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E’ possibile un’unione monetaria senza un’unione politica?

Von Mises Italia - Ven, 23/12/2016 - 08:13

Carl Menger ci ha esaustivamente insegnato nel 1892, con la sua opera Geld, che il denaro, l’intermediario dello scambio, si sviluppa attraverso un processo di tipo organico, ossia è un prodotto non programmato dell’interazione sociale.

Un frutto, quindi, che appartiene a quella cooperazione tra individui affrancata da interferenze politiche.

Nel concetto storico-empirico di denaro, pertanto, non è incluso come attributo necessario e generale la nozione di corso legale, cioè di oggetto che, in base ad un decreto declaratorio, il creditore è obbligato ad accettare a titolo di liquidazione di un debito monetario o di un’obbligazione qualsiasi.

I governi e l’opera nefasta di alcuni presunti economisti hanno poco a poco scardinato tale insegnamento e ciò è la causa per cui attualmente si ritiene comunemente che il corso legale sia un postulato necessario e generale del denaro.

Da provvedimento utile è indispensabile solo per certi casi specifici, il corso legale è divenuto così una regola universale.

Se si ritiene il corso legale un attributo necessario e generale del denaro, si finisce per confondere il concetto di denaro con quello di mezzo legale di pagamento.

Se il denaro viene equiparato all’interno dell’ordinamento sociale ad un mero mezzo legale di pagamento, non si può che vivere sotto un regime in cui abitualmente vengono considerati come denaro soltanto quei mezzi di circolazione ai quali il potere politico abbia conferito il corso legale.

Il risultato di questi fraintendimenti non possono che essere periodiche crisi economiche.

In tale contesto, la progressiva sostituzione della moneta metallica con quella assimilata in un semplice documento o bit, ha incentivato il fenomeno delle periodiche crisi economiche.

Oggigiorno, la domanda di moneta, cioè l’ammontare che decidiamo di trattenere, viene costantemente equivocata con la domanda di credito, cioè la l’ammontare che decidiamo di spendere, mentre il finanziamento fornito dal mercato dei capitali reali è stato sistematicamente sostituito con quello procurato dal mercato monetario.

I mezzi legali di pagamento, di norma, tendono sempre a sopravanzare la propria domanda e questo perché la loro possibilità di creazione è tendenzialmente illimitata, giacché arbitraria.

Tale eccedenza alimenta una spesa incontrollata che acquisisce tutto quello che incontra sul suo percorso.

Con all’origine un’emissione di mezzi legali di pagamento spropositati rispetto alla propria domanda, con tassi di interesse non più determinati dalle spontanee preferenze temporali degli agenti economici, bensì artificialmente determinati da meccanismi politici che per loro natura sono sprovvisti di una vera e propria capacità economica selettiva, è conseguentemente inevitabile che si dia vita a mal investimenti nella struttura produttiva e /o a bolle degli asset illiquidi.

Nel momento in cui questo fittizio processo di arricchimento deflagra, perché il capitale reale a fondamento non era e non è divenuto nel frattempo sufficiente a garantirne la sostenibilità, ecco che si manifestano apertamente tutti gli errori decisionali conseguiti anteriormente, ed ecco apparire un grande numero di fallimenti e di ridimensionamenti imprenditoriali nonché di persone senza più un’occupazione.

Decidere in base a conoscenze che in realtà non si possono avere di perseguire l’obiettivo del mantenimento della stabilità dei prezzi e/o tentare di pianificare l’offerta di credito ad una domanda stimata attraverso sofisticati modelli econometrici, non è servito, non serve e non servirà mai ad impedire la periodicità delle crisi economiche.

Quel che serve per evitare ciò è, invece, un meccanismo impersonale di mercato capace tendenzialmente di regolare in maniera corretta offerta e domanda di moneta e di credito.

Di conseguenza, serve abbattere la teoria che fa ritenere il corso legale un attributo necessario e generale del denaro.

Il progetto di un’unica moneta europea fondata sul corso legale come attributo necessario e generale e da far produrre e gestire su delega degli Stati membri ad una banca centrale comune nasce sotto varie spinte e motivazioni che possiamo sintetizzare nel modo seguente:

Il sogno francese era quello di porre conclusione alla supremazia monetaria della Germania nell’ambito del quadro europeo, e al contempo ampliare, o perlomeno mantenere inalterata, la propria influenza sulla scena politica internazionale.

La Germania era pronta a sacrificare il proprio Marco e con esso il miglior andamento registrato da una valuta nazionale a partire dal secondo dopoguerra nei Paesi industrializzati (il che ha non ha comunque vietato al Marco di perdere tra il 1950 ed il 1975 il 50 per cento del suo potere d’acquisto interno), al fine di procedere alla riunificazione dei suoi territori.

I piccoli Paesi con alta produttività ed efficienza tecnologica, ed economie aperte si sono mostrati da subito interessati alla valuta unica, poiché abdicare alla loro autonomia monetaria non avrebbe significato alcunché se non rinunciare a fissare il livello nominale dei propri prezzi e dei propri salari.

I Paesi posti in una fase intermedia del loro sviluppo come Spagna ed Italia come pure le economie meno sviluppate, come Grecia, Portogallo ed Irlanda, avrebbero potuto da un lato gestire gli effetti negativi dell’inflazione monetaria e di quella dei prezzi in maniera senz’altro più occultata e dall’altro, se fossero stati in grado di utilizzare gli aiuti a fondo perduto che avrebbero ricevuto dall’Europa, ridurre il gap tecnologico che li separava dai Paesi più avanzati.

Allorché la sovranità monetaria dei Paesi membri è stata ceduta alla Banca Centrale Europea qualcuno può aver sperato che il Trattato di Maastricht prima ed il Patto Europeo di Stabilità e Crescita poi sarebbero serviti a porre sotto controllo le politiche nazionali di bilancio ed a promuovere simultaneamente uno sviluppo economico sostenibile.

Ma, ad oggi, non è stato così.

Ad oggi, non possiamo asserire di avere un’Unione (Monetaria) Europea economicamente sana ed ordinata.

L’attuale situazione dell’Eurozona è, infatti, costituita in buona parte da disoccupazione istituzionale, da redditi reali assai limitati, da crescita economica infima se non inesistente, da un apparato finanziario nel complesso vacillante e sottoposto alla paura di subire un effetto domino.

Tutto ciò, non rappresenta però il fallimento di quella normale pratica bancaria che vede acquistare denaro a buon mercato per piazzarlo successivamente a tassi d’interesse più elevati.

Tutto ciò rappresenta, invece, il fallimento di tale normale pratica bancaria quando questa viene sostenuta da un’autorità emittente mezzi di circolazione contraddistinti dal corso legale come attributo necessario e generale del denaro.

Le interferenze politiche incorporate nel postulato del corso legale come attributo necessario e generale del denaro, fanno in modo, infatti, che la suddetta pratica venga attuata sistematicamente ignorando e/o travisando le informazioni che giungono dalla realtà economica effettiva.

E’ una questione di mezzi, non di fini: ogniqualvolta ci troviamo dinanzi all’orchestrazione degli scambi economici in base a dei mandati coattivi il dissesto sistemico diviene non una eventualità, ma una certezza.

Nel momento in cui tale certezza si palesa esplicitamente si tratta solo di constatarne le dimensioni e cercare di porvi rimedio.

Porvi rimedio può significare solamente una cosa: permettere alla struttura delle merci da produrre di adattarsi il maggiormente possibile alla reale domanda dei mercati mondiali, evitare aumenti ulteriori del consumo a spese dei risparmi allo scopo di agevolare una crescita sostenibile mediante l’innovazione.

Charles P. Kindleberger, nella sua opera del 1984, A Financial Hystory of Western Europe ha sostenuto la tesi secondo la quale tutte le unioni monetarie (di successo) sono state il prodotto di un’operazione di unione politica.

Così è effettivamente stato nel caso tedesco, con la Prussia che ha guidato alla formazione della Germania.

Così è effettivamente stato nel caso italiano, con il Piemonte che ha guidato alla formazione dell’Italia.

In realtà, in Europa però un’area monetaria comune non rappresenta affatto una novità in assenza di uno spazio politico unito.

A seguito della rivoluzione commerciale del XIII secolo gli scambi europei si realizzavano tramite due monete dalle stesse caratteristiche, vale a dire il Ducato di Venezia e il Fiorino di Firenze.

Entrambe le monete per il 97,9 per cento del loro contenuto possedevano oro a 23 carati e mezzo.

Ed anche quando nel XVII secolo è stato introdotto il biglietto di banca, in tutta Europa circolavano ancora monete d’oro e d’argento le quali, benché con nomi differenti, erano accettate dovunque in maniera confacente al loro contenuto e al prezzo dei metalli.

In questo modo, i metalli preziosi fungevano da denaro tra diverse Nazioni nel medesimo tempo.

E lo facevano perché optati attraverso un processo di cooperazione tra individui affrancato da interferenze politiche.

Di conseguenza, possiamo affermare che se equipariamo il denaro ad un mero mezzo legale di pagamento, allora abbiamo senz’altro bisogno di uno spazio politico il più possibile unito affinché l’unione monetaria concernente origini il minor numero di tensioni tra i Paesi membri.

Se, invece, consideriamo il denaro per quello che in verità è, un prodotto non programmato dell’interazione sociale e dunque qualcosa in più e di diverso rispetto ad un mero mezzo legale di pagamento, allora non vi è alcun bisogno di creare uno spazio politico omogeneo per avere un’unione monetaria che si stabilisca pacificamente tra i Paesi membri.

Tuttavia, una scelta del primo tipo non ci deve condurre nell’errore di pensare che ciò ci terrà al riparo dalla generazione di nuove e periodiche crisi economiche.

E’ ritenere il corso legale come attributo necessario e generale sul denaro il cuore del problema in quanto sostenere ciò significa attivare delle interferenze politiche sulla produzione e gestione del denaro.

Le regolamentazioni bancarie da sole se rispettate e costruite sul buon senso possono attenuare, ma certamente non possono eliminare il cuore del problema.

Fino a quando il denaro sarà comunemente considerato un bene pubblico da produrre e da gestire su basi politiche, unioni o meno, avremo sempre a che fare con più o meno grandi tragedie collettive.

I metalli preziosi sono stati portati avanti dal mercato per assurgere alla funzione di denaro perché questi facilitavano enormemente la razionalizzazione del calcolo economico, essendo il rapporto di scambio fra i metalli preziosi e altre merci condizionato a fluttuazioni minori di quello esistente fra molti altri prodotti.

L’inelasticità della loro offerta li rendeva, quindi, particolarmente ed impersonalmente adatti a fungere da riferimento del valore.

Tuttavia, in questa sede non si vuole di certo sponsorizzare il ritorno alle transazioni commerciali per mezzo esclusivamente di monete composte da metalli preziosi.

Diversamente, si chiede soltanto che il denaro torni ad essere veramente denaro, e per far questo occorre abbattere tutti gli ostacoli al libero commercio delle valute e al libero esercizio dell’attività bancaria.

Cioè abbattere la teoria attualmente imperante nel nostro quotidiano che il corso legale sia un postulato necessario e generale del denaro e con essa, pertanto, le incorporate interferenze politiche.

Così facendo, tenere in circolazione monete che servono gli esclusivi interessi dei governanti e di quei gruppi privati ad essi contigui diventerebbe praticamente impossibile, giacché il mercato provvederebbe nel giro di non molto tempo alla loro rimozione.

Ed in tal senso e solo in tal senso, la sostituzione della moneta metallica con quella assimilata in un semplice documento o bit può rappresentare un avanzamento omnidirezionale.

In conclusione, c’è da dire anche che non esiste un bene o un paniere di beni capaci di mantenere perfettamente costanti nel tempo e nello spazio il proprio potere d’acquisto.

Ma qui non si tratta di stabilire criteri assoluti ed immutabili, ma unicamente idonei ai nostri fini.

Infondo, nel mondo non regna la perfezione, bensì soltanto il perfettibile.

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Paragonare Trump a Reagan

Von Mises Italia - Mer, 21/12/2016 - 08:21

L’elezione di Donald Trump può essere paragonata per alcuni versi all’elezione di Ronald Reagan nel 1980. Ci sono somiglianze, ma anche alcune importanti differenze, che vedremo in seguito.

Prima di tutto, la principale somiglianza: Ronald Reagan è stato considerato un buffone, un dopato, un attore inadatto per la presidenza. Molti temevano che avrebbe premuto il pulsante nucleare dando inizio alla III (TERZA) guerra mondiale. Così molte delle cose che avete sentito dire su Trump sono esattamente quello che hanno detto di Reagan in quel momento.

Ma Reagan si insediò con un team di consulenti e ha fatto molte cose giuste. Ebbe un sacco di aiuto da Paul Volcker, che era alla guida della Fed in quel momento. C’è una cosa importante da ricordare: Reagan non era solo. Reagan ha fatto un gran lavoro in collaborazione con la Fed cominciando così a far girare l’economia statunitense. Prima che Reagan entrasse in carica l’economia era affondata in una delle peggiori recessioni dalla seconda Guerra Mondiale.

La recessione con Reagan durò dal 1981 al 1982. Ho sempre pensato che fosse il genio di Ronald Reagan a far superare la recessione così presto. La maggior parte dei presidenti non hanno mai concluso il loro mandato senza una recessione. Se riescono a ritardarla inizialmente, finiscono di solito con l’averla più tardi e nel momento peggiore possibile. Reagan per una volta anticipò la fine della recessione, poi l’economia è cresciuta per sette anni consecutivi.

Nei successivi tre anni, 1983-1986, la crescita negli Stati Uniti è stata del 16%. Di crescita reale e non di crescita nominale. Non c’era nessuna inflazione a diluire quel numero. Al contrario, la crescita media annua negli Stati Uniti dal 2009 è stata di appena il 2%. E tutto questo per quasi otto anni. Eppure, per tre anni nella fase iniziale di Reagan, la crescita media è stata di oltre il 5%.

Il 2% contro il 5% potrebbe non sembrare drammatico. Ma nel corso del tempo diventa una differenza drammatica per l’ordine di grandezza. Un’economia in crescita del 5%, o anche del 4%, se combinata, sarà due volte più ricca per 20 anni, rispetto ad una economia che cresce al 2%. C’è una grande differenza.

Ora, facciamo un passo indietro e parliamo un po’ di qualcosa che altrimenti non sentiamo dire quasi mai. Si parla di alcune importanti differenze tra l’economia di Ronald Reagan e l’economia che Donald Trump erediterà.

Quando Ronald Reagan ha prestato giuramento, i tassi di interesse erano al 20%. Erano più in alto di quello che dovevano essere. Essi potevano andare solo verso il basso, invece i tassi avevano la tendenza ad aumentare verso il 30%. Il paese sarebbe andato a gambe all’aria e avrebbe dichiarato il fallimento.

Ora, mentre ci prepariamo per il 2017, Trump entrerà alla Casa Bianca in circostanze molto diverse. I tassi di interesse sono vicini allo zero e non non possono che andare verso l’alto.

Reagan ha avuto un forte vento di poppa sotto forma di tassi di interesse potenzialmente più bassi. Trump sta per avere un grande vento contrario in termini di tassi di interesse potenzialmente più elevati. Il quadro inflazionistico è anche molto diverso.

Quando Reagan si insediò, l’inflazione correva al 13%. Nel 1984, Volcker l’aveva già ridotta a circa il 4%. E’ stata una disinflazione massiccia.

Le azioni e le obbligazioni salirono entrambe (di valore). Le azioni salivano per la crescita reale, le obbligazioni salivano perché i tassi di interesse e l’inflazione scendevano. Ora, Trump potrebbe vivere la situazione opposta. Trump potrebbe avere un mercato obbligazionario al collasso e le azioni potrebbero andare in fumo.

L’altra grande differenza, tra allora e adesso, è che quando Reagan ha giurato, nessuno aveva mai sentito parlare del rapporto debito/PIL USA che era del 35%; il più basso lo si ha solo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Alla fine della seconda guerra MONDIALE il rapporto debito/PIL USA era al 100%. Negli anni ’70, era sceso a circa il 30% ed era leggermente risalito fino al 34%, quando Reagan aveva prestato giuramento.

Reagan quindi ha avuto un enorme spazio per la parte fiscale. Ha avuto un gigantesco margine di ampiezza e ne ha approfittato per aumentare il rapporto debito/PIL senza minacciare la solvibilità finanziaria degli Stati Uniti. Quando Reagan terminò il mandato, il rapporto debito/PIL era al 50%. Quindi ha aggiunto 15 punti percentuali tra il rapporto debito/PIL. Se prendo 15 e lo divido per 35, si può notare che ha aumentato il rapporto debito/PIL del 40%.

Ora, come ha speso i soldi Reagan? Per vincere la guerra fredda. Fondamentalmente Reagan ha superato la spesa perché i russi essi non potevano competere con noi. Così entro la fine del decennio, la guerra fredda era finita. Reagan istituì anche tagli fiscali massicci, che erano gli altri apportatori del deficit. Paul Krugman ed altri criticarono in quei giorni Reagan per la gestione del debito.

Ora, ecco il problema:

Oggi, il rapporto debito/PIL è al 100%, uguale a quello che avevamo alla fine della seconda Guerra Mondiale. Quando Obama entrò in carica, il debito nazionale era circa 10 trilioni (un milione alla terza ndt). Oggi, è circa 20 trilioni ed è in crescita. Obama ha caricato 10 trilioni di dollari, di nuovo debito, mettendolo in conto al vecchio, così il rapporto debito/PIL è ritornato nuovamente al 100%.

Trump cosa ha intenzione di fare? Vuole essere un big spender (un grande spendaccione)? Vuole tagliare le tasse? Spendere di più per la difesa? Spendere per costruire il muro (al confine con il Messico ndt)? Spendere in infrastrutture come: gli aeroporti, le strade, i ponti, le gallerie, le ferrovie, eccetera e con meno regolamentazione? Vuole essere Ronald Reagan? Purtroppo per Trump, Obama gli ha legato le mani.

Trump non avrà lo spazio fiscale che aveva Reagan. Gli Stati Uniti si stanno pericolosamente avvicinando a Paesi come: l’Italia, la Spagna, la Grecia ed il Giappone ed alcuni di questi paesi sono potenzialmente in bancarotta. Il punto è che Trump affronta enormi vincoli che Ronald Reagan non aveva.

Trump non avrà il paracadute dei tassi di interesse come lo aveva Reagan. Egli si appresta ad affrontare invece un aumento dei tassi di interesse. L’inflazione non sarà abbassata drasticamente. Egli è di fronte alla possibilità di una inflazione crescente, il che significa: aumento dei prezzi dei beni di consumo e aumento dei prezzi (del carburante) alla pompa. Non ha un rapporto debito/PIL basso come il 34% ereditato da Reagan, in realtà egli sta ereditando l’elevato rapporto debito-PIL del: 100%.

Trump sta cercando di copiare il playbook (la lista delle strategie ndt) di Reagan in un ambiente non-Reagan. Tale piano potrebbe immediatamente farlo andare a sbattere contro un muro. Potrebbe tradursi in qualcosa di simile alla stagflazione, dove otteniamo l’inflazione dalla spesa e dal deficit, ma non si ottiene la crescita. Questo perché dopo otto anni e 10 trilioni di dollari, siamo di fronte alla realtà di rendimenti marginali decrescenti. Questo accade quando: ogni nuovo dollaro non riesce a dare stimolo alla produzione ed alla crescita ed a fornire una quantità di crescita come il primo dollaro. In sostanza, il primo dollaro speso in una fase di espansione è molto più potente rispetto al deci miliardesimo dollaro speso dopo.

La raccolta della frutta a portata di mano è finita. Ora, è come una giraffa che sta cercando di arrampicarsi su un albero. A proposito, penso che i tagli fiscali siano una buona cosa. Non sto dicendo che le politiche di Trump siano cattive. Penso che molte di queste scelte siano positive, ma non credo che abbiano lo stesso obiettivo di come i suoi consiglieri intendano lavorare. Qualcuno potrebbe sedersi di fronte a lui e dire: “Signor Presidente, è possibile fare tutto questo, ma onestamente siamo fuori portata. Abbiamo finito di il tetto massimo di utilizzo. Non abbiamo più la possibilità di espandere il debito”.

E’ una buona occasione per il taglio delle imposte ed in questo momento aiuterà l’economia, ma non abbastanza da produrre la crescita necessaria e farne la differenza. Ciò significa avere un deficit più ampio. Aggiungendo a tutto ciò nuove spese, il rapporto debito/PIL è destinato ad aumentare.

Dove troveremo la capacità di indebitamento ammesso che la Fed la approvi?

Se la Fed la approva, essa produrrà inflazione. Se la Fed non la approva, andremo a sbattere contro un muro ed entriamo in recessione. Ecco due possibili scenari: di recessione o di inflazione. Nessuno dei due è buono. Possiamo anche ottenere il peggio dai due: la stagflazione, che ho citato. Scriveremo e ne parleremo di più su questo.

Le analogie fra Reagan e Trump sono interessanti. Ma ci sono grandi differenze e le persone non riescono a focalizzarle e quindi, hanno un sacco di motivi per essere preoccupate.

In questo momento, direi che se le cose dovessero andare davvero male e abbiamo una crisi finanziaria, allora vedremo la corsa verso l’acquisto dell’oro. Se l’economia cresce, ma si ottiene l’inflazione, andiamo ancora verso l’oro.

In questa situazione tutti i segnali portano all’oro quale bene rifugio.

Saluti,

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Concetti economici: l’inflazione, il controllo dei prezzi ed il collettivismo durante la rivoluzione francese

Von Mises Italia - Lun, 19/12/2016 - 08:36

I Governi hanno un appetito insaziabile verso la ricchezza dei loro sudditi. Quando i governi non hanno più la possibilità di continuare ad aumentare le tasse o avere fondi a prestito hanno sempre fatto ricorso alla stampa di carta moneta per finanziare le loro spese crescenti. Le inflazioni risultanti hanno spesso minato il tessuto sociale, rovinato l’economia e, talvolta, portato la rivoluzione e la tirannia sulla loro scia. L’economia politica della Rivoluzione francese è un tragico esempio di questo. Prima della rivoluzione del 1789, il regno di Francia era un esempio da manuale del mercantilismo. Nulla è stato prodotto o venduto, importato o esportato senza l’approvazione e la regolamentazione del governo.

 

La stravaganza fiscale del governo e la rovina

Mentre il governo del Re di Francia metteva in ordine gli affari economici, la corte reale consumava la ricchezza nazionale. La guardia militare personale di Luigi XVI disponeva di 9.050 soldati; la sua famiglia aveva circa 4.030 servi civili che erano tenuti a servire la cena del Re, quattro dei quali avevano il compito di riempire il bicchiere con acqua o vino. Aveva anche al suo servizio 128 musicisti, 75 funzionari religiosi, 48 medici e 198 persone per la cura per il suo corpo.
Per pagare per questa stravaganza e le numerose altre spese della Corte, così come le imprese all’estero, finanziate dal Re (come ad esempio l’aiuto finanziario esteso ai coloni americani durante la guerra di indipendenza dagli inglesi), il Re ha dovuto fare affidamento su un sistema fiscale peculiare in cui ampie fasce della popolazione – in primo luogo la nobiltà ed il clero – erano esenti da ogni imposta, essendo le “classi inferiori” a sopportarne il peso.
Una delle più odiate imposte era il prelievo sul sale. Ogni capo famiglia era tenuto all’acquisto ogni anno di sette chili di sale per ogni membro della sua famiglia ad un prezzo fissato da parte del governo; se non riusciva a consumare tutto il sale acquistato l’anno precedente e cercava di comprarne meno rispetto alla quota del nuovo anno gli veniva comminata una multa speciale da parte dello Stato. Le punizioni per il contrabbando e la vendita di sale sul mercato nero erano rigide e disumane. Come abbiamo visto, in un precedente articolo, quando Luigi XVI era salito al trono nel 1774, la spesa pubblica era di 399,2 milioni di lire, con entrate fiscali solo circa per 372 milioni di lire, lasciando un deficit di 27,2 milioni di lire, pari a circa il 7 per cento della spesa. I prestiti e l’espansione monetaria, di anno in anno e per gli anni a venire, hanno fatto la differenza.
Nel tentativo di mettere fine al disordine finanziario, nel luglio 1774 il Re nomina un economista brillante, Anne Robert Jacques Turgot, per servire come Ministro delle Finanze. Turgot ha fatto tutto quanto in suo potere per frenare la spesa pubblica e la regolamentazione. Ma ogni proposta di riforma aumentava l’opposizione di gruppi privilegiati ed il Re alla fine lo ha destituito nel maggio 1776. Coloro che hanno seguito Turgot come controllore generale delle finanze del governo francese mancavano della sua interpretazione o della sua onestà. Semplicemente la crisi fiscale peggiorò. Come Thomas Carlyle (1795-1881) ha riassunto nel suo studio: La Rivoluzione Francese 1837:

“Trattasi di “mancanza di ingegno fiscale”, o di comunque si voglia chiamarlo, vi è la palpabile discrepanza tra le entrate e le spese; un deficit per l’Agenzia delle Entrate … Questo è il serio problema e senza apparente speranza della quadratura del cerchio. Il Controllore Joly de Fleury, che succedette a (Jacque) Necker, non poteva fare nulla per esso; nient’altro che proporre prestiti, che sono stati tardivamente compensati; l’imposizione di nuove tasse, il denaro senza interessi; produssero così rimostranze e malcontento.
Per quanto poco possa fare o non fare il controllore d’Ormesson; Joly ha difeso se stesso per un anno e un giorno, d’Ormesson si stima solo alcuni mesi …” La fatale paralisi assale il movimento sociale; ci avvolgono nuvole nere ed oscure; stiamo crollando negli abissi profondi della BANCAROTTA NAZIONALE?”

Il caos nelle finanze del re ha alla fine portato alla convocazione degli Stati Generali, chiamati in sessione anticipata nel 1789, in seguito all’inizio della rivoluzione francese con la presa della Bastiglia a Parigi nel luglio 1789. Ma le nuove autorità rivoluzionarie, nelle loro spese, erano stravaganti come il re. Grosse somme furono spese per opere pubbliche, per creare posti di lavoro e 17 milioni di lire (3,4 milioni di dollari) sono stati dati al popolo di Parigi in sussidi alimentari.

 

Gli Assegnati: la cartamoneta e l’inflazione dei prezzi selvaggi

Nel novembre 1789, Honoré Mirabeau avanza una proposta a tutte le difficoltà finanziarie del governo. Nel mese precedente, l’Assemblea Nazionale aveva nazionalizzato tutte i possedimenti e le proprietà della Chiesa. Mirabeau ora suggerisce che le banconote rilasciate dall’Assemblea Nazionale, siano garantite con le terre della Chiesa. Le note dovrebbero prima essere messe in circolazione come spesa per le opere pubbliche e poi per le altre spese del governo. Esse sarebbero rimborsabili alla pari come il prezzo di acquisto delle proprietà della Chiesa.
Allo stesso tempo, si è sostenuto che la circolazione monetaria aggiunta darebbe “stimolo” alle attività, creando posti di lavoro e mettendo soldi nelle tasche della classe operaia. (Più tardi sarebbero state le terre confiscate alla nobiltà, che era fuggita dalla Francia, ad essere utilizzate come garanzia fittizia dietro una marea di denaro di carta).
Il 17 marzo 1790, la rivoluzionaria Assemblea Nazionale ha votato per emettere una nuova moneta di carta chiamata Assignat (Assegnato) e nel mese di aprile 400 milioni (80 milioni di dollari) sono stati messi in circolazione. A corto di fondi, alla fine dell’estate, il governo ne ha emesso un altro da 800 milioni (160 milioni di dollari). Seymour Harris, nel suo studio: Gli assegnati (1930), traccia il percorso del deprezzamento della valuta di carta. Alla fine del 1791, circolavano 1,8 miliardi di Assegnati ed il loro potere d’acquisto era diminuito del 14 per cento. Nell’agosto 1793 il numero di Assegnati era aumentato a quasi 4,9 miliardi ed il loro valore era svalutato del 60 per cento. Nel novembre 1795 il numero degli gli Assegnati era di 19,7 miliardi e da allora il loro potere d’acquisto era diminuito del 99 per cento rispetto al primo emesso. In cinque anni i soldi della Francia rivoluzionaria valevano meno della carta su cui erano stampati.
Gli effetti di questo crollo monetario sono stati fantastici. Era stata creata una classe di debitori con un interesse derivato dall’inflazione perché il deprezzamento degli Assegnati significava per i debitori stessi essere rimborsati con denaro sempre più inutile. Altri avevano speculato sui terreni, spesso ex proprietà della Chiesa, che il governo aveva sequestrato e venduto e le loro fortune erano ora legate agli aumenti inflazionistici del valore dei terreni. Con i soldi sempre più inutili ogni giorno, il diletto del momento aveva la precedenza sulla pianificazione e sugli investimenti a lungo termine.
I beni erano accumulati e quindi divenuti più scarsi, perché i venditori prevedevano, all’indomani, un aumento dei prezzi.
Il sapone era diventato così scarso che lavandaie di Parigi hanno chiesto che i venditori che si rifiutavano di vendere il loro prodotto in cambio degli Assegnati fossero messi a morte. Nel febbraio 1793 a Parigi la folla attaccò più di 200 negozi, tutti saccheggiati per il pane, il caffè, lo zucchero e l’abbigliamento. Nella sua Storia della rivoluzione francese (1867), in quattro volumi, Heinrich von Sybel (1817-1895) spiega l’ambiente sociale e psicologico del tempo:

“Nessuno aveva in alcun modo fiducia nel futuro; pochi osarono fare investimenti in imprese per qualsiasi durata di tempo ed era reputata una follia limitare i piaceri del momento, per procurarsi un futuro incerto, economizzando …
Chi possedeva una manciata di Assegnati o di monete d’argento, si affrettava a spenderli nel più intenso godimento con il desiderio di catturare ogni piacere che faccia battere forte il cuore. In autunno, tutti i teatri erano stati riaperti ed erano frequentati con instancabile entusiasmo … Con gli spettacoli di cabaret i caffè non erano meno pieni dei teatri. Sera dopo sera, ogni quartiere della città risuonava di musica e balli …
Questi piaceri, purtroppo, hanno avuto una peculiare colorazione – accecanti luci e ombre cupe – dai ricordi e dai sentimenti della rivoluzione… In altri ambienti non c’era nessuno che non avesse perso un parente sulla ghigliottina; il vestito a palla alla moda, imitato dai capelli raccolti ed il bavero all’indietro come coloro che era portati all’esecuzione, i signori invitavano le loro partner alla danza con un cenno particolare, destinato a ricordare loro la caduta della testa mozzata.”

Di fatto il peso dell’inflazione su chi può ricadere? Sui più poveri. I finanzieri, i mercanti e gli speculatori delle materie prime, che di solito hanno partecipato al commercio internazionale, spesso dovevano proteggersi. Hanno accumulato oro e argento e lo hanno inviato all’estero per la custodia; hanno anche investito in arte e gioielli preziosi. La loro esperienza speculativa ha permesso a molti di stare al passo con l’inflazione e di trarre profitto dalle fluttuazioni di valuta. La classe operaia ed i poveri in generale, non avevano né le competenze né i mezzi per proteggere quel poco che avevano. Erano quelli che finirono per detenere i miliardi di Assegnati senza valore.
Infine, in data 22 dicembre 1795, il governo ha decretato che la stampa degli Assegnati fosse fermata. Le transazioni in oro e argento sono state autorizzate, dopo che erano state vietate e sono state riconosciute come moneta corrente. Il 18 febbraio, 1796, alle ore 9 del mattino, la macchine da stampa, le lastre e la carta utilizzata per stampare gli Assegnati sono state portate in Place Vendôme e davanti a una grande folla di parigini furono rotte e bruciate.

 

Il disastroso prezzo per tenere l’inflazione sotto controllo

Comunque, prima che l’epilogo con gli Assegnati fosse concluso, l’inflazione era cresciuta e peggiorata, una protesta si è levata dal “popolo” perché ai prezzi doveva essere impedito di salire. Il 4 maggio 1793, l’Assemblea Nazionale ha imposto i controlli sui prezzi del grano e ha precisato che doveva essere venduto solo nei mercati pubblici sotto l’occhio vigile degli Ispettori Statali, i quali avevano anche l’autorità di entrare nelle case private dei mercanti e confiscare il grano e la farina accumulati. La distruzione delle merci ai sensi del regolamento del governo era considerato un reato capitale.
Nel settembre 1793 i controlli ai prezzi furono estesi a tutti i beni dichiarati di “prima necessità”. Nel 1790 è stato proibito che gli aumenti dei prezzi salissero di più di un terzo. Analogamente, nella primavera del 1794, i salari furono posti sotto controllo. Tuttavia, le materie prime sparirono presto dai mercati. A Parigi non si trovava il caffè, oltre all’impossibilità di ottenere zucchero; le scorte di cibo diminuirono e gli agricoltori si rifiutarono di inviare i loro prodotti alle città. L’economista americano, Edwin Kemmerer (1875-1945), nel suo studio di economia della rivoluzione francese e nel suo libro: Money (denaro)(1935), ha spiegato alcuni modi di come furono evasi i controlli:

“Tra i metodi impiegati per eludere questo sistema di fissazione dei prezzi, come di seguito citati furono:
il ritirare le merci dal mercato;
la mancata produzione di nuovi materiali di consumo in cui le scorte esistenti erano esaurite;
la produzione e la vendita di qualità inferiore;
l’alimentazione del grano destinato agli animali da allevamento, a volte erano soggetti al prezzo massimo e non vi erano i prezzi degli animali vivi;
il prezzo del grano macinato in farina degli agricoltori era fatto dopo che il prezzo del grano era stato controllato, mentre per la farina non lo era.
Gli agricoltori vendevano i loro prodotti nelle case clandestinamente, invece di portarli al mercato. Quando i prezzi delle materie prime erano controllati, i prezzi dei manufatti, di frequente, aumentavano in modo anomalo e quando i prezzi dei beni di prima necessità erano bassi, il prezzo dei beni di lusso saliva.
Le scappatoie alla leggi producevano grandi profitti, mentre le sanzioni per l’evasione, se catturati, erano estreme. Ciò ha portato molto corruzione ufficiale. La fornitura di beni disponibili nei mercati a prezzi controllati era spesso inadeguata e la coda, come nelle città russe di oggi, è diventata una istituzione familiare.”

 

L’ideologia Totalitaria dello Stato sull’individuo

Durante la Repubblica giacobina di 1792-1794, uno sciame di regolatori, si diffuse in tutta la Francia, imponendo tetti ai prezzi, oltre all’intrusione in ogni angolo della vita privata delle persone; hanno imposto condanne a morte, confiscato la ricchezza e la proprietà ed inviato uomini, donne e bambini in prigione avviandoli al lavoro come schiavi. La Francia rivoluzionaria, in nome dello sforzo bellico, entrò in conflitto con molti dei suoi vicini, tutti i settori in qualsiasi modo relativi alla difesa nazionale o al commercio con l’estero sono stati posti sotto il controllo diretto dello Stato; i prezzi, la produzione e la distribuzione di tutti i prodotti da parte delle imprese private erano sotto il comando del governo. Una enorme burocrazia emerse per gestire tutto questo e la burocrazia inghiottì parte della crescente ricchezza nazionale.

Naturalmente, tutto questo seguito dalle premesse del pensiero giacobino, che sotto l’ombra della nozione di Rousseau della “volontà generale”, ha sostenuto che lo Stato aveva il dovere di imporre uno scopo comune a tutti. L’individuo era nulla; lo Stato era tutto. L’individuo è diventato l’astrazione e lo stato la realtà. Coloro che la “volontà generale “ ancora non avevano capita sarebbe stata loro insegnata; coloro che hanno resistito all’insegnamento ne sarebbe stati obbligati e coloro che hanno resistito agli ordini peririvano, perché solo i “nemici del popolo” si sarebbero opposti alla Verità collettivista.

Il rivoluzionario francese Bertand Barère (1755-1841) nel 1793 ha dichiarato:

“La Repubblica deve penetrare nelle anime dei cittadini attraverso tutti i sensi … Alcuni devono (alla Francia) la loro attività, altri le loro fortune, alcuni le loro raccomandazioni, altri il loro potere; tutti il loro sangue. Quindi, tutti i francesi di entrambi i sessi e di tutte le età sono chiamati al senso del patriottismo per difendere la libertà …
Affinché tutti possano prendere il proprio posto nel movimento nazionale e militare che è in preparazione. I giovani combatteranno; gli uomini sposati forgeranno le armi, forniranno la sussistenza, il trasporto di bagagli e l’artiglieria; le donne lavoreranno per le divise dei del soldati, faranno le tende e diventeranno infermiere negli ospedali per i feriti; i bambini faranno garze di lino e gli anziani, ancora una volta, svolgeranno la missione che era in uso dagli antichi, dovranno accattivarsi le piazze e lì infondere coraggio ai giovani guerrieri, trasmettendo l’odio verso i re e l’unità della Repubblica.”

Tutte le leggi, i costumi, le abitudini, le modalità del commercio, il pensiero ed il linguaggio dovevano essere uniformi e gli stessi per tutti. Nemmeno la famiglia aveva autonomia esistenziale; e bambini? Essi appartenevano allo Stato. Barère diceva:

“I principi che dovrebbero guidare i genitori sono che i bambini appartengono alla famiglia Generale della Repubblica, prima di appartenere alle singole famiglie. Lo spirito della vita privata deve scomparire quando chiama la Grande Famiglia. Siete nati per la Repubblica e non per l’orgoglio e l’arbitrio delle famiglie.”

Qui è nato il moderno collettivismo nazionale, la fedeltà e l’obbedienza allo Stato del “popolo”. Quando nel gennaio 1793 un messaggero fu inviato nella parte orientale del paese ad informare che le forze rivoluzionarie francesi avevano affrontato gli eserciti invasori di monarchi stranieri anti-rivoluzionari e che il re di Francia era stato giustiziato, uno degli ufficiali francesi chiese: “ per chi ci batteremo d’ora in poi se il re non c’è più?” La risposta fu: “Per la Nazione e per la Repubblica”.

 

Il ritorno ai principi del libero mercato

Nel tardo 1794 l’anti-giacobina Termidoriana prese il sopravvento nel governo e con essa i sostenitori di un mercato più libero che faccese al caso loro. Uno di loro, M. Eschasseriaux, dichiarò: “un sistema di economia è buono… quando l’agricoltore, il produttore ed il commerciante godono la piena libertà della loro proprietà, della loro produzione e delle loro attività”.
Ed il suo collega, M. Thibaudeau, ha sostenuto: “Considero il massimo (prezzo) come disastroso, la fonte di tutte le disgrazie che abbiamo vissuto. Ha aperto una carriera ai ladri, coperto la Francia con un mucchio di contrabbandieri e rovinato uomini onesti che rispettano la legge … So che quando il governo tenta di regolamentare tutto, tutto è perduto”.
Infine, il 27 dicembre 1794, i controlli sui prezzi ed i salari sono stato aboliti e le condizioni di mercato e di scambio sono stati ancora una volta consentiti. E dopo la fine degli Assegnati, un anno più tardi, le merci nuovamente affluivano al mercato e un grado di prosperità era stato ristabilito. Come Adolphe Thiers (1797-1877) descrive nella sua Storia della rivoluzione francese (1842):

“Nessuno scambio avveniva se non in argento. Questo denaro, che era stato apparentemente nascosto o esportato fuori dai confini, prese a circolare. Ovunque sia stato nascosto è venuto allo scoperto, quello che aveva lasciato la Francia è tornato …
Oro e argento, come tutte le merci, si spostava dove la domanda li attraeva, il loro prezzo diventava più alto o rimaneva allo stesso livello fino a quando la disponibilità era sufficiente e la richiesta veniva soddisfatta. Solo con l’oro e l’argento si potevano fare per i pagamenti nei mercati e furono pagati gli stipendi alle persone nello stesso modo. Uno persona avrebbe potuto dire che: senza i soldi di carta ha potuto vivere in Francia.

I garantiti [Assegnati] si trovavano soltanto nelle mani degli speculatori, che li hanno ricevuti dal governo e li hanno rivenduti agli acquirenti dei beni nazionali. Così la crisi finanziaria ha continuato ad esistere per lo Stato, ma ha quasi cessato di esistere per gli individui.”

Il modello delle idee collettiviste e delle politiche economiche che erano state sperimentate durante la Rivoluzione francese sono state sperimentate molte altre volte ed hanno avuto i loro sostenitori anche ai nostri tempi più moderni, tra cui, alcuni hanno suggerito, per esempio, gli scritti di economisti famosi come John Maynard Keynes.
Alla fine del 1936, l’economista di origine austriaca, Joseph A. Schumpeter, ha scritto una recensione su Keynes he ha recentemente pubblicato la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, che in una manciata di anni è diventata la ” nuova bibbia dell’economia”. Schumpeter ha concluso l’esame con la seguente osservazione:

“Chi accetta il messaggio là esposto (La Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di John Maynard Keynes) riscrivere la storia dello ancien regime francese [vecchio regime] in questi termini:
Luigi XVI è stato un monarca più illuminato. Sentiva la necessità di stimolare la spesa e si era assicurato i servizi di tali esperti, da spendaccione come Madame de Pompadour e Madame de Barry. Hanno lavorato con efficienza insuperabile. La piena occupazione, la massima produzione ed in generale il benessere avrebbero dovuto esserne la conseguenza. E’ vero invece che: troviamo la miseria, la vergogna e alla fine di tutto, un mare di sangue. Ma quella era una possibile imprevidibilità.”

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