparare qualcosa.

Il mercato è un fenomeno sociale sorto per via spontanea, ossia da un’interazione sociale non programmata e quello che vale per il mercato vale anche per tutti gli altri fenomeni sociali sorti alla stessa maniera.

I fenomeni sociali spontanei pertanto sono sempre il risultato di azioni umane razionali, ma queste azioni non hanno il loro punto di origine in una conoscenza cosciente, bensì in una conoscenza tacita.

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Concetti Economici : Le Istituzioni e l’Economia nel Medioevo, Parte 1

Von Mises Italia - Ven, 27/01/2017 - 08:00

Per comprendere le istituzioni e i concetti del periodo storico solitamente definito “Medioevo” si deve tener conto che questo copre un arco temporale che spesso è diviso in periodi più brevi, ciascuno dei quali ha dei tratti e delle caratteristiche unici e propri. Inoltre, ogni parte dell’Europa ebbe un proprio sviluppo in termini di tradizioni e usanze. Una sola istituzione abbracciò l’intero continente europeo per la maggior parte di questo periodo – la Chiesa Cattolica.

Solitamente l’inizio del Medioevo si fa coincidere con la caduta dell’Impero Romano nel 476 D.C., con le invasioni Barbariche. La fine del Medioevo si pone solitamente intorno all’anno 1500. Dopo questa data avvennero cambiamenti epocali nella storia dell’Europa e anche in tutto il mondo, che trasformarono l’aspetto della società Europea. Alle soglie del millecinquecento ci fu anche la Grande Riforma Religiosa nota come Protestantesimo. Questa segnò l’inizio della “scoperta” del “Nuovo Mondo” da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e della circumnavigazione dell’Africa verso l’India nel 1498.

Subito dopo il 1500, s’iniziò a utilizzare la bussola, che modificò radicalmente la capacità di viaggiare per lunghe distanze senza dover più far affidamento ai cieli limpidi per poter “leggere” le stelle o alla navigazione a vista terra. S’introdusse anche l’utilizzo della polvere da sparo, che trasformò i conflitti. E iniziarono a manifestarsi quelle forze intellettuali che alla fine condussero all’Età della Ragione e all’Illuminismo nel diciottesimo secolo.

 

Vita Rurale e Auto-Sussistenza nel Sistema della Signoria Fondiaria

Oggi, negli Stati Uniti, meno del 3 percento della forza lavoro è occupata nel settore agricolo o in attività collegate all’agricoltura, inoltre questa piccola percentuale della forza lavoro Americana riesce a sfamare la maggior parte della popolazione del paese e molto di quello che avanza, è esportato per il sostentamento di altre zone del mondo. Tutto ciò contrasta fortemente con la vita nel Medioevo. E’ stato stimato che una quota compresa tra l’80 e il 90 percento della popolazione europea viveva nelle campagne e dedicava quasi tutto il proprio tempo alla produzione di cibo. La rimanente quota tra il 10 e il 20 percento della popolazione era impegnata in piccole e semplici attività artigianali e commerciali nelle città, altri fornivano servizi personali alla nobiltà o erano dei membri della Chiesa Cattolica e, quindi, provvedevano ai bisogni religiosi delle persone.

Nella maggior parte dell’Europa Medioevale l’agricoltura era basata sulla Signoria Fondiaria. Le unità sociali locali ruotavano intorno al “Maniero,” o residenza del “Signore” il quale era proprietario di tutta la terra e per mezzo dell’elevato grado di potere e legittimazione di cui godeva, governava tutto ciò che riguardava l’utilizzo delle terre e le persone che vi abitavano sopra. Il sociologo Tedesco, Franz Oppenheimer, nel suo libro, Lo Stato (1915) e l’economista Americano, Mancur Olson, nel suo Potere e Prosperità (2000), sostenevano entrambi che lo Stato moderno ebbe origine dalla conquista di un territorio da parte di bande di saccheggiatori nel momento in cui questi decisero di stabilirsi permanentemente e governare quei luoghi che avevano conquistato e depredato. Lo Stato divenne la struttura politico istituzionale che legittimò i conquistatori strutturando le loro regole non come delle continue estorsioni finalizzate solo al loro arricchimento, ma anche come un’opportunità per chi era stato sottomesso e saccheggiato grazie ai benefici che ne avrebbe tratto dalle leggi, dall’ordine e da alcune utili infrastrutture che i padroni conquistatori avrebbero fornito a tutti. Ogni maniero era un’entità economica per lo più autosufficiente dove si produceva quanto necessario ai membri locali. Nel maniero, oltre a produrre cibo, si allevava il bestiame, si macinava il grano per la produzione del pane, si filavano i vestiti, e si producevano e custodivano la maggior parte degli attrezzi agricoli e di produzione. Le caratteristiche principali dei manieri erano tre: riunivano le attività economiche e politiche in un’unica istituzione; ricorrevano ampiamente all’utilizzo del lavoro forzato per l’esecuzione di molti compiti e doveri; erano estremamente autosufficienti.

La Signoria Fondiaria era parte di un più ampio Sistema Feudale. Il Feudalesimo era un sistema nel quale gli occupanti e gli utilizzatori della terra, che vi lavoravano e vivevano sopra, non ne erano anche proprietari; erano degli “inquilini” del “sovrano” – il Signore del Maniero – la cui autorità era legittimata dalla sua disponibilità a fornire militarmente protezione agli occupanti. L’aspetto distintivo del Signore del Maniero si basava sul suo essere capo politico e datore di lavoro e i due ruoli non erano considerati separati. Come spiegava lo storico Francese Marc Bloch nel suo libro La Società Feudale (1939):

Il Signore, dai suoi contadini, non ricavava soltanto ingenti guadagni e un altrettanto valida forza lavoro. Non riceveva solo una rendita dalla terra e i benefici dei servizi resi; era anche un giudice, era spesso – se faceva il suo dovere – un protettore, e sempre un capo, al quale dovevano obbedire e fornire aiuto con un impegno generico ma molto concreto, oltre a chi aveva qualche legame più personale e più vincolante, anche coloro che “detenevano” o vivevano sopra la terra da lui ricevuta.

Pertanto, la Signoria non era semplicemente un’impresa economica che permetteva l’accumulo dei profitti nelle mani di un uomo forte. Rappresentava anche un’autorità centrale, nel senso più ampio della parola;

i poteri del capo non erano circoscritti, come avviene solitamente nelle imprese, al lavoro svolto nei “ locali aziendali”, ma influivano sulla vita intera di un uomo e agivano congiuntamente con il potere dello stato e della famiglia, spesso sostituendoli.

Come tutte le unità sociali organizzate più sviluppate, la Signoria, aveva un suo apparato giuridico, come una norma consuetudinaria, che regolava le relazioni tra i sottoposti e il Signore e definiva precisamente i limiti del piccolo gruppo per il quale queste regole tradizionali erano vincolanti.”

Il secondo elemento del Sistema Signorile era il lavoro forzato. I contadini o i servi che occupavano la terra, avevano il diritto di coltivare per loro stessi una parte della terra del Signore in cambio del loro lavoro per la coltivazione della restante parte della terra a beneficio del Feudatario. I contadini pagavano anche molti tributi sotto forma di denaro (ricavato dal grano coltivato sulla terra concessa in uso per i loro bisogni e venduto nelle città e nei villaggi locali), e sotto forma di altri servizi resi, come l’obbligo di costruzione e manutenzione delle strade in alcuni momenti dell’anno.

 

La Vita di Regime all’interno del Maniero

I contadini erano controllati, sorvegliati, redarguiti e obbligati a svolgere diversi compiti dalla mattina alla sera. Questi dovevano lavorare la terra del Signore; ogni giorno dovevano svolgere sui campi una determinata quantità di lavoro, compreso il prendersi cura del bestiame del Signore (mucche, cavalli, galline, maiali ecc.), assicurarsi che la terra di quest’ultimo fosse propriamente concimata, e riparare e curare la manutenzione dei suoi attrezzi e dei suoi strumenti. Potevano dedicarsi alla cura dei loro appezzamenti agricoli per ricavarne un sostentamento per la propria famiglia, solo dopo aver completato il lavoro sulla parte di terra del Feudatario. Erano controllati e sorvegliati con attenzione, poiché il loro fine principale era quello di completare il lavoro sulla terra del Signore il più presto possibile per poter così dedicarsi alla cura del proprio appezzamento e trarne un beneficio. Marc Bloch così spiegava:

Gli agricoltori dell’appezzamento, dovevano dedicare a questo Signore, così lo chiamavano, prima una parte più o meno importante del loro tempo; giorni di lavoro agricolo dedicati alla coltivazione dei campi, dei terreni, e dei vigneti della sua proprietà [fondiaria]; servigi di spostamento e trasporto su carro; e alcune volte servizi di edificazione e artigianato. Inoltre erano obbligati a versare al Signore una considerevole parte del proprio raccolto, alcune volte sotto forma di canoni, altre sotto forma di tasse in denaro, in questo caso il loro accordo si basava su un preliminare scambio di prodotti per denaro. Gli stessi campi coltivati non erano nella loro piena proprietà, neanche la loro comunità – almeno nella maggior parte dei casi – godeva della piena proprietà di queste terre sulle quali erano esercitati i diritti comuni.

Ma si usava dire che“erano”del Signore, intendendo con ciò che come possidente terriero quest’ultimo era titolare di un diritto superiore su di esse, attestato dalle quote che gli spettavano, e in grado, in alcune circostanze, di prevalere sui diritti concorrenti dei singoli coltivatori e della comunità.”

I contadini, o servi, nascevano su queste terre e vi trascorrevano tutta la propria vita. Tra questi, solo pochi si erano mai spostati per più di 30 miglia dal proprio luogo di nascita. Se una Feudatario decideva di vendere uno dei suoi manieri a un altro nobiluomo, nella vendita erano inclusi non solo la terra, il bestiame, e gli strumenti da lavoro, ma anche la servitù che vi abitava. L’unico modo per sottrarsi a questo regime di schiavitù del Maniero, era quello di scappare e nascondersi in una delle città Medievali per un anno e un giorno. Trascorso questo tempo, il contadino, o servo, era considerato un “uomo libero.” Infatti, nel Medioevo, si usava dire, “L’aria di città ti rende libero.”

 

Il Commercio e gli Scambi nelle Città

Mentre i manieri erano ampiamente in grado di sostenersi tramite un sistema di auto sussistenza piuttosto completo, le città e i suoi residenti acquisivano quanto necessario con il commercio. Si trattava quindi, di un’economia di mercato. Ma il commercio, il mercato e lo scambio di denaro richiedono un sistema giuridico relativo ai diritti di proprietà che disciplini la proprietà individuale e un sistema di leggi e norme che disciplini i contratti tra gli operatori economici.

Infatti è proprio nelle città Medievali che iniziarono a sorgere le istituzioni economiche, giuridiche e sociali che sono i prerequisiti essenziali per lo sviluppo di un’economia di mercato complessa ed estesa. Possiamo osservare i fondamenti del capitalismo moderno nelle aree urbane dell’Europa Medievale, con le sue tradizioni e le tutele giuridiche dei diritti individuali, la proprietà privata, e l’esigenza di un ordine economico all’interno del quale ognuno soddisfa i propri bisogni servendo gli altri con il commercio e la produzione – e un’interdipendenza che è la conseguenza naturale di un sistema di divisione del lavoro basato sullo scambio. Anche se durante questo periodo emergevano lentamente le istituzioni della proprietà e del contratto, sarebbe un grande errore credere o affermare che la vita delle città Medievali riflettesse un’impostazione di libero mercato. Anzi, era il contrario. La concorrenza come la conosciamo noi oggi non esisteva, e sarebbe stato considerato un modo di fare affari pericoloso e non auspicabile. I prezzi e i salari erano tutti controllati sulla base dei concetti di “equità” e “giustizia” così come si concepiva all’epoca.

Il patrimonio comune e la gestione della proprietà nelle città erano una pratica comune in molte aree. Per esempio, un pascolo comune sul quale gli abitanti delle città facevano pascolare il proprio bestiame; il mulino per il grano sotto il controllo della città, e la possibilità di utilizzare le infrastrutture comunali da parte di tutti i residenti della città; spesso i forni, i panifici e i luoghi di mercato erano di proprietà comune e gestiti in maniera simile.

 

Corporazioni Medievali ed Economia Regolamentata

Il vero meccanismo istituzionale che regolava l’economia nelle città Medievali erano la“corporazioni.” Le “corporazioni” erano delle associazioni di categoria che davano l’autorizzazione per il commercio nella città e stabilivano i termini e le regole in base alle quali i beni o i servizi potevano essere prodotti e offerti sul mercato. I mercanti stranieri erano autorizzati a commerciare in città solo in virtù di permessi speciali. I loro spostamenti erano monitorati, non gli era permesso vendere “sottocosto” rispetto al prezzo praticato in città, e potevano vendere solo i beni di un certo tipo o qualità. Le “corporazioni” stabilivano tra gli abitanti della città: Le regole per l’apprendistato – chi e quante persone potevano iniziare una professione o un’occupazione ogni anno sotto la guida di un “maestro” membro di una corporazione; i materiali e i processi che potevano essere utilizzati per la produzione dei beni; gli orari di apertura dei negozi; che i beni non potevano essere ritirati dagli scaffali fino a un certo orario della giornata, e che potevano essere venduti solo sui mercati controllati dalla corporazione; era stabilito un minimo e un massimo per tutti i prezzi dei beni e delle risorse e fuori questa fascia scattava la violazione delle regole di condotta della corporazione con i conseguenti procedimenti penali. Sir William Ashley, nel suo “Un’Introduzione alla Teoria e alla Storia Economica Inglese (1909) ”riporta alcuni episodi relativi a questi regolamenti e alla loro applicazione:

Nell’anno 1311, Thomas Lespicer da Portsmouth aveva portato a Londra sei vasi di lamprede di Nantes

[un animale acquatico simile all’anguilla con una bocca aspirante senza mascelle]. Anziché collocarsi per quattro giorni, dopo il suo arrivo sul mercato, sotto il muro della chiesa di Santa Margherita su Bridge Street con le sue lamprede [come prevedeva la legge], le portò a casa di Hugh Malfrey, un pescivendolo. Lì le insaccò, e qualche giorno dopo gliele vendette, senza portarle sul mercato. Furono portati davanti al sindaco e all’assessore, confessarono la loro colpa, e furono perdonati; Thomas giurò che in seguito avrebbe sempre venduto le lamprede solo nei luoghi adibiti a ciò, e Hugh giurò che avrebbe sempre indicato agli stranieri dove questi avrebbero dovuto portare le loro lamprede…

[Nell’anno 1364] John Atwood, un fornaio, fu incriminato davanti al sergente legale (antico giudice medievale) per il seguente reato: “Considerando che Robert de Cawode aveva due quarti di grano sul marciapiede da vendere sul mercato legale all’interno di Newgate, egli, tale John, abilmente e sussurrando parole segrete alle sue orecchie, allontanava Cawode dal mercato legale in maniera fraudolenta; poi si recarono insieme alla Chiesa dei Frati Minori e John comprò i due quarti [di grano]a 15,5 centesimi a bushel, mentre a quel tempo il prezzo legale di vendita sul mercato era di 2,5 centesimi a bushel, ingannando e danneggiando così la gente comune e rendendo più caro il prezzo del mais. Atwood respinse l’accusa… Allora, si costituì una giuria della sede di Newgate che emanò un verdetto secondo il quale Atwood non solo aveva comprato il mais [grano], ma era poi tornato sul mercato, vantandosi dei suoi misfatti; fece e disse questo al fine di incrementare il prezzo del mais. Di conseguenza, fu condannato alla gogna per tre ore, e uno dei giudici fu incaricato di seguire la proclamazione e l’esecuzione della pena inflitta in conseguenza dei reati commessi.”

La logica delle corporazioni, delle loro norme e delle normative sui prezzi, sulla produzione, e sull’accesso a mestieri e professioni era, secondo loro, quella di mantenere i prezzi a dei livelli ragionevoli per i consumatori e garantire una qualità minima dei beni offerti sul mercato. Infatti, le corporazioni servivano a monopolizzare legalmente il commercio all’interno dei mestieri e delle professioni. Il loro effetto era anche quello di ritardare qualunque miglioramento della qualità dei beni, o della varietà delle merci offerte sul mercato. E disincentivavano gli artigiani e i professionisti da qualunque tentativo volto a ridurre i loro costi di produzione per incrementare i loro ricavi offrendo i loro beni a prezzi ridotti e più attraenti. Tutte queste attività – miglioramento della qualità, aumento della varietà, diminuzione dei prezzi di vendita – erano dichiarate pratiche commerciali “ingiuste” e “inique” che avrebbero danneggiato tutti gli uomini “onesti” nelle diverse linee di produzione e commercio. Tale condotta di mercato, così si diceva, avrebbe destabilizzato, nel lungo termine, i mercati, alterato gli standard tradizionali di fare affari e danneggiato sia i produttori sia i consumatori. Era preferibile controllare e limitare l’offerta, i metodi di produzione, i prezzi e i salari entro confini ben definiti e abituali per assicurare una “stabilità” alla città e al commercio quotidiano.

 

Le “Fiere Libere” una Strada verso Mercati più Liberi

Sarebbe scorretto affermare che non c’erano opportunità o innovative modalità di commercio. Tra queste, la Fiera Medievale fu quella di maggior successo. Una fiera commerciale richiedeva di solito l’autorizzazione del re, ed era rilasciata più frequentemente a un signore locale o un’autorità della chiesa, i quali agivano come “sostenitori” dell’evento. Le fiere erano organizzate soprattutto agli incroci delle strade più famose e maggiormente battute dai viaggiatori, e spesso erano i luoghi dove prendevano vita i centri abitati che in seguito sarebbero diventati delle città famose. Le date erano scelte per coincidere con festività religiose o altre vacanze, che avrebbero così radunato molte persone. Potevano durare pochi giorni o anche fino a sei settimane. Le fiere più importanti e di maggior successo divennero istituzioni nazionali o internazionali in tutta Europa, e attraevano mercanti e commercianti da tutte le parti del continente. Oltre ad essere un luogo dove fare affari, le fiere, erano un’occasione di svago, intrattenimento sociale e festa, con attrazioni, animali selvatici, orsi danzanti, maghi, musicisti, e “fenomeni da baraccone.”

Il duca o il vescovo che ospitavano la fiera per promuoverla e garantire il suo successo, avrebbero esonerato dal pagamento delle consuete tasse, dai pedaggi e dai regolamenti commerciali, tutti i mercanti, i venditori, e commercianti che si fossero recati a visitarla, e per tutto il periodo di stazionamento presso la fiera. I nobili e i religiosi promuovevano le fiere per ottenere un guadagno personale – ricevevano, infatti, commissioni speciali e tasse da parte dei commercianti e negozianti che partecipavano all’evento. Il contesto di relativo libero commercio che gravitava intorno alle fiere era tale che queste erano chiamate “ fiere libere.” Questo sistema delle fiere commerciali aveva due importanti funzioni:

Primo, agivano come mezzo tramite il quale le differenti parti dell’Europa potevano avere regolari contatti, anche se non frequenti, le une con le altre, ed entrare in contatto con le diverse tipologie e qualità dei beni e i diversi metodi di produzione;

Secondo, introducevano i concetti di norme commerciali, di contratto, e di diritti di proprietà, in un contesto istituzionale all’interno del quale i guadagni derivanti dal commercio dimostravano che quando i pedaggi, i regolamenti e le tasse non ostacolavano rigidamente la libera circolazione dei beni e delle persone, si creavano allora potenziali opportunità per benefici e profitti reciproci. Le persone iniziavano a capire quali sono i vantaggi di un commercio più libero. In sintesi: la vita sociale, politica ed economica nel Medioevo ruotava intorno a due istituzioni:

La Signoria Fondiaria nelle campagne, dove la vita si basava su una relativa auto sussistenza e dove tutto ciò che era necessario per vivere, era coltivato, prodotto e lavorato, all’interno dei confini della rispettiva proprietà terriera dei Signori, e dove questi ultimi avevano virtualmente il controllo su tutta la vita politica ed economica.

Il sistema delle corporazioni nelle città, che erano la sede del commercio, della manifattura, dell’artigianato, e di altre specializzazioni, e dove si realizzava lo scambio dei viveri e dei beni agricoli tra le persone che abitavano i latifondi e gli abitanti della città. Persino con l’emergere della valorizzazione e del riconoscimento dei diritti di proprietà e dei rapporti contrattuali legali per il commercio e gli scambi nelle città, il sistema economico era comunque basato su una rigorosa regolamentazione dei prezzi, della produzione e dell’accesso alle corporazioni artigiane e professionali. La struttura del Sistema Signorile e delle Corporazioni implicava anche che il centro dell’economia, le appartenenze politiche, e le relazioni sociali, tendevano a essere limitate entro confini geografici molto stretti. Per la gran parte di questo lungo periodo della storia – oltre alle periodiche “Fiere Libere” – erano molto poche le occasioni d’interazione politica o economica che potevano unire le varie parti dell’Europa o comunque si attribuiva a queste un’importanza limitata.

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Dove le cose hanno un senso

Von Mises Italia - Mer, 25/01/2017 - 08:21

Io dico che queste mura sono strane: prima le odi, poi ci fai l’abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato …

È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono. La parte che conta, almeno.” (Red)

È terribile vivere nella paura. Brooks Hatley lo sapeva. Lo sapeva anche troppo bene.

Io voglio solo tornare dove le cose hanno un senso … dove non devo avere paura tutto il tempo.” (Red)

Ricordi queste frasi?

Hai visto, almeno una volta (ma è davvero molto difficile che un film così bello si veda solo una volta nella vita), Le ali della libertà, tratto da un breve racconto di Stephen King, con Tim Robbins e Morgan Freeman?

Di sequenze e parole memorabili ce ne sono tantissime in quel film, ed ognuno ne ricorda e ne ha fatto proprie alcune.

Ma hai mai provato ad estrapolare il significato dell’intera narrazione?

Hai mai considerato che tutta la trama è una metafora economica “austriaca” e libertarian?

Ed in quest’ottica, quante persone, che conosci tu stesso, sono irrimediabilmente istituzionalizzate?

E, secondo te, quanto è importante instillare la paura come mezzo di manipolazione, di controllo, fino alla repressione, di qualsiasi istanza … scomoda?

C’è un peccato originale inventato (per errore, per superficialità, per presunzione?) e tu, vittima innocente, diventi un pericoloso criminale che deve essere fermato, punito, inibito, controllato, ridotto, ingabbiato per (forse) essere riabilitato, reinserito e … contribuire.

C’è un recinto invalicabile (parrebbe) ed all’interno coesistono indiscutibili (ma discrezionali) regole autoritarie e discutibilissimi rituali tollerati … dal Potere.

Il Potere, ipocrita e corrottissimo, è criminale non meno dei peggiori condannati. La realtà la decide lui e così tutte le cose hanno il senso che ha stabilito.

In mezzo ad intrallazzi, porcherie e tanta brutalità, ci sono risorse molto scarse per la sopravvivenza materiale e morale. Devi guadagnartele.

La legge implicita è soltanto una: devi abbandonare te stesso, puoi solo adattarti e lasciarti vivacchiare o lasciarti morire. E non c’è tanta differenza: devi finire istituzionalizzato. Devi perdere ogni speranza.

Perciò, è proprio la speranza (di tornare libero) l’unica cosa importante che dovresti risparmiare e proteggere con tutto te stesso. Ma in silenzio, intimamente, come individuo.

Sarà terribilmente frustrante conservarla. Potresti impazzirne. E condividerla è pericolosissimo. Potresti sprecarla. Per sempre.

Ma è in te e più forte di ciò che è fuori da te.

Per non soccombere, perciò, un po’ alla volta, diventi un alieno: impari a vedere la vera natura della realtà che ti circonda e dai all’impostore principale ciò che ti impone. Partecipi al gioco, perché l’hai compreso, ma vivi nella tua secessione individuale. Difendi quell’ultimo centimetro.

Lo fai solo per te stesso: resisti dissimulando e, alla fine, vinci.

Hai sofferto tanto, ma hai risparmiato il tuo valore, hai afferrato il tempo e l’hai usato bene e sei, di nuovo, libero. Sei tornato dove le cose hanno un senso.

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Trump e l’incombenza dell’elicottero monetario

Von Mises Italia - Lun, 23/01/2017 - 08:13

Uno dei grandi misteri degli ultimi otto anni è il motivo per cui non c’è stata una maggiore inflazione dei prezzi al consumo nonostante la Federal Reserve abbia stampato oltre $3,000 miliardi di nuovo denaro.
Molti economisti ipotizzano che tale stampa di denaro debba dimostrarsi inflazionistica, e molti consumatori hanno presunto la stessa cosa. La risposta è che la stampa di denaro di per sé non è inflazionistica — deve essere combinata con la velocità (quanto rapidamente viene utilizzato il denaro) al fine di produrre inflazione.
La maggior parte del denaro stampato dalla FED è finito nelle mani delle grandi banche commerciali, le quali l’hanno depositato presso la FED stessa sotto forma di riserve in eccesso. Tale denaro non è mai stato preso in prestito o speso. Pertanto non ha mai avuto il tipo di velocità necessaria per produrre aumenti di prezzo.
Un’altra risposta è che l’inflazione non s’è vista nei prezzi al consumo, ma nei prezzi degli asset e delle materie prime. Bolle in azioni, immobili e alcune commodity nel corso degli ultimi otto anni, rappresentano una sorta di “inflazione” tutta loro.
Ciononostante potremmo aver raggiunto un punto di svolta in cui l’inflazione dei prezzi al consumo è proprio dietro l’angolo.
Questa situazione è pericolosa perché si nutre di sé stessa. Una volta che appare l’inflazione, gli individui se ne aspettano di più. Cominciano a cambiare il loro comportamento prendendo in prestito e accelerando gli acquisti. Man mano che le aspettative si spostano dalla deflazione all’inflazione, è difficile tornare indietro.
Non siamo ancora in una fase d’inflazione galoppante come negli anni ’70, ma alcuni primi avvertimenti sono già nell’aria. Questa è una tendenza che monitorerò con attenzione.
Presto potremmo entrare in un nuovo periodo di dominazione fiscale da parte del Tesoro USA. La FED potrebbe subordinare la sua indipendenza politica allo stimolo fiscale coordinato dalla Casa Bianca e dal Tesoro USA.
Gli economisti mainstream tradizionalmente sono stati i più grandi campioni dell’indipendenza del Federal Reserve Board. Secondo loro se i politici fossero in carica, ci sarebbe una continua pressione per tassi d’interesse più bassi e una maggiore inflazione.
Si è ritenuto necessario garantire l’indipendenza alla FED in modo che i governatori (per lo più gli economisti con dottorati) potessero prendere decisioni difficili e aumentare i tassi se necessario. Ma ora un professore di Harvard, Larry Summers, ex-segretario del Tesoro USA, chiede meno indipendenza per la FED.
Vorrebbe che la FED collaborasse più strettamente con il Congresso e la Casa Bianca per attuare il cosiddetto “elicottero monetario”: il risultato di quando i governi hanno deficit più grandi e le banche centrali stampano denaro per coprirlo.
Le banche centrali hanno stampato denaro sin dal 2008. Il problema è che le banche non lo presteranno e la gente non lo spenderà. L’elicottero monetario taglia fuori gli intermediari. I governi prendono in prestito e spendono i soldi direttamente, bypassando il sistema bancario. Le banche centrali pagano il conto.
Ciò è in contrasto con le politiche della FED nel voler rialzare i tassi d’interesse al 3% nel corso dei prossimi tre anni, in modo da avere un po’ di polvere da sparo asciutta per la prossima recessione. È improbabile che Summers sia il solo nella professione economica a sponsorizzare questo approccio.
Guardate a quello che le élite stesse ci dicono.
Adair Turner è un membro dell’élite monetaria globale. Il suo titolo è Baron Turner di Ecchinswell, ed è l’ex-capo di Financial Services Authority. Oggi è il capo di un’organizzazione di facciata di George Soros, chiamata Institute for New Economic Thinking.
Turner ha scritto un articolo il 9 maggio 2016 intitolato “Helicopters on a Leash,” in cui si discuteva della monetizzazione del debito (che è il nome tecnico per l’elicottero monetario). Ecco un estratto:
Avanzare il caso tecnico per la finanza monetaria è indiscutibile. Si tratta di quella politica che stimola sempre la domanda nominale, anche quando altre politiche — come il deficit fiscale finanziato col debito o i tassi d’interesse negativi — risultano inefficaci […]. Una piccola quantità produce uno stimolo potenzialmente utile sia al livello della produzione sia a livello dei prezzi.
Anche se il piano di Summers non è stato adottato, la sua sola esistenza è stata progettata per spingere la FED verso una politica più accomodante.
L’economia statunitense è cresciuta circa il 2% l’anno sin dal 2009. Questo tasso è inferiore al potenziale di crescita dell’economia al 3%, e ben al di sotto del ritmo delle riprese economiche del passato.
A seguito delle recessioni del 1980 e 1981, l’economia americana è cresciuta a circa il 5% per diversi anni prima di stabilizzarsi di nuovo lungo il trend storico. L’economia statunitense ha avuto espansioni in tempo di pace record nel 1980 e 1990. Questo tipo di crescita è un lontano ricordo ora.
Per gli investitori di tutti i giorni, queste tendenze si riducono ad una cosa — una maggiore inflazione, prima o poi. È tempo di diversificare in hard asset, se non l’avete già fatto, prima che il piano di Summers diventi realtà.
Nessuno deve essere una vittima del piano di Summers. Basta solo riuscire a vedere ciò che sta arrivando. Potete preservare la vostra ricchezza abbandonando determinati sviluppi ed aumentarla entrando in altri sviluppi.
Come sempre, il tempismo è fondamentale. È importante rimanere concentrati ed essere agili.
Molti dei trend di breve periodo sono l’esatto contrario delle forze di lungo periodo. Le azioni possono performare bene nel breve periodo, mentre le banche centrali mantengono la loro posizione monetaria allentata. Una volta che l’inflazione decolla, ciò tende a creare un ambiente disastroso per le azioni perché l’inflazione danneggia la formazione di capitale ed i nuovi investimenti.
Il denaro contante è un altro buon asset a breve termine, perché combatte la deflazione, riduce la volatilità e vi permette di entrare in altre classi di asset quando la tempistica del piano delle élite diventerà più chiara. Eppure i contanti saranno una cattiva scelta a lungo termine, perché soffriranno di più per l’inflazione. In casi estremi, il denaro contante può diventare inutile.
Le obbligazioni sono solo una forma più volatile di denaro contante, solo con un rendimento più elevato. Anche in questo caso, le obbligazioni sono una buon scelta a breve termine (a causa dei timori per la deflazione) e una cattiva scommessa a lungo termine (perché l’inflazione è solo una questione di tempo).
Alcune delle migliori opportunità saranno nelle start-up di private equity e nel mondo della tecnologia. Questi investimenti devono essere selezionati con attenzione, perché il tasso di fallimento tra le start-up è elevato. Ma le buone idee possono prosperare in qualsiasi ambiente.
Abbiamo visto come Google, Amazon e Apple siano sopravvissute dopo il crash del 2000 e la crisi finanziaria del 2008. Trovare queste aziende è più facile a dirsi che a farsi, ma sono là fuori.
L’oro è buono per tutte le stagioni. L’oro performa bene con l’inflazione e la deflazione (perché il governo stesso farà offerte d’acquisto facendone salire il prezzo).
Il problema con l’oro è che potrebbe non essere disponibile quando se ne vorrà di più. Potrebbe essere dovuto alla semplice domanda e offerta, o i governi potrebbero cercare di regolamentare le vendite o comprare l’offerta fluttuante per le proprie posizioni di riserva.
Il tempo per acquistare oro fisico è ora.
Saluti,

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Trump, la FED ed il rischio sistemico

Von Mises Italia - Ven, 20/01/2017 - 08:06

Il fattore decisivo per l’attuazione del piano economico Trump è la reazione della Federal Reserve. Mentre un rialzo dei tassi della FED a dicembre era una certezza, il percorso dei tassi nel 2017 influirà sul successo o il fallimento dei piani di Trump.

 

Il ruolo della Federal Reserve

La FED può scegliere di essere altamente accomodante a fronte di deficit più grandi di Trump. Di conseguenza la FED non anticiperà l’inflazione, ma attenderà fino a quando non emergerà. L’inflazione effettiva è ancora ben al di sotto dell’obiettivo della FED al 2%. Dato questo suo obiettivo, potrebbe consentire all’inflazione di superare il 2% per un po’, visti i bassi livelli di oggi.

La FED ricerca anche tassi reali negativi come una sorta di misura di stimolo. I tassi reali negativi esistono quando il tasso d’inflazione è superiore al tasso d’interesse nominale. Questa condizione può esistere ad ogni livello dei tassi nominali. Ad esempio, l’inflazione al 3% con tassi nominali al 2.5%, produce un tasso reale negativo dello 0.5%.

Analogamente, un’inflazione al 4% con tassi nominali al 3.5%, produce lo stesso un tasso reale negativo dello 0.5%. Non c’è dubbio che la FED non voglia un’inflazione al 3.5%. Tuttavia possono raggiungere tassi reali negativi a qualsiasi livello utilizzando la repressione finanziaria per mettere un tetto ai tassi d’interesse nominali.

Ciò può essere fatto costringendo le banche a comprare buoni del Tesoro anche se il bilancio della FED è in restringimento. Una sorta di “QE ombra” utilizzando i bilanci delle banche commerciali in cui parcheggiare obbligazioni piuttosto che nel bilancio della FED.

Questo tipo di accomodamento nei confronti di deficit più elevati è anche definito “posizione fiscale dominante”, un’idea abbozzata dall’ex-governatore della FED, Rick Mishkin, e dai suoi colleghi nella gilda accademica. L’idea è che l’indipendenza della FED sia perlopiù un miraggio e la FED farà ciò che è necessario per facilitare i desideri fiscali del Congresso nonostante eventuali proteste.

In base a suddetta posizione fiscale dominante, è tollerata per un periodo di tempo prolungato una bassa inflazione. Eroderà gradualmente il valore reale del dollaro e del debito del Tesoro USA. È così che gli Stati Uniti hanno ridotto il loro rapporto debito/PIL dal 1946 al 1970.

Il problema con questo approccio è che l’inflazione non è puramente un fenomeno monetario, ma è anche un fenomeno comportamentale. La stampa monetaria da sola non produce inflazione. La stampa monetaria dev’essere combinata con la volontà degli individui di accendere prestiti, spendere ed investire.

Tale volontà è in gran parte psicologica. Tuttavia, una volta che le aspettative si spostano da scenari deflazionistici a scenari inflazionistici, sono difficili da spostare di nuovo. Ciò potrebbe portare ad una situazione in cui le aspettative d’inflazione si spostano dall’1% al 3%, ma poi si spostano velocemente al 5% o più su.

La FED prevede si ababssare le aspettative d’inflazione dal 3% al 2%. Ma ciò può essere un pio desiderio. Qualsiasi tentativo di aumentare i tassi per contrastare aspettative d’inflazione più elevate, può avere l’effetto opposto a quello desiderato, poiché i consumatori considererebbero i tassi più elevati come una convalida che l’inflazione sta andando fuori controllo.

Questo è esattamente quello che è successo nel 1974-1981. La FED si posizionò al di sotto la curva e vi rimase fino a quando il presidente della FED, Paul Volcker, non mise in atto misure estreme nel 1980-81.

In alternativa, la FED potrebbe decidere di di aumentare aggressivamente i tassi nel 2017. Questa linea di politica si baserebbe sulla lettura di Janet Yellen della curva di Phillips e sull’idea largamente accettata che la politica monetaria agisce con un certo ritardo.

Con una disoccupazione ai minimi post-recessione e la domanda per i sussidi di disoccupazione ai minimi storici, l’analisi della Yellen conclude che le pressioni inflazionistiche, provenienti da richieste di salari più alti, sono solo una questione di tempo. Dal momento che la politica monetaria ristretta funziona con un range di ritardo che va dai sei ai dodici mesi, è importante aumentare i tassi ora per stare al passo con l’inflazione.

Indipendentemente dallo stato del mercato del lavoro di oggi, la FED sta cercando disperatamente di alzare i tassi il più possibile. Ciò dovrebbe consentire di avere un po’ di polvere da sparo asciutta per tagli dei tassi durante la prossima recessione.

Per ammissione stessa della FED, l’euforia nel mercato azionario dopo l’elezione di Trump è contata come un allentamento delle condizioni finanziarie. Tale allentamento ha rappresentato la copertura perfetta per un restringimento monetario. La FED porterà avanti un delicato equilibrio tra allentamento (dalle azioni) e posizione monetaria ristretta (dai tassi) che gli permetterà di raggiungere il suo obiettivo di normalizzazione dei tassi senza trascinare l’economia in recessione.

L’ultima mina vagante in questo mix è il dollaro. Un ciclo di restringimento monetario da parte della FED rafforzerà il dollaro. Questo è un esito deflazionistico, perché gli Stati Uniti sono importatori netti e un dollaro più forte rende le merci importate più convenienti per i consumatori degli Stati Uniti.

La combinazione di un dollaro più forte, deflazione importata e tassi più alti in un’economia già debole, potrebbe far precipitare gli Stati Uniti in recessione.

E alcune parole bisogna spenderle per il peggior risultato economico possibile: la stagflazione. Questa è la combinazione infelice tra una maggiore inflazione ed una bassa crescita reale o di una recessione.

I grandi piani di spesa di Trump potrebbero produrre l’inflazione, mentre il rialzo dei tassi della Yellen producono una recessione. Una situazione del genere la ritroviamo negli Stati Uniti dal 1976 al 1981.

 

Rischio sistemico

Tra i rischi macroeconomici, il rischio sistemico è il più pericoloso. Potrebbe giocare un ruolo importante e inaspettato nei piani economici di Trump. Le banche troppo grandi per fallire sono più grandi che mai, hanno una percentuale maggiore di asset totali del sistema bancario e hanno molti più derivati nei loro bilanci.

Nei sistemi dinamici complessi, come i mercati dei capitali, il rischio è una funzione esponenziale della scala del sistema. Ciò significa che la dimensione più ampia del sistema implica una futura crisi di liquidità ed un panico globale di gran lunga più grande della Panico del 2008.

La capacità delle banche centrali di far fronte ad una nuova crisi di liquidità è fortemente limitata dai tassi d’interesse bassi e dai bilanci gonfiati, che non sono stati normalizzati dopo l’ultima crisi. Nel prossimo panico, che potrebbe arrivare in qualsiasi momento, le banche centrali dovranno rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale per fornire la liquidità necessaria.

Tale liquidità assumerà la forma d migliaia di miliardi di diritti speciali di prelievo, DSP (moneta mondiale). Queste emissioni d’emergenza di DSP saranno altamente inflazionistiche, e porranno fine al ruolo del dollaro come valuta di riserva globale.

Ci sono molti potenziali catalizzatori che potrebbero innescare una crisi del genere, tra cui Deutsche Bank, mancate consegne d’oro, crisi del debito denominato in dollari nei mercati emergenti, un disastro naturale, ecc. Il catalizzatore per un tale panico è irrilevante — ciò che conta è l’instabilità del sistema nel suo complesso.

Quando il catalizzatore viene innescato e s’avvia il panico, dinamiche impersonali assumono una vita propria. Queste dinamiche sono indifferenti all’ideologia politica o all’ordine del giorno dei politici.

L’amministrazione Trump potrebbe essere rapidamente travolta da una crisi di liquidità globale, come l’amministrazione Bush nel 2007-08. In tal caso, le élite globali che operano attraverso il FMI, la BRI ed il G20 detteranno le presunte soluzioni dal momento che controllano le leve delle liquidità, in particolare i DSP.

Trump potrebbe appoggiare la soluzione delle élite, cosa che comporterebbe la cooperazione con la Cina, o potrebbe combattere le élite, nel qual caso assisteremo ad una nuova Grande Depressione.

Prendendo in considerazione queste cose, l’inflazione potrebbe dominare rapidamente in caso di deficit statali e accomodamento della FED. Al contrario, la deflazione dominerebbe in caso di fattori fondamentali come un dollaro forte, una riduzione della leva finanziaria, la demografia e la tecnologia insieme ad una politica ristretta prematura della FED.

Dietro le quinte c’è una crisi sistemica, che potrebbe tradursi in inflazione (a causa della massiccia emissione di DSP) o deflazione (a causa della mancanza di una risposta globale coordinata).

Saluti,

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L’infelice destino di Donald Trump è quello di assistere ad una crisi finanziaria ben peggiore rispetto all’ultima

Von Mises Italia - Mer, 18/01/2017 - 08:53

Ad un terremoto non importa se sei progressista o populista. Distrugge la tua casa comunque. Allo stesso modo una crisi finanziaria è indifferente alla combinazione delle linee di condotta di un politico.

Le crisi sistemiche procedono secondo la propria dinamica basata sulla matrice di agenti di un sistema e la scala sistemica.

Il ritmo delle recenti crisi del 1994, 1998 e 2008 ci dice che un’altra crisi è probabilmente in arrivo. Un nuovo panico finanziario globale sarà una eredità dell’amministrazione Trump. Non sarà colpa di Trump, semplicemente la sua disgrazia.

I modelli di equilibrio e valore a rischio (VAR) utilizzati dalle banche non prevede il nuovo panico. Questi modelli sono pattume di scienza, si affidano, come fanno sempre, su nozioni di mercati efficienti, sul normale rischio distribuito, sulla liquidità continua e su un futuro che ricorda il passato. Nessuna di queste ipotesi corrisponde a realtà.

I progressi nella psicologia comportamentale hanno demolito l’idea di mercati efficienti. I dati mostrano che la distribuzione del grado di rischio è una curva esponenziale e non una normale curva a campana. La liquidità evapora quando ne hai più bisogno. I prezzi hanno un vuoto fra loro e non si muovono continuamente.

Ognuna delle crisi 1994, 1998 e 2008 è stata peggiore di quella precedente e richiedeva un più drastico intervento. Il futuro non assomiglia al passato e continua a peggiorare. I modelli standard sono logori.

I recenti miglioramenti del modello che tiene in considerazione il rischio del cosiddetto “colpo di coda” ancora non riesce a fare i conti con la scala sistemica. L’evento più catastrofico possibile, in un sistema complesso, è una funzione esponenziale di scala. In parole povere, se si raddoppia la dimensione del sistema, non si raddoppia il rischio; esso aumenta il fattore di cinque o più volte.

Dal 2008, le più grandi banche del mondo, sono più grandi in termini di patrimonio lordo, sia per la quota totale dei depositi sia per l’importanza nozionale dei derivati (nozionale: titolo sottostante dei derivati; i derivati sono contratti basati su una previsione, praticamente come una scommessa ndt). Tutto ciò che era troppo grande per fallire nel 2008, oggi è più grande ed esponenzialmente più pericoloso.

Il testamento biologico e l’ Autorità di Risoluzione del Dodd-Frank (riforma a tutela dei consumatori in risposta alla crisi finanziaria del 2008 ndt) sono entrate in un’area protetta con recinti. Sembrano imponenti, ma lo sono solo di facciata. Le riforme non potranno fare nulla per fermare una folla inferocita. I regolari aumenti di capitale non saranno sufficienti. Quando l’effetto leva di una istituzione finanziaria deve affrontare il panico della liquidità, nessuna quantità di capitale è sufficiente. Prendiamo ad esempio la riflessione fatta dalla leggenda del pugilato Mike Tyson: “nessuno schema sopravvive al primo pugno in faccia”.

Le banche dovrebbero prendere lezione da Mike Tyson.

Se i modelli esistenti non funzionano, cosa si fa? Una combinazione di: teoria della complessità, statistica bayesiana (da Thomas Bayes, il concetto di interpretazione delle probabilità ndt) e di psicologia comportamentale sono in grado di produrre modelli con un forte potere di previsione. Tali modelli sono stati sviluppati in pochi centri di eccellenza: come il Santa Fè Institute, la London School of Economics e l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo. Però, sono ben lontani dalla tradizionale corrente di pensiero e non saranno adottati in tempo per mitigare la crisi successiva.

Il panico finanziario è dinamicamente e matematicamente identico a una varietà di fenomeni naturali quali: i terremoti e le valanghe. Mentre la neve si accumula sul versante di una montagna, gli osservatori esperti possono avvistare il pericolo di valanghe. Presto un fiocco di neve si posa in modo tale da sconvolgere gli altri che iniziano a slittare, formando uno scivolo e creando lo slancio per far scivolare il manto nevoso. Il tempismo è incerto, ma la valanga è inevitabile.

Quale fiocco di neve potrebbe farci precipitare nel prossimo panico finanziario? La Deutsche Bank è un candidato naturale. Meno ovvia è una mancata consegna fisica di oro in lingotti da una banca di Londra. Ciò esporrebbe il mercato dello “oro di carta” (sostituto dell’oro fisico ndt) iper-sfruttato per quello che è. Una catastrofe in scala naturale come quella di Fukushima.

Quello che incombe su questi fattori catalizzanti è una carenza globale di dollari, come è stato descritto dagli economisti Claudio Borio e Hyun Song Shin della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Un dollaro forte potrebbe innescare un’ondata di default sui 9 trilioni di dollari (un milione alla terza ndt) di debito societario dei mercati emergenti. Quei valori del 1994, della Crisi Tequila (forte svalutazione del peso messicano sul dollaro, al quale era agganciato ndt), li farebbe sembrare un default addomesticato.

La crisi del 2008 è stata stroncata con decine di trilioni di dollari di swap su valute (derivati sui flussi di cassa ndt), stampa di denaro e taglio dei tassi coordinato dalle banche centrali di tutto il mondo. La prossima crisi sarà oltre la portata delle banche centrali e non potranno contenerla perché, dal 2008, non sono riuscite a normalizzare i tassi di interesse o i loro bilanci.

Le banche centrali saranno in grado di tirare fuori un altro coniglio dal cilindro? Ora di conigli ne hanno fuori molti.

Non sono falsi conigli.

Nella prossima crisi, la liquidità verrà dal Fondo Monetario Internazionale, che è il solo ad avere un bilancio pulito. Il FMI stamperà denaro per l’equivalente di 10 trilioni di dollari, in diritti speciali di prelievo per tutto il mondo (unità di conto, attività di riserva monetaria internazionale ndt). La Cina e la Russia acconsentiranno a questa iniezione di liquidità a condizione che si acceleri la scomparsa del dollaro come valuta di riferimento della riserva globale.

Trump può evitare questo destino? Forse. Le pattuglie sugli sci (servizio di soccorso), per ridurre il pericolo di valanghe utilizzano la dinamite per scrostare il manto nevoso. Allo stesso modo il sistema finanziario può essere reso più sicuro solo riducendone la portata. Le navi di grandi dimensioni utilizzano le paratie a tenuta stagna per ottenere lo stesso margine di sicurezza. Un buco nello scafo inonda quella parte, ma la nave non affonda.

Scrostare la finanza significa reintegrare il Glass-Steagall (legge bancaria del 1933 ndt) e pre-Big Bang: la separazione tra deposito e sottoscrizione titoli. Ciò significherebbe demolire le grandi banche. JP Morgan, Chase Manhattan e Chemical Bank devono riemergere dalla stretta di Jamie Dimon (Presidente e Amministratore delegato della JP Morgan Chase ndt). I derivati dovrebbero essere vietati ad eccezione dei futures quotati (contratti a termine standardizzati ndt) e legati a specifici beni utilizzati per la copertura commerciale. È il momento di chiudere il casinò.

Saprà Trump perseguire queste politiche? È improbabile. Tali proposte si perderanno in un mare di priorità concorrenti. I lobbisti bancari che gestiscono le leve di comando a Washington insabbieranno tutto e non cambierà un gran che.

Prima o poi ci sarà un nuovo Segretario del Tesoro e con la Presidente della Fed (Janet Yellen ndt) potranno ripercorrere le orme di Hank Paulson (già Segretario del Tesoro nella presidenza di George W. Bush ndt) e Ben Bernanke del 2008 e dire al Presidente Trump che il sistema sta avendo un attacco di cuore e non hanno alcun rimedio se non quello di suggerire: una telefonata a Madame Lagarde (FMI).

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L’elezione di Trump: miti e realtà

Von Mises Italia - Lun, 16/01/2017 - 08:49

Prima si proseguire facciamo chiarezza su Trump, è necessario spazzare via un mucchio di sciocchezze che sono state dette durante le elezioni.

E’ stata un campagna dura ed i candidati, di entrambi i partiti, si sono contesi sempre la verità gettano fango sull’opposizione. Non è una novità che la maggior parte dei giornalisti abbiano un forte orientamento liberale. Questo è stato veritiero per decenni.

Ma, c’è una differenza tra pregiudizio e malignità. Questa volta è stato davvero diverso. In questa elezione, i giornalisti hanno abbandonato ogni finzione di comportamento etico e hanno puntato tutto sulla Clinton.

Il Washington Post ha detto ai suoi più giovani giornalisti di lavorare giorno e notte per distruggere Trump con ogni mezzo possibile. Il New York Times è andato oltre. Ha chiesto ai suoi giornalisti di immaginare come vivevano in Germania, nel dicembre 1932, un mese prima della elezione che ha poi consegnato il governo al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, i nazisti, e ha eletto Adolf Hitler Cancelliere della Germania.

I reporter che cosa diranno, ai loro figli ed ai loro nipoti, di avere fatto per fermare l’ascesa di Hitler? Agli occhi del redattore, Trump era un nuovo Hitler ed giornalisti erano in dovere di fermarlo con ogni mezzo lecito o illecito.

L’economista, dell’Università di Harvard, Larry Summers ha apertamente paragonato Trump al dittatore italiano, il fascista Benito Mussolini. Le reti televisive, NBC, ABC, CBS e CNN non erano da meno. Dopo le e-mail trapelate sulla Clinton, il presidente della campagna per le presidenziali, John Podesta, ha chiesto ai giornalisti da CNBC e al Politico (quotidiano americano che si occupa principalmente di politica ndt) di presentare i loro articoli in anticipo, per l’approvazione, al fine di non offendere i Clinton.

Venendo al dunque. Questa non era una segnalazione di parte, questo è stato uno sforzo concertato per distruggere un uomo: Donald Trump. Nonostante ciò, Trump ha vinto le elezioni.

Perché soffermarsi sul passato? Perché non andare avanti? Il motivo è che le conseguenze di questa missione dei media per distruggere Trump permaneva nelle menti di tanti americani e di tante persone in tutto il mondo.

Per milioni di elettori impegnati, quello che è successo nelle elezioni non è solo la normale delusione che si prova per qualsiasi sconfitta elettorale, vi ‘è un senso di dissonanza cognitiva, di completa negazione e di incredulità.

In poche parole, tutti i giorni, i Democratici, alcuni Repubblicani, i media, le élite globali e molti cittadini in tutto il mondo ancora non sono in grado di digerire una presidenza Trump.

Trump è impulsivo e a volte il suo comportamento è volgare. E’ un uomo d’affari astuto, ma non particolarmente esperto nei dibattiti con politici di vecchia data e che assillano le élite di Washington. Lui è un CEO (Chief Executive Officer: Amministratore delegato ndt) di successo, non un guru economico.

Ma, non è un razzista, un misogino o un antisemita. Sono tutte sciocchezze, che fanno parte dell’operazione multimediale, stimolate per abbattere Trump. Coloro che non possono andare oltre le grezze etichette appuntate su Trump non saranno in grado di comprendere il vero Trump, al lavoro.

Quando Trump prevede un dazio del 45% sulle merci importate dai Cinesi, i geek (persone con interessi nel campo tecnologico-digitale ndt) di Washington analizzano sui loro fogli elettronici i modelli economici. Cominciano a calcolare la resistenza sulla crescita e l’impatto sui posti di lavoro derivante da un aumento dei dazi su una quantità delle importazioni statica. Quello che non capiscono è che: per Trump la tariffa del 45% è solo il punto di partenza per una trattativa.

È un invito ai cinesi a fare qualche concessione in settori quali: gli investimenti diretti all’estero delle imprese americane ed il furto della proprietà intellettuale. Una volta che alcune concessioni saranno disponibili, Trump può abbassare la tariffa proposta dal 45% al 25% e quindi chiedere più concessioni. Fa tutto parte di “art of the deal” (anche nome del libro scritto da Trump nel 1987: l’arte di fare affari, ndt).

Ironia della sorte, i cinesi sembrano capire questo meglio dei media americani. La Cina ha recentemente affermato che se Trump impone dazi, passeranno i loro ordinativi di aerei dalla Boeing agli Airbus dell’Europa e vieteranno la vendita di iPhone della Apple in Cina. Questa è l’arte della trattativa cinese.

Ora che le due parti hanno annunciato le loro offerte di apertura, che i negoziati abbia inizio! Ecco come ogni affare funziona nel mondo reale. Solo Washington e i media non hanno capito questo comportamento della negoziazione.

Analoghe idee sbagliate valgono per una serie di politiche di Trump, compresi i tagli fiscali ed i piani di spesa. Trump ha una visione grandiosa, ma si dimostra un abile manipolatore quando si tratta di raggiungere i precedenti critici come Paul Ryan e Mitt Romney (candidati il primo come presidente il secondo scelto come vice nel 2012 perdendo le elezioni. ndt) . Questa non è l’azione di un neofita della politica, ma di un operatore esperto che sa che la cooperazione batte sempre il confronto.

Gli oppositori di Trump hanno fatto un errore fondamentale. Essi credevano nella loro stessa propaganda. Quando si piegano le regole dell’etica e della comunicazione con l’obiettivo di raggiungere un certo risultato, questa è pura e semplice propaganda.

Ma, i grandi propagandisti, come i veri fascisti, i comunisti, i peronisti in Argentina, ed i Dittatori africani sono sempre attenti al non credere a quello che dice la loro stessa gente. I media degli Stati Uniti sono caduti nella trappola che loro stessi hanno creato: quella di credere nell’immagine distorta di Trump. Questo li ha lasciati totalmente impreparati al risultato delle elezioni e li lasciati incapaci di interpretare la situazione attuale.

Questo è importante da tenere a mente durante la lettura, per la copertura dei rischi, in merito alle politiche economiche di Trump. Vi sarà sempre l’analisi distorta su tutto, dal cosiddetto “libero commercio” per la politica fiscale, la politica fiscale, la politica di regolamentazione e molto altro ancora.

Realtà elettorali

Una volta messi da parte i miti di Trump, uno ha bisogno di interiorizzare la realtà. Questo non era una vittoria tipica; è stata una disfatta completa dei Democratici. La grandezza della vittoria repubblicana è un affondo, ma è così importante che è giusto dire: finalmente il cambiamento è arrivato a Washington.

Questo è un vantaggio, se vi piace la politica di Trump, ma è anche una sfida analitica. Molti dei vecchi modelli politici sono ad un punto morto e non si possono più applicare e/o comparare.

I Repubblicani non solo hanno appena conquistato la Casa Bianca, ma hanno anche mantenuto il controllo del Senato e della Camera dei Rappresentanti. I Repubblicani hanno avuto il controllo della Casa Bianca e le due camere del Congresso negli anni 2002 – 2006, ma quelli sono stati usati in risposta all’11 settembre, la Guerra Globale al terrore e la Guerra in Iraq.

La spesa per la guerra ha lasciato poco spazio alla spesa per le infrastrutture del genere che Trump intende proporre. Prima del 2002, l’ultima volta che i repubblicani hanno ottenuto la Casa Bianca ed entrambe le Camere del Congresso, contemporaneamente, è stato nel 1928.

Ci sono differenze significative tra il controllo repubblicano nel 2017 ed il controllo repubblicano del 2002. Il Senato opera sotto la regola dell’ostruzionismo (cloture) che richiede 60 voti alla fine dibattito, su qualsiasi misura.

Il dibattito prolungato, il cosiddetto “filibustiere”, è una tradizione del Senato e non della Costituzione, ma in genere onorato in base alle regole del Senato. Le piccole maggioranze detenute dai repubblicani nel 2002-2006, generalmente, non erano sufficienti per superare la regola dei 60 voti. I leaders della minoranza Tom Daschle e Harry Reid hanno usato questa regola per bloccare le iniziative politiche repubblicane.

Ma durante il periodo del controllo democratico del Senato dal 2006 al 2014, la leadership ha fatto importanti modifiche alle regole. L’Obamacare è passata nella sua forma finale come una “riconciliazione di bilancio” (consente l’esame accelerato su diversi capitoli ndt) che richiede solo 51 voti e non 60. Tale struttura, l’Obamacare, potrebbe essere validamente abrogata oggi modificando le disposizioni in materia di bilancio con lo stesso criterio dei 51 voti.

Ancora più importante, Harry Reid ha cambiato la regola (cloture) dell’ostruzionismo su incarichi giudiziari (ad eccezione della Corte suprema) e per i candidati del ramo esecutivo. Applicando la nuova regola, i repubblicani possono rimodellare le Corti Federali, in particolare l’importante Circuit Court di Washington, DC.

Possono, senza la resistenza Democratica, occuparsi anche del personale di alto rango del ramo esecutivo, tra cui i funzionari di gabinetto. In effetti, i Repubblicani possono aggiungere il futuro controllo della magistratura da parte del Congresso e della Casa Bianca nel loro triplice potere.

Ecco la ciliegina sulla torta. I Repubblicani controllano 32 Legislatori Statali su 50 e 33 Governatorati su 50. Il controllo a livello statale è importante quando si tratta di dirigere la spesa in infrastrutture, creare zone industriali e lavorare con il governo federale per attuare le politiche di Trump.

In breve, il potere repubblicano, nel corso del processo politico americano, è più forte ora di quanto non lo sia mai stato in qualsiasi momento, dall’Era della Ricostruzione (1866-1876) in seguito alla Guerra Civile.

Né i Repubblicani né i Democratici hanno ancora pienamente compreso la portata di questo cambiamento storico. Questo, in pratica, significa che se i repubblicani sono d’accordo sul mix di politiche, sono nella posizione più forte per applicarle concretamente da 150 anni a questa parte.

I Democratici erano in una posizione allo stesso modo potente dopo l’elezione catastrofica di Lyndon B. Johnson nel 1964. Hanno usato quel potere per passare dal Medicare (programma di assicurazione medica amministrata dal governo ndt) ad altri programmi di riforma come la Great Society (Grande Società). Ma l’ arroganza ha anche portato alla tragedia della guerra in Vietnam.

Il potere democratico è stato sconfitto appena quattro anni dopo, con l’elezione di Richard Nixon nel 1968.

Resta da vedere se Trump saprà consolidare il potere del partito unico, come è stato fatto da Abraham Lincoln e Franklin Delano Roosevelt, o saprà sprecarla come Lyndon B. Johnson.

Saluti.

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Storia della riserva frazionaria: Perché le valutazioni del mercato azionario sono ampiamente influenzate dai tassi d’interesse? – Seconda Parte

Von Mises Italia - Ven, 13/01/2017 - 08:35
  • Le banche centrali oggi appaiono più potenti che in qualsiasi momento della storia – qualcosa è cambiato?
  • No davvero – a causa del loro ruolo nella gestione del debito governativo e nella gestione della riserva frazionaria, le banche centrali hanno sempre avuto lo stesso potere.

Nella prima parte di questo articolo ho investigato lo sviluppo delle banche centrali, con un’attenzione particolare alla Banca d’Inghilterra. Ho considerato l’impatto drammatico che la Banca ha avuto sul costo dei prestiti alla corona/governo, a partire da un tasso medio dell’11% nei novant’anni precedenti al 1694 fino al 5% nei quarantacinque anni successivi.

In questa sezione considererò l’impatto che costi di prestito artificialmente bassi hanno avuto sul valore delle azioni e dei corporate bond. Infine, considererò il livello odierno dei tassi d’interesse, concentrandomi sui mercati più liquidi per le azioni e per i bond statunitensi. Le mie conclusioni potrebbero contrariare qualcuno, tuttavia non dovrebbero in realtà sorprendere, data la parzialità del sistema di riserva frazionaria (1) rispetto ai governi che queste banche centrali servono.

 

Il potere conflittuale delle banche centrali

Riassumendo, le banche centrali hanno il potere di provvedere liquidità e di fissare i tassi d’interesse. Ad ogni modo, la loro esistenza origina dalla loro funzione di finanziatori e sottoscrittori del prestito dei governi. I conflitti d’interesse, che risultano evidenti se si considerano i più antichi registri della Banca d’Inghilterra descritti nella prima parte di questo articolo, potrebbero sembrare meno ovvi oggigiorno, ma esistono comunque. In tempi recenti si è data molto credito alla convinzione che le banche centrali siano indipendenti, ma esiste ancora un conflitto politico inerente al cuore della relazione fra le banche e governi per i quali esse agiscono – anche le loro azioni sembrano esserne indipendenti.

Nel 1693 il governo britannico prese in prestito 1 milione di sterline al 14%. Quando la Banca d’Inghilterra venne fondata nel luglio 1694, essa prestò al governo 1,2 milioni di sterline all’8%. Entro il 1697 il governo prendeva in prestito al 6,3%. Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del bank rate e del gilt yield a partire dal 1694:

Fonte: Bank of England

Le punte raggiunte intorno al 1719-1720 si riferiscono alla bolla della South Sea Company: una prima controprova dell’onnipotenza delle banche centrali. Se una simile bolla scoppiasse oggi, mi aspetterei che i bond yields si abbassassero e non alzassero, ma ci sono prove – come ho sostenuto in questo articolo:  Is the “flight to quality” effect breaking down? – del fatto che la durata dei portafogli di bond sia cresciuta così drammaticamente che i bond non sono più oggi l’investimento sicuro che erano una volta.

Con il rapporto deficit/PIL al 260% sembra straordinario che nel 1819 si fosse in grado di prendere in prestito al 5% o 6%. Durante un tale periodo di così grande debito (negli anni 1560) anche il brillante Sir Thomas Gresham riuscì solamente a portare il costo del prestito per Elisabetta I, dal 14% al 12% — anche se la sua manipolazione al rialzo della sterlina sui mercati esteri fu un grande successo e segnò l’unico declino nei livelli di prezzo durante la grande inflazione del sedicesimo secolo.

Forse il mio confronto con l’era elisabettiana non è del tutto equo. I prezzi salirono del 22% fra il 1600 e il 1690, anche se caddero del 4% fra il 1690 e il 1740, tuttavia il dimezzamento del costo di prestito del governo non può essere ascritto solamente alla timida deflazione e ad una riduzione delle frizioni finanziarie. L’articolo North and Weingast – The Evolution of Institutions Governing Public Choice in 17th Century England sostiene il contrario, notando che l’incremento dei prestiti della Child’s Bank è un esempio dell’aumento di profondità di capitale:

Fonte: North and Weingast

Come mostra la tabella qui sotto, che ho anche commentato nella prima parte di questo articolo, credo che sia la discutibile etica della riserva frazionaria bancaria – con I requisiti della riserva governata dalle banche centrali—che porta I tassi di prestito governativo al di sotto dei “tassi naturali” d’interesse

Year Borrower Rate Notes Loans Mortgages Rental yield Usury Maximum 1604-1605 James I 10% from the Fishmongers 7.74% 5% 6.07% 10%* 1611-1612 James I 10% Secured by duties 7.86% 5% 5.85% 10% 1617 James I 10% Secured by bond 7.86% 5% 5.85% 10% 1625 Charles I 8% Secured by Crown revenues 7% 5% 6.26% 8% 1640 Charles I 8% Usual Rate 6.74% 5% 5.78% 8% 1660-1670 Charles II 8% 5.47% 4% 5.40% 6% 1665 Charles II 8-10% Secured by taxes 4% 4% 5.40% 6% 1660-1685 Charles II 10-20% 5.55% 4% 5.38% 6% 1680 Charles II 6% Secured by revenue 5% 5% 5.30% 6% 1690 William III 10-12% Secured by revenue 5.26% 5% 5.00% 6% 1690 William III 25-30% Unsecured 5.26% 5% 5.00% 6% 1692 Government 10% First Issue 5.26% 5% 5.00% 6% 1693 Government 14% Second issue 5.26% 5% 5.00% 6% 1694 Government 8% BoE loan secured by duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1697 Government 6.30% Secured by Excise duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1698 Government 8% Secured by Excise duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1707 Government 5% Secured by Crown revenues 5%  5% 4.94% 6% 1728 Government 4% Secured by Coal duty 4.86%  5% 4.39% 5% 1731 Government 3% Secured by Excise duties 4.67%  5% 4.07% 5% 1739 Government 3% Sinking Fund 4.67%  5% 4.07% 5%

 

*Enrico VIII introdusse il primo massimo nel 1545. La legge sull’usura venne infine abolita nel 1854
Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck).

Year Gov-Loan Gov-Rent Gov-Mort Loans Rental Mortgage 1604-1693 5.19% 5.75% 6.46% 6.05% 5.48% 5% 1694-1739 0.33% 0.31% 0.33% 4.95% 4.64% 5%

Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck)

Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del debito del governo britannico come percentuale del PIL a partire dal 1692.

Fonte: ukpublicspending.co.uk, jpgraph

Il prestito governativo è spesso chiamato tassazione differita – siccome per pagare i prestiti di oggi, le tasse dovranno essere aumentate domani. Per una prospettiva differente su quest’idea si veda l’articolo Ralph Musgrave – National debt is not deferred tax.

L’inflazione è, a questo riguardo, chiaramente amica di chi prende in prestito, tuttavia, se si diminuisce artificialmente il costo dei prestiti da parte del governo, attraverso il potere bancario di riserva frazionaria, il governo è anche in grado di divertire una maggiore porzione di debito relativamente al PIL – o, almeno, alle future riscossioni tributarie. Ciò che rimane nascosto, è che questo prendere in prestito tende a far uscire dal mercato altri che potrebbero potenzialmente prendere in prestito, sottraendo loro capacità d’investimento.

Nonostante gli argomenti sul fatto che i governi possano allocare efficientemente il capitale, il tasso di crescita economica risente del fatto che i prestiti governativi siano finalizzati alla spesa generale oppure all’investimento di capitale.

 

Come le valutazioni azionarie risentono dei tassi d’interesse

Quando ancora vigeva lo standard aureo, le banche centrali non erano completamente libere nel loro potere di ridurre i tassi d’interesse per il fatto di essere obbligate a scambiare su richiesta oro per banconote.
Una volta passati alla moneta fiat – non basata su alcuna misura di valore all’infuori della percezione di mercato – le banche centrali poterono mantenere bassi i tassi d’interesse per più tempo. Bassi tassi d’interesse possono essere positivi per l’economia, come una misura contro-ciclica che mitiga le vicissitudini di una recessione, tuttavia quando vengono mantenuti per troppo tempo, distorcono il prezzo del denaro e questo porta a cattivi investimenti.

Tutto questo potrebbe sembrare provocatorio, ma assumiamo che il tasso d’interesse a cui il governo britannico può prendere in prestito sia solo di 300bp al di sotto del tasso che avrebbe dovuto essere negli ultimi 322 anni – ossia circa al 4% invece che al 7%. Che cosa significa questo per l’industria finanziaria?
Ci sono qui due forze al lavoro: un tasso di rischio più basso di quello “naturale”, che dovrebbe rendere possibile all’industria di prendere in prestito a prezzo scontato; sarebbero dunque in grado di finanziare nuovi progetti che, a condizioni normali, non sarebbero forieri di profitto, prolungando artificialmente un boom economico. L’altro effetto è di permettere al governo di togliere spazio ai prestiti del settore privato, specialmente durante i periodi di declino economico, quando i prestiti del governo incrementano proporzionalmente al calo dei profitti privati. L’impatto di questi due effetti sugli interessi industriali in un certo senso nega sé stesso. Nel lungo periodo, un eccesso di prestiti governativi riduce permanentemente la capacità economica di un paese, nel grado in cui l’investimento governativo è meno economicamente produttivo dell’investimento privato. Le politiche possono differire, come mostra il grafico qui sotto, quando il governo eccede del 15% del PIL, il tasso di crescita potenziale dell’economia ne inizia a soffrire:

Fonte: The Heritage Foundation, Peter Brimelow

La realtà è che gli investitori hanno la memoria corta rispetto al rischio di default e il governo britannico è riuscito ad evitare il default – anche se ha ridotto il coupon sul prestito di guerra (vedi il poster sopra) al 3,5% nel 1932. Nello stesso anno in cui fece default, o forse dovrei dire le fu perdonato il suo prestito inter-alleato verso gli Stati Uniti alla Conferenza di Losanna.

L’effetto sui prezzi delle azioni è però drammatico. Se i tassi d’interesse sui prestiti, a partire dai fidi bancari fino all’emissione di obbligazioni, è artificialmente basso, mentre il costo dei prestiti governativi dovrebbe incrementare durante una recessione economica, oppure se i tassi d’interesse governativi incrementano, allora la politica delle banche centrali – in relazione sia ai tassi d’interesse di corto e lungo termine – diventa sostanzialmente più importante della valutazione di un’azione, rispetto a quanto sarebbe in un mercato senza queste restrizioni.

 

Confrontare azioni e obbligazioni statunitensi

Durante gran parte del periodo che si è aperto nel 1971, il ribasso artificiale dei tassi d’interesse è stato oscurato dall’inflazione. Quando il tasso d’inflazione incrementò, allora la tradizionale relazione fra i dividenti azionari e le obbligazioni governative si invertì. Il grafico qui sotto mostra i dividendi di S&P500 (in rosso) e i ricavi da obbligazioni del tesoro statunitense dal 1871 al 2011.

Durante la maggior parte di questo periodo le rendite dei dividenti furono più alte dei ricavi obbligazionari. Questo è coerente con il concetto che dovrebbe esserci un incentivo per il rischio d’investimento azionario rispetto a quello obbligazionario. Durante l’era della grande inflazione, la relazione s’invertì, perché le azioni portavano con sé uno scudo naturale per l’inflazione, a differenza delle obbligazioni:

Source: Global Financial Data Inc.

L’incentivo medio per il possesso di azioni fra il 1871 e il 1957 era dell’1,83%. Oggi è +0,41%. La tabella sotto mostra il dividendo medio (DY) rispetto al ricavo obbligazionario (BY) e lo spread fra l’era pre-inflazionaria e post-inflazionaria:

Period DY BY Spread 1871-1957 5.34 3.51 1.83 1958-2010 3.11 6.53 -3.42

Fonte: Multpl.com

Dopo molte generazioni in cui le azioni servirono come scudo contro l’inflazione – senza accennare agli incentivi degli share options per i manager – non sorprende che oggi i dividendi siano bassi. I ricavi da obbligazioni governative hanno raggiunto un minimo storico, mentre gli incentivi di rischio richiesti dagli investitori per passare ai corporate bonds sono caduti e questo potrebbe avere l’effetto deprimere i dividendi azionari. Un buono del tesoro statunitense rende l’1,65%, meno della metà della sua media nel lungo periodo. I corporate bond e le azioni sono, dunque, molto più sensibili ai cambiamenti nelle banche centrali e ai tassi delle obbligazioni governative oggi rispetto ad ogni altro momento degli ultimi 145 anni.

 

Conclusioni

Mentre le misure di valutazione azionaria come i dividend cover price e i price to earning per share, rimangono valide, il loro impatto è di molto ridotto per effetto dei tassi d’interesse. Fin dalla nascita delle banche centrali, i tassi d’interesse “privi di rischio” sono stati artificialmente bassi. Questo è stato particolarmente vero durante i periodi di emissione di valuta fiat, quando la convertibilità aurea della moneta è stata sospesa.

Una normalizzazione dei tassi d’interesse non appare imminente, e ciò è una buona cosa per le azioni, ma sarebbe saggio, partendo da una prospettiva difensiva, cercare azioni corporate con buoni fondamentali, che possono offrire dividendi più alti. Il tasso di crescita dell’economia globale sta rallentando, l’inflazione rimane generalmente sotto controllo mentre la cerca di ricavi non diminuisce. E comunque la correlazione fra azioni e obbligazione è al suo minimo storico su un periodo di 145 anni come mostra questo grafico:


Fonte: Robert Shiller – Yale University

Non ci si faccia ingannare dai dati di correlazione giornaliera – con il livello assoluto dei ricavi da obbligazioni a meno della metà della media sul lungo periodo, è il mercato delle obbligazioni che determinerà la direzione delle azioni. Come i ricavi obbligazionari risalgono, cosa che, negli Stati Uniti, è determinata dall’aspettativa di una stretta della Federal Reserve (Fed), il mercato delle azioni cadrà. Il declino nelle azioni allora alza l’aspettativa di un ritardo nella stretta della Fed. La correlazione giornaliera sul quinquennio fra azioni e obbligazione allora potrebbe essere ora ad un picco negativo ma la correlazione annuale potrebbe rimanere ancora fortemente positiva. I manager di portafogli azionari, chiaramente, magnificano le virtù di un portafoglio diversificato, ma, quando i ricavi obbligazionari sono all’1,65% e i dividendi al 2,06%, non sarà di grande conforto per gli investitori in fondi pensione.

Ad esempio Calpers ancora resta ancorato ad un obiettivo di ritorno annuale del 7,5% — l’anno scorso ha riportato il 2,4%. L’Analisi delle Security, come fu intitolato un libro di Graham e Dodd del 1934, ha ancora un posto e, nel “grande dipanamento” che probabilmente arriverà quando tutte le politiche fiscali e monetarie siano esaurite, sarà probabilmente il miglior strumento per navigare acque non tracciate. Per ora, comunque, le banche centrali e i governi delle nazioni sviluppate, hanno ancora moltissimi strumenti da impegnare a disposizione. Il prezzo artificialmente basso del denaro continuerà a dominare i mercati per le obbligazioni, le valute, gli immobili e anche le azioni per ancora qualche tempo a venire.

 

Note: (1) Il prestito di riserva frazionaria è un sistema in cui solamente una frazione dei depositi bancari sono veramente riscontrati dal quantitativo di denaro a portata di mano.

Fonti addizionali
Nicholas Mayhew – Sterling (1999) Allen Lane
Phelps, Brown and Hopkins – Economica Vol 22 No 93 (1956)
Rondo Cameron – A Concise Economic History of the World – 3rd Edition (1997) OUP

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Storia della riserva frazionaria: Perché le valutazioni del mercato azionario sono ampiamente influenzate dai tassi d’interesse? – Prima Parte

Von Mises Italia - Mer, 11/01/2017 - 08:54

La South Sea Company venne fondata nel 1711 e fu parte integrante dei trattati seguiti alla guerra di successione spagnola, che si concluse con l’assunzione, da parte della Società del debito sostenuto dall’Inghilterra durante la guerra. La South Sea Company fallì nel 1720.

  • Le banche centrali oggi appaiono più potenti che in qualsiasi momento della storia – qualcosa è cambiato?
  • No! Le banche centrali hanno sempre avuto lo stesso potere in virtù del loro ruolo nella gestione del debito governativo e della riserva frazionaria,.

A partire dagli anni ottanta del secolo scorso, i tassi di interesse hanno determinato i rendimenti del mercato azionario e così sarà anche nel prossimo futuro. Tale influenza è aumentata considerevolmente nei successivi trent’anni, ma le anomalie di prezzo nei tassi d’interesse sul mercato sono state un fattore di distorsione e instabilità per un tempo ancora maggiore: dall’invenzione delle banche centrali.

Nella prima parte di questo articolo analizzerò lo sviluppo del fenomeno delle banche centrali con particolare riferimento alla Banca d’Inghilterra. Nella seconda parte sosterrò che gli effetti a lungo termine dei prestiti governativi a interessi più bassi di quelli aziendali incrementa la prociclicalità, toglie spazio a investimenti privati economicamente più produttivi e, anche quando riduca i tassi d’interesse assoluti per qualunque tipo di prestito, conduce i tassi molto al di sotto del “tasso naturale” portando così a cattivi investimenti.

La prima parte, tuttavia, è soprattutto un tentativo di imparare dalla storia. Potreste notare un occasionale “déjà vu all’inverso” in quanto le politiche monetarie non convenzionali degli ultimi anni hanno precedenti ancora più eclatanti.

Breve storia delle banche centrali

Le banche medievali

Le Società fiorentine dei Bardi, dei Peruzzi e degli Acciaiuoli furono le prime vere banche dell’era moderna. La loro mission era quella di agire come corrispondenti per gli scambi commerciali fra differenti regioni geografiche a causa dell’ingente tempo, costo e rischio che comportava muovere oro e argento . I primi banchieri erano veramente “al servizio dell’industria”. Queste compagnie prosperarono all’inizio del dodicesimo secolo, ma dichiararono bancarotta nel 1345 dopo aver prestato troppo liberamente a sovrani insolventi, tra i quali, non ultimo, Edoardo III d’Inghilterra.

Edoardo I, il nonno di Edoardo III, aveva espulso gli Ebrei dall’Inghilterra solamente cinquant’anni prima (1290) e aveva portato alla bancarotta i Ricciardi di Lucca – una società mercantile italiana – da cui prendeva in prestito al tasso del 15%. I Ricciardi erano stati colti da una riduzione di liquidità nel 1294, quando scoppiò la guerra fra l’Inghilterra e la Francia – Edoardo I tentò di richiedere ancora più denaro ai Ricciardi che non ne avevano più. Forse i Bardi e i Peruzzi pensarono che un insieme diversificato di prestiti sub-prime avessero una migliore valutazione del credito rispetto a mutui contratti separatamente. Si stima che riuscissero a guadagnare fino al 40% d’interesse sul denaro prestato. Chiaramente Edoardo III era il re dei titoli spazzatura dei suoi tempi.

Altri piccoli istituti bancari crebbero in altre città italiane come Genova e Venezia. Queste prime banche funzionavano principalmente come depositi sicuri, benché fossero coinvolte anche in un limitato numero di prestiti a riserva frazionaria (1) nonostante questa pratica fosse assolutamente illegale. Lombard Street a Londra deve il nome dai banchieri italiani che operarono in questa parte della città fra il dodicesimo ed il tredicesimo secolo.

Dopo la peste bubbonica che fra gli anni 40 e 50 del quattordicesimo secolo ridusse del 30% la popolazione dell’Europa – secondo stime prudenziali morirono attorno ai 25 milioni di persone – gli scambi commerciali diminuirono, i prezzi si abbassarono e i salari medi aumentarono. Intorno al quindicesimo secolo la popolazione europea si era completamente ristabilita e la banca dei Medici (1397 – 1494) a Firenze – che aveva succursali a Roma, Milano, Venezia, Ginevra, Avignone, Lione, Londra e Bruges – e altre più piccole imprese, presero il posto delle banche precedenti. Il Monte dei Paschi di Siena (fondato nel 1472) è l’unica banca sopravvissuta fino ad oggi. Per evitare i rischi di bancarotta, queste nuove istituzioni furono fondate in una forma simile a quella delle moderne holding, con sussidiarie commerciali e responsabilità limitate.

La finanza europea si sviluppò lentamente a causa del divieto di usura posto dalla Chiesa Cattolica, iniziato, al Concilio di Nicea del 325, con una proibizione per il clero di prestare denaro. Più tardi, nel quarto secolo, il divieto venne esteso anche ai laici. Il divieto si rafforzò quando l’usura venne dichiarata illegale durante il regno di Carlo Magno (800-814), primo sacro romano imperatore, e raggiunse il suo apice nel 1311, quando Papa Clemente V rese assoluto il divieto di usura e dichiarò nulla ogni legislazione laica in suo favore. Siamo dunque in debito con le pratiche finanziarie del mondo arabo, architettate per aggirare le leggi coraniche sul pagamento di interessi, per l’invenzione della lettera di credito e della cambiale.

Nell’Europa settentrionale, la finanza mercantile crebbe con il successo di organizzazioni come la Lega Anseatica (1358) e la Compagnia dei Merchant Adventurers (1551), ma le lettere di credito e le cambiali conobbero una nuova importanza durante l’età delle scoperte geografiche. Compagnie come la Onorevole Compagnia delle Indie Orientali (1600) e la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (1602) aumentarono vertiginosamente la domanda di servizi bancari.

L’avvento delle banche centrali e il diciottesimo secolo

Anche se si potrebbe sostenere che la Banca di Venezia (1157) è sia stato un precedente notevole, è opinione generale è che la prima banca centrale del mondo fu la Sveriges Riksbank. In principio chiamata la Riksens Standers Bank – banca dei patrimoni del reame – venne fondata dal parlamento svedese nel 1668, dopo la bancarotta del Banco di Stoccolma del 1664.

Dopo la “gloriosa rivoluzione” inglese, quando Giacomo II venne deposto a favore di Guglielmo e Maria (1699-89) le finanze governative erano in dissesto. La Banca d’Inghilterra, costruita su modello della Amsterdam Wisselbank (fondata nel 1609) invece di quello della Riksbank, ricevette l’approvazione reale nel 1694. Quest’ultima fu la trentottesima proposta di banca centrale presentata al Parlamento fin dal 1600.

La tabella qui sotto mostra i tassi d’interesse sui prestiti della Corona o del Governo durante il diciassettesimo e nel primo diciottesimo secolo. Ho ignorato i “prestiti forzati” avvenuti durante il regno di Carlo I dato che questi erano in realtà una forma di tassazione. Per un confronto ho delineato il tasso prevalente per i prestiti aziendali, mutui ipotecari e, dal momento che i dati sono molto più numerosi, il rendimento derivante dalle locazioni:

Anno

Mutuatario

Tasso

Note

Prestito

Ipoteca

Rendimento

Max Usura*

1604-1605

Giacomo I

10%

Dai
Pescivendoli

7,74%

5%

6,07%

10%

1611-1612

Giacomo I

10%

Assicurato dai dazi

7,86%

5%

5,85%

10%

1617

Giacomo I

10%

Assicurato dalle obbligazioni

7,86%

5%

5,85%

10%

1625

Carlo I

8%

Assicurato dalla Corona

7%

5%

6,26%

8%

1640

Carlo I

8%

Tasso Usuale

6,74%

5%

5,78%

8%

1660-1670

Carlo II

8%

5,47%

4%

5,40%

6%

1665

Carlo II

8-10%

Assicurato dalle tasse

4%

4%

5,40%

6%

1680

Carlo II

6%

Assicurato dalle entrate

5%

5%

5,30%

6%

1690

Guglielmo III

10-12%

Assicurato dalle entrate

5,26%

5%

5,00%

6%

1690

Guglielmo III

25-30%

Non assicurato

5,26%

5%

5,00%

6%

1692

Governo

10%

Prima istanza

5,26%

5%

5,00%

6%

1693

Governo

14%

Seconda istanza

5,26%

5%

5,00%

6%

1694

Governo

8%

Assicurato dai dazi

5,26%

5%

5,00%

6%

1697

Governo

6,30%

Assicurato dalle accise

5,26%

5%

5,00%

1698

Governo

8%

Assicurato dalle accise

5,26%

5%

5,00%

1707

Governo

5%

Assicurato dalle entrate della corona

5%

5%

4,94%

6%

1728

Governo

4%

Assicurato dal dazio sul carbone

4,86%

5%

4,94%

5%

1731

Governo

3%

Assicurato dalle accise

4,67%

5%

4,07%

5%

1739

Governo

3%

Fondo Naufragi

4,67%

5%

4,07%

5%

*Enrico VIII introdusse il primo tasso massimo nel 1545. La legge sull’usura venne infine abolita nel 1854

Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck).

I tassi d’interesse medi per ogni periodo sono qui usati per calcolare la forbice mostrata nella tabella sottostante. Il più grande cambiamento (6,46%) è fra i tassi dei prestiti presi dalla Corona o dal governo e i tassi d’ipoteca. Ho anche illustrato l’impatto sul tasso di prestito, quello di affitto e di ipoteca durante il periodo precedente e quello successivo alla creazione della Banca d’Inghilterra.

Anno

Prestito Gov

Affitto Gov

Ipoteca Gov

Prestito

Affitto

Ipoteca

1604-1693

5.19%

5.75%

6.46%

6.05%

5.48%

5%

1694-1739

0.33%

0.31%

0.33%

4.95%

4.64%

5%

Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck)

Il costo del denaro prestato diminui drasticamente (6%), così come il costo dei prestiti privati e delle rendite fondiarie (rispettivamente 1,1% e 0,84%) mentre i tassi ipotecari rimasero invariati. Se il declino nel costo dei prestiti fosse stato solamente il risultato delle innovazioni finanziarie, le riduzioni dei tassi d’interesse avrebbero dovuto essere distribuite più equamente. Questo risultato sembra invece derivare da quello che sarebbe stato più tardi noto come l’effetto Cantillon:

Alla comparsa del denaro, esso viene incanalato nell’economia verso gli attori o le industrie scelte dall’autorità centrale, il nuovo denaro incrementa la capacità di spesa e potere d’acquisto di questi attori iniziali, incrementando il loro benessere e capacità di spesa senza avere inizialmente alcun incremento di prezzo.

Nel 1692 e 1693 furono concessi in Inghilterra i primi due prestiti governativi, di un milione di sterline ciascuno, assicurati dai dazi su birra, liquori e sale con tassi d’interesse rispettivamente del 10% e del 14%. Come indicato dalla tabella, questi tassi non furono diversi dai costi dei prestiti che la Corona inglese aveva stipulato nel corso del secolo precedente. Elisabetta I e di Enrico VIII prestarono denaro a tassi di interesse simili nel secolo sedicesimo.

…Deve esser stato fastidioso per Guglielmo III pensare che il governo olandese fosse invece autorizzato a prendere in prestito al tasso del 3%, pur essendo impegnato nella guerra dei nove anni con la vicina Francia (1688-1697). Le compagnie commerciali inglesi, al contrario, ebbero tassi migliori (fra il 4,5% e il 6%) di quelli concessi al governo. Persino le obbligazioni a scadenza più lunga dei “Merchant Adventurers” ebbero un tasso del 6%. Le obbligazioni governative non erano ancora considerate obbligazioni prive di rischio – il che non è sorprendente, vista l’incidenza disastrosa nei secoli precedenti dei default della Corona sull’interesse e sul capitale.

Quando, nel 1694, i privati che fondarono la Banca d’Inghilterra capitalizzarono tramite sottoscrizione 1.2 milioni di sterline e li prestarono al governo al tasso dell’8% in cambio di alcuni privilegi, la Corona ne fu certamente soddisfatta. Essenzialmente aveva preso denaro in prestito a 6 punti percentuali in meno rispetto al tasso dell’anno precedente. Il Governo si lasciò dunque affascinare dagli alchimisti della Banca d’Inghilterra. Il costo del denaro cadde ulteriormente al 5% nel 1707 e il debito “nazionale” aumentò vertiginosamente fino a toccare i 20 milioni di sterline nel 1708.

Nel 1710 venne quindi convocata una commissione governativa per capire come si sarebbe potuta finanziare un’altra guerra – invece di come ripagare il debito. Questa commissione propose una soluzione elegante del problema: un’altra lotteria. La prima, bandita sotto gli auspici della Banca d’Inghilterra, non era stata un successo. Ma questa volta, siccome i biglietti vennero venduti ai direttori della Hollow Sword Blade Company – in realtà una delle prime “banche collaterali” – fu un successo.

L’indagine della commissione rivelò che il debito in eccesso era solo di 9 milioni di sterline – una rappresentazione che aveva richiesto non poca contabilità creativa. Edward Harley, fratello di Robert Harley, al tempo Cancelliere dello Scacchiere, e John Blunt, uno dei direttori della Hollow Sword Blade Company, avanzò una stravagante proposta: che i detentori dei prestiti governativi fossero obbligati a cederli alla neocostituita South Sea Company in cambio di quote dello stesso valore.

L’idea di assegnare debito in cambio di capitale fu attribuita a William Patterson, uno dei fondatori della Banca d’Inghilterra. Egli possedeva credenziali molto dubbie, essendo stato uno dei promotori dello schema di Darrien – un disastro finanziario che aveva portato al collasso dell’economia scozzese e all’Act of Union del 1707. Nonostante la reputazione di Patterson, la proposta venne immediatamente accettata dal governo britannico.

Il governo avrebbe dovuto pagare annualmente il 6% di interessi più le spese alla South Sea Company, i cui ricavi avrebbero dovuto essere distribuiti come dividendo ai detentori delle quote. Alla Società avrebbe dovuto essere garantito inoltre il monopolio dei commerci con il Sud America – anche se la maggior parte di questa regione era controllata dalla Spagna, con cui la Gran Bretagna era in guerra. Stavano insomma prendendo in prestito senza assicurazione e senza alcuna obbligazione di ripagare il capitale – in pratica un prestito perpetuo.

Una crisi di sarebbe probabilmente verificata se prima non fosse finita la guerra di successione spagnola (1713). Quando le ostilità con la Spagna ripresero nel 1718, i beni sudamericani della South Sea Company vennero sequestrati. Nonostante ciò, James Craggs, uno dei direttori della compagnia ed influente membro del parlamento, propose un nuovo schema per convertire le annualità governative, emesse dopo la lotteria del 1710, in azioni della South Sea Company.

Dovendo ripagare quanto speso per reprimere la Jacobit Ribellion, il Governo britannico aveva bisogno di ridurre ancora il costo dei suoi prestiti. Con il nuovo schema di conversione, il Governo avrebbe pagato alla South Sea Company il 5% – circa la metà del tasso a cui stava pagando il debito esistente. Dei 2,5 milioni di sterline di annualità disponibili per la conversione, 1,6 milioni vennero assorbiti. Il pubblico venne sicuramente influenzato dalle notizie delle fortune che si stavano ammassando in Francia nelle mani del finanziere scozzese John law, della Banque Générale Privée e degli investitori nella Mississippi Company.

Alla fine del 1719 il debito governativo britannico raggiunse i 50 milioni di sterline. Di questi, 3,4 milioni erano detenuti dalla Banca d’Inghilterra, 3,2 milioni dalla East india Company e 11,7 milioni dalla South Sea Company. Solamente 16,5 milioni erano detenuti da privati, di cui 15 milioni avevano scadenza da 22 a 87 anni. Le finanze governative avrebbero dovuto migliorare, ma il costo delle ribellioni giacobite (1715-16 e 1719) unite alla moltitudine di guerre europee, portò il rapporto debito/PIL ad incrementare dal 55% del 1713 (29 milioni di sterline) all’88% del 1721 (50 milioni di sterline).

Ciò che accadde alla South Sea Company è tipico delle bolle finanziarie – ascesa, collasso e recriminazione. I grafici qui sotto mostrano l’ascesa e il declino del prezzo delle azioni della Mississippi Company, della French East india Company e della South Sea Company durante le bolle del 1719 e 1720:

Dopo lo scoppio della bolla South Sea, il rapporto debito/PIL della gran Bretagna calò fino a un minimo del 63% nel 1739 – grazie alla crescita economica, in quanto il livello del debito rimase invariato a 50 milioni. Il rapporto ricominciò a risalire con la guerra dell’orecchio di Jenkins (1739-1748), la guerra di successione austriaca (1740-1748), la guerra dei sette anni(1754-1763) la guerra russo-turca (1768–74) la guerra americana di rivoluzione (1775-83), la quarta guerra anglo-olandese (1780–1784) e infine con le guerre francesi di rivoluzione (1792-1802)

Le guerre del diciottesimo secolo misero così tanto in tensione le risorse inglesi che nel 1797 venne introdotto un “periodo di restrizione”, dopo il quale le banconote non poterono essere convertite con monete d’oro. Questo periodo di non-convertibilità durò fino al 1821. Alla fine delle guerre napoleoniche, nel 1815, il debito nazionale toccò gli 850 milioni di sterline, ossia il 227% del PIL.

L’ascesa del potere della banca centrale – i secoli diciannovesimo e ventesimo

Nel periodo post-napoleonico (1821-1844) le banconote della Banca d’Inghilterra ebbero sempre maggior corso, in concomitanza con il fallimento di molte altre istituzioni finanziarie. Questo periodo culminò con il Bank Charter Act del 1844 che garantì alla Banca d’Inghilterra il monopolio sull’emissione delle banconote per l’Inghilterra e il Galles.

Tuttavia questo non era un monopolio senza restrizioni: il Bank Charter Act (BCA) vietava alla Banca di emettere nuove banconote senza che vi fosse un pari incremento della riserva aurea. L’emissione fiduciaria – ossia la parte dell’emissione di banconote non coperta dall’oro – venne bloccata al livello che aveva nel 1844. Inoltre, alla Banca d’Inghilterra venne richiesto di pubblicare un rendiconto separato per ogni sua attività di emissione di valuta.

In forza del BCA la Banca fu obbligata a rinunciare a qualsiasi attività di banco commerciale. Era diventata de facto il guardiano della riserva aurea del paese.

Questa fu un’evoluzione naturale verso il ruolo di “prestatore d’ultima istanza”, come Sir Francis Baring l’aveva soprannominata già nel 1797.

Il diciannovesimo fu poi il secolo di una serie di crisi bancarie – come quella di Overend and Gurney nel 1866 – da cui la pubblicazione del libro Lombard Street di Walter Bagehot nel 1873. Ironicamente, la Società fondata da Barings dovette essere salvata da un consorzio guidato dalla banca d’Inghilterra durante la crisi del debito sovrano del 1890. Per la Gran Bretagna, l’era dello standard aureo finì nel 1914 con lo scoppio della grande guerra. Fra il 1925 e il 1931, fu istituito un nuovo standard di scambio aureo che durò finché un’altra depressione mondiale non accelerò la sua scomparsa. Nel 1945 un altro standard aureo venne introdotto con gli accordi di Bretton Woods e un anno più tardi la Banca d’Inghilterra venne nazionalizzata. Gli accordi di Bretton Woods vennero meno nel 1971, anno in cui le banche centrali assunsero il potere di stampare moneta creata dal nulla e di fissare i tassi d’interesse nazionali. Dato che queste istituzioni sono attualmente possedute dallo stato, si sarebbe tentati di affermare che queste rappresentano una forma di “potere al popolo”. Attenzione a ciò che si desidera!

Note:

  1. Il sistema bancario a riserva frazionaria è un sistema in cui solo una parte (frazione) dei depositi è realmente riscontrata dal denaro disponibile nella banca.

Fonti ulteriori a quelle citate:

Nicholas Mayhew – Sterling (1999) Allen Lane

Phelps, Brown and Hopkins – Economica Vol 22 No 93 (1956)

Rondo Cameron – A Concise Economic History of the World – 3rd Edition (1997) OUP

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Il Presidente Trump potrebbe utilizzare il “libro dei desideri” di Reagan?

Von Mises Italia - Lun, 09/01/2017 - 08:15

Proviamo a guardare l’amministrazione di Ronald Reagan, come quadro di riferimento, per esaminarlo e confrontarlo con il presidente-eletto Trump. In questo modo possiamo vedere quali aspettative potrebbero esserci per l’economia più avanti.

Ronald Reagan si insediò nel 1980 e ha ottenuto lo stesso tipo di accoglienza che Trump ha avuto oggi. Era considerato un buffone e un dopato. Che cosa sapeva? Era un ragazzo di Hollywood, come poteva essere presidente? Molti hanno detto che era instabile. Quello che poteva fare era di schiacciare il bottone nucleare e iniziare la terza Guerra Mondiale. Un sacco di cose che avete sentito dire su Trump sono esattamente quelle che hanno detto di Reagan in quel momento.

Reagan si insediò con un team di consulenti e ha fatto molte cose giuste. Lui non era solo. Molto aiuto lo ebbe da Paul Volcker, che era presidente della Fed in quel momento. Reagan e la Fed hanno lavorato assieme, in sincronia, per trasformare l’economia americana e farla ripartire. Reagan si insediò, mentre gli Stati Uniti affondavano in una brutta recessione, una delle peggiori dalla seconda Guerra Mondiale.

Ho sempre pensato che fu il genio di Ronald Reagan ad ottenere la fine precoce della recessione. La maggior parte dei presidenti non hanno mai concluso il loro mandato senza una recessione. Anche un Presidente come Trump può recuperare il ritardo, ma solo se tira la cinghia e cerca di evitare la recessione o, almeno la può rimandare il più a lungo possibile.

Alcuni presidenti hanno finito per avere una recessione alla fine del loro mandato e nel momento peggiore possibile. E’ esattamente quello che è successo a George Bush. Sappiamo tutti quello che è successo nel 2007-2008. Il presidente George W. Bush ha avuto una bolla speculativa per sei anni che poi è letteralmente esplosa nel suo ultimo anno di amministrazione. Clinton ha avuto una recessione alla fine del suo mandato. George W. Bush, ha avuto una recessione nel 1990, al termine del suo mandato che gli è costata la rielezione nel 1992.

Reagan ebbe la recessione all’inizio. Era in recessione tra il 1981 e 1982. Una volta passata, l’economia è cresciuta per sette anni consecutivi. E’ stata una delle più lunghe espansioni in tempo di pace della storia americana.

Il presidente Reagan ha avuto una grande squadra. Per oltre tre anni, dal 1983 al 1986, la crescita negli Stati Uniti ha avuto un incremento del 16%. Questo è stato un vero e proprio sviluppo e non era una crescita nominale. Non c’era l’inflazione in quel numero, il 16%, oltre il 5% l’anno. Ora, bisogna ricordare che nel 2009 Obama ha giurato come presidente e negli ultimi otto anni circa, la crescita media negli Stati Uniti è stata di appena il 2% annuo.

Archiviato questo, oggi i repubblicani tornano alla Casa Bianca ed avranno anche il Senato e la Camera dei Rappresentanti (a maggioranza repubblicana ndt).

L’ultima volta che è accaduto è stato nel 1928. Un sacco di gente potrebbe dire: “Beh, anche con Reagan lo hanno avuto? No, Reagan nel 1980 aveva il Senato e la Casa Bianca, ma non la Camera dei rappresentanti. I repubblicani non ottennero la Camera dei rappresentanti fino al 1994.

Per una migliore ricostruzione è importante evidenziarne la differenza.

Attualmente, il mercato azionario è alto e raggiunge i massimi storici. Perché il mercato azionario sta salendo? Trump è un big spender (uno spendaccione). Lo ha detto lui.

I titoli farmaceutici stanno salendo perché Trump ha annunciato che vuole abrogare e sostituire l’Obamacare che è di ostacolo all’industria medica e farmaceutica.

I titoli bancari sono in aumento perché la nuova amministrazione ha parlato di abrogazione della Dodd-Frank (una riforma a tutela dei consumatori, approvata da Obama nel 2010, dopo la crisi del 2008 ndt).

I titoli azionari delle aziende come Caterpillar e John Deere sono in crescita, perché stanno anticipando le necessità di avere macchine per il movimento terra per costruire tutte queste nuove strade.

I titoli dei trasporti sono in aumento, per l’aspettativa del miglioramento dalle ferrovie, ai porti, agli aeroporti. Anche i titoli della difesa stanno salendo in previsione di costruire quattro importanti velivoli di classe A, oltre ai J-35 da combattimento, ecc.

Con tutto ciò, perché il mercato obbligazionario sta scendendo e perché è l’oro va su? Significa migliaia di miliardi di dollari in tagli di spesa e fiscali. Vuol dire un deficit più alto. Significa che il disavanzo sarà finanziato probabilmente, con l’emissione di titoli del Tesoro

Molta gente sarebbe disposta ad avere una inflazione e a venirne fuori da questa impasse. La ragione di ciò è piuttosto semplice. Quali sono le cause di inflazione? Bene, molta gente pensa che sia lo stampare moneta a determinare l’inflazione. Questo non è effettivamente vero, o almeno non è completamente vero. La stampa del denaro è solo la metà di quello che è necessario per ottenere l’inflazione. La Fed ha stampato 3.2 miliardi di dollari di nuova moneta, negli ultimi sette anni, mentre altre banche centrali, nel mondo, hanno stampato molto di più.

La Banca Popolare Cinese ha stampato ancora di più. Più di quanto emesso dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca d’Inghilterra, dalla Banca del Giappone e se guardiamo a tutto il mondo stiamo parlando di 15 miliardi di dollari negli ultimi sette anni. Dove è l’inflazione? Ebbene, la risposta è: il denaro stampato da solo non produce inflazione se la gente non lo spende, non lo prende in prestito, non lo investe e non lo mette in produzione. Questa si chiama: velocità di circolazione del denaro o ricambio del denaro.

Di solito uso questo esempio. Se stasera esco e vado a cena in un ristorante e do la mancia al il cameriere ed il cameriere prende un taxi, per andare a casa, ed il tassista prende la mancia e mette il carburante nella sua auto, il denaro ha velocità tre. Il mio dollaro ha fornito una mancia per il ristorante, una mancia al tassista per l’acquisto di un gallone di carburante, una velocità di tre volte. Se rimango a casa e guardare la televisione perché non mi sento di uscire e lascio il mio denaro in banca, ho la velocità pari a zero.

Bene, $ 4 miliardi di volte zero è pari a zero, significa che se non si dispone di una velocità, non si ha una economia. L’economia è a zero. La velocità sta affondando come una pietra, non solo negli ultimi otto anni, da quando c’è la crisi, ma da quasi 20 anni a partire dal 1998. Quindi sono quasi 18 anni che la velocità è in calo. Tutto questa stampare denaro non ha prodotto inflazione perché non abbiamo ricircolo.

I calcoli ci dicono che siamo fuori della media, non c’è troppa inflazione anche se si stampano soldi. John Maynard Keynes aveva dato un nome a tutto questo, un nome per quello che ho appena descritto; i casi sono due: “Esco e sono un grande spendaccione”; o “Resto a casa e conservo il mio denaro”. L’ha chiamato “spirito degli animali” (complesso di emozioni istintive che guidano il comportamento umano ndt); lo spirito degli animali è l’entusiasmo. E’ l’ottimismo contro il pessimismo. Si tratta di un sentimento in cui ci sentiamo abbastanza sicuri di prendere in prestito, comprare, investire o utilizzare il credito e spendere soldi.

Se lo facciamo, forse qualcun altro ottiene un lavoro perché il denaro che spendiamo va in qualche altra attività e quel ragazzo assunto è una persona che sta meglio (finanziariamente ndt) e spende soldi. Mentre questo è un concetto un po’ amorfo, non si tratta di qualcosa che può essere messa in equazioni. Esso dovrebbe essere inteso come una branca della psicologia comportamentale, o degli spiriti animali. Non li abbiamo avuti per otto anni e quello è stato un un periodo veramente lungo.

Lo spirito animale è sufficiente per Trump, sufficiente per metterlo di nuovo in movimento? Potrebbe esserlo. Penso che dobbiamo riflettere su questo. Questa è una delle più grandi domande che ci facciamo. Non voglio saltare a questa conclusione, ma potrebbe esserlo. Ronald Reagan lo ha fatto certamente. Ho disegnando questa analogia fra la Trump e Reagan. Ronald Reagan ha assolutamente ottenuto che gli spiriti animali si muovessero ancora.

Ora, esaminiamo le salienti differenze che esistono tra un presidente Reagan e un presidente Trump.

Quando Ronald Reagan ha prestato giuramento, i tassi di interesse erano al 20%. Questo è stato il tasso overnight (danaro prestato fra banche per massimo 24 ore. Letteralmente “da un giorno all’altro” ndt). Questo non è il tasso a lungo termine. Il tasso sui fed funds (fondi di riserva che le banche sono obbligate a detenere ndt) è stato del 20%. I tassi di interesse avevano una sola tendenza: quella verso il basso e quindi i tassi non potevano andare al 30%. Il paese si sarebbe raggomitolato su se stesso ed avrebbe dichiarato fallimento. Certamente, erano più in alti di quello che dovevano essere. Potevano avere solo una tendenza, cioè verso il basso. Trump è in arrivo con tassi di interesse che sono vicini allo zero e possono solo tendere verso l’alto.

Reagan ha avuto un forte vento di poppa sotto forma di tassi di interesse potenzialmente più bassi. Trump sta per avere un forte vento contrario in termini di tassi di interesse più elevati, la stessa cosa con l’inflazione. Quando Reagan si insediò, l’inflazione era al 13%. Nel 1984, Volcker lo aveva ridotto al 4% circa. E’ stata una disinflazione massiccia.

Nel 1980, ricordo che gli Stati Uniti ha un mercato azionario Toro (positivo) e un commercio orso toro. Azioni e obbligazioni stavano entrambe salendo. Le azioni salivano perché c’era una crescita reale e le obbligazioni stavano crescendo perché i tassi d’interesse e l’inflazione scendevano. Trump potrebbe trovarsi nella situazione opposta. Trump potrebbe avere un collasso sul mercato obbligazionario e vedere le azioni volatilizzarsi.

L’altra grande differenza è che quando Reagan ha prestato giuramento il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti era del 35%. Quello più basso si è avuto dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Alla fine della seconda guerra mondiale, il rapporto tra il debito ed il PIL è stato del 100%. Negli anni ’70 era sceso a circa il 30%. E’ salito un po’, al 39%, all’inizio dell’amministrazione Reagan, dopo era intorno al 34%, quando Reagan ha prestato giuramento.

Reagan aveva un enorme spazio fiscale. Ha avuto un gigantesco margine di ampiezza per aumentare il rapporto debito/PIL, senza minacciare la solvibilità finanziaria degli Stati Uniti. Quando Reagan ha lasciato l’incarico, il rapporto debito/PIL era del 50%. Egli ha aggiunto 15 punti percentuali nel rapporto debito/PIL, l’ha portato dal 35 al 50%.

Il problema è che oggi il rapporto debito/PIL è già del 100%. Siamo di nuovo al punto in cui avevamo già registrato questi livelli cioè alla fine della seconda Guerra Mondiale. Oggi, è circa di 20 trilioni di dollari. Trump che cosa ha intenzione di fare? Trump vuole essere uno spendaccione.

Non ha lo spazio fiscale (di Reagan). Gli Stati Uniti stanno avvicinandosi pericolosamente al punto in cui l’Italia, la Spagna, la Grecia, il Giappone ed alcuni di questi altri paesi sono potenzialmente in bancarotta.

Dovrà far salire i tassi di interesse. Non ha l’inflazione che scende e sta per avere l’inflazione in salita. Non ha un rapporto debito/PIL basso, ne ha uno elevato.

Se la Fed lo approva, acquisiamo l’inflazione, se non lo approva, andiamo a sbattere contro un muro e andiamo in recessione.

Ora abbiamo due conseguenze: la recessione o l’inflazione. Nessuna delle due è buona.

Può avere origini diverse, ma l’instabilità del sistema ed il potenziale per il crollo non è cambiato, perché questa è una valanga di neve. La neve sul fianco della montagna è ancora lì.

Magari con Trump, non nevica così forte, ma il versante instabile è ancora lì e ci vuole ancora un solo fiocco di neve.

Saluti.

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E’ possibile un’unione monetaria senza un’unione politica?

Von Mises Italia - Ven, 23/12/2016 - 08:13

Carl Menger ci ha esaustivamente insegnato nel 1892, con la sua opera Geld, che il denaro, l’intermediario dello scambio, si sviluppa attraverso un processo di tipo organico, ossia è un prodotto non programmato dell’interazione sociale.

Un frutto, quindi, che appartiene a quella cooperazione tra individui affrancata da interferenze politiche.

Nel concetto storico-empirico di denaro, pertanto, non è incluso come attributo necessario e generale la nozione di corso legale, cioè di oggetto che, in base ad un decreto declaratorio, il creditore è obbligato ad accettare a titolo di liquidazione di un debito monetario o di un’obbligazione qualsiasi.

I governi e l’opera nefasta di alcuni presunti economisti hanno poco a poco scardinato tale insegnamento e ciò è la causa per cui attualmente si ritiene comunemente che il corso legale sia un postulato necessario e generale del denaro.

Da provvedimento utile è indispensabile solo per certi casi specifici, il corso legale è divenuto così una regola universale.

Se si ritiene il corso legale un attributo necessario e generale del denaro, si finisce per confondere il concetto di denaro con quello di mezzo legale di pagamento.

Se il denaro viene equiparato all’interno dell’ordinamento sociale ad un mero mezzo legale di pagamento, non si può che vivere sotto un regime in cui abitualmente vengono considerati come denaro soltanto quei mezzi di circolazione ai quali il potere politico abbia conferito il corso legale.

Il risultato di questi fraintendimenti non possono che essere periodiche crisi economiche.

In tale contesto, la progressiva sostituzione della moneta metallica con quella assimilata in un semplice documento o bit, ha incentivato il fenomeno delle periodiche crisi economiche.

Oggigiorno, la domanda di moneta, cioè l’ammontare che decidiamo di trattenere, viene costantemente equivocata con la domanda di credito, cioè la l’ammontare che decidiamo di spendere, mentre il finanziamento fornito dal mercato dei capitali reali è stato sistematicamente sostituito con quello procurato dal mercato monetario.

I mezzi legali di pagamento, di norma, tendono sempre a sopravanzare la propria domanda e questo perché la loro possibilità di creazione è tendenzialmente illimitata, giacché arbitraria.

Tale eccedenza alimenta una spesa incontrollata che acquisisce tutto quello che incontra sul suo percorso.

Con all’origine un’emissione di mezzi legali di pagamento spropositati rispetto alla propria domanda, con tassi di interesse non più determinati dalle spontanee preferenze temporali degli agenti economici, bensì artificialmente determinati da meccanismi politici che per loro natura sono sprovvisti di una vera e propria capacità economica selettiva, è conseguentemente inevitabile che si dia vita a mal investimenti nella struttura produttiva e /o a bolle degli asset illiquidi.

Nel momento in cui questo fittizio processo di arricchimento deflagra, perché il capitale reale a fondamento non era e non è divenuto nel frattempo sufficiente a garantirne la sostenibilità, ecco che si manifestano apertamente tutti gli errori decisionali conseguiti anteriormente, ed ecco apparire un grande numero di fallimenti e di ridimensionamenti imprenditoriali nonché di persone senza più un’occupazione.

Decidere in base a conoscenze che in realtà non si possono avere di perseguire l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e/o tentare di pianificare l’offerta di credito ad una domanda stimata attraverso sofisticati modelli econometrici, non è servito, non serve e non servirà mai ad impedire la periodicità delle crisi economiche.

Quel che serve per evitare ciò è, invece, un meccanismo impersonale di mercato capace tendenzialmente di regolare in maniera corretta offerta e domanda di moneta e di credito.

Di conseguenza, serve abbattere la teoria che fa ritenere il corso legale un attributo necessario e generale del denaro.

Il progetto di un’unica moneta europea fondata sul corso legale come attributo necessario e generale e da far produrre e gestire su delega degli Stati membri ad una banca centrale comune nasce sotto varie spinte e motivazioni che possiamo sintetizzare nel modo seguente:

Il sogno francese era quello di porre conclusione alla supremazia monetaria della Germania nell’ambito del quadro europeo, e al contempo ampliare, o perlomeno mantenere inalterata, la propria influenza sulla scena politica internazionale.

La Germania era pronta a sacrificare il proprio Marco e con esso il miglior andamento registrato da una valuta nazionale a partire dal secondo dopoguerra nei Paesi industrializzati (il che ha non ha comunque vietato al Marco di perdere tra il 1950 ed il 1975 il 50 per cento del suo potere d’acquisto interno), al fine di procedere alla riunificazione dei suoi territori.

I piccoli Paesi con alta produttività ed efficienza tecnologica, ed economie aperte si sono mostrati da subito interessati alla valuta unica, poiché abdicare alla loro autonomia monetaria non avrebbe significato alcunché se non rinunciare a fissare il livello nominale dei propri prezzi e dei propri salari.

I Paesi posti in una fase intermedia del loro sviluppo come Spagna ed Italia come pure le economie meno sviluppate, come Grecia, Portogallo ed Irlanda, avrebbero potuto da un lato gestire gli effetti negativi dell’inflazione monetaria e di quella dei prezzi in maniera senz’altro più occultata e dall’altro, se fossero stati in grado di utilizzare gli aiuti a fondo perduto che avrebbero ricevuto dall’Europa, ridurre il gap tecnologico che li separava dai Paesi più avanzati.

Allorché la sovranità monetaria dei Paesi membri è stata ceduta alla Banca Centrale Europea qualcuno può aver sperato che il Trattato di Maastricht prima ed il Patto Europeo di Stabilità e Crescita poi sarebbero serviti a porre sotto controllo le politiche nazionali di bilancio ed a promuovere simultaneamente uno sviluppo economico sostenibile.

Ma, ad oggi, non è stato così.

Ad oggi, non possiamo asserire di avere un’Unione (Monetaria) Europea economicamente sana ed ordinata.

L’attuale situazione dell’Eurozona è, infatti, costituita in buona parte da disoccupazione istituzionale, da redditi reali assai limitati, da crescita economica infima se non inesistente, da un apparato finanziario nel complesso vacillante e sottoposto alla paura di subire un effetto domino.

Tutto ciò, non rappresenta però il fallimento di quella normale pratica bancaria che vede acquistare denaro a buon mercato per piazzarlo successivamente a tassi d’interesse più elevati.

Tutto ciò rappresenta, invece, il fallimento di tale normale pratica bancaria quando questa viene sostenuta da un’autorità emittente mezzi di circolazione contraddistinti dal corso legale come attributo necessario e generale del denaro.

Le interferenze politiche incorporate nel postulato del corso legale come attributo necessario e generale del denaro, fanno in modo, infatti, che la suddetta pratica venga attuata sistematicamente ignorando e/o travisando le informazioni che giungono dalla realtà economica effettiva.

E’ una questione di mezzi, non di fini: ogniqualvolta ci troviamo dinanzi all’orchestrazione degli scambi economici in base a dei mandati coattivi il dissesto sistemico diviene non una eventualità, ma una certezza.

Nel momento in cui tale certezza si palesa esplicitamente si tratta solo di constatarne le dimensioni e cercare di porvi rimedio.

Porvi rimedio può significare solamente una cosa: permettere alla struttura delle merci da produrre di adattarsi il maggiormente possibile alla reale domanda dei mercati mondiali, evitare aumenti ulteriori del consumo a spese dei risparmi allo scopo di agevolare una crescita sostenibile mediante l’innovazione.

Charles P. Kindleberger, nella sua opera del 1984, A Financial Hystory of Western Europe ha sostenuto la tesi secondo la quale tutte le unioni monetarie (di successo) sono state il prodotto di un’operazione di unione politica.

Così è effettivamente stato nel caso tedesco, con la Prussia che ha guidato alla formazione della Germania.

Così è effettivamente stato nel caso italiano, con il Piemonte che ha guidato alla formazione dell’Italia.

In realtà, in Europa però un’area monetaria comune non rappresenta affatto una novità in assenza di uno spazio politico unito.

A seguito della rivoluzione commerciale del XIII secolo gli scambi europei si realizzavano tramite due monete dalle stesse caratteristiche, vale a dire il Ducato di Venezia e il Fiorino di Firenze.

Entrambe le monete per il 97,9 per cento del loro contenuto possedevano oro a 23 carati e mezzo.

Ed anche quando nel XVII secolo è stato introdotto il biglietto di banca, in tutta Europa circolavano ancora monete d’oro e d’argento le quali, benché con nomi differenti, erano accettate dovunque in maniera confacente al loro contenuto e al prezzo dei metalli.

In questo modo, i metalli preziosi fungevano da denaro tra diverse Nazioni nel medesimo tempo.

E lo facevano perché optati attraverso un processo di cooperazione tra individui affrancato da interferenze politiche.

Di conseguenza, possiamo affermare che se equipariamo il denaro ad un mero mezzo legale di pagamento, allora abbiamo senz’altro bisogno di uno spazio politico il più possibile unito affinché l’unione monetaria concernente origini il minor numero di tensioni tra i Paesi membri.

Se, invece, consideriamo il denaro per quello che in verità è, un prodotto non programmato dell’interazione sociale e dunque qualcosa in più e di diverso rispetto ad un mero mezzo legale di pagamento, allora non vi è alcun bisogno di creare uno spazio politico omogeneo per avere un’unione monetaria che si stabilisca pacificamente tra i Paesi membri.

Tuttavia, una scelta del primo tipo non ci deve condurre nell’errore di pensare che ciò ci terrà al riparo dalla generazione di nuove e periodiche crisi economiche.

E’ ritenere il corso legale come attributo necessario e generale sul denaro il cuore del problema in quanto sostenere ciò significa attivare delle interferenze politiche sulla produzione e gestione del denaro.

Le regolamentazioni bancarie da sole se rispettate e costruite sul buon senso possono attenuare, ma certamente non possono eliminare il cuore del problema.

Fino a quando il denaro sarà comunemente considerato un bene pubblico da produrre e da gestire su basi politiche, unioni o meno, avremo sempre a che fare con più o meno grandi tragedie collettive.

I metalli preziosi sono stati portati avanti dal mercato per assurgere alla funzione di denaro perché questi facilitavano enormemente la razionalizzazione del calcolo economico, essendo il rapporto di scambio fra i metalli preziosi e altre merci condizionato a fluttuazioni minori di quello esistente fra molti altri prodotti.

L’inelasticità della loro offerta li rendeva, quindi, particolarmente ed impersonalmente adatti a fungere da riferimento del valore.

Tuttavia, in questa sede non si vuole di certo sponsorizzare il ritorno alle transazioni commerciali per mezzo esclusivamente di monete composte da metalli preziosi.

Diversamente, si chiede soltanto che il denaro torni ad essere veramente denaro, e per far questo occorre abbattere tutti gli ostacoli al libero commercio delle valute e al libero esercizio dell’attività bancaria.

Cioè abbattere la teoria attualmente imperante nel nostro quotidiano che il corso legale sia un postulato necessario e generale del denaro e con essa, pertanto, le incorporate interferenze politiche.

Così facendo, tenere in circolazione monete che servono gli esclusivi interessi dei governanti e di quei gruppi privati ad essi contigui diventerebbe praticamente impossibile, giacché il mercato provvederebbe nel giro di non molto tempo alla loro rimozione.

Ed in tal senso e solo in tal senso, la sostituzione della moneta metallica con quella assimilata in un semplice documento o bit può rappresentare un avanzamento omnidirezionale.

In conclusione, c’è da dire anche che non esiste un bene o un paniere di beni capaci di mantenere perfettamente costanti nel tempo e nello spazio il proprio potere d’acquisto.

Ma qui non si tratta di stabilire criteri assoluti ed immutabili, ma unicamente idonei ai nostri fini.

Infondo, nel mondo non regna la perfezione, bensì soltanto il perfettibile.

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Paragonare Trump a Reagan

Von Mises Italia - Mer, 21/12/2016 - 08:21

L’elezione di Donald Trump può essere paragonata per alcuni versi all’elezione di Ronald Reagan nel 1980. Ci sono somiglianze, ma anche alcune importanti differenze, che vedremo in seguito.

Prima di tutto, la principale somiglianza: Ronald Reagan è stato considerato un buffone, un dopato, un attore inadatto per la presidenza. Molti temevano che avrebbe premuto il pulsante nucleare dando inizio alla III (TERZA) guerra mondiale. Così molte delle cose che avete sentito dire su Trump sono esattamente quello che hanno detto di Reagan in quel momento.

Ma Reagan si insediò con un team di consulenti e ha fatto molte cose giuste. Ebbe un sacco di aiuto da Paul Volcker, che era alla guida della Fed in quel momento. C’è una cosa importante da ricordare: Reagan non era solo. Reagan ha fatto un gran lavoro in collaborazione con la Fed cominciando così a far girare l’economia statunitense. Prima che Reagan entrasse in carica l’economia era affondata in una delle peggiori recessioni dalla seconda Guerra Mondiale.

La recessione con Reagan durò dal 1981 al 1982. Ho sempre pensato che fosse il genio di Ronald Reagan a far superare la recessione così presto. La maggior parte dei presidenti non hanno mai concluso il loro mandato senza una recessione. Se riescono a ritardarla inizialmente, finiscono di solito con l’averla più tardi e nel momento peggiore possibile. Reagan per una volta anticipò la fine della recessione, poi l’economia è cresciuta per sette anni consecutivi.

Nei successivi tre anni, 1983-1986, la crescita negli Stati Uniti è stata del 16%. Di crescita reale e non di crescita nominale. Non c’era nessuna inflazione a diluire quel numero. Al contrario, la crescita media annua negli Stati Uniti dal 2009 è stata di appena il 2%. E tutto questo per quasi otto anni. Eppure, per tre anni nella fase iniziale di Reagan, la crescita media è stata di oltre il 5%.

Il 2% contro il 5% potrebbe non sembrare drammatico. Ma nel corso del tempo diventa una differenza drammatica per l’ordine di grandezza. Un’economia in crescita del 5%, o anche del 4%, se combinata, sarà due volte più ricca per 20 anni, rispetto ad una economia che cresce al 2%. C’è una grande differenza.

Ora, facciamo un passo indietro e parliamo un po’ di qualcosa che altrimenti non sentiamo dire quasi mai. Si parla di alcune importanti differenze tra l’economia di Ronald Reagan e l’economia che Donald Trump erediterà.

Quando Ronald Reagan ha prestato giuramento, i tassi di interesse erano al 20%. Erano più in alto di quello che dovevano essere. Essi potevano andare solo verso il basso, invece i tassi avevano la tendenza ad aumentare verso il 30%. Il paese sarebbe andato a gambe all’aria e avrebbe dichiarato il fallimento.

Ora, mentre ci prepariamo per il 2017, Trump entrerà alla Casa Bianca in circostanze molto diverse. I tassi di interesse sono vicini allo zero e non non possono che andare verso l’alto.

Reagan ha avuto un forte vento di poppa sotto forma di tassi di interesse potenzialmente più bassi. Trump sta per avere un grande vento contrario in termini di tassi di interesse potenzialmente più elevati. Il quadro inflazionistico è anche molto diverso.

Quando Reagan si insediò, l’inflazione correva al 13%. Nel 1984, Volcker l’aveva già ridotta a circa il 4%. E’ stata una disinflazione massiccia.

Le azioni e le obbligazioni salirono entrambe (di valore). Le azioni salivano per la crescita reale, le obbligazioni salivano perché i tassi di interesse e l’inflazione scendevano. Ora, Trump potrebbe vivere la situazione opposta. Trump potrebbe avere un mercato obbligazionario al collasso e le azioni potrebbero andare in fumo.

L’altra grande differenza, tra allora e adesso, è che quando Reagan ha giurato, nessuno aveva mai sentito parlare del rapporto debito/PIL USA che era del 35%; il più basso lo si ha solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Alla fine della seconda guerra MONDIALE il rapporto debito/PIL USA era al 100%. Negli anni ’70, era sceso a circa il 30% ed era leggermente risalito fino al 34%, quando Reagan aveva prestato giuramento.

Reagan quindi ha avuto un enorme spazio per la parte fiscale. Ha avuto un gigantesco margine di ampiezza e ne ha approfittato per aumentare il rapporto debito/PIL senza minacciare la solvibilità finanziaria degli Stati Uniti. Quando Reagan terminò il mandato, il rapporto debito/PIL era al 50%. Quindi ha aggiunto 15 punti percentuali tra il rapporto debito/PIL. Se prendo 15 e lo divido per 35, si può notare che ha aumentato il rapporto debito/PIL del 40%.

Ora, come ha speso i soldi Reagan? Per vincere la guerra fredda. Fondamentalmente Reagan ha superato la spesa perché i russi essi non potevano competere con noi. Così entro la fine del decennio, la guerra fredda era finita. Reagan istituì anche tagli fiscali massicci, che erano gli altri apportatori del deficit. Paul Krugman ed altri criticarono in quei giorni Reagan per la gestione del debito.

Ora, ecco il problema:

Oggi, il rapporto debito/PIL è al 100%, uguale a quello che avevamo alla fine della seconda Guerra Mondiale. Quando Obama entrò in carica, il debito nazionale era circa 10 trilioni (un milione alla terza ndt). Oggi, è circa 20 trilioni ed è in crescita. Obama ha caricato 10 trilioni di dollari, di nuovo debito, mettendolo in conto al vecchio, così il rapporto debito/PIL è ritornato nuovamente al 100%.

Trump cosa ha intenzione di fare? Vuole essere un big spender (un grande spendaccione)? Vuole tagliare le tasse? Spendere di più per la difesa? Spendere per costruire il muro (al confine con il Messico ndt)? Spendere in infrastrutture come: gli aeroporti, le strade, i ponti, le gallerie, le ferrovie, eccetera e con meno regolamentazione? Vuole essere Ronald Reagan? Purtroppo per Trump, Obama gli ha legato le mani.

Trump non avrà lo spazio fiscale che aveva Reagan. Gli Stati Uniti si stanno pericolosamente avvicinando a Paesi come: l’Italia, la Spagna, la Grecia ed il Giappone ed alcuni di questi paesi sono potenzialmente in bancarotta. Il punto è che Trump affronta enormi vincoli che Ronald Reagan non aveva.

Trump non avrà il paracadute dei tassi di interesse come lo aveva Reagan. Egli si appresta ad affrontare invece un aumento dei tassi di interesse. L’inflazione non sarà abbassata drasticamente. Egli è di fronte alla possibilità di una inflazione crescente, il che significa: aumento dei prezzi dei beni di consumo e aumento dei prezzi (del carburante) alla pompa. Non ha un rapporto debito/PIL basso come il 34% ereditato da Reagan, in realtà egli sta ereditando l’elevato rapporto debito-PIL del: 100%.

Trump sta cercando di copiare il playbook (la lista delle strategie ndt) di Reagan in un ambiente non-Reagan. Tale piano potrebbe immediatamente farlo andare a sbattere contro un muro. Potrebbe tradursi in qualcosa di simile alla stagflazione, dove otteniamo l’inflazione dalla spesa e dal deficit, ma non si ottiene la crescita. Questo perché dopo otto anni e 10 trilioni di dollari, siamo di fronte alla realtà di rendimenti marginali decrescenti. Questo accade quando: ogni nuovo dollaro non riesce a dare stimolo alla produzione ed alla crescita ed a fornire una quantità di crescita come il primo dollaro. In sostanza, il primo dollaro speso in una fase di espansione è molto più potente rispetto al deci miliardesimo dollaro speso dopo.

La raccolta della frutta a portata di mano è finita. Ora, è come una giraffa che sta cercando di arrampicarsi su un albero. A proposito, penso che i tagli fiscali siano una buona cosa. Non sto dicendo che le politiche di Trump siano cattive. Penso che molte di queste scelte siano positive, ma non credo che abbiano lo stesso obiettivo di come i suoi consiglieri intendano lavorare. Qualcuno potrebbe sedersi di fronte a lui e dire: “Signor Presidente, è possibile fare tutto questo, ma onestamente siamo fuori portata. Abbiamo finito di il tetto massimo di utilizzo. Non abbiamo più la possibilità di espandere il debito”.

E’ una buona occasione per il taglio delle imposte ed in questo momento aiuterà l’economia, ma non abbastanza da produrre la crescita necessaria e farne la differenza. Ciò significa avere un deficit più ampio. Aggiungendo a tutto ciò nuove spese, il rapporto debito/PIL è destinato ad aumentare.

Dove troveremo la capacità di indebitamento ammesso che la Fed la approvi?

Se la Fed la approva, essa produrrà inflazione. Se la Fed non la approva, andremo a sbattere contro un muro ed entriamo in recessione. Ecco due possibili scenari: di recessione o di inflazione. Nessuno dei due è buono. Possiamo anche ottenere il peggio dai due: la stagflazione, che ho citato. Scriveremo e ne parleremo di più su questo.

Le analogie fra Reagan e Trump sono interessanti. Ma ci sono grandi differenze e le persone non riescono a focalizzarle e quindi, hanno un sacco di motivi per essere preoccupate.

In questo momento, direi che se le cose dovessero andare davvero male e abbiamo una crisi finanziaria, allora vedremo la corsa verso l’acquisto dell’oro. Se l’economia cresce, ma si ottiene l’inflazione, andiamo ancora verso l’oro.

In questa situazione tutti i segnali portano all’oro quale bene rifugio.

Saluti,

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Concetti economici: l’inflazione, il controllo dei prezzi ed il collettivismo durante la rivoluzione francese

Von Mises Italia - Lun, 19/12/2016 - 08:36

I Governi hanno un appetito insaziabile verso la ricchezza dei loro sudditi. Quando i governi non hanno più la possibilità di continuare ad aumentare le tasse o avere fondi a prestito hanno sempre fatto ricorso alla stampa di carta moneta per finanziare le loro spese crescenti. Le inflazioni risultanti hanno spesso minato il tessuto sociale, rovinato l’economia e, talvolta, portato la rivoluzione e la tirannia sulla loro scia. L’economia politica della Rivoluzione francese è un tragico esempio di questo. Prima della rivoluzione del 1789, il regno di Francia era un esempio da manuale del mercantilismo. Nulla è stato prodotto o venduto, importato o esportato senza l’approvazione e la regolamentazione del governo.

 

La stravaganza fiscale del governo e la rovina

Mentre il governo del Re di Francia metteva in ordine gli affari economici, la corte reale consumava la ricchezza nazionale. La guardia militare personale di Luigi XVI disponeva di 9.050 soldati; la sua famiglia aveva circa 4.030 servi civili che erano tenuti a servire la cena del Re, quattro dei quali avevano il compito di riempire il bicchiere con acqua o vino. Aveva anche al suo servizio 128 musicisti, 75 funzionari religiosi, 48 medici e 198 persone per la cura per il suo corpo.
Per pagare per questa stravaganza e le numerose altre spese della Corte, così come le imprese all’estero, finanziate dal Re (come ad esempio l’aiuto finanziario esteso ai coloni americani durante la guerra di indipendenza dagli inglesi), il Re ha dovuto fare affidamento su un sistema fiscale peculiare in cui ampie fasce della popolazione – in primo luogo la nobiltà ed il clero – erano esenti da ogni imposta, essendo le “classi inferiori” a sopportarne il peso.
Una delle più odiate imposte era il prelievo sul sale. Ogni capo famiglia era tenuto all’acquisto ogni anno di sette chili di sale per ogni membro della sua famiglia ad un prezzo fissato da parte del governo; se non riusciva a consumare tutto il sale acquistato l’anno precedente e cercava di comprarne meno rispetto alla quota del nuovo anno gli veniva comminata una multa speciale da parte dello Stato. Le punizioni per il contrabbando e la vendita di sale sul mercato nero erano rigide e disumane. Come abbiamo visto, in un precedente articolo, quando Luigi XVI era salito al trono nel 1774, la spesa pubblica era di 399,2 milioni di lire, con entrate fiscali solo circa per 372 milioni di lire, lasciando un deficit di 27,2 milioni di lire, pari a circa il 7 per cento della spesa. I prestiti e l’espansione monetaria, di anno in anno e per gli anni a venire, hanno fatto la differenza.
Nel tentativo di mettere fine al disordine finanziario, nel luglio 1774 il Re nomina un economista brillante, Anne Robert Jacques Turgot, per servire come Ministro delle Finanze. Turgot ha fatto tutto quanto in suo potere per frenare la spesa pubblica e la regolamentazione. Ma ogni proposta di riforma aumentava l’opposizione di gruppi privilegiati ed il Re alla fine lo ha destituito nel maggio 1776. Coloro che hanno seguito Turgot come controllore generale delle finanze del governo francese mancavano della sua interpretazione o della sua onestà. Semplicemente la crisi fiscale peggiorò. Come Thomas Carlyle (1795-1881) ha riassunto nel suo studio: La Rivoluzione Francese 1837:

“Trattasi di “mancanza di ingegno fiscale”, o di comunque si voglia chiamarlo, vi è la palpabile discrepanza tra le entrate e le spese; un deficit per l’Agenzia delle Entrate … Questo è il serio problema e senza apparente speranza della quadratura del cerchio. Il Controllore Joly de Fleury, che succedette a (Jacque) Necker, non poteva fare nulla per esso; nient’altro che proporre prestiti, che sono stati tardivamente compensati; l’imposizione di nuove tasse, il denaro senza interessi; produssero così rimostranze e malcontento.
Per quanto poco possa fare o non fare il controllore d’Ormesson; Joly ha difeso se stesso per un anno e un giorno, d’Ormesson si stima solo alcuni mesi …” La fatale paralisi assale il movimento sociale; ci avvolgono nuvole nere ed oscure; stiamo crollando negli abissi profondi della BANCAROTTA NAZIONALE?”

Il caos nelle finanze del re ha alla fine portato alla convocazione degli Stati Generali, chiamati in sessione anticipata nel 1789, in seguito all’inizio della rivoluzione francese con la presa della Bastiglia a Parigi nel luglio 1789. Ma le nuove autorità rivoluzionarie, nelle loro spese, erano stravaganti come il re. Grosse somme furono spese per opere pubbliche, per creare posti di lavoro e 17 milioni di lire (3,4 milioni di dollari) sono stati dati al popolo di Parigi in sussidi alimentari.

 

Gli Assegnati: la cartamoneta e l’inflazione dei prezzi selvaggi

Nel novembre 1789, Honoré Mirabeau avanza una proposta a tutte le difficoltà finanziarie del governo. Nel mese precedente, l’Assemblea Nazionale aveva nazionalizzato tutte i possedimenti e le proprietà della Chiesa. Mirabeau ora suggerisce che le banconote rilasciate dall’Assemblea Nazionale, siano garantite con le terre della Chiesa. Le note dovrebbero prima essere messe in circolazione come spesa per le opere pubbliche e poi per le altre spese del governo. Esse sarebbero rimborsabili alla pari come il prezzo di acquisto delle proprietà della Chiesa.
Allo stesso tempo, si è sostenuto che la circolazione monetaria aggiunta darebbe “stimolo” alle attività, creando posti di lavoro e mettendo soldi nelle tasche della classe operaia. (Più tardi sarebbero state le terre confiscate alla nobiltà, che era fuggita dalla Francia, ad essere utilizzate come garanzia fittizia dietro una marea di denaro di carta).
Il 17 marzo 1790, la rivoluzionaria Assemblea Nazionale ha votato per emettere una nuova moneta di carta chiamata Assignat (Assegnato) e nel mese di aprile 400 milioni (80 milioni di dollari) sono stati messi in circolazione. A corto di fondi, alla fine dell’estate, il governo ne ha emesso un altro da 800 milioni (160 milioni di dollari). Seymour Harris, nel suo studio: Gli assegnati (1930), traccia il percorso del deprezzamento della valuta di carta. Alla fine del 1791, circolavano 1,8 miliardi di Assegnati ed il loro potere d’acquisto era diminuito del 14 per cento. Nell’agosto 1793 il numero di Assegnati era aumentato a quasi 4,9 miliardi ed il loro valore era svalutato del 60 per cento. Nel novembre 1795 il numero degli gli Assegnati era di 19,7 miliardi e da allora il loro potere d’acquisto era diminuito del 99 per cento rispetto al primo emesso. In cinque anni i soldi della Francia rivoluzionaria valevano meno della carta su cui erano stampati.
Gli effetti di questo crollo monetario sono stati fantastici. Era stata creata una classe di debitori con un interesse derivato dall’inflazione perché il deprezzamento degli Assegnati significava per i debitori stessi essere rimborsati con denaro sempre più inutile. Altri avevano speculato sui terreni, spesso ex proprietà della Chiesa, che il governo aveva sequestrato e venduto e le loro fortune erano ora legate agli aumenti inflazionistici del valore dei terreni. Con i soldi sempre più inutili ogni giorno, il diletto del momento aveva la precedenza sulla pianificazione e sugli investimenti a lungo termine.
I beni erano accumulati e quindi divenuti più scarsi, perché i venditori prevedevano, all’indomani, un aumento dei prezzi.
Il sapone era diventato così scarso che lavandaie di Parigi hanno chiesto che i venditori che si rifiutavano di vendere il loro prodotto in cambio degli Assegnati fossero messi a morte. Nel febbraio 1793 a Parigi la folla attaccò più di 200 negozi, tutti saccheggiati per il pane, il caffè, lo zucchero e l’abbigliamento. Nella sua Storia della rivoluzione francese (1867), in quattro volumi, Heinrich von Sybel (1817-1895) spiega l’ambiente sociale e psicologico del tempo:

“Nessuno aveva in alcun modo fiducia nel futuro; pochi osarono fare investimenti in imprese per qualsiasi durata di tempo ed era reputata una follia limitare i piaceri del momento, per procurarsi un futuro incerto, economizzando …
Chi possedeva una manciata di Assegnati o di monete d’argento, si affrettava a spenderli nel più intenso godimento con il desiderio di catturare ogni piacere che faccia battere forte il cuore. In autunno, tutti i teatri erano stati riaperti ed erano frequentati con instancabile entusiasmo … Con gli spettacoli di cabaret i caffè non erano meno pieni dei teatri. Sera dopo sera, ogni quartiere della città risuonava di musica e balli …
Questi piaceri, purtroppo, hanno avuto una peculiare colorazione – accecanti luci e ombre cupe – dai ricordi e dai sentimenti della rivoluzione… In altri ambienti non c’era nessuno che non avesse perso un parente sulla ghigliottina; il vestito a palla alla moda, imitato dai capelli raccolti ed il bavero all’indietro come coloro che era portati all’esecuzione, i signori invitavano le loro partner alla danza con un cenno particolare, destinato a ricordare loro la caduta della testa mozzata.”

Di fatto il peso dell’inflazione su chi può ricadere? Sui più poveri. I finanzieri, i mercanti e gli speculatori delle materie prime, che di solito hanno partecipato al commercio internazionale, spesso dovevano proteggersi. Hanno accumulato oro e argento e lo hanno inviato all’estero per la custodia; hanno anche investito in arte e gioielli preziosi. La loro esperienza speculativa ha permesso a molti di stare al passo con l’inflazione e di trarre profitto dalle fluttuazioni di valuta. La classe operaia ed i poveri in generale, non avevano né le competenze né i mezzi per proteggere quel poco che avevano. Erano quelli che finirono per detenere i miliardi di Assegnati senza valore.
Infine, in data 22 dicembre 1795, il governo ha decretato che la stampa degli Assegnati fosse fermata. Le transazioni in oro e argento sono state autorizzate, dopo che erano state vietate e sono state riconosciute come moneta corrente. Il 18 febbraio, 1796, alle ore 9 del mattino, la macchine da stampa, le lastre e la carta utilizzata per stampare gli Assegnati sono state portate in Place Vendôme e davanti a una grande folla di parigini furono rotte e bruciate.

 

Il disastroso prezzo per tenere l’inflazione sotto controllo

Comunque, prima che l’epilogo con gli Assegnati fosse concluso, l’inflazione era cresciuta e peggiorata, una protesta si è levata dal “popolo” perché ai prezzi doveva essere impedito di salire. Il 4 maggio 1793, l’Assemblea Nazionale ha imposto i controlli sui prezzi del grano e ha precisato che doveva essere venduto solo nei mercati pubblici sotto l’occhio vigile degli Ispettori Statali, i quali avevano anche l’autorità di entrare nelle case private dei mercanti e confiscare il grano e la farina accumulati. La distruzione delle merci ai sensi del regolamento del governo era considerato un reato capitale.
Nel settembre 1793 i controlli ai prezzi furono estesi a tutti i beni dichiarati di “prima necessità”. Nel 1790 è stato proibito che gli aumenti dei prezzi salissero di più di un terzo. Analogamente, nella primavera del 1794, i salari furono posti sotto controllo. Tuttavia, le materie prime sparirono presto dai mercati. A Parigi non si trovava il caffè, oltre all’impossibilità di ottenere zucchero; le scorte di cibo diminuirono e gli agricoltori si rifiutarono di inviare i loro prodotti alle città. L’economista americano, Edwin Kemmerer (1875-1945), nel suo studio di economia della rivoluzione francese e nel suo libro: Money (denaro)(1935), ha spiegato alcuni modi di come furono evasi i controlli:

“Tra i metodi impiegati per eludere questo sistema di fissazione dei prezzi, come di seguito citati furono:
il ritirare le merci dal mercato;
la mancata produzione di nuovi materiali di consumo in cui le scorte esistenti erano esaurite;
la produzione e la vendita di qualità inferiore;
l’alimentazione del grano destinato agli animali da allevamento, a volte erano soggetti al prezzo massimo e non vi erano i prezzi degli animali vivi;
il prezzo del grano macinato in farina degli agricoltori era fatto dopo che il prezzo del grano era stato controllato, mentre per la farina non lo era.
Gli agricoltori vendevano i loro prodotti nelle case clandestinamente, invece di portarli al mercato. Quando i prezzi delle materie prime erano controllati, i prezzi dei manufatti, di frequente, aumentavano in modo anomalo e quando i prezzi dei beni di prima necessità erano bassi, il prezzo dei beni di lusso saliva.
Le scappatoie alla leggi producevano grandi profitti, mentre le sanzioni per l’evasione, se catturati, erano estreme. Ciò ha portato molto corruzione ufficiale. La fornitura di beni disponibili nei mercati a prezzi controllati era spesso inadeguata e la coda, come nelle città russe di oggi, è diventata una istituzione familiare.”

 

L’ideologia Totalitaria dello Stato sull’individuo

Durante la Repubblica giacobina di 1792-1794, uno sciame di regolatori, si diffuse in tutta la Francia, imponendo tetti ai prezzi, oltre all’intrusione in ogni angolo della vita privata delle persone; hanno imposto condanne a morte, confiscato la ricchezza e la proprietà ed inviato uomini, donne e bambini in prigione avviandoli al lavoro come schiavi. La Francia rivoluzionaria, in nome dello sforzo bellico, entrò in conflitto con molti dei suoi vicini, tutti i settori in qualsiasi modo relativi alla difesa nazionale o al commercio con l’estero sono stati posti sotto il controllo diretto dello Stato; i prezzi, la produzione e la distribuzione di tutti i prodotti da parte delle imprese private erano sotto il comando del governo. Una enorme burocrazia emerse per gestire tutto questo e la burocrazia inghiottì parte della crescente ricchezza nazionale.

Naturalmente, tutto questo seguito dalle premesse del pensiero giacobino, che sotto l’ombra della nozione di Rousseau della “volontà generale”, ha sostenuto che lo Stato aveva il dovere di imporre uno scopo comune a tutti. L’individuo era nulla; lo Stato era tutto. L’individuo è diventato l’astrazione e lo stato la realtà. Coloro che la “volontà generale “ ancora non avevano capita sarebbe stata loro insegnata; coloro che hanno resistito all’insegnamento ne sarebbe stati obbligati e coloro che hanno resistito agli ordini peririvano, perché solo i “nemici del popolo” si sarebbero opposti alla Verità collettivista.

Il rivoluzionario francese Bertand Barère (1755-1841) nel 1793 ha dichiarato:

“La Repubblica deve penetrare nelle anime dei cittadini attraverso tutti i sensi … Alcuni devono (alla Francia) la loro attività, altri le loro fortune, alcuni le loro raccomandazioni, altri il loro potere; tutti il loro sangue. Quindi, tutti i francesi di entrambi i sessi e di tutte le età sono chiamati al senso del patriottismo per difendere la libertà …
Affinché tutti possano prendere il proprio posto nel movimento nazionale e militare che è in preparazione. I giovani combatteranno; gli uomini sposati forgeranno le armi, forniranno la sussistenza, il trasporto di bagagli e l’artiglieria; le donne lavoreranno per le divise dei del soldati, faranno le tende e diventeranno infermiere negli ospedali per i feriti; i bambini faranno garze di lino e gli anziani, ancora una volta, svolgeranno la missione che era in uso dagli antichi, dovranno accattivarsi le piazze e lì infondere coraggio ai giovani guerrieri, trasmettendo l’odio verso i re e l’unità della Repubblica.”

Tutte le leggi, i costumi, le abitudini, le modalità del commercio, il pensiero ed il linguaggio dovevano essere uniformi e gli stessi per tutti. Nemmeno la famiglia aveva autonomia esistenziale; e bambini? Essi appartenevano allo Stato. Barère diceva:

“I principi che dovrebbero guidare i genitori sono che i bambini appartengono alla famiglia Generale della Repubblica, prima di appartenere alle singole famiglie. Lo spirito della vita privata deve scomparire quando chiama la Grande Famiglia. Siete nati per la Repubblica e non per l’orgoglio e l’arbitrio delle famiglie.”

Qui è nato il moderno collettivismo nazionale, la fedeltà e l’obbedienza allo Stato del “popolo”. Quando nel gennaio 1793 un messaggero fu inviato nella parte orientale del paese ad informare che le forze rivoluzionarie francesi avevano affrontato gli eserciti invasori di monarchi stranieri anti-rivoluzionari e che il re di Francia era stato giustiziato, uno degli ufficiali francesi chiese: “ per chi ci batteremo d’ora in poi se il re non c’è più?” La risposta fu: “Per la Nazione e per la Repubblica”.

 

Il ritorno ai principi del libero mercato

Nel tardo 1794 l’anti-giacobina Termidoriana prese il sopravvento nel governo e con essa i sostenitori di un mercato più libero che faccese al caso loro. Uno di loro, M. Eschasseriaux, dichiarò: “un sistema di economia è buono… quando l’agricoltore, il produttore ed il commerciante godono la piena libertà della loro proprietà, della loro produzione e delle loro attività”.
Ed il suo collega, M. Thibaudeau, ha sostenuto: “Considero il massimo (prezzo) come disastroso, la fonte di tutte le disgrazie che abbiamo vissuto. Ha aperto una carriera ai ladri, coperto la Francia con un mucchio di contrabbandieri e rovinato uomini onesti che rispettano la legge … So che quando il governo tenta di regolamentare tutto, tutto è perduto”.
Infine, il 27 dicembre 1794, i controlli sui prezzi ed i salari sono stato aboliti e le condizioni di mercato e di scambio sono stati ancora una volta consentiti. E dopo la fine degli Assegnati, un anno più tardi, le merci nuovamente affluivano al mercato e un grado di prosperità era stato ristabilito. Come Adolphe Thiers (1797-1877) descrive nella sua Storia della rivoluzione francese (1842):

“Nessuno scambio avveniva se non in argento. Questo denaro, che era stato apparentemente nascosto o esportato fuori dai confini, prese a circolare. Ovunque sia stato nascosto è venuto allo scoperto, quello che aveva lasciato la Francia è tornato …
Oro e argento, come tutte le merci, si spostava dove la domanda li attraeva, il loro prezzo diventava più alto o rimaneva allo stesso livello fino a quando la disponibilità era sufficiente e la richiesta veniva soddisfatta. Solo con l’oro e l’argento si potevano fare per i pagamenti nei mercati e furono pagati gli stipendi alle persone nello stesso modo. Uno persona avrebbe potuto dire che: senza i soldi di carta ha potuto vivere in Francia.

I garantiti [Assegnati] si trovavano soltanto nelle mani degli speculatori, che li hanno ricevuti dal governo e li hanno rivenduti agli acquirenti dei beni nazionali. Così la crisi finanziaria ha continuato ad esistere per lo Stato, ma ha quasi cessato di esistere per gli individui.”

Il modello delle idee collettiviste e delle politiche economiche che erano state sperimentate durante la Rivoluzione francese sono state sperimentate molte altre volte ed hanno avuto i loro sostenitori anche ai nostri tempi più moderni, tra cui, alcuni hanno suggerito, per esempio, gli scritti di economisti famosi come John Maynard Keynes.
Alla fine del 1936, l’economista di origine austriaca, Joseph A. Schumpeter, ha scritto una recensione su Keynes he ha recentemente pubblicato la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, che in una manciata di anni è diventata la ” nuova bibbia dell’economia”. Schumpeter ha concluso l’esame con la seguente osservazione:

“Chi accetta il messaggio là esposto (La Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di John Maynard Keynes) riscrivere la storia dello ancien regime francese [vecchio regime] in questi termini:
Luigi XVI è stato un monarca più illuminato. Sentiva la necessità di stimolare la spesa e si era assicurato i servizi di tali esperti, da spendaccione come Madame de Pompadour e Madame de Barry. Hanno lavorato con efficienza insuperabile. La piena occupazione, la massima produzione ed in generale il benessere avrebbero dovuto esserne la conseguenza. E’ vero invece che: troviamo la miseria, la vergogna e alla fine di tutto, un mare di sangue. Ma quella era una possibile imprevidibilità.”

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