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Il fenomeno migratorio in una società libera

Von Mises Italia - Mer, 29/03/2017 - 08:52

Un ordine basato sulla libertà individuale di scelta, consiste in libertà di offrire e libertà di domandare ed in ciò è insito il fatto che ogni richiesta può essere gestita in piena autonomia ed essere tanto accolta quanto rifiutata o cadere nel vuoto.

La libertà è, infatti, assenza di impedimenti, ma questa condizione verrà realizzata solo se verrà rispettata la proprietà privata, sia su se stessi che sulle cose.

Rispettando la libertà di ciascuno non si è grado di imporre alla società concezioni artificiali frutto della presunta conoscenza privilegiata di qualcuno in particolare, e questo in seguito ci permette di dire che la libertà va difesa perché consente al più ampio numero possibile di individui di condurre vite ritenute significative dal proprio punto di vista.

Se la libertà, in quanto condizione generale, deve essere rispettata per lo scambio di beni e servizi lo deve essere anche per quanto riguarda il movimento delle persone; così come una merce per essere scambiata richiede l’accordo delle parti, in ogni unità privata l’accesso regolare di un’altra persona dipende sempre dalla volontà del proprietario dell’unità.

Trattasi quindi di cercare di trascinare coerentemente questo fatto evidente della proprietà privata all’interno della cosiddetta proprietà pubblica, cioè in quella proprietà dove vi è una cattiva definizione dei singoli diritti di proprietà privata che la compongono.

La proprietà pubblica è sempre mal definita e pertanto possiede una tendenza ad essere mal tutelata e/o mal sviluppata, giacché i prezzi esprimono un significato razionale solo quando emergono da scambi realizzati in cui ciascuno dispone effettivamente e solamente della sua proprietà.

Ebbene, per un puro ragionamento di tipo “consequenzialista”, quanto più i beni ed i servizi cessano di essere sottoposti a proprietà pubblica, minori sono le possibilità di pervenire ad un disordine sociale ed economico.

Parlare di proprietà pubblica significa parlare di Stato e dunque di un determinato gruppo sociale organizzato.

Non può esistere uno Stato senza territorio, vale a dire la sede su cui stabilmente risiede tale comunità organizzata.

Questa sede rappresenta l’ambito spaziale entro il quale lo Stato pretende di esercitare in modo effettivo, esclusivo ed indipendente la propria sovranità, ossia quel potere supremo dello Stato che riguarda da un lato i rapporti dello Stato con gli altri Stati e organizzazioni internazionali, dall’altro i rapporti dello Stato con i suoi contribuenti residenti e quanti transitano nel suo territorio.

Tutto il territorio dello Stato, sia che si tratti di zone abitate che di zone disabitate è sottoposto alla sovranità dello Stato.

Lo Stato si regge sull’imposizione tributaria che esso effettua su i suoi contribuenti-residenti,  esso è quindi chiamato ad operare in nome di questi suoi contribuenti.

Uno Stato che afferma di rappresentare una società libera, non può che fondarsi sul primato del diritto alla proprietà privata – essendo la pretesa capace di soddisfare meglio la possibilità media di tutti – sia su se stessi che sulle cose, e su un sistema economico di libero mercato, perché questi due elementi, che sono l’uno la conseguenza dell’altro, forniscono ai suoi abitanti gli incentivi necessari per realizzare piani di azione liberamente scelti, con la garanzia di affrontare personalmente i rischi e le responsabilità delle attività che essi intraprendono.

Finché lo spostamento di una persona avviene dietro invito di un individuo, di un’associazione o di un’impresa residente che garantisce all’immigrato un alloggio per un periodo di tempo relativamente lungo, un minimo adeguato di sostentamento ed eventualmente anche un’occupazione, in linea di massima, lo Stato non può opporsi al trasferimento – in una società libera, un datore di lavoro deve avere la facoltà di assumere alle sue dipendenze chi vuole, compresi i residenti all’estero, così come il proprietario di un’abitazione deve avere la facoltà di affittare a chi vuole.

In linea di massima, poiché lo Stato, essendo l’istituzione responsabile della sicurezza di tutti i propri contribuenti, può sempre impedire l’ingresso a singoli individui che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata.

Tuttavia, spesso le persone si spostano da uno Stato all’altro in cerca di fortuna o nuova vita senza l’invito di qualcuno; in tal caso, sarà necessario, per poter in seguito stabilirsi legalmente, farsi prima concedere un apposito visto dallo Stato in cui si intende abitare o anche lavorare, tramite ambasciate o consolati – ovviamente, per tutti coloro che vanno all’estero per qualsiasi altro motivo si dovrà fare un discorso diverso.

Ambasciate e consolati locali potrebbero fungere anche da strutture che mettono sistematicamente in contatto domande ed offerte di inviti.

A chi dovrebbero essere rilasciati questi appositi visti?

Escludendo persone che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata, questi visti dovrebbero essere rilasciati soltanto a persone che possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari.

Se ci si reca all’estero e si è già in grado di usufruire di un reddito che funge da mezzo di sostentamento permanente, non vi dovrebbero essere obiezioni ad accettare il trasferimento, ma se ci si reca all’estero per cercare o crearsi un lavoro, tale ricerca o creazione richiede nel frattempo che si possa fare affidamento a delle risorse per sostenere il quotidiano vivere.

Lo Stato dovrà stabilire l’ammontare di queste risorse confrontandosi con le condizioni attuali del mercato del lavoro.

Lo Stato può rilasciare questi visti per motivi umanitari anche a persone che non possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari?

Qui il campo delle verità consequenzialiste, giuridiche ed economiche, deve fare i conti con il campo delle valutazioni etiche, ben sapendo però che il campo delle valutazioni etiche non potrà mai capovolgere con successo le verità consequenzialiste.

Concedere il permesso a soggiornare stabilmente nel proprio territorio a persone prive di invito e che non portano con sé mezzi per sopravvivere autonomamente, significa che queste persone, almeno nei primi tempi, graveranno forzosamente come spesa sull’intera collettività e ciò equivale a dire utilizzo di un welfare state coercitivo.

Senza fare inutili previsioni di natura deterministica, è chiaro che il welfare state coercitivo può essere ben sostenibile finché si tratta di piccoli numeri; all’estendersi, infatti, del welfare state coercitivo, aumentano i rischi per il mondo dell’allocazione economica delle risorse di essere soggiogato da quello dell’allocazione politica e del parassitismo.

In ultimo, lo Stato dovrà necessariamente procedere:

all’espulsione di qualunque soggetto che cercasse di stabilirsi nel proprio territorio sprovvisto di invito o di apposito visto;

a sanzioni amministrative e/o penali nei confronti di quei soggetti che si assumono la responsabilità dell’invito dello straniero ma che, in realtà, lo fanno solo sulla carta e non anche con i fatti;

impedire l’accesso a chi provasse ad entrare nel proprio territorio cercando di forzarne i confini.

Da valutare, invece, la posizione dello straniero nel momento in cui chi l’ha invitato rinunciasse ad ogni responsabilità precedentemente assunta e nessun altro soggetto privato residente accettasse di assumerla.

I fenomeni migratori sono antichi quanto la storia dell’uomo.

E’ uno di quei cambiamenti che hanno luogo di continuo pertanto non bisogna affrontare questo fenomeno come se non dovesse mai avvenire, ma semplicemente di istituzionalizzarlo con buon senso.

Asserito quanto, c’è da rilevare che tra un ordine liberale e migrazioni esiste senz’altro un rapporto ma questo rapporto è soprattutto fatto di “sostituibilità elastica” e non di “rigida esclusività”, vale a dire che tanto più riusciamo ad estendere l’ordine liberale quanto più vengono meno quelle necessità che spingono le persone ad abbandonare le proprie terre d’origine.

All’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre corrisponde, infatti, un incremento del benessere generalizzato a livello globale e tale incremento rende sicuramente minori le possibilità che possano generarsi masse notevolmente consistenti di persone che desiderano spostarsi da uno Stato all’altro o da una regione del pianeta ad un’altra.

Di conseguenza, divengono criticabili tutte quelle azioni che, direttamente o indirettamente, ostacolano l’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre.

Criticabile è il sistema degli aiuti internazionali ai paesi più poveri che alla fine si risolve in effetti più che altro controproducenti.

A seguito del processo di decolonizzazione, i paesi più ricchi hanno versato 135 milioni di dollari l’anno alla cosiddetta cooperazione internazionale, e questo denaro è stato versato tanto dai governi di questi paesi quanto dai loro singoli cittadini.

L’aiuto internazionale è gestito da agenzie, associazioni od enti collegabili alle Nazioni Unite i quali senza la motivazione dell’aiuto al prossimo non potrebbero mai sorreggersi.

Ognuna di queste associazioni, agenzie od enti ha delle spese, tra cui la voce stipendi, che finiscono per assorbire gran parte di quei fondi destinati ai paesi più poveri.

Da ciò si capisce che gli impiegati di queste strutture non possono avere un grande interesse a contrastare la povertà diffusa nel mondo, giacché per loro la povertà diffusa è fonte regolare di guadagno.

Certamente, non tutti i progetti che nascono a seguito degli aiuti internazionali falliscono miseramente, ciò nonostante si stima che circa l’80 per cento di quei 135 miliardi di dollari annui viene sprecato in costi di gestione di queste associazioni, agenzie od enti ed in investimenti tanto grandiosi quanto non redditizi.

Tuttavia, questi aiuti economici forniti in maniera sistematica sono soprattutto criticabili perché finiscono per imprimere nelle popolazioni dei paesi più poveri la mentalità del subordinato a scapito dell’assunzione individuale di responsabilità.

Il fattore determinante della creazione di ricchezza è la capacità di produrre merci, la quale cresce con l’incremento della frazione produttiva della popolazione e della divisione del lavoro, le quali a loro volta possono aumentare stabilmente solo con l’accumulazione di risparmio reale.

Se il risparmio reale aumenta, può diminuire senza controindicazioni l’interesse sul capitale reale prestato e rendere così relativamente più vantaggiosi quei rami di produzione che richiedono, in funzione delle loro condizioni tecniche, un periodo più lungo di produzione.

I governi dei paesi più ricchi piuttosto che fornire aiuti economici sistematici ai paesi più poveri, dovrebbero sostenere i governi e le popolazioni locali a costituire nei propri paesi un intorno istituzionale che protegga la proprietà privata e la garanzia che quello che si accumula possa essere preservato in futuro.

Criticabile è, inoltre, la posizione dei paesi più ricchi quando questi adottano misure di protezionismo commerciale non dando in questo modo la possibilità ai paesi più poveri di accedere con i loro prodotti ai mercati più abbienti.

Mancanza del suddetto intorno istituzionale ed assenza di responsabilità individuale nei paesi più poveri e protezionismo commerciale da parte dei paesi più ricchi pongono le basi, separatamente e sommandosi, per veder emergere grandi masse di popolazione localizzate nei paesi più poveri desiderose di spostarsi verso i paesi più ricchi.

Tale pressione esercitata da queste grandi masse va a stimolare un circolo vizioso a danno del primato del diritto alla proprietà privata e del sistema economico di libero mercato ed a favore dell’espansione della proprietà pubblica e dell’interventismo statale.

Infatti, così come ogni processo di espansione economica non coperto da risparmio reale è seguito da una fase di doloroso riassestamento che rappresenta il momento ideale per veder affiorare nuove richieste di ampliamento della proprietà pubblica e dell’interventismo statale, ogni massiccia pressione migratoria dai paesi più poveri a quelli più ricchi produce in questi ultimi un periodo di acute problematiche che, stressando il meccanismo della libertà di offrire e di domandare, rappresenta il momento ideale per veder affiorare le stesse richieste.

In conclusione, quando si parla di migrazioni non vi deve essere alcuna posizione pregiudiziale, né a favore né contro, ma bisogna sempre però avere l’onestà intellettuale di affrontare il fenomeno tenendo conto delle opportunità e dei rischi che concretamente include ogni suo caso specifico.

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Decrescita felice?

Von Mises Italia - Lun, 27/03/2017 - 08:01

Tutte le critiche (negative) all’ordine di libero mercato possono essere descritte come il frutto di un eccessivo razionalismo (come avrebbe sostenuto von Hayek) oppure come il frutto di una rivolta contro la ragione (come invece avrebbe sostenuto von Mises).

Quello che in ogni caso c’è di univoco è che il libero mercato ha dovuto praticamente da sempre scontrarsi con opposizioni scientificamente insostenibili.

In tal senso, è doveroso ricordare che l’economia è una scienza, ma in quanto appartenente al mondo delle scienze dell’azione umana e non al mondo delle scienze naturali il suo procedimento d’indagine non può essere lo stesso di questo secondo mondo.

Una delle critiche più recenti all’ordine di libero mercato è quella che va sotto il nome di “decrescita felice”.

La prima apparizione di questo termine viene fatta risalire alla pubblicazione in lingua francese, nel 1979, di una raccolta di saggi dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, ma è solo con l’arrivo del ventunesimo secolo che la decrescita prende l’aspetto di una corrente di pensiero ed inizia costantemente ad entrare nel dibattito pubblico.

A portare sotto le luci della ribalta la decrescita, attraverso una vera e propria elaborazione del concetto, è stato il professore francese Serge Latouche, da considerarsi il deus ex machina di questa corrente di pensiero.

Latouche espone la decrescita come serena e conviviale, mentre il più celebre aggettivo felice è stato introdotto dal saggista italiano ed anch’esso teorico della decrescita Maurizio Pallante.

Quella della decrescita è una scuola di pensiero senz’altro non totalmente uniforme al suo interno, ma comunque i suoi autori presentano molti punti in comune.

I maggiori punti in comune riscontrabili sono una disapprovazione per l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita umana ed appunto un’avversione nei confronti dell’ordine di libero mercato.

Prendendo in esame in particolar modo il pensiero di Latouche, iniziamo con il dire che questo autore descrive la modernità come un enorme processo di economicizzazione della vita umana e di occidentalizzazione del mondo e dedica una monografia all’invenzione dell’economia, definita come culturale e storica.

Per Latouche, l’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo e con la sua nascita l’essere umano si riduce progressivamente ad homo oeconomicus, vale a dire ad essere capace solamente di far proprie quelle motivazioni legate alla massimizzazione della sua ricchezza materiale in virtù di un utilitarismo unidimensionale.

Latouche comprime tutta l’economia dentro una scienza degli aspetti “strettamente economici” dell’azione umana, una teoria della sola ricchezza materiale.

L’avversione di Latouche al libero mercato avviene soltanto in seconda battuta rispetto a questa critica verso l’economia così inquadrata dallo stesso autore.

Questa visione di tutta l’economia porta Latouche a considerare libero mercato e socialismo reale come due varianti dello stesso fenomeno da condannare, ossia “la società della crescita”, ma nel libero mercato Latouche vede, in aggiunta, un ordine che finisce per distruggere il pianeta – libero mercato visto come sistema di dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse – così come la società e tutto ciò che collettivo – libero mercato visto come sistema di distruzione antropologica degli esseri umani ridotti in bestie produttrici e consumatrici.

Ora, nel continuare ad analizzare il pensiero di Latouche e la società della decrescita, iniziamo anche smontarne i ragionamenti ed a vedere “l’incongruenza” tra metodi scelti e fini (cioè serenità, convivialità e felicità) cercati.

Latouche si scaglia contro l’occidentalizzazione del mondo, ma qui Latouche sembra proprio confondere la parola occidente con imperialismo, vale a dire con l’atto (o il propugnare tale atto) deliberato di acquisire e conservare il controllo politico, diretto od indiretto, da parte di uno Stato su qualsiasi altro territorio abitato.

L’imperialismo pertanto è un fenomeno da stigmatizzare in quanto incentrato sull’uso e sulla minaccia d’uso della forza a priori, ma sicuramente questo fenomeno non può essere associato come prerogativa esclusiva dell’occidente, bensì è prerogativa che può essere fatta propria da ogni potere politico, non importa a quale influenza culturale sia sottoposto.

Il mondo è la storia hanno, infatti, conosciuto e continua a conoscere imperialismi di ogni genere e solo alcuni di essi possono essere collegati all’occidente inteso come area storico-culturale-geografica.

Se poi ci sono beni e servizi tipicamente occidentali particolarmente apprezzati in tutto il mondo questo certamente non può essere considerato per l’occidente un peccato, giacché piacere ed essere ammirati non può essere una colpa ed il libero mercato non impone niente a nessuno.

L’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce come interazione sociale non programmata e non come risultato di una volontà comune diretta alla sua costituzione come ci vuol far credere Latouche.

L’economia è innanzitutto una conoscenza tacita, e tale conoscenza diviene consapevole, analizzata e strutturata teoricamente soltanto negli stadi successivi della storia dell’umanità, dunque una società dell’economia non è una tardo-invenzione dell’essere umano, ma è un qualcosa che ha accompagnato l’umanità sin dagli inizi del suo agire.

Inoltre, la dimensione economica della vita non ha come fondamento ultimo il desiderio di ricchezza materiale, bensì la condizione umana di scarsità: economici sono i mezzi e non anche i fini ultimi dell’azione.

Siamo quindi costantemente chiamati ad economizzare i mezzi della nostra azione e se non fosse stato per questa capacità dell’essere umano di economizzare non saremmo mai riusciti a risolvere problemi complessi.

L’essere umano è soprattutto un produttore creativo e non un dilapidatore di risorse, o meglio “è un produttore creativo fintanto che si circonda di istituzioni capaci di favorire la creatività umana”.

Pur agendo in condizione di scarsità, la capacità umana di economizzare è in grado, infatti, di “trasformare l’entità delle risorse disponibili da limitate ad incerte”, poiché la risorsa fondamentale per mezzo della quale possono in seguito trovare utilizzo tutte le altre risorse è la mente umana.

La storia dell’umanità dimostra che l’uomo, mediante le sue invenzioni ed innovazioni tecnologiche, è riuscito non solo a spostare sempre un po’ più in là la frontiera delle possibilità produttive ed a scoprire nuove risorse nonché a sfruttare meglio quelle già conosciute, ma, allo stesso tempo, è riuscito ad affrontare e risolvere gradualmente le problematiche ambientali che di volta in volta si ponevano.

Di conseguenza, dichiarare che l’essere umano è un dilapidatore irreversibile di ambiente e risorse è un’affermazione ottusa e disapprovare l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita non ha alcun senso se non quello di porre l’essere umano dinanzi alla sua auto-distruzione.

Con ciò non si vuole, nel contempo, sostenere che l’essere umano sia capace di massimizzare in senso stretto e che la sua vita si esaurisca nell’idealtipo dell’homo oeconomicus.

Non siamo in grado di massimizzare in senso stretto niente, dal momento che non possiamo accedere alla conoscenza di tutti i dati rilevanti: non si può dire, infatti, del processo di competizione e cooperazione che esso porti alla massimizzazione di un qualche risultato misurabile, ma soltanto all’uso, in condizioni favorevoli, di maggiori capacità e conoscenze rispetto a qualsiasi altra procedura.

L’essere umano non può esaurirsi nel soggetto idealtipico dell’homo oeconomicus, il cui scopo è solo la ricerca della massimizzazione della ricchezza materiale, perché questo modello è scorretto in quanto parziale: tale soggetto, infatti, non tiene in conto quelle preferenze che possono emergere diverse dal guadagno materiale, come, ad esempio, il valore affettivo che una persona può conferire ad un determinato bene.

Se l’essere umano non può esaurirsi nell’homo oeconomicus, allora si deve dedurre che il concetto di utilitarismo non può essere unidimensionale.

Una corretta visione della scienza economica, infatti, tratta dell’azione umana non solo nella misura in cui questa è attuata da ciò che viene descritto come motivo del guadano materiale.

I problemi “strettamente economici” devono essere inseriti in una scienza più generale, quella della scelta umana, e non possono essere scissi da questa.

L’economia pertanto possiede da sempre un ambito di autonomia, ma in quanto scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un determinato fine e non e come mera scienza degli aspetti “strettamente economici”.

Il libero mercato, fondandosi sulla soggettività del valore, va al di là dell’orizzonte degli sforzi umani e della lotta dell’uomo per i beni ed il miglioramento della sua ricchezza materiale e conseguentemente l’idea che esso distrugga tutto ciò che è collettivo è inaccettabile.

Il libero mercato, semmai, rappresenta l’organizzazione della vita collettiva più efficiente perché in esso le possibilità di scambio sono le più numerose possibili.

Latouche, con una chiusura mentale imbarazzante, condanna la società della crescita dato che in questa scorge un’amplificazione delle disuguaglianze materiali tra esseri umani.

Chiusura mentale imbarazzante per due motivi: senza crescita economica non avremmo mai avuto l’allungamento delle aspettative di vita, il crollo della mortalità infantile, la diffusione di condizioni igieniche accettabili, cure mediche all’avanguardia, etc.; il problema a monte non concerne una corretta distribuzione della ricchezza ma quello di assicurare la migliore contribuzione possibile al processo di creazione della ricchezza.

Latouche, concentrandosi sul tema delle disuguaglianze materiali, ammette che la povertà diffusa può essere un problema ma, a questo riguardo, il suo obiettivo non è quello di tendere ad ottimizzare la possibilità media di tutti, bensì di limitare uniformemente le energie produttive di tutti.

Certo, lo sviluppo economico non dovrebbe abitualmente prodursi a colpi ricorrenti di boom e crisi, ma se l’andamento economico mostra un comportamento che potremmo definire come “maniaco-depressivo” le cause vanno ricercate in una produzione e gestione del denaro fondamentalmente sottratta al meccanismo impersonale del libero mercato, e non nel libero mercato.

Latouche, per giungere nel lungo periodo alla sua società della decrescita, articola un programma politico in dieci punti:

  1. Ridurre l’impatto ecologico, tornando alla produzione materiale anni ’60 – ’70;
  2. Ridurre i trasporti internazionalizzandone i costi attraverso ecotasse;
  3. Rilocalizzare le attività;
  4. Ristabilire l’agricoltura contadina;
  5. Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi;
  6. Rilanciare la produzione di beni relazionali;
  7. Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4;
  8. Penalizzare le spese di pubblicità;
  9. Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica;
  10. Riappropiarsi del denaro.

Latouche possiede anche un programma per far fronte alle sfide di breve periodo, e qui ci viene suggerito: reddito di cittadinanza, limite legale ai redditi più alti, imposte dirette progressive (sopra il reddito massimo legale anche del 100 per cento), imposte indirette sui beni di lusso, tassa patrimoniale e ricorso immediato alla monetizzazione in caso di deficit pubblico.

Insomma, ce n’è abbastanza per affermare che Latouche altro non è che un ennesimo grande nemico della società libera (sulla scia di Platone, Hegel e Marx) e la decrescita felice solo un altro modo per instillare lo statalismo nelle menti delle persone, ossia l’aggressione sistematica ed istituzionale contro la libera funzione imprenditoriale.

Infondo, è lo stesso Latouche a dircelo:

La concezione di società della decrescita (…) non significa un impossibile ritorno al passato, né un accomodamento con il capitalismo, ma un “superamento” (se possibile armonioso) della modernità. La decrescita è necessariamente contro il capitalismo (…) non si può pensare a una società della decrescita senza uscire dal capitalismo[1].

Latouche è quindi più vicino a Karl Marx di quanto egli stesso forse non pensi.

In aggiunta, la società della decrescita condanna il consumismo definito come “dimensione di costrizione”.

Su quest’ultimo punto c’è da mettersi preventivamente d’accordo.

Se per consumismo s’intende quelle interferenze politiche ai danni della libertà individuale di scelta atte a stimolare artificialmente il consumo ai danni del risparmio e della tesaurizzazione, ad indurci in maniera aggregata a spendere per consumi come se non ci fosse un domani perché tanto, ormai, utilizzare il proprio reddito in modo diverso è diventato istituzionalmente sconveniente se non impraticabile, allora è legittimo condannare il consumismo, poiché violazione dell’ordine di libero mercato e di una possibilità di progresso futuro.

Ma se condannare il consumismo significa condannare l’uomo comune come consumatore sovrano la cui decisione di comprare od astenersi dal comprare in ultima analisi determina quello che deve essere prodotto, allora la decrescita felice si dimostra ancora una volta di essere teoria al servizio della violenza organizzata e non vi sono sostanzialmente dubbi che i teorici della decrescita felice intendano, se non altro soprattutto, colpire l’uomo comune come consumatore sovrano.

Per Pallante la parola consumatore indica:

una mutazione antropologica degradante sia dal punto di vista dell’intelligenza, sia dal punto di vista della morale[2].

In definitiva, i teorici della decrescita non diffondono generalmente alcunché di sereno, conviviale e felice, ma solamente aggressione sistematica ed istituzionale che intende nascondersi dietro la maschera di un’etica frugale e l’illusione di avvicinarsi all’Eden attraverso una nuova civiltà basata sull’agricoltura biologica.

Essi si sentono i detentori di un punto di vista privilegiato sul mondo e soffrono di quel vizio filosofico che consiste nella presunzione di poter dirigere centralisticamente la società.

Essi ci raccontano che la società delle decrescita da loro ipotizzata, qualora fosse pienamente attuata, genererà una varietà imprecisabile di alternative ed esperimenti sociali, ma l’oggettività della realtà invece ci racconterebbe tutt’altro.

Come andrebbe a finire se queste teorie prendessero concretamente e pienamente il soppravvento lo si può esplicitare nella maniera seguente:

prima il controllo dei prezzi, poi la vendita forzosa, quindi il razionamento, poi ancora le norme tassative sulla regolamentazione della produzione e della distribuzione, e infine i tentativi di assumere la direzione pianificata dell’intero sistema produttivo e distributivo[3].

E si aggiunga pure, se non fosse già sufficientemente sottointeso, l’emergere di una povertà diffusa e l’annichilimento della libertà individuale di scelta.

D’altronde, quando si vagheggia un mondo dove la proprietà privata dei mezzi di produzione, i rapporti salariali e l’accumulazione di capitale sono un ostacolo e dove i prezzi dei fattori di produzione devono essere sottratti, nella loro determinazione, a qualsiasi influenza di libero mercato, non può che finire così.

Quando i lupi vengono a noi travestiti da agnelli.

 

[1] Latouche S., La scommessa della decrescita, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 121-122

[2] Pallante M., La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, Edizioni per la decrescita felice, Roma, 2012³, p. 91

[3] von Mises L., I fallimenti dello Stato interventista, trad. it., Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1997, p. 214

Riferimenti Bibliografici

Nicola Iannello, «Crescita, decrescita e libertà di scelta», in Idee di Libertà: economia, diritto, società, a cura di Nicola Iannello e Lorenzo Infantino, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2015, pp. 33-41

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Come pensare da economisti

Von Mises Italia - Ven, 24/03/2017 - 08:21

Prasseologia è la metodologia distintiva della scuola austriaca (prasseologia: teoria che si occupa dell’agire umano). Il termine è stato applicato prima al metodo austriaco di Ludwig von Mises, che non era solo il principale architetto ed elaboratore di questa metodologia, ma anche l’economista che più pienamente e con successo si è applicato alla costruzione della teoria economica.

  1. Mentre il metodo prasseologico è, a dir poco, di moda in economia contemporanea, così come nelle scienze sociali in generale e nella filosofia della scienza è stato il metodo di base della scuola austriaca prima ed anche di un notevole segmento della più vecchia scuola classica, in particolare di Jean-Baptiste Say (1767-1832 economista francese) e Nassau William Senior (1790 -1864 economista inglese).

  2. La prasseologia poggia sullo assioma fondamentale che il singolo atto degli esseri umani, ossia sul fatto primordiale che gli individui si impegnano in azioni coscienti verso obiettivi scelti. Questo concetto di azione si contrappone a quello puramente riflessivo o istintivo, di un comportamento che non è diretto verso gli obiettivi. Il metodo prasseologico ruota al di fuori per deduzione verbale alle implicazioni logiche di questo fatto primordiale. In breve, l’economia prasseologica è la struttura di implicazioni logiche del fatto che gli individui agiscono. Questa struttura è costruita sullo assioma fondamentale di azione e ha un paio di assiomi controllati, come quelli individuali che variano e che gli esseri umani, per quanto riguarda il tempo libero, lo ritengono un bene prezioso. A tal riguardo qualsiasi scettico lo dedurrebbe come una semplice base per un intero sistema di economia, mi riferisco a: Human Action di Mises. Inoltre, dal momento che prasseologia inizia con un vero assioma, A, tutte le proposizioni che possono essere dedotte da questo assioma devono anche essere vere. Infatti, se A implica B ed A è vero, allora anche B deve essere vero. Prendiamo in considerazione alcune delle implicazioni immediate dello assioma dell’azione. L’azione implica che il comportamento dello individuo è intenzionale, insomma, è indirizzato verso gli obiettivi. Inoltre, il fatto della sua azione implica che egli abbia scelto, consapevolmente, determinati mezzi per raggiungere i suoi obiettivi. Dal momento che egli vuole raggiungere questi obiettivi, devono essere preziosi per lui; di conseguenza deve avere valori che governano le sue scelte. L’individuo impiega mezzi e ciò implica che egli crede di avere le conoscenze tecnologiche che certi mezzi saranno in grado di fargli raggiungere gli scopi desiderati. Notiamo che ella prasseologia non si presume che la scelta di una persona i valori o gli obiettivi sia saggia o appropriata o che ha scelta del metodo tecnologicamente corretto di raggiungerli. Tutto ciò che afferma la prasseologia è che l’attore individuo adotta obiettivi e ritiene, sia erroneamente sia correttamente, che può arrivare a loro mediante l’impiego di alcuni mezzi. Inoltre, tutte le azioni nel mondo reale devono avvenire attraverso il tempo; ogni azione avviene in alcuni momenti ed è diretta verso il futuro (immediato o remoto) per il raggiungimento di un fine. Se tutti i desideri di una persona potessero essere realizzati istantaneamente, non ci sarebbe alcun motivo di agire.

  3. Oltre a ciò, un uomo, da come si comporta, implica che egli ritiene che l’azione farà la differenza; in altre parole, egli preferirà lo stato di cose in forza di una azione a quello da nessuna azione. L’azione implica, pertanto, che l’uomo non ha la conoscenza onnisciente del futuro; per se ha una certa conoscenza e nessuna azione non avrebbe fatto alcuna differenza. Quindi, l’azione implica che viviamo in un mondo di incertezza o non completamente certo, il futuro. Di conseguenza, possiamo modificare la nostra analisi di azione per dire che un uomo sceglie di impiegare mezzi, secondo un piano tecnologico, nel presente perché si aspetta di arrivare ai suoi obiettivi in un momento futuro. Il fatto che le persone agiscono, necessariamente, implica che i mezzi utilizzati sono scarsi in relazione agli scopi perseguiti; se tutti i mezzi non sono scarsi, ma sovrabbondanti, gli obiettivi dovrebbero essere già stati raggiunti e non ci sarebbe necessità di un intervento. Detto in altro modo, le risorse che sono sovrabbondanti funzioneranno più come mezzo, perché non ci sono più oggetti di azione. Quindi, l’aria è indispensabile per la vita ed al raggiungimento degli obiettivi; tuttavia, l’aria essendo sovrabbondante, non è un oggetto di azione e pertanto non può essere considerata un mezzo, Mises ha chiamato ciò: “condizione generale di benessere umano”. Dove l’aria non è sovrabbondante, può diventare un oggetto di azione, ad esempio, dove è desiderata l’aria fredda, l’aria calda viene trasformata dall’aria condizionata. Anche con l’avvento assurdamente improbabile di Eden (o quello che qualche anno fa era considerato in alcuni ambienti di essere un mondo imminente “post-scarsità”), in cui tutti i desideri possono essere soddisfatti istantaneamente, ci sarebbe ancora almeno un mezzo tramite: il tempo dell’individuo, ogni unità di cui, se attribuito ad uno scopo non è necessariamente assegnato a qualche altro obiettivo.

  4. Queste sono alcune delle implicazioni immediate dello assioma di azione. Siamo arrivati a loro deducendo le implicazioni logiche del fatto esistente dell’azione umana e quindi dedotte le conclusioni vere da un vero assioma. A parte il fatto che queste considerazioni non possono essere “testate” mediante dati storici o statistici, non c’è bisogno di testare la loro verità dal momento che la loro verità è già stata stabilita. Il fatto storico entra in queste conclusioni solo per determinare quale ramo della teoria è applicabile in ogni caso particolare. Così, per Crusoe e Venerdì, sulla loro isola deserta, la teoria prasseologica di denaro è solo accademica, piuttosto che un interesse attualmente applicabile. Un’analisi più completa del rapporto tra teoria e la storia nel quadro prasseologico sarà considerato più sotto. Poi, ci sono due parti di questo metodo assiomatico-deduttivo: il processo di deduzione e lo statuto epistemologico degli assiomi stessi. In primo luogo, vi è il processo di deduzione: perché lo sono i mezzi verbali piuttosto che la logica matematica?

  5. Senza esporre completamente il caso austriaco contro l’economia matematica, il punto può essere fatto immediatamente: lasciare che il lettore prenda le implicazioni del concetto di azione come si sono state sviluppate finora in questo documento e cercare di metterlo in forma matematica. Anche se questo potesse essere fatto, cosa avemmo compiuto, tranne una perdita drastica di ciò che si intende per ogni fase del processo deduttivo? La logica matematica è adeguata alla fisica – la scienza che è diventata il modello di scienza e che i positivisti moderni e gli empiristi ritengono che tutte le altre scienze sociali e fisiche dovrebbero emulare. In fisica gli assiomi e di conseguenza le deduzioni sono di per sé puramente formali ed il solo acquisire significa “operativamente” nella misura in cui si possono spiegare e predire i dati di fatto. Al contrario, in prasseologia, nell’analisi dell’azione umana, gli assiomi stessi sono noti per essere veri e significativi. Come risultato, ogni deduzione verbale, passo dopo passo, è anche vero e significativo; perché è la grande qualità di proposizioni verbali che per ognuno è significativa, mentre i simboli matematici non lo sono significativi per se stessi. Così Lord Keynes, a malapena un austriaco, e lui stesso un matematico degno di nota, uniformata la seguente critica al simbolismo matematico in economia: vi è un grande difetto di metodi di pseudo-matematica simbolica nel formalizzare un sistema di analisi economica, che assumono esplicitamente rigorosa indipendenza tra i fattori coinvolti e perdono tutta la loro efficacia e autorità, se questa ipotesi non è consentita: considerando che, nel discorso ordinario, dove non stiamo manipolando alla cieca, ma abbiamo tutto il tempo per conoscere quello che stiamo facendo ed il significato delle parole che siamo in grado di mantenere “nella parte posteriore delle nostre teste” (significa che: una voce nella nostra mente ci ha spinto in una certa direzione ndt), le riserve e le qualifiche necessarie e gli adeguamenti che dobbiamo fare in seguito, in un modo in che non possiamo mantenere complesse differenziali parziali “nella parte posteriore” (della mente) delle diverse pagine di algebra che si attribuiscono e che tutte spariscono. Una percentuale troppo grande della recente “matematica” per l’economia sono semplici intrugli, imprecisi come le ipotesi iniziali sulle quali si poggiano e che consentono all’autore di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un labirinto di simboli pretenziosi e inutili.

  6. Peraltro, anche se a parole l’economia potesse essere tradotta con successo in simboli matematici e poi ritradotta in inglese, in modo da spiegare le conclusioni, il processo non ha senso e vìola il grande principio scientifico del rasoio di Occam (attribuito al francescano inglese Guglielmo di Ockham, 1287-1347, legge della parsimonia ndt): evitando l’inutile moltiplicazione delle entità.

  7. Inoltre, come il politologo Bruno Leoni ed il matematico Eugenio Frola hanno sottolineato: Si è spesso sostenuto che la definizione di tale concetto come il massimo da un ordinario in linguaggio matematico, comporta un miglioramento della precisione logica del concetto, così come le opportunità più ampie per il suo utilizzo. Ma la mancanza di precisione matematica nel linguaggio comune, riflette con precisione il comportamento dei singoli esseri umani nel mondo reale … Si potrebbe sospettare che la traduzione in linguaggio matematico, di per sé, implica una trasformazione suggerita dagli operatori economici umani ai robot virtuali.

  8. Allo stesso modo, uno dei primi metodologi in economia, Jean-Baptiste Say, accusò gli economisti matematici: non sono stati in grado di enunciare queste domande in linguaggio analitico, senza separarsi dalle loro complicazione naturali, mediante semplificazioni e soppressioni arbitrarie, le cui conseguenze, non correttamente stimate e sempre sostanzialmente modificando la condizione del problema ed alterando tutti i suoi risultati.

  9. Più recentemente, Boris Ischboldin ha sottolineato la differenza tra il verbale, o “linguaggio” logico (“l’analisi reale del pensiero, indicato nel linguaggio espressivo della realtà come colto nella comune esperienza”) e “costruire” la logica, che è “l’applicazione di dati quantitativi (economici) a disposizione della matematica e della logica simbolica che costruisce e che può o non può avere equivalenti reali.”

  10. Karl Menger (1902-1985) anch’egli economista e matematico, figlio del matematico ed economista Carl Menger (1840-1921) ha scritto una critica tagliente dell’idea che la presentazione matematica in economia è necessariamente più precisa del linguaggio ordinario: Si consideri, ad esempio, le dichiarazioni (2) ad un prezzo più alto di un bene, corrisponde una più bassa (o comunque non superiore) richiesta. (2′) Se p indica il prezzo di e q la richiesta di un bene, allora

    q = f (p) e dq / dp = f ‘(p) ≤ 0 Coloro che considerano la formula (2′) come più precisa o “più matematica” della frase (2) sono sotto un completo equivoco … l’unica differenza tra (2) e (2′) presente è: dal (2′) è limitata a funzioni che sono differenziabili ed i cui grafici, hanno tangenti (che da un punto di vista economico non sono più accettabili di curvatura), la frase (2) è più generale, ma non è affatto meno precisa: è della stessa precisione matematica come (2′).

  11. Passando dal processo di detrazione per gli assiomi stessi, qual è il loro status epistemologico? Qui i problemi sono offuscati da una differenza di parere nel campo prasseologico, particolarmente sulla natura dello assioma fondamentale dell’azione. Ludwig von Mises, come aderente di epistemologia kantiana, ha affermato che: il concetto di azione è a priori di tutte le esperienze, perché come la legge di causa ed effetto, fa parte del “carattere essenziale e necessita della struttura logica della mente umana”.

  12. Senza scavare troppo a fondo nelle acque torbide dell’epistemologia, mi verrebbe negato, come un aristotelico e neo-tomista, tali presunte “leggi della struttura logica” che la mente umana impone necessariamente sulla struttura caotica della realtà. Invece, chiamerei tali leggi: “leggi della realtà”, che la mente apprende per indagare e la fascicolazione (contrazione spontanea ndt) dei fatti del mondo reale. La mia opinione è che gli assiomi e le controllate dei fondamentali degli assiomi sono derivati dalla esperienza della realtà e sono quindi, in senso lato, sperimentali. Sono d’accordo con la visione realista aristotelica, la sua dottrina è radicalmente empirica, molto più di quanto l’empirismo post-humeano è dominante nella filosofia moderna. Così, John Wild (1902-1972 filosofo americano) ha scritto: è impossibile ridurre l’esperienza ad un insieme di impressioni isolate e unità atomiche (che formano un sistema di unità naturali). La struttura relazionale è data anche con uguale evidenza e certezza. I dati immediati sono pieni di struttura determinata ed è facilmente estratta dalla mente e colta come sostanza o possibilità universale.

  13. Inoltre, uno dei dati pervasivi, di tutta l’esperienza umana, è l’esistenza; un altro è la coscienza o la consapevolezza. In contrasto con la visione kantiana, Harmon Chapman ha scritto che: la concezione è una sorta di consapevolezza, un modo di apprendere le cose o la loro comprensione e non una presunta manipolazione personale delle cosiddette generalità o universalità solo “mentali” o “logiche” della loro provenienza e non nella natura conoscitiva. Per arrivare a conoscere così i dati di senso e la concezione che sintetizza anche questi dati è evidente. Ma la sintesi qui coinvolta, a differenza della sintesi di Kant, non è una condizione preliminare della percezione, un processo anteriore che costituisce la percezione ed il suo oggetto, ma piuttosto una sintesi cognitiva nella preoccupazione, cioè una unione o “includere”, che è lo stesso di apprendere. In altre parole, la percezione e l’esperienza non sono i risultati o i prodotti finali di un processo sintetico a priori, ma sono essi stessi sintetici o una angoscia globale in cui l’unità strutturata è prescritta esclusivamente dalla natura del reale ed è, per gli scopi specificati nel loro Insieme e non dalla coscienza stessa cui (cognitivo) per natura è quello di comprendere il vero – come è.

  14. Se, in senso lato, gli assiomi di prasseologia sono radicalmente empirici, sono ben lungi dall’essere l’empirismo post-humeano che pervade la metodologia moderna delle scienze sociali. Oltre alle considerazioni che precedono, (1) sono così ampiamente basate in comune con l’esperienza umana che, una volta enunciate, diventano auto-evidenti e quindi non soddisfano il criterio di moda di “falsificabilità” (possibilità di confutazione, Karl Popper 1902-1994 filosofo espistemologo austriaco ndt); (2) rimangono in particolare lo assioma azione, sull’esperienza interiore universale, nonché sull’esperienza esterna, cioè la prova è riflessiva piuttosto che puramente fisica e (3) sono, quindi a monte delle complesse vicende storiche a cui l’empirismo moderno limita il concetto di “esperienza”.

  15. J. B. Say, forse il primo prasseologista, ha spiegato la derivazione degli assiomi della teoria economica come segue: : Da qui il vantaggio goduto da tutti coloro che, dall’osservazione distinta e precisa, sono in grado di stabilire l’esistenza di questi fatti generali, dimostrando la loro connessione e dedurre le loro conseguenze. Certamente, essi procedono nella natura delle cose, come le leggi del mondo materiale. Non li immaginiamo; sono risultati comunicati a noi dall’analisi e dell’osservazione assennata … L’economia politica … è composta da alcuni principi fondamentali e da un gran numero di corollari o conclusioni, tratti da questi principi … che può essere ammessa per rispecchiarsi in ogni mente.

  16. Friedrich A. Hayek pungentemente descrive il metodo prasseologico in contrasto con la metodologia delle scienze fisiche e ha anche sottolineato la natura largamente empirica degli assiomi prasseologici: La posizione dell’uomo … fa sì che i fatti di base essenziali, di cui abbiamo bisogno per la spiegazione dei fenomeni sociali, sono parte della comune esperienza, che fa parte (a sua volta) delle cose del nostro pensiero. Nelle scienze sociali sono gli elementi dei fenomeni complessi che sono là conosciuti dalla possibilità di contestazione. Nelle scienze naturali, nella migliore delle ipotesi, possono essere solo ipotizzati. L’esistenza di questi elementi è molto più certa di qualsiasi regolarità dei fenomeni complessi a cui danno origine e sono loro che costituiscono il fattore veramente empirico nelle scienze sociali. Ci sono pochi dubbi che sia questa posizione diversa dal fattore empirico nel processo di ragionamento nei due gruppi di discipline e ciò è alla radice di molta della confusione in relazione al loro carattere logico. La differenza essenziale è che nelle scienze naturali il processo di deduzione deve partire da alcune ipotesi che sono il risultato di generalizzazioni induttive, mentre nelle scienze sociali inizia direttamente da elementi empirici noti e sono utilizzati per individuare le regolarità dei fenomeni complessi, che osservazioni dirette non possono stabilire. Essi sono, per così dire, empiricamente scienze deduttive, procedendo dagli elementi noti per le regolarità dei fenomeni complessi che non possono essere stabiliti direttamente.

  17. Allo stesso modo, John Elliott Cairnes (1823 -1875 economista irlandese) ha scritto: L’economista inizia con una conoscenza delle cause ultime. Egli è già, in via preliminare della sua impresa, nella posizione che il fisico raggiunge solo dopo secoli di ricerca laboriosa … Per la scoperta di tali premesse non è necessario alcun processo elaborato di induzione … è per questa ragione, che abbiamo o possiamo avere, di avere scelto di rivolgere la nostra attenzione al tema, la conoscenza diretta di queste cause nella nostra coscienza di ciò che passa nella nostra mente e le informazioni che ci trasmettono i nostri sensi … i fatti esterni.

  18. Nassau W. Senior si espresse così: Le scienze fisiche, essendo solo secondariamente in dimestichezza con la mente, traggono le loro premesse quasi esclusivamente da osservazioni o ipotesi … D’altra parte, le scienze e le arti mentali traggono le loro premesse principalmente dalla coscienza. I soggetti cui essi sono maggiormente in confidenza, sono i meccanismi della mente umana. (Queste premesse sono) pochissime proposizioni generali e sono il risultato dell’osservazione o della coscienza e come quasi ogni uomo, appena le ascolta, ammette, essere familiare al suo pensiero, o almeno, contenuta nella sua precedente cognizione.

  19. Commentando il suo completo accordo con questo passaggio, Mises ha scritto che queste “proposizioni immediatamente evidenti” sono “di derivazione aprioristica … a meno che non si voglia chiamare aprioristica la cognizione dell’esperienza interiore”.

  20. Al che Marian Bowley (1911-2002 è stata una economista e storica del pensiero economico), il biografo di Senior, giustamente commenta: L’unica differenza fondamentale tra atteggiamento generale di Mises e le bugie di Senior nell’apparente negazione di Mises sulla possibilità di utilizzare tutti i dati empirici generali, vale a dire, i fatti di osservazione generale, come premesse iniziali. Questa differenza, comunque, gira sulle idee di base di Mises nella natura del pensiero ed anche se di interesse filosofico generale, ha scarsa rilevanza particolare per il metodo economico in quanto tale.

  21. Bisogna notare che per Mises è solo lo assioma fondamentale dell’azione che è a priori; egli ha ammesso che gli assiomi sussidiari della diversità del genere umano, della natura e del tempo libero, come dei consumatori di merci, sono largamente empiriche. La moderna filosofia post-kantiana ha avuto una grande quantità di problemi che comprende evidenti difficoltà e sono contrassegnate appunto dalla loro forte ed evidente verità, piuttosto che essere ipotesi verificabili sono, secondo la moda corrente, considerate “falsificabili”. A volte sembra che gli empiristi utilizzino la dicotomia analitico-sintetica alla moda, come quella a carico del filosofo Hao Wang (1921-1995 logico, filosofo, matematico), di disporre di teorie che difficilmente trovano smentita respingendo loro come necessariamente sia le definizioni dissimulate o le ipotesi discutibili ed incerte.

  22. Ma cosa succede se sottoponiamo ad analisi le decantate “prove” dei positivisti moderni e degli empiristi? Che cos’è? Troviamo che ci sono due tipi di tale prova, per entrambi, da confermare o confutare in proposizione: (1) se vìola le leggi della logica, per esempio, implica che A = -A o (2) se è confermato dai fatti empirici (come in un laboratorio) e possono essere controllati da molte persone. Ma qual è la natura di tali “prove”, ma la proposizione, con vari mezzi, di proposte finora nuvolose e oscure in vista chiara ed evidente, cioè, evidente agli osservatori scientifici? In breve, i processi logici o di laboratorio servono a rendere evidenti a “se stessi” dai vari osservatori che le proposizioni sono confermate o confutate o, per usare una terminologia fuori moda, vere o false. Ma in questo caso le proposizioni che sono immediatamente evidenti agli stessi osservatori hanno almeno un minimo di buono stato scientifico come gli altri e attualmente una più accettabile forma di evidenza. O, come il filosofo tomista John J. Toohey ha posto, la dimostrazione con mezzi per rendere evidente qualcosa che non è evidente. Se una verità o proposizione è evidente, è inutile cercare di dimostrarlo; tentare di provarlo sarebbe tentare di rendere evidente qualcosa che è già evidente.

  23. In particolare, l’assioma di azione dovrebbe essere, secondo la filosofia aristotelica, insindacabile ed evidente dal momento che il critico che tenta di confutare i riscontri che deve usare nel processo di presunta confutazione. Così, l’assioma dell’esistenza della coscienza umana è dimostrato come ovvio per il fatto che l’atto di negare l’esistenza della coscienza deve essa stessa essere eseguita da un essere cosciente. Il filosofo RP Phillips ha chiamato questo attributo di un assioma evidente un “principio boomerang”, dal momento che “anche se lo lanciamo via da noi, ritorna nuovamente a noi”.

  24. Ad una simile contraddizione si trova di fronte l’uomo che tenta di confutare l’assioma dell’azione umana. Perché in questo modo, è ipso facto una persona che effettua una scelta consapevole dei mezzi nel tentativo di arrivare a un fine adottato: in questo caso con il fine o l’obiettivo di cercare di confutare l’assioma di azione. Si impiega azione nel tentativo di confutare il concetto di azione. Naturalmente, una persona può dire che nega l’esistenza di principi evidenti o di altre verità consolidate del mondo reale, ma questo semplice detto non ha alcuna validità epistemologica. Come Toohey ha sottolineato: Un uomo può dire che nulla gli piace, ma non può pensare o fare quello che vuole. Egli può dire di aver visto una piazza rotonda, ma non può pensare di aver visto una piazza rotonda. Egli può dire, se gli piace, che vide un cavallo a cavallo di un cavallo, ma sapremo cosa pensare di lui se lo dice.

  25. La metodologia del positivismo moderno e dell’empirismo arriva al insuccesso anche nelle scienze fisiche, per cui è molto più adatta rispetto alle scienze dell’azione umana; anzi non particolarmente dove i due tipi di discipline interconnettono. Così, il fenomenologo Alfred Schütz (1899-1959 filosofo), allievo di Mises a Vienna, pioniere nell’applicare la fenomenologia alle scienze sociali, ha sottolineato la contraddizione nell’insistenza degli empiristi sul principio di verificabilità empirica nel campo della scienza, mentre allo stesso tempo nega l’esistenza di “altre menti” come non verificabile. Ma chi dovrebbe fare la verifica di laboratorio, se non queste stesse “altre menti” degli scienziati riuniti? Schütz ha scritto: E’ … non comprensibile che gli stessi autori che sono convinti che nessuna verifica sia possibile per l’intelligenza degli altri esseri umani abbiano una tale fiducia nel principio di verificabilità di sé che può essere realizzata solo attraverso la cooperazione con gli altri.

  26. In questo modo, gli empiristi moderni ignorano i presupposti necessari del metodo campione molto scientifico. Per Schütz, la conoscenza di tali presupposti è “empirica” nel senso più ampio, a condizione che non ci limitiamo a questo termine nelle percezioni sensoriali degli oggetti ed eventi nel mondo esterno, ma includiamo la forma empirica, per cui il pensare, con buon senso, nella vita quotidiana comprende le azioni umane ed il loro esito in termini di motivi di fondo e gli obiettivi.

  27. Dopo aver affrontato con la natura della prasseologia, le sue procedure, i suoi assiomi e le sue basi filosofiche, prendiamo ora in considerazione che cosa è la relazione tra prasseologia e le altre discipline che studiano l’azione umana. In particolare, quali sono le differenze tra la prasseologia e la tecnologia, la psicologia, la storia e l’etica – che sono tutte in qualche modo interessate con l’azione umana? Riassumendo, la prasseologia è costituita dalle implicazioni logiche del fatto formale universale, le persone agiscono, impiegano mezzi per cercare di raggiungere fini scelti. Offerte di tecnologia con il problema di come raggiungere i contenutistici per i fini di adozione dei mezzi. La psicologia si occupa della questione del perché le persone adottano i vari fini e come si muovono relativamente alla loro adozione. L’etica si occupa della questione di ciò che finisce o i valori che le persone dovrebbero adottare. E si occupa di storia con conclusioni adottate in passato e quali mezzi sono stati utilizzati per cercare di raggiungerli e quali sono state le conseguenze di queste azioni. La prasseologia o la teoria economica, in particolare, è dunque una disciplina unica all’interno delle scienze sociali; a differenza di altre, non si occupa del contenuto dei valori degli uomini, gli obiettivi e le azioni – non con quello che hanno fatto o come hanno agito o come dovrebbero agire – bensì solamente con il fatto che hanno obiettivi e agiscono per raggiungerli. Le leggi di utilità, domanda, offerta, ed il prezzo si applicano a prescindere dal tipo di beni e servizi desiderati o prodotti. Come Joseph Dorfman ha scritto su di Herbert J. Davenport (1861-1931 economista statunitense) Lineamenti di teoria economica (1896): Il carattere etico dei desideri non è stata una parte fondamentale della sua inchiesta. Gli uomini lavoravano e sono stati sottoposti a privazioni per “whisky, sigari e piedi di porco per i ladri”, ha detto “così come per il cibo o la collezione di statue o i macchinari per la raccolta”. Fino a quando gli uomini saranno disposti a comprare e vendere “la stoltezza ed il male” le ex “materie prime” (commodities) sarebbero fattori economici con la condizione di mercato, per l’utilità, come un termine economico che significava semplicemente l’adattabilità ai desideri umani. Fino a quando gli uomini li desideravano, hanno soddisfatto un bisogno e sono stati motivo di produzione. Quindi le scienze economiche non avevano bisogno di indagare sull’origine delle scelte.

  28. La prasseologia, così come gli aspetti sonori delle altre scienze sociali, poggia sull’individualismo metodologico, sul fatto che solo gli individui percepiscono, il valore, il pensare e l’agire. L’individualismo è sempre stato accusato dai suoi critici – e sempre in modo non corretto – con il presupposto che ogni individuo è un ermeticamente chiuso nello “atomo”, tagliato via e non influenzato da altre persone. Questo assurdo fraintendimento dell’individualismo metodologico è alla radice della manifestazione trionfante di John Kenneth Galbraith (1908-2006 economista) in Società del benessere (Boston: Houghton Mifflin, 1958), i valori e le scelte degli individui sono influenzati da altre persone e quindi si suppone che la teoria economica non è valida. Galbraith ha anche concluso, nella sua dimostrazione, che queste scelte, poiché influenzate, sono artificiali e illegittime. Il fatto che la teoria economica prasseologica si basi sul fatto universale dei valori, delle scelte individuali e dei mezzi, per ripetere la sintesi di Dorfman del pensiero di Davenport, la teoria economica non “ha bisogno di indagare l’origine delle scelte”. La teoria economica non si basa sul presupposto assurdo che ogni individuo arriva ai suoi valori e scelte nell’assoluto isolamento, isolato dall’influenza umana. Ovviamente, gli individui stanno continuamente imparando e si influenzano a vicenda. Come ha scritto giustamente Friedrich August von Hayek (1899-1992 economista e filosofo austriaco) nella sua famosa critica di Galbraith: “The Non Sequitur dell’effetto della dipendenza”: la tesi del professor Galbraith potrebbe essere facilmente utilizzata, senza alcun cambiamento dei termini essenziali, per dimostrare l’inutilità della letteratura o di qualsiasi altra forma d’arte. Sicuramente, il desiderio di un individuo per la letteratura non è originale con se stesso, nel senso che avrebbe esperienza se la letteratura non fosse stata prodotta. Questo allora significa che la produzione della letteratura non può essere difesa per soddisfare una richiesta solo perché è la produzione che provoca la domanda?

  29. Che la scuola di economia austriaca poggi saldamente dall’inizio sull’analisi del fatto di singoli valori soggettivi e le scelte, purtroppo hanno portato i primi Austriaci ad adottare il termine scuola psicologica. Il risultato è stato una serie di critiche e di indirizzi sbagliati e quindi le ultime scoperte della psicologia non erano state incorporate nella teoria economica. E’ stata anche portata a idee sbagliate come ad esempio: la legge dell’utilità marginale decrescente poggiata su qualche legge psicologica nella pienezza dei bisogni. In realtà, come Mises ha fermamente sottolineato: la legge è prasseologica piuttosto che psicologica e non ha nulla a che fare con il contenuto dei bisogni, per esempio: il decimo cucchiaio di gelato può essere gustato meno piacevolmente rispetto al nono cucchiaio. Invece, è una verità prasseologica, derivata dalla natura dell’azione, che la prima unità di bene sarà destinata al suo uso più prezioso, l’unità successiva al successivo più prezioso, e così via.

  30. Su un punto, e su un solo punto, però la prasseologia e le relative scienze dell’azione umana prendono una posizione nella psicologia filosofica: sulla proposta che la mente, la coscienza e la soggettività umana esistono e quindi esiste l’azione. In questo, si oppone alla base filosofica del comportamentismo e alle relative dottrine ed è così è unito a tutti i rami della filosofia classica con la fenomenologia. Su tutte le altre questioni, tuttavia, la prasseologia e la psicologia sono discipline distinte e separate.

  31. Una questione particolarmente importante è il rapporto tra la teoria economica e la storia. Anche in questo caso, come in molti altri settori dell’economia austriaca, Ludwig von Mises ha dato un contributo eccezionale, soprattutto nella sua Teoria e storia.

  32. È particolarmente curioso che Mises e altri prasseologisti, come un presunto “priorista” (nell’antica Firenze era un manoscritto in cui si annotavano eventi, elenchi di persone e liste varie ndt) e sono stati comunemente accusati di essere “nemici” della storia. Infatti, Mises ha ritenuto non solo che la teoria economica non ha bisogno di essere “testata” da fatti storici, ma che non può essere testato in alcun modo. Per il fatto di essere utilizzabile per testare teorie, deve esserci un semplice fatto, omogeneo con altri fatti in classi accessibili e ripetibili. In breve, la teoria che un atomo di rame, un atomo di zolfo e quattro atomi di ossigeno si combinino per formare un’entità riconoscibile, chiamato solfato di rame, con proprietà note, è facilmente testabile in laboratorio. Ciascuno di questi atomi è omogeneo e quindi il test è ripetibile all’infinito. Ma ogni evento storico, come Mises ha sottolineato, non è semplice e ripetibile; ogni evento è una risultante complessa di uno spostamento da varietà di cause multiple, nessuna delle quali rimane sempre in rapporti costanti con le altre. Ogni evento storico è quindi eterogeneo e la conseguenza degli eventi storici non può essere utilizzata per testare o costruire leggi della storia, quantitativamente o in altro modo. Siamo in grado di porre ogni atomo di rame in una classe omogenea di atomi di rame; non siamo in grado di farlo con gli eventi della storia umana. Naturalmente, questo non significa che non vi sono somiglianze tra eventi storici. Ci sono molte somiglianze, ma non omogeneità. Quindi, ci sono state molte somiglianze tra le elezioni presidenziali del 1968 e quella del 1972, ma erano gli eventi a malapena omogenei dal momento che sono stati caratterizzati da importanti differenze ineludibili. Né le prossime elezioni saranno un evento ripetibile da inserire in una classe omogenea di “elezioni”. Quindi, non scientifiche e di certo non quantitative, le leggi possono derivare da questi eventi. L’opposizione radicale fondamentale di Mises all’econometria ora diventa chiara. Econometria non solo tenta di scimmiottare le scienze naturali utilizzando complessi fatti storici eterogenei come se fossero ripetibili e omogenei fatti in laboratorio; si stringe anche la complessità qualitativa di ogni evento in un numero quantitativo e quindi aggrava l’errore agendo come se queste relazioni quantitative rimanessero costanti nella storia umana. In netto contrasto con le scienze fisiche, che poggiano sulla scoperta empirica di costanti quantitative, l’econometria, come Mises più volte ha sottolineato, non è riuscita a scoprire una sola costante nella storia umana. E date le mutevoli condizioni della volontà umana, la conoscenza, i valori e le differenze tra gli uomini, è inconcepibile e l’econometria non potrà mai farlo. Lungi dall’essere in contrasto con la storia, la prasseologia e non i presunti ammiratori della storia, (Mises) ha un profondo rispetto per i fatti irriducibili e unici della storia umana. Inoltre, è il prasseologista a riconoscere che i singoli esseri umani non possono essere legittimamente trattati con lo scienziato sociale, come se non fossero uomini che hanno la mente e agiscono sui loro valori e le loro aspettative, ma le pietre o molecole il cui percorso può essere scientificamente monitorato con presunte costanti o leggi quantitative. Inoltre, a coronamento dell’ironia, è il prasseologista è veramente empirico, perché riconosce la natura unica ed eterogenea dei fatti storici; è l’auto-proclamato “empirista” che vìola gravemente i fatti della storia tentando di ridurli a leggi quantitative. Mises ha scritto così sugli econometrici e altre forme di “economisti quantitativi”: Ci sono, nel campo dell’economia, relazioni non costanti e di conseguenza nessuna misura è possibile. Se uno statistico determina che un aumento del 10 per cento nella fornitura di patate ad Atlantis in un momento preciso e poi seguito da un calo dell’8 per cento nel prezzo, non stabilisce nulla di ciò che è accaduto o potrebbe accadere con una variazione dell’offerta di patate in un altro paese o in un altro tempo. Non ha “misurato” la “elasticità della domanda” di patate, ha solo stabilito un fatto storico individuale ed unico. Nessun uomo intelligente può dubitare che il comportamento degli uomini per quanto riguarda le patate e ogni altra merce è variabile. Diversi individui apprezzano le stesse cose in modo diverso e le valutazioni cambiano con le stesse persone in condizioni mutevoli. … L’impossibilità di misurazione non è dovuta alla mancanza di metodi e tecniche per la costituzione della misura. È dovuta all’assenza di rapporti costanti. … L’economia non è come … i positivisti ripetono più volte, in ritardo perché non è “quantitativa”. Non è quantitativa e non misura perché non ci sono costanti. I dati statistici si riferiscono a eventi economici e sono dati storici. Ci dicono quello che è successo in un caso storico e non ripetibile. Gli eventi fisici possono essere interpretati sulla base della nostra conoscenza e sulle relazioni costanti stabilite da esperimenti. Gli eventi storici non sono aperti a tale interpretazione. … L’esperienza della storia economica è sempre esperienza di fenomeni complessi. Non si può mai trasmettere conoscenza del tipo sperimentale a prescinde da un esperimento di laboratorio. La statistica è un metodo per la presentazione dei fatti storici. … Le statistiche dei prezzi sono storia economica. L’intuizione che, ceteris paribus (a parità di tutte le altre circostanze o ferme restando le altre condizioni ndt), un aumento della domanda deve tradursi in un aumento dei prezzi non deriva dall’esperienza. Nessuno mai ha fatto o sarà in grado di osservare un cambiamento in uno dei ceteris paribus dei dati di mercato. Non esiste una cosa come l’economia quantitativa. Tutte le quantità economiche che conosciamo sono i dati della storia economica … Nessuno è così audace da sostenere che l’aumento di un punto percentuale nella fornitura di qualsiasi merce deve sempre – in ogni paese e in ogni momento – essere il risultato della caduta di B per cento nel prezzo; come nessun economista quantitativo ha mai osato definire con precisione, sul terreno dell’esperienza statistica, delle condizioni particolari che producono una deviazione definita dal rapporto A:B e quindi l’inutilità dei suoi sforzi è manifesta.

  33. Sviluppando la sua critica di costanti Mises ha aggiunto: Le quantità che osserviamo nel campo dell’azione umana … sono manifestamente variabili. I cambiamenti che si verificano in essi influenzano chiaramente il risultato delle nostre azioni. Ogni quantità che possiamo osservare è un evento storico, un fatto che non può essere completamente descritto senza specificare l’ora ed il luogo geografico. L’econometrico non è in grado di smentire questo fatto, che toglie il terreno sotto il suo ragionamento. Nè può aiutare ad ammettere che non ci sono “costanti di comportamento”. Ciò nonostante, si vuole introdurre alcuni numeri, arbitrariamente scelti sulla base del fatto storico, come “costanti comportamentali sconosciute”. L’unica scusa che si può esprimere è che le sue ipotesi sono “da enunciare solo se questi numeri sconosciuti rimangono ragionevolmente costanti attraverso un lungo periodo di anni”.

  34. Ora se tale periodo di presunta costanza di un numero definito è ancora duratura o se un cambiamento del numero si è già verificato e/o può essere stabilito solo in seguito. A posteriori può essere possibile, anche se solo in rari casi e dichiarare che più di un (periodo, probabilmente, piuttosto breve) periodo di un rapporto stabile, che l’econometrico sceglie di chiamare un “ragionevole” rapporto costante prevalente tra i valori numerici di due fattori. Ma questo è qualcosa di fondamentalmente diverso dalle costanti della fisica. E’ l’affermazione di un fatto storico, non di una costante, che può essere invocata nel tentativo di predire gli eventi futuri.

  35. Le equazioni sono molto apprezzate, nella misura in cui si applicano al futuro, più semplicemente le equazioni in cui tutte le quantità sono sconosciute.

  36. Nel trattamento matematico, della fisica della distinzione tra costanti e variabili, ha un senso; è essenziale in ogni caso la computazione tecnologica. In economia non ci sono rapporti costanti tra le varie grandezze. Di conseguenza, tutti i dati accertabili sono variabili o, che è lo stesso, anche i dati storici. Gli economisti matematici ribadiscono che la situazione dell’economia matematica consiste nel fatto che ci sono un gran numero di variabili. La verità è che ci sono solo le variabili e non le costanti. E ‘inutile parlare di variabili dove non ci sono invarianti.

  37. Allora, qual è il corretto rapporto tra teoria economica e storia economica o, più precisamente, la storia in generale? La funzione dello storico è quello di cercare di spiegare i fatti storici unici che sono di sua competenza; per farlo in modo adeguato deve impiegare tutte le teorie rilevanti provenienti da tutte le varie discipline in relazione al suo problema. I fatti storici sono le risultanti complesse di una miriade di cause derivanti da differenti aspetti della condizione umana. Così, lo storico deve essere pronto ad usare non solo la teoria prasseologica economica, ma anche le intuizioni della fisica, la psicologia, la tecnologia e la strategia militare insieme ad una comprensione interpretativa dei motivi e degli obiettivi degli individui. Egli deve utilizzare questi strumenti per comprendere sia gli obiettivi delle varie azioni della storia sia le conseguenze di tali azioni. Perché è coinvolta la comprensione di diversi individui e delle loro interazioni, nonché il contesto storico, lo storico utilizzando gli strumenti delle risorse naturali e delle scienze sociali è, in ultima analisi, un “artista” e quindi non c’è nessuna garanzia o anche probabilità che uno qualsiasi dei due storici verranno giudicare una situazione esattamente allo stesso modo. Mentre possono accordarsi su una serie di fattori per spiegare la genesi e le conseguenze di un evento, è improbabile che possano essere d’accordo sul peso preciso da dare ogni fattore causale. Nell’impiegare le varie teorie scientifiche, devono prendere decisioni di rilevanza sulle teorie applicate in ogni singolo caso; per citare un esempio utilizzato in precedenza in questo documento, uno storico di Robinson Crusoe difficilmente impiegherebbe la teoria dei soldi in una spiegazione storica delle sue azioni su un’isola deserta. Per lo storico economico, la legge economica non è né confermata né testata da fatti storici; invece, la legge, se del caso, si applica per aiutare a spiegare i fatti. I fatti dimostrano in tal modo il funzionamento della legge. Il rapporto tra la teoria economica prasseologica e la comprensione della storia economica è stata sottilmente riassunta da Alfred Schütz (1899-1959 filosofo e sociologo austriaco): Nessun atto economico è immaginabile senza qualche riferimento ad un attore economico, ma quest’ultimo è assolutamente anonimo; non sei tu, né io, né un imprenditore e nemmeno un “uomo economico”, in quanto tale, ma un puro universale “uno”. Questo è il motivo per cui le proposizioni di economia teorica hanno proprio questa “validità universale”, che dà loro l’idealità della “e così via” e “posso farlo di nuovo”. Tuttavia, si può studiare l’attore economico in quanto tale e cercare di scoprire che cosa sta succedendo nella sua mente; naturalmente, non si è quindi impegnati in economia teorica, ma nella storia economica o sociologia economica. … Tuttavia, le dichiarazioni di queste scienze non possono rivendicare alcuna validità universale, perché trattano sia con i sentimenti economici di particolari individui storici sia con tipi di attività economica per la quale gli atti economici in questione ne sono la dimostrazione. … A nostro avviso, l’economia pura è un perfetto esempio di un obiettivo dal significato complesso, più o meno soggettivo, significato-complessi, in altre parole, una configurazione di significato oggettiva che preveda le tipiche e invarianti esperienze soggettive di chi agisce all’interno di un quadro economico … Escluso da tale schema non dovrebbe avere alcuna considerazione degli usi a cui i “beni” sono da utilizzare dopo che sono stati acquisitati. Ma una volta che lo facciamo, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al significato personale di un vero e proprio individuo, lasciando dietro l’anonimo “chiunque”, poi, naturalmente, ha senso parlare di comportamento che è atipico. … A dire il vero, tale comportamento è irrilevante dal punto di vista dell’economia ed è in questo senso che i principi economici sono, nelle parole di Mises: “Non una dichiarazione di quanto accade di solito, ma di ciò che necessariamente deve accadere”.

LEGENDA

1.See in particular Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics (New Haven: Yale University Press, 1949); also see Mises, Epistemological Problems of Economics, George Reisman, trans. (Princeton, NJ: Van Nostrand, 1960).

2.See Murray N. Rothbard, “Praxeology as the Method of the Social Sciences,” in Phenomenology and the Social Sciences, Maurice Natanson, ed., 2 vols. (Evanston: Northwestern University Press, 1973), 2 pp. 323–35 [reprinted in Logic of Action One, pp. 29–58]; also see Marian Bowley, Nassau Senior and Classical Economics (New York: Augustus M. Kelley, 1949), pp. 27–65; and Terence W. Hutchinson, “Some Themes from Investigations into Method,” in Carl Menger and the Austrian School of Economics, J.R. Hicks and Wilhelm Weber, eds. (Oxford: Clarendon Press, 1973), pp. 15–31.

3.In answer to the criticism that not all action is directed to some future point of time, see Walter Block, “A Comment on ‘The Extraordinary Claim of Praxeology’ by Professor Gutierrez,” Theory and Decision 3 (1973): 381–82.

4.See Mises, Human Action, pp. 101–2; and esp., Block, “Comment,” p. 383.

5.For a typical criticism of praxeology for not using mathematical logic, see George. J. Schuller, “Rejoinder,” American Economic Review 41 (March 1951): 188.

6.John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (New York Harcourt, Brace, 1936), pp. 297–98.

7.See Murray N. Rothbard, “Toward a Reconstruction of Utility and Welfare Economics,” in On Freedom and Free Enterprise, Mary Sennhoz, ed. (Princeton, NJ: D. Van Nostrand, 1956), p. 227 [and reprinted in Logic of Action One]; Rothbard, Man, Economy, and State, 2 vols. (Princeton: D Van Nostrand, 1962), 1:65–66. On mathematical logic as being subordinate to verbal logic, see Rene Poirier, “Logique,” in Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Andre Lalande, ed., 6th ed. Rev. (Paris: Presses Universitaires de France, 1951), pp. 574–75.

8.Bruno Leoni and Eugenio Frola, “On Mathematical Thinking in Economics” (unpublished manuscript privately distributed), pp. 23–24; the Italian version of this articles is “Possibilita di applicazione della matematiche alle discipline economiche,” Il Politico 20 (1995).

9.Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy (New York: Augustus M. Kelley, 1964), p. xxvi n.

10.Boris Ischboldin, “a Critique of Econometrics,” Review of Social Economy 18, no. 2 (September 1960): 11 N; Ischboldin’s discussion is based on the construction of I.M. Bochenski, “Scholastic and Aristotelian Logic,” Proceedings of the American Catholic Philosophical Association 30 (1956): 112–17.

11.Karl Menger, “Austrian Marginalism and Mathematical Economics,” in Carl Menger, p. 41.

12.Mises, Human Action, p. 34.

13.John Wild, “Phenomenology and Metaphysics,” in The Return to Reason: Essays in Realistic Philosophy, John Wild, ed. (Chicago: Henrey Regnery, 1953), pp. 48, 37–57.

14.Harmon M. Chapman, “Realism and Phenomenology,” in Return to Reason, p. 29. On the interrelated functions of sense and reason and their respective roles in human cognition of reality, see Francis H. Parker, “Realistic Epistemology,” ibid., pp. 167–69.

15.See Murray N. Rothbard, “In Defense of ‘Extreme Apriorism,’” Southern Economic Journal 23 (January 1957): 315–18 [reprinted as Volume 1, Chapter 6]. It should be clear from the current paper that the term extreme apriorism is a misnomer for praxeology.

16.Say, A Treatise on Political Economy, pp. xxv–xxvi, xlv.

17.Friedrich A. Hayek, “The Nature and History of the Problem,” in Collectivist Economic Planning, F.A. Hayek, ed. (London: George Routledge and Sons, 1935), p 11.

18.John Elliott Cairnes, The Character and Logical Method of Political Economy, 2nd ed. (London: Macmillan, 1875), pp. 87–88; italics in the original.

19.Bowley, Nassau Senior, pp. 43, 56.

20.Mises, Epistemological Problems, p. 19.

21.Bowley, Nassau Senior, pp. 64–65.

22.Hao Wang, “Notes on the Analytic-Synthetic Distinction,” Theoria 21 (1995); 158; see also John Wild and J.L. Cobitz, “On the Distinction between the Analytic and Synthetic,” Philosophy and Phenomenological Research 8 (June 1948): 651–67.

23.John J. Toohey, Notes on Epistemology, rev. ed. (Washington D.C.: Georgetown University, 1937), p. 36.; italics in the original.

24.R.P. Phillips, Modern Thomistic Philosophy (Westminster, Maryland: Newman Bookshop, 1934–35), 2, pp. 36–37; see also Murray N. Rothbard, “The Mantle of Science,” in Scientism and Values, Helmut Schoeck and James W. Wiggins, ed., (Princeton, NJ: D Van Nostrand, 1960), pp. 162–65.

25.Toohey, Notes on Epistemology, p. 10. Italics in the original.

26.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 2, Studies in Social Theory, A. Brodersen, ed. (The Hague: Nijhoff, 1964), p. 4; see also Mises, Human Action, p. 24.

27.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 1, The Problem of Social Reality, A. Brodersen, ed. (the Hague, Nijhoff), 1964, p. 65. On the philosophical presuppositions of science, see Andrew G. Van Melsen, The Philosophy of Nature (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1953), pp. 6–29. On common sense as the groundwork of philosophy, see Toohey, Notes on Epistemology, pp. 74, 106–13. On the application of a similar point of view to the methodology of economics, see Frank H Knight, “‘What is Truth’ in Economics,” in On the History and Method of Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1956), pp. 151–78.

28.Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization 5 vols. (New York: Viking Press, 1949), 3, p. 376.

29.Friedrich A. Hayek, “The Non Sequitur of the ‘Dependence Effect,’” in Friedrich A. Hayek, Studies in Philosophy, Politics, and Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1967), pp. 314–15.

30.Mises, Human Action, p. 124.

31.See Rothbard, “Toward a Reconstruction,” pp. 230–31.

32.Ludwig von Mises, Theory and History (New Haven: Yale University Press, 1957).

33.Mises, Human Action, pp. 55–56, 348.

34.Cowles Commission for Research in Economics, Report for the Period, January 1, 1948–June 30, 1949 (Chicago: University of Chicago Press, 1949), p. 7, quoted in Mises, Theory and History, pp. 10–11.

35.Ibid., pp. 10–11.

36.Ludwig von Mises, “Comments about the Mathematical Treatment of Economic Problems” (Cited as “unpublished manuscript”; published as ” The Equations of Mathematical Economics” in the Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. 3, no. 1 (Spring 2000), 27–32.

37.Mises, Theory and History, pp. 11–12; see also Leoni and Frola, “On Mathematical Thinking,” pp. 1–8; and Leland B. Yeager, “Measurement as Scientific Method in Economics,” American Journal of Economics and Sociology 16 (July 1957): 337–46.

38.Alfred Schütz, The Phenomenology of the Social World (Evanston, Ill.: Northwestern University Press, 1967), pp. 137, 245; also see Ludwig M. Lachmann, The Legacy of Max Weber (Berkeley, California: Clendessary Press, 1971), pp. 17–48.

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Euro lettera

Von Mises Italia - Mer, 22/03/2017 - 08:20

Cara Euro,

sono passati 16 anni da quando sei venuta a convivere nel nostro condominio. E’ tempo di fare un po’ di bilanci come in tutte le famiglie che si rispettino. Nel 2001 la nostra convivenza è partita con una grande euforia ed una grande aspettativa per il futuro. Mano a mano che il tempo passava abbiamo avuto interventi, forse anche troppo insistenti, per riformare le abitudini condominiali. Molto spesso abbiamo delegato i nostri rappresentanti, riponendo la massima fiducia nel loro operato, per apportare quelle ”modifiche” ritenute essenziali per il buon vivere “in comune”. Supinamente e/o per molte altre motivazioni, abbiamo accettato di buon grado di adattarci a quello che ci veniva detto essere un ottimo rimedio per oggi e per il futuro. Abbiamo cambiato alcune parti della Costituzione, ci siamo adattati a nuovi stili di vita, ci siamo sacrificati per vedere realizzati principi di buona coabitazione e per un futuro migliore. Ci siamo fidati degli Amministratori del condominio i quali, forse troppo solertemente, ci hanno sempre ripetuto … domani andrà meglio. Prima di concludere vorrei allegarti alcuni dati e poi se vorrai li potrai condividere.

I dati sono in Lire italiane (Lire/Euro 1936,27):

16 ANNI FA 31.12.2000 31.12.2016 (var. %)

Debito Pubblico 2.517.810.745.300 4.340.730.086.000 +72,40

P.I.L. 2.400.507.771 3.188.020,729 +13,25

benzina 2.071,81 2.755,31 +32.99

COMIT 100 1972 1.916,36 1.124,16 -58.66

disoccupazione* 9,10 11,90 +30,77

*il 40% è quella giovanile. (S. E. & O.)

L’anno scorso ha lasciato il nostro condominio un importante rappresentante, anche se questi aveva ancora la sua moneta. Non so se sia un bene, ma tanto di cappello per la scelta. Ora, molti altri condomini stanno facendo un pensiero in tal senso ed una delle tante motivazioni addotte è: troppo caro, too expensive, zu teuer, trop cher, muito caro, πάρα πολύ ακριβό … Probabilmente è così. Basti solo pensare alla nostra tazzina di caffè che è passata velocemente nel 2001 da Lire 900/1000 a 1936,27 (1€) con una variazione di circa il 115%. Come hai potuto notare sopra, anche a noi è costato moltissimo, però quello che più dispiace è che chi amministra sia un po’ sordo e forse anche un po’ miope a tutti i segnali mandati (leggi elezioni e referendum). Non è bello interrompere un matrimonio, ma troppi Amministratori fungono da “padroni” ed interferiscono nel quotidiano. Adesso che abbiamo sacrificato una parte del nostro futuro e purtroppo anche quello dei nostri figli, mi pare il momento che anche tu tragga delle conclusioni e, a mio avviso, potremmo presentare il seguente ordine del giorno:

  • usare il buon senso e continuare;

  • riprendere una nuova via per ri-costruire il futuro;

  • rivedere il ruolo degli Amministratori;

  • lasciare che i “condomini” facciano le scelte che ritengono più opportune;

  • cessare la nostra esperienza.

Il mio desiderio sarebbe quello di poter rimanere nel condominio con te, ma molto dipende anche da una tua risposta che attendo a breve giro di posta. Grazie.

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Essere pronti ad un’inversione impetuosa della FED

Von Mises Italia - Lun, 20/03/2017 - 08:58

Le prospettive per i tassi hanno preso, quello che io chiamo, una inversione a U. Ci sono pochi dubbi che la Fed sia sulla buona strada per aumentare i tassi. Questa prospettiva non è in risposta a qualsiasi particolare figura dei dati economici e del quadro economico generale. In realtà ci sono un sacco di argomenti perché la Fed non dovrebbe aumentare i tassi sulla base dei fondamentali economici.

Tuttavia, essi hanno un ordine del giorno separato che la Fed ha raccomandato, quello che io penso sarà visto col senno di poi, come un errore storico della mancata possibilità di aumentare i tassi negli anni 2010, 2011 e 2012. Questo è stato quando l’economia era in crescita, non fortemente, ma erano le prime fasi di espansione.

L’economia stava crescendo abbastanza bene per giustificare aumenti dei tassi. Nel 2011-2012 se si fosse voluto normalizzare i tassi, tra il 2 ed il 2,5%, oggi saremmo in una buona posizione per tagliare i tassi, se necessario, e per combattere una recessione. Purtroppo non hanno fatto questo. Hanno perso un intero ciclo, mentre la sperimentazione di Ben Shalom Bernanke (economista, già Presidente della Federal Reserve) dell’allentamento quantitativo, che col senno di poi si rivelerà essere un vero e proprio errore da parte della Fed.

Ora, sono in grado di muoversi con i tassi dopo l’ottavo anno di ripresa. Anche se questa è stata una debole ripresa e le persone sono ancora alle prese con il lavoro a tempo parziale (part time) o non riesce a rilanciare la carriera per altre difficoltà, questo recupero, tecnicamente, è iniziato nel giugno del 2009. Questo produce un tempo di recessione molto lungo per gli standard storici. Più del doppio dall’espansione media dalla Seconda Guerra Mondiale e paragonabile alle lunghissime espansioni che abbiamo avuto dal 1980.

Siamo più vicini alla fine di questo ciclo che all’inizio. La Fed è preoccupata del fatto che, se una nuova recessione inizia domani (e non sto dicendo che ci sarà, ma potrebbe) non avrebbe alcuna possibilità di tagliare i tassi.

Sebbene attualmente abbia i tassi a 50 punti base, la Fed potrebbe fare solo due tagli fino a quando non è tornata a zero. Questa decisione costringerebbe ad iniziare a parlare di tassi di interesse negativi. La leadership della Fed vuole ottenere tassi fino al 2 o 3% prima che inizi qualsiasi recessione potenziale ed è il solo modo che possano tagliare.

Il problema è: come si fa ad aumentare i tassi a questo punto? Come si fa ad aumentare i tassi e portarli al 2 o 3% senza provocare una recessione che si sta cercando di evitare? Questo è ciò che io chiamo enigma della Fed e questo è esattamente dove la Fed è ora. E’ questo un buon momento per alzare i tassi? Probabilmente no, ma ci sono lavori in corso per cercare di farlo comunque.

La Fed ha detto che sono sulla buona strada per aumentarli tre volte quest’anno. Il mercato non ci crede. Il mercato conta su un massimo di due rialzi dei tassi, ma non tre. La mia aspettativa in questo momento è che la Fed alzerà i tassi a marzo.

In primo luogo, hanno una propensione per aumentare i tassi. La Fed non è neutrale. La soglia è piuttosto bassa. Essi ritengono che si tratta di “missione compiuta” sul fronte del lavoro; la disoccupazione è al 4,7% e stiamo continuando a creare oltre 100.000 posti di lavoro al mese. Questi non sono i 2 o 300.000 posti di lavoro che stavamo creando in un anno, un anno e mezzo fa. lo sviluppo del lavoro è ancora positivo, con la bassa disoccupazione e questo tasso di espansione è “abbastanza buono”.

In secondo luogo, la Fed è preoccupata per l’inflazione. La Fed ritiene che la politica monetaria agisca con un certo ritardo. Questo significa che si pensa sia in arrivo l’inflazione e le aspettative sono in aumento, quindi è necessario alzare i tassi ora, perché ci vuole circa un anno agli aumenti per avere un impatto. Non vogliono arrivare dietro la curva (in questo caso ci si riferisce alla curva di Phillips che in macroeconomia: è una relazione inversa fra il tasso di inflazione ed il tasso di disoccupazione) (Alban William Phillips economista neozelandese 1914-1975).

Mentre la disoccupazione è bassa, insieme ad altri fattori, la Fed si applica quello che si chiama curva di Phillips per l’analisi . Anche se io personalmente non credo molto nella curva di Phillips, vale la pena di analizzare per capire che cosa la Fed fa al fine di prevedere la politica. Se la Fed ritiene che le politiche di Donald Trump saranno stimolanti, mentre il tasso di disoccupazione del 4,7%, una curva di Phillips standard per l’analisi avrebbe detto loro che l’inflazione sta arrivando alla fine di quest’anno. Questo indica che dovrebbero alzare i tassi ora per stare al passo.

La Fed ha un motivo macroeconomico convenzionale per alzare i tassi e si basa sullo stimolo di Trump. Hanno anche una tendenza verso l’aumento i tassi perché dovevano sospenderli cinque anni fa e non l’hanno fatto. Per queste ragioni, li ho messi sulla buona strada per aumentare i tassi ora, nel mese di marzo.

Ora il mercato non si aspetta questo o almeno non gli dà molto peso. La probabilità basata sui Fed Funds a termine (fondi di riserva imposti alle banche commerciali) è inferiore al 50%, in modo che la Fed cercherà di fare nel prossimo mese o nell’immediato, sia quello di orientarne le aspettative. Questo loro modo di fare è una fuga di notizie, di discorsi e di commenti. Si aspettano di essere fuori dai giochi nel prossimo mese, più o meno, cercando di avere le aspettative dal momento in cui il rialzo dei tassi non sia uno shock.

Ecco cosa c’entra la inversione a U. La Fed alza i tassi in marzo, cioè quello che mi aspetto in questo momento, anche se l’economia è fondamentalmente debole.

Qui la Fed sta cercando di appoggiarsi ad uno stimolo ed è sbilanciata in favore di aumenti dei tassi a scenari più avanzati per l’economia. Lo stimolo potrebbe non essere così interessante. Si potrebbe avere una combinazione di innalzamento dei tassi della Fed se il piano di Trump non produce più di tanto e così la Fed alzandoli, per debolezza, porterebbe l’economia in recessione.

Se ciò accade, il mercato azionario “cade fuori dal letto” (avrà un brutto risveglio). Questo non accadrà domani, tra l’altro; questa è una cosa che mi aspettavo di vedere più avanti, nel corso del tempo.

La Fed dovrà invertire la rotta, come ha fatto otto volte dal 2013. Si tratta di un criterio di ricorrenza. Si parlerà aspramente di alzare i tassi ed il mercato cadrà, la Fed farà marcia indietro, per diventare colomba (tenere i tassi bassi) e quindi adottare la direzione in avanti. Si ottiene così un modello di inversione a U per il mercato azionario, per i mercati dei tassi d’interesse, ecc.

La mia aspettativa di breve termine è che la Fed alzi i tassi a marzo. La mia aspettativa a medio termine è che il mercato stia per essere deluso dallo stimolo e che l’inasprimento della Fed, al momento, sia sbagliato, il mercato sta andando verso la intitolazione: “cadere dal letto”, mentre l’economia sta rallentando e la Fed dovrà tenere bassi i tassi.

A questo punto stiamo andando a vedere il rally delle obbligazioni, il rally dell’oro e un calo del mercato azionario. Al momento abbiamo l’opposto di questo. L’oro ha un sacco di vento contrario, le obbligazioni hanno un sacco di venti contrari ed il mercato azionario, ovviamente, è in piena espansione dopo le elezioni, ma tutto questo potrebbe ribaltarsi.

Abbiamo già visto questo film.

Cordiali saluti,

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La ricetta Austriaca

Von Mises Italia - Ven, 17/03/2017 - 08:07

Al principio di ogni anno, per un’ormai vecchia consuetudine, noi opinionisti siamo soliti offrire uno o due tipi di previsione.

La prima assume la forma di un genuino tentativo, benché in ultimo destinato al fallimento, di sollevare uno sbrindellato angolo dello spesso velo dell’ignoto che separa l’oggi dal domani.

Il secondo invece combina la futilità con il malizioso tentativo di associare il proprio nome alla previsione di un evento. Ossia quando ci si imbatte casualmente in qualcosa che, successivamente, verrà strombazzato come l’ispirata previsione di un evento ritenuto altamente improbabile.

In questo caso il trucco del falso profeta consiste nel mettersi contestualmente al riparo dal possibile imbarazzo che si accompagna al fallimento delle previsioni, presentandole come Black Swans (n.d.t. Cigni Neri ossia eventi inusuali ed imprevedibili per definizione). Si noti che questa pratica ignora eroicamente il fatto che essendo i Black Swan imprevedibili per definizione, quindi se la previsione dovesse in qualche modo cogliere il bersaglio, le penne del cigno verrebbero immediatamente, ancorché retroattivamente, imbiancate.

Forse che un simile esercizio temerario dovrebbe, magari per scherzo, essere azzardato da un gruppo di chiromanti da fiera così incapaci di prevedere che non solo la stragrande maggioranza tra loro “non ci becca mai” ma che si spinge anche a celebrare la propria collettiva incapacità con quel meta-indicatore di incompetenza detto “economic surprise index”? Probabilmente no. Ma tale giustificabile reticenza farebbe ben poco per riempire le colonne sui giornali, così questa mascherata, questa simulazione di conoscenza, nonostante tutto prosegue.

Con questo in mente , tutto quello che il vostro autore si propone qui di “prevedere” è che gli eventi, molto probabilmente, non si svolgeranno nel modo previsto dal gregge e, nonostante ciò, non mancheranno le favole preparate per spiegarci, col senno del poi, l’inevitabilità di tali sorprese.

Se i politici, compresi quelli che dirigono le banche centrali, potranno reagire in modo tale da aggravare le nostre sofferenze e ridurre le nostre gioie, lo faranno con piacere. Ciononostante le leggi basilari dell’economia non verranno violate in quanto la loro esposizione viene vergognosamente storpiata da questi “Detentori della Fiamma”.

Così, con spirito determinato ad evitare imprudenze, ciò che mi propongo di fare è esaminare, piuttosto che prevedere, i trend e le tendenze in atto negli Stati Uniti, al fine di meglio comprendere le condizioni alle quali dovremo sottostare per provare ad interpretare ciò che, qualunque cosa sia, questo imprevedibile nuovo governo deciderà di fare allorché il suo uomo avrà prestato giuramento il mese prossimo.

Lungi dall’essere poco originale, il mio disaccordo dipende dalla circostanza che questo sguardo all’indietro trae il suo valore dal fatto che troppo di ciò che è considerato saggezza comune, ed anche il dissenso da ciò, è troppo spesso sbagliato o inconsistente quando non entrambe le cose. Dopotutto nessuno può trovare la strada da prendere se non è in grado di localizzare la sua presenza su una mappa, oppure se, avendolo fatto, non sa dove si trovano il nord e il sud.

L’importanza del Capitale

Come sempre quest’analisi si colloca nell’ambito di una prospettiva di chiaramente “austriaca” ciò perché prima di immergersi nei dati di dettaglio, vale la pena di avere presente lo schema generale di ciò che questo comporta.

Dal punto di vista filosofico noi “austriaci” crediamo nell’idea che ogni e ciascun essere umano sia nella migliore condizione per conoscere le priorità e l’intensità di ciò che vuole. Riteniamo anche che il ricco ordine dell’economia emerga grazie agli sforzi di ciascuno per soddisfare i propri bisogni attraverso quella che, di solito, è una reciproca ed arricchente interazione con gli altri, a loro volta interessati a soddisfare i propri.

L’economia non deve essere pensata come l’emergere di un disegno che viene dall’alto e nemmeno come un insieme di aggregati incorporei che agisce in modo invisibile, ancorché quasi meccanico, indipendentemente dalle azioni della miriade di individui coinvolti. Affermiamo che mentre il consumo è l’obiettivo finale dell’attività economica, ciò non significa che esso sia, di per sé, la parte più significativa del processo economico. Riteniamo che una maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta all’attività frenetica, ancorché nascosta, che si svolge dietro le quinte, invece che agli attori che incedono e si agitano vicino alle luci della ribalta ricevendo le maggiori attenzioni.

Affermando ciò tentiamo dunque di occuparci della struttura produttiva come di un tutto di cui molto è stato allegramente cancellato dalla macroeconomia ortodossa e ciò per timore della cosiddetta “doppia contabilizzazione”, un po’ come un motorista che sin quando la sua auto si mette in moto al mattino non presta alcuna attenzione a ciò che succede sotto il cofano.

Piuttosto che accontentarsi del cosiddetto “flusso circolare del reddito” assecondando la banalità dominante, noi insistiamo nella necessità di pensare il capitale, sebbene lo stesso termine capitale sia parola ormai tristemente abusata, in tutte le sue forme. Ciò perche tale termine assume significati diversi per persone diverse così come cose diverse per le stesse persone in contesti diversi.

Dobbiamo dunque essere consapevoli che ci troviamo qui di fronte ad una abbondante fonte di confusione e malintesi, anche per le menti più dotate.

Dunque il capitale, sotto molti aspetti, può essere considerato lo Schleswig-Holstein dell’economia, del cui groviglio inestricabile il diplomatico del XIX secolo Lord Palmerston (n.d.t. Henry John Temple, terzo visconte Palmerston 1784-1865, politico inglese, Segretario di Sato e Primo Ministro) ebbe a dire: “Solamente tre persone hanno realmente compreso la…faccenda, il Principe Consorte che è morto, un professore tedesco che è impazzito ed io, che ho dimenticato tutto”.

Detto ciò, nonostante tutta la sua complessità, non possiamo permetterci di trascurare la sua singolare importanza per un’economia come quella attuale, suddivisa in modo complesso, interattivo e con funzioni complementari. Non dobbiamo nemmeno dimenticare che ciò che rende qualcosa un bene capitale è spesso dipendente da qual è la funzione che lo rende tale e non meramente le sue effettive costituenti fisiche.

Una questione di interesse

Ritenendo che il valore di un bene sia soggettivamente stabilito da ciascuno di noi in quanto individuo che vuole soddisfare un bisogno, teniamo anche conto del fatto che i prezzi che si formano come espressione delle nostre preferenze allorché interagiamo gli uni con gli altri negli scambi, esprimo pacchetti della più pura informazione concepibile circa ciò che è più urgentemente richiesto sul mercato. In altri termini di ciò che è più scarso, così come di ciò che è meno urgente. Questa informazione è decisiva per stabilire quali mezzi debbano essere utilizzati per conseguire tale fine in ogni dato momento.

L’uomo che ha l’intuizione per prevedere e l’energia manageriale per organizzare le modalità in cui egli può prendere elementi di ciò che è disponibile, ma ancora inutilizzato, e poi trasformare tali elementi combinandoli tra loro, oppure semplicemente trasportandoli così come sono altrove, è verosimile che debba essere ricompensato con il profitto così ottenuto. Facendo la sua piccola parte per ridurre gli errori di priorità, grazie al perseguimento del proprio interesse, ha beneficato gli altri attorno a lui.

In quanto imprenditore il conseguimento del profitto non è segno di volgare sfruttamento, ma piuttosto la conferma che un tentativo per soddisfare un’istanza di scarsità evitabile, per riallocare risorse, riordinare la matrice produttiva, reimmaginare il modo di fare le cose al fine di ottenere un migliore e più abbondante stato di cose, di cui tutti in qualche modo godono, ha avuto successo.

Affinché i prezzi possano generare le informazioni necessarie, essi debbono essere composti dal maggior numero possibile di segnali e, per converso, dal minimo di interferenze. Ciò per timore che queste ultime possano essere confuse con le informazioni ed il vantaggioso arbitraggio del nostro imprenditore trasformato in un’accozzaglia di costosi sprechi.

Dunque noi “austriaci” aborriamo tutte le forme di manipolazione monetaria, specialmente quelle di tipo inflazionistico. Esse tendono infatti contemporaneamente ad amplificare ed a propagare gli errori iniziali in un modo che quelle di tipo opposto non fanno.

Similmente, nella piena consapevolezza dell’assioma secondo cui la produzione è un’attività che richiede tempo per dare frutto, guardiamo a tutti i tentativi volti a manipolare il prezzo del tempo, ossia il tasso di interesse, come un’ulteriore abominazione.

Il sistema bancario è una realtà che vediamo con parecchio sospetto, visto che ha largamente, quando non universalmente, rimpiazzato i capricci dei Principi come principale strumento di corruzione delle informazioni. Ciò è specialmente vero nella presente forma istituzionale caratterizzata da una concezione fondamentalmente viziata nei suoi metodi e nei suoi obiettivi e da una perniciosa fragilità delle sue strutture.

Un vero e proprio vespaio di incentivi perversi e responsabilità di cui facilmente ci si libera, sovrastato dall’arroganza dei re filosofi Platonici che governano i sostegni delle proprie banche centrali, minaccia ormai la struttura stessa dell’ordine borghese.

Detto ciò la teoria Austriaca del ciclo economico è dunque una teoria bancaria e monetaria. Le cose cominciano ad andare male quando viene creato ulteriore nuovo credito senza che vi sia del risparmio reale, ossia ex ante nel gergo degli economisti. L’atto del risparmiare non indica solamente la volontà di rinunciare a beni attuali per beni futuri, ma fa sì che i beni attuali rimangano disponibili per qualcun altro, magari per scopi diversi, e soprattutto fa sì che si formi il capitale.

Nel ragionamento “austriaco” il prezzo di un mezzo di produzione, sia esso un machete o una macchina utensile, un forno a micro onde o un microchip, deriva in ultimo dal prezzo dei beni di consumo (la cui supremazia in tal proposito è incontestabile) la cui produzione è il vero scopo dei primi.

Ciò implica che possiamo considerare i mezzi di produzione come precursori funzionali della nostra successiva soddisfazione, ponendo una particolare enfasi posta sul termine successiva. Dunque il loro prezzo non solo deve riflettere il valore dei beni di consumo che essi consentiranno di produrre, ma anche il tempo che sarà necessario per maturarne il valore finale. Si tratta di fattore grandemente amplificato allorché consideriamo che molti fattori produttivi raggiungono il culmine di tale valore in serie, ossia dopo le molte interazioni dei processi produttivi.

Dunque, essenzialmente, il rapporto tra i beni di consumo finali e l’insieme di beni e servizi che li hanno originati deve riflettere il tasso di interesse prevalente. In realtà, a nostro modo di pensare, è più di un semplice riflesso, esso costituisce effettivamente il tasso di interesse.

Vivere nel tempo preso a prestito.

Abbiate pazienza per un momento. La decisione di un potenziale cliente finale di astenersi dal consumare, non solo rende ancora disponibile il bene ma, potenzialmente, ne riduce il prezzo . Ciò evidenzia che i beni lasciati a disposizione per usi alternativi, lo sono in un modo “riproduttivo” piuttosto che esaustivo.

Chi si astiene dal consumo rinuncia ai suddetti beni ed il denaro così risparmiato rimane naturalmente a disposizione per essere preso in prestito, così che questa pronta alternativa può essere implementata.

Come abbiamo visto, il rapporto tra i prezzi del produttore e quelli del consumatore incorpora il pagamento della tediosa attesa che ha luogo durante il tempo necessario per completare il lavoro di trasformazione dall’uno all’altro. Dunque, se il desiderio di immediato consumo decresce e, di conseguenza, anche i prezzi dei beni di consumo si riducono, anche il suddetto rapporto si ridurrà. Ciò significa che, riducendosi l’insistenza per un immediato consumo, ossia cambiando la preferenza temporale dei consumatori, il tasso naturale di interesse diminuirà.

Anche in questo caso vediamo all’opera una meravigliosa coerenza, la maggiore disponibilità di capitale, ossia i risparmi, spingeranno al ribasso il tasso di interesse, ossia nella stessa direzione del tasso intrinseco alla interrelazione dei prezzi nel mondo delle risorse reali.

Questo significa che iniziative di maggiore durata potranno ora essere avviate in quanto saranno, allo stesso tempo, sia sostenibili dal punto di vista monetario (un minor tasso di interesse per un più lungo periodo di tempo, aiuta le vendite a raggiungere il break even coprendo i costi di produzione) e che saranno disponibili sufficienti fondi reali con cui finanziare il processo produttivo, se non altro retribuendo i lavoratori in esso coinvolti e ciò molto prima che il loro lavoro produca i suoi frutti.

Proprio come accade nel più familiare mondo dell’aritmetica dei titoli a reddito fisso, dove uno spostamento verso il basso dei tassi di interesse causa in parallelo la variazione più forte sui prezzi dei titoli a scadenza più lontana e con le cedole più basse (n.d.t: cioè con duration maggiore), così anche la preferenza temporale di cui sopra comporta i maggiori effetti sui beni durevoli (i quali tendono ad avere il più elevato rapporto tra prezzo di acquisizione e flusso incrementale di reddito e sono dunque paragonabili ai titoli con le cedole più basse) ed anche su quei beni che verranno impiegati nelle ultime fasi del processo produttivo e che saranno gli ultimi ad essere prelevati dagli scaffali (e sono quindi paragonabili ai titoli obbligazionari con le scadenze più lontane). Queste due tipologie di beni sono, nel loro genere, tra le più lentamente ammortizzabili.

Per giunta, l’emergere di un maggiore grado di “sazietà” rispetto ad alcuni beni di consumo, incoraggia gli imprenditori ad innovare in modo da trarne profitto, non solamente incrementando l’efficacia dell’attività già in essere, ma anche inventando nuovi prodotti da aggiungere alla gamma già a disposizione dei consumatori. In questo modo verrà compensata la diminuita intensità della domanda dei beni esistenti.

Invece, si tenta di risolvere forzatamente questo problema (il rallentamento della domanda n.d.t.) creando credito dal nulla, dunque indipendentemente da qualsivoglia cambiamento nelle preferenze temporali dei consumatori, e si riducono artificialmente i tassi di interesse, (o si evita che essi aumentino, come accadrebbe se vi fossero soggetti che si contendono ansiosamente dei risparmi reali, ossia disponibili ex ante). Inoltre i tassi artificialmente bassi incentivano l’allungamento del processo produttivo (per renderlo più “roundabout” come diciamo noi Austriaci). Da notare che tutto ciò avviene nonostante non esista affatto una maggiore quantità di risorse finanziarie accantonate e con cui lavorare durante il lungo periodo che precede la maturazione e rimborso dell’investimento.

Il pericolo sorge quando questa situazione innesca una guerra di offerte tra i produttori-imprenditori, incoraggiati dagli incentivi, per accaparrarsi manodopera e mezzi produttivi e la massa dei consumatori il cui desiderio di gratificazione resta in gran parte insoddisfatto. In questa situazione ciascuno cerca di affermare le proprie pretese sullo stesso quantitativo di risorse e nello stesso tempo.

Quando i potenziali consumatori con riluttanza si riducono dopo l’evento, forse dissuasi da un iniziale incremento dei prezzi, si parla di risparmio forzato, una ricetta per il conflitto economico, come pure segno di crescente instabilità.

Invece se i consumatori, nonostante tutto, decidono di pagare e se il loro baccano per comprare viene a turno rafforzato dai nuovi addetti, dai produttori concorrenti oppure da coloro da cui, a loro volta, essi ordinano materie prime e componenti, avrà presto inizio la classica spirale inflazionistica.

Da principio, ciò potrebbe perfino apparire come il trionfo di una visione imprenditoriale poiché l’aumento dei prezzi, precedendo l’aggiustamento dei costi, si rifletterà sui profitti.

Ad ogni modo, a meno che il ciclo espansivo del credito non si ripeta, questo dimostrerà comunque di essere una falsa resa dei conti e la redditività delle imprese scenderà, allorché sia i fornitori che i dipendenti inizieranno a reclamare maggiori entrate ormai necessarie per mantenere il loro standard di vita.

Ad un certo punto, la trazione esercitata su entrambe le estremità della struttura produttiva, inizierà a mettere alla prova le connessioni al centro. Un’accresciuta scarsità di componenti chiave, di manodopera qualificata, o semplicemente di tempo per evadere gli ordini, o ancora per eseguire la necessaria manutenzione o limitati incrementi della capacità produttiva inevitabilmente presenteranno il conto.

Si manifesterà la mancanza di coordinamento ed emergerà l’incoerenza dello schema.

Il calcolo economico sarà ampiamente ostacolato e gli orizzonti inizieranno a contrarsi. La fame di finanziamenti a breve termine con cui alimentare profitti netti decrescenti e mantenere in vita le aziende in difficoltà per il tempo di un nuovo tiro di dadi, configurerà una situazione in cui, per dirla con Hayek (F.A. von Hayek 1889-1992), “l’investimento fa aumentare la domanda di capitale”.

A questo punto la curva del rendimento, se il nuovo credito sarà insufficiente a soddisfare il più incessante degli appetiti, tenderà ad invertirsi così confermando lo status di “uccello del malaugurio” di tale fenomeno, e tutto in assenza di goffi eccessi da parte della banca centrale. Nel caso classico, ciò con cui si confrontano i decision makers è la possibilità che se il vortice inflazionario viene lasciato senza controllo inizierà ad autoalimentarsi, fino al punto in cui il denaro perderà tutto il suo valore (il classico crollo finale o fuga verso il valore reale misesiani).

Senza giungere a tale estremo, quella che inevitabilmente è diventata una voragine nella bilancia dei pagamenti, non può più essere facilmente finanziata da volenterosi finanziatori e da fornitori esteri. Infatti a questo punto essi temeranno per la sicurezza dei propri investimenti e così, l’improvvisa riduzione del flusso dei capitali, farà precipitare la crisi.

La sgradevole alternativa a queste due possibilità, consiste in un tardivo sforzo per tenere a freno gli eccessi. Sia che esso venga attuato dalle banche commerciali allarmate che dalle pesanti banche centrali sovrane, esso metterà allo scoperto le linee di rottura nascoste nella struttura e porterà con sé una valanga di fratture, verosimilmente fino al punto di un catastrofico fallimento sistemico. Fra l’altro saranno le stesse banche che tramite la revoca dei finanziamenti ed i pignoramenti amplificheranno lo stress e daranno inizio alla cosiddetta depressione secondaria.

Simple Simon Says (n.d.t. popolare gioco infantile)

In una tale e in qualche modo apocalittica situazione la normale narrativa cessa di esistere, dobbiamo tuttavia riconoscere che questo schema, per quanto convincente e coerente dal punto di vista logico, fu formulato in circostanze istituzionali molto diverse circa 100 anni orsono. Esso necessità dunque di un piccolo adattamento per poter servire come modello analitico per noi, qui nel XXI° secolo.

Prima di tutto, a quel tempo la maggior parte degli stati aveva, almeno a livello formale, qualche forma di convertibilità della propria valuta, se non in oro, almeno in alcune delle più solide valute di riserva che ufficialmente erano a loro volta convertibili in oro (Gold Exchange Standard). Inoltre i governi erano ancora relativamente “piccoli” e con molti meno beneficiari dei loro sempre più generosi sussidi, mentre i lamentosi eserciti di passacarte e “timbratori” erano solo una misera ombra delle possenti legioni odierne.

Si pensi che durante l’amministrazione di Roosevelt (F.D. Roosevelt 1882-1945) vi fu un’espansione della spesa pubblica senza precedenti che vide raddoppiata, in tempo di pace, la propria percentuale sul Prodotto Interno Lordo, ebbene nonostante ciò il peso del Leviatano era appena la metà di quello odierno.

In terzo luogo, in questo modello è insita la tacita supposizione che la maggior parte dell’indebitamento gravi sulle imprese mentre i proprietari di case siano puri e semplici risparmiatori. Oggi naturalmente, sia i mutui immobiliari che il credito al consumo esercitano una potente influenza sul sistema e ciò, nonostante la loro recente riduzione in termini di percentuale dei redditi verificatasi nel periodo post Crash.

Secondo la diagnosi “austriaca” i più pericolosi quanto meno facilmente risolvibili effetti dell’introduzione di eccessivo credito senza garanzie (troppo capitale fittizio, per usare un altamente istruttivo termine vittoriano) si verificano allorché essi ingannano i produttori alterando l’effettiva distribuzione dei capitali nel sistema. Specialmente quando essi assumono la forma di impianti, macchinari e competenze professionali altamente specializzate (oppure come diciamo “favorendo cattivi investimenti”).

Dobbiamo provare a “filtrare” dai finanziamenti quelli contratti da individui e governi al solo scopo di permettere il godimento di una maggiore quantità di beni di consumo rispetto a quanto i redditi dei primi e gli espropri dei secondi avrebbero consentito. Quest’ultima forma di credito rappresenta non tanto una fonte pervasiva di cattivi investimenti quanto piuttosto una manifestazione di “semplice” inflazione.

Certamente se mi indebito con la carta di credito per acquistare un nuovo paio di jeans, il loro produttore vedrà da principio un maggiore volume d’affari che, in ultima analisi, può sembrare sostenibile. Egli, ingannato da questo falso segnale, potrebbe assumere troppi addetti alla cucitura, acquistare troppa stoffa o perfino installare nuovi macchinari nella sua azienda.

Tuttavia ogni eventuale insuccesso sarà concentrato come sempre nella parte più breve così come generalmente su quella più intercambiabile di quella grande multisettoriale linea di montaggio avvolta e riavvolta su se stessa che costituisce l’economia moderna.

In teoria l’insuccesso dovrebbe essere limitato nella sua capacità di trasmettere le sofferenze troppo ampiamente lungo la catena. La liquidazione delle attività, le ristrutturazioni ed il successivo reimpiego delle risorse umane e materiali impiegate dall’impresa fallita dovrebbero di conseguenza essere molto meno problematiche. Fortunatamente vi è spesso meno capitale immobilizzato (e meno capitale operativo specifico) coinvolto sia nelle aziende stesse che nel minor numero di intermediari connessi e il cui compito consiste nell’assicurare che i beni dei contendenti avanzino lungo la linea.

Trattandosi di beni di consumo, la maggiore quantità disponibile ad un prezzo relativamente inferiore può anche stimolare un’attività di compensazione a monte della catena produttiva mentre il tasso di interesse naturale scende a causa dell’altrimenti sfortunato surplus aprendo la strada a nuovi investimenti sia in campi nuovi sia semplicemente allo scopo di ridurre il costo di produzione per adattarsi alla nuova realtà (della domanda n.d.t.).

Detto ciò è innegabile che questa inflazione “semplice” potrebbe anche esercitare un’influenza più maligna se dovesse colpire un grande produttore di beni durevoli di consumo, ossia di quel “servizio di ricovero continuo” che chiamiamo comunemente casa. Ciò è dovuto al fatto che lo stesso mucchio di mattoni e malta spesso non è solamente una casa in cui vivere, ma bensì il mezzo più facilmente accessibile e facilmente comprensibile a disposizione dell’uomo comune che, grazie ad esso, può essere coinvolto in una continua rivalutazione del capitale, soggetta ad una sorta di effetto leva finanziario, incentivante la speculazione. Si tratta di possibilità che altri mercati riservano esclusivamente a soggetti residenti alle isole Cayman ed ai possessori di un conto alla Goldman, Sachs.

In quanto speculazione essa non solamente attira vari tipi di attività secondarie il cui compito consiste nel rifinire ed arredare i muri nudi delle nuove abitazioni, ma con la possibilità di dare in garanzia gli immobili spendendo i guadagni derivanti dall’aumento del capitale nozionale (n.d.t. dunque fittizio), molto prima che questi siano effettivamente realizzati, va ad alimentare il turbine inflazionistico. Intanto la completa dimensione del coinvolgimento si verifica quando si arriva a pensare che qualsiasi lotto di terreno da 100 mq. edificabile contenga una Sutter’s Mill (n.d.t. segheria situata in California dove nel 1848 furono rinvenute le prime pepite che avviarono la corsa all’oro).

Questa situazione può facilmente sconvolgere le intrinsecamente instabili finanze del nostro sistema di Banche commerciali basate sulla riserva frazionaria, incestuosamente finanziate all’ingrosso e scarsamente capitalizzate. Come abbiamo visto, con questa nuova svolta, questa storiella familiare conosce la sua ultima eroica ripetizione. Questa febbre può anche essere abbastanza contagiosa da porre termine anche alle più prestigiose tra le pseudo sofisticate e quotate Banche di Investimento, che sono state trascinate nell’abisso quando hanno permesso ai loro intelligenti gruppi interni di Dottor Faust di tenersi di gran lunga troppo rischio sottostante allorché affettavano e spezzettavano i prestiti riducendoli in complessi pacchetti di titoli.

Naturalmente i pericoli intrinseci si sono grandemente amplificati quando le nostre strapotenti banche centrali non hanno permesso che la prodigiosa forza fisica del nostre classi imprenditoriali apportasse una benefica riduzione dei prezzi finali, etichettando erroneamente tale segno di abbondanza creativa come il risveglio dello spirito malvagio della deflazione. Ciò non solo deruba i lavoratori, come recita l’indimenticabile frase di Dennis Robertson (n.d.t. Dennis Robertson 1890-1963 economista inglese) “negando loro un meritato incremento dei salari reali”, ma li induce spesso a compensare la percepita riduzione del credito.

Se un soggetto si indebita quotidianamente per fare la spesa in modo eccessivo, è probabile che la banca centrale reagisca prima che la cosa scappi di mano. Però se questo sceglie di avvalersi della “property card” come sistema per mettersi in pari, la loro prevalente e cieca ortodossia di mirare all’Indice dei Prezzi al Consumo condanna i nostri presunti guardiani monetari ad un ostinato rifiuto nel riconoscere che la rapida crescita dei prezzi immobiliari è semplicemente una deviazione verso un molto più pericoloso ambiente di quella stessa inflazione causata direttamente dal loro non necessario intervento.

Tenere gli occhi aperti

Quando analizziamo i dati che ci stanno di fronte dobbiamo sempre tenere presente che è difficile separarli dettagliatamente e che è impossibile costringerli in un modello o in un algoritmo. Soprattutto durante i momenti di ripresa dobbiamo cercare i segnali di un eccesso di prestiti e poi l’evidenza di sacche di investimento anormalmente elevate mentre, al contrario, nei momenti di recessione occorre ricercare istanze di ripudio del debito e rimborsi di emergenza, fenomeni che possono caratterizzare un livello di investimenti abnormemente basso.

Redditi, profitti e flussi di cassa sono dunque importanti, ma attività, passività e bilanci lo sono altrettanto.

Le valutazioni assegnate ai mercati dei titoli possono dirci molto sulle fasi di crescita e di rallentamento della crescita in quanto essa può essere alimentata o dalla volontà dei prestatoti commerciali, o dall’ottusa macro idiozia delle cattive favole delle banche centrali che forniscono agli acquirenti creduloni che nutrono tali speranze indotte, dei mezzi necessari per realizzare le loro illusioni autoalimentate.

Non ogni cella convettiva che si eleva sulla terra cotta dal sole si trasforma in tempesta e molte meno in tornado F5. Tuttavia quando, durante un’escursione estiva, vediamo quella prima nuvola “non più grande della mano di un uomo” è utile essere consapevoli che le condizioni metereologi sono le più favorevoli ad un pericoloso sviluppo che sta prendendo forma in alto nel cielo sopra di noi.

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Privatizzare il servizio di polizia

Von Mises Italia - Lun, 13/02/2017 - 08:20

Naturalmente, l’abolizione del settore pubblico comporterebbe che tutti gli appezzamenti di terreno, tutte le aree, tra cui le vie e le strade, diventino di proprietà privata, dei singoli individui, delle aziende, delle cooperative o di qualsiasi altro raggruppamento di persone e di capitali. Il fatto è che tutte le strade ed i terreni divenendo privati, di per sé, risolverebbero molti dei problemi apparentemente insolubili. Quello che dobbiamo fare è orientare il nostro pensiero nel considerare un mondo in cui tutte le zone della terra siano di proprietà privata.

Ad esempio: prendiamo la protezione della polizia. Come sarebbe la protezione della polizia se fosse fornita in un’economia totalmente privata?

Parte della risposta diventa evidente se consideriamo un mondo di terreni e di strade totalmente di proprietà privata. Consideriamo la zona di Times Square di New York City, una zona notoriamente oppressa dal crimine, dove esiste poca protezione e le autorità cittadine forniscono pochi poliziotti. Ogni nuovo Yorker (abitante di New York) sa, infatti, che vivendo e camminando per le strade, non solo a Times Square, si trova praticamente in uno stato di “anarchia” ed il tutto dipende unicamente dalla normale tranquillità e dalla buona volontà dei suoi concittadini. La protezione della polizia di New York è minima, un fatto è stato svelato drammaticamente, eccolo: in un recente sciopero per una settimana, della polizia, il crimine non è aumentato in nessun modo rispetto a quando la polizia è normalmente sul posto di lavoro!

In ogni caso, si supponga che la zona di Times Square, strade comprese, sia gestita privatamente, per dire, dalla “Associazione dei commercianti di Times Square”. Naturalmente, i commercianti sanno benissimo che se la criminalità dilaga nella loro area e se gli scippi e le rapine abbondano, i loro clienti svaniscono e andranno verso quartieri e aree concorrenti. Quindi, è nell’interesse economico dell’Associazione degli esercenti fornire una protezione di polizia efficiente e numericamente abbondante, affinché i clienti siano attratti anziché respinti dal loro quartiere. Dopo tutto le imprese private, cercano sempre di attrarre e mantenere i propri clienti.

Ma a cosa sarebbero serviti le seducenti vetrine dei negozi, i bei pacchetti, le borse, l’illuminazione piacevole e un servizio cordiale, se i clienti possono essere derubati o aggrediti mentre cammino nella zona?

L’Associazione dei commercianti, inoltre, sarebbe disposta, per spingere i guadagni ed evitare le perdite, di fornire non solo la protezione della polizia, ma una sufficiente protezione (come numero di poliziotti ndt) che sia cortese e piacevole. La Polizia Governativa non solo non ha alcun incentivo ad essere dinamica o a preoccuparsi dei bisogni dei loro”clienti”; ma vive con la sempre presente tentazione di esercitare il proprio potere e la propria forza in modo brutale e coercitivo.

“La brutalità della polizia” è una caratteristica ben nota nell’apparato di polizia ed è tenuta sotto controllo solo dalle sporadiche lamentele di cittadini seccati. Ma se la polizia degli esercenti privati cede alla tentazione di brutalizzare i clienti degli esercenti, quei clienti spariranno rapidamente ed andranno altrove. Quindi, l’Associazione dei commercianti farà in modo che la sua polizia sia cortese ed in buon numero. Tale protezione di polizia, efficiente e di alta qualità, prevarrebbe in tutto il paese, in tutte le strade private e nei quartieri del territorio.

Le fabbriche verrebbero protette nelle loro strade ed aree, così ai commercianti e alle loro strade ed alle aziende adiacenti alla strada verrebbe fornita la protezione della polizia in modo sicuro ed efficiente anche sulle loro strade a pagamento e le altre strade di proprietà privata. Lo stesso vale per i quartieri residenziali.

Possiamo immaginare due tipi possibili di proprietà privata stradale in tali quartieri. In un tipo, tutti i proprietari di un certo isolato potrebbero diventare comproprietari dello stesso, come la “85° S. Block Company”. Questa società dovrebbe poi fornire la protezione della polizia, i costi pagati sia dai proprietari di casa direttamente o su affitto, per gli inquilini, se la strada comprende anche appartamenti in affitto. Pure in questo caso, naturalmente, i proprietari hanno un interesse diretto nel vedere che il loro “isolato” è sicuro, mentre i proprietari cercheranno di attirare inquilini fornendo strade sicure, oltre ai servizi più usuali come il riscaldamento, l’acqua ed il servizio di pulizie.

Chiedere il motivo per cui i proprietari dovrebbero fornire strade sicure nella società liberale, interamente private, è stupido come chiedere perché dovrebbero fornire ai loro inquilini il riscaldamento o l’acqua calda. La forza della concorrenza e della domanda dei consumatori li renderebbe fruitori di tali servizi. Inoltre, consideriamo che i proprietari di abitazione o di alloggi in locazione, in entrambi i casi, potranno avere un aumento del valore del proprio capitale, del terreno e della casa se questa sarà in un funzione della sicurezza della strada; così come per le altre ben note caratteristiche della casa e del quartiere.

Strade sicure e ben sorvegliate, alzano il valore dei terreni e delle case dei proprietari terrieri alla stessa maniera delle case ben curate; la criminalità di strada abbasserà il valore del terreno e delle case come accade per le abitazioni fatiscenti. Dal momento che i proprietari terrieri preferiscono sempre un aumento dei prezzi di mercato e non che abbassino il valore delle loro proprietà, vi è un incentivo per fornire strade efficienti, asfaltate e sicure.

L’impresa privata esiste e così la maggior parte delle persone può facilmente immaginare un libero mercato nella maggior parte dei beni e servizi. Probabilmente l’area singola più difficile da controllare è l’abolizione delle operazioni di governo nel servizio di protezione: di polizia, dei tribunali, ecc. e l’area che comprende la difesa della persona e della proprietà contro un attacco o un’invasione.

Eventualmente, come potrebbe l’impresa privata ed il libero mercato fornire tale servizio? Come potrebbe essere provvista: la polizia, i sistemi giuridici, i servizi giudiziari, le forze dell’ordine, le carceri in un libero mercato?

Abbiamo già visto come una grande quantità di protezione della polizia, per lo meno, potrebbe essere fornita dai vari proprietari di strade e di aree. Ma ora dobbiamo esaminare l’intera zona in modo sistematico. In primo luogo, vi è un errore comune, tenuto anche dalla maggior parte dei sostenitori del laissez-faire, che il governo deve fornire: “la protezione della polizia”, come se la protezione della polizia fosse una unica entità assoluta, una quantità fissa di qualcosa che il governo deve fornire a tutti. Ma, in realtà, non vi è alcun bene assoluto chiamato “la protezione della polizia” non più di quanto vi è un prodotto unico assoluto chiamato “cibo” o “rifugio”.

E’ vero che tutti pagano le tasse per un quantitativo apparentemente fisso di protezione, ma questo è un mito. In realtà, ci sono quasi infiniti gradi di protezione di tutti i tipi. Per qualsiasi persona o azienda, la polizia può fornire tutto da un poliziotto di strada che pattuglia di notte, a due poliziotti che pattugliano costantemente su ogni palazzo e auto che pattugliano gli incroci, ad una o anche più guardie del corpo personali per tutto il giorno.

Inoltre, ci sono molte altre decisioni che la polizia deve prendere e la cui complessità diventa evidente non appena si guarda sotto il velo del mito della “protezione” assoluta. Come potrà la polizia destinare i loro fondi, che sono, ovviamente, sempre limitati come lo sono i fondi di tutti gli altri individui, organizzazioni e agenzie? Quanto deve investire la polizia in apparecchiature elettroniche, attrezzature per le impronte digitali, investigatori per il controllo della polizia in divisa? Per le auto di pattuglia, come per la polizia a piedi, ecc?

Il punto è che il governo non ha un modo razionale per fare queste assegnazioni. Il governo sa solo che ha un budget limitato. Quindi, la sua distribuzione di fondi è soggetta al completo gioco della politica a vantaggio dell’inefficienza burocratica, senza alcuna indicazione, a tutti, su come il dipartimento di polizia è al servizio dei consumatori, in maniera sensibile ai loro desideri o se lo si sta facendo in modo efficiente. La situazione sarebbe diversa se i servizi di polizia fossero forniti da un mercato libero e competitivo. In tal caso, i consumatori pagherebbero per qualsiasi grado di protezione che desiderano acquistare.

I consumatori che vogliono solo vedere un poliziotto di tanto in tanto pagherebbero meno di quelli che vogliono un pattugliamento continuo e di gran lunga un importo inferiore a quelli che chiedono un servizio di guardia del corpo ventiquattro ore su ventiquattro. Sul libero mercato, la protezione verrebbe fornita in proporzione ed in qualunque modo i consumatori desiderano pagare questo servizio. Con questa azione l’efficienza sarebbe assicurata, in quanto è sempre il mercato, costretto a fare profitti ed evitare perdite e, quindi, mantenere bassi i costi e servire le richieste più esigenti dei consumatori. Qualsiasi impresa di polizia che soffre di grossolana efficienza potrà presto fallire e scomparire.

Il grosso problema di una forza di polizia governativa e che deve sempre affrontare è: quali leggi bisogna davvero far rispettare? I dipartimenti di polizia sono teoricamente tenuti a “far rispettare tutte le leggi”, ma in pratica un budget limitato li costringe a destinare il proprio personale e le attrezzature ai crimini più urgenti. Ma il proverbio di procedere comunque li insegue e lavora contro una distribuzione razionale delle risorse. Sul libero mercato, ciò che verrebbe applicato è tutto quello che i clienti sono disposti a pagare.

Supponiamo, per esempio, che il signor Jones abbia una gemma preziosa e crede che presto potrebbe essere derubato. Egli può chiedere di lavorare con l’azienda di polizia, e pagare, la protezione per tutto il giorno e con il potenziale che può desiderare. Egli avendo anche una strada privata sulla sua proprietà potrebbe, d’altra parte, non volere che passino molte persone, ma potrebbe anche importargli che non ci siano troppi trasgressori su quella strada. In tal caso, egli non dedicherà tutte le risorse di polizia per proteggere la strada. Mentre sul mercato in generale, è andare incontro al consumatore e dal momento che siamo tutti consumatori questo significa che ogni persona decide individualmente quanto e quale tipo di protezione vuole ed è disposto a comprare. Tutto quello che abbiamo detto a proposito dei proprietari vale per la polizia governativa e per la polizia privata in generale.

Il libero mercato della polizia potrebbe non solo essere efficiente, ma (i poliziotti) avrebbero un forte incentivo a essere cortesi ed astenersi da brutalità contro i loro clienti o amici dei loro clienti o avventori. Un Central Park privato sarebbe custodito in modo efficace al fine di massimizzare le entrate del parco, piuttosto che avere un coprifuoco imposto ai fruitori. Un libero mercato della polizia sarebbero premiante la protezione, l’efficienza e cortesia nei confronti dei clienti e sarebbe sanzionato qualsiasi abbassamento da questo livello standard. Non ci sarebbe più la separazione attuale fra il servizio ed il pagamento, inerente a tutte le operazioni del governo, ma una separazione che per la polizia significa, come tutte le altre agenzie governative, acquisire il proprio reddito, non volontariamente ed in modo competitivo da parte dei consumatori, ma obbligando i contribuenti. In realtà, la polizia governativa è diventata sempre più inefficiente ed i consumatori sono costretti a rivolgersi sempre più a forme private di protezione. Abbiamo già menzionato la protezione dell’isolato o del quartiere.

Ci sono anche guardie private, compagnie assicurative, investigatori privati e attrezzature sempre più sofisticate come: cassette di sicurezza, serrature, TV a circuito chiuso e allarmi antifurto. La Commissione del Presidente sull’applicazione della legge e dell’amministrazione della giustizia ha stimato nel 1969 che la polizia governativa costava al contribuente americano 2,8 miliardi di dollari l’anno, mentre si spendevano 1,35 miliardi di dollari per il servizio di protezione privata ed altri 200 milioni di dollari in attrezzature, quindi la somma totale per le spese di protezione privata ammontava ad oltre la metà della spesa sulla polizia di Stato. Queste cifre dovrebbero far riflettere le persone credulone. I creduloni ritengono che la protezione della polizia sia in qualche modo un diritto o un puro potere, necessario e da sempre una peculiarità della sovranità statale.

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Le conseguenze del denaro a pioggia

Von Mises Italia - Ven, 10/02/2017 - 08:14

Il Federal Open Market Committee, FOMC, della Federal Reserve, ha votato il 14 dicembre per alzare i tassi di interesse dello 0,25%, come ci aspettavamo. Il voto è stato unanime tra cui le colombe come la Governatrice della Fed Lael Brainard.

Mentre il rialzo dei tassi è stato completamente previsto dai mercati, ciò che non ci si aspettava era che la Fed avesse una posizione aggressiva sui futuri aumenti dei tassi. Prima della riunione di dicembre del F.O.M.C., la previsione era per due rialzi dei tassi prima della fine del 2017. Il 14 dicembre, la Fed ha comunicato l’intenzione di aumentare i tassi di interesse tre volte nel 2017.

La Fed basa questo suo punto di vista, più aggressivo, sul fatto che le condizioni del mercato del lavoro continuano a migliorare, lentamente, ma in costante progresso realizzando in modo soddisfacente gli obiettivi di inflazione della Fed. Fino a quando le condizioni di lavoro lo consentiranno e l’inflazione non sarà troppo alta, la Fed alzerà i tassi prima dell’1% l’anno, più o meno, fino ad ottenere un “equilibrato” 3,25% quale fondo di riserva.

La Fed è impegnata a limitarsi in questo ciclo, non perché l’economia stia correndo “forte” (non è così), perché sono angosciati nel non poter alzare abbastanza i tassi e per poi tagliarli nuovamente in una futura recessione. La Fed è dietro l’angolo in questo processo. La Fed avrebbe dovuto alzare i tassi a circa il 3,25% nel corso del quinquennio 2009 -2013, ma ha perso questo ciclo intero impegnandosi in esperimenti infruttuosi di Quantitative Easing o Q. E. (aumento della quantità della massa monetaria ndt).

Purtroppo, la Fed ha ripiegato su un percorso al rialzo dei tassi nel momento peggiore possibile. I recenti dati sulle vendite al dettaglio e la produzione industriale sono entrambi deboli. Il dollaro super-forte è deflazionistico in un momento in cui la Fed non riesce ancora a raggiungere i suoi obiettivi di inflazione. La Fed potrebbe finire per causare la recessione che sta cercando di evitare. Questo enigma politico è il risultato di otto anni di manipolazione politica.

Negli ultimi decenni, la Fed si è impegnata in una serie di interventi di manipolazione politica del mercato che paradossalmente non ha più lasciato la possibilità a tali interventi, seminando una scia di crash, crolli e calamità.

I nodi di questa contraddizione, tra la onnipotente Fed e la Fed incompetente, stanno venendo al pettine. La nuova amministrazione Trump affronterà la Fed e insisterà sulla responsabilità ed il processo decisionale basato sulle regole. Il confronto presenterà enormi rischi e opportunità per gli investitori.

Le conseguenze del denaro a pioggia (Helicopter Money)

L’immagine del denaro stampato della Fed ed la ricaduta a pioggia sui consumatori in attesa di raccoglierli per iniziare a fare la spesa è un modo di dire popolare, ma non molto informativo, per descrivere il denaro così distribuito. In realtà, il denaro a pioggia è il coordinamento tra la politica fiscale e politica monetaria progettato in modo da fornire da stimolo ad un’economia debole e per combattere la deflazione.

L’intervento del denaro a pioggia, inizia con uno dei più grandi deficit causati dalla spesa pubblica sempre più elevata. Questa spesa, è stimato, abbia un effetto moltiplicatore cioè per ogni dollaro di spesa, forse 1,50 dollari diviene un supplemento al PIL in quanto i destinatari, della spesa pubblica, dovrebbero muoversi spendendo quegli stessi soldi in beni e servizi aggiuntivi. Il Tesoro degli Stati Uniti finanzia questi deficit, più grandi, prendendo in prestito i soldi dal mercato dei titoli di Stato.

Normalmente questa aggiunta al prestito potrebbe alzare i tassi di interesse. La resistenza economica da tassi più elevati potrebbe annullare lo stimolo della spesa più elevata e rendere inutile l’intero programma.

Così è come intende intervenire la Fed. La Fed può acquistare il debito aggiuntivo, dal Tesoro, con denaro fresco di stampa. La Fed promette anche di tenere questi buoni del Tesoro, appena acquistati, nel proprio bilancio fino alla scadenza.

Stampando moneta si può neutralizzare l’impatto di ulteriori prestiti, l’economia ottiene il vantaggio di una maggiore spesa, senza le turbolenze dell’innalzamento dei tassi di interesse. In primo luogo, il risultato è leggermente inflazionistico compensato dalla temuta deflazione che attiverebbe la richiesta di altro denaro a pioggia.

E’ una teoria pulita, ma è piena di buchi.

Il primo problema è che non può esserci molto più di un moltiplicatore, in questa fase dell’espansione statunitense. L’espansione attuale dura da 90 mesi; piuttosto lunga rispetto agli standard storici. È stata un’espansione debole, ma comunque un’espansione. L’effetto moltiplicatore della spesa pubblica è più forte all’inizio e cioè quando l’economia ha più capacità di riserva nel lavoro e nel capitale.

A questo punto, il moltiplicatore potrebbe essere effettivamente meno di uno. Per ogni dollaro di spesa pubblica l’economia potrebbe ottenere solo $ 0,95 del PIL in aggiunta. Non è il miglior risultato per il denaro preso in prestito.

Il secondo problema, con il denaro a pioggia, è che non vi ‘è alcuna garanzia che i cittadini spendano effettivamente i soldi del governo per spingere l’economia. Ci sono le stesse probabilità in cui una persona può pagare un debito o risparmiare considerandolo reddito supplementare. Questa è la classica “trappola della liquidità”. Questa propensione al risparmio, piuttosto che alla spesa, è un problema comportamentale non facilmente influenzabile dalla politica monetaria o fiscale.

Infine, vi è un invisibile, ma reale limite alla fiducia sul bilancio della Fed. Dopo la stampa di 4 miliardi di dollari in risposta alla ultima crisi finanziaria, quanto è ancora possibile per la Fed stampare danaro senza rischiare la fiducia nel dollaro? I teorici monetari moderni e i neo-keynesiani sostengono che non c’è limite alla stampa della Fed, ma la storia ci dice il contrario.

È importante sottolineare che, con così tanto debito pubblico degli Stati Uniti in mani straniere, la semplice decisione da parte dei paesi stranieri di diventare venditori netti di titoli del Tesoro U.S.A. è sufficiente a causare un rialzo dei tassi di interesse rallentando così la crescita economica, oltre al contemporaneo aumento del deficit statunitense. Se tale vendita accelera, potrebbe tradursi in una spirale mortale del debito/deficit e terminare in una crisi americana, del debito sovrano, come quello che ha colpito la Grecia e la periferia della euro-zona negli ultimi anni.

In breve, il denaro a pioggia sia Trump sia la Fed possono desiderarlo, ma potrebbe avere molta meno potenza e, alla lunga lunga, maggiori conseguenze negative che entrambi non si aspettano.

Saluti.

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Mises e Hayek: un’unica critica al socialismo

Von Mises Italia - Mer, 08/02/2017 - 08:08

Un ordine sociale prevalentemente spontaneo, ossia fondato sull’esercizio sostanziale dell’autonomia individuale, è il sistema più adatto per soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti.

Per sostenere un ordine del genere è necessario non solo riconoscere l’ignoranza e la fallibilità umana ma anche una pluralità di proprietà private di risorse ed un sistema giuridico ad essa corrispondente.

Di conseguenza, sostenere un ordine prevalentemente spontaneo significa sostenere un’economia di mercato.

Senza l’esistenza di una pluralità di proprietà private di risorse non è possibile esercitare una vera e propria libertà decisionale.

Senza l’esistenza di una pluralità di proprietà private di risorse non è possibile accendere quell’estesissimo processo che ci consente di scoprire quali beni siano scarsi o quali cose siano dei beni, quanto questi beni siano scarsi o che valore sia appropriato imputare agli stessi.

Tra la centralizzazione della proprietà in un unico agente che possiede e dirige tutte le risorse e l’impossibilità di centralizzare tutte le circostanze di tempo e di luogo dei singoli individui vi è pertanto un rapporto di “codeterminazione ricorsiva”.

Tale rapporto è la causa non tanto dell’impossibilità quanto dell’inadeguatezza di ciò che è diametralmente opposto all’economia di mercato, vale a dire un’economia pianificata centralmente, ossia il socialismo.

Inadeguatezza nel soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti.

Solo attraverso una pluralità privata di risorse, infatti, può avvenire lo scambio di proprietà.

Lo scambio di proprietà private consente successivamente di attivare quel processo di scoperta e quella calcolabilità che ci porta all’uso di maggiori capacità e conoscenze rispetto a qualsiasi altra procedura.

Di conseguenza, in assenza di una pluralità di proprietà private delle risorse non è possibile avere né uno scambio di diritti di proprietà privata né prezzi di mercato (ma soltanto tariffe fissate d’autorità) e dunque non si dispone di alcuna base per calcolare adeguatamente il valore.

Pensare poi che attraverso lo sviluppo della programmazione matematica e di computer sempre più potenti un’economia pianificata centralmente possa imitare i meccanismi e raggiungere gli stessi risultati di un’economia di mercato è e resterà sempre un’utopia.

Dimostrare, infatti, che alcune equazioni astratte hanno alcune soluzioni altrettanto astratte non significa automaticamente che queste possano essere in seguito di una qualche utilità pratica, in assenza di una pluralità di proprietà private di risorse e di scambio di diritti di proprietà privata.

In un’ottica di pianificazione centrale pertanto si possono descrivere i processi di un’economia di mercato, ma in ogni caso non si è capaci di prevederli, giacché unicamente per mezzo di una pluralità di proprietà private di risorse è possibile conoscere fatti che altrimenti nessuno conoscerebbe e/o che nessuno utilizzerebbe.

In un’economia di mercato gli arbitraggi che esprimono i prezzi assumono un significato razionale sistematicamente e sufficientemente in linea con la realtà oggettiva proprio perché ciascun soggetto può disporre della sua proprietà come vuole ma con il limite di rispettare la proprietà altrui.

Ciò non significa che in un’economia di mercato non si possano verificare episodi di cattive allocazioni delle risorse.

Ciò significa, invece, che in un’economia di mercato le cattive allocazioni delle risorse non avranno mai carattere di sottoproduzioni o sovrapproduzioni sistematiche.

Un’economia di mercato è dunque necessariamente più efficiente di un’economia pianificata centralmente ed è tanto più sana e sostenibile quanto più tutti al suo interno sono liberi di scegliere in piena autonomia decisionale i propri piani, le proprie preferenze e le proprie azioni.

Allo stesso tempo, un’economia di mercato assicura attraverso l’eliminazione dell’uso della forza e della coercizione come modalità a priori di interazione una tendenza al coordinamento dei piani individuali e quindi una tendenza all’equilibrio del mercato preso nel suo complesso.

Gli ostacoli al mercato costituiscono conseguentemente un freno all’aumento della produttività e del benessere diffuso, poiché rappresentano un’opacizzazione del sistema di trasmissione di quell’informazione che emerge da scambi effettuati secondo regole che tutelano in modo sostanziale la proprietà di ciascuno.

Da tutto ciò, non può che discendere, infine, la considerazione che il controllo politico dell’economia, qualsiasi forma esso assuma, rappresenta per definizione un errore epistemologico.

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La soluzione individuale

Von Mises Italia - Lun, 06/02/2017 - 08:09

Tutto il casino che riusciamo a vedere, cosa ci insegna?

Che oggigiorno il denaro a corso legale è quanto di più precario e fragile si possa possedere. Non rappresenta un bene reale da scambiare, ma solo il potere. Ed il potere è transeunte, sic transit gloria mundi. Il potere è una grande illusione contro il tempo e la morte. Il potere è una malattia dello spirito, un segno della fragilità e della imperfezione umana. E più se ne cerca e più si palesa la propria inconsistenza. Sentirsi ricchi perché si possiede un sacco di questo denaro significa illudersi. Significa credere nella continuità del potere che ci impone questo strumento.

Che fare? Convertire questa carta in qualcosa di reale, di utile soggettivamente, ma ricordando che qualsiasi scambio si fonda sulla reciproca accettazione e non ha bisogno di altro, e che pertanto sarà bene disporre sempre di qualcosa che sia il più largamente possibile riconosciuto come idoneo a portare a termine uno scambio profittevole reciprocamente.

Procuratevi asset concreti e cercate di trarne il massimo profitto possibile nella situazione data.

E poi non dimenticate mai la dimensione immateriale della nostra esistenza. Su quella difficilmente qualsiasi potere potrà mai alcunché.

Le cose andranno come devono andare. Fate che il bust si limiti alla loro cartaccia ed alle loro illusioni e non coinvolga i vostri sogni consapevoli. Restate superflessibili. Surfate come potete gli eventi. Non perdete la speranza di farcela. Sfruttate al massimo la precarietà della vita e cercate chi la vede come voi.

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Mises e Hayek: un unico paradigma dei fenomeni sociali

Von Mises Italia - Ven, 03/02/2017 - 08:02

Certamente, per gli scopi della scienza sociale noi dobbiamo partire dall’azione individuo perché essa è la sola cosa di cui possiamo avere conoscenza diretta.

Qualsiasi forma di società è, infatti, operativa nelle azioni degli individui che mirano a fini cercati.

Tuttavia, se i fenomeni sociali non manifestassero altro ordine all’infuori di quello conferito loro da un’intenzionalità programmata, non ci sarebbe posto per alcuna approfondita ricerca teorica riguardante loro.

E’ solo nella misura in cui un certo tipo di fenomeno sociale emerge come risultato dell’azione dei singoli, ma senza essere stato da alcuni di essi pianificato, che si pone davvero il problema di una spiegazione teorica dei fenomeni sociali.

Di conseguenza, non risulta essere contraddittorio affermare che sono gli esseri umani a far funzionare la società, ma la società è un qualcosa che tende a sfuggire agli esseri umani perché (infinitamente) più complessa di loro.

Si può avere così un approccio metodologico nello studio dei fenomeni sociali che nello stesso tempo non sia olista, ma nemmeno rivolto verso un riduzionismo superficiale.

Si respinge la nozione di rappresentazione collettiva e l’idea ad essa collegata di una totalità sociale anteriore ai suoi elementi costitutivi, poiché la conoscenza che mobilita il sistema è inevitabilmente dispersa sull’insieme dei suoi elementi costitutivi e non potrebbe mai venir descritta come una conoscenza del sistema riguardo a sé stesso.

Si accetta però il fatto che può sussistere un salto di complessità dal locale al globale, in quanto data una rete di elementi le cui interazioni sono definite localmente, ne può derivare un ordine sociale globale che osservando le interazioni locali non si era in grado assolutamente di prevedere.

I fenomeni sociali (il denaro, il diritto, il linguaggio, la morale, il mercato, lo Stato, etc.), di norma, non nascono come l’esito di una volontà comune diretta alla loro costituzione.

Questa volontà comune tende più che altro a manifestarsi soltanto negli stadi progrediti dell’evoluzione della vita collettiva e provoca non già la nascita, bensì solo il perfezionamento dei fenomeni sociali sorti e sviluppatisi almeno nelle prime fasi attraverso un’interazione sociale non programmata.

Quel che, di norma, succede è semplicemente che ciascuno cercando di soddisfare un proprio bisogno senza far uso di coercizione su altri individui, finisce anche per favorire il perseguimento dei fini altrui.

Le azioni allora si intersecano e tendono a co-adattarsi il che nel tempo da origine ad un fenomeno sociale spontaneo, cioè non vincolante; spontaneo perché non rientrava nei singoli piani individuali, spontaneo perché nessuno lo aveva previamente programmato.

Non può sussistere un fenomeno sociale spontaneo senza un sistema di regole astratte.

Non possono sussistere regole astratte senza un fenomeno sociale spontaneo.

Un sistema di regole astratte pertanto non può che emergere spontaneamente.

In realtà, i fenomeni sociali spontanei si mobilitano su due livelli e tra questi livelli sussiste un rapporto di “codeterminazione ricorsiva”.

Da una parte il fenomeno concreto: date certe regole astratte, le azioni individuali si organizzano in modo coerente mediante una certa ripartizione dei diritti e delle obbligazioni ed una certa allocazione delle risorse.

Dall’altra il fenomeno astratto: le regole astratte si adattano continuamente alle circostanze ed ai fatti nuovi che scaturiscono dal fenomeno concreto.

Se il fenomeno astratto rappresenta una cornice che detta il passo al fenomeno concreto, nel lungo periodo però il fenomeno concreto finisce per retroagire sul fenomeno astratto.

Questa è la “teoria dell’evoluzione culturale”.

Tuttavia, non è affatto detto che attraverso il processo dell’evoluzione culturale vengano selezionati sempre quei comportamenti che, all’interno del fenomeno sociale spontaneo, vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti.

La viralità di un comportamento, infatti, può dipendere anche da altri fattori cruciali, quali il tempo che viene impiegato a trasmetterlo, gli strumenti con cui viene divulgato, le aspettative che mediante esso si riescono a suscitare.

La suddetta selezione rappresenta quindi solo un orientamento e non anche una legge immutabile della storia ed in quanto tale può in taluni momenti arrestarsi o addirittura subire un’inversione.

Al fine di sostenere quei mutamenti sociali che vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti, fare affidamento esclusivo sulle conseguenze spontanee può non essere sufficiente.

E’ auspicabile e talvolta necessario allora che queste conseguenze spontanee vengano accompagnate da una conoscenza cosciente da parte degli individui sui nessi di causa ed effetto che queste stesse sono in grado di generare nel tempo in modo circolare.

Impiegando la ragione, intesa come conoscenza cosciente, in maniera critica è possibile pertanto convincere gli individui e conseguentemente convogliare le loro azioni verso quella che è la dimensione più oggettiva della realtà.

In conclusione, si può affermare che:

i fenomeni sociali, di norma, sono il frutto di un’interazione sociale non programmata, poiché la ricerca di un interesse individuale ha finito col produrre anche un meccanismo di interazione collettiva che nessuno aveva previamente programmato;

se poi vogliamo che a prevalere sistematicamente, all’interno dei fenomeni sociali spontanei, siano quei comportamenti che vadano maggiormente nella direzione di soddisfare, in maniera persistente nel tempo, il criterio di maggiore utilità per tutti, dobbiamo saper comunicare e convincere gli altri della “superiore lungimiranza” di certi comportamenti piuttosto che di altri.

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Crisi e l’aridità dei numeri

Von Mises Italia - Mer, 01/02/2017 - 08:04

Le Crisi dal XIV secolo ad oggi. Il coinvolgimento delle banche.

1340 RE EDOARDO III D’INGHILTERRA non è in grado di ripagare i banchieri fiorentini che gli avevano presto i soldi per le campagne di guerra. Nel 1345 i banchi dei Peruzzi e dei Bardi falliscono: l’importo è di un milione e mezzo di fiorini (600.000 i Peruzzi, 900.000 i Bardi). Il sistema bancario fiorentino non è più in grado di sopportare un “buco” così ampio e le conseguenze sono catastrofiche. Ovviamente vi è l’effetto domino che trascina con sé gli Antellesi, gli Acciaioli e vari altri banchi, oltre ad un nutrito numero di cittadini fiorentini falliti (350 ad onor di cronaca). Non c’è più liquidità.

1637 LA BOLLA DEI TULIPANI

I primi futures. La bolla dei tulipani ha dato inizio alla prima grande crisi finanziaria tramite l’utilizzo di strumenti finanziari con finalità speculative e coinvolse tutto il sistema economico europeo di quei tempi.

La bolla dei tulipani culminò nella famosa asta di Alkmaar del 5 febbraio 1637, in cui centinaia di lotti di bulbi furono venduti per un ammontare monetario di 90.000 fiorini (l’equivalente di circa 5 milioni di euro), ossia ciascun bulbo fu venduto, al prezzo medio, pari al reddito di oltre un anno e mezzo di un muratore dell’epoca. Poi il crollo. La lobby dei fioristi, gravemente colpita, in questo periodo indusse la giustizia delle Provincie unite olandesi a decretare la trasformazione dei contratti a termine (i futures) in contratti di opzione. In questo modo il detentore del contratto (il fiorista o il commerciante) fu autorizzato a non onorare l’impegno (nei confronti dei contadini o coltivatori) pagando solo una penalità pari al 3,5% del prezzo pattuito, anziché essere obbligato a comprare a prezzi elevatissimi un bulbo che in quel momento aveva un valore di mercato largamente inferiore a quanto previsto nel contratto originario.

1711 LA COMPAGNIA DEI MARI DEL SUD – LA “SOUTH SEA BUBBLE” La Compagnia dei Mari del Sud è una delle tante imprese nate all’inizio del XVIII secolo (e sono delle vere e proprie società per azioni) con gli scopi più disparati. In Francia, in Inghilterra e subito dopo la guerra di successione spagnola, si accumularono forti debiti pubblici, a Parigi ed anche a Londra decisero di riscattare le sorti finanziarie dei paesi affidandosi ad una compagnia commerciale: la “Compagnia dei Mari del Sud”, fondata nel 1711 da Robert Harley, conte di Oxford, e da John Blunt anche con partecipazione pubblica. Il valore delle azioni aumentò fino al 1720 anno in cui fallì per mancanza di prospettiva realistica del commercio. Furono in seguito emanate regole.

1717 LA COMPAGNIA DEL MISSISSIPPI Detta anche Compagnia dell’Occidente fu creata dall’economista John Law. La finalità era quella di commerciare con le colonie francesi del nord America, spacciandola come lo “Eldorado” agli azionisti che, in breve nel 1719, portarono alla triplicazione del valore delle azioni. Poi, come in tutte le bolle si sgretolò la fiducia e un giorno di luglio, nel 1720 il valore dei titoli crollò portando la Compagnia al fallimento. Il panico si diffuse e davanti alla Banque Royale e quindici persone persero la vita nella calca.

1800 LA BOLLA DELLE FERROVIE INGLESI Il motore trainante dell’economia europea fu la rivoluzione industriale del’800. Con queste premesse il commercio triplicò nel giro di pochi anni. Nel contesto l’invenzione del treno dette una spinta all’innovazione che entrò nel mirino degli investitori. Il primo treno fu brevettato nel 1802 da George Stephenson (anche se il primo modello di veicolo a vapore era stato ideato nel 1797 da Richard Trevithick), ed entrò in funzione nel 1804. Il 27 settembre del 1825 fu inaugurata la prima tratta ferroviaria tra Darlington e Stockton. Nel periodo 1850-1870 la rete ferroviaria inglese triplicò in dimensione ed il fenomeno si estese a tutta l’Europa alla fine del XIX secolo creando la nuova era industriale. Tra il 1844 ed il 1847 vi fu una grande corsa ai titoli delle ferrovie e, come sempre accade, subito dopo il crollo mandando in miseria molti speculatori tra i quali George Hudson detto il “Re delle ferrovie”.

 

1819 LE SPECULAZIONI IMMOBILIARI

la prima crisi immobiliare è del 1819 la successiva del 1837. E’ interessante valutare come nell’arco di circa venti di anni: l’economia, i paesi e le persone siano in grado di rimuovere completamente dalla memoria l’esperienza passata.

1873 LA CRISI ECONOMICA PIÙ LUNGA CHE SI RICORDI È QUELLA DURATA DAL 1873 AL 1895; 22 (VENTIDUE) ANNI.

1907 U.S.A LA BOLLA DEL CAFFÈ

Il 1907 viene ricordato come l’iniziò della bolla del caffè ed è conosciuto anche come il Panico dei banchieri del 1907, allorché vi fu un repentino il calo di quasi il 50% dei valori del mercato. La motivazione:

  1. credito facile,

  2. manipolazioni dell’alta finanza,

  3. eccessiva speculazione nel settore immobiliare.

La crisi derivante dalla speculazione nel settore del Rame, che vide coinvolti la H.J. Heinze Company che con la United Cooper e la Guggenheim, innescò il crollo. La perdita di fiducia dei correntisti fece scattare corsa agli sportelli (bank run). Non fallirono solo le banche, ma anche le Società Fiduciarie. Un banchiere si distinse fra tutti JP Morgan apportando parecchia liquidità, anche grazie ad un prestito del governo. Forse, potremmo consideralo come l’ideatore dell’attuale “QUANTITATIVE EASING”; riportando così la calma sui mercati.

1929 MARTEDÌ 29 OTTOBRE

La grave crisi economico-finanziaria del 1929, iniziata negli Stati Uniti d’America, ha sconvolto l’economia mondiale dalla fine degli anni venti fino a buona parte del decennio successivo. Devastanti furono le ripercussioni sociali e politiche. John Kenneth Galbraith ha riassunto i fattori di crisi in alcuni punti:

  1. cattiva distribuzione del reddito,

  2. cattiva gestione e struttura delle aziende finanziarie,

  3. cattiva struttura del sistema bancario,

  4. eccessivi prestiti a carattere speculativo,

  5. eccessivo perseguimento del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale deleterio in assenza della domanda,

  6. infine, la stretta creditizia contribuì ad accrescere la crisi.

Dopo il periodo di stabilità garantito dagli accordi di Bretton Woods, è utile ricordare:

1970/1980: L’INFLAZIONE, SPAURACCHIO DELL’OCCIDENTE

La parola “inflazione” evoca in tutte le persone che hanno vissuto negli anni ’70 e ’80 un mostruoso accadimento di una gravità assoluta e chiunque avesse proposto un rimedio veniva considerato come un’ancora di salvezza. In realtà l’aumento generalizzato dei prezzi non è un male, né un bene in assoluto, ma come molti fenomeni ha effetti diversi a seconda ceto sociale e da chi lo osserva. Per i lavoratori dipendenti l’inflazione è negativa, ma la la cosiddetta “scala mobile” (in Italia) ha attenuato, con l’adeguamento automatico dei salari, il costo della vita. Per tutti gli altri soggetti è stato assolutamente indifferente. Per chi aveva debiti l’inflazione si è rivelata un aiuto perché nel momento della restituzione del prestito il valore era diminuito in termini reali, mentre per tutti quelli che avevano crediti l’inflazione si è rivelata un danno per le ragioni contrarie di cui sopra.

1973 LA PRIMA CRISI ENERGETICA Il “miracolo economico” degli anni ’60 ha prodotto una crescita impressionante del Prodotto Interno Lordo (PIL): per esempio in Giappone per circa un decennio il P.I.L. è aumentato in media di circa il 10% l’anno, in Italia del 5,4% l’anno. All’inizio degli anni ’70 c’era già un ridimensionamento della spinta del “miracolo economico” ed ecco subentrare prepotentemente l’aumento scioccante del costo dell’energia dando il colpo definitivo a tutte le speranze della continuità di crescita.

1979 BOLLA IMMOBILIARE USA

1979 LA SECONDA CRISI PETROLIFERA

1982 MESSICO INSOLVENTE

1985 BANCAROTTA BANCHE LOCALI USA

Le “Savings and Loans” Banks (Casse di risparmio e credito). Delle 3362 casse 450 Casse sono insolventi. La causa: edilizia e credito al consumo.

1987 LUNEDI’ 19 OTTOBRE CROLLO WALL STREET

L’indice Dow Jones Industrial perde in un solo giorno il 22,61%.

1989 NUOVA BOLLA IMMOBILIARE NEGLI STATI UNITI

1989 BOLLA IMMOBILIARE GIAPPONESE

E’ INTERESSANTE NOTARE CHE: TRA IL 1795 E IL 1998 IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE HA CONTATO 212 (duecentododici) CRISI.

1992 CRISI VALUTARIA E LA FINE DELLO S.M.E. (Sistema Monetario Europeo)

1994 CRISI DEL MESSICO

Nei primi anni ’90 venne introdotta la liberalizzazione delle transazioni finanziarie facendo affluire, in Messico, ingenti capitali. Per combattere l’elevata inflazione di quegli anni, la valuta messicana si ancorò al dollaro statunitense (peso/dollaro) fissando così i tassi a livelli più elevati per incentivare gli investitori a detenere pesos. L’ancoraggio al dollaro si trasformò in un boomerang, anche per la impossibilità di utilizzare lo strumento della svalutazione facendo così perdere competitività al Paese sui mercati internazionali, con un calo delle esportazioni ed un progressivo aumento del deficit della bilancia commerciale. Tra il settembre 1994 e l’aprile 1995, il peso si svalutò di quasi il 100 per cento (da una parità centrale di poco più di 3 pesos per dollaro a una parità di 6 nuovi pesos per 1-uno- dollaro americano).

1997 LA CRISI DEL SUD EST ASIATICO

La crisi valutaria. In questa crisi valutaria, è stata ben studiata a tavolino da speculatori molto aggressivi, la più colpita fu la Thailandia ancorata: bath/dollaro, trovandosi a dover fronteggiare un debito estero insostenibile. Il sistema bancario tailandese è risultato molto vulnerabile perché si era indebitato in dollari a breve termine ed aveva erogato credito in bath a lungo termine. Nel luglio 1997 la Banca centrale tailandese decise la svalutazione ed in seguito ad una serie di attacchi speculativi, da parte di fondi di investimento internazionali, il bath finì per deprezzarsi di circa il 60%. Per ripristinare la fiducia nel mercato, il F.M.I. concesse prestiti condizionati a “riforme strutturali” con:

  • tagli alla spesa pubblica,

  • aumento della pressione fiscale,

  • maggiore apertura e trasparenza del sistema finanziario,

  • oltre ad una riforma della legislazione su banche e istituti di credito.

1997 – 98 CRISI DELLA RUSSIA

Contagio a banche ed economia reale. La crisi valutaria innesca inevitabilmente una crisi del debito sovrano russo, che ha pesanti riflessi sul sistema bancario, con una rilevante esposizione verso il debito pubblico domestico accompagnato dalla chiusura del mercato interbancario. Il default degli istituti di credito venne evitato grazie a numerosi interventi a sostegno. Anche l’economia reale registra un calo del P.I.L. pari al 5% nel 1998. Il 2 settembre del 1998 venne definitivamente abbandonato l’ancoraggio rublo/dollaro. Il tasso di cambio passa in pochi giorni da 6 rubli per dollaro a 21 rubli per dollaro.

1997 – 2000 LO SCOPPIO DELLA BOLLA DELLE COSI’ DETTE “DOTCOM”

Una bolla speculativa generata e sviluppatasi attraverso la classica sequenza:

  1. estrema fiducia da parte degli investitori nelle potenzialità di un prodotto/azienda,
  2. crescita rapida del prezzo del prodotto,
  3. evento che fa vacillare le aspettative di importanti guadagni,
  4. elevati flussi di vendite,
  5. crollo finale del prezzo del prodotto.

La New Economy si contrappone alla Old Economy basata prevalentemente sul settore manifatturiero. In pochi anni si assiste al sorprendente sviluppo di aziende operanti nel settore Internet o nel settore informatico, chiamate appunto Dot-com companies (dal suffisso “.com” -punto com-), agevolate anche dal basso costo del capitale in un contesto di bassi tassi di interesse (tra il 1995 e il 1999 la Banca Centrale degli Stati Uniti riduce il tasso ufficiale dal 6% al 4,75%). IN ITALIA LE AZIONI DELLA TISCALI SUPERANO, PER CAPITALIZZAZIONE, LA FIAT.

1998 SALVATAGGIO DEL FONDO LONG TERM CAPITAL MANAGEMENT

Il fondo fu istituito nel 1994 da John Meriwether ed il suo team della Salomon Brothers basato sui modelli matematici creati dai premi Nobel Robert C. Merton e Myron Scholes. Lo hedge fund aveva in gestione un capitale di 4 miliardi di dollari e li utilizzarono per operazioni di arbitraggio economico, con le leve finanziarie, ed ebbero rendimenti di circa il 40 % annuo. Naturalmente tutte le cose “belle” finiscono e per salvare il fondo nel 1998 intervenne direttamente la Federal Reserve evitando così il peggio.

1998-99 Brasile

Verso la fine 1998 forti vendite di obbligazioni brasiliane, pubbliche e private, innescarono pressioni sul tasso di cambio, sopravvalutato rispetto ai fondamentali economici del Paese. Anche in questo caso il rapporto era real/dollaro che si rivela presto insostenibile. Nell’ottobre del 1998 il FMI vara un programma di aiuti finanziari, per un ammontare complessivo di oltre 41 miliardi di dollari, al fine di attenuare gli squilibri finanziari, richiedendo un piano di aggiustamento fiscale. Le risorse messe a disposizione del FMI consentirono di sostenere il real brasiliano solo temporaneamente: nel gennaio 1999 il Brasile abbandona il regime di cambi fissi con il dollaro e nei due mesi seguenti il real subisce un deprezzamento di circa il 40%.

2001 ARGENTINA

L’ingente debito accumulato nel corso delle lunghe dittature militari ed il rigido ancoraggio del peso/dollaro portano alla crisi. Nel 1999 il PIL argentino diminuisce del 4% ed il paese entra in recessione. Il governo decide di non abbandonare il cambio fisso con il dollaro e questo contribuisce a peggiorare la situazione. Nel 2001 l’incertezza per una svalutazione innesca una corsa agli sportelli bancari (bank run) da parte dei correntisti che ritirano pesos per convertirli in valuta pregiata. Le misure restrittive imposte dal governo per arginare i prelievi provocarono in poco tempo una vera e propria rivolta popolare. La diffusione in Italia dei bond argentini. L’appetibilità dei tassi delle obbligazioni argentine sono presenti nel portafoglio di circa 430.000 clienti retail italiani che ne detengono per complessivi 12,8 miliardi di euro.

2001 FALLIMENTO DELLA ENRON

Fallimento Enron: trucchi contabili, aiuti politici ed aiuti ai politici sono alla base della disastrosa gestione di Enron. Questo grande raggiro è costato molto anche ai fondi pensione statunitensi.

2002 FALLIMENTO WORLDCOM

Il colosso truccava i bilanci, dicendo che guadagnava ma non era vero. Questo fallimento molti lo ritengono l’ENRON al quadrato. Praticamente è un falso in bilancio galattico e ricorda molto la Compagnia dei Mari del Sud.

2007-2009 LA CRISI FINANZIARIA La crisi finanziaria dei mutui subprime ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 2006. Le basi della crisi risalgono al 2003, quando si comincia ad aumentare in modo significativo l’erogazione di mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero mai ottenuto credito, poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie. I fattori che hanno stimolato la crescita dei mutui subprime sono riconducibili anche alle dinamiche del mercato immobiliare statunitense e allo sviluppo delle cartolarizzazioni (cessione di attività e/o passività, beni e/o debiti di privati o di crediti di una società a titolo oneroso).

La bolla immobiliare. Dal 2000 e fino alla metà del 2006, negli Stati Uniti i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in maniera costante e significativa, generando una vera e propria bolla immobiliare. La dinamica era favorita dalla politica monetaria accomodante della Federal Reserve (FED), che mantenne i tassi di interesse bassi fino al 2004, in risposta alla crisi della bolla Internet e all’attacco dell’11 settembre 2001.

La politica monetaria. Tassi di interesse bassi, uguale (=), basso costo del denaro per le famiglie, che richiedevano i mutui ipotecari, finendo con lo stimolare la domanda di abitazioni e alimentandone i prezzi. La bolla immobiliare, inoltre, rendeva conveniente la concessione di mutui da parte delle istituzioni finanziarie che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il denaro prestato attraverso il pignoramento e la rivendita dell’abitazione.

La cartolarizzazione immobiliare, i bassi tassi di interesse e la crescita dei mutui subprime sono stati lo sviluppo delle operazioni di cartolarizzazione, ossia la possibilità per gli istituti creditizi di trasferire i mutui, dopo averli “trasformati” in un titolo, a soggetti terzi (le cosiddette “società veicolo”) e recuperando buona parte del credito, immediatamente, che altrimenti avrebbero riscosso solo al termine dei mutui stessi (10, 20 o 30 anni dopo). La cartolarizzazione consente alle banche, di liberarsi del rischio di insolvenza dei mutuatari ed indebolendo l’incentivo e la corretta valutazione dell’affidabilità dei clienti. Le società veicolo, a loro volta, finanziavano l’acquisto dei mutui cartolarizzati mediante l’offerta agli investitori di titoli a breve termine. VERA E PURA SPECULAZIONE!

2008 BOLLA DEL RODIO Il rodio è un metallo appartenente a gruppo del platino. Altrettanto misteriosa fu la bolla del Rodio del 2008 con valutazioni incredibili.

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO DEL 2010-2011 La crisi si è sviluppata nei paesi periferici dell’eurozona (Portogallo, Irlanda e Grecia) per poi estendersi nel corso del 2011 a Spagna e Italia.

La crisi e le misure di contrasto. A maggio 2010 i Paesi dell’eurozona ed il FMI hanno approvato un prestito di salvataggio per la Grecia di 110 miliardi di euro (30 da parte del FMI). Nel mese di novembre è emersa la crisi del sistema bancario irlandese: il Governatore della banca centrale irlandese ha comunicato che le perdite delle banche domestiche ammontavano a 85 miliardi di euro (pari al 55% del PIL) e le istituzioni europee con la partecipazione del FMI hanno approvato un piano di sostegno per un ammontare pari a 85 miliardi di euro. A maggio 2011, UE, BCE e FMI (la cosiddetta Troika) hanno concesso un prestito di 78 miliardi di euro anche al Governo portoghese.

 

2017 ULTIMISSIMI DATI

GIAPPONE: rapporto P.I.L./Debito 236%

CINA: rapporto P.I.L./Debito 250%

U.S.A.: rapporto P.I.L./Debito 101%

 

2016 ELENCAZIONE SPARSA DI DATI E’ da sottolineare che dal 1720 al 2010 si sono registrate circa 55 (cinquantacinque) grandi crisi finanziarie (Kindleberger, 2005; International Monetary Fund, 2010). Le grandi crisi finanziarie ricorrono mediamente ogni 6 anni.

Unimpresa: “Ricchezza famiglie calata di 120 miliardi in un anno”.

E’ crollata di quasi 120 miliardi di euro in un anno la ricchezza finanziaria degli italiani!

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Mises e Hayek: un’unica visione dell’azione umana e della conoscenza

Von Mises Italia - Lun, 30/01/2017 - 08:59

L’essere umano non è soltanto homo sapiens, ma anche homo agens.

Tuttavia, gli esseri umani che per difetti di nascita o acquisiti sono inevitabilmente inadatti all’azione nel senso stretto del termine, non possono essere considerati homo agens.

Anche il neonato non è un homo agens, perché non ha ancora percorso l’intera via della concezione al totale sviluppo delle sue qualità umane; solo alla fine della sua evoluzione diviene un uomo agente.

Scopo ultimo di ogni azione dell’uomo agente è sempre la soddisfazione di un suo desiderio e non sussiste misura di maggiore o minore soddisfazione all’infuori dei giudizi individuali di valore, differenti da persona a persona e da tempo a tempo per la stessa persona.

La prasseologia ci dice che qualunque azione dell’uomo agente è mossa dalla volontà di ottenere uno stato di cose più soddisfacente rispetto ad uno che lo è meno.

Tuttavia, la prasseologia non tratta dei moventi o dei fini ultimi ma si occupa dell’azione dell’uomo agente sotto l’ottica dei mezzi applicati all’ottenimento di un fine cercato.

In tal senso, l’azione dell’uomo agente, anche quella partorita da un impulso decisamente emotivo, non può che essere qualificata come sempre razionale, poiché i mezzi che l’uomo agente sceglie per la loro soddisfazione sono sempre determinati da una considerazione di spesa e risultato.

Ciò, ovviamente, non esclude che le azioni dell’uomo agente possano fallire nel raggiungere l’obiettivo prefissato e quando questo accade, è perché la percezione soggettiva della realtà non è sufficientemente in linea con la dimensione oggettiva della stessa.

Il contrario dell’azione dell’uomo agente non è allora l’azione irrazionale, bensì la reazione a stimoli degli organi e degli istinti corporali controllabili dalla volizione.

Asserito quanto, le regole che governano l’azione dell’uomo agente nel mondo fisico e sociale non sono pienamente esplicitabili attraverso una teoria.

Accanto ad una conoscenza cosciente, codificata ed esprimibile con flussi comunicativi strutturati, esiste quindi una cosiddetta conoscenza tacita, situata a livello inconscio, che è legata al contesto di riferimento, che è impossibile da formalizzare chiaramente e distintamente e che può essere acquisita solo mediante un apprendimento attraverso la pratica.

Tuttavia, la conoscenza cosciente è sempre il risultato di un’intuizione o di un atto di creazione, che altro non sono che manifestazioni di una conoscenza tacita.

Ciò significa che la conoscenza umana si sviluppa tramite un percorso che da tacito si estende progressivamente al cosciente.

In ogni caso però non tutta la conoscenza tacita riesce a divenire anche conoscenza cosciente.

In tal senso, non esiste comunque un’azione dell’uomo agente che possa definirsi irrazionale, ma ogni azione si fonda sempre su una dimensione della conoscenza tacita precedentemente interiorizzata nella mente individuale.

L’essere umano non ha iniziato ad azionare il mercato allorché è stato in grado di codificare e trasmettere con flussi comunicativi strutturati i vantaggi di questa attività.

L’essere umano ha invece iniziato ad azionare il mercato perché mosso da una conoscenza che era capace di applicare ma non in grado di spiegare sul come rimuovere quella tendenza al disequilibrio presente nella vita individuale.

Inoltre, imparare a fare mercato non è un qualcosa che possa essere trasmesso da uomo agente ad altro come un elenco di istruzioni, giacché imparare a fare qualcosa non equivale ad imparare qualcosa.

Il mercato è un fenomeno sociale sorto per via spontanea, ossia da un’interazione sociale non programmata e quello che vale per il mercato vale anche per tutti gli altri fenomeni sociali sorti alla stessa maniera.

I fenomeni sociali spontanei pertanto sono sempre il risultato di azioni umane razionali, ma queste azioni non hanno il loro punto di origine in una conoscenza cosciente, bensì in una conoscenza tacita.

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Concetti Economici : Le Istituzioni e l’Economia nel Medioevo, Parte 1

Von Mises Italia - Ven, 27/01/2017 - 08:00

Per comprendere le istituzioni e i concetti del periodo storico solitamente definito “Medioevo” si deve tener conto che questo copre un arco temporale che spesso è diviso in periodi più brevi, ciascuno dei quali ha dei tratti e delle caratteristiche unici e propri. Inoltre, ogni parte dell’Europa ebbe un proprio sviluppo in termini di tradizioni e usanze. Una sola istituzione abbracciò l’intero continente europeo per la maggior parte di questo periodo – la Chiesa Cattolica.

Solitamente l’inizio del Medioevo si fa coincidere con la caduta dell’Impero Romano nel 476 D.C., con le invasioni Barbariche. La fine del Medioevo si pone solitamente intorno all’anno 1500. Dopo questa data avvennero cambiamenti epocali nella storia dell’Europa e anche in tutto il mondo, che trasformarono l’aspetto della società Europea. Alle soglie del millecinquecento ci fu anche la Grande Riforma Religiosa nota come Protestantesimo. Questa segnò l’inizio della “scoperta” del “Nuovo Mondo” da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e della circumnavigazione dell’Africa verso l’India nel 1498.

Subito dopo il 1500, s’iniziò a utilizzare la bussola, che modificò radicalmente la capacità di viaggiare per lunghe distanze senza dover più far affidamento ai cieli limpidi per poter “leggere” le stelle o alla navigazione a vista terra. S’introdusse anche l’utilizzo della polvere da sparo, che trasformò i conflitti. E iniziarono a manifestarsi quelle forze intellettuali che alla fine condussero all’Età della Ragione e all’Illuminismo nel diciottesimo secolo.

 

Vita Rurale e Auto-Sussistenza nel Sistema della Signoria Fondiaria

Oggi, negli Stati Uniti, meno del 3 percento della forza lavoro è occupata nel settore agricolo o in attività collegate all’agricoltura, inoltre questa piccola percentuale della forza lavoro Americana riesce a sfamare la maggior parte della popolazione del paese e molto di quello che avanza, è esportato per il sostentamento di altre zone del mondo. Tutto ciò contrasta fortemente con la vita nel Medioevo. E’ stato stimato che una quota compresa tra l’80 e il 90 percento della popolazione europea viveva nelle campagne e dedicava quasi tutto il proprio tempo alla produzione di cibo. La rimanente quota tra il 10 e il 20 percento della popolazione era impegnata in piccole e semplici attività artigianali e commerciali nelle città, altri fornivano servizi personali alla nobiltà o erano dei membri della Chiesa Cattolica e, quindi, provvedevano ai bisogni religiosi delle persone.

Nella maggior parte dell’Europa Medioevale l’agricoltura era basata sulla Signoria Fondiaria. Le unità sociali locali ruotavano intorno al “Maniero,” o residenza del “Signore” il quale era proprietario di tutta la terra e per mezzo dell’elevato grado di potere e legittimazione di cui godeva, governava tutto ciò che riguardava l’utilizzo delle terre e le persone che vi abitavano sopra. Il sociologo Tedesco, Franz Oppenheimer, nel suo libro, Lo Stato (1915) e l’economista Americano, Mancur Olson, nel suo Potere e Prosperità (2000), sostenevano entrambi che lo Stato moderno ebbe origine dalla conquista di un territorio da parte di bande di saccheggiatori nel momento in cui questi decisero di stabilirsi permanentemente e governare quei luoghi che avevano conquistato e depredato. Lo Stato divenne la struttura politico istituzionale che legittimò i conquistatori strutturando le loro regole non come delle continue estorsioni finalizzate solo al loro arricchimento, ma anche come un’opportunità per chi era stato sottomesso e saccheggiato grazie ai benefici che ne avrebbe tratto dalle leggi, dall’ordine e da alcune utili infrastrutture che i padroni conquistatori avrebbero fornito a tutti. Ogni maniero era un’entità economica per lo più autosufficiente dove si produceva quanto necessario ai membri locali. Nel maniero, oltre a produrre cibo, si allevava il bestiame, si macinava il grano per la produzione del pane, si filavano i vestiti, e si producevano e custodivano la maggior parte degli attrezzi agricoli e di produzione. Le caratteristiche principali dei manieri erano tre: riunivano le attività economiche e politiche in un’unica istituzione; ricorrevano ampiamente all’utilizzo del lavoro forzato per l’esecuzione di molti compiti e doveri; erano estremamente autosufficienti.

La Signoria Fondiaria era parte di un più ampio Sistema Feudale. Il Feudalesimo era un sistema nel quale gli occupanti e gli utilizzatori della terra, che vi lavoravano e vivevano sopra, non ne erano anche proprietari; erano degli “inquilini” del “sovrano” – il Signore del Maniero – la cui autorità era legittimata dalla sua disponibilità a fornire militarmente protezione agli occupanti. L’aspetto distintivo del Signore del Maniero si basava sul suo essere capo politico e datore di lavoro e i due ruoli non erano considerati separati. Come spiegava lo storico Francese Marc Bloch nel suo libro La Società Feudale (1939):

Il Signore, dai suoi contadini, non ricavava soltanto ingenti guadagni e un altrettanto valida forza lavoro. Non riceveva solo una rendita dalla terra e i benefici dei servizi resi; era anche un giudice, era spesso – se faceva il suo dovere – un protettore, e sempre un capo, al quale dovevano obbedire e fornire aiuto con un impegno generico ma molto concreto, oltre a chi aveva qualche legame più personale e più vincolante, anche coloro che “detenevano” o vivevano sopra la terra da lui ricevuta.

Pertanto, la Signoria non era semplicemente un’impresa economica che permetteva l’accumulo dei profitti nelle mani di un uomo forte. Rappresentava anche un’autorità centrale, nel senso più ampio della parola;

i poteri del capo non erano circoscritti, come avviene solitamente nelle imprese, al lavoro svolto nei “ locali aziendali”, ma influivano sulla vita intera di un uomo e agivano congiuntamente con il potere dello stato e della famiglia, spesso sostituendoli.

Come tutte le unità sociali organizzate più sviluppate, la Signoria, aveva un suo apparato giuridico, come una norma consuetudinaria, che regolava le relazioni tra i sottoposti e il Signore e definiva precisamente i limiti del piccolo gruppo per il quale queste regole tradizionali erano vincolanti.”

Il secondo elemento del Sistema Signorile era il lavoro forzato. I contadini o i servi che occupavano la terra, avevano il diritto di coltivare per loro stessi una parte della terra del Signore in cambio del loro lavoro per la coltivazione della restante parte della terra a beneficio del Feudatario. I contadini pagavano anche molti tributi sotto forma di denaro (ricavato dal grano coltivato sulla terra concessa in uso per i loro bisogni e venduto nelle città e nei villaggi locali), e sotto forma di altri servizi resi, come l’obbligo di costruzione e manutenzione delle strade in alcuni momenti dell’anno.

 

La Vita di Regime all’interno del Maniero

I contadini erano controllati, sorvegliati, redarguiti e obbligati a svolgere diversi compiti dalla mattina alla sera. Questi dovevano lavorare la terra del Signore; ogni giorno dovevano svolgere sui campi una determinata quantità di lavoro, compreso il prendersi cura del bestiame del Signore (mucche, cavalli, galline, maiali ecc.), assicurarsi che la terra di quest’ultimo fosse propriamente concimata, e riparare e curare la manutenzione dei suoi attrezzi e dei suoi strumenti. Potevano dedicarsi alla cura dei loro appezzamenti agricoli per ricavarne un sostentamento per la propria famiglia, solo dopo aver completato il lavoro sulla parte di terra del Feudatario. Erano controllati e sorvegliati con attenzione, poiché il loro fine principale era quello di completare il lavoro sulla terra del Signore il più presto possibile per poter così dedicarsi alla cura del proprio appezzamento e trarne un beneficio. Marc Bloch così spiegava:

Gli agricoltori dell’appezzamento, dovevano dedicare a questo Signore, così lo chiamavano, prima una parte più o meno importante del loro tempo; giorni di lavoro agricolo dedicati alla coltivazione dei campi, dei terreni, e dei vigneti della sua proprietà [fondiaria]; servigi di spostamento e trasporto su carro; e alcune volte servizi di edificazione e artigianato. Inoltre erano obbligati a versare al Signore una considerevole parte del proprio raccolto, alcune volte sotto forma di canoni, altre sotto forma di tasse in denaro, in questo caso il loro accordo si basava su un preliminare scambio di prodotti per denaro. Gli stessi campi coltivati non erano nella loro piena proprietà, neanche la loro comunità – almeno nella maggior parte dei casi – godeva della piena proprietà di queste terre sulle quali erano esercitati i diritti comuni.

Ma si usava dire che“erano”del Signore, intendendo con ciò che come possidente terriero quest’ultimo era titolare di un diritto superiore su di esse, attestato dalle quote che gli spettavano, e in grado, in alcune circostanze, di prevalere sui diritti concorrenti dei singoli coltivatori e della comunità.”

I contadini, o servi, nascevano su queste terre e vi trascorrevano tutta la propria vita. Tra questi, solo pochi si erano mai spostati per più di 30 miglia dal proprio luogo di nascita. Se una Feudatario decideva di vendere uno dei suoi manieri a un altro nobiluomo, nella vendita erano inclusi non solo la terra, il bestiame, e gli strumenti da lavoro, ma anche la servitù che vi abitava. L’unico modo per sottrarsi a questo regime di schiavitù del Maniero, era quello di scappare e nascondersi in una delle città Medievali per un anno e un giorno. Trascorso questo tempo, il contadino, o servo, era considerato un “uomo libero.” Infatti, nel Medioevo, si usava dire, “L’aria di città ti rende libero.”

 

Il Commercio e gli Scambi nelle Città

Mentre i manieri erano ampiamente in grado di sostenersi tramite un sistema di auto sussistenza piuttosto completo, le città e i suoi residenti acquisivano quanto necessario con il commercio. Si trattava quindi, di un’economia di mercato. Ma il commercio, il mercato e lo scambio di denaro richiedono un sistema giuridico relativo ai diritti di proprietà che disciplini la proprietà individuale e un sistema di leggi e norme che disciplini i contratti tra gli operatori economici.

Infatti è proprio nelle città Medievali che iniziarono a sorgere le istituzioni economiche, giuridiche e sociali che sono i prerequisiti essenziali per lo sviluppo di un’economia di mercato complessa ed estesa. Possiamo osservare i fondamenti del capitalismo moderno nelle aree urbane dell’Europa Medievale, con le sue tradizioni e le tutele giuridiche dei diritti individuali, la proprietà privata, e l’esigenza di un ordine economico all’interno del quale ognuno soddisfa i propri bisogni servendo gli altri con il commercio e la produzione – e un’interdipendenza che è la conseguenza naturale di un sistema di divisione del lavoro basato sullo scambio. Anche se durante questo periodo emergevano lentamente le istituzioni della proprietà e del contratto, sarebbe un grande errore credere o affermare che la vita delle città Medievali riflettesse un’impostazione di libero mercato. Anzi, era il contrario. La concorrenza come la conosciamo noi oggi non esisteva, e sarebbe stato considerato un modo di fare affari pericoloso e non auspicabile. I prezzi e i salari erano tutti controllati sulla base dei concetti di “equità” e “giustizia” così come si concepiva all’epoca.

Il patrimonio comune e la gestione della proprietà nelle città erano una pratica comune in molte aree. Per esempio, un pascolo comune sul quale gli abitanti delle città facevano pascolare il proprio bestiame; il mulino per il grano sotto il controllo della città, e la possibilità di utilizzare le infrastrutture comunali da parte di tutti i residenti della città; spesso i forni, i panifici e i luoghi di mercato erano di proprietà comune e gestiti in maniera simile.

 

Corporazioni Medievali ed Economia Regolamentata

Il vero meccanismo istituzionale che regolava l’economia nelle città Medievali erano la“corporazioni.” Le “corporazioni” erano delle associazioni di categoria che davano l’autorizzazione per il commercio nella città e stabilivano i termini e le regole in base alle quali i beni o i servizi potevano essere prodotti e offerti sul mercato. I mercanti stranieri erano autorizzati a commerciare in città solo in virtù di permessi speciali. I loro spostamenti erano monitorati, non gli era permesso vendere “sottocosto” rispetto al prezzo praticato in città, e potevano vendere solo i beni di un certo tipo o qualità. Le “corporazioni” stabilivano tra gli abitanti della città: Le regole per l’apprendistato – chi e quante persone potevano iniziare una professione o un’occupazione ogni anno sotto la guida di un “maestro” membro di una corporazione; i materiali e i processi che potevano essere utilizzati per la produzione dei beni; gli orari di apertura dei negozi; che i beni non potevano essere ritirati dagli scaffali fino a un certo orario della giornata, e che potevano essere venduti solo sui mercati controllati dalla corporazione; era stabilito un minimo e un massimo per tutti i prezzi dei beni e delle risorse e fuori questa fascia scattava la violazione delle regole di condotta della corporazione con i conseguenti procedimenti penali. Sir William Ashley, nel suo “Un’Introduzione alla Teoria e alla Storia Economica Inglese (1909) ”riporta alcuni episodi relativi a questi regolamenti e alla loro applicazione:

Nell’anno 1311, Thomas Lespicer da Portsmouth aveva portato a Londra sei vasi di lamprede di Nantes

[un animale acquatico simile all’anguilla con una bocca aspirante senza mascelle]. Anziché collocarsi per quattro giorni, dopo il suo arrivo sul mercato, sotto il muro della chiesa di Santa Margherita su Bridge Street con le sue lamprede [come prevedeva la legge], le portò a casa di Hugh Malfrey, un pescivendolo. Lì le insaccò, e qualche giorno dopo gliele vendette, senza portarle sul mercato. Furono portati davanti al sindaco e all’assessore, confessarono la loro colpa, e furono perdonati; Thomas giurò che in seguito avrebbe sempre venduto le lamprede solo nei luoghi adibiti a ciò, e Hugh giurò che avrebbe sempre indicato agli stranieri dove questi avrebbero dovuto portare le loro lamprede…

[Nell’anno 1364] John Atwood, un fornaio, fu incriminato davanti al sergente legale (antico giudice medievale) per il seguente reato: “Considerando che Robert de Cawode aveva due quarti di grano sul marciapiede da vendere sul mercato legale all’interno di Newgate, egli, tale John, abilmente e sussurrando parole segrete alle sue orecchie, allontanava Cawode dal mercato legale in maniera fraudolenta; poi si recarono insieme alla Chiesa dei Frati Minori e John comprò i due quarti [di grano]a 15,5 centesimi a bushel, mentre a quel tempo il prezzo legale di vendita sul mercato era di 2,5 centesimi a bushel, ingannando e danneggiando così la gente comune e rendendo più caro il prezzo del mais. Atwood respinse l’accusa… Allora, si costituì una giuria della sede di Newgate che emanò un verdetto secondo il quale Atwood non solo aveva comprato il mais [grano], ma era poi tornato sul mercato, vantandosi dei suoi misfatti; fece e disse questo al fine di incrementare il prezzo del mais. Di conseguenza, fu condannato alla gogna per tre ore, e uno dei giudici fu incaricato di seguire la proclamazione e l’esecuzione della pena inflitta in conseguenza dei reati commessi.”

La logica delle corporazioni, delle loro norme e delle normative sui prezzi, sulla produzione, e sull’accesso a mestieri e professioni era, secondo loro, quella di mantenere i prezzi a dei livelli ragionevoli per i consumatori e garantire una qualità minima dei beni offerti sul mercato. Infatti, le corporazioni servivano a monopolizzare legalmente il commercio all’interno dei mestieri e delle professioni. Il loro effetto era anche quello di ritardare qualunque miglioramento della qualità dei beni, o della varietà delle merci offerte sul mercato. E disincentivavano gli artigiani e i professionisti da qualunque tentativo volto a ridurre i loro costi di produzione per incrementare i loro ricavi offrendo i loro beni a prezzi ridotti e più attraenti. Tutte queste attività – miglioramento della qualità, aumento della varietà, diminuzione dei prezzi di vendita – erano dichiarate pratiche commerciali “ingiuste” e “inique” che avrebbero danneggiato tutti gli uomini “onesti” nelle diverse linee di produzione e commercio. Tale condotta di mercato, così si diceva, avrebbe destabilizzato, nel lungo termine, i mercati, alterato gli standard tradizionali di fare affari e danneggiato sia i produttori sia i consumatori. Era preferibile controllare e limitare l’offerta, i metodi di produzione, i prezzi e i salari entro confini ben definiti e abituali per assicurare una “stabilità” alla città e al commercio quotidiano.

 

Le “Fiere Libere” una Strada verso Mercati più Liberi

Sarebbe scorretto affermare che non c’erano opportunità o innovative modalità di commercio. Tra queste, la Fiera Medievale fu quella di maggior successo. Una fiera commerciale richiedeva di solito l’autorizzazione del re, ed era rilasciata più frequentemente a un signore locale o un’autorità della chiesa, i quali agivano come “sostenitori” dell’evento. Le fiere erano organizzate soprattutto agli incroci delle strade più famose e maggiormente battute dai viaggiatori, e spesso erano i luoghi dove prendevano vita i centri abitati che in seguito sarebbero diventati delle città famose. Le date erano scelte per coincidere con festività religiose o altre vacanze, che avrebbero così radunato molte persone. Potevano durare pochi giorni o anche fino a sei settimane. Le fiere più importanti e di maggior successo divennero istituzioni nazionali o internazionali in tutta Europa, e attraevano mercanti e commercianti da tutte le parti del continente. Oltre ad essere un luogo dove fare affari, le fiere, erano un’occasione di svago, intrattenimento sociale e festa, con attrazioni, animali selvatici, orsi danzanti, maghi, musicisti, e “fenomeni da baraccone.”

Il duca o il vescovo che ospitavano la fiera per promuoverla e garantire il suo successo, avrebbero esonerato dal pagamento delle consuete tasse, dai pedaggi e dai regolamenti commerciali, tutti i mercanti, i venditori, e commercianti che si fossero recati a visitarla, e per tutto il periodo di stazionamento presso la fiera. I nobili e i religiosi promuovevano le fiere per ottenere un guadagno personale – ricevevano, infatti, commissioni speciali e tasse da parte dei commercianti e negozianti che partecipavano all’evento. Il contesto di relativo libero commercio che gravitava intorno alle fiere era tale che queste erano chiamate “ fiere libere.” Questo sistema delle fiere commerciali aveva due importanti funzioni:

Primo, agivano come mezzo tramite il quale le differenti parti dell’Europa potevano avere regolari contatti, anche se non frequenti, le une con le altre, ed entrare in contatto con le diverse tipologie e qualità dei beni e i diversi metodi di produzione;

Secondo, introducevano i concetti di norme commerciali, di contratto, e di diritti di proprietà, in un contesto istituzionale all’interno del quale i guadagni derivanti dal commercio dimostravano che quando i pedaggi, i regolamenti e le tasse non ostacolavano rigidamente la libera circolazione dei beni e delle persone, si creavano allora potenziali opportunità per benefici e profitti reciproci. Le persone iniziavano a capire quali sono i vantaggi di un commercio più libero. In sintesi: la vita sociale, politica ed economica nel Medioevo ruotava intorno a due istituzioni:

La Signoria Fondiaria nelle campagne, dove la vita si basava su una relativa auto sussistenza e dove tutto ciò che era necessario per vivere, era coltivato, prodotto e lavorato, all’interno dei confini della rispettiva proprietà terriera dei Signori, e dove questi ultimi avevano virtualmente il controllo su tutta la vita politica ed economica.

Il sistema delle corporazioni nelle città, che erano la sede del commercio, della manifattura, dell’artigianato, e di altre specializzazioni, e dove si realizzava lo scambio dei viveri e dei beni agricoli tra le persone che abitavano i latifondi e gli abitanti della città. Persino con l’emergere della valorizzazione e del riconoscimento dei diritti di proprietà e dei rapporti contrattuali legali per il commercio e gli scambi nelle città, il sistema economico era comunque basato su una rigorosa regolamentazione dei prezzi, della produzione e dell’accesso alle corporazioni artigiane e professionali. La struttura del Sistema Signorile e delle Corporazioni implicava anche che il centro dell’economia, le appartenenze politiche, e le relazioni sociali, tendevano a essere limitate entro confini geografici molto stretti. Per la gran parte di questo lungo periodo della storia – oltre alle periodiche “Fiere Libere” – erano molto poche le occasioni d’interazione politica o economica che potevano unire le varie parti dell’Europa o comunque si attribuiva a queste un’importanza limitata.

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Dove le cose hanno un senso

Von Mises Italia - Mer, 25/01/2017 - 08:21

Io dico che queste mura sono strane: prima le odi, poi ci fai l’abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato …

È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono. La parte che conta, almeno.” (Red)

È terribile vivere nella paura. Brooks Hatley lo sapeva. Lo sapeva anche troppo bene.

Io voglio solo tornare dove le cose hanno un senso … dove non devo avere paura tutto il tempo.” (Red)

Ricordi queste frasi?

Hai visto, almeno una volta (ma è davvero molto difficile che un film così bello si veda solo una volta nella vita), Le ali della libertà, tratto da un breve racconto di Stephen King, con Tim Robbins e Morgan Freeman?

Di sequenze e parole memorabili ce ne sono tantissime in quel film, ed ognuno ne ricorda e ne ha fatto proprie alcune.

Ma hai mai provato ad estrapolare il significato dell’intera narrazione?

Hai mai considerato che tutta la trama è una metafora economica “austriaca” e libertarian?

Ed in quest’ottica, quante persone, che conosci tu stesso, sono irrimediabilmente istituzionalizzate?

E, secondo te, quanto è importante instillare la paura come mezzo di manipolazione, di controllo, fino alla repressione, di qualsiasi istanza … scomoda?

C’è un peccato originale inventato (per errore, per superficialità, per presunzione?) e tu, vittima innocente, diventi un pericoloso criminale che deve essere fermato, punito, inibito, controllato, ridotto, ingabbiato per (forse) essere riabilitato, reinserito e … contribuire.

C’è un recinto invalicabile (parrebbe) ed all’interno coesistono indiscutibili (ma discrezionali) regole autoritarie e discutibilissimi rituali tollerati … dal Potere.

Il Potere, ipocrita e corrottissimo, è criminale non meno dei peggiori condannati. La realtà la decide lui e così tutte le cose hanno il senso che ha stabilito.

In mezzo ad intrallazzi, porcherie e tanta brutalità, ci sono risorse molto scarse per la sopravvivenza materiale e morale. Devi guadagnartele.

La legge implicita è soltanto una: devi abbandonare te stesso, puoi solo adattarti e lasciarti vivacchiare o lasciarti morire. E non c’è tanta differenza: devi finire istituzionalizzato. Devi perdere ogni speranza.

Perciò, è proprio la speranza (di tornare libero) l’unica cosa importante che dovresti risparmiare e proteggere con tutto te stesso. Ma in silenzio, intimamente, come individuo.

Sarà terribilmente frustrante conservarla. Potresti impazzirne. E condividerla è pericolosissimo. Potresti sprecarla. Per sempre.

Ma è in te e più forte di ciò che è fuori da te.

Per non soccombere, perciò, un po’ alla volta, diventi un alieno: impari a vedere la vera natura della realtà che ti circonda e dai all’impostore principale ciò che ti impone. Partecipi al gioco, perché l’hai compreso, ma vivi nella tua secessione individuale. Difendi quell’ultimo centimetro.

Lo fai solo per te stesso: resisti dissimulando e, alla fine, vinci.

Hai sofferto tanto, ma hai risparmiato il tuo valore, hai afferrato il tempo e l’hai usato bene e sei, di nuovo, libero. Sei tornato dove le cose hanno un senso.

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Trump e l’incombenza dell’elicottero monetario

Von Mises Italia - Lun, 23/01/2017 - 08:13

Uno dei grandi misteri degli ultimi otto anni è il motivo per cui non c’è stata una maggiore inflazione dei prezzi al consumo nonostante la Federal Reserve abbia stampato oltre $3,000 miliardi di nuovo denaro.
Molti economisti ipotizzano che tale stampa di denaro debba dimostrarsi inflazionistica, e molti consumatori hanno presunto la stessa cosa. La risposta è che la stampa di denaro di per sé non è inflazionistica — deve essere combinata con la velocità (quanto rapidamente viene utilizzato il denaro) al fine di produrre inflazione.
La maggior parte del denaro stampato dalla FED è finito nelle mani delle grandi banche commerciali, le quali l’hanno depositato presso la FED stessa sotto forma di riserve in eccesso. Tale denaro non è mai stato preso in prestito o speso. Pertanto non ha mai avuto il tipo di velocità necessaria per produrre aumenti di prezzo.
Un’altra risposta è che l’inflazione non s’è vista nei prezzi al consumo, ma nei prezzi degli asset e delle materie prime. Bolle in azioni, immobili e alcune commodity nel corso degli ultimi otto anni, rappresentano una sorta di “inflazione” tutta loro.
Ciononostante potremmo aver raggiunto un punto di svolta in cui l’inflazione dei prezzi al consumo è proprio dietro l’angolo.
Questa situazione è pericolosa perché si nutre di sé stessa. Una volta che appare l’inflazione, gli individui se ne aspettano di più. Cominciano a cambiare il loro comportamento prendendo in prestito e accelerando gli acquisti. Man mano che le aspettative si spostano dalla deflazione all’inflazione, è difficile tornare indietro.
Non siamo ancora in una fase d’inflazione galoppante come negli anni ’70, ma alcuni primi avvertimenti sono già nell’aria. Questa è una tendenza che monitorerò con attenzione.
Presto potremmo entrare in un nuovo periodo di dominazione fiscale da parte del Tesoro USA. La FED potrebbe subordinare la sua indipendenza politica allo stimolo fiscale coordinato dalla Casa Bianca e dal Tesoro USA.
Gli economisti mainstream tradizionalmente sono stati i più grandi campioni dell’indipendenza del Federal Reserve Board. Secondo loro se i politici fossero in carica, ci sarebbe una continua pressione per tassi d’interesse più bassi e una maggiore inflazione.
Si è ritenuto necessario garantire l’indipendenza alla FED in modo che i governatori (per lo più gli economisti con dottorati) potessero prendere decisioni difficili e aumentare i tassi se necessario. Ma ora un professore di Harvard, Larry Summers, ex-segretario del Tesoro USA, chiede meno indipendenza per la FED.
Vorrebbe che la FED collaborasse più strettamente con il Congresso e la Casa Bianca per attuare il cosiddetto “elicottero monetario”: il risultato di quando i governi hanno deficit più grandi e le banche centrali stampano denaro per coprirlo.
Le banche centrali hanno stampato denaro sin dal 2008. Il problema è che le banche non lo presteranno e la gente non lo spenderà. L’elicottero monetario taglia fuori gli intermediari. I governi prendono in prestito e spendono i soldi direttamente, bypassando il sistema bancario. Le banche centrali pagano il conto.
Ciò è in contrasto con le politiche della FED nel voler rialzare i tassi d’interesse al 3% nel corso dei prossimi tre anni, in modo da avere un po’ di polvere da sparo asciutta per la prossima recessione. È improbabile che Summers sia il solo nella professione economica a sponsorizzare questo approccio.
Guardate a quello che le élite stesse ci dicono.
Adair Turner è un membro dell’élite monetaria globale. Il suo titolo è Baron Turner di Ecchinswell, ed è l’ex-capo di Financial Services Authority. Oggi è il capo di un’organizzazione di facciata di George Soros, chiamata Institute for New Economic Thinking.
Turner ha scritto un articolo il 9 maggio 2016 intitolato “Helicopters on a Leash,” in cui si discuteva della monetizzazione del debito (che è il nome tecnico per l’elicottero monetario). Ecco un estratto:
Avanzare il caso tecnico per la finanza monetaria è indiscutibile. Si tratta di quella politica che stimola sempre la domanda nominale, anche quando altre politiche — come il deficit fiscale finanziato col debito o i tassi d’interesse negativi — risultano inefficaci […]. Una piccola quantità produce uno stimolo potenzialmente utile sia al livello della produzione sia a livello dei prezzi.
Anche se il piano di Summers non è stato adottato, la sua sola esistenza è stata progettata per spingere la FED verso una politica più accomodante.
L’economia statunitense è cresciuta circa il 2% l’anno sin dal 2009. Questo tasso è inferiore al potenziale di crescita dell’economia al 3%, e ben al di sotto del ritmo delle riprese economiche del passato.
A seguito delle recessioni del 1980 e 1981, l’economia americana è cresciuta a circa il 5% per diversi anni prima di stabilizzarsi di nuovo lungo il trend storico. L’economia statunitense ha avuto espansioni in tempo di pace record nel 1980 e 1990. Questo tipo di crescita è un lontano ricordo ora.
Per gli investitori di tutti i giorni, queste tendenze si riducono ad una cosa — una maggiore inflazione, prima o poi. È tempo di diversificare in hard asset, se non l’avete già fatto, prima che il piano di Summers diventi realtà.
Nessuno deve essere una vittima del piano di Summers. Basta solo riuscire a vedere ciò che sta arrivando. Potete preservare la vostra ricchezza abbandonando determinati sviluppi ed aumentarla entrando in altri sviluppi.
Come sempre, il tempismo è fondamentale. È importante rimanere concentrati ed essere agili.
Molti dei trend di breve periodo sono l’esatto contrario delle forze di lungo periodo. Le azioni possono performare bene nel breve periodo, mentre le banche centrali mantengono la loro posizione monetaria allentata. Una volta che l’inflazione decolla, ciò tende a creare un ambiente disastroso per le azioni perché l’inflazione danneggia la formazione di capitale ed i nuovi investimenti.
Il denaro contante è un altro buon asset a breve termine, perché combatte la deflazione, riduce la volatilità e vi permette di entrare in altre classi di asset quando la tempistica del piano delle élite diventerà più chiara. Eppure i contanti saranno una cattiva scelta a lungo termine, perché soffriranno di più per l’inflazione. In casi estremi, il denaro contante può diventare inutile.
Le obbligazioni sono solo una forma più volatile di denaro contante, solo con un rendimento più elevato. Anche in questo caso, le obbligazioni sono una buon scelta a breve termine (a causa dei timori per la deflazione) e una cattiva scommessa a lungo termine (perché l’inflazione è solo una questione di tempo).
Alcune delle migliori opportunità saranno nelle start-up di private equity e nel mondo della tecnologia. Questi investimenti devono essere selezionati con attenzione, perché il tasso di fallimento tra le start-up è elevato. Ma le buone idee possono prosperare in qualsiasi ambiente.
Abbiamo visto come Google, Amazon e Apple siano sopravvissute dopo il crash del 2000 e la crisi finanziaria del 2008. Trovare queste aziende è più facile a dirsi che a farsi, ma sono là fuori.
L’oro è buono per tutte le stagioni. L’oro performa bene con l’inflazione e la deflazione (perché il governo stesso farà offerte d’acquisto facendone salire il prezzo).
Il problema con l’oro è che potrebbe non essere disponibile quando se ne vorrà di più. Potrebbe essere dovuto alla semplice domanda e offerta, o i governi potrebbero cercare di regolamentare le vendite o comprare l’offerta fluttuante per le proprie posizioni di riserva.
Il tempo per acquistare oro fisico è ora.
Saluti,

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Trump, la FED ed il rischio sistemico

Von Mises Italia - Ven, 20/01/2017 - 08:06

Il fattore decisivo per l’attuazione del piano economico Trump è la reazione della Federal Reserve. Mentre un rialzo dei tassi della FED a dicembre era una certezza, il percorso dei tassi nel 2017 influirà sul successo o il fallimento dei piani di Trump.

 

Il ruolo della Federal Reserve

La FED può scegliere di essere altamente accomodante a fronte di deficit più grandi di Trump. Di conseguenza la FED non anticiperà l’inflazione, ma attenderà fino a quando non emergerà. L’inflazione effettiva è ancora ben al di sotto dell’obiettivo della FED al 2%. Dato questo suo obiettivo, potrebbe consentire all’inflazione di superare il 2% per un po’, visti i bassi livelli di oggi.

La FED ricerca anche tassi reali negativi come una sorta di misura di stimolo. I tassi reali negativi esistono quando il tasso d’inflazione è superiore al tasso d’interesse nominale. Questa condizione può esistere ad ogni livello dei tassi nominali. Ad esempio, l’inflazione al 3% con tassi nominali al 2.5%, produce un tasso reale negativo dello 0.5%.

Analogamente, un’inflazione al 4% con tassi nominali al 3.5%, produce lo stesso un tasso reale negativo dello 0.5%. Non c’è dubbio che la FED non voglia un’inflazione al 3.5%. Tuttavia possono raggiungere tassi reali negativi a qualsiasi livello utilizzando la repressione finanziaria per mettere un tetto ai tassi d’interesse nominali.

Ciò può essere fatto costringendo le banche a comprare buoni del Tesoro anche se il bilancio della FED è in restringimento. Una sorta di “QE ombra” utilizzando i bilanci delle banche commerciali in cui parcheggiare obbligazioni piuttosto che nel bilancio della FED.

Questo tipo di accomodamento nei confronti di deficit più elevati è anche definito “posizione fiscale dominante”, un’idea abbozzata dall’ex-governatore della FED, Rick Mishkin, e dai suoi colleghi nella gilda accademica. L’idea è che l’indipendenza della FED sia perlopiù un miraggio e la FED farà ciò che è necessario per facilitare i desideri fiscali del Congresso nonostante eventuali proteste.

In base a suddetta posizione fiscale dominante, è tollerata per un periodo di tempo prolungato una bassa inflazione. Eroderà gradualmente il valore reale del dollaro e del debito del Tesoro USA. È così che gli Stati Uniti hanno ridotto il loro rapporto debito/PIL dal 1946 al 1970.

Il problema con questo approccio è che l’inflazione non è puramente un fenomeno monetario, ma è anche un fenomeno comportamentale. La stampa monetaria da sola non produce inflazione. La stampa monetaria dev’essere combinata con la volontà degli individui di accendere prestiti, spendere ed investire.

Tale volontà è in gran parte psicologica. Tuttavia, una volta che le aspettative si spostano da scenari deflazionistici a scenari inflazionistici, sono difficili da spostare di nuovo. Ciò potrebbe portare ad una situazione in cui le aspettative d’inflazione si spostano dall’1% al 3%, ma poi si spostano velocemente al 5% o più su.

La FED prevede si ababssare le aspettative d’inflazione dal 3% al 2%. Ma ciò può essere un pio desiderio. Qualsiasi tentativo di aumentare i tassi per contrastare aspettative d’inflazione più elevate, può avere l’effetto opposto a quello desiderato, poiché i consumatori considererebbero i tassi più elevati come una convalida che l’inflazione sta andando fuori controllo.

Questo è esattamente quello che è successo nel 1974-1981. La FED si posizionò al di sotto la curva e vi rimase fino a quando il presidente della FED, Paul Volcker, non mise in atto misure estreme nel 1980-81.

In alternativa, la FED potrebbe decidere di di aumentare aggressivamente i tassi nel 2017. Questa linea di politica si baserebbe sulla lettura di Janet Yellen della curva di Phillips e sull’idea largamente accettata che la politica monetaria agisce con un certo ritardo.

Con una disoccupazione ai minimi post-recessione e la domanda per i sussidi di disoccupazione ai minimi storici, l’analisi della Yellen conclude che le pressioni inflazionistiche, provenienti da richieste di salari più alti, sono solo una questione di tempo. Dal momento che la politica monetaria ristretta funziona con un range di ritardo che va dai sei ai dodici mesi, è importante aumentare i tassi ora per stare al passo con l’inflazione.

Indipendentemente dallo stato del mercato del lavoro di oggi, la FED sta cercando disperatamente di alzare i tassi il più possibile. Ciò dovrebbe consentire di avere un po’ di polvere da sparo asciutta per tagli dei tassi durante la prossima recessione.

Per ammissione stessa della FED, l’euforia nel mercato azionario dopo l’elezione di Trump è contata come un allentamento delle condizioni finanziarie. Tale allentamento ha rappresentato la copertura perfetta per un restringimento monetario. La FED porterà avanti un delicato equilibrio tra allentamento (dalle azioni) e posizione monetaria ristretta (dai tassi) che gli permetterà di raggiungere il suo obiettivo di normalizzazione dei tassi senza trascinare l’economia in recessione.

L’ultima mina vagante in questo mix è il dollaro. Un ciclo di restringimento monetario da parte della FED rafforzerà il dollaro. Questo è un esito deflazionistico, perché gli Stati Uniti sono importatori netti e un dollaro più forte rende le merci importate più convenienti per i consumatori degli Stati Uniti.

La combinazione di un dollaro più forte, deflazione importata e tassi più alti in un’economia già debole, potrebbe far precipitare gli Stati Uniti in recessione.

E alcune parole bisogna spenderle per il peggior risultato economico possibile: la stagflazione. Questa è la combinazione infelice tra una maggiore inflazione ed una bassa crescita reale o di una recessione.

I grandi piani di spesa di Trump potrebbero produrre l’inflazione, mentre il rialzo dei tassi della Yellen producono una recessione. Una situazione del genere la ritroviamo negli Stati Uniti dal 1976 al 1981.

 

Rischio sistemico

Tra i rischi macroeconomici, il rischio sistemico è il più pericoloso. Potrebbe giocare un ruolo importante e inaspettato nei piani economici di Trump. Le banche troppo grandi per fallire sono più grandi che mai, hanno una percentuale maggiore di asset totali del sistema bancario e hanno molti più derivati nei loro bilanci.

Nei sistemi dinamici complessi, come i mercati dei capitali, il rischio è una funzione esponenziale della scala del sistema. Ciò significa che la dimensione più ampia del sistema implica una futura crisi di liquidità ed un panico globale di gran lunga più grande della Panico del 2008.

La capacità delle banche centrali di far fronte ad una nuova crisi di liquidità è fortemente limitata dai tassi d’interesse bassi e dai bilanci gonfiati, che non sono stati normalizzati dopo l’ultima crisi. Nel prossimo panico, che potrebbe arrivare in qualsiasi momento, le banche centrali dovranno rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale per fornire la liquidità necessaria.

Tale liquidità assumerà la forma d migliaia di miliardi di diritti speciali di prelievo, DSP (moneta mondiale). Queste emissioni d’emergenza di DSP saranno altamente inflazionistiche, e porranno fine al ruolo del dollaro come valuta di riserva globale.

Ci sono molti potenziali catalizzatori che potrebbero innescare una crisi del genere, tra cui Deutsche Bank, mancate consegne d’oro, crisi del debito denominato in dollari nei mercati emergenti, un disastro naturale, ecc. Il catalizzatore per un tale panico è irrilevante — ciò che conta è l’instabilità del sistema nel suo complesso.

Quando il catalizzatore viene innescato e s’avvia il panico, dinamiche impersonali assumono una vita propria. Queste dinamiche sono indifferenti all’ideologia politica o all’ordine del giorno dei politici.

L’amministrazione Trump potrebbe essere rapidamente travolta da una crisi di liquidità globale, come l’amministrazione Bush nel 2007-08. In tal caso, le élite globali che operano attraverso il FMI, la BRI ed il G20 detteranno le presunte soluzioni dal momento che controllano le leve delle liquidità, in particolare i DSP.

Trump potrebbe appoggiare la soluzione delle élite, cosa che comporterebbe la cooperazione con la Cina, o potrebbe combattere le élite, nel qual caso assisteremo ad una nuova Grande Depressione.

Prendendo in considerazione queste cose, l’inflazione potrebbe dominare rapidamente in caso di deficit statali e accomodamento della FED. Al contrario, la deflazione dominerebbe in caso di fattori fondamentali come un dollaro forte, una riduzione della leva finanziaria, la demografia e la tecnologia insieme ad una politica ristretta prematura della FED.

Dietro le quinte c’è una crisi sistemica, che potrebbe tradursi in inflazione (a causa della massiccia emissione di DSP) o deflazione (a causa della mancanza di una risposta globale coordinata).

Saluti,

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L’infelice destino di Donald Trump è quello di assistere ad una crisi finanziaria ben peggiore rispetto all’ultima

Von Mises Italia - Mer, 18/01/2017 - 08:53

Ad un terremoto non importa se sei progressista o populista. Distrugge la tua casa comunque. Allo stesso modo una crisi finanziaria è indifferente alla combinazione delle linee di condotta di un politico.

Le crisi sistemiche procedono secondo la propria dinamica basata sulla matrice di agenti di un sistema e la scala sistemica.

Il ritmo delle recenti crisi del 1994, 1998 e 2008 ci dice che un’altra crisi è probabilmente in arrivo. Un nuovo panico finanziario globale sarà una eredità dell’amministrazione Trump. Non sarà colpa di Trump, semplicemente la sua disgrazia.

I modelli di equilibrio e valore a rischio (VAR) utilizzati dalle banche non prevede il nuovo panico. Questi modelli sono pattume di scienza, si affidano, come fanno sempre, su nozioni di mercati efficienti, sul normale rischio distribuito, sulla liquidità continua e su un futuro che ricorda il passato. Nessuna di queste ipotesi corrisponde a realtà.

I progressi nella psicologia comportamentale hanno demolito l’idea di mercati efficienti. I dati mostrano che la distribuzione del grado di rischio è una curva esponenziale e non una normale curva a campana. La liquidità evapora quando ne hai più bisogno. I prezzi hanno un vuoto fra loro e non si muovono continuamente.

Ognuna delle crisi 1994, 1998 e 2008 è stata peggiore di quella precedente e richiedeva un più drastico intervento. Il futuro non assomiglia al passato e continua a peggiorare. I modelli standard sono logori.

I recenti miglioramenti del modello che tiene in considerazione il rischio del cosiddetto “colpo di coda” ancora non riesce a fare i conti con la scala sistemica. L’evento più catastrofico possibile, in un sistema complesso, è una funzione esponenziale di scala. In parole povere, se si raddoppia la dimensione del sistema, non si raddoppia il rischio; esso aumenta il fattore di cinque o più volte.

Dal 2008, le più grandi banche del mondo, sono più grandi in termini di patrimonio lordo, sia per la quota totale dei depositi sia per l’importanza nozionale dei derivati (nozionale: titolo sottostante dei derivati; i derivati sono contratti basati su una previsione, praticamente come una scommessa ndt). Tutto ciò che era troppo grande per fallire nel 2008, oggi è più grande ed esponenzialmente più pericoloso.

Il testamento biologico e l’ Autorità di Risoluzione del Dodd-Frank (riforma a tutela dei consumatori in risposta alla crisi finanziaria del 2008 ndt) sono entrate in un’area protetta con recinti. Sembrano imponenti, ma lo sono solo di facciata. Le riforme non potranno fare nulla per fermare una folla inferocita. I regolari aumenti di capitale non saranno sufficienti. Quando l’effetto leva di una istituzione finanziaria deve affrontare il panico della liquidità, nessuna quantità di capitale è sufficiente. Prendiamo ad esempio la riflessione fatta dalla leggenda del pugilato Mike Tyson: “nessuno schema sopravvive al primo pugno in faccia”.

Le banche dovrebbero prendere lezione da Mike Tyson.

Se i modelli esistenti non funzionano, cosa si fa? Una combinazione di: teoria della complessità, statistica bayesiana (da Thomas Bayes, il concetto di interpretazione delle probabilità ndt) e di psicologia comportamentale sono in grado di produrre modelli con un forte potere di previsione. Tali modelli sono stati sviluppati in pochi centri di eccellenza: come il Santa Fè Institute, la London School of Economics e l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo. Però, sono ben lontani dalla tradizionale corrente di pensiero e non saranno adottati in tempo per mitigare la crisi successiva.

Il panico finanziario è dinamicamente e matematicamente identico a una varietà di fenomeni naturali quali: i terremoti e le valanghe. Mentre la neve si accumula sul versante di una montagna, gli osservatori esperti possono avvistare il pericolo di valanghe. Presto un fiocco di neve si posa in modo tale da sconvolgere gli altri che iniziano a slittare, formando uno scivolo e creando lo slancio per far scivolare il manto nevoso. Il tempismo è incerto, ma la valanga è inevitabile.

Quale fiocco di neve potrebbe farci precipitare nel prossimo panico finanziario? La Deutsche Bank è un candidato naturale. Meno ovvia è una mancata consegna fisica di oro in lingotti da una banca di Londra. Ciò esporrebbe il mercato dello “oro di carta” (sostituto dell’oro fisico ndt) iper-sfruttato per quello che è. Una catastrofe in scala naturale come quella di Fukushima.

Quello che incombe su questi fattori catalizzanti è una carenza globale di dollari, come è stato descritto dagli economisti Claudio Borio e Hyun Song Shin della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Un dollaro forte potrebbe innescare un’ondata di default sui 9 trilioni di dollari (un milione alla terza ndt) di debito societario dei mercati emergenti. Quei valori del 1994, della Crisi Tequila (forte svalutazione del peso messicano sul dollaro, al quale era agganciato ndt), li farebbe sembrare un default addomesticato.

La crisi del 2008 è stata stroncata con decine di trilioni di dollari di swap su valute (derivati sui flussi di cassa ndt), stampa di denaro e taglio dei tassi coordinato dalle banche centrali di tutto il mondo. La prossima crisi sarà oltre la portata delle banche centrali e non potranno contenerla perché, dal 2008, non sono riuscite a normalizzare i tassi di interesse o i loro bilanci.

Le banche centrali saranno in grado di tirare fuori un altro coniglio dal cilindro? Ora di conigli ne hanno fuori molti.

Non sono falsi conigli.

Nella prossima crisi, la liquidità verrà dal Fondo Monetario Internazionale, che è il solo ad avere un bilancio pulito. Il FMI stamperà denaro per l’equivalente di 10 trilioni di dollari, in diritti speciali di prelievo per tutto il mondo (unità di conto, attività di riserva monetaria internazionale ndt). La Cina e la Russia acconsentiranno a questa iniezione di liquidità a condizione che si acceleri la scomparsa del dollaro come valuta di riferimento della riserva globale.

Trump può evitare questo destino? Forse. Le pattuglie sugli sci (servizio di soccorso), per ridurre il pericolo di valanghe utilizzano la dinamite per scrostare il manto nevoso. Allo stesso modo il sistema finanziario può essere reso più sicuro solo riducendone la portata. Le navi di grandi dimensioni utilizzano le paratie a tenuta stagna per ottenere lo stesso margine di sicurezza. Un buco nello scafo inonda quella parte, ma la nave non affonda.

Scrostare la finanza significa reintegrare il Glass-Steagall (legge bancaria del 1933 ndt) e pre-Big Bang: la separazione tra deposito e sottoscrizione titoli. Ciò significherebbe demolire le grandi banche. JP Morgan, Chase Manhattan e Chemical Bank devono riemergere dalla stretta di Jamie Dimon (Presidente e Amministratore delegato della JP Morgan Chase ndt). I derivati dovrebbero essere vietati ad eccezione dei futures quotati (contratti a termine standardizzati ndt) e legati a specifici beni utilizzati per la copertura commerciale. È il momento di chiudere il casinò.

Saprà Trump perseguire queste politiche? È improbabile. Tali proposte si perderanno in un mare di priorità concorrenti. I lobbisti bancari che gestiscono le leve di comando a Washington insabbieranno tutto e non cambierà un gran che.

Prima o poi ci sarà un nuovo Segretario del Tesoro e con la Presidente della Fed (Janet Yellen ndt) potranno ripercorrere le orme di Hank Paulson (già Segretario del Tesoro nella presidenza di George W. Bush ndt) e Ben Bernanke del 2008 e dire al Presidente Trump che il sistema sta avendo un attacco di cuore e non hanno alcun rimedio se non quello di suggerire: una telefonata a Madame Lagarde (FMI).

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L’elezione di Trump: miti e realtà

Von Mises Italia - Lun, 16/01/2017 - 08:49

Prima si proseguire facciamo chiarezza su Trump, è necessario spazzare via un mucchio di sciocchezze che sono state dette durante le elezioni.

E’ stata un campagna dura ed i candidati, di entrambi i partiti, si sono contesi sempre la verità gettano fango sull’opposizione. Non è una novità che la maggior parte dei giornalisti abbiano un forte orientamento liberale. Questo è stato veritiero per decenni.

Ma, c’è una differenza tra pregiudizio e malignità. Questa volta è stato davvero diverso. In questa elezione, i giornalisti hanno abbandonato ogni finzione di comportamento etico e hanno puntato tutto sulla Clinton.

Il Washington Post ha detto ai suoi più giovani giornalisti di lavorare giorno e notte per distruggere Trump con ogni mezzo possibile. Il New York Times è andato oltre. Ha chiesto ai suoi giornalisti di immaginare come vivevano in Germania, nel dicembre 1932, un mese prima della elezione che ha poi consegnato il governo al Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, i nazisti, e ha eletto Adolf Hitler Cancelliere della Germania.

I reporter che cosa diranno, ai loro figli ed ai loro nipoti, di avere fatto per fermare l’ascesa di Hitler? Agli occhi del redattore, Trump era un nuovo Hitler ed giornalisti erano in dovere di fermarlo con ogni mezzo lecito o illecito.

L’economista, dell’Università di Harvard, Larry Summers ha apertamente paragonato Trump al dittatore italiano, il fascista Benito Mussolini. Le reti televisive, NBC, ABC, CBS e CNN non erano da meno. Dopo le e-mail trapelate sulla Clinton, il presidente della campagna per le presidenziali, John Podesta, ha chiesto ai giornalisti da CNBC e al Politico (quotidiano americano che si occupa principalmente di politica ndt) di presentare i loro articoli in anticipo, per l’approvazione, al fine di non offendere i Clinton.

Venendo al dunque. Questa non era una segnalazione di parte, questo è stato uno sforzo concertato per distruggere un uomo: Donald Trump. Nonostante ciò, Trump ha vinto le elezioni.

Perché soffermarsi sul passato? Perché non andare avanti? Il motivo è che le conseguenze di questa missione dei media per distruggere Trump permaneva nelle menti di tanti americani e di tante persone in tutto il mondo.

Per milioni di elettori impegnati, quello che è successo nelle elezioni non è solo la normale delusione che si prova per qualsiasi sconfitta elettorale, vi ‘è un senso di dissonanza cognitiva, di completa negazione e di incredulità.

In poche parole, tutti i giorni, i Democratici, alcuni Repubblicani, i media, le élite globali e molti cittadini in tutto il mondo ancora non sono in grado di digerire una presidenza Trump.

Trump è impulsivo e a volte il suo comportamento è volgare. E’ un uomo d’affari astuto, ma non particolarmente esperto nei dibattiti con politici di vecchia data e che assillano le élite di Washington. Lui è un CEO (Chief Executive Officer: Amministratore delegato ndt) di successo, non un guru economico.

Ma, non è un razzista, un misogino o un antisemita. Sono tutte sciocchezze, che fanno parte dell’operazione multimediale, stimolate per abbattere Trump. Coloro che non possono andare oltre le grezze etichette appuntate su Trump non saranno in grado di comprendere il vero Trump, al lavoro.

Quando Trump prevede un dazio del 45% sulle merci importate dai Cinesi, i geek (persone con interessi nel campo tecnologico-digitale ndt) di Washington analizzano sui loro fogli elettronici i modelli economici. Cominciano a calcolare la resistenza sulla crescita e l’impatto sui posti di lavoro derivante da un aumento dei dazi su una quantità delle importazioni statica. Quello che non capiscono è che: per Trump la tariffa del 45% è solo il punto di partenza per una trattativa.

È un invito ai cinesi a fare qualche concessione in settori quali: gli investimenti diretti all’estero delle imprese americane ed il furto della proprietà intellettuale. Una volta che alcune concessioni saranno disponibili, Trump può abbassare la tariffa proposta dal 45% al 25% e quindi chiedere più concessioni. Fa tutto parte di “art of the deal” (anche nome del libro scritto da Trump nel 1987: l’arte di fare affari, ndt).

Ironia della sorte, i cinesi sembrano capire questo meglio dei media americani. La Cina ha recentemente affermato che se Trump impone dazi, passeranno i loro ordinativi di aerei dalla Boeing agli Airbus dell’Europa e vieteranno la vendita di iPhone della Apple in Cina. Questa è l’arte della trattativa cinese.

Ora che le due parti hanno annunciato le loro offerte di apertura, che i negoziati abbia inizio! Ecco come ogni affare funziona nel mondo reale. Solo Washington e i media non hanno capito questo comportamento della negoziazione.

Analoghe idee sbagliate valgono per una serie di politiche di Trump, compresi i tagli fiscali ed i piani di spesa. Trump ha una visione grandiosa, ma si dimostra un abile manipolatore quando si tratta di raggiungere i precedenti critici come Paul Ryan e Mitt Romney (candidati il primo come presidente il secondo scelto come vice nel 2012 perdendo le elezioni. ndt) . Questa non è l’azione di un neofita della politica, ma di un operatore esperto che sa che la cooperazione batte sempre il confronto.

Gli oppositori di Trump hanno fatto un errore fondamentale. Essi credevano nella loro stessa propaganda. Quando si piegano le regole dell’etica e della comunicazione con l’obiettivo di raggiungere un certo risultato, questa è pura e semplice propaganda.

Ma, i grandi propagandisti, come i veri fascisti, i comunisti, i peronisti in Argentina, ed i Dittatori africani sono sempre attenti al non credere a quello che dice la loro stessa gente. I media degli Stati Uniti sono caduti nella trappola che loro stessi hanno creato: quella di credere nell’immagine distorta di Trump. Questo li ha lasciati totalmente impreparati al risultato delle elezioni e li lasciati incapaci di interpretare la situazione attuale.

Questo è importante da tenere a mente durante la lettura, per la copertura dei rischi, in merito alle politiche economiche di Trump. Vi sarà sempre l’analisi distorta su tutto, dal cosiddetto “libero commercio” per la politica fiscale, la politica fiscale, la politica di regolamentazione e molto altro ancora.

Realtà elettorali

Una volta messi da parte i miti di Trump, uno ha bisogno di interiorizzare la realtà. Questo non era una vittoria tipica; è stata una disfatta completa dei Democratici. La grandezza della vittoria repubblicana è un affondo, ma è così importante che è giusto dire: finalmente il cambiamento è arrivato a Washington.

Questo è un vantaggio, se vi piace la politica di Trump, ma è anche una sfida analitica. Molti dei vecchi modelli politici sono ad un punto morto e non si possono più applicare e/o comparare.

I Repubblicani non solo hanno appena conquistato la Casa Bianca, ma hanno anche mantenuto il controllo del Senato e della Camera dei Rappresentanti. I Repubblicani hanno avuto il controllo della Casa Bianca e le due camere del Congresso negli anni 2002 – 2006, ma quelli sono stati usati in risposta all’11 settembre, la Guerra Globale al terrore e la Guerra in Iraq.

La spesa per la guerra ha lasciato poco spazio alla spesa per le infrastrutture del genere che Trump intende proporre. Prima del 2002, l’ultima volta che i repubblicani hanno ottenuto la Casa Bianca ed entrambe le Camere del Congresso, contemporaneamente, è stato nel 1928.

Ci sono differenze significative tra il controllo repubblicano nel 2017 ed il controllo repubblicano del 2002. Il Senato opera sotto la regola dell’ostruzionismo (cloture) che richiede 60 voti alla fine dibattito, su qualsiasi misura.

Il dibattito prolungato, il cosiddetto “filibustiere”, è una tradizione del Senato e non della Costituzione, ma in genere onorato in base alle regole del Senato. Le piccole maggioranze detenute dai repubblicani nel 2002-2006, generalmente, non erano sufficienti per superare la regola dei 60 voti. I leaders della minoranza Tom Daschle e Harry Reid hanno usato questa regola per bloccare le iniziative politiche repubblicane.

Ma durante il periodo del controllo democratico del Senato dal 2006 al 2014, la leadership ha fatto importanti modifiche alle regole. L’Obamacare è passata nella sua forma finale come una “riconciliazione di bilancio” (consente l’esame accelerato su diversi capitoli ndt) che richiede solo 51 voti e non 60. Tale struttura, l’Obamacare, potrebbe essere validamente abrogata oggi modificando le disposizioni in materia di bilancio con lo stesso criterio dei 51 voti.

Ancora più importante, Harry Reid ha cambiato la regola (cloture) dell’ostruzionismo su incarichi giudiziari (ad eccezione della Corte suprema) e per i candidati del ramo esecutivo. Applicando la nuova regola, i repubblicani possono rimodellare le Corti Federali, in particolare l’importante Circuit Court di Washington, DC.

Possono, senza la resistenza Democratica, occuparsi anche del personale di alto rango del ramo esecutivo, tra cui i funzionari di gabinetto. In effetti, i Repubblicani possono aggiungere il futuro controllo della magistratura da parte del Congresso e della Casa Bianca nel loro triplice potere.

Ecco la ciliegina sulla torta. I Repubblicani controllano 32 Legislatori Statali su 50 e 33 Governatorati su 50. Il controllo a livello statale è importante quando si tratta di dirigere la spesa in infrastrutture, creare zone industriali e lavorare con il governo federale per attuare le politiche di Trump.

In breve, il potere repubblicano, nel corso del processo politico americano, è più forte ora di quanto non lo sia mai stato in qualsiasi momento, dall’Era della Ricostruzione (1866-1876) in seguito alla Guerra Civile.

Né i Repubblicani né i Democratici hanno ancora pienamente compreso la portata di questo cambiamento storico. Questo, in pratica, significa che se i repubblicani sono d’accordo sul mix di politiche, sono nella posizione più forte per applicarle concretamente da 150 anni a questa parte.

I Democratici erano in una posizione allo stesso modo potente dopo l’elezione catastrofica di Lyndon B. Johnson nel 1964. Hanno usato quel potere per passare dal Medicare (programma di assicurazione medica amministrata dal governo ndt) ad altri programmi di riforma come la Great Society (Grande Società). Ma l’ arroganza ha anche portato alla tragedia della guerra in Vietnam.

Il potere democratico è stato sconfitto appena quattro anni dopo, con l’elezione di Richard Nixon nel 1968.

Resta da vedere se Trump saprà consolidare il potere del partito unico, come è stato fatto da Abraham Lincoln e Franklin Delano Roosevelt, o saprà sprecarla come Lyndon B. Johnson.

Saluti.

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Storia della riserva frazionaria: Perché le valutazioni del mercato azionario sono ampiamente influenzate dai tassi d’interesse? – Seconda Parte

Von Mises Italia - Ven, 13/01/2017 - 08:35
  • Le banche centrali oggi appaiono più potenti che in qualsiasi momento della storia – qualcosa è cambiato?
  • No davvero – a causa del loro ruolo nella gestione del debito governativo e nella gestione della riserva frazionaria, le banche centrali hanno sempre avuto lo stesso potere.

Nella prima parte di questo articolo ho investigato lo sviluppo delle banche centrali, con un’attenzione particolare alla Banca d’Inghilterra. Ho considerato l’impatto drammatico che la Banca ha avuto sul costo dei prestiti alla corona/governo, a partire da un tasso medio dell’11% nei novant’anni precedenti al 1694 fino al 5% nei quarantacinque anni successivi.

In questa sezione considererò l’impatto che costi di prestito artificialmente bassi hanno avuto sul valore delle azioni e dei corporate bond. Infine, considererò il livello odierno dei tassi d’interesse, concentrandomi sui mercati più liquidi per le azioni e per i bond statunitensi. Le mie conclusioni potrebbero contrariare qualcuno, tuttavia non dovrebbero in realtà sorprendere, data la parzialità del sistema di riserva frazionaria (1) rispetto ai governi che queste banche centrali servono.

 

Il potere conflittuale delle banche centrali

Riassumendo, le banche centrali hanno il potere di provvedere liquidità e di fissare i tassi d’interesse. Ad ogni modo, la loro esistenza origina dalla loro funzione di finanziatori e sottoscrittori del prestito dei governi. I conflitti d’interesse, che risultano evidenti se si considerano i più antichi registri della Banca d’Inghilterra descritti nella prima parte di questo articolo, potrebbero sembrare meno ovvi oggigiorno, ma esistono comunque. In tempi recenti si è data molto credito alla convinzione che le banche centrali siano indipendenti, ma esiste ancora un conflitto politico inerente al cuore della relazione fra le banche e governi per i quali esse agiscono – anche le loro azioni sembrano esserne indipendenti.

Nel 1693 il governo britannico prese in prestito 1 milione di sterline al 14%. Quando la Banca d’Inghilterra venne fondata nel luglio 1694, essa prestò al governo 1,2 milioni di sterline all’8%. Entro il 1697 il governo prendeva in prestito al 6,3%. Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del bank rate e del gilt yield a partire dal 1694:

Fonte: Bank of England

Le punte raggiunte intorno al 1719-1720 si riferiscono alla bolla della South Sea Company: una prima controprova dell’onnipotenza delle banche centrali. Se una simile bolla scoppiasse oggi, mi aspetterei che i bond yields si abbassassero e non alzassero, ma ci sono prove – come ho sostenuto in questo articolo:  Is the “flight to quality” effect breaking down? – del fatto che la durata dei portafogli di bond sia cresciuta così drammaticamente che i bond non sono più oggi l’investimento sicuro che erano una volta.

Con il rapporto deficit/PIL al 260% sembra straordinario che nel 1819 si fosse in grado di prendere in prestito al 5% o 6%. Durante un tale periodo di così grande debito (negli anni 1560) anche il brillante Sir Thomas Gresham riuscì solamente a portare il costo del prestito per Elisabetta I, dal 14% al 12% — anche se la sua manipolazione al rialzo della sterlina sui mercati esteri fu un grande successo e segnò l’unico declino nei livelli di prezzo durante la grande inflazione del sedicesimo secolo.

Forse il mio confronto con l’era elisabettiana non è del tutto equo. I prezzi salirono del 22% fra il 1600 e il 1690, anche se caddero del 4% fra il 1690 e il 1740, tuttavia il dimezzamento del costo di prestito del governo non può essere ascritto solamente alla timida deflazione e ad una riduzione delle frizioni finanziarie. L’articolo North and Weingast – The Evolution of Institutions Governing Public Choice in 17th Century England sostiene il contrario, notando che l’incremento dei prestiti della Child’s Bank è un esempio dell’aumento di profondità di capitale:

Fonte: North and Weingast

Come mostra la tabella qui sotto, che ho anche commentato nella prima parte di questo articolo, credo che sia la discutibile etica della riserva frazionaria bancaria – con I requisiti della riserva governata dalle banche centrali—che porta I tassi di prestito governativo al di sotto dei “tassi naturali” d’interesse

Year Borrower Rate Notes Loans Mortgages Rental yield Usury Maximum 1604-1605 James I 10% from the Fishmongers 7.74% 5% 6.07% 10%* 1611-1612 James I 10% Secured by duties 7.86% 5% 5.85% 10% 1617 James I 10% Secured by bond 7.86% 5% 5.85% 10% 1625 Charles I 8% Secured by Crown revenues 7% 5% 6.26% 8% 1640 Charles I 8% Usual Rate 6.74% 5% 5.78% 8% 1660-1670 Charles II 8% 5.47% 4% 5.40% 6% 1665 Charles II 8-10% Secured by taxes 4% 4% 5.40% 6% 1660-1685 Charles II 10-20% 5.55% 4% 5.38% 6% 1680 Charles II 6% Secured by revenue 5% 5% 5.30% 6% 1690 William III 10-12% Secured by revenue 5.26% 5% 5.00% 6% 1690 William III 25-30% Unsecured 5.26% 5% 5.00% 6% 1692 Government 10% First Issue 5.26% 5% 5.00% 6% 1693 Government 14% Second issue 5.26% 5% 5.00% 6% 1694 Government 8% BoE loan secured by duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1697 Government 6.30% Secured by Excise duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1698 Government 8% Secured by Excise duties 5.26% 5% 5.00% 6% 1707 Government 5% Secured by Crown revenues 5%  5% 4.94% 6% 1728 Government 4% Secured by Coal duty 4.86%  5% 4.39% 5% 1731 Government 3% Secured by Excise duties 4.67%  5% 4.07% 5% 1739 Government 3% Sinking Fund 4.67%  5% 4.07% 5%

 

*Enrico VIII introdusse il primo massimo nel 1545. La legge sull’usura venne infine abolita nel 1854
Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck).

Year Gov-Loan Gov-Rent Gov-Mort Loans Rental Mortgage 1604-1693 5.19% 5.75% 6.46% 6.05% 5.48% 5% 1694-1739 0.33% 0.31% 0.33% 4.95% 4.64% 5%

Fonte: A History of Interest Rates – Sidney Homer, Richard Eugene Syllaand, English Institutional Evolution – North and Weingart, The Agricultural Revolution and the Industrial Revolution:England, 1500-1912 – Gregory Clark, University of California, Crown revenue and the political culture of early Stuart England – Simon Mark Healy (Birkbeck)

Il grafico qui sotto mostra l’evoluzione del debito del governo britannico come percentuale del PIL a partire dal 1692.

Fonte: ukpublicspending.co.uk, jpgraph

Il prestito governativo è spesso chiamato tassazione differita – siccome per pagare i prestiti di oggi, le tasse dovranno essere aumentate domani. Per una prospettiva differente su quest’idea si veda l’articolo Ralph Musgrave – National debt is not deferred tax.

L’inflazione è, a questo riguardo, chiaramente amica di chi prende in prestito, tuttavia, se si diminuisce artificialmente il costo dei prestiti da parte del governo, attraverso il potere bancario di riserva frazionaria, il governo è anche in grado di divertire una maggiore porzione di debito relativamente al PIL – o, almeno, alle future riscossioni tributarie. Ciò che rimane nascosto, è che questo prendere in prestito tende a far uscire dal mercato altri che potrebbero potenzialmente prendere in prestito, sottraendo loro capacità d’investimento.

Nonostante gli argomenti sul fatto che i governi possano allocare efficientemente il capitale, il tasso di crescita economica risente del fatto che i prestiti governativi siano finalizzati alla spesa generale oppure all’investimento di capitale.

 

Come le valutazioni azionarie risentono dei tassi d’interesse

Quando ancora vigeva lo standard aureo, le banche centrali non erano completamente libere nel loro potere di ridurre i tassi d’interesse per il fatto di essere obbligate a scambiare su richiesta oro per banconote.
Una volta passati alla moneta fiat – non basata su alcuna misura di valore all’infuori della percezione di mercato – le banche centrali poterono mantenere bassi i tassi d’interesse per più tempo. Bassi tassi d’interesse possono essere positivi per l’economia, come una misura contro-ciclica che mitiga le vicissitudini di una recessione, tuttavia quando vengono mantenuti per troppo tempo, distorcono il prezzo del denaro e questo porta a cattivi investimenti.

Tutto questo potrebbe sembrare provocatorio, ma assumiamo che il tasso d’interesse a cui il governo britannico può prendere in prestito sia solo di 300bp al di sotto del tasso che avrebbe dovuto essere negli ultimi 322 anni – ossia circa al 4% invece che al 7%. Che cosa significa questo per l’industria finanziaria?
Ci sono qui due forze al lavoro: un tasso di rischio più basso di quello “naturale”, che dovrebbe rendere possibile all’industria di prendere in prestito a prezzo scontato; sarebbero dunque in grado di finanziare nuovi progetti che, a condizioni normali, non sarebbero forieri di profitto, prolungando artificialmente un boom economico. L’altro effetto è di permettere al governo di togliere spazio ai prestiti del settore privato, specialmente durante i periodi di declino economico, quando i prestiti del governo incrementano proporzionalmente al calo dei profitti privati. L’impatto di questi due effetti sugli interessi industriali in un certo senso nega sé stesso. Nel lungo periodo, un eccesso di prestiti governativi riduce permanentemente la capacità economica di un paese, nel grado in cui l’investimento governativo è meno economicamente produttivo dell’investimento privato. Le politiche possono differire, come mostra il grafico qui sotto, quando il governo eccede del 15% del PIL, il tasso di crescita potenziale dell’economia ne inizia a soffrire:

Fonte: The Heritage Foundation, Peter Brimelow

La realtà è che gli investitori hanno la memoria corta rispetto al rischio di default e il governo britannico è riuscito ad evitare il default – anche se ha ridotto il coupon sul prestito di guerra (vedi il poster sopra) al 3,5% nel 1932. Nello stesso anno in cui fece default, o forse dovrei dire le fu perdonato il suo prestito inter-alleato verso gli Stati Uniti alla Conferenza di Losanna.

L’effetto sui prezzi delle azioni è però drammatico. Se i tassi d’interesse sui prestiti, a partire dai fidi bancari fino all’emissione di obbligazioni, è artificialmente basso, mentre il costo dei prestiti governativi dovrebbe incrementare durante una recessione economica, oppure se i tassi d’interesse governativi incrementano, allora la politica delle banche centrali – in relazione sia ai tassi d’interesse di corto e lungo termine – diventa sostanzialmente più importante della valutazione di un’azione, rispetto a quanto sarebbe in un mercato senza queste restrizioni.

 

Confrontare azioni e obbligazioni statunitensi

Durante gran parte del periodo che si è aperto nel 1971, il ribasso artificiale dei tassi d’interesse è stato oscurato dall’inflazione. Quando il tasso d’inflazione incrementò, allora la tradizionale relazione fra i dividenti azionari e le obbligazioni governative si invertì. Il grafico qui sotto mostra i dividendi di S&P500 (in rosso) e i ricavi da obbligazioni del tesoro statunitense dal 1871 al 2011.

Durante la maggior parte di questo periodo le rendite dei dividenti furono più alte dei ricavi obbligazionari. Questo è coerente con il concetto che dovrebbe esserci un incentivo per il rischio d’investimento azionario rispetto a quello obbligazionario. Durante l’era della grande inflazione, la relazione s’invertì, perché le azioni portavano con sé uno scudo naturale per l’inflazione, a differenza delle obbligazioni:

Source: Global Financial Data Inc.

L’incentivo medio per il possesso di azioni fra il 1871 e il 1957 era dell’1,83%. Oggi è +0,41%. La tabella sotto mostra il dividendo medio (DY) rispetto al ricavo obbligazionario (BY) e lo spread fra l’era pre-inflazionaria e post-inflazionaria:

Period DY BY Spread 1871-1957 5.34 3.51 1.83 1958-2010 3.11 6.53 -3.42

Fonte: Multpl.com

Dopo molte generazioni in cui le azioni servirono come scudo contro l’inflazione – senza accennare agli incentivi degli share options per i manager – non sorprende che oggi i dividendi siano bassi. I ricavi da obbligazioni governative hanno raggiunto un minimo storico, mentre gli incentivi di rischio richiesti dagli investitori per passare ai corporate bonds sono caduti e questo potrebbe avere l’effetto deprimere i dividendi azionari. Un buono del tesoro statunitense rende l’1,65%, meno della metà della sua media nel lungo periodo. I corporate bond e le azioni sono, dunque, molto più sensibili ai cambiamenti nelle banche centrali e ai tassi delle obbligazioni governative oggi rispetto ad ogni altro momento degli ultimi 145 anni.

 

Conclusioni

Mentre le misure di valutazione azionaria come i dividend cover price e i price to earning per share, rimangono valide, il loro impatto è di molto ridotto per effetto dei tassi d’interesse. Fin dalla nascita delle banche centrali, i tassi d’interesse “privi di rischio” sono stati artificialmente bassi. Questo è stato particolarmente vero durante i periodi di emissione di valuta fiat, quando la convertibilità aurea della moneta è stata sospesa.

Una normalizzazione dei tassi d’interesse non appare imminente, e ciò è una buona cosa per le azioni, ma sarebbe saggio, partendo da una prospettiva difensiva, cercare azioni corporate con buoni fondamentali, che possono offrire dividendi più alti. Il tasso di crescita dell’economia globale sta rallentando, l’inflazione rimane generalmente sotto controllo mentre la cerca di ricavi non diminuisce. E comunque la correlazione fra azioni e obbligazione è al suo minimo storico su un periodo di 145 anni come mostra questo grafico:


Fonte: Robert Shiller – Yale University

Non ci si faccia ingannare dai dati di correlazione giornaliera – con il livello assoluto dei ricavi da obbligazioni a meno della metà della media sul lungo periodo, è il mercato delle obbligazioni che determinerà la direzione delle azioni. Come i ricavi obbligazionari risalgono, cosa che, negli Stati Uniti, è determinata dall’aspettativa di una stretta della Federal Reserve (Fed), il mercato delle azioni cadrà. Il declino nelle azioni allora alza l’aspettativa di un ritardo nella stretta della Fed. La correlazione giornaliera sul quinquennio fra azioni e obbligazione allora potrebbe essere ora ad un picco negativo ma la correlazione annuale potrebbe rimanere ancora fortemente positiva. I manager di portafogli azionari, chiaramente, magnificano le virtù di un portafoglio diversificato, ma, quando i ricavi obbligazionari sono all’1,65% e i dividendi al 2,06%, non sarà di grande conforto per gli investitori in fondi pensione.

Ad esempio Calpers ancora resta ancorato ad un obiettivo di ritorno annuale del 7,5% — l’anno scorso ha riportato il 2,4%. L’Analisi delle Security, come fu intitolato un libro di Graham e Dodd del 1934, ha ancora un posto e, nel “grande dipanamento” che probabilmente arriverà quando tutte le politiche fiscali e monetarie siano esaurite, sarà probabilmente il miglior strumento per navigare acque non tracciate. Per ora, comunque, le banche centrali e i governi delle nazioni sviluppate, hanno ancora moltissimi strumenti da impegnare a disposizione. Il prezzo artificialmente basso del denaro continuerà a dominare i mercati per le obbligazioni, le valute, gli immobili e anche le azioni per ancora qualche tempo a venire.

 

Note: (1) Il prestito di riserva frazionaria è un sistema in cui solamente una frazione dei depositi bancari sono veramente riscontrati dal quantitativo di denaro a portata di mano.

Fonti addizionali
Nicholas Mayhew – Sterling (1999) Allen Lane
Phelps, Brown and Hopkins – Economica Vol 22 No 93 (1956)
Rondo Cameron – A Concise Economic History of the World – 3rd Edition (1997) OUP

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