Crisi finanziaria e recessione
Autore: Jesus Huerta de Soto
Data: 6 ottobre 2008
Fonte: Financial crisis and recession
La severa crisi finanziaria e la risultante recessione economica globale che da anni abbiamo previsto stanno infine scatenando la propria furia. Infatti, la sconsiderata politica di espansione artificiale del credito che le banche centrali (guidate dalla federal reserve americana) han permesso ed orchestrato negli ultimi quindici anni non avrebbe potuto finire in altro modo.
Il ciclo espansionistico oggi conclusosi fu messo in moto quando nel 1992 l'economia americana emerse dalla sua ultima recessione e la federal reserve intraprese una potente espansione artificiale del credito e degli investimenti, un'espansione non sorretta da alcun parallelo aumento nei risparmi volontari. Per molti anni la massa monetaria in forma di banconote e depositi (M3) è cresciuta ad un tasso medio oltre il 10% annuo (ciò significa che ogni sei o sette anni il volume totale di moneta in circolazione nel mondo è raddoppiato). I mezzi di scambio originati da una tale severa inflazione fiduciaria sono stati messi sul mercato dal sistema bancario in forma di nuovi prestiti concessi a interessi molto bassi (e addirittura negativi in termini reali). Quanto sopra alimentò una bolla speculativa in forma di aumenti notevoli dei prezzi dei beni capitali, degli asset immobiliari e dei titoli che li rappresentano e vengono scambiati in borsa, dove gli indici lievitarono.
Curiosamente, al pari dei “rugggenti” anni prima della grande depressione del 1929, lo shock della crescita monetaria non ha influenzato significativamente i prezzi del substrato di merci e servizi a livello di consumatori finali nella strauttura produttiva (approssimativamente solo un terzo di tutte le merci). Il decennio appena conclusosi, come negli anni '20, ha testimoniato un notevole aumento di produttività come risultato dell'introduzione su larga scala di nuove tecnologie e significative innovazioni imprenditoriali le quali, non fosse stato per l'abbuffata di denaro e credito, avrebbe dato luogo ad una salutare e sostenuta diminuzione nel prezzo unitario di merci e servizi che ciascuno utilizza. In più, il pieno assorbimento delle economie di Cina ed India nel mercato globalizzato ha gradualmente incrementato vieppiù la produttività reale di merci di consumo e servizi. L'assenza di una salutare “deflazione” nei prezzi dei beni di consumo in un periodo di crescita della produttività così marcato come in questi ultimi anni fornisce la maggior prova che lo shock monetario ha seriamente alterato il processo economico.
La teoria economica ci insegna che, sfortunatamente, l'espansione artificiale del credito e l'inflazione dei mezzi (fiduciari) di scambio non offre alcuna scorciatoia per uno sviluppo economico stabile e sostenuto; non c'è modo di evitare il sacrificio e la disciplina necessari dietro ad ogni risparmio volontario. (Infatti, particolarmente negli Stati Uniti, i risparmi volontari non solo non sono aumentati ma in pochi anni sono addirittura scesi a cifre negative).
Invero, l'espansione artificiale del credito e della moneta non è mai altro se non una soluzione a breve termine e spesso manco questo. Infatti oggi non vi è dubbio alcuno sulle conseguenze recessive che lo shock monetario sempre comporta nel lungo termine: i nuovi prestiti (fatti di soldi che la gente non ha in precedenza risparmiato) da subito consentono agli imprenditori un potere d'acquisto che essi utilizzano per progetti d'investimento troppo ambiziosi (negli ultimi anni specialmente nello sviluppo del settore immobiliare). In altre parole, gli imprenditori agiscono come se la gente avesse incrementato i propri risparmi quando invece ciò in realtà non è accaduto.
Ne risulta uno squilibrio generalizzato del sistema economico: la bolla finanziaria (“esuberanza irrazionale”) sortisce un effetto dannoso sull'economia e prima o poi il processo si inverte prendendo la forma di una recessione economica che segna l'inizio di un doloroso e necessario processo di riaggiustamento. Questo riaggiustamento richiede invariabilmente la conversione dell'intera struttura produttiva reale che l'inflazione ha distorto.
I segnali specifici della fine dell'euforica abbuffata monetaria e dell'inizio dei postumi recesssionisti sono molti e possono variare da un ciclo all'altro. Nelle attuali circostanze il segnale più evidente è stato l'aumento nei prezzi delle materie prime, il petrolio in particolare, la crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti e, infine, il fallimento di importanti istituti bancari quando divenne chiaro sul mercato che il valore dei loro debiti era divenuto maggiore di quello dei loro asset (garantiti da mutui ipotecari).
Nel presente numerose voci stanno domandando per tornaconto personale ulteriori riduzioni dei tassi d'interesse e nuove iniezioni di denaro, le quali permettono a chi lo desidera di completare i propri progetti di investimento senza soffrire perdite.
Tuttavia, questa “fuga al futuro” riuscirebbe soltanto a rinviare il problema al prezzo di renderlo poi ancor più grave. La crisi ha colpito perchè i profitti delle compagnie di beni capitali (specialmente nel settore immobiliare) sono scomparsi a causa di errori di gestione provocati dal credito facile e perchè i prezzi dei beni di consumo sono cominciati a salire più velocemente di quelli capitali.
A questo punto comincia un'inevitabile e dolorosa correzione ed in aggiunta ad un calo di produzione ed aumento di disoccupazione stiamo vedendo un aumento assai dannoso nei prezzi dei beni di consumo (stagflazione).
L'analisi economica più rigorosa e la più razionale, bilanciata interpretazione dei recenti eventi economici portano inesorabilmente alla conclusione che le banche centrali (che sono a tutti gli effetti agenzie per la pianificazione centralizzata della moneta) non sono possibilmente in grado di escogitare la più vantaggiosa politica monetaria in ogni momento. Ciò è esattamente quanto risulta nel caso dei tentativi falliti di pianificare l'economia sovietica dall'alto.
Per dirla in altro modo, il teorema dell'impossibilità economica del socialismo sviluppato dagli economisti austriaci Ludwig von Mises e Friedrich A. Hayek è pienamente applicabile alle banche centrali in generale, alla Federal Reserve di Alan Greenspan (un tempo) e Ben Bernanke (oggi) in particolare. Secondo questo teorema è impossibile organizzare una società, in termini economici, basata su disposizioni coercitive emanate da un pianificatore centrale poichè un tale organismo non può mai ottenere le informazioni di cui necessita per impartire i propri ordini di natura coordinatrice. Infatti, nulla è più nefasto dell'indulgere nella “fatale presunzione” - per usare la giusta espressione di Hayek – di ritenersi omniscente o quantomeno saggio e potente a sufficienza da essere in grado di mantenere la politica monetaria sempre al miglior livello. Di conseguenza, piuttosto che tamponare i più violenti sbalzi del ciclo economico, la federal reserve e in modo meno marcato la banca centrale europea, ne sono molto probabilmente stati i principali architetti ed i colpevoli del suo peggioramento.
Perciò, il dilemma di fronte a Ben Bernanke ed al consiglio della federal reserve, al pari di altre banche centrali (a cominciare da quella europea), non è affatto confortante. Per anni essi hanno scansato le proprie responsabilità ed ora si ritrovano in un vicolo cieco. Possono far sì che il processo recessionista abbia inizio, e con esso il salutare e doloroso riaggiustamento, oppure possono procrastinare applicando un palliativo. Con quest'ultima le probabilità che si abbia una stagflazione ancor più severa nel prossimo futuro aumentano esponenzialmente. (Ciò fu precisamente l'errore commesso dopo il crash delle borse nel 1987, un errore che portò all'inflazione di fine anni '80 e si concluse con la forte recessione degli anni 1990 – 1992.)
Inoltre, la reintroduzione di politiche di credito facile a questo punto potrà solo ostacolare la necessaria liquidazione di investimenti fallimentari e la riconversione delle imprese. Potrebbe anche finire col prolungare la recessione indefinitamente, come accaduto all'economia giapponese la quale, dopo che ogni altro intervento era stato tentato, smise di reagire ad ogni stimolo a base di espansione del credito o metodi keynesiani.
E' in questo contesto di “schizofrenia finanziaria” che dobbiamo interpretare i recenti “spari nel buio” esplosi dalle autorità monetarie (che hanno due responsabilità totalmente in contraddizione tra loro: controllare l'inflazione ed iniettare tutta la liquidità necessaria nel sistema finanziario per prevenirne il collasso). Così, un giorno la FED corre in soccorso di AIG, Bear Stearns, Fannie Mae e Freddie Mac mentre un altro lascia fallire Lehman Brothers sotto il pretesto ampiamente giustificato di “dare una lezione” e rifiutarsi di incentivare l'azzardo morale. Infine, alla luce del modo in cui gli eventi stanno evolvendo, il governo USA annunciò un piano da 700 miliardi di dollari per acquistare asset illiquidi (cioè privi di valore) dal sistema bancario. Se il piano venisse finanziato dalle tasse (e non da una maggiore inflazione), esso comporterebbe un enorme carico fiscale sulle spalle delle famiglie proprio quando esse sono meno in grado di sopportarlo.
A confronto, le economie dell'unione europea si trovano in uno stato in qualche modo di minor povertà (se non consideriamo l'effetto espansionistico della deliberata politica di deprezzamento del dollaro e la relativa maggior rigidità europea, soprattutto nel mercato del lavoro, la quale tende a rendere le recessioni europee più lunghe e dolorose). La politica espansionista della banca centrale europea, sebbene non esente da gravi errori, è stata in qualche modo meno irresponsabile di quella della federal reserve. In più, la realizzazione dei criteri d'ammissione al blocco dell'euro (convergenza) ha coinvolto una salutare e significativa riabilitazione delle principali economie europee. Solo poche economie alla periferia, quali l'Irlanda e in particolare la Spagna, si sono imbarcate in politiche di notevole espansione del credito sin dall'inizio del loro processo di convergenza.
Il caso della Spagna è indicativo. L'economia spagnola ha vissuto un boom economico dovuto, in parte, a cause reali (riforme strutturali di liberalizzazione che ebbero origine sotto l'amministrazione di Josè Marìa Aznar). Nonostante ciò, il boom fu anche ampiamente alimentato da un'espansione artificiale di moneta e credito che crebbe ad un ritmo quasi tre volte maggiore di quello in Germania e Francia.
I soggetti economici spagnoli essenzialmente interpretarono la discesa dei tassi d'interesse, risultanti dal processo di convergenza, nei termini di denaro facile tradizionali in Spagna: una maggiore disponibilità di denaro facile ed una massiccia richiesta di prestiti dalle banche spagnole (principalmente per finanziare speculazioni edilizie), prestiti che tali banche hanno concesso grazie alla creazione di denaro dal nulla mentre i banchieri centrali europei stavano a guardare imperturbati. Messa di fronte all'aumento dei prezzi, la banca centrale europea è rimasta fedele al proprio mandato ed ha deciso di non abbassare i tassi d'interesse nonostante le difficoltà di quei membri dell'unione monetaria europea i quali, al pari della Spagna, stanno ora scoprendo che gran parte dei propri investimenti immobiliari fu un errore e sono diretti su un percorso lungo e doloroso di riorganizzazione della loro economia reale.
In queste circostanze la politica più appropriata sarebbe quella di liberalizzare l'economia ad ogni livello (specialmente nel mercato del lavoro) per permettere la rapida riallocazione dei fattori produttivi (il lavoro in particolare) verso settori più profittevoli. Parimenti è essenziale ridurre la spesa pubblica e le tasse al fine di incrementare le entrate disponibili per i soggetti economici più indebitati che hanno urgenza di ripagare i propri debiti il prima possibile.
I soggetti economici in generale e le compagnie in particolare possono risollevare le proprie finanze soltanto attraverso il taglio dei costi (specialmente i costi del lavoro) e pagando i debiti. Essenziali a questo scopo sono una grande flessibilità sul mercato del lavoro ed un settore pubblico molto più austero. Questi fattori sono fondamentali nel caso il mercato stesse per rivelare quanto prima il vero valore dei beni d'investimento prodotti in eccesso e con ciò posare le fondamenta per una salutare e sostenuta ripresa economica in un futuro che, per il bene di tutti, speriamo non sia troppo distante.
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