The Great George Carlin and Politicians then and now
Writes Tim McGraw:
Decades ago, George Carlin was given an award by the National Press Club in Washington, D.C. You can find the video of the event on YouTube. Carlin gave a speech. About 1/2 through the speech, George started to talk about politicians. A group of people in D.C. that the reporters and editors in the audience knew quite a bit about.
I’ll paraphrase. By all means, look up the YouTube video of George Carlin at the National Press Club to see and hear the original routine. Here’s the link if you couldn’t find it: George Carlin Press Club Speech.
Carlin: Eventually, a politician will get into some kind of scandal. At first, he’ll say, “I don’t recall the events, but I’ll look into it.” As more facts come out, the politician says, “I am consulting with the committee to find out the truth of the matter.” More facts come out, and now the politician is really scrambling. The politician then says, “I just want to put all of this behind me and look to the future.”
In the past few days, Governor Newsom has said, “He doesn’t know the whole situation. That is the purview of the authorities in Los Angeles.” More facts came out, and Newsom said, “I’m going to have an investigation with a committee to get the facts of what happened.” More facts came out, and today, Governor Newsom was on a radio show saying, “I don’t want to point fingers at anyone. I just want to put all this behind us and look to the future.”
…
Politicians don’t change.
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Informants here, informants there, informants everywhere
Writes Gail Appel:
We’re told there were 28 FBI informants. Ergo the media mouthpiece mockingbirds on Fox repeat “ There may have been 28 FBI informants” mantra.
What hasn’t been questioned is additionally, how many CIA, NSA, DHS, Federal Police and foreign spies were there.
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Support for Gaza Genocide Top Reason Biden Voters Did Not Support Harris
Thanks, John Smith.
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Bill Gates Working with U.S. Military tTo Sneak Insects into Food Supply
Thanks, John Frahm.
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Israel Agrees to the Ceasefire It Rejected Months Ago, Thousands More Died
Thanks, John Smith.
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Another Medal on Pete Hegseth’s Chest
Warmongering neocon clown David Brooks writes in the War Street Journal that Hegseth’s hearing in Congress over his nomination as defense secretary “made me sick to my stomach.”
Let’s do the compassionate thing and send Brooks some barf bags and Dramamine at his War Street Journal address.
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The Current State of “Student Athletes”
Deion Sanders, head coach of the University of Colorado football team, says his son Shedeur, the quarterback for the team, and Travis Hunter, this year’s Heisman Trophy winner, never once stepped foot in a University of Colorado classroom during their time there. They did everything online. Both will be top NFL draft choices, maybe even top five, in the spring. This probably saved these two young men from years of incessant left-wing communistic propagandizing and indoctrination that all other University of Colorado students are subjected to.
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Once a Totalitarian, Always a Totalitarian
The totalitarian Demo-Bolshevik party politicians have been grilling Trump’s appointees like Pam Bondi, his attorney general nominee, about whether she will “go after” what they call “Trump’s political opponents.” Her answers should have been “Yes, if they have broken the law.” Which of course they all have with their disgraceful Third World dictator-style of “lawfare.” What they are really saying is that “Since we are Demo-Bolsheviks, we are by definition morally superior to everyone else and should therefore be exempt from all criminal activity if it allows us to remain in power forever. With us, the ends justify the means after all.”
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Esploriamo 6 indicatori on-chain per comprendere meglio i cicli di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/esploriamo-6-indicatori-on-chain)
Con Bitcoin che ora fa sembrare normale il territorio a sei cifre e prezzi più alti una inevitabilità, l'analisi dei dati chiave on-chain fornisce preziose informazioni sulla salute di base del mercato. Comprendendo queste metriche, gli investitori possono anticipare meglio i movimenti dei prezzi e prepararsi per potenziali picchi di mercato o persino per eventuali imminenti ritracciamenti.
PREZZO TERMINALE
La metrica del Prezzo terminale, che incorpora i Coin Days Destroyed (CDD) e tiene conto dell'offerta di Bitcoin, è stata un indicatore affidabile per prevedere i picchi dei cicli di mercato. Coin Days Destroyed misura la velocità delle coin trasferite, considerando sia la durata di detenzione che la quantità spostata.
Grafico 1: il Prezzo terminale di Bitcoin ha superato i $185.000
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Attualmente il Prezzo terminale ha superato i $185.000 ed è probabile che salirà verso i $200.000 con l'avanzare del ciclo. Con Bitcoin che ha già superato i $100.000, questo suggerisce che potremmo avere ancora diversi mesi di movimento di prezzo positivo davanti a noi.
MULTIPLO PUELL
Il Multiplo Puell valuta i ricavi giornalieri dei miner (in dollari) in relazione alla sua media mobile a 365 giorni. Dopo l'halving, i miner hanno subito un forte calo dei ricavi, creando un periodo di consolidamento.
Grafico 2: Il Multiplo Puell è salito sopra 1,00
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Ora il Multiplo Puell è risalito sopra 1, segnalando un ritorno alla redditività per i miner. Storicamente il superamento di questa soglia ha indicato le fasi successive di un ciclo rialzista, spesso caratterizzato da rally esponenziali dei prezzi. Un modello simile è stato osservato durante tutte le precedenti corse rialziste.
MVRV-Z
L'MVRV-Z misura il valore di mercato in relazione al valore realizzato (base di costo medio dei possessori di Bitcoin). Standardizzato per tenere conto della volatilità dell'asset, è stato estremamente accurato nell'identificare picchi e minimi dei cicli.
Grafico 3: l'MVRV-Z è ancora notevolmente al di sotto dei picchi precedenti
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Attualmente l'MVRV-Z di Bitcoin rimane al di sotto della zona rossa surriscaldata con un valore di circa 3,00, a indicare che c'è ancora spazio per salire. Mentre i picchi decrescenti sono stati una tendenza nei cicli recenti, suddetto indicatore suggerisce che il mercato è ben lungi dal raggiungere un picco di euforia.
SENTIMENT DEGLI INDIRIZZI ATTIVI
Questa metrica traccia la variazione percentuale a 28 giorni degli indirizzi di rete attivi insieme alla variazione di prezzo nello stesso periodo. Quando la crescita dei prezzi supera l'attività della rete, suggerisce che il mercato potrebbe essere ipercomprato a breve termine, poiché l'azione positiva dei prezzi potrebbe non essere sostenibile dato l'utilizzo della rete.
Grafico 4: il Sentiment degli indirizzi attivi ha indicato condizioni di surriscaldamento sopra i $100.000
Visualizza il grafico in tempo reale ????
I dati recenti mostrano un leggero raffreddamento dopo la rapida salita di Bitcoin da $50.000 a $100.000, indicando un sano periodo di consolidamento. Questa pausa sta preparando il terreno per una crescita sostenuta a lungo termine e non indica che dovremmo essere ribassisti nel medio-lungo termine.
RAPPORTO TRA OUTPUT SPESO E PROFITTO
Il Rapporto tra output speso e profitto misura i profitti realizzati dalle transazioni Bitcoin. I dati recenti mostrano un aumento delle prese di profitto, il che indica potenzialmente che stiamo entrando nelle ultime fasi del ciclo.
Grafico 5: grandi cluster di rapporto tra output speso e profitto segnalano player che incassano
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Un avvertimento da prendere in considerazione è il crescente utilizzo degli ETF su Bitcoin e prodotti derivati. Gli investitori potrebbero passare dall'autocustodia agli ETF per facilità d'uso e vantaggi fiscali, il che potrebbe influenzare i valori del Rapporto tra output speso e profitto.
VALUE DAYS DESTROYED
Il multiplo Value Days Destroyed (VDD) si espande sui CDD ponderando i detentori più grandi e a lungo termine. Quando questa metrica entra nella zona rossa surriscaldata, spesso segnala importanti picchi di prezzo poiché i player più grandi ed esperti iniziano a incassare.
Grafico 6: il VDD è surriscaldato, ma non troppo
Visualizza il grafico in tempo reale ????
Mentre gli attuali livelli di VDD di Bitcoin indicano un mercato leggermente surriscaldato, la storia suggerisce che potrebbe mantenere questo intervallo per mesi prima di un picco. Ad esempio, nel 2017 il VDD indicò condizioni di ipercomprato quasi un anno prima del picco del ciclo.
CONCLUSIONE
Nel complesso queste metriche suggeriscono che Bitcoin sta entrando nelle ultime fasi del suo mercato rialzista. Mentre alcuni indicatori puntano a un raffreddamento a breve termine, o a una leggera sovraestensione, la maggior parte evidenzia un sostanziale rialzo residuo per tutto il 2025. I livelli di resistenza chiave per questo ciclo potrebbero emergere tra $150.000 e $200.000, con metriche come il Rapporto tra output speso e profitto e il VDD che forniranno segnali più chiari man mano che ci avvicineremo al picco.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Leading journalist calls Zuckerberg’s free speech announcement “an invitation to genocide”
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1961: Aldous Huxley on the power of Technology!
Writes Gail Appel:
Bone chilling
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250 African migrants occupy leftist-run Paris theater for 5 weeks, refuse to leave after free ‘welcome’ event
Writes Gail Appel:
France has only itself to blame. Bringing people from third world nations that haven’t advanced in hundreds of years into one of the world’s most beautiful cities with a rich , unique cultural heritage doesn’t work. They will not and cannot assimilate any more than a Parisian could in Sudan. Nor are Westerners welcome in Sudan, Somalia, Pakistan, et al.
Want to change the world for the better? Abolish the UN.
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Perché Israel Kirzner merita il premio Nobel
Nell’autunno del 2014 hanno iniziato a circolare le voci secondo le quali il professor Israel Meir Kirzner (classe 1930 economista, rabbino britannico naturalizzato statunitense ed esponente della scuola austriaca), insieme a William Baumol (classe 1922, economista statunitense, professore alla New York University e alla Princeton University), erano possibili candidati per il premio Nobel. La fonte del rumor era la Thomson-Reuters – la società di database scientifico – e alla base della voce erano i modelli di citazione. Anche se è un database diverso, ma solo per facilità di ricerca ai lettori di questo saggio, in modo che possano verificare la presenza di se stessi, una ricerca su Google Scholar sarà sufficiente a fornire una certa prospettiva sull’impatto scientifico in fase di registrazione da Baumol e Kirzner. I rilevanti contributi di Baumol sono i seguenti:
-
“Entrepreneurship: Productive, Unproductive, and Destructive.” Journal of Political Economy 98(5) 1990: 893-921 con 4.641 citazioni;
- Contestable Markets and The Theory of Industry Structure. New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1982 (coauthored with John C. Panzar, and Robert D. Willig) con 6.454 citazioni;
- “Contestable Markets: An Uprising in the Theory of Industry Structure.” The American Economic Review 72(1) 1982: 1-15 con 2.455 citazioni;
- “Entrepreneurship in Economic Theory.” The American Economic Review 58(2) 1968: 64-71 con 1.581 citazioni.
I contributi rilevanti di Kirzner dovrebbero includere:
-
Competition and Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1973 con 7.550 citazioni;
-
“Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process: An Austrian Approach.” Journal of Economic Literature 35(1) 1997: 60-85 con 3.273 citazioni;
- Perception, Opportunity, and Profit: Studies in the Theory of Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1979 con 2.604 citazioni. (1)
Confronta questi numeri con i precedenti premi Nobel, come F.A. Hayek, il cui “l’uso della conoscenza nella società” ha raccolto 13.935 citazioni e opere come La via della schiavitù e la costituzione della libertà, che sono stati citati più di 8.000 volte ciascuno. Al famoso “Il ruolo della politica monetaria” di Milton Friedman poco più di 7.000 citazioni e la sua Storia monetaria degli Stati Uniti (coautore con Anna Schwartz – 1915-2012 economista americana al National Bureau of Economic Research di New York City) appena sotto le 8.000. Di James Buchanan (1919-2013 economista statunitense) Il Calcolo del consenso (coautore con Gordon Tullock – 1922-2014 economista) è stato citato più di 10.000 volte, ma il suo saggio seguente più citato è: “La teoria economica dei clubs” che ha raccolto poco più di 3.800 citazioni.
Quindi le voci non erano incredibili sulla base dei criteri della Thomson-Reuters. E Baumol e Kirzner erano già stati riconosciuti in Svezia con il Premio Internazionale per l’Imprenditorialità e la Ricerca sulle piccole imprese e per il loro lavoro nel campo dell’imprenditoria. Così, ancora una volta, le voci erano (sono) plausibili, anche se, naturalmente, improbabili – soprattutto per quanto riguarda Kirzner, dato il suo status di outsider. Ahimè, né Baumol né Kirzner hanno ricevuto la telefonata quel giorno dell’ottobre nel 2014.
Ho intenzione di utilizzare questa occasione per fornire alcuni motivi per chiedere di avere, e speriamo, ricevere quel riconoscimento da parte della Svezia, in particolare perché i contributi di Israel Kirzner alla nostra comprensione del comportamento concorrenziale, della struttura industriale e del processo del mercato imprenditoriale dovrebbero essere riconosciuti. Vorrei anche dimostrare che il lavoro di Kirzner fornisce una piattaforma per la ricerca futura alla teoria dei prezzi ed al sistema di mercato più in generale. (2)
L’aspetto dei contributi che voglio sottolineare sono le intuizioni di Kirzner sulla naturale rivalità del comportamento concorrenziale e del processo di mercato. Egli ha sollevato le questioni fondamentali per l’analisi della teoria del mercato ed il funzionamento del sistema dei prezzi, che è alla base stessa della scienza economica. I suoi scritti sul comportamento economico, in tutta la loro varietà e complessità, esplorano l’ambiente istituzionale che consente una economia di mercato per realizzare i vantaggi reciproci dal commercio, per ritrovare continuamente i guadagni da innovazione, per produrre un sistema caratterizzato dalla crescita economica e per la creazione di ricchezza.
L’interesse personale e la Mano Invisibile
La scienza economica fin dalla sua nascita si compone di due affermazioni che devono essere conciliate l’uno con con l’altra: il postulato dell’interesse personale e la spiegazione della mano invisibile. Da Adam Smith in avanti molti hanno spiegato il rapporto del collassare, uno sull’altro, attraverso i rigorosi presupposti cognitivi e postulando un ambiente privo di attrito o hanno cercato di dimostrare l’impossibilità di far quadrare queste due affermazioni a causa di carenze cognitive o di una varietà di attriti supposti.
Così i dibattiti di economia politica sul ruolo del governo nell’economia tendevano, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ad accendere ad un assioma dei mercati perfetti o la dimostrazione di deviazioni da quella ideale a causa di mercati imperfetti. Kirzner, fin dall’inizio della sua carriera, ha dovuto affrontare obiezioni alle spiegazioni della mano invisibile associate a domande riguardanti la razionalità umana, l’esistenza del potere del monopolio, la pervasività delle esternalità ed ad una varietà di deviazioni dal libro di testo ideale della concorrenza perfetta.
In due modi gli economisti hanno risposto alle critiche del funzionamento dell’economia di mercato: in primo luogo, la chiarezza concettuale, in cui il teorico insiste sull’illustrare le condizioni di base su cui si stanno facendo affermazioni sulla mano invisibile e dimostrando che le critiche si basavano su fondamenta sbagliate; in secondo luogo, dalla dimostrazione che le deviazioni dalla nozione dal manuale ideale della concorrenza perfetta, non necessariamente, impediscono al sistema dei prezzi, di fare il proprio lavoro, di coordinare l’attività produttiva di alcuni i modelli di consumo con degli altri e la spiegazione della teoria della mano invisibile del mercato risulta dalla ricerca del proprio interesse all’interno di un certo insieme di condizioni istituzionali. Tali condizioni istituzionali sono stabilite dalle leggi di proprietà e di contratto che sono fissate e applicate e che costituiranno il quadro in cui ha luogo l’interazione economica.
Nel lavoro di Kirzner esamineremo entrambe queste risposte alle critiche del mercato. In realtà ha intitolato un saggio relativamente tardi nella sua carriera “I limiti del mercato: il reale e l’immaginato” (1994). La chiarezza concettuale percorre un lungo cammino per correggere un libero pensiero legato alla razionalità umana, all’esternalità, al potere del monopolio, ecc. ed alla forza dei processi di mercato per fornire l’incentivo agli operatori economici di adeguare continuamente il loro comportamento e di adattarsi al mutare delle circostanze per gran parte del rimanente. Lontano dal ribadire una teoria del ricostruito mercato-perfetto, questo approccio Kirzneriano costringe l’analista a guardare con attenzione alle proprietà dinamiche del sistema in quanto è in continua evoluzione verso una soluzione ed il ruolo essenziale è svolto nel quadro della strutturazione del contesto economico.
L’“inefficienza” di oggi è l’opportunità di profitto di domani per l’individuo che è in grado di agire alla situazione e di spostare il sistema in una direzione meno “errata” di prima. E se l’attuale decisore critica e non fa il necessario aggiustamento, un altro lo farà per lui, le risorse saranno reindirizzate, ed un modello di scambio e di produzione emergerà meglio coordinato dai piani dei partecipanti al mercato. Il lavoro di Kirzner volge la nostra attenzione teorica lontano dagli esercizi di ottimizzazione contro il vincolo dei dati e verso gli attori umani attenti e creativi che scoprono continuamente strade per realizzare profitti dal commercio e guadagni dalla innovazione.
Kirzner e Mises
Ludwig von Mises ha stimolato la ricerca intellettuale di Kirzner. Nato in Inghilterra il 13 febbraio 1930, Kirzner e la sua famiglia si trasferirono in Sud Africa nel 1940. Nel 1947 ha frequentato l’Università di Città del Capo, ma poi si trasferì negli Stati Uniti alla fine dell’anno accademico. Dopo la laurea al Brooklyn College, nel 1954, Kirzner decise di conseguire la laurea in economia aziendale, con indirizzo in ragioneria, presso la New York University e nel 1955 ha conseguito il Master in Business Adomistradion. Mentre completava il corso per l’MBA, Kirzner ha cercato un corso più impegnativo, per sua scelta, così ha guardato nell’elenco della facoltà i professori che avevano pubblicato molti libri ed erano stati premiati con prestigiosi riconoscimenti. Capitò sul nome di Ludwig von Mises. Lui ha raccontato la sua storia innumerevoli volte; i compagni e gli amministratori lo avvertirono di non frequentare quel corso perché dicevano che Mises era vecchio e non più al passo con i tempi.
Ma Kirzner frequentò, comunque, il corso che ha cambiato la sua vita. Nello stesso semestre stava seguendo la teoria dei prezzi, utilizzando La teoria del prezzo di Stigler (1952) e imparando a distinguere fra la scelta entro i vincoli e la logica della concorrenza perfetta; nel seminario di Mises stava leggendo l’Azione umana (Human Action), portando a conoscenza l’agonia umana del processo decisionale in mezzo a un mare di incertezze e che il mercato non era un luogo o una cosa, ma un processo. Le idee di Mises lo incuriosivano e conciliando ciò che stava imparando da Stigler con quello che stava apprendendo da Mises hanno scatenato la sua immaginazione intellettuale. E’ cambiato il suo percorso: dalla carriera di contabile professionista a quella di economista accademico. In un primo momento Mises, che ha riconosciuto il potenziale di Kirzner, gli raccomanda di andare alla Johns Hopkins University e lavorare con il più giovane, il più professionale ed inserito tra gli economisti accademici contemporanei: Fritz Machlup (1902-1983 economista austriaco). Mises ha persino organizzato una borsa di studio per Kirzner. Ma Kirzner ha scelto di rimanere, fino alla fine, alla New York University sotto la direzione di Mises ed il suo dottorato di ricerca in economia è stato premiato nel 1957. In quel periodo ha ricevuto la nomina a professore di economia alla New York University e ha insegnato fino al suo pensionamento nel 2000.
Il primo libro di Kirzner è stato: Il punto di vista economico (1960), sviluppato dal suo dottorato di ricerca come tesi di laurea. Bettina Bien Greaves (classe 1917), della Fondazione per l’Educazione Economica, ha frequentato regolarmente il seminario di Mises alla New York University e ha preso accurati appunti nel corso degli anni. Un aspetto di quelle note erano le idee di ricerca che Mises avrebbe tirato fuori dal corso. La prima idea del genere la annotò il 9 novembre 1950 ed era: “Hai bisogno di un libro sull’evoluzione dell’economia, come scienza della ricchezza, ad una scienza dell’azione umana”. (3) Questo argomento è quello che Kirzner ha analizzato nella sua tesi e nel libro successivo. Il punto di vista economico attentamente e meticolosamente annotato nello sviluppo del pensiero economico, concentrandosi sul significato che gli economisti hanno annoverato nel loro soggetto: dai classici (scienza della ricchezza) ai moderni (scienza dell’azione umana). Il capitolo chiave del libro cerca di elaborare lo sviluppo della prasseologia di Mises.
L’importanza della prasseologia di Mises
Kirzner sostiene tutti i contributi unici di Mises nei vari campi della teoria economica, perché sono il risultato di uno sviluppo coerente della prospettiva prasseologica sulla natura della scienza economica. “Se la teoria economica, come la scienza dell’azione umana, è diventata un sistema per mano di Mises, essa è così perché la sua comprensione, del suo carattere prasseologico, impone le sue proposizioni in una logica epistemologica che di per sé crea questa unità ordinata” (Kirzner, il punto di vista economico, p. 160).
L’economia, come il ramo più sviluppato della prasseologia, deve iniziare con la riflessione sull’essenza dell’azione umana. “Lo scopo non è qualcosa che deve essere semplicemente ‘preso in considerazione’: esso fornisce l’unica base del concetto di azione umana” (ibid., p. 165) … I teoremi dell’economia, vale a dire, i concetti di utilità marginale, di costo dell’opportunità ed il principio della domanda e dell’offerta, sono tutti derivati dalla riflessione sulla finalità dell’azione umana. La teoria economica non rappresenta un insieme di ipotesi verificabili, ma piuttosto un insieme di strumenti concettuali che ci aiutano nella lettura del mondo empirico.
Ciò che rende unico delle scienze umane, in contrasto con le scienze fisiche, è che il punto essenziale del fenomeno, oggetto dello studio, sono gli scopi umani ed i programmi. Come studente di Mises, Fritz Machlup una volta ha posto la seguente domanda: “Se il soggetto potesse parlare, cosa direbbe?” Lo scienziato umano può attribuire il risultato ai fenomeni in discussione. In realtà egli deve assegnare lo scopo umano se vuole rendere tali fenomeni oggetto di indagine intelligibile. Possiamo capire che i pezzi di metallo e la carta cambiano la funzione alle mani, come il “denaro”, è causa delle finalità e dei piani che noi attribuiamo alle parti negoziali. Lo scienziato umano può e, anzi deve, basarsi sulla conoscenza delle tipizzazioni ideali di altri esseri umani.
Siamo in grado di capire il comportamento mirato dell’“altro”, perché noi stessi siamo umani. Questa conoscenza, denominata “conoscenza dal di dentro”, è unica per le scienze umane ed è stato un disastro totale cercare di eliminare il ricorso ad essa importando i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali per creare la “fisica sociale”. Gli scienziati hanno dimenticato che, mentre era opportuno eliminare l’antropomorfismo dallo studio della natura, sarebbe del tutto indesiderabile eliminare l’uomo, con i suoi scopi ed i suoi progetti, dallo studio dei fenomeni umani. Un tale esercizio comporta risultati nel “meccano-morfismo” delle scienze umane (dottrina in cui l’universo è completamente spiegabile in termini meccanicistici), vale a dire, attribuendo un comportamento meccanico ai soggetti umani creativi. In una situazione del genere si finisce per parlare del comportamento economico dei robot, non degli uomini. Ma questo è esattamente quello che è successo nel dopoguerra, quando l’“economia” è stata studiata come un meccanismo astratto in contrasto con l’arena in corso dove fuori si gioca l’impegno degli individui per migliorare la loro condizione.
Il processo di mercato ed il costante cambiamento
Come sottolineato da Mises, F.A. Hayek, Kirzner ed anche da James Buchanan, nel suo più famoso saggio “Cosa dovrebbero fare gli economisti? ” (1964), l’economia non ha alcuna teleologia in quanto tale, ma gli attori all’interno dell’economia, in effetti, hanno le loro teleologie individuali. E’ fondamentale per comprendere la natura dell’economia di mercato, dal momento che una diversità di obiettivi e di programmi sono perseguiti e soddisfatti da altri; potenziali conflitti sono riconciliati attraverso lo scambio e nuovi modi di perseguire e soddisfare sono costantemente scoperti da imprenditori creativi ed attenti. L’economia non ha un unico fine; non ha uno “scopo”. E’ invece solo un “mezzo-correlato”, un “nesso di scambi volontari”. Il mercato è sempre in sviluppo, sempre in evoluzione verso una soluzione e non in nello stato finale di rilassamento.
In misura considerevole, questo è quello che voleva dire Mises quando ha detto che il mercato non è un luogo o una cosa, ma un processo. E ciò che anima questo continuo processo di scambio e di produzione è l’intenzionale protagonista umano – con tutti le sue debolezze e le sue paure, così come la sua immaginazione ed il coraggio di progettare l’inesplorato. L’attore Misesiano non è né un animale puramente reattivo, né una macchina calcolatrice fredda, ma invece è tipicamente un protagonista umano, che ha obiettivi e che cerca di utilizzare in modo creativo, con i mezzi a disposizione, di conquistare questi obiettivi in un mondo di incertezza e di ignoranza ed è in grado di apprendere, attraverso il tempo, i passi falsi precedenti e le svolte sbagliate.
Il cambiamento è un tema costante negli scritti di Mises – i cambiamenti dei gusti, della tecnologia e della disponibilità delle risorse. L’aspetto meraviglioso del sistema dei prezzi è la sua capacità di assorbire il cambiamento: il ruolo guida dei prezzi relativi, il richiamo del puro profitto e la disciplina della perdita per reindirizzare i responsabili delle decisioni economiche, così che i loro piani di produzione e le loro richieste di consumo irretite dalla nuova realtà. E’ importante sottolineare che questo processo è in corso, o come Mises mise scrive nell’originale saggio del 1920, “Il calcolo economico nel Commonwealth socialista”, il sistema dei prezzi fornisce una guida in mezzo alla “massa sconcertante di prodotti intermedi e la potenzialità di produzione” (1975 [1920]: 103) e consente ai decisori economici di negoziare l’incessante “faticare e sgobbare” (lavorare sodo) (1975 [1920]: 106) dell’adeguamento costante del mercato e dell’adattamento al mutare delle circostanze.
Kirzner nel documento del 1967, “La metodologica dell’individualismo, l’equilibrio di mercato ed il processo di mercato”, persegue le implicazioni del senso di Hayek sull’esito dei problemi economici, come conseguenza del mutare delle circostanze. Come Kirzner dice: “Questo è il carattere fondamentale del processo di mercato messo in moto con l’esistenza di una situazione di disequilibrio. L’elemento cruciale è la scoperta dell’errore e la conseguente riconsiderazione, da parte degli operatori, della vera alternativa ora apertasi. Il processo di mercato procede per comunicare la conoscenza. Il presupposto importantissimo è che gli uomini imparano dalle loro esperienze di mercato “(il corsivo è originale, 1967: 795). Questa è una descrizione che può prima essere vista nel suo articolo “l’azione razionale e la teoria economica” nel Journal of Political Economy del 1962, ma in seguito più completamente sviluppato nel suo Competition & Entrepreneurship (1973). La sua insistenza in ognuna di queste opere è il decisore umano, che è più della pura massimizzazione dell’omo-economicus, ma una creatura homo-agens più aperta e quindi l’imprenditore creativo ed attento agisce sulle lacune del sistema che si riflettono nello stato di disequilibrio delle cose.
Kirzner ne: La teoria del mercato ed il sistema dei prezzi, afferma: “Abbiamo visto che se un mercato non è in equilibrio questo deve essere il rilevante risultato di impreparazione da parte degli operatori di informazioni sul mercato. Il processo di mercato, come sempre, svolge le sue funzioni incidendo su quelli che prendono decisioni, quegli articoli essenziali di conoscenza che sono sufficienti per guidarli a prendere decisioni come se possedessero la completa conoscenza alla base dei fatti”. (tratto dall’originale, 2011 [1962 ]: 240)
Kirzner Nel significato del processo di mercato, delineerebbe l’importante distinzione tra le variabili sottostanti del mercato (i gusti, la tecnologia e la disponibilità di risorse) e le variabili indotte del mercato (prezzi e utili/perdite contabili) e ha spiegato come il processo di mercato possa essere descritto come l’attività continua che deriva da individui su entrambi i versanti del mercato e che cercano di soddisfare i loro programmi per l’ottimizzazione (1992: 42). Quando i piani di produzione, di cui alcuni perfettamente a coda di rondine (che collimano), con i piani dei consumi degli altri e le variabili indotte e sottostanti sono coerenti tra loro. Se non esiste coerenza reciproca, avremo la continua attività economica perché sarà nell’interesse delle parti di proseguire nella ricerca di una situazione migliore di quanto non si stia attualmente realizzando.
I segnali di profitto e l’imprenditorialità
I prezzi relativi ci guidano nel processo decisionale; i profitti ci invogliano nelle nostre decisioni e le perdite puniscono le nostre decisioni. Questo è il modo in cui il sistema dei prezzi imprime su di noi gli elementi essenziali della richiesta di conoscenza per il coordinamento del programma. O, come Kirzner vorrebbe riassumere il senso nel Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process” (La scoperta imprenditoriale ed il processo del mercato competitivo ndt): “Il processo imprenditoriale è così messo in moto ed è un processo che tende verso una migliore conoscenza reciproca tra i partecipanti al mercato. Il richiamo di puro profitto in questo modo imposta il processo attraverso il quale, il profitto puro, tende ad essere concorrente. La maggiore conoscenza reciproca, tramite il processo di rilevamento imprenditoriale, è la fonte della proprietà equilibrativa del mercato” (Kirzner 1997: 72).
Il contributo teorico di Kirzner offre una risposta ad una delle domande critiche della teoria economica pura – il percorso convergente all’equilibrio, guidato dalle variazioni di prezzo – un problema fastidioso e riconosciuto da Kenneth Arrow (1921-2017 economista, vincitore, assieme a John Hicks, del Nobel per l’economia nel 1972) nel suo saggio del 1959 sulla teoria dell’ aggiustamento dei prezzi, di Franklin Fisher nel Disequilibrium Foundations of Equilibrium Economics (1983) (I fondamenti del disquilibrio e dell’equilibrio in economia) e più recentemente da Avinash Dixit (classe 1944, economista) in Microeconomia: a Very Short Introduction, dove si afferma l’idea di base di analisi dell’offerta e domanda in un equilibrio di mercato: “il problema di questa risposta è che nella logica delle curve della domanda e dell’offerta ogni consumatore e produttore risponde al prezzo dominante, che è al di fuori del controllo di uno di essi. Allora, chi regola, verso l’equilibrio, il prezzo?” (2014: 51)
Kirzner risponde: è l’attenzione dell’imprenditore creativo che agisce sulle lacune dei prezzi e dei costi per realizzare i guadagni dal commercio e gli utili dalla innovazione, che regolano il comportamento del mercato dei partecipanti per coordinare i programmi di produzione con le richieste dei consumi. Il processo di mercato presenta questa tendenza per perseguire i guadagni dal commercio (efficienza di scambio), cercando di utilizzare le tecnologie meno costose nella produzione (efficienza produttiva) e soddisfare le esigenze dei consumatori (l’efficienza del prodotto-mix), ma non è così in modo da pre-conciliare tutti i programmi prima di rivelare un prezzo ed una grandezza vettoriale per liberare tutti i mercati, come in un modello walrasiano, irriducibile dall’equilibrio competitivo generale. Piuttosto lo fa attraverso il continuo processo di scambio e di produzione guidata da aggiustamenti dei prezzi relativi, il richiamo di puro profitto e la punizione della perdita, che conciliano i piani diversi, e spesso divergenti degli attori economici attraverso il processo del mercato stesso.
I mercati scendono sempre a breve dall‘idea astratta di allocazione “efficiente” (o l’ ottimo di Pareto ndt), ma il mercato stesso è adattivo efficiente ed in costante segnalazione per avvertire gli imprenditori di quali modifiche devono essere effettuate e premiare coloro che correttamente le regolano e penalizzare quelli che non lo fanno. I mercati possono ”fallire”, ma la risposta migliore è quella di consentire al mercato di fissare il “fallimento”. Gli sforzi per risolvere i guasti da parte degli attori esterni, al processo in corso di adeguamento del mercato e dell’adattamento, saranno senza aiuto da parte del sistema dei prezzi e, per definizione, la struttura di incentivi che forniscono i diritti di proprietà, la presenza di guida che i prezzi relativi offrono ed il processo di selezione reso possibile effettuata dal calcolo dei profitti e delle perdite.
Di conseguenza, le autorità di regolamentazione devono affrontare alcuni pericoli, come Kirzner ha sottolineato nel suo saggio: “I pericoli del regolamento” (1985 [1979]) correndo il rischio di generare modelli perversi di scambio e di produzione, dai principali imprenditori, in scoperte superflue, piuttosto che in scoperte che meglio coordinino i programmi degli attori economici e, in primo luogo, migliorino i conflitti che originariamente hanno motivato il desiderio di regolamentazione. L’interventismo non è solo controproducente, dal punto di vista dei suoi sostenitori, ma produce anche conseguenze involontarie e indesiderabili in tutto il sistema economico.
Il dinamismo di mercato ed i monopoli
Il lavoro di Kirzner è fondamentale per comprendere le dinamiche del mercato di oggi, come lo era quando gli economisti hanno studiato la prima struttura industriale ed il comportamento concorrenziale. Se si guarda alla struttura del mercato emergente che ha seguito Internet, potrebbe certamente riconoscere la posizione dominante, sul mercato, di Amazon, Apple e Netflix, ma si potrebbe anche avere riconosciuto il grande livello di soddisfazione dei consumatori cointeressati a queste imprese. Nonostante la loro quota di mercato dominante, queste aziende forniscono beni e servizi di qualità a prezzi bassi. E non vi è alcuna aspettativa che queste aziende continueranno ad adoperarsi per fornire prodotti di alta qualità al prezzo più basso. Questo perché si trovano a competere in un mercato contendibile (teoria di William J. Baumol del 1982 ndt).
Prendiamo in considerazione la guerra dei classici browser di una decina di anni fa, Netscape contro Microsoft Internet Explorer. Come può una società monopolistica comportarsi così se il suo prodotto può essere utilizzato per scaricare liberamente i prodotti della concorrenza? Il modello di libro di testo standard della concorrenza perfetta ed il paradigma struttura-condotta-performance, in economia industriale, è costruito su quel modello da manuale, come punto di riferimento, e semplicemente non è in grado di fornire una spiegazione pura per il mercato Internet. I leader di mercato si perdono per strada a meno che essi non continuino ad andare avanti più velocemente per soddisfare ulteriormente le preferenze dei consumatori.
E questo non è solo per il mercato Internet. Si tratta di ogni mercato, una volta che si esamina da vicino il funzionamento storico dei mercati. Questo è come funzionano i mercati, come inteso da Carl Menger, Eugen von Böhm-Bawerk, Mises, Hayek e Kirzner, e penso che si potrebbe sostenere che in modo efficace fu compreso da Smith, Say ed anche Mill. Non è la dimensione delle imprese che conta di più per valutare l’esistenza del potere di monopolio, ma che contano sono le condizioni legali di ingresso. Forse, è importante sottolineare, ancora una volta, la chiarezza concettuale e la robustezza delle risposte alle richieste di fallimento del mercato sulla base del potere di monopolio.
Per quanto riguarda la chiarezza concettuale, in particolare nella tradizione austriaca rappresentata da Murray Rothbard, si sostiene che il potere di monopolio è una conseguenza di un contributo pubblico o di un privilegio. Tuttavia è vero che questa affermazione è la risposta alla robustezza-dei-mercati e potrebbe dimostrare che una società di grandi dimensioni può crescere e possedere una significativa posizione dominante sul mercato in qualsiasi momento, ma proprio perché si trova di fronte della minaccia (reale o immaginaria) dei concorrenti , sarà costretta a comportarsi in modo competitivo, piuttosto che come previsto dal modello di monopolio, se vuole avere qualche speranza di mantenere la sua posizione dominante sul mercato. Le due specie di risposte, ancora una volta, possono andare d’accordo, ma sono distinte. La teoria imprenditoriale del processo di mercato competitivo, di Kirzner, fa impiegare entrambe, ma sottolinea la robustezza del processo di mercato.
E, come riconosciuto dagli economisti classici, come Frank Knight (1885-1972 economista) e Joseph Schumpeter (1883-1950 economista), l’attore centrale nella gestione di questo processo di cambiamento delle circostanze e dell’adattamento a nuove opportunità è: l’imprenditore. La funzione centrale dell’imprenditore è quella di agire sulle opportunità finora non riconosciute per guadagno reciproco – se quelli sono disponibili in forma di opportunità di arbitraggio o di innovazioni tecnologiche che riducono i costi di produzione e di distribuzione o la scoperta di nuovi prodotti in grado di soddisfare la domanda dei consumatori. E’ l’azione imprenditoriale che mette in moto il processo del mercato competitivo e che si traduce negli adattamenti e negli adeguamenti al mutare delle condizioni, in modo che si ottiene il coordinamento complesso di piani economici, si crea ricchezza e si perpetua il progresso economico.
Conclusione
Per queste ragioni, e altro ancora, credo che Kirzner (insieme a Baumol, di cui ho accennato e a Harold Demsetz, che non ho incontrato) abbia fatto più di ogni altro economista moderno vivente per migliorare la nostra comprensione del comportamento concorrenziale e del funzionamento del sistema dei prezzi in una economia di mercato e merita quindi una seria considerazione per il premio Nobel per l’economia. Kirzner ha fornito le sfide fondamentali per l’ortodossia prevalente della concorrenza perfetta, da manuale, e le sue implicazioni non solo per la teoria economica, ma anche per la politica economica.
Il suo lavoro permette di comprendere, in profondità, la natura di come i mercati competitivi per coordinare i piani dei diversi attori economici e delle organizzazioni. Il ruolo fondamentale dei diritti di proprietà degli incentivi da strutturazione, dei prezzi relativi che guidano le decisioni della produzione e del consumo e dei profitti e perdite contabili, come vitali per il processo di calcolo economico, negli affari economici, hanno un posto centrale nel suo lavoro. Così il lavoro di Kirzner fornisce una base economica per la nostra indagine sul sistema politico ed economico più adatto per una società di individui liberi e responsabili.
Note finali
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(1) I contributi di Kirzner si trovano principalmente nella teoria economica corretta e non nel più vasto campo dell’economia politica e della filosofia sociale. Eppure, come spiegherò in conclusione, le intuizioni di Kirzner sul comportamento competitivo, struttura industriale ed il processo di mercato imprenditoriale hanno implicazioni per la politica economica di una società di individui liberi e responsabili. Questo ha portato Liberty Fund a pubblicare le sue opere complete in 10 volumi, e ho il privilegio, insieme al mio collega Frederic Sautet (classe 1968, economista francese), di servire come l’editor (redattore editoriale) di questi volumi. Fino ad oggi, sono stati pubblicati sei volumi su dieci ed il settimo volume è attualmente in produzione. Pubblicato nel momento in cui scriviamo: Il punto di vista economico (2009 [1960]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 1; Teoria del mercato e il sistema dei prezzi (2011 [1963]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 2; Saggi su capitale e interessi (2012 [1967]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 3; Concorrenza e imprenditorialità (2013 [1973]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 4; Il soggettivismo austriaco e l’emergere della teoria dell’imprenditorialità (2015) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 5; e Discovery, Capitalismo, e giustizia distributiva (2016 [1989]) come
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vol. 6. Le opere complete di Israel M. Kirzner.
Ulteriori quattro volumi sono previsti nei prossimi anni per completare il set di 10 volumi. La mia speranza è che questo saggio stimolerà gli studenti di economia e di politica economica per approfittare di questa iniziativa della Liberty Fund ed apprezzare il contributo di Kirzner a livello metodologico, analitico e ideologico.
(2) Il mio obiettivo è quello di Kirzner, ma per una panoramica e la mia valutazione dei contributi di Baumol alla teoria economica e alla economia politica vedasi il mio saggio con Ennio Piano (Laureato. MBA, con dottorato preso il Dipartimento di Economia alla George Mason University), “Imprenditorialità produttiva ed improduttiva di Baumol dopo 25 anni”, Journal of Entrepreneurship and Public Policy , 5 (2) 2016: 130-44.
(3) Cfr “Argomenti ricerca ha suggerito di Mises, 1950-1968”
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Carta da prestazione occasionale
Correva l’anno 2017 ed il Governo italiano, nel mese di marzo, abolì i voucher, in vista anche di un referendum che si doveva tenere nel mese di maggio dello stesso anno. La motivazione fu quella di non dividere il popolo italiano (?). Le scuse sono sempre di rigore. Certo politici, sindacati, aziende, privati, ma anche utilizzatori si trovarono concordi nell’“eccesso” di utilizzo dei voucher e non sempre in modo ortodosso. L’abolizione creò però un vuoto e ritornò imperante il LAVORO NERO (con tutte le conseguenze che conosciamo). Poi le cose cambiarono ed un bel giorno venne presentato un nuovo tipo di pagamento la:
CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.
Di cosa si trattava? Era semplicemente una carta (di plastica) che si acquistava al Banco Posta, in banca o nelle tabaccherie e veniva rilasciata ad aziende, enti, privati ecc. I fruitori erano come sempre persone alla ricerca di un lavoro temporaneo “pagato” e che li mettesse in grado di poter soddisfare i bisogni più immediati. In pratica sostituiva i voucher. Come funzionava? Più o meno con le stesse modalità del voucher e come diceva il mio Professore di Ragioneria: “CAPITO IL CONCETTO CAPITO TUTTO!”. Ed ecco cosa sfornarono le nuove menti in relazione alla carta di ci sopra:
Ogni CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE può avere un valore di:
10, 20, 50, 100, 200 o 500 euro.
Considerando i vari tagli dettero un anche delle disposizioni:
al lavoratore il 75%:
all’ INAIL 7%, per l’assicurazione contro gli infortuni;
all’INPS 13%, destinati alla Gestione Separata contributi previdenziali:
al concessionario 5%.
Per l’acquisto della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE occorreva aggiungere un importo all’erario.
10% scadenza 7 gg.
20% “ 30 “
30% “ 90 “
35% “ 120 “
… … … …
così facendo era possibile dare una datazione ai tempi di utilizzo.
Per far capire come funzionava fecero questo esempio:
“da tempo un amico che lavorava presso un’impresa edile era senza lavoro. Ora, essendo primavera era il momento giusto per dare una rinfrescata alla casa. Feci fare alcuni preventivi, ma non rientravano nel mio budget. Allora che fare? Mi misi d’accordo con il mio amico per pitturare l’appartamento. Io compro il colore e tu ci metti il resto. Tempo concordato 5 giorni. Prezzo € 500,00 tutto compreso. Con una stretta di mano siglammo l’accordo. Mi recai dal mio tabaccaio sotto casa e acquistai con € 550,00 una CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Diedi al tabaccaio la mia tessera sanitaria e l’importo. Il giorno dopo, quando il mio amico “pittore” si presentò a casa con gli attrezzi attivai la CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Alcuni giorni dopo, terminato il lavoro, il mio amico pittore si presentò al Banco Posta per la riscossione e per pagare alcune bollette. Fine della storia e dell’esempio”.
Che cosa ci ha insegnato questo racconto?
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Gli importi possono essere i più vari.
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I due soggetti acquirente e fruitore sono “tracciabili” e l’ente erogante, la carta, può controllare se è solo un fatto occasionale o se rientra in una assunzione mascherata.
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Il fruitore in caso di incidente è assicurato.
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Il fruitore ha i contributi previdenziali versati, anche se io non sono un’azienda.
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Gli Istituti previdenziali (INPS e INAIL) sono coinvolti.
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L’Erario ha introiti certi nel momento della emissione della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.
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Scadenza certa.
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Non c’è il LAVORO NERO (o se c’è è parziale), tutto è verificabile.
Non esiste la perfezione nelle cose, ma il buon senso può essere utilizzato per farne buon uso. Il periodo della carta durerà, probabilmente, sino a quando la pluriennale GRANDE RECESSIONE passerà.
LE CARTE DI CREDITO NON FANNO PARTE DELLA MASSA MONETARIA.
NON E’ POSSIBILE EMETTERE TITOLI CHE IMPLICHINO LA STAMPA DI MONETA, QUEST’ULTIMA E’ RISERVATA ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA.
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Alla base della razionalità economica
Il problema economico delle società consiste principalmente nel rapido adattamento ai cambiamenti che intervengono nelle particolari circostanze di tempo e di luogo.
Di conseguenza, è sempre preferibile che le decisioni finali vengano prese da coloro che direttamente conoscono queste circostanze o comunque che vengano prese con la loro attiva collaborazione.
Di qui l’importanza fondamentale della proprietà privata dei mezzi di produzione, sia sulla propria persona che sulle proprie cose: se ciascun individuo non è effettivamente il proprietario di sé stesso e delle proprie cose diviene praticamente impossibile attivare ed utilizzare al meglio la conoscenza dispersa tra le persone.
Proprietà privata dei mezzi di produzione e decentramento decisionale sono quindi intimamente collegati: senza proprietà privata sui propri mezzi di produzione non possiamo avere alcun decentramento decisionale.
In questo contesto, dobbiamo inserire il sistema dei prezzi, ossia quella guida all’azione sociale, quell’informazione necessaria, che serve a coordinare le azioni separate di persone differenti, affinché una società possa essere non soltanto pacifica ma anche davvero produttiva.
Nel calcolo economico non si può evitare di utilizzare un sistema dei prezzi, ma per calcolare razionalmente il valore e dunque per coordinare in maniera tendenzialmente corretta le azioni separate di persone differenti, possiamo fare affidamento solamente sui prezzi di mercato e prezzi di mercato possono emergere soltanto attraverso lo scambio volontario di diritti di proprietà privata.
Di conseguenza, se si desidera orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, vale a dire se si ambisce a favorire le opzioni superiori piuttosto che le opzioni inferiori, rispetto alle preferenze dei consumatori e alle capacità dei produttori, non si può rinunciare alla produzione che avviene in un mercato di scambi volontari di diritti di proprietà privata.
Qualora l’informazione necessaria fosse data non avremo bisogno di prezzi di mercato per orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, ma poiché l’informazione necessaria nel mondo reale non è mai data vi è bisogno dei prezzi di mercato: solo mediante lo scambio volontario di diritti di proprietà privata, infatti, gli agenti economici possono esercitare la loro attività sempre inconclusa e parziale di creazione e scoperta dell’informazione necessaria che trova la sua rappresentazione codificata nei prezzi di mercato.
Prezzi di mercato significano un sistema di prezzi che nasce e si sviluppa in maniera decentralizzata, cioè che non è imposto da alcuna autorità centrale attraverso mandati coattivi.
Prezzi di mercato sono una caratteristica esclusiva di un sistema fondato sul primato della proprietà privata dei mezzi di produzione e non possono in alcun modo essere fatti propri né nei meccanismi né nei risultati da un sistema che ha abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Esiste spontaneamente un mutuo adattamento degli atti dell’agente economico a quelli di tutti gli altri agenti economici: l’agente si adatta ai prezzi di mercato comprando e vendendo ai prezzi di mercato; i prezzi di mercato si adattano all’agente incorporando nella catena dei prezzi le conseguenze delle sue scelte e delle sue decisioni – il locale agisce sul globale e il globale sul locale e ognuno dei due aspetti è, nel contempo, causa ed effetto dell’altro.
L’informazione necessaria quindi non solo non si può considerare data a livello centrale per il suo carattere soggettivo, pratico e disperso, ma nemmeno si genera a livello degli agenti economici individuali se a questi non è permesso di esercitare liberamente la loro attività imprenditoriale e per fare in modo che ciascuno possa esercitare liberamente questa attività occorre riconoscere concretamente come presupposto il diritto alla proprietà privata sui propri mezzi di produzione.
In tal senso, neanche lo sviluppo della programmazione matematica e del più potente dei calcolatori informatici possono sostituire il ruolo imprescindibile svolto dalla proprietà privata nell’implementare il processo sempre inconcluso e parziale di creazione e scoperta dei prezzi di mercato.
Dimostrare, infatti, che alcune equazioni astratte hanno alcune soluzioni altrettanto astratte non significa che queste siano anche di una qualche utilità pratica, in assenza di scambi volontari di diritti di proprietà privata e ciò equivale ad affermare che la pianificazione centralizzata non è in grado di creare e ricreare di continuo e in tempo reale alcuna coordinazione efficace delle azioni individuali.
Un’economia pianificata dunque non può riprodurre meccanismi e risultati dei prezzi di mercato, giacché costi e possibilità di produzione non sono dati e inalterabili nel futuro ma vanno costantemente creati e scoperti e soltanto con gli incentivi di un’economia di mercato si è in grado di mobilitare e di usare in modo funzionale le informazioni diffuse tra gli innumerevoli agenti economici.
Un’economia di mercato è poi tanto più orientata alla prosperità quanto più tutti al suo interno sono liberi di scegliere i propri piani, le proprie preferenze e le proprie azioni, ossia quanto meno la proprietà privata di ciascuno sui propri mezzi di produzione è sottoposta a priori a interferenze coercitive.
In conclusione, se il diritto, inteso come norme giuridiche generali atte a proteggere la proprietà esclusiva di ciascuno, ci offre una guida all’azione sociale che ci dice ciò che non bisogna fare se non vogliamo far esplodere conflitti, il sistema dei prezzi di mercato ci offre invece una guida all’azione sociale che ci dice ciò che bisogna fare per rispondere efficacemente ai bisogni reciproci di tutti gli agenti economici.
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Il protezionismo fa tornare povere le grandi nazioni
Poche le elezioni presidenziali americane avevano attirato tanto interesse e preoccupazione internazionali, come quella nel 2016. Sicuramente, chi viene eletto e si siede alla Casa Bianca a Washington, DC è importante per molte persone in tutto il mondo dal momento che l’America resta un colosso politico, economico e militare influenzando i maggiori ed i minori eventi in tutto il mondo.
Eppure, l’ansia circa la possibilità e quindi la realtà della elezione di Donald Trump quale 45° presidente degli Stati Uniti è unica, almeno nella mia vita. Il suo linguaggio impetuoso, la sua crudezza nell’espressione verbale, il suo rifiuto apparente, durante le primarie repubblicane, di giocare col galateo e le regole del gioco politico standard e poi attraverso la campagna presidenziale che porta al giorno delle elezioni nel novembre dello scorso anno molte persone sono andate fuori di testa, in America e altrove, chiedendosi cosa aspettarsi se Trump dovesse vincere.
Poi venne lo shock della realtà, vincere le elezioni anche dopo che i sondaggisti interpretavano le preferenze del pubblico e gli esperti pontificavano sulla “impossibilità” che l’America scegliesse Trump. Sono stati tutti smentiti la sera dell’8 novembre 2016. I voti sono stati conteggiati ed è subito parso chiaro che Donald Trump aveva vinto con i voti necessari nel Collegio Elettorale Americano (American Electoral College) rivendicando la vittoria, anche su Hillary Clinton, guadagnando quasi tre milioni di voti in più dei popolari.
La negazione e la rabbia al trionfo di Trump
Si dice che ci sono diverse fasi del dolore umano dopo una grande perdita personale. La negazione è la prima, seguita dalla rabbia che la tragedia fosse accaduta. In questo breve breve periodo di tempo dopo le elezioni di novembre e poi l’insediamento di Donald Trump come presidente il 20 gennaio 2017, coloro che non possono accettare il risultato elettorale, stanno ancora provando una combinazione di queste prime due fasi.
Ma il fatto è che Donald Trump ha vinto le elezioni e se qualche evento inaspettato dovesse accadere, lui sarà, comunque, il presidente degli Stati Uniti per almeno i prossimi quattro e/o forse anche per i prossimi otto anni. Quindi, a molti piaccia o no, è solo meglio passare alla ultima fase del processo di lutto – l’accettazione. Donald Trump è alla Casa Bianca e ci starà lì per un po’.
Quindi, che cosa significa una Amministrazione Trump per l’America e per il resto del mondo? Beh, in effetti, ci sono molto poche domande al riguardo, dal momento che Trump è stato esplicito e diretto sui problemi in generale e molte delle sue specifiche visioni del mondo e con quella visione del mondo guiderà le sue decisioni in politica nei prossimi anni. Abbiamo già intravisto il suo punto di vista in “ordini esecutivi” che ha emesso finora durante la sua presidenza.
I deliri della Sinistra a proposito di Donald Trump
Prima di arrivare a questo, forse è necessario mettere da parte alcune paure deliranti ed euforie fuori luogo. L’ascolto e la lettura di quanto quelli della “sinistra” hanno detto e scritto su una Amministrazione Trump, l’osservatore non informato in visita di Marte potrebbe pensare che l’America era già affondata in una dittatura fascista o qualcosa di simile in cui sono in fase di realizzazione campi di concentramento per gli indesiderabili della minoranza, dai mezzi di informazione minacciati di essere trasformati in una voce per una macchina di propaganda nazista e che i non credenti religiosi saranno presto costretti a frequentare la chiesa ed obbligati a versare la decima (decima parte -10% – su base volontaria o obbligatoria in denaro o natura ndt).
A mio parere, molti della sinistra politica hanno bevuto un Kool-Aid di loro intruglio (bevanda analcolica a base di vitamine ndt) ed ora credono alla loro stessa propaganda isterica, la campagna per la morte della libertà in America è dietro l’angolo. Altri della sinistra politica trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone per marciare, dimostrare e rivoltarsi come un meccanismo per solidificare la loro conquista sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione già guardando alle prossime elezioni del Congresso e presidenziali di due e quattro anni da oggi.
Altri, della sinistra politica, trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone invitandole a marciare, a dimostrare e ad insorgere come un meccanismo per compattare la presa sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione stanno già guardando alle prossime elezioni del Congresso fra due anni e alle presidenziali quattro anni a partire da oggi.
E ‘importante capire che molti dei timori espressi dai membri del Partito Democratico o della sinistra politica in generale sulle usurpazioni presidenziali del potere – reali o immaginarie – di Donald Trump sono tutti poco convincenti. Infine, sono tutti molto soddisfatti per l’uso delle stesse prerogative presidenziali di Barack Obama attraverso direttive ed i relativi poteri per aggirare un Congresso controllato dai Repubblicani durante sei dei suoi otto anni alla Casa Bianca.
E’ stato Obama a dire che aveva “un telefono e una penna” e con questi in mano, avrebbe fatto tutto quello che poteva per farla franca e se il Congresso o la maggioranza del popolo americano erano a favore o meno nella sua visione di “speranza e cambiamento” in America. Improvvisamente, da quando quella potente penna presidenziale è in mano a Trump, la sinistra è “scioccata, scioccata” perché il capo dell’esecutivo del governo degli Stati Uniti non può non aderire alla tradizione dei poteri limitati e divisi nel sistema politico americano.
Il loro unico problema, con quella penna presidenziale ed il potere esecutivo, è che è in mano a qualcuno che non piace, piuttosto che a qualcuno che si crede di essere la sola voce ed il vendicatore della causa della “giustizia sociale”, con una visione “progressista” per rifare l’America.
Le fantasie della destra di Donald Trump
Sulla destra politica, molti di coloro che si opponevano a Trump, durante le primarie repubblicane, nel vederlo come una frode politica imbarazzante ed un rozzo truffatore da reality show, ora hanno cambiato il loro punto di vista.
Anche se i repubblicani una volta accertata la vittoria di Trump alle primarie, ciò ha significato la sconfitta inevitabile, e, per quattro anni, una presidenza di Hillary Clinton, si sono via via chiusi i ranghi dietro Trump. Molti, tuttavia, desiderano chiaramente che il Presidente dovrebbe attenuare la sua retorica, fermare il suo flusso di consapevolezza nel tweeting (da Twettter il social network ndt) e cominciare ad agire in maniera più “presidenziale”.
Ma a dispetto di tutti i suoi hijinks (celebrazioni chiassose ndt) personali ed imbarazzanti, da rissa di strada della retorica permalosa, dopo tutto, lui non è Hillary Clinton. E se lui segue attraverso le sue promesse, molte politiche a lungo desiderate dai repubblicani e dal movimento conservatore, in particolare nel campo della politica economica interna, questo potrebbero giungere a buon fine.
Egli ha detto che le tasse personali e aziendali devono essere significativamente ridotte, tra cui la doppia imposizione degli utili delle società americane delle operazioni all’estero. Ha detto anche che i regolamenti federali sulle imprese saranno tagliati radicalmente e le aziende saranno libere di pianificare e di investire capitali.
Trump ha firmato per il completamento dell’oleodotto Keystone, che collega i campi petroliferi del Canada col Dakota, con le raffinerie di petrolio e le relative strutture nel sud americano. Ha sfidato la ossessione del riscaldamento ed il cambiamento climatico globale. Forse ancora più importante, ha corso ed insiste per l’abolizione e la sostituzione del Affordable Care Act (sistema sanitario) – ObamaCare – per ripristinare la scelta più personale sull’assicurazione sanitaria e le opzioni di assistenza medica.
Se Trump persegue con successo, attraverso queste politiche ed i programmi, molti repubblicani e conservatori perdoneranno a Trump la maggior parte dei suoi peccati e imbrogli. Specialmente nel caso in cui si assicuri il controllo repubblicano nelle legislature federali e statali nelle prossime elezioni.
Donald Trump è improbabile che sia il distruttore diabolico della società democratica e come “la sinistra” lo ritrae: essere una minaccia. Ma direi che non è lui il difensore del principio della libertà e della libera impresa che molti sulla speranza di “destra” lavorano su alcuni decisioni della politica economica che egli ha preso finora.
La visione del mondo di Donald Trump : nemici ovunque
Quello che penso si sia distinto maggiormente nel suo discorso inaugurale, il 20 gennaio 2017, è stata l’omissione di riferimenti a ”libertà” o di “governo limitato”. La stragrande maggioranza del messaggio si è focalizzato su una chiamata per un restauro della “grandezza nazionale”.
“ Da oggi in poi, una nuova visione governerà la nostra terra. Da questo momento in poi, essa sarà l’America First. Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sulla politica estera sarà fatto per beneficiare i lavoratori americani e le famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dai danni di altri paesi che fanno ai nostri prodotti, che sottraggono le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. La protezione porterà grande prosperità e forza …
L’America tornare a vincere, vincendo come mai prima. Porteremo di nuovo il nostro lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Porteremo di nuovo la nostra ricchezza. E noi riporteremo i nostri sogni. Costruiremo nuove strade e autostrade e ponti e aeroporti e gallerie e ferrovie in tutta la nostra meravigliosa nazione …
Seguiremo due semplici regole: Comprare americano e assumere americani. Cercheremo l’amicizia e la buona volontà con le nazioni del mondo – ma lo facciamo con la consapevolezza che è un diritto di tutte le nazioni mettere al primo posto i propri interessi.
Il Presidente Trump ripetuto lo stesso messaggio nelle sue osservazioni proprio l’altro giorno, il 17 febbraio 2017, ad una presentazione del nuovo Boeing 787 Dreamliner a Charleston, Carolina del Sud:
“Come vostro Presidente, ho intenzione di fare tutto il possibile per liberare il potere dello spirito americano e di mettere la nostra gente di nuovo a lavoro. Questo è il nostro mantra: Acquistare americano e assumere americani.
Noi vogliamo prodotti realizzati in America, fatte da mani americane. Probabilmente, come avete visto di recente, ho approvato la pipeline Keystone in Dakota. E mi sto preparando a firmare il disegno di legge. Ho detto, in che modo viene fatta la conduttura? E mi hanno detto non qui. Ho detto, che questo è un bene – aggiungi un po’ alla frase che devi comprare acciaio americano. Ed ora sai cosa? E’ così com’è. E’ quello che sta per essere … Stiamo andando a combattere fino all’ultimo posto di lavoro per gli americani …
Ho fatto una campagna elettorale con la promessa, che farò tutto quanto in mio potere, per portare quei posti di lavoro di nuovo in America. Abbiamo voluto rendere più facile – e deve è molto più facile da produrre che nel nostro paese e molto più difficile da abbandonare. Non voglio che le società escano dal nostro Paese, fabbricando il loro prodotto e vendendolo di nuovo, senza alcuna tassa, niente di niente, alimentando tutti nel nostro paese.
Popolo, non lasciamo che accada più. Credimi. Ci sarà una sanzione molto consistente da pagare quando (le aziende) abbandonano la loro nazione e si spostano in un altro paese, fabbricando il prodotto e pensando che hanno intenzione di venderlo di nuovo in quello che sarà presto un confine molto, molto forte. Sarà una partita molto diversa. Sta per essere tutto molto diverso …
Per raggiungere questo obiettivo, stiamo andando a ridurre massicciamente i regolamenti che appiattiscono il lavoro già iniziato; lo avete visto che – mandano i nostri posti di lavoro in altri paesi. Abbiamo intenzione di abbassare le tasse sul business americano quindi sarà più economico e più facile produrre prodotti e cose belle, come gli aeroplani proprio qui in America … Lo avete sentito dire prima ed io lo ripeto: D’ora in poi, sarà America First. ”
A suo avviso, gli Stati Uniti sono stati sfruttati nei rapporti politici ed economici con il resto del mondo. Il mondo ha rubato posti di lavoro agli americani e distrutto le basi di produzione degli Stati Uniti, hanno lasciato la classe media americana con uno standard di vita indebolito e stagnante, provocato il caos con il sogno americano ed il diritto di nascita, di opportunità e di prosperità crescente.
Per Donald Trump, ogni accordo commerciale, ogni deficit commerciale ed ogni investimento d’affari all’estero, sono la prova della misura in cui l’America ha abusato nelle sue relazioni commerciali.
Questa visione del mondo è una rinascita della nozione mercantilista del XVII e XVIII secolo dove l’esistenza umana ha un conflitto senza fine ed inconciliabile, non solo o semplicemente con la natura, ma tra stati-nazione. Per il mercantilista, ogni stato-nazione dovrebbe proteggere il benessere economico dei propri sudditi e cittadini dalla perdizione del saccheggio di altri stati-nazione. Nella visione del mondo mercantilista, l’economia è un gioco a somma zero.
La liberazione classica del liberalismo dell’uomo da parte dello Stato
Le rivoluzioni intellettuali, politiche ed economiche liberali classiche della fine del XVIII e XIX secolo sono il rovescio dell’idea di monarchia assoluta, sostituendo entrambe le monarchie con un vincolo costituzionale o con forme repubblicane di governo. Si vuole, inoltre liberare l’individuo dalla potenza e dal controllo dello stato incontrollato. L’ideale di libertà individuale ed il diritto di ogni persona alla propria vita, alla libertà ed alla proprietà onestamente acquisita è l’importante trasformazione del rapporto tra l’individuo e lo Stato.
Secondo i classici liberali, il governo esiste per preservare il diritto dell’individuo di vivere nella sua tranquillità e nell’interesse personale, di non servire agli scopi dei re, dei principi, o maggioranze democratiche illimitate. Gli economisti del tempo, tra cui Adam Smith e molti altri dopo di lui, hanno sostenuto che il commercio non era un gioco a somma zero ed era sicuramente dannoso per le nazioni impegnate in rapporti commerciali.
Questi liberali hanno affermato che le persone sanno molto meglio come prendersi cura dei propri interessi rispetto a qualsiasi regolamentatore di governo che potrebbe anche ideare. Gli individui entrano solo in scambi con gli altri quando credono che ci sarà un risultato migliore nella transazione. Nessun individuo, nell’atto di libero scambio, dà mai via intenzionalmente qualcosa che ha un alto valore per qualcosa che valga molto meno. Infatti, è sempre il contrario.
Miglioramento da commercio contro la presunzione politica
Se vado giù al negozio all’angolo e acquistare una copia del giornale di oggi per un dollaro, è perché ritengo che le informazioni possibili che mi può fornire sono di maggior valore rispetto al prezzo mi viene chiesto. E, a sua volta, se il proprietario del negozio all’angolo mi vende la copia del giornale di oggi è perché ha più alto valore del dollaro che riceve da me per rinunciare a una delle copie in vendita. Ognuno di noi considera sé stesso, rispettivamente, migliore.
Ora è vero che dopo che ho comprato il giornale e l’ho letto, potrei dire, retrospettivamente, che non conteneva nulla di veramente nuovo o interessante e, quindi, col senno di poi, invece avrei potuto facilmente far passare il giorno senza acquistarlo e utilizzare quel dollaro per l’acquisto di qualcos’altro.
Nessuno ha la perfetta conoscenza. Noi tutti agiamo su ciò che sappiamo o che crediamo nel momento in cui effettuiamo una operazione. E, a volte, si può concludere che una cosa, dopo averla fatta, non era così vantaggiosa come speravamo o avremmo voluto fosse. Ma richiederebbe una grande quantità di arroganza da parte di chiunque altro presumere che sanno più di noi su ciò che è meglio per noi, nei nostri scambi di mercato di tutti i giorni. La conoscenza su cui il presuntuoso paternalismo politico afferma il diritto di controllare e di interferire è almeno altrettanto imperfetta e limitata quanto quella posseduta dal resto di noi.
La mentalità della pianificazione centrale di Trump
Mentre molti conservatori stanno salutando l’intenzione dichiarata da Donald Trump di ridurre la normativa in materia di business e contemporaneamente meno tasse sulle persone e le imprese private – sicuramente tutte cose buone in se stesse – dobbiamo capire, però la prospettiva ideologica per cui lo si sta facendo.
In nessun momento il presidente Trump ha detto che intende seguire queste politiche perché vuole avere più controllo sui i cittadini americani e sulle loro vite. Non ha mai sostenuto la riduzione degli oneri fiscali in modo che gli Americani possano mantenere un reddito e della ricchezza più alti e che si sono onestamente guadagnato come un obiettivo politico desiderabile per sé.
No, invece, il presidente Trump ha sostenuto queste politiche, come un pianificatore dell’economia centrale, sa dove le imprese americane dovrebbero investire e dovrebbero assumere e quali sono i prodotti che dovrebbero produrre.
Come è diverso dal “progressista” che desidera utilizzare la regolamentazione del governo per limitare l’uso dei combustibili fossili, utilizzando politiche di intervento per promuovere “energie alternative”?
Gli obiettivi e gli strumenti di regolamentazione possono differire, ma la premessa di base rimane la stessa: Che il governo sa, meglio dei singoli cittadini, come vivono la loro vita.
La saggezza duratura di Adam Smith
Per essere onesti, suscita la più profonda frustrazione, per un economista, il dover ripetere le parole scritte da Adam Smith più di 240 anni fa, nel suo famoso libro, La ricchezza delle nazioni:
“ “E’ il motto di ogni buon padre di famiglia, di non tentare di fare a casa quello che gli costerà di più che acquistarlo. Il sarto non tenta di fare le proprie scarpe, ma le compra dal ciabattino. Il calzolaio non cerca di fare i suoi vestiti, ma si avvale di un sarto. Il contadino non cerca di fare né l’uno né l’altro, ma si avvale di questi diversi artigiani …
“Quella che è la prudenza nella conduzione di ogni famiglia privata può essere la rara follia in quella di un grande regno. Se un paese straniero ci può fornire con un prodotto più conveniente, che noi stessi possiamo produrre, meglio comprarlo da loro con una parte dei prodotti della nostra industria, impiegata in un modo da averne qualche vantaggio …
“Non è certo impiegato per il massimo vantaggio quando si è indirizzati verso un oggetto che si può comprare più convenientemente e che può rendere … L’industria di un paese, di conseguenza, viene così rivolta ad altro, ad un lavoro meno vantaggioso ed il valore di scambio annuo dei suoi prodotti, invece di essere aumentato, secondo l’intenzione del legislatore, deve necessariamente essere diminuito per tutti da tale regolamentazione”.
Il Presidente Trump e quelli della sua amministrazione che condividono la sua visione negativa delle importazioni di beni meno costosi, senza dubbio, diciamo che può essere cosa buona e giusta, date le circostanze ad una “parità di condizioni” (ceteris paribus), ma le altre nazioni non giocano pulito. Altri governi sovvenzionano le loro esportazioni e tentano di ostacolare, a loro modo, l’importazione di merci americane nei loro paesi.
L’importazione di merci a poco prezzo è sempre quello più conveniente
Se le importazioni meno costose offerte negli Stati Uniti sono il risultato di un’efficienza dei costi basati sul mercato di in un altro paese o la sovvenzione del governo di alcune delle esportazioni verso un paese, dal punto di vista del consumatore americano, vi è la possibilità di un aumento del reddito reale. Una merce desiderata può essere acquistata per meno di prima, lasciando una somma di denaro nelle tasche degli acquirenti con la quale ora possono permettersi di acquistare ciò che prima non potevano.
Che dire di posti di lavoro persi nel mercato interno a causa delle importazioni straniere? Sempre di fronte a tutti i cambiamenti sono necessari aggiustamenti. In questo caso, sarà necessario il re-impiego, ma non c’è nulla, di per sé, che impedisce di trovare posti di lavoro alternativi. Dopo tutto, le importazioni devono essere pagate attraverso le esportazioni – il paese straniero non può dare i propri prodotti gratis. E, in aggiunta, i dollari risparmiati dall’acquisto del prodotto straniero, meno costoso, significheranno domanda aggiuntiva alla spesa per beni diversi dei consumatori che possono ora permettersi di comprare, offrendo opportunità di lavoro anche in questa direzione.
Il falso obiettivo dei “lavori” giusti
Questo diventa un altro punto cieco in agenda come dichiarato dal presidente Trump. Ripete, ancora e ancora, che il suo compito è quello di creare posti di lavoro per gli americani. Ma “posti di lavoro” non è un fine in sé. Mentre alcune cose sono piacevoli da fare per se stessi, il lavoro è un mezzo per un fine. Sia che si stia piantando colture in un campo o lavorando i prodotti in fabbrica o mettendo le reti da pesca nell’oceano, oppure offrendo un servizio come un taglio di capelli o un corso di aerobica, sono tutti i mezzi per raggiungere un fine – la produzione di beni che gli altri vogliono per la società come metodo per guadagnarsi da vivere e che ci consente di acquistare da quegli altri, ciò che hanno in vendita nel settore del lavoro che, a sua volta, è il desiderio di consumare.
Dovremmo desiderare, per tutti, di fare il loro lavoro al minor costo in termini di risorse e manodopera proprio in modo che possiamo ottenere la maggior parte dei beni e dei servizi che desideriamo con i mezzi a disposizione. Se i produttori di in un altro paese possono farlo meglio e meno costoso di quello che possiamo farlo in casa, dobbiamo approfittare di questo per massimizzare il nostro benessere materiale, piuttosto che lamentarci per la sua offerta.
Supponiamo che domani, attraverso qualche miracolo, i vestiti comincino a crescere gratis sui rami degli alberi e che tutti i posti di lavoro dell’economia nel settore tessile debbano scomparire. Dovremmo andare in disperazione per questo? Certamente, potremmo avere tutti i vestiti che avremmo potuto desiderare e si potrebbe, quindi dedicare tutto il lavoro liberato per produrre altre cose che anche noi desideriamo, ma che non si poteva precedentemente avere, perché gran parte della forza lavoro era legato a confezionare le nostre camicie, pantaloni e giacche.
Temendo di perdere quei “buoni posti di lavoro americani” nel settore tessile, dovremmo considerare meglio se tagliare i rami degli alberi che producono tutti quei vestiti in modo da mantenere tutti quei lavoratori che fanno i vestiti? Penso che la maggior parte di noi consideri ciò ridicolo. Il Presidente Trump, se lo prendiamo in parola, potrebbe voler imporre un dazio sulle importazioni e costruire un muro alto lungo il confine per mantenere tutti quei vestiti liberi fuori degli Stati Uniti, se si è scoperto che quei vestiti prodotti dagli alberi sono stati collocati in un Paese straniero.
Le ritorsioni al commercio esprimono il peggio del proprio paese
E per quanto riguarda gli altri paesi che impongono tariffe di importazione contro i nostri beni per “proteggere” i propri settori ed impieghi? Non dovremmo rispondere con tariffe di ritorsione e le relative restrizioni all’importazione per dare loro una lezione? Se lo facciamo possiamo solo ferire noi stessi, in modo da rispondere alle barriere commerciali erette da altri paesi.
Un economista britannico, Henry Dunning MacLeod (1821-1902), ha dato una risposta chiara sull’argomento di una tariffa di ritorsione, nel 1896. Egli ha detto:
“ “Con il metodo dei dazi di ritorsione, quando (un altro paese) ci percuote sulla guancia, dall’altra veniamo immediatamente colpiti da noi stessi con uno schiaffo estremamente duro. (L’altro paese impone suoi dazi all’importazione) fanno un danno e noi, e per ritorsione, immediatamente noi facciamo di più. Il vero modo per combattere le tariffe ostili è il libero commercio”.
La ritorsione con tariffe contrapposte rende le merci acquistate solo, in precedenza dal paese straniero, più costose per i consumatori del proprio paese, abbassando il loro livello di vita attraverso prezzi più elevati e una più ridotta varietà di prodotti tra cui scegliere. Riducendo le vendite conseguite dal produttore straniero nel proprio paese, ha meno entrate da cui partire per comprare le esportazioni del vostro paese, con un effetto negativo sui settori della propria economia.
Se, ora, che l’altro paese procede a imporre dazi contrapposti, in risposta alla rappresaglia del vostro paese, entrambi i paesi si troveranno di fronte a una spirale di morte del commercio per la diminuzione dei beni a disposizione dei consumatori di entrambi i paesi, i prezzi più elevati per i prodotti di entrambi che i cittadini dei paesi vogliono acquistare e ad una riduzione del sistema internazionale di divisione del lavoro diminuisce la produttività complessiva del mercato globale, il risultato finale sarà inferiore alla prosperità ed al progresso materiale per tutti.
Se il presidente Trump segue la realtà attraverso le sue proposte politiche protezionistiche, basate sulla sua somma zero, il concetto del commercio tra le nazioni ed il risultato finale può avere in gioco una somma negativa, in cui tutte le nazioni del mondo stanno peggio.
Falsa prosperità di Trump dietro i muri del commercio
Oh, sì, i lavoratori americani possono ora produrre i beni che in precedenza sono stati forniti dai lavoratori stranieri. Le industrie americane che erano diminuite, rispetto al loro numero, prima dell’intensificato commercio globalizzato, possono avere un ritorno dietro le barriere doganali del presidente Trump.
Ma dietro questo miraggio di restauro della “grandezza” americana, i lavoratori ed i consumatori americani saranno più poveri di quello che devono essere, la fabbricazione di beni a costi più elevati e con efficienza meno produttiva di una partecipazione libera e aperta in un mercato-centrico (tipico dei paesi come USA e GB, è basato sulla capacità dei mercati, di finanziare grossi progetti, per promuovere lo sviluppo economico ndt) dove la divisione globale ed il libero lavoro verrebbe offerti a tutti, in tutto il mondo, compresi quegli americani per il cui benessere economico il Presidente Trump sostiene di essere così preoccupato.
Donald Trump smentito da un Caroliniano del Sud – nel 1830!
Ho già citato delle osservazioni del presidente Trump durante la sua recente visita a Charleston, South Carolina. Permettetemi di citare un economista del South Carolina, Thomas Cooper (1759-1839), che ha pubblicato le seguenti parole nel 1830: Lezioni sugli elementi di economia politica (Lectures on the Elements of Political Economy), in quello che è diventato uno dei libri di testo economici più diffusi, a quel tempo, negli Stati Unit. Il Dr. Cooper è stato uno dei presidenti del South Carolina College e un professore di chimica ed economia politica. Disse:
“ “L’intero utilizzo del commercio estero è quello di importare le materie prime che occorrono, a costi inferiori, più di quanto non siano prodotti in casa. Questa è la base ed il carattere essenziale. Quindi, il principio di restrizioni e imposte (tariffe) proibitive, che vietano, in fase di introduzione dall’estero, un articolo perché può essere considerato più economico dall’estero – va alla distruzione totale di tutto il commercio estero …
“Infatti, il sistema restrittivo ci dice che non vi gioverà grandemente l’essere confinati come prigionieri all’interno delle nostre case, senza avere rapporti fuori di casa; questo è il dovere di lasciare il nostro vicino di arricchirsi sulla nostra credulità e convincerci a comprare da lui un articolo inferiore, ad un prezzo superiore …
Per (questo) principio adozione, dove è la fermata? Per parlare dopo di questo, del nostro essere la nazione più illuminata sulla terra, è una satira su di noi più amara che i nostri nemici hanno in loro potere di proferire. Per essere governati da tale ignoranza, è davvero una vergogna nazionale”.
Il pericoloso paternalismo protezionista di Donald Trump
Donald Trump non può essere né il diabolico aspirante dittatore che molti della sinistra politica hanno ritratto o per “dirla com’è”, l’angelo vendicatore per alcuni della destra politica ed avere qualcuno che sia in grado di ripristinare gloriosamente una grandezza americana perduta.
Quello che dovrebbe essere abbastanza chiaro è che dietro il mantra del presidente Trump di “America First” è un protezionismo paternalistico pericoloso che vede tagli fiscali e riduzioni di regolamentazioni del business di casa, non fini a se stesse, ma per ripristinare la libertà individuale e la libertà economica del popolo americano; invece, gli strumenti di politica fiscale ed interventista influenzano e manipolano la direzione e la forma dell’ attività economica negli Stati Uniti.
Altre nazioni non sono viste come partner globali e partecipanti in una ricerca in tutto il mondo per un generale miglioramento delle condizioni dell’umanità, tra cui il miglioramento del popolo americano. Il mondo non è visto come un’arena di cooperazione internazionale attraverso la competizione pacifica del mercato in cui ogni nazione e le persone trovano i modi migliori per guadagnare da vivere attraverso il progresso reciproco, di coloro, con i quali essi commerciano.
Invece, il presidente Trump vede il mondo come un luogo ostile in cui le altre nazioni sono fuori per migliorare loro stesse, rendendo l’America e gli americani più poveri, deboli e anche peggio. L’atteggiamento e la convinzione, se al momento dell’attuazione della politica economica estera americana, rischia di farne una profezia che si auto-avvera. Altre nazioni possono facilmente cadere ulteriormente nella stessa mentalità del collettivismo nazionalista, portando con sé tensioni economiche internazionali e conflitti commerciali ed eventualmente intensificarli, se non guerre commerciali odierne. Si tratta di una mentalità pericolosa e sta visibilmente crescendo oggi in un certo numero di paesi europei e in altri luoghi in tutto il mondo.
Le politiche di Donald Trump possono benissimo portare più prodotti recanti il marchio “Made in USA”, ma il suo significato reale e perverso non sarà una grandezza americana restaurata, ma il marchio di una prospettiva di politica economica che porta con sé l’idea di paternalismo protezionistico che, alla fine della giornata, non migliorerà né la condizione degli americani, né quella del resto del mondo.
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Il fenomeno migratorio in una società libera
Un ordine basato sulla libertà individuale di scelta, consiste in libertà di offrire e libertà di domandare ed in ciò è insito il fatto che ogni richiesta può essere gestita in piena autonomia ed essere tanto accolta quanto rifiutata o cadere nel vuoto.
La libertà è, infatti, assenza di impedimenti, ma questa condizione verrà realizzata solo se verrà rispettata la proprietà privata, sia su se stessi che sulle cose.
Rispettando la libertà di ciascuno non si è grado di imporre alla società concezioni artificiali frutto della presunta conoscenza privilegiata di qualcuno in particolare, e questo in seguito ci permette di dire che la libertà va difesa perché consente al più ampio numero possibile di individui di condurre vite ritenute significative dal proprio punto di vista.
Se la libertà, in quanto condizione generale, deve essere rispettata per lo scambio di beni e servizi lo deve essere anche per quanto riguarda il movimento delle persone; così come una merce per essere scambiata richiede l’accordo delle parti, in ogni unità privata l’accesso regolare di un’altra persona dipende sempre dalla volontà del proprietario dell’unità.
Trattasi quindi di cercare di trascinare coerentemente questo fatto evidente della proprietà privata all’interno della cosiddetta proprietà pubblica, cioè in quella proprietà dove vi è una cattiva definizione dei singoli diritti di proprietà privata che la compongono.
La proprietà pubblica è sempre mal definita e pertanto possiede una tendenza ad essere mal tutelata e/o mal sviluppata, giacché i prezzi esprimono un significato razionale solo quando emergono da scambi realizzati in cui ciascuno dispone effettivamente e solamente della sua proprietà.
Ebbene, per un puro ragionamento di tipo “consequenzialista”, quanto più i beni ed i servizi cessano di essere sottoposti a proprietà pubblica, minori sono le possibilità di pervenire ad un disordine sociale ed economico.
Parlare di proprietà pubblica significa parlare di Stato e dunque di un determinato gruppo sociale organizzato.
Non può esistere uno Stato senza territorio, vale a dire la sede su cui stabilmente risiede tale comunità organizzata.
Questa sede rappresenta l’ambito spaziale entro il quale lo Stato pretende di esercitare in modo effettivo, esclusivo ed indipendente la propria sovranità, ossia quel potere supremo dello Stato che riguarda da un lato i rapporti dello Stato con gli altri Stati e organizzazioni internazionali, dall’altro i rapporti dello Stato con i suoi contribuenti residenti e quanti transitano nel suo territorio.
Tutto il territorio dello Stato, sia che si tratti di zone abitate che di zone disabitate è sottoposto alla sovranità dello Stato.
Lo Stato si regge sull’imposizione tributaria che esso effettua su i suoi contribuenti-residenti, esso è quindi chiamato ad operare in nome di questi suoi contribuenti.
Uno Stato che afferma di rappresentare una società libera, non può che fondarsi sul primato del diritto alla proprietà privata – essendo la pretesa capace di soddisfare meglio la possibilità media di tutti – sia su se stessi che sulle cose, e su un sistema economico di libero mercato, perché questi due elementi, che sono l’uno la conseguenza dell’altro, forniscono ai suoi abitanti gli incentivi necessari per realizzare piani di azione liberamente scelti, con la garanzia di affrontare personalmente i rischi e le responsabilità delle attività che essi intraprendono.
Finché lo spostamento di una persona avviene dietro invito di un individuo, di un’associazione o di un’impresa residente che garantisce all’immigrato un alloggio per un periodo di tempo relativamente lungo, un minimo adeguato di sostentamento ed eventualmente anche un’occupazione, in linea di massima, lo Stato non può opporsi al trasferimento – in una società libera, un datore di lavoro deve avere la facoltà di assumere alle sue dipendenze chi vuole, compresi i residenti all’estero, così come il proprietario di un’abitazione deve avere la facoltà di affittare a chi vuole.
In linea di massima, poiché lo Stato, essendo l’istituzione responsabile della sicurezza di tutti i propri contribuenti, può sempre impedire l’ingresso a singoli individui che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata.
Tuttavia, spesso le persone si spostano da uno Stato all’altro in cerca di fortuna o nuova vita senza l’invito di qualcuno; in tal caso, sarà necessario, per poter in seguito stabilirsi legalmente, farsi prima concedere un apposito visto dallo Stato in cui si intende abitare o anche lavorare, tramite ambasciate o consolati – ovviamente, per tutti coloro che vanno all’estero per qualsiasi altro motivo si dovrà fare un discorso diverso.
Ambasciate e consolati locali potrebbero fungere anche da strutture che mettono sistematicamente in contatto domande ed offerte di inviti.
A chi dovrebbero essere rilasciati questi appositi visti?
Escludendo persone che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata, questi visti dovrebbero essere rilasciati soltanto a persone che possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari.
Se ci si reca all’estero e si è già in grado di usufruire di un reddito che funge da mezzo di sostentamento permanente, non vi dovrebbero essere obiezioni ad accettare il trasferimento, ma se ci si reca all’estero per cercare o crearsi un lavoro, tale ricerca o creazione richiede nel frattempo che si possa fare affidamento a delle risorse per sostenere il quotidiano vivere.
Lo Stato dovrà stabilire l’ammontare di queste risorse confrontandosi con le condizioni attuali del mercato del lavoro.
Lo Stato può rilasciare questi visti per motivi umanitari anche a persone che non possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari?
Qui il campo delle verità consequenzialiste, giuridiche ed economiche, deve fare i conti con il campo delle valutazioni etiche, ben sapendo però che il campo delle valutazioni etiche non potrà mai capovolgere con successo le verità consequenzialiste.
Concedere il permesso a soggiornare stabilmente nel proprio territorio a persone prive di invito e che non portano con sé mezzi per sopravvivere autonomamente, significa che queste persone, almeno nei primi tempi, graveranno forzosamente come spesa sull’intera collettività e ciò equivale a dire utilizzo di un welfare state coercitivo.
Senza fare inutili previsioni di natura deterministica, è chiaro che il welfare state coercitivo può essere ben sostenibile finché si tratta di piccoli numeri; all’estendersi, infatti, del welfare state coercitivo, aumentano i rischi per il mondo dell’allocazione economica delle risorse di essere soggiogato da quello dell’allocazione politica e del parassitismo.
In ultimo, lo Stato dovrà necessariamente procedere:
all’espulsione di qualunque soggetto che cercasse di stabilirsi nel proprio territorio sprovvisto di invito o di apposito visto;
a sanzioni amministrative e/o penali nei confronti di quei soggetti che si assumono la responsabilità dell’invito dello straniero ma che, in realtà, lo fanno solo sulla carta e non anche con i fatti;
impedire l’accesso a chi provasse ad entrare nel proprio territorio cercando di forzarne i confini.
Da valutare, invece, la posizione dello straniero nel momento in cui chi l’ha invitato rinunciasse ad ogni responsabilità precedentemente assunta e nessun altro soggetto privato residente accettasse di assumerla.
I fenomeni migratori sono antichi quanto la storia dell’uomo.
E’ uno di quei cambiamenti che hanno luogo di continuo pertanto non bisogna affrontare questo fenomeno come se non dovesse mai avvenire, ma semplicemente di istituzionalizzarlo con buon senso.
Asserito quanto, c’è da rilevare che tra un ordine liberale e migrazioni esiste senz’altro un rapporto ma questo rapporto è soprattutto fatto di “sostituibilità elastica” e non di “rigida esclusività”, vale a dire che tanto più riusciamo ad estendere l’ordine liberale quanto più vengono meno quelle necessità che spingono le persone ad abbandonare le proprie terre d’origine.
All’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre corrisponde, infatti, un incremento del benessere generalizzato a livello globale e tale incremento rende sicuramente minori le possibilità che possano generarsi masse notevolmente consistenti di persone che desiderano spostarsi da uno Stato all’altro o da una regione del pianeta ad un’altra.
Di conseguenza, divengono criticabili tutte quelle azioni che, direttamente o indirettamente, ostacolano l’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre.
Criticabile è il sistema degli aiuti internazionali ai paesi più poveri che alla fine si risolve in effetti più che altro controproducenti.
A seguito del processo di decolonizzazione, i paesi più ricchi hanno versato 135 milioni di dollari l’anno alla cosiddetta cooperazione internazionale, e questo denaro è stato versato tanto dai governi di questi paesi quanto dai loro singoli cittadini.
L’aiuto internazionale è gestito da agenzie, associazioni od enti collegabili alle Nazioni Unite i quali senza la motivazione dell’aiuto al prossimo non potrebbero mai sorreggersi.
Ognuna di queste associazioni, agenzie od enti ha delle spese, tra cui la voce stipendi, che finiscono per assorbire gran parte di quei fondi destinati ai paesi più poveri.
Da ciò si capisce che gli impiegati di queste strutture non possono avere un grande interesse a contrastare la povertà diffusa nel mondo, giacché per loro la povertà diffusa è fonte regolare di guadagno.
Certamente, non tutti i progetti che nascono a seguito degli aiuti internazionali falliscono miseramente, ciò nonostante si stima che circa l’80 per cento di quei 135 miliardi di dollari annui viene sprecato in costi di gestione di queste associazioni, agenzie od enti ed in investimenti tanto grandiosi quanto non redditizi.
Tuttavia, questi aiuti economici forniti in maniera sistematica sono soprattutto criticabili perché finiscono per imprimere nelle popolazioni dei paesi più poveri la mentalità del subordinato a scapito dell’assunzione individuale di responsabilità.
Il fattore determinante della creazione di ricchezza è la capacità di produrre merci, la quale cresce con l’incremento della frazione produttiva della popolazione e della divisione del lavoro, le quali a loro volta possono aumentare stabilmente solo con l’accumulazione di risparmio reale.
Se il risparmio reale aumenta, può diminuire senza controindicazioni l’interesse sul capitale reale prestato e rendere così relativamente più vantaggiosi quei rami di produzione che richiedono, in funzione delle loro condizioni tecniche, un periodo più lungo di produzione.
I governi dei paesi più ricchi piuttosto che fornire aiuti economici sistematici ai paesi più poveri, dovrebbero sostenere i governi e le popolazioni locali a costituire nei propri paesi un intorno istituzionale che protegga la proprietà privata e la garanzia che quello che si accumula possa essere preservato in futuro.
Criticabile è, inoltre, la posizione dei paesi più ricchi quando questi adottano misure di protezionismo commerciale non dando in questo modo la possibilità ai paesi più poveri di accedere con i loro prodotti ai mercati più abbienti.
Mancanza del suddetto intorno istituzionale ed assenza di responsabilità individuale nei paesi più poveri e protezionismo commerciale da parte dei paesi più ricchi pongono le basi, separatamente e sommandosi, per veder emergere grandi masse di popolazione localizzate nei paesi più poveri desiderose di spostarsi verso i paesi più ricchi.
Tale pressione esercitata da queste grandi masse va a stimolare un circolo vizioso a danno del primato del diritto alla proprietà privata e del sistema economico di libero mercato ed a favore dell’espansione della proprietà pubblica e dell’interventismo statale.
Infatti, così come ogni processo di espansione economica non coperto da risparmio reale è seguito da una fase di doloroso riassestamento che rappresenta il momento ideale per veder affiorare nuove richieste di ampliamento della proprietà pubblica e dell’interventismo statale, ogni massiccia pressione migratoria dai paesi più poveri a quelli più ricchi produce in questi ultimi un periodo di acute problematiche che, stressando il meccanismo della libertà di offrire e di domandare, rappresenta il momento ideale per veder affiorare le stesse richieste.
In conclusione, quando si parla di migrazioni non vi deve essere alcuna posizione pregiudiziale, né a favore né contro, ma bisogna sempre però avere l’onestà intellettuale di affrontare il fenomeno tenendo conto delle opportunità e dei rischi che concretamente include ogni suo caso specifico.
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Decrescita felice?
Tutte le critiche (negative) all’ordine di libero mercato possono essere descritte come il frutto di un eccessivo razionalismo (come avrebbe sostenuto von Hayek) oppure come il frutto di una rivolta contro la ragione (come invece avrebbe sostenuto von Mises).
Quello che in ogni caso c’è di univoco è che il libero mercato ha dovuto praticamente da sempre scontrarsi con opposizioni scientificamente insostenibili.
In tal senso, è doveroso ricordare che l’economia è una scienza, ma in quanto appartenente al mondo delle scienze dell’azione umana e non al mondo delle scienze naturali il suo procedimento d’indagine non può essere lo stesso di questo secondo mondo.
Una delle critiche più recenti all’ordine di libero mercato è quella che va sotto il nome di “decrescita felice”.
La prima apparizione di questo termine viene fatta risalire alla pubblicazione in lingua francese, nel 1979, di una raccolta di saggi dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, ma è solo con l’arrivo del ventunesimo secolo che la decrescita prende l’aspetto di una corrente di pensiero ed inizia costantemente ad entrare nel dibattito pubblico.
A portare sotto le luci della ribalta la decrescita, attraverso una vera e propria elaborazione del concetto, è stato il professore francese Serge Latouche, da considerarsi il deus ex machina di questa corrente di pensiero.
Latouche espone la decrescita come serena e conviviale, mentre il più celebre aggettivo felice è stato introdotto dal saggista italiano ed anch’esso teorico della decrescita Maurizio Pallante.
Quella della decrescita è una scuola di pensiero senz’altro non totalmente uniforme al suo interno, ma comunque i suoi autori presentano molti punti in comune.
I maggiori punti in comune riscontrabili sono una disapprovazione per l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita umana ed appunto un’avversione nei confronti dell’ordine di libero mercato.
Prendendo in esame in particolar modo il pensiero di Latouche, iniziamo con il dire che questo autore descrive la modernità come un enorme processo di economicizzazione della vita umana e di occidentalizzazione del mondo e dedica una monografia all’invenzione dell’economia, definita come culturale e storica.
Per Latouche, l’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo e con la sua nascita l’essere umano si riduce progressivamente ad homo oeconomicus, vale a dire ad essere capace solamente di far proprie quelle motivazioni legate alla massimizzazione della sua ricchezza materiale in virtù di un utilitarismo unidimensionale.
Latouche comprime tutta l’economia dentro una scienza degli aspetti “strettamente economici” dell’azione umana, una teoria della sola ricchezza materiale.
L’avversione di Latouche al libero mercato avviene soltanto in seconda battuta rispetto a questa critica verso l’economia così inquadrata dallo stesso autore.
Questa visione di tutta l’economia porta Latouche a considerare libero mercato e socialismo reale come due varianti dello stesso fenomeno da condannare, ossia “la società della crescita”, ma nel libero mercato Latouche vede, in aggiunta, un ordine che finisce per distruggere il pianeta – libero mercato visto come sistema di dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse – così come la società e tutto ciò che collettivo – libero mercato visto come sistema di distruzione antropologica degli esseri umani ridotti in bestie produttrici e consumatrici.
Ora, nel continuare ad analizzare il pensiero di Latouche e la società della decrescita, iniziamo anche smontarne i ragionamenti ed a vedere “l’incongruenza” tra metodi scelti e fini (cioè serenità, convivialità e felicità) cercati.
Latouche si scaglia contro l’occidentalizzazione del mondo, ma qui Latouche sembra proprio confondere la parola occidente con imperialismo, vale a dire con l’atto (o il propugnare tale atto) deliberato di acquisire e conservare il controllo politico, diretto od indiretto, da parte di uno Stato su qualsiasi altro territorio abitato.
L’imperialismo pertanto è un fenomeno da stigmatizzare in quanto incentrato sull’uso e sulla minaccia d’uso della forza a priori, ma sicuramente questo fenomeno non può essere associato come prerogativa esclusiva dell’occidente, bensì è prerogativa che può essere fatta propria da ogni potere politico, non importa a quale influenza culturale sia sottoposto.
Il mondo è la storia hanno, infatti, conosciuto e continua a conoscere imperialismi di ogni genere e solo alcuni di essi possono essere collegati all’occidente inteso come area storico-culturale-geografica.
Se poi ci sono beni e servizi tipicamente occidentali particolarmente apprezzati in tutto il mondo questo certamente non può essere considerato per l’occidente un peccato, giacché piacere ed essere ammirati non può essere una colpa ed il libero mercato non impone niente a nessuno.
L’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce come interazione sociale non programmata e non come risultato di una volontà comune diretta alla sua costituzione come ci vuol far credere Latouche.
L’economia è innanzitutto una conoscenza tacita, e tale conoscenza diviene consapevole, analizzata e strutturata teoricamente soltanto negli stadi successivi della storia dell’umanità, dunque una società dell’economia non è una tardo-invenzione dell’essere umano, ma è un qualcosa che ha accompagnato l’umanità sin dagli inizi del suo agire.
Inoltre, la dimensione economica della vita non ha come fondamento ultimo il desiderio di ricchezza materiale, bensì la condizione umana di scarsità: economici sono i mezzi e non anche i fini ultimi dell’azione.
Siamo quindi costantemente chiamati ad economizzare i mezzi della nostra azione e se non fosse stato per questa capacità dell’essere umano di economizzare non saremmo mai riusciti a risolvere problemi complessi.
L’essere umano è soprattutto un produttore creativo e non un dilapidatore di risorse, o meglio “è un produttore creativo fintanto che si circonda di istituzioni capaci di favorire la creatività umana”.
Pur agendo in condizione di scarsità, la capacità umana di economizzare è in grado, infatti, di “trasformare l’entità delle risorse disponibili da limitate ad incerte”, poiché la risorsa fondamentale per mezzo della quale possono in seguito trovare utilizzo tutte le altre risorse è la mente umana.
La storia dell’umanità dimostra che l’uomo, mediante le sue invenzioni ed innovazioni tecnologiche, è riuscito non solo a spostare sempre un po’ più in là la frontiera delle possibilità produttive ed a scoprire nuove risorse nonché a sfruttare meglio quelle già conosciute, ma, allo stesso tempo, è riuscito ad affrontare e risolvere gradualmente le problematiche ambientali che di volta in volta si ponevano.
Di conseguenza, dichiarare che l’essere umano è un dilapidatore irreversibile di ambiente e risorse è un’affermazione ottusa e disapprovare l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita non ha alcun senso se non quello di porre l’essere umano dinanzi alla sua auto-distruzione.
Con ciò non si vuole, nel contempo, sostenere che l’essere umano sia capace di massimizzare in senso stretto e che la sua vita si esaurisca nell’idealtipo dell’homo oeconomicus.
Non siamo in grado di massimizzare in senso stretto niente, dal momento che non possiamo accedere alla conoscenza di tutti i dati rilevanti: non si può dire, infatti, del processo di competizione e cooperazione che esso porti alla massimizzazione di un qualche risultato misurabile, ma soltanto all’uso, in condizioni favorevoli, di maggiori capacità e conoscenze rispetto a qualsiasi altra procedura.
L’essere umano non può esaurirsi nel soggetto idealtipico dell’homo oeconomicus, il cui scopo è solo la ricerca della massimizzazione della ricchezza materiale, perché questo modello è scorretto in quanto parziale: tale soggetto, infatti, non tiene in conto quelle preferenze che possono emergere diverse dal guadagno materiale, come, ad esempio, il valore affettivo che una persona può conferire ad un determinato bene.Se l’essere umano non può esaurirsi nell’homo oeconomicus, allora si deve dedurre che il concetto di utilitarismo non può essere unidimensionale.
Una corretta visione della scienza economica, infatti, tratta dell’azione umana non solo nella misura in cui questa è attuata da ciò che viene descritto come motivo del guadano materiale.
I problemi “strettamente economici” devono essere inseriti in una scienza più generale, quella della scelta umana, e non possono essere scissi da questa.
L’economia pertanto possiede da sempre un ambito di autonomia, ma in quanto scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un determinato fine e non e come mera scienza degli aspetti “strettamente economici”.
Il libero mercato, fondandosi sulla soggettività del valore, va al di là dell’orizzonte degli sforzi umani e della lotta dell’uomo per i beni ed il miglioramento della sua ricchezza materiale e conseguentemente l’idea che esso distrugga tutto ciò che è collettivo è inaccettabile.
Il libero mercato, semmai, rappresenta l’organizzazione della vita collettiva più efficiente perché in esso le possibilità di scambio sono le più numerose possibili.
Latouche, con una chiusura mentale imbarazzante, condanna la società della crescita dato che in questa scorge un’amplificazione delle disuguaglianze materiali tra esseri umani.
Chiusura mentale imbarazzante per due motivi: senza crescita economica non avremmo mai avuto l’allungamento delle aspettative di vita, il crollo della mortalità infantile, la diffusione di condizioni igieniche accettabili, cure mediche all’avanguardia, etc.; il problema a monte non concerne una corretta distribuzione della ricchezza ma quello di assicurare la migliore contribuzione possibile al processo di creazione della ricchezza.
Latouche, concentrandosi sul tema delle disuguaglianze materiali, ammette che la povertà diffusa può essere un problema ma, a questo riguardo, il suo obiettivo non è quello di tendere ad ottimizzare la possibilità media di tutti, bensì di limitare uniformemente le energie produttive di tutti.
Certo, lo sviluppo economico non dovrebbe abitualmente prodursi a colpi ricorrenti di boom e crisi, ma se l’andamento economico mostra un comportamento che potremmo definire come “maniaco-depressivo” le cause vanno ricercate in una produzione e gestione del denaro fondamentalmente sottratta al meccanismo impersonale del libero mercato, e non nel libero mercato.
Latouche, per giungere nel lungo periodo alla sua società della decrescita, articola un programma politico in dieci punti:
- Ridurre l’impatto ecologico, tornando alla produzione materiale anni ’60 – ’70;
- Ridurre i trasporti internazionalizzandone i costi attraverso ecotasse;
- Rilocalizzare le attività;
- Ristabilire l’agricoltura contadina;
- Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi;
- Rilanciare la produzione di beni relazionali;
- Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4;
- Penalizzare le spese di pubblicità;
- Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica;
- Riappropiarsi del denaro.
Latouche possiede anche un programma per far fronte alle sfide di breve periodo, e qui ci viene suggerito: reddito di cittadinanza, limite legale ai redditi più alti, imposte dirette progressive (sopra il reddito massimo legale anche del 100 per cento), imposte indirette sui beni di lusso, tassa patrimoniale e ricorso immediato alla monetizzazione in caso di deficit pubblico.
Insomma, ce n’è abbastanza per affermare che Latouche altro non è che un ennesimo grande nemico della società libera (sulla scia di Platone, Hegel e Marx) e la decrescita felice solo un altro modo per instillare lo statalismo nelle menti delle persone, ossia l’aggressione sistematica ed istituzionale contro la libera funzione imprenditoriale.
Infondo, è lo stesso Latouche a dircelo:
La concezione di società della decrescita (…) non significa un impossibile ritorno al passato, né un accomodamento con il capitalismo, ma un “superamento” (se possibile armonioso) della modernità. La decrescita è necessariamente contro il capitalismo (…) non si può pensare a una società della decrescita senza uscire dal capitalismo[1].
Latouche è quindi più vicino a Karl Marx di quanto egli stesso forse non pensi.
In aggiunta, la società della decrescita condanna il consumismo definito come “dimensione di costrizione”.
Su quest’ultimo punto c’è da mettersi preventivamente d’accordo.
Se per consumismo s’intende quelle interferenze politiche ai danni della libertà individuale di scelta atte a stimolare artificialmente il consumo ai danni del risparmio e della tesaurizzazione, ad indurci in maniera aggregata a spendere per consumi come se non ci fosse un domani perché tanto, ormai, utilizzare il proprio reddito in modo diverso è diventato istituzionalmente sconveniente se non impraticabile, allora è legittimo condannare il consumismo, poiché violazione dell’ordine di libero mercato e di una possibilità di progresso futuro.
Ma se condannare il consumismo significa condannare l’uomo comune come consumatore sovrano la cui decisione di comprare od astenersi dal comprare in ultima analisi determina quello che deve essere prodotto, allora la decrescita felice si dimostra ancora una volta di essere teoria al servizio della violenza organizzata e non vi sono sostanzialmente dubbi che i teorici della decrescita felice intendano, se non altro soprattutto, colpire l’uomo comune come consumatore sovrano.
Per Pallante la parola consumatore indica:
una mutazione antropologica degradante sia dal punto di vista dell’intelligenza, sia dal punto di vista della morale[2].
In definitiva, i teorici della decrescita non diffondono generalmente alcunché di sereno, conviviale e felice, ma solamente aggressione sistematica ed istituzionale che intende nascondersi dietro la maschera di un’etica frugale e l’illusione di avvicinarsi all’Eden attraverso una nuova civiltà basata sull’agricoltura biologica.
Essi si sentono i detentori di un punto di vista privilegiato sul mondo e soffrono di quel vizio filosofico che consiste nella presunzione di poter dirigere centralisticamente la società.
Essi ci raccontano che la società delle decrescita da loro ipotizzata, qualora fosse pienamente attuata, genererà una varietà imprecisabile di alternative ed esperimenti sociali, ma l’oggettività della realtà invece ci racconterebbe tutt’altro.
Come andrebbe a finire se queste teorie prendessero concretamente e pienamente il soppravvento lo si può esplicitare nella maniera seguente:
prima il controllo dei prezzi, poi la vendita forzosa, quindi il razionamento, poi ancora le norme tassative sulla regolamentazione della produzione e della distribuzione, e infine i tentativi di assumere la direzione pianificata dell’intero sistema produttivo e distributivo[3].
E si aggiunga pure, se non fosse già sufficientemente sottointeso, l’emergere di una povertà diffusa e l’annichilimento della libertà individuale di scelta.
D’altronde, quando si vagheggia un mondo dove la proprietà privata dei mezzi di produzione, i rapporti salariali e l’accumulazione di capitale sono un ostacolo e dove i prezzi dei fattori di produzione devono essere sottratti, nella loro determinazione, a qualsiasi influenza di libero mercato, non può che finire così.
Quando i lupi vengono a noi travestiti da agnelli.
[1] Latouche S., La scommessa della decrescita, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 121-122
[2] Pallante M., La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, Edizioni per la decrescita felice, Roma, 2012³, p. 91
[3] von Mises L., I fallimenti dello Stato interventista, trad. it., Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1997, p. 214
Riferimenti Bibliografici
Nicola Iannello, «Crescita, decrescita e libertà di scelta», in Idee di Libertà: economia, diritto, società, a cura di Nicola Iannello e Lorenzo Infantino, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2015, pp. 33-41
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Come pensare da economisti
Prasseologia è la metodologia distintiva della scuola austriaca (prasseologia: teoria che si occupa dell’agire umano). Il termine è stato applicato prima al metodo austriaco di Ludwig von Mises, che non era solo il principale architetto ed elaboratore di questa metodologia, ma anche l’economista che più pienamente e con successo si è applicato alla costruzione della teoria economica.
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Mentre il metodo prasseologico è, a dir poco, di moda in economia contemporanea, così come nelle scienze sociali in generale e nella filosofia della scienza è stato il metodo di base della scuola austriaca prima ed anche di un notevole segmento della più vecchia scuola classica, in particolare di Jean-Baptiste Say (1767-1832 economista francese) e Nassau William Senior (1790 -1864 economista inglese).
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La prasseologia poggia sullo assioma fondamentale che il singolo atto degli esseri umani, ossia sul fatto primordiale che gli individui si impegnano in azioni coscienti verso obiettivi scelti. Questo concetto di azione si contrappone a quello puramente riflessivo o istintivo, di un comportamento che non è diretto verso gli obiettivi. Il metodo prasseologico ruota al di fuori per deduzione verbale alle implicazioni logiche di questo fatto primordiale. In breve, l’economia prasseologica è la struttura di implicazioni logiche del fatto che gli individui agiscono. Questa struttura è costruita sullo assioma fondamentale di azione e ha un paio di assiomi controllati, come quelli individuali che variano e che gli esseri umani, per quanto riguarda il tempo libero, lo ritengono un bene prezioso. A tal riguardo qualsiasi scettico lo dedurrebbe come una semplice base per un intero sistema di economia, mi riferisco a: Human Action di Mises. Inoltre, dal momento che prasseologia inizia con un vero assioma, A, tutte le proposizioni che possono essere dedotte da questo assioma devono anche essere vere. Infatti, se A implica B ed A è vero, allora anche B deve essere vero. Prendiamo in considerazione alcune delle implicazioni immediate dello assioma dell’azione. L’azione implica che il comportamento dello individuo è intenzionale, insomma, è indirizzato verso gli obiettivi. Inoltre, il fatto della sua azione implica che egli abbia scelto, consapevolmente, determinati mezzi per raggiungere i suoi obiettivi. Dal momento che egli vuole raggiungere questi obiettivi, devono essere preziosi per lui; di conseguenza deve avere valori che governano le sue scelte. L’individuo impiega mezzi e ciò implica che egli crede di avere le conoscenze tecnologiche che certi mezzi saranno in grado di fargli raggiungere gli scopi desiderati. Notiamo che ella prasseologia non si presume che la scelta di una persona i valori o gli obiettivi sia saggia o appropriata o che ha scelta del metodo tecnologicamente corretto di raggiungerli. Tutto ciò che afferma la prasseologia è che l’attore individuo adotta obiettivi e ritiene, sia erroneamente sia correttamente, che può arrivare a loro mediante l’impiego di alcuni mezzi. Inoltre, tutte le azioni nel mondo reale devono avvenire attraverso il tempo; ogni azione avviene in alcuni momenti ed è diretta verso il futuro (immediato o remoto) per il raggiungimento di un fine. Se tutti i desideri di una persona potessero essere realizzati istantaneamente, non ci sarebbe alcun motivo di agire.
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Oltre a ciò, un uomo, da come si comporta, implica che egli ritiene che l’azione farà la differenza; in altre parole, egli preferirà lo stato di cose in forza di una azione a quello da nessuna azione. L’azione implica, pertanto, che l’uomo non ha la conoscenza onnisciente del futuro; per se ha una certa conoscenza e nessuna azione non avrebbe fatto alcuna differenza. Quindi, l’azione implica che viviamo in un mondo di incertezza o non completamente certo, il futuro. Di conseguenza, possiamo modificare la nostra analisi di azione per dire che un uomo sceglie di impiegare mezzi, secondo un piano tecnologico, nel presente perché si aspetta di arrivare ai suoi obiettivi in un momento futuro. Il fatto che le persone agiscono, necessariamente, implica che i mezzi utilizzati sono scarsi in relazione agli scopi perseguiti; se tutti i mezzi non sono scarsi, ma sovrabbondanti, gli obiettivi dovrebbero essere già stati raggiunti e non ci sarebbe necessità di un intervento. Detto in altro modo, le risorse che sono sovrabbondanti funzioneranno più come mezzo, perché non ci sono più oggetti di azione. Quindi, l’aria è indispensabile per la vita ed al raggiungimento degli obiettivi; tuttavia, l’aria essendo sovrabbondante, non è un oggetto di azione e pertanto non può essere considerata un mezzo, Mises ha chiamato ciò: “condizione generale di benessere umano”. Dove l’aria non è sovrabbondante, può diventare un oggetto di azione, ad esempio, dove è desiderata l’aria fredda, l’aria calda viene trasformata dall’aria condizionata. Anche con l’avvento assurdamente improbabile di Eden (o quello che qualche anno fa era considerato in alcuni ambienti di essere un mondo imminente “post-scarsità”), in cui tutti i desideri possono essere soddisfatti istantaneamente, ci sarebbe ancora almeno un mezzo tramite: il tempo dell’individuo, ogni unità di cui, se attribuito ad uno scopo non è necessariamente assegnato a qualche altro obiettivo.
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Queste sono alcune delle implicazioni immediate dello assioma di azione. Siamo arrivati a loro deducendo le implicazioni logiche del fatto esistente dell’azione umana e quindi dedotte le conclusioni vere da un vero assioma. A parte il fatto che queste considerazioni non possono essere “testate” mediante dati storici o statistici, non c’è bisogno di testare la loro verità dal momento che la loro verità è già stata stabilita. Il fatto storico entra in queste conclusioni solo per determinare quale ramo della teoria è applicabile in ogni caso particolare. Così, per Crusoe e Venerdì, sulla loro isola deserta, la teoria prasseologica di denaro è solo accademica, piuttosto che un interesse attualmente applicabile. Un’analisi più completa del rapporto tra teoria e la storia nel quadro prasseologico sarà considerato più sotto. Poi, ci sono due parti di questo metodo assiomatico-deduttivo: il processo di deduzione e lo statuto epistemologico degli assiomi stessi. In primo luogo, vi è il processo di deduzione: perché lo sono i mezzi verbali piuttosto che la logica matematica?
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Senza esporre completamente il caso austriaco contro l’economia matematica, il punto può essere fatto immediatamente: lasciare che il lettore prenda le implicazioni del concetto di azione come si sono state sviluppate finora in questo documento e cercare di metterlo in forma matematica. Anche se questo potesse essere fatto, cosa avemmo compiuto, tranne una perdita drastica di ciò che si intende per ogni fase del processo deduttivo? La logica matematica è adeguata alla fisica – la scienza che è diventata il modello di scienza e che i positivisti moderni e gli empiristi ritengono che tutte le altre scienze sociali e fisiche dovrebbero emulare. In fisica gli assiomi e di conseguenza le deduzioni sono di per sé puramente formali ed il solo acquisire significa “operativamente” nella misura in cui si possono spiegare e predire i dati di fatto. Al contrario, in prasseologia, nell’analisi dell’azione umana, gli assiomi stessi sono noti per essere veri e significativi. Come risultato, ogni deduzione verbale, passo dopo passo, è anche vero e significativo; perché è la grande qualità di proposizioni verbali che per ognuno è significativa, mentre i simboli matematici non lo sono significativi per se stessi. Così Lord Keynes, a malapena un austriaco, e lui stesso un matematico degno di nota, uniformata la seguente critica al simbolismo matematico in economia: vi è un grande difetto di metodi di pseudo-matematica simbolica nel formalizzare un sistema di analisi economica, che assumono esplicitamente rigorosa indipendenza tra i fattori coinvolti e perdono tutta la loro efficacia e autorità, se questa ipotesi non è consentita: considerando che, nel discorso ordinario, dove non stiamo manipolando alla cieca, ma abbiamo tutto il tempo per conoscere quello che stiamo facendo ed il significato delle parole che siamo in grado di mantenere “nella parte posteriore delle nostre teste” (significa che: una voce nella nostra mente ci ha spinto in una certa direzione ndt), le riserve e le qualifiche necessarie e gli adeguamenti che dobbiamo fare in seguito, in un modo in che non possiamo mantenere complesse differenziali parziali “nella parte posteriore” (della mente) delle diverse pagine di algebra che si attribuiscono e che tutte spariscono. Una percentuale troppo grande della recente “matematica” per l’economia sono semplici intrugli, imprecisi come le ipotesi iniziali sulle quali si poggiano e che consentono all’autore di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un labirinto di simboli pretenziosi e inutili.
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Peraltro, anche se a parole l’economia potesse essere tradotta con successo in simboli matematici e poi ritradotta in inglese, in modo da spiegare le conclusioni, il processo non ha senso e vìola il grande principio scientifico del rasoio di Occam (attribuito al francescano inglese Guglielmo di Ockham, 1287-1347, legge della parsimonia ndt): evitando l’inutile moltiplicazione delle entità.
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Inoltre, come il politologo Bruno Leoni ed il matematico Eugenio Frola hanno sottolineato: Si è spesso sostenuto che la definizione di tale concetto come il massimo da un ordinario in linguaggio matematico, comporta un miglioramento della precisione logica del concetto, così come le opportunità più ampie per il suo utilizzo. Ma la mancanza di precisione matematica nel linguaggio comune, riflette con precisione il comportamento dei singoli esseri umani nel mondo reale … Si potrebbe sospettare che la traduzione in linguaggio matematico, di per sé, implica una trasformazione suggerita dagli operatori economici umani ai robot virtuali.
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Allo stesso modo, uno dei primi metodologi in economia, Jean-Baptiste Say, accusò gli economisti matematici: non sono stati in grado di enunciare queste domande in linguaggio analitico, senza separarsi dalle loro complicazione naturali, mediante semplificazioni e soppressioni arbitrarie, le cui conseguenze, non correttamente stimate e sempre sostanzialmente modificando la condizione del problema ed alterando tutti i suoi risultati.
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Più recentemente, Boris Ischboldin ha sottolineato la differenza tra il verbale, o “linguaggio” logico (“l’analisi reale del pensiero, indicato nel linguaggio espressivo della realtà come colto nella comune esperienza”) e “costruire” la logica, che è “l’applicazione di dati quantitativi (economici) a disposizione della matematica e della logica simbolica che costruisce e che può o non può avere equivalenti reali.”
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Karl Menger (1902-1985) anch’egli economista e matematico, figlio del matematico ed economista Carl Menger (1840-1921) ha scritto una critica tagliente dell’idea che la presentazione matematica in economia è necessariamente più precisa del linguaggio ordinario: Si consideri, ad esempio, le dichiarazioni (2) ad un prezzo più alto di un bene, corrisponde una più bassa (o comunque non superiore) richiesta. (2′) Se p indica il prezzo di e q la richiesta di un bene, allora
q = f (p) e dq / dp = f ‘(p) ≤ 0 Coloro che considerano la formula (2′) come più precisa o “più matematica” della frase (2) sono sotto un completo equivoco … l’unica differenza tra (2) e (2′) presente è: dal (2′) è limitata a funzioni che sono differenziabili ed i cui grafici, hanno tangenti (che da un punto di vista economico non sono più accettabili di curvatura), la frase (2) è più generale, ma non è affatto meno precisa: è della stessa precisione matematica come (2′).
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Passando dal processo di detrazione per gli assiomi stessi, qual è il loro status epistemologico? Qui i problemi sono offuscati da una differenza di parere nel campo prasseologico, particolarmente sulla natura dello assioma fondamentale dell’azione. Ludwig von Mises, come aderente di epistemologia kantiana, ha affermato che: il concetto di azione è a priori di tutte le esperienze, perché come la legge di causa ed effetto, fa parte del “carattere essenziale e necessita della struttura logica della mente umana”.
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Senza scavare troppo a fondo nelle acque torbide dell’epistemologia, mi verrebbe negato, come un aristotelico e neo-tomista, tali presunte “leggi della struttura logica” che la mente umana impone necessariamente sulla struttura caotica della realtà. Invece, chiamerei tali leggi: “leggi della realtà”, che la mente apprende per indagare e la fascicolazione (contrazione spontanea ndt) dei fatti del mondo reale. La mia opinione è che gli assiomi e le controllate dei fondamentali degli assiomi sono derivati dalla esperienza della realtà e sono quindi, in senso lato, sperimentali. Sono d’accordo con la visione realista aristotelica, la sua dottrina è radicalmente empirica, molto più di quanto l’empirismo post-humeano è dominante nella filosofia moderna. Così, John Wild (1902-1972 filosofo americano) ha scritto: è impossibile ridurre l’esperienza ad un insieme di impressioni isolate e unità atomiche (che formano un sistema di unità naturali). La struttura relazionale è data anche con uguale evidenza e certezza. I dati immediati sono pieni di struttura determinata ed è facilmente estratta dalla mente e colta come sostanza o possibilità universale.
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Inoltre, uno dei dati pervasivi, di tutta l’esperienza umana, è l’esistenza; un altro è la coscienza o la consapevolezza. In contrasto con la visione kantiana, Harmon Chapman ha scritto che: la concezione è una sorta di consapevolezza, un modo di apprendere le cose o la loro comprensione e non una presunta manipolazione personale delle cosiddette generalità o universalità solo “mentali” o “logiche” della loro provenienza e non nella natura conoscitiva. Per arrivare a conoscere così i dati di senso e la concezione che sintetizza anche questi dati è evidente. Ma la sintesi qui coinvolta, a differenza della sintesi di Kant, non è una condizione preliminare della percezione, un processo anteriore che costituisce la percezione ed il suo oggetto, ma piuttosto una sintesi cognitiva nella preoccupazione, cioè una unione o “includere”, che è lo stesso di apprendere. In altre parole, la percezione e l’esperienza non sono i risultati o i prodotti finali di un processo sintetico a priori, ma sono essi stessi sintetici o una angoscia globale in cui l’unità strutturata è prescritta esclusivamente dalla natura del reale ed è, per gli scopi specificati nel loro Insieme e non dalla coscienza stessa cui (cognitivo) per natura è quello di comprendere il vero – come è.
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Se, in senso lato, gli assiomi di prasseologia sono radicalmente empirici, sono ben lungi dall’essere l’empirismo post-humeano che pervade la metodologia moderna delle scienze sociali. Oltre alle considerazioni che precedono, (1) sono così ampiamente basate in comune con l’esperienza umana che, una volta enunciate, diventano auto-evidenti e quindi non soddisfano il criterio di moda di “falsificabilità” (possibilità di confutazione, Karl Popper 1902-1994 filosofo espistemologo austriaco ndt); (2) rimangono in particolare lo assioma azione, sull’esperienza interiore universale, nonché sull’esperienza esterna, cioè la prova è riflessiva piuttosto che puramente fisica e (3) sono, quindi a monte delle complesse vicende storiche a cui l’empirismo moderno limita il concetto di “esperienza”.
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J. B. Say, forse il primo prasseologista, ha spiegato la derivazione degli assiomi della teoria economica come segue: : Da qui il vantaggio goduto da tutti coloro che, dall’osservazione distinta e precisa, sono in grado di stabilire l’esistenza di questi fatti generali, dimostrando la loro connessione e dedurre le loro conseguenze. Certamente, essi procedono nella natura delle cose, come le leggi del mondo materiale. Non li immaginiamo; sono risultati comunicati a noi dall’analisi e dell’osservazione assennata … L’economia politica … è composta da alcuni principi fondamentali e da un gran numero di corollari o conclusioni, tratti da questi principi … che può essere ammessa per rispecchiarsi in ogni mente.
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Friedrich A. Hayek pungentemente descrive il metodo prasseologico in contrasto con la metodologia delle scienze fisiche e ha anche sottolineato la natura largamente empirica degli assiomi prasseologici: La posizione dell’uomo … fa sì che i fatti di base essenziali, di cui abbiamo bisogno per la spiegazione dei fenomeni sociali, sono parte della comune esperienza, che fa parte (a sua volta) delle cose del nostro pensiero. Nelle scienze sociali sono gli elementi dei fenomeni complessi che sono là conosciuti dalla possibilità di contestazione. Nelle scienze naturali, nella migliore delle ipotesi, possono essere solo ipotizzati. L’esistenza di questi elementi è molto più certa di qualsiasi regolarità dei fenomeni complessi a cui danno origine e sono loro che costituiscono il fattore veramente empirico nelle scienze sociali. Ci sono pochi dubbi che sia questa posizione diversa dal fattore empirico nel processo di ragionamento nei due gruppi di discipline e ciò è alla radice di molta della confusione in relazione al loro carattere logico. La differenza essenziale è che nelle scienze naturali il processo di deduzione deve partire da alcune ipotesi che sono il risultato di generalizzazioni induttive, mentre nelle scienze sociali inizia direttamente da elementi empirici noti e sono utilizzati per individuare le regolarità dei fenomeni complessi, che osservazioni dirette non possono stabilire. Essi sono, per così dire, empiricamente scienze deduttive, procedendo dagli elementi noti per le regolarità dei fenomeni complessi che non possono essere stabiliti direttamente.
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Allo stesso modo, John Elliott Cairnes (1823 -1875 economista irlandese) ha scritto: L’economista inizia con una conoscenza delle cause ultime. Egli è già, in via preliminare della sua impresa, nella posizione che il fisico raggiunge solo dopo secoli di ricerca laboriosa … Per la scoperta di tali premesse non è necessario alcun processo elaborato di induzione … è per questa ragione, che abbiamo o possiamo avere, di avere scelto di rivolgere la nostra attenzione al tema, la conoscenza diretta di queste cause nella nostra coscienza di ciò che passa nella nostra mente e le informazioni che ci trasmettono i nostri sensi … i fatti esterni.
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Nassau W. Senior si espresse così: Le scienze fisiche, essendo solo secondariamente in dimestichezza con la mente, traggono le loro premesse quasi esclusivamente da osservazioni o ipotesi … D’altra parte, le scienze e le arti mentali traggono le loro premesse principalmente dalla coscienza. I soggetti cui essi sono maggiormente in confidenza, sono i meccanismi della mente umana. (Queste premesse sono) pochissime proposizioni generali e sono il risultato dell’osservazione o della coscienza e come quasi ogni uomo, appena le ascolta, ammette, essere familiare al suo pensiero, o almeno, contenuta nella sua precedente cognizione.
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Commentando il suo completo accordo con questo passaggio, Mises ha scritto che queste “proposizioni immediatamente evidenti” sono “di derivazione aprioristica … a meno che non si voglia chiamare aprioristica la cognizione dell’esperienza interiore”.
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Al che Marian Bowley (1911-2002 è stata una economista e storica del pensiero economico), il biografo di Senior, giustamente commenta: L’unica differenza fondamentale tra atteggiamento generale di Mises e le bugie di Senior nell’apparente negazione di Mises sulla possibilità di utilizzare tutti i dati empirici generali, vale a dire, i fatti di osservazione generale, come premesse iniziali. Questa differenza, comunque, gira sulle idee di base di Mises nella natura del pensiero ed anche se di interesse filosofico generale, ha scarsa rilevanza particolare per il metodo economico in quanto tale.
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Bisogna notare che per Mises è solo lo assioma fondamentale dell’azione che è a priori; egli ha ammesso che gli assiomi sussidiari della diversità del genere umano, della natura e del tempo libero, come dei consumatori di merci, sono largamente empiriche. La moderna filosofia post-kantiana ha avuto una grande quantità di problemi che comprende evidenti difficoltà e sono contrassegnate appunto dalla loro forte ed evidente verità, piuttosto che essere ipotesi verificabili sono, secondo la moda corrente, considerate “falsificabili”. A volte sembra che gli empiristi utilizzino la dicotomia analitico-sintetica alla moda, come quella a carico del filosofo Hao Wang (1921-1995 logico, filosofo, matematico), di disporre di teorie che difficilmente trovano smentita respingendo loro come necessariamente sia le definizioni dissimulate o le ipotesi discutibili ed incerte.
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Ma cosa succede se sottoponiamo ad analisi le decantate “prove” dei positivisti moderni e degli empiristi? Che cos’è? Troviamo che ci sono due tipi di tale prova, per entrambi, da confermare o confutare in proposizione: (1) se vìola le leggi della logica, per esempio, implica che A = -A o (2) se è confermato dai fatti empirici (come in un laboratorio) e possono essere controllati da molte persone. Ma qual è la natura di tali “prove”, ma la proposizione, con vari mezzi, di proposte finora nuvolose e oscure in vista chiara ed evidente, cioè, evidente agli osservatori scientifici? In breve, i processi logici o di laboratorio servono a rendere evidenti a “se stessi” dai vari osservatori che le proposizioni sono confermate o confutate o, per usare una terminologia fuori moda, vere o false. Ma in questo caso le proposizioni che sono immediatamente evidenti agli stessi osservatori hanno almeno un minimo di buono stato scientifico come gli altri e attualmente una più accettabile forma di evidenza. O, come il filosofo tomista John J. Toohey ha posto, la dimostrazione con mezzi per rendere evidente qualcosa che non è evidente. Se una verità o proposizione è evidente, è inutile cercare di dimostrarlo; tentare di provarlo sarebbe tentare di rendere evidente qualcosa che è già evidente.
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In particolare, l’assioma di azione dovrebbe essere, secondo la filosofia aristotelica, insindacabile ed evidente dal momento che il critico che tenta di confutare i riscontri che deve usare nel processo di presunta confutazione. Così, l’assioma dell’esistenza della coscienza umana è dimostrato come ovvio per il fatto che l’atto di negare l’esistenza della coscienza deve essa stessa essere eseguita da un essere cosciente. Il filosofo RP Phillips ha chiamato questo attributo di un assioma evidente un “principio boomerang”, dal momento che “anche se lo lanciamo via da noi, ritorna nuovamente a noi”.
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Ad una simile contraddizione si trova di fronte l’uomo che tenta di confutare l’assioma dell’azione umana. Perché in questo modo, è ipso facto una persona che effettua una scelta consapevole dei mezzi nel tentativo di arrivare a un fine adottato: in questo caso con il fine o l’obiettivo di cercare di confutare l’assioma di azione. Si impiega azione nel tentativo di confutare il concetto di azione. Naturalmente, una persona può dire che nega l’esistenza di principi evidenti o di altre verità consolidate del mondo reale, ma questo semplice detto non ha alcuna validità epistemologica. Come Toohey ha sottolineato: Un uomo può dire che nulla gli piace, ma non può pensare o fare quello che vuole. Egli può dire di aver visto una piazza rotonda, ma non può pensare di aver visto una piazza rotonda. Egli può dire, se gli piace, che vide un cavallo a cavallo di un cavallo, ma sapremo cosa pensare di lui se lo dice.
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La metodologia del positivismo moderno e dell’empirismo arriva al insuccesso anche nelle scienze fisiche, per cui è molto più adatta rispetto alle scienze dell’azione umana; anzi non particolarmente dove i due tipi di discipline interconnettono. Così, il fenomenologo Alfred Schütz (1899-1959 filosofo), allievo di Mises a Vienna, pioniere nell’applicare la fenomenologia alle scienze sociali, ha sottolineato la contraddizione nell’insistenza degli empiristi sul principio di verificabilità empirica nel campo della scienza, mentre allo stesso tempo nega l’esistenza di “altre menti” come non verificabile. Ma chi dovrebbe fare la verifica di laboratorio, se non queste stesse “altre menti” degli scienziati riuniti? Schütz ha scritto: E’ … non comprensibile che gli stessi autori che sono convinti che nessuna verifica sia possibile per l’intelligenza degli altri esseri umani abbiano una tale fiducia nel principio di verificabilità di sé che può essere realizzata solo attraverso la cooperazione con gli altri.
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In questo modo, gli empiristi moderni ignorano i presupposti necessari del metodo campione molto scientifico. Per Schütz, la conoscenza di tali presupposti è “empirica” nel senso più ampio, a condizione che non ci limitiamo a questo termine nelle percezioni sensoriali degli oggetti ed eventi nel mondo esterno, ma includiamo la forma empirica, per cui il pensare, con buon senso, nella vita quotidiana comprende le azioni umane ed il loro esito in termini di motivi di fondo e gli obiettivi.
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Dopo aver affrontato con la natura della prasseologia, le sue procedure, i suoi assiomi e le sue basi filosofiche, prendiamo ora in considerazione che cosa è la relazione tra prasseologia e le altre discipline che studiano l’azione umana. In particolare, quali sono le differenze tra la prasseologia e la tecnologia, la psicologia, la storia e l’etica – che sono tutte in qualche modo interessate con l’azione umana? Riassumendo, la prasseologia è costituita dalle implicazioni logiche del fatto formale universale, le persone agiscono, impiegano mezzi per cercare di raggiungere fini scelti. Offerte di tecnologia con il problema di come raggiungere i contenutistici per i fini di adozione dei mezzi. La psicologia si occupa della questione del perché le persone adottano i vari fini e come si muovono relativamente alla loro adozione. L’etica si occupa della questione di ciò che finisce o i valori che le persone dovrebbero adottare. E si occupa di storia con conclusioni adottate in passato e quali mezzi sono stati utilizzati per cercare di raggiungerli e quali sono state le conseguenze di queste azioni. La prasseologia o la teoria economica, in particolare, è dunque una disciplina unica all’interno delle scienze sociali; a differenza di altre, non si occupa del contenuto dei valori degli uomini, gli obiettivi e le azioni – non con quello che hanno fatto o come hanno agito o come dovrebbero agire – bensì solamente con il fatto che hanno obiettivi e agiscono per raggiungerli. Le leggi di utilità, domanda, offerta, ed il prezzo si applicano a prescindere dal tipo di beni e servizi desiderati o prodotti. Come Joseph Dorfman ha scritto su di Herbert J. Davenport (1861-1931 economista statunitense) Lineamenti di teoria economica (1896): Il carattere etico dei desideri non è stata una parte fondamentale della sua inchiesta. Gli uomini lavoravano e sono stati sottoposti a privazioni per “whisky, sigari e piedi di porco per i ladri”, ha detto “così come per il cibo o la collezione di statue o i macchinari per la raccolta”. Fino a quando gli uomini saranno disposti a comprare e vendere “la stoltezza ed il male” le ex “materie prime” (commodities) sarebbero fattori economici con la condizione di mercato, per l’utilità, come un termine economico che significava semplicemente l’adattabilità ai desideri umani. Fino a quando gli uomini li desideravano, hanno soddisfatto un bisogno e sono stati motivo di produzione. Quindi le scienze economiche non avevano bisogno di indagare sull’origine delle scelte.
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La prasseologia, così come gli aspetti sonori delle altre scienze sociali, poggia sull’individualismo metodologico, sul fatto che solo gli individui percepiscono, il valore, il pensare e l’agire. L’individualismo è sempre stato accusato dai suoi critici – e sempre in modo non corretto – con il presupposto che ogni individuo è un ermeticamente chiuso nello “atomo”, tagliato via e non influenzato da altre persone. Questo assurdo fraintendimento dell’individualismo metodologico è alla radice della manifestazione trionfante di John Kenneth Galbraith (1908-2006 economista) in Società del benessere (Boston: Houghton Mifflin, 1958), i valori e le scelte degli individui sono influenzati da altre persone e quindi si suppone che la teoria economica non è valida. Galbraith ha anche concluso, nella sua dimostrazione, che queste scelte, poiché influenzate, sono artificiali e illegittime. Il fatto che la teoria economica prasseologica si basi sul fatto universale dei valori, delle scelte individuali e dei mezzi, per ripetere la sintesi di Dorfman del pensiero di Davenport, la teoria economica non “ha bisogno di indagare l’origine delle scelte”. La teoria economica non si basa sul presupposto assurdo che ogni individuo arriva ai suoi valori e scelte nell’assoluto isolamento, isolato dall’influenza umana. Ovviamente, gli individui stanno continuamente imparando e si influenzano a vicenda. Come ha scritto giustamente Friedrich August von Hayek (1899-1992 economista e filosofo austriaco) nella sua famosa critica di Galbraith: “The Non Sequitur dell’effetto della dipendenza”: la tesi del professor Galbraith potrebbe essere facilmente utilizzata, senza alcun cambiamento dei termini essenziali, per dimostrare l’inutilità della letteratura o di qualsiasi altra forma d’arte. Sicuramente, il desiderio di un individuo per la letteratura non è originale con se stesso, nel senso che avrebbe esperienza se la letteratura non fosse stata prodotta. Questo allora significa che la produzione della letteratura non può essere difesa per soddisfare una richiesta solo perché è la produzione che provoca la domanda?
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Che la scuola di economia austriaca poggi saldamente dall’inizio sull’analisi del fatto di singoli valori soggettivi e le scelte, purtroppo hanno portato i primi Austriaci ad adottare il termine scuola psicologica. Il risultato è stato una serie di critiche e di indirizzi sbagliati e quindi le ultime scoperte della psicologia non erano state incorporate nella teoria economica. E’ stata anche portata a idee sbagliate come ad esempio: la legge dell’utilità marginale decrescente poggiata su qualche legge psicologica nella pienezza dei bisogni. In realtà, come Mises ha fermamente sottolineato: la legge è prasseologica piuttosto che psicologica e non ha nulla a che fare con il contenuto dei bisogni, per esempio: il decimo cucchiaio di gelato può essere gustato meno piacevolmente rispetto al nono cucchiaio. Invece, è una verità prasseologica, derivata dalla natura dell’azione, che la prima unità di bene sarà destinata al suo uso più prezioso, l’unità successiva al successivo più prezioso, e così via.
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Su un punto, e su un solo punto, però la prasseologia e le relative scienze dell’azione umana prendono una posizione nella psicologia filosofica: sulla proposta che la mente, la coscienza e la soggettività umana esistono e quindi esiste l’azione. In questo, si oppone alla base filosofica del comportamentismo e alle relative dottrine ed è così è unito a tutti i rami della filosofia classica con la fenomenologia. Su tutte le altre questioni, tuttavia, la prasseologia e la psicologia sono discipline distinte e separate.
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Una questione particolarmente importante è il rapporto tra la teoria economica e la storia. Anche in questo caso, come in molti altri settori dell’economia austriaca, Ludwig von Mises ha dato un contributo eccezionale, soprattutto nella sua Teoria e storia.
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È particolarmente curioso che Mises e altri prasseologisti, come un presunto “priorista” (nell’antica Firenze era un manoscritto in cui si annotavano eventi, elenchi di persone e liste varie ndt) e sono stati comunemente accusati di essere “nemici” della storia. Infatti, Mises ha ritenuto non solo che la teoria economica non ha bisogno di essere “testata” da fatti storici, ma che non può essere testato in alcun modo. Per il fatto di essere utilizzabile per testare teorie, deve esserci un semplice fatto, omogeneo con altri fatti in classi accessibili e ripetibili. In breve, la teoria che un atomo di rame, un atomo di zolfo e quattro atomi di ossigeno si combinino per formare un’entità riconoscibile, chiamato solfato di rame, con proprietà note, è facilmente testabile in laboratorio. Ciascuno di questi atomi è omogeneo e quindi il test è ripetibile all’infinito. Ma ogni evento storico, come Mises ha sottolineato, non è semplice e ripetibile; ogni evento è una risultante complessa di uno spostamento da varietà di cause multiple, nessuna delle quali rimane sempre in rapporti costanti con le altre. Ogni evento storico è quindi eterogeneo e la conseguenza degli eventi storici non può essere utilizzata per testare o costruire leggi della storia, quantitativamente o in altro modo. Siamo in grado di porre ogni atomo di rame in una classe omogenea di atomi di rame; non siamo in grado di farlo con gli eventi della storia umana. Naturalmente, questo non significa che non vi sono somiglianze tra eventi storici. Ci sono molte somiglianze, ma non omogeneità. Quindi, ci sono state molte somiglianze tra le elezioni presidenziali del 1968 e quella del 1972, ma erano gli eventi a malapena omogenei dal momento che sono stati caratterizzati da importanti differenze ineludibili. Né le prossime elezioni saranno un evento ripetibile da inserire in una classe omogenea di “elezioni”. Quindi, non scientifiche e di certo non quantitative, le leggi possono derivare da questi eventi. L’opposizione radicale fondamentale di Mises all’econometria ora diventa chiara. Econometria non solo tenta di scimmiottare le scienze naturali utilizzando complessi fatti storici eterogenei come se fossero ripetibili e omogenei fatti in laboratorio; si stringe anche la complessità qualitativa di ogni evento in un numero quantitativo e quindi aggrava l’errore agendo come se queste relazioni quantitative rimanessero costanti nella storia umana. In netto contrasto con le scienze fisiche, che poggiano sulla scoperta empirica di costanti quantitative, l’econometria, come Mises più volte ha sottolineato, non è riuscita a scoprire una sola costante nella storia umana. E date le mutevoli condizioni della volontà umana, la conoscenza, i valori e le differenze tra gli uomini, è inconcepibile e l’econometria non potrà mai farlo. Lungi dall’essere in contrasto con la storia, la prasseologia e non i presunti ammiratori della storia, (Mises) ha un profondo rispetto per i fatti irriducibili e unici della storia umana. Inoltre, è il prasseologista a riconoscere che i singoli esseri umani non possono essere legittimamente trattati con lo scienziato sociale, come se non fossero uomini che hanno la mente e agiscono sui loro valori e le loro aspettative, ma le pietre o molecole il cui percorso può essere scientificamente monitorato con presunte costanti o leggi quantitative. Inoltre, a coronamento dell’ironia, è il prasseologista è veramente empirico, perché riconosce la natura unica ed eterogenea dei fatti storici; è l’auto-proclamato “empirista” che vìola gravemente i fatti della storia tentando di ridurli a leggi quantitative. Mises ha scritto così sugli econometrici e altre forme di “economisti quantitativi”: Ci sono, nel campo dell’economia, relazioni non costanti e di conseguenza nessuna misura è possibile. Se uno statistico determina che un aumento del 10 per cento nella fornitura di patate ad Atlantis in un momento preciso e poi seguito da un calo dell’8 per cento nel prezzo, non stabilisce nulla di ciò che è accaduto o potrebbe accadere con una variazione dell’offerta di patate in un altro paese o in un altro tempo. Non ha “misurato” la “elasticità della domanda” di patate, ha solo stabilito un fatto storico individuale ed unico. Nessun uomo intelligente può dubitare che il comportamento degli uomini per quanto riguarda le patate e ogni altra merce è variabile. Diversi individui apprezzano le stesse cose in modo diverso e le valutazioni cambiano con le stesse persone in condizioni mutevoli. … L’impossibilità di misurazione non è dovuta alla mancanza di metodi e tecniche per la costituzione della misura. È dovuta all’assenza di rapporti costanti. … L’economia non è come … i positivisti ripetono più volte, in ritardo perché non è “quantitativa”. Non è quantitativa e non misura perché non ci sono costanti. I dati statistici si riferiscono a eventi economici e sono dati storici. Ci dicono quello che è successo in un caso storico e non ripetibile. Gli eventi fisici possono essere interpretati sulla base della nostra conoscenza e sulle relazioni costanti stabilite da esperimenti. Gli eventi storici non sono aperti a tale interpretazione. … L’esperienza della storia economica è sempre esperienza di fenomeni complessi. Non si può mai trasmettere conoscenza del tipo sperimentale a prescinde da un esperimento di laboratorio. La statistica è un metodo per la presentazione dei fatti storici. … Le statistiche dei prezzi sono storia economica. L’intuizione che, ceteris paribus (a parità di tutte le altre circostanze o ferme restando le altre condizioni ndt), un aumento della domanda deve tradursi in un aumento dei prezzi non deriva dall’esperienza. Nessuno mai ha fatto o sarà in grado di osservare un cambiamento in uno dei ceteris paribus dei dati di mercato. Non esiste una cosa come l’economia quantitativa. Tutte le quantità economiche che conosciamo sono i dati della storia economica … Nessuno è così audace da sostenere che l’aumento di un punto percentuale nella fornitura di qualsiasi merce deve sempre – in ogni paese e in ogni momento – essere il risultato della caduta di B per cento nel prezzo; come nessun economista quantitativo ha mai osato definire con precisione, sul terreno dell’esperienza statistica, delle condizioni particolari che producono una deviazione definita dal rapporto A:B e quindi l’inutilità dei suoi sforzi è manifesta.
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Sviluppando la sua critica di costanti Mises ha aggiunto: Le quantità che osserviamo nel campo dell’azione umana … sono manifestamente variabili. I cambiamenti che si verificano in essi influenzano chiaramente il risultato delle nostre azioni. Ogni quantità che possiamo osservare è un evento storico, un fatto che non può essere completamente descritto senza specificare l’ora ed il luogo geografico. L’econometrico non è in grado di smentire questo fatto, che toglie il terreno sotto il suo ragionamento. Nè può aiutare ad ammettere che non ci sono “costanti di comportamento”. Ciò nonostante, si vuole introdurre alcuni numeri, arbitrariamente scelti sulla base del fatto storico, come “costanti comportamentali sconosciute”. L’unica scusa che si può esprimere è che le sue ipotesi sono “da enunciare solo se questi numeri sconosciuti rimangono ragionevolmente costanti attraverso un lungo periodo di anni”.
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Ora se tale periodo di presunta costanza di un numero definito è ancora duratura o se un cambiamento del numero si è già verificato e/o può essere stabilito solo in seguito. A posteriori può essere possibile, anche se solo in rari casi e dichiarare che più di un (periodo, probabilmente, piuttosto breve) periodo di un rapporto stabile, che l’econometrico sceglie di chiamare un “ragionevole” rapporto costante prevalente tra i valori numerici di due fattori. Ma questo è qualcosa di fondamentalmente diverso dalle costanti della fisica. E’ l’affermazione di un fatto storico, non di una costante, che può essere invocata nel tentativo di predire gli eventi futuri.
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Le equazioni sono molto apprezzate, nella misura in cui si applicano al futuro, più semplicemente le equazioni in cui tutte le quantità sono sconosciute.
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Nel trattamento matematico, della fisica della distinzione tra costanti e variabili, ha un senso; è essenziale in ogni caso la computazione tecnologica. In economia non ci sono rapporti costanti tra le varie grandezze. Di conseguenza, tutti i dati accertabili sono variabili o, che è lo stesso, anche i dati storici. Gli economisti matematici ribadiscono che la situazione dell’economia matematica consiste nel fatto che ci sono un gran numero di variabili. La verità è che ci sono solo le variabili e non le costanti. E ‘inutile parlare di variabili dove non ci sono invarianti.
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Allora, qual è il corretto rapporto tra teoria economica e storia economica o, più precisamente, la storia in generale? La funzione dello storico è quello di cercare di spiegare i fatti storici unici che sono di sua competenza; per farlo in modo adeguato deve impiegare tutte le teorie rilevanti provenienti da tutte le varie discipline in relazione al suo problema. I fatti storici sono le risultanti complesse di una miriade di cause derivanti da differenti aspetti della condizione umana. Così, lo storico deve essere pronto ad usare non solo la teoria prasseologica economica, ma anche le intuizioni della fisica, la psicologia, la tecnologia e la strategia militare insieme ad una comprensione interpretativa dei motivi e degli obiettivi degli individui. Egli deve utilizzare questi strumenti per comprendere sia gli obiettivi delle varie azioni della storia sia le conseguenze di tali azioni. Perché è coinvolta la comprensione di diversi individui e delle loro interazioni, nonché il contesto storico, lo storico utilizzando gli strumenti delle risorse naturali e delle scienze sociali è, in ultima analisi, un “artista” e quindi non c’è nessuna garanzia o anche probabilità che uno qualsiasi dei due storici verranno giudicare una situazione esattamente allo stesso modo. Mentre possono accordarsi su una serie di fattori per spiegare la genesi e le conseguenze di un evento, è improbabile che possano essere d’accordo sul peso preciso da dare ogni fattore causale. Nell’impiegare le varie teorie scientifiche, devono prendere decisioni di rilevanza sulle teorie applicate in ogni singolo caso; per citare un esempio utilizzato in precedenza in questo documento, uno storico di Robinson Crusoe difficilmente impiegherebbe la teoria dei soldi in una spiegazione storica delle sue azioni su un’isola deserta. Per lo storico economico, la legge economica non è né confermata né testata da fatti storici; invece, la legge, se del caso, si applica per aiutare a spiegare i fatti. I fatti dimostrano in tal modo il funzionamento della legge. Il rapporto tra la teoria economica prasseologica e la comprensione della storia economica è stata sottilmente riassunta da Alfred Schütz (1899-1959 filosofo e sociologo austriaco): Nessun atto economico è immaginabile senza qualche riferimento ad un attore economico, ma quest’ultimo è assolutamente anonimo; non sei tu, né io, né un imprenditore e nemmeno un “uomo economico”, in quanto tale, ma un puro universale “uno”. Questo è il motivo per cui le proposizioni di economia teorica hanno proprio questa “validità universale”, che dà loro l’idealità della “e così via” e “posso farlo di nuovo”. Tuttavia, si può studiare l’attore economico in quanto tale e cercare di scoprire che cosa sta succedendo nella sua mente; naturalmente, non si è quindi impegnati in economia teorica, ma nella storia economica o sociologia economica. … Tuttavia, le dichiarazioni di queste scienze non possono rivendicare alcuna validità universale, perché trattano sia con i sentimenti economici di particolari individui storici sia con tipi di attività economica per la quale gli atti economici in questione ne sono la dimostrazione. … A nostro avviso, l’economia pura è un perfetto esempio di un obiettivo dal significato complesso, più o meno soggettivo, significato-complessi, in altre parole, una configurazione di significato oggettiva che preveda le tipiche e invarianti esperienze soggettive di chi agisce all’interno di un quadro economico … Escluso da tale schema non dovrebbe avere alcuna considerazione degli usi a cui i “beni” sono da utilizzare dopo che sono stati acquisitati. Ma una volta che lo facciamo, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al significato personale di un vero e proprio individuo, lasciando dietro l’anonimo “chiunque”, poi, naturalmente, ha senso parlare di comportamento che è atipico. … A dire il vero, tale comportamento è irrilevante dal punto di vista dell’economia ed è in questo senso che i principi economici sono, nelle parole di Mises: “Non una dichiarazione di quanto accade di solito, ma di ciò che necessariamente deve accadere”.
LEGENDA
1.See in particular Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics (New Haven: Yale University Press, 1949); also see Mises, Epistemological Problems of Economics, George Reisman, trans. (Princeton, NJ: Van Nostrand, 1960).
2.See Murray N. Rothbard, “Praxeology as the Method of the Social Sciences,” in Phenomenology and the Social Sciences, Maurice Natanson, ed., 2 vols. (Evanston: Northwestern University Press, 1973), 2 pp. 323–35 [reprinted in Logic of Action One, pp. 29–58]; also see Marian Bowley, Nassau Senior and Classical Economics (New York: Augustus M. Kelley, 1949), pp. 27–65; and Terence W. Hutchinson, “Some Themes from Investigations into Method,” in Carl Menger and the Austrian School of Economics, J.R. Hicks and Wilhelm Weber, eds. (Oxford: Clarendon Press, 1973), pp. 15–31.
3.In answer to the criticism that not all action is directed to some future point of time, see Walter Block, “A Comment on ‘The Extraordinary Claim of Praxeology’ by Professor Gutierrez,” Theory and Decision 3 (1973): 381–82.
4.See Mises, Human Action, pp. 101–2; and esp., Block, “Comment,” p. 383.
5.For a typical criticism of praxeology for not using mathematical logic, see George. J. Schuller, “Rejoinder,” American Economic Review 41 (March 1951): 188.
6.John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (New York Harcourt, Brace, 1936), pp. 297–98.
7.See Murray N. Rothbard, “Toward a Reconstruction of Utility and Welfare Economics,” in On Freedom and Free Enterprise, Mary Sennhoz, ed. (Princeton, NJ: D. Van Nostrand, 1956), p. 227 [and reprinted in Logic of Action One]; Rothbard, Man, Economy, and State, 2 vols. (Princeton: D Van Nostrand, 1962), 1:65–66. On mathematical logic as being subordinate to verbal logic, see Rene Poirier, “Logique,” in Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Andre Lalande, ed., 6th ed. Rev. (Paris: Presses Universitaires de France, 1951), pp. 574–75.
8.Bruno Leoni and Eugenio Frola, “On Mathematical Thinking in Economics” (unpublished manuscript privately distributed), pp. 23–24; the Italian version of this articles is “Possibilita di applicazione della matematiche alle discipline economiche,” Il Politico 20 (1995).
9.Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy (New York: Augustus M. Kelley, 1964), p. xxvi n.
10.Boris Ischboldin, “a Critique of Econometrics,” Review of Social Economy 18, no. 2 (September 1960): 11 N; Ischboldin’s discussion is based on the construction of I.M. Bochenski, “Scholastic and Aristotelian Logic,” Proceedings of the American Catholic Philosophical Association 30 (1956): 112–17.
11.Karl Menger, “Austrian Marginalism and Mathematical Economics,” in Carl Menger, p. 41.
12.Mises, Human Action, p. 34.
13.John Wild, “Phenomenology and Metaphysics,” in The Return to Reason: Essays in Realistic Philosophy, John Wild, ed. (Chicago: Henrey Regnery, 1953), pp. 48, 37–57.
14.Harmon M. Chapman, “Realism and Phenomenology,” in Return to Reason, p. 29. On the interrelated functions of sense and reason and their respective roles in human cognition of reality, see Francis H. Parker, “Realistic Epistemology,” ibid., pp. 167–69.
15.See Murray N. Rothbard, “In Defense of ‘Extreme Apriorism,’” Southern Economic Journal 23 (January 1957): 315–18 [reprinted as Volume 1, Chapter 6]. It should be clear from the current paper that the term extreme apriorism is a misnomer for praxeology.
16.Say, A Treatise on Political Economy, pp. xxv–xxvi, xlv.
17.Friedrich A. Hayek, “The Nature and History of the Problem,” in Collectivist Economic Planning, F.A. Hayek, ed. (London: George Routledge and Sons, 1935), p 11.
18.John Elliott Cairnes, The Character and Logical Method of Political Economy, 2nd ed. (London: Macmillan, 1875), pp. 87–88; italics in the original.
19.Bowley, Nassau Senior, pp. 43, 56.
20.Mises, Epistemological Problems, p. 19.
21.Bowley, Nassau Senior, pp. 64–65.
22.Hao Wang, “Notes on the Analytic-Synthetic Distinction,” Theoria 21 (1995); 158; see also John Wild and J.L. Cobitz, “On the Distinction between the Analytic and Synthetic,” Philosophy and Phenomenological Research 8 (June 1948): 651–67.
23.John J. Toohey, Notes on Epistemology, rev. ed. (Washington D.C.: Georgetown University, 1937), p. 36.; italics in the original.
24.R.P. Phillips, Modern Thomistic Philosophy (Westminster, Maryland: Newman Bookshop, 1934–35), 2, pp. 36–37; see also Murray N. Rothbard, “The Mantle of Science,” in Scientism and Values, Helmut Schoeck and James W. Wiggins, ed., (Princeton, NJ: D Van Nostrand, 1960), pp. 162–65.
25.Toohey, Notes on Epistemology, p. 10. Italics in the original.
26.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 2, Studies in Social Theory, A. Brodersen, ed. (The Hague: Nijhoff, 1964), p. 4; see also Mises, Human Action, p. 24.
27.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 1, The Problem of Social Reality, A. Brodersen, ed. (the Hague, Nijhoff), 1964, p. 65. On the philosophical presuppositions of science, see Andrew G. Van Melsen, The Philosophy of Nature (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1953), pp. 6–29. On common sense as the groundwork of philosophy, see Toohey, Notes on Epistemology, pp. 74, 106–13. On the application of a similar point of view to the methodology of economics, see Frank H Knight, “‘What is Truth’ in Economics,” in On the History and Method of Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1956), pp. 151–78.
28.Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization 5 vols. (New York: Viking Press, 1949), 3, p. 376.
29.Friedrich A. Hayek, “The Non Sequitur of the ‘Dependence Effect,’” in Friedrich A. Hayek, Studies in Philosophy, Politics, and Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1967), pp. 314–15.
30.Mises, Human Action, p. 124.
31.See Rothbard, “Toward a Reconstruction,” pp. 230–31.
32.Ludwig von Mises, Theory and History (New Haven: Yale University Press, 1957).
33.Mises, Human Action, pp. 55–56, 348.
34.Cowles Commission for Research in Economics, Report for the Period, January 1, 1948–June 30, 1949 (Chicago: University of Chicago Press, 1949), p. 7, quoted in Mises, Theory and History, pp. 10–11.
35.Ibid., pp. 10–11.
36.Ludwig von Mises, “Comments about the Mathematical Treatment of Economic Problems” (Cited as “unpublished manuscript”; published as ” The Equations of Mathematical Economics” in the Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. 3, no. 1 (Spring 2000), 27–32.
37.Mises, Theory and History, pp. 11–12; see also Leoni and Frola, “On Mathematical Thinking,” pp. 1–8; and Leland B. Yeager, “Measurement as Scientific Method in Economics,” American Journal of Economics and Sociology 16 (July 1957): 337–46.
38.Alfred Schütz, The Phenomenology of the Social World (Evanston, Ill.: Northwestern University Press, 1967), pp. 137, 245; also see Ludwig M. Lachmann, The Legacy of Max Weber (Berkeley, California: Clendessary Press, 1971), pp. 17–48.
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Euro lettera
Cara Euro,
sono passati 16 anni da quando sei venuta a convivere nel nostro condominio. E’ tempo di fare un po’ di bilanci come in tutte le famiglie che si rispettino. Nel 2001 la nostra convivenza è partita con una grande euforia ed una grande aspettativa per il futuro. Mano a mano che il tempo passava abbiamo avuto interventi, forse anche troppo insistenti, per riformare le abitudini condominiali. Molto spesso abbiamo delegato i nostri rappresentanti, riponendo la massima fiducia nel loro operato, per apportare quelle ”modifiche” ritenute essenziali per il buon vivere “in comune”. Supinamente e/o per molte altre motivazioni, abbiamo accettato di buon grado di adattarci a quello che ci veniva detto essere un ottimo rimedio per oggi e per il futuro. Abbiamo cambiato alcune parti della Costituzione, ci siamo adattati a nuovi stili di vita, ci siamo sacrificati per vedere realizzati principi di buona coabitazione e per un futuro migliore. Ci siamo fidati degli Amministratori del condominio i quali, forse troppo solertemente, ci hanno sempre ripetuto … domani andrà meglio. Prima di concludere vorrei allegarti alcuni dati e poi se vorrai li potrai condividere.
I dati sono in Lire italiane (Lire/Euro 1936,27):
16 ANNI FA 31.12.2000 31.12.2016 (var. %)
Debito Pubblico 2.517.810.745.300 4.340.730.086.000 +72,40
P.I.L. 2.400.507.771 3.188.020,729 +13,25
benzina 2.071,81 2.755,31 +32.99
COMIT 100 1972 1.916,36 1.124,16 -58.66
disoccupazione* 9,10 11,90 +30,77
*il 40% è quella giovanile. (S. E. & O.)
L’anno scorso ha lasciato il nostro condominio un importante rappresentante, anche se questi aveva ancora la sua moneta. Non so se sia un bene, ma tanto di cappello per la scelta. Ora, molti altri condomini stanno facendo un pensiero in tal senso ed una delle tante motivazioni addotte è: troppo caro, too expensive, zu teuer, trop cher, muito caro, πάρα πολύ ακριβό … Probabilmente è così. Basti solo pensare alla nostra tazzina di caffè che è passata velocemente nel 2001 da Lire 900/1000 a 1936,27 (1€) con una variazione di circa il 115%. Come hai potuto notare sopra, anche a noi è costato moltissimo, però quello che più dispiace è che chi amministra sia un po’ sordo e forse anche un po’ miope a tutti i segnali mandati (leggi elezioni e referendum). Non è bello interrompere un matrimonio, ma troppi Amministratori fungono da “padroni” ed interferiscono nel quotidiano. Adesso che abbiamo sacrificato una parte del nostro futuro e purtroppo anche quello dei nostri figli, mi pare il momento che anche tu tragga delle conclusioni e, a mio avviso, potremmo presentare il seguente ordine del giorno:
-
usare il buon senso e continuare;
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riprendere una nuova via per ri-costruire il futuro;
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rivedere il ruolo degli Amministratori;
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lasciare che i “condomini” facciano le scelte che ritengono più opportune;
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cessare la nostra esperienza.
Il mio desiderio sarebbe quello di poter rimanere nel condominio con te, ma molto dipende anche da una tua risposta che attendo a breve giro di posta. Grazie.
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