Big Win for Amish Farmer and Food Freedom
Writes Ginny Garner:
Lew,
Amos Miller’s attorney Robert Barnes announces the Amish farmer can continue to make his food available to customers outside the state. Meanwhile, a lawsuit by the state of Pennsylvania is moving through the courts. It was this government harassment of Miller that played a key role in the 2020 election. The case became high profile in the state and throughout the US among Trump supporters. Trump election activity and organizer Scott Presler led a monumentally successful effort to register 180,000 Amish to vote for the first time.
See here.
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Vigano Blasts Clerics Who Profit From Immigration, Backs Mass Deportations
Writes Gail Appel:
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Fire Damage in Malibu and Pacific Palisades
Writes Tim McGraw:
The fire must have been very hot to bend steel girders. The trees are all burnt, and the leaves are gone. This is a helluva view for a firefighter doing a cleanup. There are no checkpoints like Lahaina, which still has them, this time. I wonder why…
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Il costo della censura di Facebook
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-costo-della-censura-di-facebook)
La storia ricorderà quest'epoca come il momento in cui i principi più sacri dell'America si sono scontrati con un potere istituzionale senza precedenti, e hanno perso. Lo smantellamento sistematico dei diritti fondamentali non è avvenuto tramite la forza militare o un decreto esecutivo, ma tramite la silenziosa cooperazione di piattaforme tecnologiche, gatekeeper nei media generalisti e agenzie governative, tutti pronti a ripetere di sostenere una protezione contro la “disinformazione”.
L'improvviso smantellamento del programma di fact-checking da parte di Meta — annunciato da Zuckerberg come un “punto di svolta culturale verso la priorità della libertà di parola” — si legge come una nota a piè di pagina silenziosa a quella che la storia potrebbe registrare come una delle più sconvolgenti violazioni dei diritti fondamentali nella memoria recente. Dopo otto anni di moderazione dei contenuti sempre più aggressiva, che ha coinvolto quasi 100 organizzazioni di fact-checking che operano in oltre 60 lingue, Meta sta ora virando verso un sistema guidato dalla comunità simile al modello di X.
Nel suo annuncio, Zuckerberg ci tiene a far sapere che la censura è stata un errore puramente tecnico, poi cambia tono verso la fine e ammette ciò che è stato a lungo contestato: “L'unico modo in cui possiamo contrastare questa tendenza globale è con il supporto del governo degli Stati Uniti. Ed è per questo che è stato difficile negli ultimi 4 anni, quando persino il governo degli Stati Uniti ha spinto per la censura. Prendendo di mira noi e altre aziende americane, ha incoraggiato altri governi ad andare oltre”.
In molti casi giudiziari costati milioni di dollari, che hanno comportato ingenti richieste FOIA, deposizioni e rivelazioni, la verità è stata documentata in 100,000 pagine di prove. Il caso giudiziario Murthy v. Missouri da solo ha scoperto la profondità del coordinamento del governo federale con i social media. La Corte Suprema ha preso in considerazione tutto, ma diversi giudici non sono riusciti a comprenderne la sostanza e la portata, e quindi hanno annullato un'ingiunzione di un tribunale inferiore per fermare tutto. Ora abbiamo Zuckerberg che ammette apertamente ciò che era in discussione: il coinvolgimento del governo degli Stati Uniti in violazione del Primo Emendamento.
Questo dovrebbe come minimo rendere più facile ottenere un risarcimento man mano che i casi giudiziari vanno avanti. Ciononostante è lo stesso frustrante. Sono stati spesi decine di milioni per dimostrare ciò che avrebbe potuto ammettere anni fa, ma a quei tempi i censori erano ancora al comando e Facebook stava proteggendo il suo rapporto con i poteri forti.
La tempistica del cambiamento è significativa: un alleato di Trump entra nel consiglio di amministrazione, il presidente degli affari esteri di Meta è stato sostituito da un importante repubblicano, e una nuova amministrazione si prepara a prendere le redini del governo. Ma mentre Zuckerberg inquadra questo come un ritorno ai principi della libertà di parola, il danno del loro esperimento di censura di massa non può essere annullato con un semplice cambiamento di politica.
L'ironia è profonda: aziende private che rivendicano l'indipendenza mentre agiscono come estensioni del potere statale. Prendiamo in considerazione la nostra esperienza: pubblicata la definizione di fascismo di Mussolini, come “fusione del potere statale e aziendale”, abbiamo vista rimuoverla in quanto “disinformazione”. Non si trattava semplicemente di censura; si trattava di meta-censura: mettere a tacere il dibattito sui meccanismi stessi di controllo impiegati.
Mentre le piattaforme tecnologiche mantenevano la facciata dell'impresa privata, le loro azioni sincronizzate con le agenzie governative hanno rilevato una realtà più preoccupante: l'emergere di quel tipo di fusione tra stato e aziende di cui volevano di impedirci di discutere.
Come abbiamo visto in precedenza, non abbiamo semplicemente oltrepassato i limiti: abbiamo attraversato i sacri Rubiconi creati dopo i capitoli più oscuri dell'umanità. Il Primo Emendamento, nato dalla rivoluzione contro la tirannia, e il Codice di Norimberga, istituito dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, avrebbero dovuto essere indistruttibili guardiani dei diritti umani. Entrambi sono stati sistematicamente smantellati in nome della “sicurezza”. Le stesse tattiche di disinformazione, paura ed ingerenza governativa contro cui i nostri antenati avevano messo in guardia sono state impiegate con spaventosa efficienza.
Questo smantellamento sistematico non ha lasciato indietro alcun tema: dalle discussioni sugli effetti dei vaccini ai dibattiti sulle origini dei virus alle domande sulle linee di politica riguardo gli obblighi. Il discorso scientifico è stato sostituito con narrazioni approvate. I ricercatori non potevano condividere risultati che divergevano dalle posizioni istituzionali, come si è visto nella rimozione di discussioni credibili sui dati Covid-19. Anche le esperienze personali sono state etichettate come “disinformazione” se non si allineavano con il messaggio ufficiale, un modello che ha raggiunto livelli assurdi quando anche discutendo la natura stessa della censura ciò è diventato motivo di censura.
Il danno si è propagato a ogni strato della società. A livello individuale, le carriere sono state distrutte e le licenze professionali revocate solo perché si condivideva esperienze genuine. Scienziati e dottori che hanno messo in discussione le narrazioni ufficiali si sono ritrovati ostracizzati a livello professionale. Molti sono stati fatti sentire isolati o irrazionali per essersi fidati dei propri occhi e delle proprie esperienze quando le piattaforme hanno etichettato i loro resoconti di prima mano come “disinformazione”.
La distruzione dei legami familiari potrebbe rivelarsi ancora più duratura. Le tavole delle feste si sono svuotate. I nonni si sono persi momenti insostituibili con i nipoti. Fratelli che erano stati vicini per decenni hanno smesso di parlarsi. Anni di legami familiari si sono infranti non per disaccordi sui fatti, ma per il diritto stesso di discuterne.
Forse il danno più insidioso è stato quello a livello di comunità. I gruppi locali si sono frammentati, i vicini si sono rivoltati contro i vicini, le piccole imprese sono finite nelle liste nere, le chiese si sono divise, le riunioni dei consigli scolastici si sono trasformate in campi di battaglia. Il tessuto sociale che consente la società civile ha iniziato a sgretolarsi, non perché le persone avessero opinioni diverse, ma perché la possibilità stessa di dialogo era considerata pericolosa.
I censori hanno vinto. Hanno dimostrato che con sufficiente potere istituzionale, potevano fare a pezzi il tessuto sociale che rende possibile il libero discorso. Ora che questa infrastruttura per la soppressione esiste, è pronta a essere dispiegata di nuovo per qualsiasi causa possa sembrare urgente. L'assenza di una resa dei conti pubblica invia un messaggio agghiacciante: non c'è linea che non possa essere oltrepassata, nessun principio che non possa essere ignorato.
Una vera riconciliazione richiede più di un'inversione di tendenza della linea di politica di Meta. Abbiamo bisogno di un'indagine completa e trasparente che documenti ogni istanza di censura, dai report soppressi sui danni dei vaccini ai dibattiti scientifici bloccati sulle origini del virus, alle voci messe a tacere che mettevano in discussione i vari obblighi. Non si tratta di rivendicare chissà cosa, si tratta di creare un archivio pubblico inattaccabile che garantisca che queste tattiche non possano mai più essere utilizzate.
Il Primo Emendamento della nostra Costituzione non era un suggerimento, è un patto sacro scritto nel sangue di coloro che hanno combattuto la tirannia. I suoi principi non sono reliquie obsolete, ma protezioni vitali contro l'eccesso di potere a cui abbiamo appena assistito. Quando le istituzioni trattano questi diritti fondamentali come linee guida flessibili, anziché come confini inviolabili, il danno si estende ben oltre qualsiasi singola piattaforma o linea di politica.
Come molti nei nostri circoli, abbiamo assistito a tutto questo in prima persona, ma farci dire che avevamo ragione sin dall'inizio non è l'obiettivo. Ogni voce messa a tacere, ogni dibattito soppresso, ogni relazione fratturata al servizio di “narrazioni approvate” rappresenta uno strappo nel nostro tessuto sociale che ci rende tutti più poveri. Senza una contabilità completa e garanzie concrete contro futuri eccessi, stiamo lasciando le generazioni future vulnerabili agli stessi impulsi autocratici che in futuro avranno maschere diverse ma stessa essenza.
La questione non è se possiamo ripristinare ciò che è stato perso: non possiamo. La questione è se finalmente riconosceremo questi diritti come veramente inviolabili, o se continueremo a trattarli come ostacoli scomodi da spazzare via ogni volta che la paura e l'urgenza lo richiederanno. Benjamin Franklin ci avvertì riguardo coloro che rinunciano alla libertà per acquistare un po' di sicurezza temporanea: essi non meritano né libertà né sicurezza. La nostra risposta a questa sfida determinerà se lasceremo ai nostri figli una società che difende le libertà fondamentali o una che le scarta in nome della sicurezza.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Per chi suona la campana... del default
(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/per-chi-suona-la-campana-del-default)
Ci sono punti da collegare, tra politica e mercati. E sebbene l'obiettivo di questo blog sia il denaro, viviamo in un'epoca politica. Non possiamo ignorarla. Il meglio che possiamo fare è cercare di vedere il quadro generale e questo è ciò che faccio nei miei articoli, cercando di indirizzare i lettori lungo quella strada per evitare la cosiddetta “Grande perdita”. Così come le storie e le favole alla fine hanno una “morale” — distillate da generazioni di esperienza — che si trovano nei detti popolari, nei romanzi, nella Bibbia e nei “racconti delle vecchie”, anche i mercati hanno una sorta di Trend primario rispetto al rumore quotidiano che segna la direzione di base dei prezzi, spesso per un intero decennio. Pensate, ad esempio, alla Corrente del Golfo: prende acqua calda dal Golfo del Messico, la trasporta attraverso l'Atlantico settentrionale e rende abitabile l'Europa settentrionale. Ma guardando solo le onde superficiali, non la vedreste.
La ricchezza è creata da persone che producono beni e servizi l'una per l'altra. Tutto ciò che la burocrazia fa per interferire con questo commercio riduce la soddisfazione materiale totale delle persone. Da una prospettiva economica lo stato e la sua burocrazia sono fondamentalmente un'impresa coercitiva, in cui si vince e si perde. Le sue numerose regole, normative, tasse, debiti, spese e guerre inutili riducono la produzione di beni e servizi che consideriamo “prosperità”. Ecco perché sono incompatibili col capitalismo dinamico e produttivo. Ci vuole, come minimo, uno stato minimo per produrre grandi guadagni economici. Curiosamente, però, l'interferenza statale tende anche a esagerare il Trend primario, anche se non intenzionalmente. Ad esempio, manipola i tassi d'interesse verso il basso e rende l'aumento dei prezzi degli asset finanziari più potente che mai (1980-2021) e/o ostacola gli aggiustamenti di mercato necessari peggiorando così la flessione (es. Grande Depressione).
Una parte fondamentale della mia analisi è che il mondo del denaro non funziona come si pensa comunemente. le banche centrali non sanno di quali tassi d'interesse hanno bisogno i rispettivi Paesi, ad esempio, né possono sapere cosa siano la “piena occupazione” o la “piena capacità” per l'economia. Inoltre il passaggio a un sistema monetario scoperto ha reso molto più facile manipolare il valore delle valute e quindi ha permesso e promosso grandi distorsioni in tutto il sistema finanziario globale. In breve, la maggior parte di ciò che sentite dagli economisti mainstream o dal megafono della burocrazia è probabilmente una sciocchezza. E in genere più economisti, o politici, sono coinvolti, meno produttiva è l'economia. Ad esempio, l'Unione Sovietica aveva così tanto controllo statale che la sua economia era estremamente inefficiente, il che portò la sua élite ad abbandonarla completamente.
Il trucco per creare ricchezza con successo è mettersi dalla parte giusta del Trend primario e rimanerci. Se ho ragione sul nuovo Trend primario, la cosa più semplice da fare per un investitore ora è semplicemente mettersi al riparo. “Modalità massima sicurezza", con enfasi su denaro liquido e oro rispetto ad azioni e obbligazioni. La maggior parte di coloro che hanno usufruito e usufruiscono del mio servizio di consulenze, ha circa 50 anni. A quell'età perdere denaro è una minaccia più grande rispetto a non riuscire a guadagnarne di più. Una persona più giovane può subire una perdita, imparare da essa e poi recuperare, ma oltre i 50 anni diventa sempre più difficile: non c'è il tempo di recuperare una perdita importante. Un modo semplice e chiaro per evitare la Grande Perdita pur continuando a partecipare attivamente ai mercati, in modo sicuro e prudente, è acquistare azioni quando costano poco e venderle quando costano tanto. Come si fa a saperlo? Basta utilizzare un modello molto semplice basato sull'oro: prezzare le azioni in termini di metallo giallo per sapere quando costano troppo o troppo poco.
In breve, quando si possono acquistare tutte le 30 azioni del Dow per 5 once d'oro, o meno, è il momento di vendere oro e acquistare azioni; quando il prezzo supera le 15 once d'oro è il momento di andare nella direzione opposta. Attualmente la raccomandazione è di mantenere una certa percentuale della propria ricchezza in contanti od oro, mentre tenere solo alcune azioni che hanno un “fair value” o si sono distaccata dal Trend Primario.
Il mio intuito mi dice che quest'ultimo verrà amplificato, verso prezzi degli asset finanziari più bassi e tassi d'interesse e inflazione più elevati, creando grandi deficit di bilancio, cercando di coinvolgere gli Stati Uniti in guerre inutili, indebolendo il dollaro con sanzioni e sequestri e drenando sempre più capitale dagli investimenti reali e sperperandolo in sciocchezze burocratiche. L'effetto della linea di politica dei tassi d'interesse ultra bassi prima del 2022 è stato quello di creare una montagna di debiti. In tutto il mondo hanno superato i $300.000 miliardi. Questo è più debito di quanto si possa sostenere o gestire in un contesto di tassi d'interesse alti. Ma ci sono solo due scelte: inflazionare o morire, o si continua a inflazionare (con tassi reali bassi e deficit elevati), oppure si taglia radicalmente la spesa, innescando grandi fallimenti, inadempienze e una depressione... uccidendo di fatto l'economia della bolla creata dai suoi tassi ultra-bassi.
Nel 1992 gli Stati Uniti hanno avuto l'occasione della vita: l'Unione Sovietica si era sciolta e gli oligarchi persero il potere e iniziarono a vendere materie prime, all'ingrosso, a prezzi bassi. I cinesi, nel frattempo, avevano già deciso di intraprendere la “strada capitalista”: negli anni '90 stavano abbassando i costi sui prodotti finiti. Tolti di mezzo i nemici e con i costi per i consumatori in calo, gli Stati Uniti avrebbero potuto tagliare il budget militare e usare il denaro per sostenere le proprie industrie e infrastrutture nazionali. Invece “sono stati spinti” a invadere l'Iraq e sono andati in guerra in Afghanistan. E poi hanno sostenuto le guerre in Ucraina e Gaza. Il budget militare è esploso al rialzo e la loro reputazione è scivolata al ribasso. A livello di Trend primario da seguire, questo significa che gli investitori vedranno occasioni nell'economia delle commodity piuttosto che in quella squisitamente finanziaria. Questo cambiamento, unito al caos sociale e politico che porta con sé, rischia di creare un disastro importante. A livello di microeconomia, quindi, bisogna mettersi dalla parte giusta del Trend primario: imparare a guardare i prezzi di mercato in termini reali, non in termini fasulli. E circondati di amici che vedranno il mondo per quello che è e scopriranno come navigarlo insieme.
UN DEFAULT INCOMBENTE
Lo stato — insieme alla stampa, ai politici, agli economisti accademici, ai think tank, al Deep State — ha risolto ogni problema che ci si è presentato: dai domino che cadono nel Sud-est asiatico alla povertà e alla discriminazione. Ma tutta questa risoluzione dei problemi ci ha lasciato con un problema molto più grande: un debito pubblico impagabile. Come verrà risolto? In gioco c'è l'intera economia mondiale, le valute fiat, la prosperità e il Trend primario, insomma l'intera baracca. All'inizio del secolo scorso l'economia dei vari Paesi occidentali era “capitalista”: le persone si occupavano dei propri affari, come meglio potevano, offrendo beni e servizi l'una all'altra. Poi lo stato (inclusi gli enti locali e di regolamentazione) è cresciuto così tanto che solo circa metà dell'economia è ancora libera di fare ciò che vuole, il resto è dettato dai bilanci e dalle normative. Quasi tutta questa spesa viene sprecata in bombe, salvataggi e raggiri. Oltre a ciò, l'intera economia viene distorta in forme grottesche da un altro ramo dello stato, la banca centrale.
La tanto criticata “era dello stato minimo” dei repubblicani del Tea Party e la “deregulation” seguita a Ronald Reagan non sono mai accadute. La spesa pubblica e la regolamentazione sono aumentate costantemente. La spesa militare e la spesa sociale sono aumentate. Chi pagherà? È così che funziona la politica. Il capitalismo non avvantaggia nessuno in particolare e tutti in generale. Nel complesso, le cose migliorano. La politica avvantaggia gruppi specifici, le élite, a spese di tutti gli altri. Nel complesso, le cose peggiorano. Più capitalismo si ha, più le persone sono libere di ottenere onestamente ciò che vogliono; più politica si ha, più le persone “distorcono il sistema” elaborando accordi con i politici e usando il potere statale per la loro ricchezza personale o per il loro ingrandimento.
O l'uno o l'altro. Capitalismo o politica. L'idea che ci sia un felice equilibrio tra i due, o che il tungsteno possa essere fatto passare per oro, è semplicemente una sciocchezza. Le grandi imprese con lobbisti che traggono vantaggio dai numerosi salvataggi statali, sussidi e altre opportunità sono cresciute. Ma esse rappresentano la crescita passata, le piccole aziende, invece, sono la speranza del futuro. E con il peso dello stato sulle spalle, riescono a malapena a strisciare, figuriamoci a correre. Il tasso di crescita della produttività è stato dimezzato sin dagli anni '60. Al vertice le grandi aziende dominano le principali industrie, in fondo ci sono gli “zombi”, aziende che non riescono nemmeno a pagare gli interessi sul loro debito. Deboli e improduttive, come lo stato stesso, sprecano risorse preziose. Nel mezzo c'è un bacino stagnante di aziende di medie dimensioni che lotta per innovare e sopravvivere in un ambiente ostile di leggi, regolamenti, tasse, inflazione e debito.
Come scrive anche il Financial Times:
[...] La sorgente da cui fluiva il capitale erano stati e banche centrali. Con debito e capitale a tassi ridicoli, le dimensioni dei mercati finanziari sono cresciute da poco più grandi dell'economia globale [PIL mondiale] nel 1980 a quasi quattro volte più grandi oggi. [...] La forza trainante dietro la finanziarizzazione incontrollata del capitalismo era il denaro facile che scorreva dallo stato.Sì, è stato il denaro marcio ad aver rovinato le cose. Ma quale? Presto ci arriveremo, ma prima aggiungiamo un altro tassello a questo mosaico.
Il fatto che siano stati pubblicati “nuovi” coefficienti di trasformazione nel sistema pensionistico è una tacita e indiretta ammissione di bancarotta da parte di chi eroga una prestazione promessa. Ovviamente non è un'esclusiva italiana, ma si tratta solo dell'ultima notizia riguardo questo tema. Ogni Paese soffre dello stesso problema. Il pensionamento è una di quelle promesse più insostenibili che sono state fatte dalla classe dirigente. È un gioco in cui entrambi gli attori partecipanti non vogliono vedere l'ovvio: entrambi continuano a fingere che esiste un barlume di solvibilità. Ma come ogni schema Ponzi la Legge dei rendimenti decrescenti è un duro e severo maestro che costringe a guardare, e ogni volta le bacchettate sono più forti di prima: il dolore (economico) infine diventa troppo insopportabile da ignorare. Tra prezzi galoppanti, tasse invasive, burocrazia ingessante, le pensioni sono l'ultimo pilastro a reggere la fiducia nello stato... nella sua capacità e avallo di legiferazione ed estorsione di risorse. Non è un caso, infatti, che io abbia dedicato il primo capitolo del mio ultimo libro, Il Grande Default, a questo argomento e al modo in cui l'Europa intende trattare questi obbligazionisti “speciali”: haircut e default selettivo.
CHI?
Alla fine della fiera, tutto si riduce a una semplice domanda: chi decide? O siete voi a decidere cosa fare con il vostro tempo e denaro... o qualcun altro deciderà per voi. E quando sono gli altri a decidere, i soldi tendono ad andare nella loro direzione, non nella vostra. Nel precedente articolo ci eravamo lasciati con una domanda: per chi sarà il default? È ora di aggiungere ulteriore contesto alla domanda e dare una risposta. Prima, però, sappiate che a quanto scriverò adesso fornirò prove (storiche) pubblicando alcuni saggi di Richard Poe che saranno le fonti alla base dei ragionamenti “più maturi” che leggerete qui. Se c'è una cosa che da più fastidio ai colonizzatori è quella di perdere il controllo sulle proprie colonie. Questa è stata una caratteristica peculiare degli inglesi, ad esempio: per quanto possano essere diventati “indipendenti” gli USA dopo la rivoluzione americana, hanno sempre subito l'ascendente inglese. Perché è così che il colonialismo ha trasformato la sua essenza: da nemico delle popolazioni colonizzate ad alleato. “Investire” in un determinato posto ha significato immettere ingenti capitali nel sistema socioeconomico di quel Paese e farlo sviluppare a passi da gigante facendogli saltare step evolutivi fondamentali. Ogni cambiamento non aveva il giusto tempo per sedimentarsi. Questo è un punto cruciale che ho dettagliato meglio nel Capitolo 6 del mio primo libro, L'economia è un gioco da ragazzi, in cui porto all'attenzione del lettore l'importanza della teoria Austriaca del capitale. La formazione di quest'ultimo, infatti, è la chiave di volta per la sostenibilità e la prosperità a lungo termine.
Immettere dall'esterno ingenti quantità dello stesso ha lo scopo di velocizzare l'evoluzione di un Paese, affinché il colonizzatore abbia la rapida facoltà di sfruttare le risorse del luogo in cui “investe”. Poi, come uno sciame di locuste, consuma tutto e tutti. Gli Stati Uniti erano indirizzati lungo questa traiettoria, soprattutto dopo che la terza rivoluzione americana è stata persa: sedicesimo emendamento. Da quel momento in poi gli Stati Uniti sono stati ostaggio della politica europea, soprattutto se si considera la loro partecipazione nelle due grandi guerre e la sudditanza della FED nei confronti della BoE che ha piantato i semi della Grande Depressione. Gli USA continuavano a essere una colonia inglese e attraverso di essi hanno continuato a modellare il mondo a loro piacimento. Attraverso il soft power e le relazioni con l'aristocrazia gli inglesi si sono da sempre garantiti, in tutte le loro colonie, l'ultima parola nelle questioni dirimenti; l'assalto agli Stati Uniti, sin dalla Brexit, aveva come unico scopo il rimpatrio dei soldi “investiti”.
L'ultimo giro di giostra dell'eurodollaro ha come data il 2008 e sin da allora è diventato chiaro che quel famoso qualcosa che non poteva più andare avanti s'era fermato. Il sistema monetario e commerciale è rotto, i bilanci nazionali sono saturi di debiti impagabili e sopravvalutati, e il tutto è sull'orlo del collasso. L'unica via che Londra vede è quella del ripudio, parziale, di tutto questo ammontare di debiti e la classe dirigente intende rimanere in carica anche dopo questo evento di proporzioni epiche. Non fraintendetemi, non è la prima volta che accade una cosa del genere: il Consol britannico nacque proprio per questo motivo. Ciò che bisogna salvaguardare nella fase di transizione è il collaterale per poi impiegarlo nella iterazione successiva affinché i vecchi obbligazionisti sottoscrivano i nuovi bond. A questo giro, però, la giostra non può ripartire se prima gli Stati Uniti non vanno in bancarotta... perché? Perché rappresentano ancora un punto nel mondo in cui il capitale viene trattato meglio, sia quello umano che quello finanziario. Di conseguenza devono essere divisi e ridotti sul lastrico, così come la Russia, affinché Europa e Inghilterra possano apparire come i luoghi “più stabili” in cui investire e mettere al riparo i risparmi. In questo modo sarebbe più facile vendere la soluzione haircut: assenza di alternative.
Infatti gli Stati Uniti sono stati protagonisti di afflussi simili già in passato, in particolar modo nei Ruggenti anni '20, che poi la FED ha trasformato in Grande Depressione per spalleggiare il ritorno alla parità aurea pre-bellica da parte della Banca d'Inghilterra. E nonostante quest'ultima i capitali dall'Europa continuarono lo stesso a valore negli USA, contribuendo a costruire quella macchina da guerra che avrebbe riparato i danni causati da inglesi e francesi contro i tedeschi. Accade la stessa cosa oggi con la guerra in Europa orientale, dove sono stati impegnati ingenti capitali e promesse sui flussi di cassa futuri, a fronte di una guerra che Londra e Bruxelles stanno perdendo e da cui Washington vuole staccarsi. Per i russi non c'è niente di nuovo visto che combattono da tempo immemore contro gli inglesi. La classe dirigente europea, la quale è a corto di qualsiasi potere contrattuale dato che non ha capitali finanziari, know-how indsutriale rappresentato da industrie tecnologiche chiave e nemmeno materie prime, presuppone di avere ancora un potere di monopsonio e sventola questa percezione (fasulla) per ottenere credibilità. La cricca di Davos ha un unico incentivo: vuole sopravvivere, così come è sopravvissuta a tutte le altre iterazioni precedenti creando e poi facendo crollare i sistemi a cui si è posta al vertice. Questa storia non è affatto diversa oggi.
L'arbitraggio monetario è stato il mezzo, la manipolazione della valuta di riserva mondiale. Che si trattasse della sterlina, del gold standard o del sistema bimetallico, ogni volta bastava sottoporre a leva il sistema monetario di riferimento e guadagnare clientes. Questa è gente che ha scoperto questo “trucco” e nel corso del tempo l'ha reso più sofisticato, diffondendo la religione del globalismo. Il problema con questo punto di vista è che da questo treno sono scesi tutti gli altri: i russi, i cinesi e soprattutto gli americani. Questi ultimi hanno detto “No” sin da quando Trump è stato eletto la prima volta; addirittura la popolazione inglese ha detto “No” sin da quando è stata votata la Brexit e per questo affronto continuano a essere puniti ancora oggi (a tal proposito, si veda la serie La fattoria Clarkson).
In parole povere, sebbene gli Stati Uniti abbiano il miglior esercito del mondo e il miglior motore economico del mondo, la loro linea di politica estera è stata dettata a Londra e a Bruxelles. Persone come Lindsey Graham o John McCain sono esempi perfetti di personaggi allineati coi neoconservatori inglesi; Obama e i suoi accoliti, invece, fanno riferimento a Bruxelles e più propriamente alla cricca di Davos. Queste due fazioni vogliono le stesse cose e combattono per gli stessi obiettivi, oligarchie entrambe che non disdegnerebbero una lotta fratricida pur di essere quella al vertice. A questo giro se gli inglesi non risulteranno vincitori, se non metteranno a ferro e fuoco il mondo, verranno scaraventati nell'irrilevanza geopolitica per i prossimi 50-100 anni. Per quanto riguarda l'Europa, invece, dipende da quale parte si stia parlando: quella orientale graviterà nell'orbita russa, mentre quella centrale e occidentale si spezzetterà in spazi a sé stanti. Per quanto magro, questo è un risultato che continuerebbe a favorire gli inglesi dato che il gioco del divide et impera è sempre stato il loro tratto caratterizzante.
In questo contesto la FED è stato un attore principale, il vero asso nella manica degli Stati Uniti per emanciparsi da tale gioco di potere e ottenere una vera indipendenza dai suoi storici colonizzatori. Il ciclo di rialzo dei tassi di Powell sin dal 2022, anno in cui è stato inaugurato l'SOFR e dopo la sofferta rielezione dello stesso Powell a capo della FED durata 6 mesi, ha rappresentato la nemesi dell'amministrazione Biden. Detto in altro modo: “Volete una guerra in cui gli USA non vogliono avere niente a che fare? La pagherete a tassi più alti. Volete la rivoluzione green? La pagherete a tassi più alti”. Lo scandalo sull'insider trading di fine 2021 era stato studiato per far fuori politicamente Kaplan, Rosengren e lo stesso Powell, i tre più determinati a mettere un freno al lassismo monetario sfrenato. Quest'ultimo è stato risparmiato perché la fazione cui fa riferimento gli ha coperto le spalle. L'inversione di marcia più recente, così come il taglio dei tassi a settembre, non era affatto mirato a facilitare la vita alla Harris (se così fosse stato Powell avrebbe iniziato a tagliare i tassi a gennaio dell'anno scorso, come minimo) bensì a spianare la strada a Trump e a coloro che lo rappresentano per davvero. Li chiameremo New York Boys, o in termini più profani quel conglomerato di grande banche commerciali situate nella costa orientale degli Stati Uniti.
Il “dovere” della FED è quello di proteggere le banche commerciali degli USA, in particolar modo quelle grandi. Le banche centrali, alla fine della fiera, sono solo uno strumento per costringere le banche capitalizzate a fornire liquidità a quelle meno capitalizzate. Non hanno alcun potere sui tassi reali. Il loro gioco è tutto sulle percezioni, ma così come il mondo è costruito al giorno d'oggi esse sono fondamentali e dirimenti. Gli azionisti della FED sono le 12 banche regionali Federal Reserve e gli azionisti di queste ultime sono le grandi banche in quelle giurisdizioni. In un mondo che viene direzionato verso una CBDC e un sistema di credito basato su di essa, il sistema bancario commerciale è destinato a scomparire. Quello americano ha detto “No” e l'ha fatto sapere tramite la FED che, negli ultimi 7 anni, ha lavorato per cambiare la politica monetaria per la prima volta sin da Bretton Woods: piuttosto che mettere toppe all'economia mondiale mandando fuori i dollari, ricostruire quella interna rimpatriandoli. E questo lo si fa cambiando il modo in cui i dollari vengono prezzati nel mercato aperto: dal LIBOR al SOFR, un punto spiegato nel mio ultimo libro Il Grande Default. Questa svolta epocale ha permesso al dollaro di essere prezzato a livello globale in base alla salute reale degli Stati Uniti, delle sue istituzioni creditizie e dei suoi mercati monetari. Per quanto possa essere auspicabile un sistema monetario basato sull'hard money, l'attuale periodo di transizione è un passo nella giusta direzione. Per quanto si possa concordare, filosoficamente, sull'abolizione del sistema bancario centrale, a livello pratico, oggi, la Federal Reserve è quanto di più concreto per smantellare i piani per un futuro distopico.
Infatti è impensabile e suicida svoltare nettamente verso una soluzione hard money mentre nel resto del mondo esistono ancora le banche centrali. Voglio dire, come si crede abbia fatto l'Inghilterra a mandare avanti il suo impero colonialista negli ultimi 150 anni? Certo, l'avanzo commerciale nei confronti degli Stati Uniti è stato utile per controllare/influenzare la politica estera/interna americana e minarla dall'interno. Ma come l'hanno finanziato? Ovviamente non tramite i dazi, non sarebbero stati sufficienti, ma principalmente tramite la Banca d'Inghilterra che stampava sterline, svuotava la propria economia e la posizionava come collaterale, e colonizzava il resto del mondo facendo girare questa ruota per criceti attraverso il flusso di cassa proveniente dai Paesi colonizzati. Questo è quello che succederebbe domani se venisse abolita di colpo la FED. In un mondo fatto di banche centrali c'è bisogno di un esercito adeguato per difendersi.
Quindi l'obiettivo dell'amministrazione Trump e delle grandi banche commerciali americane è quello di regionalizzare il dollaro. Se altri Paesi vogliono usarlo come mezzo per saldare i loro commerci, ottimo, ma non potrà più essere usato come arma contro gli USA stessi. Questa linea d'azione è diventata chiara nel 2019 e successivamente nel 2021: impossibilità di apporre garanzie europee nel mercato pronti contro termine americano, rialzo dei tassi in quest'ultimo mercato e creazione di una finestra particolare nella Federal Reserve dedicata esclusivamente ai player esteri che vogliono entrare in tale mercato. Powell creò nell'effettivo un muro tra il sistema bancario americano e quello del resto del mondo: la Federal Reserve avrebbe funto da banca centrale degli Stati Uniti, non più del mondo attraverso il “ricatto” degli eurodollari. Questo risanamento monetario è stato contrastato in ogni modo dall'amministrazione Biden, infiltrata da player ostili, che ha cercato di costringere la FED a monetizzare ogni ridicolo piano di spesa partorito dalla loro mente contorta: leggi contro l'inflazione, aiuti esteri, ampliamento della burocrazia, leggi contro il cambiamento climatico, ecc. Il contingentamento dei flussi in entrata/uscita dei dollari ha reso necessario appoggiarsi esclusivamente sul lato fiscale dell'equazione da parte di coloro che avevano urgente necessità di dollari all'estero: Bruxelles, Londra, Pechino, spiccano di più. Meno efficace della “stampa” diretta di denaro, l'ulteriore saturazione dei bilanci pubblici americani ha dato l'idea di quanto fosse gonfio e profondo il mercato degli eurodollari.
Infatti non è mai stato un problema del mercato degli eurodollari stesso, bensì di riserva frazionaria applicata a esso in tempi di ZIRP. Il ruolo della FED nel porre ordine, guardrail se volete, tra i dollari in patria e quelli all'estero è stato cruciale per iniziare a drenare e ridurre l'ipertrofia della leva finanziaria cui è stato sottoposto il mercato degli eurodollari. Con Bernanke e la Yellen si potevano comprare dollari a costo praticamente zero e poi prestarli nel sistema bancario ombra affinché venissero creati tutta una serie di prodotti finanziari over the counter con cui tirare su ulteriori quantità di denaro da usare poi per comprare elezioni, finanziare operazioni d'intelligence, rivoluzioni colorate, finanziare le ONG, ecc. Era il Paese dei balocchi per tutti, tranne per il bilancio degli Stati Uniti stessi che veniva saturato progressivamente. Per l'appunto, oltre al Dilemma di Triffin, il problema reale era la saturazione dei bilanci e la valutazione del rischio fuori controllo. Se davvero Wall Street avrebbe potuto fare i soldi con la MMT a quest'ora sarebbe la linea di politica ufficiale e tutti conoscerebbero i nomi degli squinternati che la vanno decantando sui social media. Invece chi ha dato voce a tale marmaglia erano gli stessi che volevano semplicemente continuare ad avere una giustificazione per scalare ostilmente gli Stati Uniti. La crisi definitiva del sistema eurodollaro nel 2008, innescata sostanzialmente dalla Legge dei rendimenti decrescenti, ha aperto gli occhi allo zio Sam e le contromosse sono arrivate solo 8 anni più tardi: l'elezione di Trump e l'inizio dei lavori per l'SOFR un anno dopo.
Questo lasso di tempo vi da un'idea di quanto fosse intricato sbrogliare una matassa del genere, senza contare che l'SOFR è entrato in vigore ufficialmente nel 2022 e il pulsante dell'“armageddon monetario” contro i globalisti è stato spinto solo nel 2019. Ora la questione è tutta fiscale e il taglio preannunciato di circa $2.000 miliardi dal budget federale dovrà essere solo l'inizio. I prossimi 6 mesi saranno cruciali da questo punto di vista, perché poi bisognerà farsi trovare pronti per le elezioni di medio termine e mi aspetto, quindi, che Powell taglierà i tassi anche questo mese. Diversamente da quello che la maggior parte dei commentatori crede, ci sarà inflazione dei prezzi, sì, ma non nei settori finanziari. Non inizialmente almeno. Ci sarà inflazione dei prezzi nei settori delle commodity: i tagli alle tasse e un ambiente di credito più rilassato permetteranno di soddisfare una domanda latente per far ripartire la macchina economica americana. Costruire cose, efficientare il settore energetico, ottimizzare le catene di approvvigionamento, sono elementi questi che spingeranno in su i prezzi delle materie prime e spingeranno giù quegli degli asset finanziari. Solo dopo questa fase accadrà il contrario. Il ciclo di rialzo dei tassi serviva sostanzialmente a creare la famosa “onda rossa”.
Il controllo del Congresso da parte dei NY Boys serve innanzitutto a invalidare la yield curve control implementata dalla Yellen (come minimo) sin da aprile dello scorso anno, dando l'idea che gli USA fossero in grossi guai dal punto di vista squisitamente tecnico: inversione della curva dei rendimenti. Ripeto: mettere ordine sul lato fiscale dell'equazione è fondamentale per far riguadagnare credibilità allo zio Sam. La FED ha enorme influenza sul lato sinistro della curva (front-end) e, dato che esiste ancora una forte domanda per la parte destra (back-end) in virtù dell'alto livello qualitativo dei titoli sovrani americani, una volta che Trump implementerà i tagli alla spesa insieme a un abbattimento dell'imposta sul reddito, il mondo intero percepirà serietà e concretezza nella volontà di mettere a posto le cose. Al di là di quello che possono dire Moody's o Ficht. Una domanda reale e solida sosterrà la parte destra della curva in modo che Powell possa tagliare quella sinistra e avere una curva “normale”: rendimenti da 3 a 5 piuttosto che da 5 a 7. Questo a sua volta significa che le banche potranno tornare a prestare in base a un differenziale di rendimento 2/10 che permetterà loro di staccare un margine netto d'interesse decente. E questo fenomeno chi andrà a ricapitalizzare? Non le GSIB, bensì le banche locali, il credito cooperativo... insomma le banche di piccole e medie dimensioni che più hanno sofferto durante il ciclo di rialzo dei tassi da parte di Powell.
Lo sforzo più grande è quello di far riguadagnare fiducia nel sistema attuale, nel modo di fare americano. Per farlo il bilancio della Federal Reserve dovrà essere ricapitalizzato e, soprattutto, abbassato. Secondo me un obiettivo plausibile sarebbe quello di un bilancio della FED da circa $3.000 miliardi. E sì, è possibile abbassare i tassi e al tempo stesso restringere il bilancio. Inutile dire che questo processo dovrà essere puntellato. Come? Entrano in scena la riserva strategica di Bitcoin e l'oro. Entrambi gli asset rappresentano un barometro per la misurazione del rischio, il secondo più del primo data la sua storia. Malgrado ciò entrambi sono asset in grado di ripristinare credibilità e fiducia a qualsiasi bilancio percepito come compromesso. Questo significa che se i loro prezzi vengono lasciati correre, ciò servirà a schermare il bilancio dell'entità che li possiede dal rischio di controparte. Cedole dei titoli sovrani americani parzialmente redimibili in oro e prodotti finanziari emessi su Bitcoin, permetterebbero allo zio Sam di puntellare la propria strategia e prendere più piccioni con una fava: collateralizzare le passività non finanziate future, arginare l'aumento del debito pubblico, rendere felici gli investitori (flusso di cassa in dollari + hard asset che si apprezzano), attirare capitali esteri e ammorbidire la nuova ondata di inflazione dei prezzi delle commodity.
L'oro a Fort Knox, per quanto possa essere stato sottoposto a leasing multipli, rimane sempre lì; ciò che è cambiato sono le cambiali emesse su di esso. Alla fine della fiera vince chi ha l'asset fisico, che sia l'oro o Bitcoin. E non è un caso, quindi, che Blackrock ormai possegga lo stesso ammontare di BTC posseduti da Satoshi. Tutto questo, comunque, non sarebbe possibile senza il controllo politico/fiscale, ovvero senza il controllo del Dipartimento del Tesoro. Ora che la Yellen è andata e non può più fornire titoli sovrani americani a profusione a Bruxelles e a Londra, permettendo a queste ultime di usarli per tenere un tetto sui rendimenti sovrani delle rispettive giurisdizioni, il cappio al collo dell'euro si stringe ulteriormente. L'Europa è spacciata sotto ogni punto di vista, non ultimo il settore delle comunicazioni. E questo vale ancor di più per Londra.
Vedere gli inglesi contorcersi perché la loro colonia preferita gli sta sfuggendo di mano, e con essa la possibilità di finanziare a costo zero lobby e ONG con cui influenzano il mondo, non ha prezzo. https://t.co/76WfTQ3cgz
— Francesco Simoncelli (@Freedonia85) January 7, 2025CONCLUSIONE
In questo saggio ci siamo spostati progressivamente dal livello micro a quello macro. Abbiamo visto come dovrebbero comportarsi gli investitori nell'attuale contesto socioeconomico per proteggere i propri risparmi dalla guerra più ampia in corso tra cricca di Davos e NY Boys. Quest'ultimo è il livello macro, invece.
Nel fuoco incrociato finiranno tutti coloro che non si prepareranno: essere consapevoli di questa belligeranza permette di sapere altresì come togliere rumore di sottofondo dal quadro generale. Ad esempio, che fine ha fatto tutto il FUD di fine anno scorso nei confronti di Tether? Sparito.
Tanti bot sui social che ci tenevano ad ammorbarci coi loro sproloqui sul fatto che la nuova regolamentazione europea avrebbe depeggato irreversibilmente il dollaro col Tether dollaro. Forse non è chiara una cosa: senza il leveraging nel mercato dell'eurodollaro, Bruxelles e Londra non hanno potere contrattuale. Forse non è chiaro che è il crosspair EUR/USD che si sta schiantando. È una questione di consapevolezza: chi è preparato e ha capito chi sono le parti in guerra, e quindi si posiziona di conseguenza, e chi non ha idea di cosa stia succedendo e reagisce in base al vento che tira. Il massacro finanziario è garantito e le perdite anche. Chi invece ha letto il mio libro, Il Grande Default, o ha usufruito e usufruisce regolarmente del mio servizio di consulenze, ha chiaro in mente il quadro generale e si posiziona di conseguenza riuscendo altresì a rimuovere tutto il rumore di fondo, dannoso e inutile.
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L'ascesa di Bitcoin è un trionfo per la verità e la realtà economica
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lascesa-di-bitcoin-e-un-trionfo-per)
È successo: Bitcoin ha superato la cifra tonda dei $100.000. Con la continua espansione monetaria del dollaro, questo era, prima o poi, l'unico risultato logico per una qualsiasi valuta fiat scoperta.
Forse non l'avete notato, ma il mondo di Bitcoin sembra straordinariamente calmo anche a sei cifre. Non ci sono Max Keiser che urlano “F*ck Elon” a folle estatiche, nessun giocatore degenerato che compra bitcoin con una leva finanziaria del 100X.
Una sensazione simile si è verificata all'inizio dell'anno scorso quando Bitcoin aveva superato per la prima volta il suo precedente massimo storico pochi mesi dopo l'approvazione degli ETF, e poi di nuovo la notte delle elezioni, quando il prezzo è stato il primo a indicare che la vittoria di Trump era imminente.
Rispetto al 2021 e al 2022, quando i bitcoiner erano tutti ubriachi e confusi dalla velocità con cui tutto questo era accaduto e inondati da truffe di sh*tcoin e vari disastri Ponzi (es. FTX, BlockFi, Three Arrows Capital), ora tutto è piuttosto calmo. Allora quelli di noi immersi fino al collo nello spazio Bitcoin erano stati presi d'assalto da commenti e messaggi di amici e familiari: “Come funziona? È una bolla? Ora sei in pensione? Wen Lambo?”.
Questa volta Bitcoin non si basa sulla bassa liquidità di mercato e su una discutibile ingegneria finanziaria, ma su ingenti afflussi dagli ETF, dai risparmiatori che vogliono sfuggire alla trappola del debito e da quello che sembra essere un continuo aumento di acquisizioni da parte di diversi fondi sovrani.
Ora è tutto “stranamente normale”. Lo scopo di Bitcoin non è un rapido ritorno finanziario in un classico schema pump-and-dump; è qui per riparare il mondo monetario a pezzi. Il numero di aziende che costruiscono usi critici (assicurazione, wallet hardware e app che anche vostra nonna potrebbe usare, rilevamento delle frodi, riscaldamento domestico, verifica dei risultati elettorali) corrisponde davvero alle aspirazioni di questa tecnologia rivoluzionaria.
Ha scritto Pete Earle il 5 dicembre, quando il tasso di cambio di Bitcoin rispetto al dollaro ha superato per la prima volta quota $100.000: “La sua ascesa a $100.000 dimostra come l'innovazione decentralizzata e senza autorizzazioni possa sfidare, migliorare e superare i sistemi legacy, compresi quelli in ambito monetario”.
Ciononostante la situazione è incredibilmente tranquilla: tutti continuano a lavorare, un passo alla volta.
Tutti abbiamo fatto i compiti a casa leggendo, imparando, facendo podcasting, pubblicando libri e articoli e riflettendo sulla natura del denaro nella società. Durante i nostri spostamenti, durante le pause pranzo, prima di andare a letto, durante le pause per andare in bagno, abbiamo riflettuto sulle conseguenze di una moneta a offerta fissa con cui non si poteva scherzare. Abbiamo trascinato le nostre dolci metà alle conferenze di Miami, Praga, Lugano e Madeira invece di andare in vacanza a Yosemite, Cape Cod, Londra, o Marsiglia.
Abbiamo imparato di più sui nostri sistemi politici, economici e monetari disfunzionali. Dopo un decennio o più di politiche fiscali e monetarie folli e irresponsabili, abbiamo visto i nostri governanti cedere alla disperazione e il sistema politico corrotto mostrare senza sosta i suoi difetti come se fossero virtù. Li abbiamo visti stampare, spendere, inflazionare, censurare, bloccare i pagamenti, sequestrare beni e cacciare dalle piattaforme la gente “non allineata”.
In quel mondo è ovvio e inevitabile che Bitcoin (e la sua controparte informativa, Nostr) abbia successo: Bitcoin, in quanto denaro apolitico, è stato creato per questo. Nessuno dovrebbe sorprendersi che un sacco di gente abbia votato con i propri dollari prima sui mercati Bitcoin e poi il 5 novembre. È chiaro che gli americani ne hanno avuto abbastanza.
Bitcoin è un voto di sfiducia nel caos fiscale e monetario che i nostri funzionari hanno creato. Vogliamo regole, non governanti.
Se consumate troppo i media generalisti e leggete troppo i titoli di giornale, per loro Bitcoin era morto e sepolto. Noioso. Irrilevante. Una truffa sofisticata, nata da un sistema monetario a buon mercato. Infatti è morto centinaia di volte; quelli di noi che hanno trascorso abbastanza ore per studiare veramente Bitcoin hanno sentito roba del genere così tante volte da esserne esausti.
Quando Bitcoin ha toccato brevemente massimi più alti durante la scorsa primavera, Peter Schiff l'ha definito la “bolla definitiva” e ha etichettato “folle” Michael Saylor. La cosa più divertente è che Bitcoin era morto a febbraio dell'anno scorso a detta di due economisti della BCE, i quali lo hanno dichiarato inutile e pericoloso. Quegli stessi tizi erano tornati in autunno, preoccupati delle “conseguenze distributive” per la società se Bitcoin avesse continuato ad apprezzarsi per sempre (cosa sarebbe successo?). Persino gli autori di Alphaville del Financial Times, che non sono amici di Bitcoin, hanno ridicolizzato l'ipocrisia della BCE che ha più da perdere nel caso in cui Bitcoin avesse successo: “Ovviamente a nessuno nell'anno del Signore 2024 importa davvero cosa dice la BCE su Bitcoin”.
Il modo in cui Bitcoin risorge è trattato meno di frequente. Come uno scarafaggio, l'epiteto che The Economist gli ha dato a dicembre dell'anno scorso, torna, ancora e ancora, ogni volta più forte e rumoroso di prima. Con più utenti, più persone che lo usano e lo accettano negli scambi, con più hash rate che lo protegge e più prodotti che lo integrano.
Ormai è integrato nell'infrastruttura elettrica della nazione e nei suoi mercati finanziari. È un potenziale nuovo mezzo di scambio, regolarmente disprezzato dagli economisti dell'establishment e invece abbracciato da outsider e personaggi politici non convenzionali come Nayib Bukele e Javier Milei (e apparentemente persino da Vladimir Putin), oltre alla “plebe” e ai cosiddetti deplorevoli.
L'ascesa di Bitcoin non è un semplice trionfo circostanziale, ma un riflesso della capacità delle persone di discernere la verità tra condizioni economiche difettose. Il prezzo è importante, ciononostante la sua crescita è una testimonianza del desiderio popolare di asset decentralizzati, affidabili e resistenti all'inflazione.
Qualunque sia la vostra opinione su Bitcoin, che l'abbiate ignorato o studiato attentamente, che lo riteniate un gioco d'azzardo illegale, un rumore irrilevante o la cosa migliore per l'umanità, mentre il sistema monetario tradizionale peggiora sensibilmente, Bitcoin migliora relativamente.
Il massimo storico di Bitcoin non è solo una pietra miliare per questa nuova valuta; significa un cambiamento più ampio nel modo in cui gli individui percepiscono e interagiscono con il denaro. Il sistema finanziario e le condizioni monetarie in cui viviamo hanno un disperato bisogno di rampe di uscita e la rivoluzione è qui per questo.
Mantenete la calma e continuate a costruire, amici miei.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Siria: un caso di follia a palate del cosiddetto “Empire First”
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/siria-un-caso-di-follia-a-palate)
Se mai c'è stato un momento che ha messo a nudo l'assoluta stupidità e futilità della politica “Empire First” di Washington, è sicuramente quello delle rovine fumanti della Siria. Quest'ultima è stata il culmine inconcludente dei 13 anni di sforzi di Washington nel voler distruggere il suo legittimo governo, sostenendo che Assad era un brutale tiranno e un saccheggiatore della misera ricchezza del Paese.
Il fatto è che probabilmente era proprio questo, e potrebbe benissimo essere stato tra i peggiori delle decine di tiranni che opprimono i loro cittadini in nazioni grandi e piccole in tutto il mondo, ma forse Dio Onnipotente ha consacrato Washington come una specie di Buon Pastore planetario incaricato di portare un governo giusto e gentile a tutti i popoli del pianeta?
Penso proprio di no. Infatti il mantenimento di una Repubblica costituzionale sostenibile, prospera e libera richiede fedeltà all'opposto: un sistema di governo piccolo e solvente, anche lato Pentagono. Di conseguenza l'unico scopo della politica estera dovrebbe essere la salvaguardia della sicurezza e della libertà della patria, non il controllo dell'etichetta di governanti dall'altra parte del globo che non rappresentano alcuna minaccia militare alla sicurezza della nostra patria.
Eppure Washington ha ritenuto opportuno, nell'ultimo decennio e mezzo, di pompare più di $40 miliardi in aiuti militari palesi e segreti, sostegno economico e assistenza umanitaria a una pletora di forze di opposizione siriane senza alcuno scopo evidente in merito a sicurezza nazionale. Al contrario, la spesa di tutto questo capitale politico è stata progettata solo per effettuare un cambio di regime a Damasco ed espellere il governo di Assad dal suo controllo su quelle che, fino a poche settimane fa, erano le restanti aree bianche della mappa qui sotto.
Eppure le regioni colorate che circondano quello che ora è il vuoto della caduta di Assad vi dicono tutto quello che c'è da sapere sulla follia di questa impresa e sul perché in verità Washington ha dato alla luce un altro stato fallito; e lo ha fatto ancora una volta con il pretesto di combattere il terrorismo, questa volta la banda di jihadisti dell'ISIS che hanno piantato le loro bandiere nere nelle polverose città dell'Alto Eufrate con al centro Raqqah (area viola).
La verità è che le aree bianche, tra cui la regione di Damasco precedentemente controllata dal governo di Assad, erano il vero baluardo contro una rinascita dei tagliagole dell'ISIS, emersi nel 2014 dalle ceneri del fallito intervento di Washington per il cambio di regime in Iraq. Quindi anche se la scelta fosse stata tra il male minore, chiunque avesse avuto la testa sulle spalle avrebbe potuto vedere che rafforzare, o almeno tollerare tacitamente, il regime laico e pluralista alawita di Damasco era di gran lunga preferibile ai fanatici del Califfato dell'ISIS.
Detto in altri termini, una debacle in Iraq avrebbe sicuramente dovuto giustificare un ripensamento sul continuare a perseguire un secondo tentativo di cambio di regime nella vicina Siria. Dopo tutto, la minaccia dell'ISIS che aveva afflitto la Siria orientale era stata la progenie del disastroso intervento di Washington contro Saddam Hussein. Infatti, come nel caso di Assad, Hussein non aveva rappresentato alcuna minaccia per la sicurezza nazionale americana, ma era stato comunque trattato con la terapia “shock and awe” di un massiccio attacco militare e la forca perché era stato accusato di essere un tiranno saccheggiatore degli avidi emiri che governavano i giacimenti petroliferi della porta accanto.
Ahimè, i geni del cosiddetto “Empire First” sulle rive del Potomac non hanno capito niente di tutto questo. Il loro piano geniale era di sbarazzarsi sia dei jihadisti dell'ISIS che del regime di Assad allo stesso tempo. Ma nel tentativo di farlo hanno finito per creare due nuovi mostri militarizzati dalle dislocazioni economiche e dagli scontri tribali che sono derivati dalla stessa guerra civile che avevano scatenato.
Il precedente territorio controllato dall'ISIS in viola è ora controllato dalle milizie curde SDF (Syrian Democratic Forces) finanziate dagli Stati Uniti. Queste ultime sono il nemico mortale del presunto alleato NATO di Washington, la vicina Turchia, la quale combatte i curdi da decenni.
Infatti, a causa di questa minaccia, la Turchia ha sostenuto e finanziato l'SNA (Esercito Nazionale Siriano) anti-curdo, il quale occupa le terre di confine in giallo. Qualche anno fa l'SNA si chiamava FSA (Esercito Siriano Libero), un'idea sostenuta e gestita dalla CIA e del defunto senatore John McCain, il quale non ha mai incontrato un Paese in Medio Oriente che non desiderasse invadere e occupare.
Nel frattempo neanche i jihadisti erano stati eliminati, come aveva trionfalmente affermato Trump quando Washington aveva bombardato Raqqa e le aree circostanti nel 2017, e aveva anche finito il suo leader terrorista, Abu Bakr al-Baghdadi, nel 2019. Come l'SNA il contingente jihadista si era semplicemente trasformato. Due volte.
Quello che oggi è HTS (Hay'at Tahrir al-Sham), che apparentemente controlla il corridoio rosso da Aleppo fino a Damasco, era precedentemente noto come Fronte Nusra. Questo quando il suo attuale leader, Abu Mohammad al-Julani, era un jihadista. Nel 2011 era stato inviato nella Siria orientale per fomentare una rivolta dal suo mentore e terrorista, il già citato al-Baghdadi. Entrambi erano laureati in quella scuola di formazione carceraria per jihadisti sunniti a Camp Bucca in Iraq, in seguito soprannominata “Washington's Jihadi University”. Questa mostruosità da 20.000 prigionieri era stata fondata dai proconsoli di Washington dopo la caduta di Saddam come parte della folle campagna di de-batificazione nel 2003.
Alla fine del decennio scorso Washington aveva inasprito la sua campagna di liberazione dell'Iraq e stava tentando di liberarsi dalla sua fallita disavventura militare multimiliardaria. Di conseguenza si impegnò a svuotare suddetta prigione sovraffollata in quella che è diventata nota come la “Grande liberazione carceraria del 2009”, rimettendo in libertà 5.700 detenuti di massima sicurezza dalla prigione di Bucca. Tra questi c'erano Baghdadi e Julani.
Mentre il primo organizzava e guidava la rivolta sunnita a Mosul e nella provincia di Anbar nell'Iraq occidentale, il Fronte al-Nusra fu fondato come entità separata in Siria da al-Julani. Inizialmente era una propaggine di al-Qaeda in Iraq, ma nell'aprile 2013 al-Baghdadi annunciò che il Fronte al-Nusra si era fuso con l'ISIS per formare lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL).
Tuttavia al-Julani e il Fronte al-Nusra rifiutarono questa fusione e presero strade separate, assumendo il ruolo di forza jihadista indipendente con base nella Siria occidentale e roccaforti a Idlib e Aleppo. In seguito il suo Fronte al-Nusra guidò la conquista di questa regione nel 2015 sotto la bandiera di Jaish al-Fatah (l'Esercito della Conquista). Quest'ultimo fu, a sua volta, descritto all'epoca dalla rivista Foreign Policy come una “sinergia” di jihadisti e armi occidentali.
Anni dopo il funzionario statunitense Brett McGurk non esitò a definire la base di Idlib di al-Julani come “il più grande rifugio sicuro di Al-Qaeda sin dall'11 settembre”. Naturalmente il ruolo cruciale delle armi e degli aiuti strategici statunitensi nel favorire questo successo jihadista non venne menzionato.
Allora perché gli USA hanno fornito armamenti al Fronte al-Nusra? Un rapporto della Defense Intelligence Agency (DIA) dell'agosto 2012, scritto sotto gli auspici del generale Michael Flynn, fece uscire la verità: i neoconservatori e gli egemonisti di Washington avevano deciso di sostenere l'istituzione di un “principato salafita” nella Siria orientale e nell'Iraq occidentale come parte dello sforzo per deporre il presidente Bashar al-Assad e dividere il Paese.
Il rapporto della DIA affermava che l'obiettivo degli Stati Uniti era un mini-stato religioso del tipo istituito in seguito dall'ISIS come suo “califfato”, pur ammettendo che la cosiddetta rivoluzione siriana che cercava di rovesciare il governo di Assad era guidata da “salafiti, Fratelli Musulmani e al-Qaeda”.
Infatti, come indicato sopra, i semi di questo principato salafita erano stati piantati quando l'allora leader dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, aveva inviato Julani in Siria nell'agosto 2011. Il famoso giornalista libanese, Radwan Mortada, che era incorporato con i combattenti di Al-Qaeda dal Libano in Siria, incontrò Julani nella città centrale siriana di Homs in quel periodo. Mortada informò i suoi lettori che Julani era ospitato dalle Brigate Farouq, una fazione dell'FSA con sede nella città, e che era un gruppo salafita settario che includeva combattenti che avevano combattuto per al-Qaeda in Iraq dopo l'invasione statunitense del 2003.
Pochi mesi dopo Julani e i suoi combattenti entrarono in guerra contro il governo siriano eseguendo molteplici attacchi terroristici. A Damasco, nel dicembre 2011, Julani inviò attentatori suicidi per colpire la Direzione generale della sicurezza del governo siriano, uccidendo 44 persone, tra cui civili e personale di sicurezza. Due settimane dopo, nel gennaio 2012, Julani inviò un altro attentatore suicida per far esplodere degli esplosivi vicino a un autobus nel distretto di Midan a Damasco, uccidendo circa 26 persone.
Questi fatti sanguinosi, che coincidono con la fondazione del “Fronte di supporto al popolo del Levante”, o Fronte al-Nusra, furono rivelati dopo che al giornalista Mortada fu fornito un video in cui Julani e altri uomini mascherati annunciavano l’esistenza del gruppo e rivendicavano la responsabilità degli attacchi. Questa è quindi la discendenza del leader e del gruppo che presumibilmente ha “liberato” la Siria dalle grinfie della famiglia Assad.
In ogni caso, quando l'epicentro dell'ISIL con sede a Raqqah fu demolito dopo il 2017, il Fronte al-Nusra resistette, cambiando il suo nome in Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nell'ottobre 2017. Questo rebranding faceva parte di uno sforzo per prendere le distanze da al-Qaeda e ristrutturare il gruppo fondendosi con diverse altre fazioni jihadiste.
Per diversi anni HTS è rimasta confinata nella sua ristretta base territoriale di Idlib, anche se assalita da continui attacchi da parte delle forze di Assad e dei suoi alleati russi nella zona.
Tuttavia al-Julani ha resistito, reinventando sé stesso di recente come Ahmed al-Sharaa, che è il suo vero nome. Ora porta una barba ancora più corta rispetto alla seconda foto qui sotto e a volte indossa persino una cravatta, mentre afferma di essere un “amico della diversità” di tutti i siriani: cristiani, alawiti, drusi ecc. Vale a dire, gli stessi ex-nemici infedeli del Califfato che in precedenza al-Julani aveva decretato di dover mandare a morte per antico ordine dello stesso Profeta.
In breve, la Siria è ora destinata a diventare un caos ben peggiore di quello della Libia dopo la sua liberazione da parte di Hillary Clinton nel 2011. Come è evidente da quanto sopra, è necessario un elenco di giocatori per iniziare a comprendere la follia che si sta svolgendo lì, ma la sempre astuta Moon of Alabama ha riassunto lo stato delle cose nel miglior modo possibile:
Ora è altamente probabile che il Paese crollerà. Attori esterni e interni cercheranno di catturare e/o controllare quante più parti del cadavere possibile.
Ne seguiranno anni di caos e conflitti.
Israele sta prendendo un'altra grande quantità di terra siriana. Ha preso il controllo della città siriana di Quneitra, insieme alle città di Al-Qahtaniyah e Al-Hamidiyah nella regione di Quneitra. È anche avanzato nel monte Hermon siriano e ora è posizionato a soli 30 chilometri dalla capitale siriana.
Sta inoltre smilitarizzando la Siria bombardando ogni sito di stoccaggio militare nel suo raggio d'azione. Le posizioni di difesa aerea e le attrezzature di sollevamento sono i suoi obiettivi principali. Per anni a venire la Siria, o qualsiasi cosa possa evolversi da essa, sarà completamente indifesa contro gli attacchi esterni.
Israele è per ora il grande vincitore in Siria, ma con gli inquieti jihadisti ora proprio sul suo confine, resta da vedere per quanto tempo durerà.
Gli USA stanno bombardando il deserto centrale della Siria. Sostengono di colpire l'ISIS, ma il vero obiettivo è qualsiasi resistenza locale (araba) che potrebbe impedire una connessione tra l'Est della Siria controllato dagli USA e il Sud-ovest controllato da Israele. Potrebbero esserci dei piani per costruire ulteriormente questa connessione in un Eretz Israel, uno stato controllato dai sionisti “dal fiume al mare”.
La Turchia ha avuto e ha un ruolo importante nell'attacco alla Siria. Sta finanziando e controllando l'Esercito nazionale siriano (in precedenza Esercito siriano libero) e che sta principalmente usando per combattere i separatisti curdi in Siria.
Ci sono circa 3-5 milioni di rifugiati siriani in Turchia che l'aspirante sultano Erdogan vuole, per ragioni di politica interna, far tornare in Siria. Il caos in evoluzione non lo permetterà.
La Turchia aveva nutrito e spinto Hayat Tahrir al-Sham, derivato da al-Qaeda, a prendere Aleppo. Non si aspettava che andasse oltre. La caduta della Siria sta diventando un problema per la Turchia, poiché gli Stati Uniti ne stanno prendendo il controllo. Washington cercherà di usare HTS per i propri interessi che, detto con moderazione, non sono necessariamente compatibili con qualsiasi cosa la Turchia voglia fare.
Un obiettivo primario per la Turchia sono gli insorti curdi in Turchia e il loro sostegno da parte dei curdi in Siria. Organizzati come SDF, i curdi sono sponsorizzati e controllati dagli Stati Uniti. SDF sta già combattendo SNA di Erdogan e qualsiasi ulteriore intrusione turca in Siria sarà affrontata da loro.
SDF, supportato dall'occupazione statunitense della Siria orientale, ha il controllo dei principali giacimenti di petrolio, gas e grano nell'Est del Paese. Chiunque voglia governare a Damasco avrà bisogno di accedere a quelle risorse per poter finanziare lo stato.
Nonostante abbia una taglia da $10 milioni sulla sua testa, il leader di HTS, Abu Mohammad al-Golani, è attualmente descritto dai media occidentali come il nuovo leader unificante e tollerante della Siria. Ma HTS è di per sé una coalizione di jihadisti intransigenti provenienti da vari Paesi. C'è poco da saccheggiare in Siria e non appena quelle risorse saranno esaurite, inizieranno i combattimenti all'interno di HTS. Al-Golani riuscirà a controllare gli impulsi settari dei suoi compagni quando questi inizieranno a saccheggiare i santuari sciiti e cristiani di Damasco?
Negli ultimi anni la Russia ha investito meno nel governo di Assad di quanto sembrasse. Sapeva che Assad era diventato un partner per lo più inutile. La base russa nel Mediterraneo a Khmeimim nella provincia di Latakia è il suo trampolino di lancio verso l'Africa. Ci saranno pressioni da parte degli Stati Uniti su qualsiasi nuova leadership in Siria per cacciare i russi. Tuttavia, qualsiasi nuova leadership in Siria, se intelligente, vorrà tenere i russi dentro. Non è mai male avere una scelta alternativa se alla fine ce ne fosse bisogno. La Russia potrebbe benissimo rimanere a Latakia per anni a venire.
Con la caduta della Siria, l'Iran ha perso il principale anello del suo asse di resistenza contro Israele. Le sue difese avanzate, fornite da Hezbollah in Libano, sono ora in rovina.
Ma ecco la domanda cruciale: qual era esattamente il punto nel voler distruggere un piccolo Paese in gran parte senza sbocchi sul mare in Medio Oriente, con una popolazione di appena 20 milioni di persone, un PIL di soli $40 miliardi, un reddito pro capite di appena $2.000, nessuna risorsa naturale significativa oltre una miseria di 2,5 miliardi di barili di riserve di petrolio (pari a circa 30 giorni di produzione globale di petrolio), nessuna capacità siderurgica o industriale, nessun settore tecnologico, nessuna capacità di proiettare alcun potere militare oltre i propri confini e un settore dei consumatori così devastato dalle guerre civili istigate da Washington che le vendite totali di auto nel 2022 sono state di 478 unità?
Esatto. Nessuno!
In fin dei conti, nemmeno Washington è così stupido da sprecare $40 miliardi in questo fazzoletto di terra. Quello che è realmente successo qui è che, secondo i fanatici della dottrina “Empire First”, Assad doveva essere rimosso perché aveva gli alleati sbagliati e i vicini sbagliati. La demonizzazione della sua tirannia era solo una storia di copertura per il vero obiettivo: indebolire il suo alleato iraniano.
In quanto minoranza alawita, che è una branca dell'Islam sciita, Assad si era allineato con i suoi parenti sciiti a Teheran e aveva permesso che il territorio siriano venisse utilizzato da questi ultimi per trasportare armi e materiali agli alleati iraniani di Hezbollah nel Libano meridionale, il che rientrava pienamente nei suoi diritti sovrani, soprattutto perché Hezbollah aveva svolto un ruolo di primo piano nel governo di coalizione del Libano. Quindi distruggere quel nesso sciita è stata la vera ragione della guerra implacabile di Washington contro Assad e del suo incessante abbraccio e finanziamento di tutti i detriti e i rottami sgradevoli che filtravano dalla devastante guerra civile siriana.
Non esiste che la sicurezza interna dell'America fosse stata messa in pericolo dall'alleanza sciita Iran-Siria-Hezbollah, o dal fatto che uno stato sovrano membro di quell'alleanza (la Siria) abbia permesso che il suo territorio fosse utilizzato per trasportare armi e materiale. L'unica possibile ragione per la follia ventennale di Washington in Siria, quindi, è la proposizione che l'Iran sia una minaccia esistenziale per la libertà e la sicurezza della patria americana... a 6.400 miglia da Teheran.
È una barzelletta assurda, tanto per usare un eufemismo. Il PIL iraniano di $400 miliardi equivale a solo l'1,5% o cinque giorni di PIL degli Stati Uniti. Allo stesso modo, il suo budget militare di $25 miliardi è solo il 2,5% del mostro da $1.000 miliardi domiciliato al Pentagono.
La piccola Marina iraniana è composta per lo più da 67 motovedette costiere e imbarcazioni d'attacco veloci, nessuna delle quali può operare molto al di fuori del Golfo Persico. Inoltre non ha aerei a lungo raggio e il suo missile a più lungo raggio, il missile da crociera Soumar, non è nucleare e ha una gittata massima di 1850 miglia. Vale a dire, riesce a malapena a raggiungere il bacino del Mediterraneo e non riesce nemmeno a raggiungere città europee come Parigi, Berlino, Copenaghen, Londra, Stoccolma o Oslo, per non parlare di quelle che si trovano dalla nostra parte del fossato atlantico.
Infine l'Iran non è una potenza nucleare canaglia o una minaccia nucleare intenzionale, nemmeno secondo le 17 agenzie di intelligence dello Stato profondo che scrivono i cosiddetti NIE o National Intelligence Estimates. Questi hanno detto più e più volte che l'Iran ha abbandonato persino il suo programma di ricerca nucleare nel 2003, ha rispettato alla lettera l'accordo nucleare di Obama prima che Trump lo abbandonasse unilateralmente nel 2018, e anche ora sta solo arricchendo modeste quantità di uranio a livelli legali, come è sua prerogativa in quanto firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare.
In breve, l'Iran è la pignatta politica di Bibi Netanyahu, non un nemico della libertà e della sicurezza dell'America.
Se Washington non si fosse occupata dell'Impero al primo posto e, soprattutto, non si fosse lasciata trascinare, da alleati e clienti, in conflitti che non hanno alcuna attinenza diretta con la sicurezza della sua patria, Washington avrebbe sempre seguito il consiglio di Thomas Jefferson: perseguire un commercio pacifico con l'Iran e la Siria, anziché punirli con sanzioni paralizzanti e infiniti attacchi alla loro sovranità e al loro diritto di perseguire accordi di politica estera secondo i loro principi.
Cosa farebbe oggi una legittima politica estera improntata al principio “America First”?
Semplice: chiuderebbe le basi in Medio Oriente, rimanderebbe la Quinta Flotta al porto di origine in America, toglierebbe le sanzioni all'Iran e alla Siria, e riprenderebbe il commercio pacifico con tutte le nazioni disponibili nella regione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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La vera democrazia può essere solo la libertà
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/la-vera-democrazia-puo-essere-solo)
Con l'avvento della democrazia rappresentativa più di un secolo fa nella maggior parte dell'Occidente, la credenza popolare era che il “governo dei pochi” sarebbe stato relegato nella pattumiera della storia. Ciò non è mai accaduto, ovviamente, come è diventato più chiaro ai “molti” nel corso dei decenni. Infatti l'oligarchia occidentale al potere è diventata più visibile di prima, troppo sfacciata nei suoi tentativi d'imporre la sua agenda globalista al mondo.
L'illusione della democrazia rappresentativa è svanita anche con il peggioramento delle condizioni sociali ed economiche in Occidente. Da un lato, le politiche monetarie e di immigrazione che sono state implementate a lungo termine e senza legittimità democratica stanno influenzando il tessuto stesso delle società occidentali. Dall'altro, il processo democratico stesso ha contribuito alla crescita dell'interventismo statale per oltre un secolo, con effetti disastrosi.
Per queste ragioni la democrazia rappresentativa non può certamente essere associata alla libertà, nonostante quanto si possa credere a livello popolare. Farlo significherebbe che l'essenza della libertà, vale a dire la protezione dei diritti di proprietà, viene spinta in secondo piano. La democrazia non è un baluardo contro la violazione della proprietà privata, è l'esatto contrario. Come scrisse Ludwig von Mises in Nation, State and Economy (1919): “La democrazia è il mezzo migliore per realizzare il socialismo”.
La realtà è che il sistema politico noto come democrazia rappresentativa non è “democratico” nel senso etimologico di “governo del popolo”. Un autentico governo del popolo non potrà mai essere raggiunto da un sistema politico. L'unico modo in cui il popolo può governare è quando ogni sua singola unità è libera politicamente ed economicamente. Questa dovrebbe essere la vera definizione di “democrazia”.
La vera democrazia è il diritto all'autodeterminazione
Dal punto di vista politico il governo del popolo può significare solo il diritto all'autodeterminazione. Mises lo definì in questo modo: “La democrazia è autodeterminazione e autogoverno [...]. Non è il diritto all'autodeterminazione di un'unità nazionale delimitata, ma il diritto degli abitanti di ogni territorio a decidere circa lo stato a cui desiderano appartenere”.
In altre parole, gli individui dovrebbero avere il diritto di secedere da uno stato, politicamente e legalmente, se lo desiderano. Quindi la vera “democrazia” significa anche il diritto alla secessione; la libertà politica aumenta per qualsiasi minoranza, regione o città a cui è consentito decidere di non essere governata da un particolare stato-nazione.
La secessione potrebbe portare all'indipendenza dell'unità secessionista. Tale e completa autodeterminazione, in particolare a livello regionale o comunale, rappresenterebbe un passo importante verso la libertà per gli interessati, perché gli stati più piccoli sono generalmente più liberi e più ricchi di quelli più grandi, come dimostra il caso del Liechtenstein.
La transizione verso tale autodeterminazione da società controllate centralmente non è, ovviamente, semplice. Un primo passo potrebbe essere un aumento del sostegno al principio di sussidiarietà e decentramento fiscale.
La secessione effettiva porterebbe probabilmente a questioni spinose tipo la risoluzione delle rivendicazioni legate alla proprietà privata e al possibile trasferimento volontario di individui che rifiutano la secessione. Un grande ostacolo è quello politico poiché, anche se le secessioni accadono, tali iniziative sono solitamente respinte dallo stato di controllo, anche nelle “democrazie” rappresentative. E quando hanno successo, è spesso con il sostegno egoistico di forze politiche esterne.
La vera democrazia è il libero mercato
Dal punto di vista economico il governo del popolo può esistere solo nel libero mercato, dove gli scambi avvengono senza alcuna interferenza da parte dello stato. Questo è ciò che Mises chiamava, in Human Action (1949), la “democrazia del mercato”.
È l'intervento dello stato nel mercato che conferisce potere politico alla minoranza dominante e limita in innumerevoli modi lo sviluppo e il progresso della società, non da ultimo a livello individuale. La maggioranza può quindi avere più influenza sulla direzione della società solo attraverso una limitazione di questo potere politico. Un aumento della libertà (vale a dire uno scambio più volontario e non forzato) richiede quindi la riduzione del potere dello stato sulla società.
Il libero mercato è l'unico ordine sociale basato sulla sovranità popolare intesa come diritto di scelta. Solo l'economia di libero mercato consente che le scelte di milioni di individui siano prese in considerazione, non una volta ogni pochi anni alle urne, ma ogni giorno, innumerevoli volte al giorno per ogni individuo. Come scrisse Mises: “Il capitalismo è il compimento dell'autodeterminazione dei consumatori”. La vera democrazia può quindi esistere solo nel libero mercato.
Conclusione
Queste due descrizioni della vera democrazia, vale a dire, come diritto alla secessione e come libero mercato, rappresentano due facce della stessa medaglia: l'autodeterminazione dell'individuo a livello politico ed economico. La vera democrazia può, quindi, essere solo libertà, nel senso di assenza di intervento statale nella società.
È chiaro che la realizzazione di una democrazia reale di questo tipo, in qualsiasi luogo oggi, sarebbe a dir poco difficile. Infatti potrebbe non realizzarsi nelle forme pure descritte sopra. Tuttavia, anche da un punto di vista pragmatico, un più ampio riconoscimento dei principi e dei benefici dell'autodeterminazione è diventato assolutamente necessario.
L'impasse statalista e il malessere sociale in cui si trovano attualmente le società occidentali rendono urgente una tale comprensione, in virtù soprattutto della restrizione della circolazione delle idee di libertà a causa della propaganda statalista prevalente.
Con il peggioramento delle condizioni economiche e politiche, diventerà quindi più probabile che una crisi importante o una violenza politica (o entrambe) rendano popolare l'idea che la vera democrazia possa essere solo libertà. I tempi attuali, fatti di incertezza, rappresentano un rischio di controllo dall'alto ancora più stretto, ma anche un'opportunità di libertà che dovrebbe essere colta.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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La debacle siriana
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-debacle-siriana)
Circa 17 anni fa l'ex-generale Wesley Clark disse quanto segue in un discorso tenuto al Pentagono: “Questo è un promemoria che descrive come elimineremo sette Paesi in cinque anni, iniziando dall'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e, per finire, l'Iran”.
Bene, ci sono voluti diversi anni in più, ma ora sei dei sette Paesi menzionati in quel famoso promemoria sono stati gettati nel caos più totale, dove barcollano in giro per il Medio Oriente e il Nord Africa come stati falliti e sorgenti di barbarie, criminalità e terrorismo. E la cosa assurda è che ognuna di queste calamità è stata il risultato di una linea di politica intenzionale partorita dalle rive del Potomac.
Quindi se c'è bisogno di altre prove che la Washington imperiale abiti in un manicomio, la Siria è sicuramente una di queste. Ora diventerà l'ennesima terra di nessuno dominata dai signori della guerra, presa nel mirino delle manovre dei suoi vicini: Turchia, Iran, Israele, Russia e Stati Uniti.
Forse la follia che si sta sviluppando e che sta ora travolgendo la Siria dimostrerà finalmente che una linea di politica “Empire First” è stata una catastrofe e deve essere abbandonata una volta per tutte. Per delineare il quadro di quel tanto atteso ritorno a una linea di politica “America First”, torniamo a un'immagine pubblicata cinque anni fa. Durante la sua prima volta in battuta, Trump fece un tiepido tentativo di riportare a casa qualche centinaio di truppe e di porre fine agli interventi multifrontali e alle intromissioni di Washington in una piccola terra con 20 milioni di persone, un PIL di soli $40 miliardi, un reddito pro capite di appena $2.000, nessuna risorsa naturale significativa, o capacità industriale, e nessuna capacità di proiettare alcun potere militare oltre i propri confini.
In breve, non c'era un singolo attributo di questo angolo travagliato del Levante che avesse alcun peso sulla sicurezza nazionale americana. Tuttavia Trump venne duramente rimproverato dal blob dell'Unipartito a Capitol Hill per aver implicitamente riconosciuto l'ovvio:
Con un voto di 354 a 60 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha dimostrato che Washington è dipendente dalla guerra e che il livello di ignoranza, bellicosità e mendacia tra i rappresentanti del popolo ha raggiunto livelli spaventosi.
Dopo che Washington ha fomentato la disastrosa guerra civile siriana, la folla bipartisan al Congresso ha avuto il coraggio di votare per mantenere le forze statunitensi nel mezzo di un conflitto curdo/turco vecchio di secoli e che ha implicazioni pari a zero per la sicurezza della patria americana.
Il pretesto, ovviamente, è che il califfato dell'ISIS tornerà in vita in assenza della resistenza armata delle forze curde-SDF posizionate nel quadrante nord-orientale della Siria; e da queste città, villaggi, fattorie e pianure polverose bombardate ed impoverite, la bandiera nera dell'ISIS attaccherà le metropolitane di New York City.
Ci vuole tanto a capire che si tratta di baggianate? Se la Siria tornerà unita, lo Stato Islamico non avrà alcuna possibilità di rinascere. E lasciare che la Siria torni integra è esattamente lo scopo e la conseguenza della coraggiosa decisione di Trump di rimuovere le forze americane dal confine tra Siria e Turchia.
Gli sciocchi dell'apparato di sicurezza nazionale di Biden non avevano intenzione di lasciare che la Siria tornasse di nuovo integra. Invece hanno continuato a fare pressione sul governo di Assad tramite sanzioni economiche, continua occupazione militare delle province siriane produttrici di petrolio e grano a est, e aiuti militari a una serie eterogenea di cosiddette forze ribelli, tra cui le milizie curde SDF che occupano una striscia lungo il confine settentrionale e sono il nemico mortale, beh, del partner NATO di Washington, la Turchia.
In ogni caso, la foto sopra menzionata era la nuvola di fumo sottostante, opera di una coppia di F-15 americani. Questi intrusi non invitati nello spazio aereo sovrano della Siria avevano bombardato un grande deposito di munizioni che le forze statunitensi avevano lasciato dietro di sé, dopo aver frettolosamente abbandonato il territorio controllato dalle SDF vicino a Kobani, al confine tra Siria e Turchia.
Lo scopo, come spiegato all'epoca, era di assicurare che queste munizioni non finissero in mani ostili, vale a dire, nelle mani dell'Esercito Nazionale Siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia. Quel branco di bruti era stato precedentemente chiamato Esercito Siriano Libero (FSA) ed era stato creato dalla CIA per rovesciare Assad dopo la cosiddetta Primavera araba del 2011.
Né c'erano dubbi sulla sponsorizzazione dell'FSA da parte di Washington. Infatti avrebbe dovuto chiamarsi John McCain Memorial Brigade, poiché sotto il suo mandato legislativo era stata addestrata, pagata e sostenuta dalla CIA.
Quindi, per chiarire la storia, Trump stava bombardando un deposito di armi degli Stati Uniti in modo che non cadesse nelle mani delle “forze ostili” che il senatore McCain e la CIA avevano creato! E ciò stava accadendo mentre Trump veniva rimproverato dai guerrafondai dell'Unipartito a Capitol Hill per aver cercato di mettere un piccolo distaccamento di militari statunitensi fuori pericolo in un Paese che non aveva alcuna implicazione per la sicurezza nazionale!
Ora, cinque anni dopo, quelle stesse “forze ostili” (l'SNA) si sono unite ai resti di al Qaeda (nata Fronte al-Nusra), che ultimamente si era ribattezzata per la terza volta con il nome di HTF (Hayat Tahrir al-Sham). Insieme sono riusciti a rovesciare un regime a Damasco che non aveva mai rappresentato una minaccia di alcun tipo per la sicurezza nazionale americana.
Nel 2019 la situazione era molto diversa. Questi briganti della Brigata McCain, nota anche come SNA, avevano attaccato gli alleati curdi di Washington nelle suddette Forze di difesa siriane (SDF), che erano state anch'esse finanziate da Washington.
Inoltre l'SNA era sempre stato composto da bucanieri, criminali, mercenari e jihadisti che indossavano le stesse uniformi principalmente a causa dei miliardi di denaro sporco di Washington; diventati mercenari a pagamento principalmente perché la folle linea di politica di Washington di “Cambio di Regime” a Damasco aveva distrutto l'economia civile siriana e l'aveva trasformata in un pozzo avvelenato di signori della guerra.
Detto in altri termini, senza l'infinita paga e fornitura di armi da parte di Washington, la Brigata McCain e i suoi eredi e assegnatari (SNA) non sarebbero esistiti nel 2019 o nel 2024. E non avrebbero attaccato e giustiziato i soldati delle SDF curde di Washington allora, né avrebbero saccheggiato uno stato completamente fallito oggi.
Certo, all'epoca il Partito della Guerra e i suoi megafoni mediatici erano in pieno fermento. Il New York Times dipinse le Brigate McCain come i più oscuri dei cattivi, che in questo caso probabilmente lo erano, nonostante John McCain e la sua rete Deep State avessero sperperato miliardi allo scopo di attaccare il legittimo governo di Damasco con il pretesto di combattere l'ISIS.
[...] Chiamata impropriamente Esercito Nazionale Siriano, questa coalizione di milizie sostenute dalla Turchia è in realtà composta in gran parte dalla feccia del fallito movimento ribelle del conflitto durato otto anni [...]. All'inizio della guerra l'esercito e la CIA cercarono di addestrare ed equipaggiare ribelli moderati e affidabili per combattere il governo e lo Stato Islamico [...]. Alcuni di coloro che ora combattono nel Nord-est presero parte a quei programmi falliti, ma la maggior parte fu respinta perché troppo estremista o troppo criminale.In ogni caso, solo poche settimane prima il governo siriano ad interim si era riunito, riunendo 41 diverse fazioni sotto il neo-battezzato SNA o “Esercito nazionale siriano”. Così facendo elesse Abdurrahman Mustafa come presidente e Salim Idriss come ministro della difesa.
Queste brave persone sono ritratte qui sotto durante l'inaugurazione dell'Esercito siriano libero (FSA) insieme al senatore McCain nel 2013:
Salim Idriss chiarì le ambizioni del nuovo governo provvisorio siriano quando, durante una conferenza stampa, dichiarò che uno dei suoi scopi principali era quello di combattere le SDF sponsorizzate da Washington o la milizia del PYD/PKK curdo: “Combatteremo tutte le organizzazioni terroristiche, in particolare l'organizzazione terroristica PYD/PKK”.
Proprio così: Idriss aveva fatto carriera scuotendo l'albero dei soldi e degli sponsor di Washington e non aveva mai nascosto il suo acerrimo programma anti-curdo. Eppure, all'improvviso, gli idioti all'interno della Beltway ebbero un'amnesia e rimasero scioccati dal fatto che stesse guidando l'attacco contro i curdi/SDF di Washington.
In altre parole, Washington aveva seminato i semi del caos settario in Siria e ora stava versando lacrime di coccodrillo per una delle vittime della sua follia. Eppure un'analisi favorevole alla Turchia di questa nuova opposizione unificata (vale a dire le forze che attaccavano i curdi) mostrava che queste fazioni erano state coinvolte nella guerra civile siriana in tutti i punti cardinali, alimentate principalmente da denaro, materiali e armi fornite da Washington.
Di conseguenza 11 di queste fazioni, 41 in totale, combatterono battaglie contro Hayat Tahrir al-Sham (HTS) o il vecchio Fronte Al-Nusra. Ma per arrivare rapidamente a oggi, ora sono in una tacita alleanza con HTS, fazione ha guidato il recente rovesciamento di Assad.
Altre 27 delle 41 fazioni erano state precedentemente impegnate nella lotta contro DAESH/ISIS; 30 fazioni avevano combattuto il regime di Assad e 31 avevano combattuto contro YPG/SDF!
Proprio così: la maggior parte delle 41 fazioni che si unirono nel 2019 e che ora operano sotto la bandiera dell'Esercito nazionale siriano (SNA) aveva combattuto i curdi armati da Washington, insieme a praticamente tutti gli altri.
Inoltre almeno 21 delle fazioni accorpate nell'Esercito nazionale siriano erano state precedentemente finanziate e armate da Washington.
Ma ecco il punto: solo 3 di loro avevano ricevuto aiuto tramite il programma del Pentagono per combattere DAESH/ISIS. Al contrario, 18 di queste fazioni erano state rifornite dalla CIA tramite la cosiddetta MOM Operations Room in Turchia.
Quest'ultima era un'operazione di intelligence congiunta degli “Amici della Siria”. Fu organizzata con lo scopo esplicito di supportare l'opposizione armata ad Assad e l'allora legittimo governo di Damasco. Quattordici fazioni delle 28 erano anche destinatarie di missili guidati anticarro TOW forniti da Washington, letali e costosi da usare.
Eppure, al momento della reprimenda di Trump al Congresso nel 2019, il NYT voleva farci credere che i 70.000-90.000 teppisti armati che erano stati schierati sotto l'Esercito nazionale siriano erano semplicemente degli emarginati e dei disadattati che si erano uniti spontaneamente e che Washington non c'entrava nulla!
Infatti i fatti sul campo erano così maledettamente ovvi che era chiaro che la Città Imperiale e i suoi megafoni mediatici stavano mentendo, con le evidenti contraddizioni e bugie che uscivano dalle labbra di ogni factotum e fattorino del Partito della Guerra quando Trump tentò senza successo di staccare la spina alle forze di terra americane in Siria.
Una di queste menzogne era la ridicola affermazione secondo cui l'azione di Trump fosse un segnale per i resti disorganizzati dell'ISIS di riconquistare il territorio nella Siria settentrionale e orientale da cui erano stati recentemente cacciati. Ma per l'amor del cielo, l'unica ragione per cui il califfato si impiantò nella regione dimenticata da Dio della Siria orientale fu che Washington e gli stati petroliferi avevano impedito al governo siriano e ai suoi alleati di sorvegliare e proteggere il proprio territorio; e di salvaguardare i magri giacimenti petroliferi della Siria nel Nord-est, che per un breve periodo di tempo l'ISIS aveva saccheggiato per finanziare le sue pretese di essere uno stato con un esercito.
Ma come mostra la mappa qui sotto, il califfato era scomparso da tempo. E i resti delle forze jihadiste affiliate a Idlib (area viola) si sarebbero incontrati presto con le loro 13 vergini, una volta che Trump avesse dato il via libera al governo siriano e ai suoi alleati russo/iraniani di finirli.
Altrettanto importante, tutto il tormento per i curdi era ampiamente esagerato. Avevano fatto il loro patto con Assad. Nel completare la riconquista e l'unificazione del suo Paese, aveva tutte le ragioni per rispettare l'accordo dato che aveva già ristabilito il controllo militare siriano nelle città strategiche al confine turco.
Inoltre l'obiettivo della Turchia era l'istituzione di una “zona sicura” simboleggiata dai segni bianchi sulla parte della Siria allora controllata dai curdi (area blu). Lo scopo era quello di spostare YPG/SDF armate dagli USA a 20 miglia nell'entroterra dal suo confine, dato che, a ragione o a torto, Erdogan considera il separatismo curdo e l'insurrezione armata una minaccia esistenziale per lo stato turco.
In ogni caso, nel giro di pochi giorni YPG/SDF si erano ritirate dalla zona sicura, consentendo così alla Turchia di sospendere definitivamente l'attacco e di riutilizzare il corridoio come area di sosta e di smistamento per il rimpatrio di circa 3,6 milioni di siriani fuggiti nei campi profughi in Turchia.
Infatti gli accordi stipulati dietro le quinte avevano già aperto la strada a una pacificazione sostenibile della Siria per la prima volta da quando Washington e i suoi alleati l'avevano aggredita durante la Primavera araba del 2011:
• Nell'estate del 2019 Trump annunciò l'intenzione di ritirare le truppe statunitensi da tutta la Siria, a partire dal Rojava, a condizione esplicita di interrompere la linea di comunicazione tra Iran e Libano.
• La Turchia si prese questo impegno in cambio dell’occupazione militare della striscia di confine siriana, dalla quale altrimenti l’artiglieria “terroristica” YPG avrebbe potuto bombardarla.
• La Russia dichiarò di non sostenere lo stato armato YPG/SDF di Rojava e avrebbe accettato l'intervento turco se alla popolazione cristiana fosse consentito di tornare nella sua terra, una condizione alla quale la Turchia acconsentì.
• La Siria indicò che non avrebbe respinto un'azione turca nella zona sicura se avesse potuto liberare un territorio equivalente nel governatorato di Idleb. La Turchia accettò.
• L'Iran dichiarò che, pur disapprovando l'intervento turco, sarebbe intervenuto solo a vantaggio degli sciiti e non era interessato al destino del nascente stato curdo di Rojava.
E tuttavia, come vedremo mercoledì, tutto è andato in frantumi sotto l'amministrazione Biden per una semplice ragione: i neocon guerrafondai non riuscivano a tollerare le azioni di Trump e del suo presunto sosia, Vlad Putin.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Geopolitica sottomarina
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/geopolitica-sottomarina)
La costruzione di cavi sottomarini ha portato alla luce un problema nascosto ma cruciale: la manipolazione dei protocolli che controllano il modo in cui i dati viaggiano sotto il mare. Questi protocolli determinano i percorsi che prendono i dati di Internet, influenzando velocità, costi e persino esposizione alla sorveglianza. Anche piccoli cambiamenti in questi percorsi possono far pendere l'equilibrio globale del potere digitale. Il ruolo crescente della Cina in quest'area dimostra come la tecnologia possa essere utilizzata strategicamente per rimodellare la geopolitica.
Al centro di questo problema c'è una tecnologia chiamata Software-Defined Networking (SDN). SDN consente di gestire e ottimizzare il traffico dati in tempo reale, migliorandone l'efficienza, ma questa stessa flessibilità rende SDN vulnerabile all'uso improprio. Le aziende tecnologiche cinesi come HMN Tech (ex Huawei Marine Networks), ZTE e China Unicom stanno aprendo la strada allo sviluppo di SDN. La Cina ha anche influenza nelle organizzazioni internazionali che stabiliscono le regole per queste tecnologie, come l'International Telecommunication Union (ITU) e l'Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE). Questa influenza dà alla Cina una grande mano nel dare forma agli standard e alla governance globali.
L'Africa è un esempio eccellente per capire come si manifesta questa influenza. Gli investimenti cinesi nelle infrastrutture digitali in tutto il continente sono enormi. Ad esempio, il cavo PEACE (Pakistan and East Africa Connecting Europe), che collega l'Africa orientale all'Europa, è stato progettato per evitare il territorio cinese. Tuttavia, grazie alla tecnologia SDN, il suo traffico può ancora essere reindirizzato tramite punti controllati dalla Cina. Questo reindirizzamento potrebbe introdurre ritardi di 20-30 millisecondi per salto, non molto per la navigazione occasionale, ma un problema serio per attività sensibili alla latenza come il trading finanziario o la comunicazione crittografata.
Nel Sud-est asiatico rischi simili sono evidenti. Il Southeast Asia-Japan Cable (SJC), che collega Singapore al Giappone, si basa su diverse stazioni di atterraggio influenzate dalla Cina. Durante un periodo di forti tensioni nel Mar Cinese Meridionale, alcuni dati destinati al Giappone sono stati misteriosamente instradati attraverso l'isola di Hainan, sotto la giurisdizione cinese. Tali casi suggeriscono che le decisioni tecniche di instradamento possono talvolta avere motivazioni politiche.
Questi esempi fanno parte di una strategia più ampia. Sfruttando SDN la Cina può trasformare i cavi sottomarini in strumenti di sorveglianza e controllo. Il traffico dati dall'Africa o dal Sud-est asiatico destinato all'Europa potrebbe essere segretamente reindirizzato attraverso Shanghai o Guangzhou, esponendolo alle tecniche di sorveglianza avanzate della Cina come l'ispezione approfondita dei pacchetti. Questa minaccia si estende al cloud computing, poiché i principali provider come Amazon Web Services (AWS), Microsoft Azure e Alibaba Cloud si affidano ai cavi sottomarini. Con SDN i provider cloud cinesi, allineati con gli interessi dello stato, potrebbero reindirizzare il traffico inter-cloud sensibile, mettendo a rischio quelle comunicazioni critiche.
La manipolazione delle rotte di dati globali conferisce a qualsiasi attore un notevole potere geopolitico. Ad esempio, in caso di crisi, la Cina potrebbe degradare o addirittura interrompere la connettività Internet per le nazioni rivali. Nello Stretto di Taiwan ciò potrebbe isolare quest'ultimo dai mercati globali, interrompendo le transazioni finanziarie e il commercio. In Africa, dove Huawei ha costruito una parte significativa dell'infrastruttura di telecomunicazioni del continente, erigendo circa il 70% delle reti 4G, c'è il timore che questa dipendenza possa creare vulnerabilità. Se dovessero sorgere tensioni politiche, la Cina potrebbe causare rallentamenti o interruzioni per rafforzare la dipendenza, rendendo i Paesi più vulnerabili negli scontri politici.
I numeri evidenziano la posta in gioco. I cavi sottomarini trasportano il 99% del traffico dati internazionale, ovvero oltre 1,1 zettabyte all'anno. Porzioni significative dei flussi di dati intra-Asia-Pacifico passano attraverso stazioni di atterraggio chiave dei cavi sottomarini, tra cui Hong Kong, che è sotto la giurisdizione cinese. Con le aziende cinesi sempre più coinvolte in progetti di cavi sottomarini globali, come quelli intrapresi da HMN Technologies, sta crescendo l'influenza di Pechino sulla dorsale fisica di Internet.
L'impatto economico delle interruzioni di Internet sulle economie altamente connesse è sostanziale. Ad esempio, il NetBlocks Cost of Shutdown Tool (COST) stima l'impatto economico delle interruzioni di Internet utilizzando indicatori della Banca Mondiale, ITU, Eurostat e US Census. Secondo i dati presentati da Atlas VPN, basati sullo strumento COST di NetBlocks, un arresto globale di Internet per un giorno potrebbe comportare perdite di circa $43 miliardi, con Stati Uniti e Cina che rappresenterebbero quasi la metà di questa somma. Inoltre Deloitte ha stimato che per un Paese altamente connesso a Internet, l'impatto giornaliero di un arresto temporaneo di Internet sarebbe in media di $23,6 milioni per 10 milioni di abitanti.
Un attacco deliberato ai protocolli di routing potrebbe causare un caos finanziario e operativo diffuso. Nel mondo interconnesso di oggi, in cui l'infrastruttura digitale sostiene la stabilità economica, la capacità di manipolare il traffico dei cavi sottomarini rappresenta un'arma geopolitica sottile ma potente.
Affrontare questa minaccia va oltre la semplice costruzione di più cavi; richiede di ripensare il modo in cui sono governati i protocolli di routing. Standard globali trasparenti devono garantire che nessun singolo Paese o azienda possa dominare questi sistemi. Dovrebbero essere condotti audit indipendenti di routine per rilevare anomalie che potrebbero segnalare interferenze. Sforzi come l'iniziativa Global Gateway dell'Unione Europea e il Digital Partnership Fund del Giappone devono concentrarsi sulla creazione di percorsi alternativi per ridurre la dipendenza dai nodi controllati dalla Cina.
Questo problema evidenzia una nuova realtà nella politica globale: il controllo sui flussi di dati sta diventando una forma fondamentale di potere. Mentre la maggior parte dell'attenzione è stata rivolta alla costruzione di infrastrutture fisiche, la manipolazione silenziosa dei protocolli di routing segna un cambiamento altrettanto profondo nell'influenza globale. Per proteggere l'integrità di Internet, il mondo deve agire con decisione sia a livello tecnico che di governance.
Reti di riparazione cavi in fibra ottica
Il controllo sproporzionato della Cina sulle reti di riparazione dei cavi in fibra ottica rivela potenziali vettori per il dominio dell'intelligence, la leva coercitiva e l'interruzione della sovranità digitale. A livello globale si stima che 60 navi dedicate alla riparazione dei cavi siano al servizio degli 1,5 milioni di chilometri di cavi sottomarini del pianeta. La Cina controlla una percentuale sostanziale di tale flotta, comprese le navi gestite da imprese affiliate allo stato come Shanghai Salvage Company e China Communications Construction Group. Al contrario gli Stati Uniti e i loro alleati mantengono una piccola flotta patchwork, concentrata principalmente nel Nord Atlantico e priva di copertura nell'Indo-Pacifico, dove oltre il 50% del traffico Internet globale passa attraverso cavi sottomarini chiave.
La flotta cinese è fortemente concentrata nei mari della Cina meridionale e orientale, regioni critiche per la connettività globale a causa di punti di strozzatura come lo stretto di Singapore e lo stretto di Luzon. Con l'esclusività marittima rafforzata dalle rivendicazioni della Cina nelle acque contese, le sue navi di riparazione hanno un accesso pressoché illimitato per monitorare, riparare o potenzialmente manomettere i cavi sotto le mentite spoglie di operazioni di manutenzione di routine.
Le missioni di riparazione comportano l'esposizione di infrastrutture critiche via cavo, tra cui ripetitori, amplificatori e unità di diramazione, hardware che aumenta la potenza del segnale su lunghe distanze ma rappresenta anche punti di vulnerabilità. Le imbarcazioni cinesi sono dotate di sommergibili robotici avanzati e tecnologie di taglio e giunzione di precisione, progettate per le riparazioni ma in grado di installare dispositivi di intercettazione del segnale. Tali strumenti potrebbero includere prese in fibra ottica in grado di raccogliere metadati non crittografati o di catturare modelli di latenza per dedurre flussi di traffico sensibili.
I progressi della Cina nella fotonica e nelle tecnologie di comunicazione quantistica sottolineano la sua capacità di sfruttare queste vulnerabilità. L'Accademia cinese delle scienze ha segnalato importanti progressi nei sistemi di distribuzione di chiavi quantistiche (QKD), sollevando la possibilità di sviluppare metodi basati sulla tecnologia quantistica per decifrare i dati crittografati intercettati durante le riparazioni. L'integrazione di strumenti di ordinamento dei dati basati sull'intelligenza artificiale potrebbe automatizzare l'estrazione e la classificazione delle informazioni intercettate, rendendo un vantaggio strategico l'acquisizione di dati in blocco durante le riparazioni.
Il mare aperto, dove si verificano molte operazioni di riparazione, è governato da quadri normativi internazionali frammentati, come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), i quali regolamentano in modo inadeguato le attività che coinvolgono infrastrutture critiche. L'International Cable Protection Committee (ICPC) fornisce linee guida volontarie per le operazioni di riparazione, ma i meccanismi di applicazione sono deboli, lasciando il sistema vulnerabile allo sfruttamento da parte di attori statali.
Le missioni di riparazione sono spesso classificate come “operazioni di emergenza”, le quali richiedono approvazioni rapide che aggirano la supervisione dettagliata. Una rottura di un cavo nel Mar Cinese Meridionale nel 2021 ha spinto le navi di riparazione cinesi a operare senza trasparenza per oltre tre settimane, sollevando preoccupazioni su potenziali attività segrete. Questi incidenti raramente vengono segnalati, poiché esulano dalla giurisdizione della maggior parte degli enti di monitoraggio marittimo.
La mancanza di contromisure da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati amplifica i rischi posti dal predominio della Cina. La Marina degli Stati Uniti non gestisce navi di riparazione specializzate, affidandosi a operatori privati come Global Marine Group, la cui flotta è obsoleta e mal equipaggiata per le operazioni in acque contese. Ciò contrasta con il modello cinese sostenuto dallo stato, il quale integra la sua flotta di riparazione in reti marittime fornendo funzionalità a duplice uso per obiettivi civili e militari.
Il modello finanziario delle operazioni sui cavi sottomarini limita ulteriormente le risposte occidentali. I cavi sottomarini sono prevalentemente di proprietà privata, con aziende come Google, Meta e Amazon che investono molto nelle infrastrutture ma non hanno incentivi per dare priorità alle considerazioni geopolitiche. Questa privatizzazione lascia lacune strategiche nella sorveglianza e nel monitoraggio, poiché i governi devono negoziare l'accesso a missioni di riparazione controllate privatamente.
Per mitigare il vantaggio strategico della Cina è essenziale una risposta su più fronti. Gli Stati Uniti e i suoi alleati devono sviluppare flotte di riparazione statali o sovvenzionate dallo stato per operare in regioni contese come il Mar Cinese Meridionale e l'Oceano Indiano. Dovrebbero essere implementati sistemi di sorveglianza marittima potenziati, come droni sottomarini e array di monitoraggio basati su sonar, per tracciare i movimenti delle navi di riparazione in tempo reale.
La revisione dei quadri normativi internazionali mediante l'ampliamento dei mandati ICPC, per includere la segnalazione obbligatoria delle operazioni di riparazione, potrebbe frenare l'opacità. La collaborazione con i partner regionali, in particolare le nazioni del Quad (Australia, India, Giappone e Stati Uniti), potrebbe rafforzare la consapevolezza collettiva del dominio marittimo e creare ridondanze nelle capacità di riparazione dei cavi.
Dati marittimi tramite il monitoraggio automatico delle imbarcazioni
Lo sfruttamento da parte della Cina di sistemi di tracciamento automatizzato delle imbarcazioni esemplifica una componente sofisticata della sua strategia digitale globale. Al centro di questa iniziativa c'è l'Automatic Identification System (AIS), una tecnologia di sicurezza marittima imposta dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) per le imbarcazioni di stazza lorda superiore a 300 tonnellate impegnate nel commercio internazionale. Sebbene originariamente destinato a migliorare la sicurezza della navigazione trasmettendo identità, posizioni, rotte e dettagli del carico delle imbarcazioni, l'AIS è stato riadattato da Pechino in una risorsa a duplice uso che supporta sia la raccolta di informazioni economiche sia la sorveglianza militare.
Le aziende cinesi, tra cui il BeiDou Navigation Satellite System e Alibaba Cloud, hanno sviluppato piattaforme avanzate che aggregano le trasmissioni AIS dalle rotte di navigazione in tutto il mondo. Queste piattaforme integrano i dati AIS con analisi predittive basate sull'intelligenza artificiale, consentendo a Pechino di monitorare e analizzare i punti di strozzatura marittimi globali come lo Stretto di Malacca, il Canale di Panama e il Canale di Suez, arterie chiave del commercio internazionale. In questo modo la Cina ottiene informazioni fondamentali sui modelli di spedizione globali, sulle rotte commerciali strategiche e sulle dinamiche della catena di fornitura. A partire dal 2023 la flotta mercantile globale comprendeva circa 60.000 navi.
Durante il blocco del Canale di Suez del 2021, le aziende di logistica cinesi, sfruttando i dati AIS in tempo reale, hanno rapidamente identificato rotte alternative attraverso l'Artico e lungo l'Oceano Indiano, consentendo agli esportatori cinesi di reindirizzare le merci mentre i concorrenti occidentali hanno dovuto affrontare ritardi. Allo stesso modo, nello Stretto di Malacca, una via d'acqua che facilita il transito di oltre 16 milioni di barili di petrolio al giorno e il 40% del commercio globale, gli analisti cinesi hanno utilizzato i dati AIS per ottimizzare il flusso di risorse, prevenire la congestione e studiare le vulnerabilità nelle rotte di approvvigionamento energetico.
I dati AIS svolgono un ruolo fondamentale nella strategia militare della Cina, in particolare nell'Indo-Pacifico. Combinando le informazioni AIS con le immagini satellitari e i dati provenienti da array acustici sottomarini, la Cina ha creato una rete di sorveglianza in grado di tracciare con precisione gli schieramenti navali. I dati AIS sono stati utilizzati per monitorare i modelli di pattugliamento della Settima Flotta della Marina degli Stati Uniti, rivelando che oltre un terzo delle sue operazioni nel Mar Cinese Meridionale nel 2022 ha seguito rotte prevedibili. Questa sorveglianza consente alla Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione (PLAN) di anticipare le Operazioni di Libertà di Navigazione (FONOP) degli Stati Uniti e di posizionare di conseguenza le sue risorse.
La manipolazione dell'AIS da parte della Cina si estende alle simulazioni di conflitto e alla guerra asimmetrica. Durante esercitazioni militari vicino a Taiwan nel 2023, le forze cinesi avrebbero schierato imbarcazioni senza equipaggio programmate per imitare i segnali AIS civili, complicando l'identificazione di risorse ostili.
Attraverso la sua iniziativa Digital Silk Road, Pechino ha esportato varie forme di tecnologie marittime che incorporano capacità di Automatic Identification System (AIS). La Cina spesso fornisce incentivi finanziari per promuovere l'adozione delle sue tecnologie all'estero, il che potrebbe migliorare il suo accesso ai dati marittimi regionali. Questa asimmetria garantisce alla Cina un vantaggio informativo e rischia di rimodellare le norme di trasparenza marittima a suo favore.
Dati rari di mappatura sottomarina
I crescenti investimenti della Cina nella mappatura sottomarina l'hanno posizionata come un attore significativo nell'intelligence oceanografica, con un impatto sui domini scientifico, commerciale e militare. La Cina ha mappato i suoi territori marittimi rivendicati utilizzando navi da ricerca finanziate dallo stato e sistemi autonomi. Questi sforzi contribuiscono a iniziative internazionali, come il progetto Nippon Foundation-GEBCO Seabed 2030, il quale mira a mappare l'intero fondale marino globale entro il 2030 e che a giugno 2022 ne aveva mappato circa il 23,4%. Le attività della Cina si estendono a regioni strategiche nell'Indo-Pacifico, nell'Artico e nell'Oceano Indiano, sollevando preoccupazioni sul potenziale di duplice uso della sua raccolta dati.
I dati di mappatura sottomarina sono essenziali per il percorso dei cavi sottomarini, lo sviluppo delle infrastrutture sottomarine e le operazioni navali. Il deposito cinese di mappe batimetriche ad alta risoluzione, tra cui i rilievi di punti di strozzatura chiave come lo Stretto di Malacca e il Canale di Bashi, fornisce un vantaggio tattico. Questi punti di strozzatura sono vitali per il commercio globale e servono come passaggi navali strategici per la proiezione di potere e le operazioni anti-accesso/negazione dell'area. La Marina dell'Esercito Popolare di Liberazione utilizza i dati del fondale marino per ottimizzare il posizionamento di array di sensori sottomarini, essenziali per la sua iniziativa “Great Underwater Wall”, integrando il monitoraggio idroacustico per rilevare sottomarini stranieri.
I progressi della Cina nei veicoli sottomarini autonomi (AUV) ne potenziano le capacità. Nel 2021 gli AUV Hailong III e Qianlong II sono stati impiegati per missioni di mappatura in acque profonde nel Mar Cinese Meridionale, raccogliendo dati a profondità superiori a 6.000 metri. Questi AUV hanno sistemi sonar multi-beam che raggiungono una risoluzione sub-metrica, superando gli standard commerciali. La loro capacità di operare in modo autonomo per lunghi periodi consente alla Cina di mappare topografie sottomarine tanto intricate quanto fondamentali per l'esplorazione delle risorse e la guerra sottomarina.
La Cina ha utilizzato la mappatura dei fondali marini come strumento diplomatico per estendere l'influenza sulle nazioni più piccole. Attraverso la sua Maritime Silk Road Initiative, Pechino ha firmato accordi con oltre 20 Paesi, garantendo alle navi da ricerca cinesi l'accesso alle Zone Economiche Esclusive (ZEE). Tra il 2015 e il 2022 le spedizioni cinesi nelle ZEE delle nazioni insulari del Pacifico hanno spesso comportato attività di mappatura a duplice uso.
Nel 2019 la nave di ricognizione cinese Haiyang Dizhi 8 ha condotto rilievi sismici nei pressi della Vanguard Bank all'interno della Zona economica esclusiva (ZEE) del Vietnam, raccogliendo dati batimetrici che si allineano con rotte sottomarine chiave potenzialmente utili per le operazioni sottomarine. Questa incursione ha portato a un teso stallo con il Vietnam, suscitando critiche internazionali per le azioni della Cina e sollevando preoccupazioni sul potenziale duplice uso dei dati raccolti. Allo stesso modo, nel 2018, il coinvolgimento della Cina nei progetti di cavi sottomarini che collegano Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone tramite Huawei Marine, ha sollevato notevoli preoccupazioni per la sicurezza. Temendo rischi per la sicurezza dei cavi di comunicazione sottomarini e potenziale attività di spionaggio, l'Australia è intervenuta finanziando e intraprendendo essa stessa quei progetti, evidenziando apprensioni sulla concessione alle entità cinesi dell'accesso a dati critici sui fondali marini nella regione.
La strategia di mappatura dei fondali marini della Cina ha implicazioni militari significative, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. In questa regione, dove la Cina ha costruito isole artificiali come Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef, i dati ad alta risoluzione dei fondali marini consentono un dispiegamento preciso di sistemi missilistici, pattugliamenti navali e droni sottomarini. La mappatura dettagliata dei fondali marini supporta la costruzione e la fortificazione di queste isole, consentendo l'installazione di missili terra-aria, missili da crociera antinave e il funzionamento di piste di atterraggio militari. Inoltre l'impiego da parte della Cina di veicoli sottomarini senza pilota come gli alianti Sea Wing (Haiyi) migliora la sua capacità di raccogliere dati oceanografici cruciali per la navigazione sottomarina e la guerra antisommergibile. Queste attività hanno sollevato preoccupazioni tra i Paesi confinanti e la comunità internazionale sul potenziale di duplice uso delle iniziative marittime della Cina e sul loro impatto sulla sicurezza regionale.
Controllando la mappatura dei fondali marini, la Cina influenza le reti dei cavi sottomarini, i quali trasportano il 95% del traffico Internet globale e $10.000 miliardi in transazioni finanziarie giornaliere. Il coinvolgimento della Cina in progetti come il South Pacific Cable Project attraverso l'azienda statale China Mobile ha portato a preoccupazioni sulle capacità di intercettazione dei dati. La sua presenza nella mappatura dei fondali marini dell'Artico, facilitata da navi rompighiaccio come la Xuelong 2, sottolinea le ambizioni di proteggere rotte e risorse marittime alternative sotto le mentite spoglie della ricerca scientifica.
L'approccio della Cina ai dati sulla mappatura sottomarina ha sollevato preoccupazioni riguardo la trasparenza e l'accesso condiviso nella comunità globale. Mentre iniziative internazionali come il Seabed 2030 Project incoraggiano la condivisione aperta dei dati sui fondali oceanici per promuovere la ricerca scientifica e la comprensione ambientale, la Cina è stata criticata per non condividere completamente i dati estesi sui fondali marini che raccoglie. Ad esempio, molti dei dati raccolti dalle imbarcazioni cinesi in acque internazionali non sono disponibili nei database globali come quelli gestiti dall'International Hydrographic Organization (IHO) o dalla General Bathymetric Chart of the Oceans (GEBCO). Questa condivisione selettiva limita la capacità di altre nazioni di sfruttare informazioni preziose e contrasta con le norme globali che promuovono la cooperazione e la trasparenza nella ricerca oceanografica.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Perché Trump deve abrogare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin
Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-trump-deve-abrogare-la-tassa)
In un mondo in cui gli asset digitali stanno rapidamente diventando un pilastro della finanza globale, gli Stati Uniti si trovano a un bivio.
L'amministrazione Trump ha ripetutamente sottolineato la sua dedizione nel rendere più prosperi gli americani: dall'impegno a ripristinare la forza economica alla nomina di consiglieri lungimiranti, la Casa Bianca sembra pronta a inaugurare una nuova era di libertà finanziaria. Ma se il presidente Trump vuole davvero dare una spinta alla creazione di ricchezza per i cittadini medi e rendere gli Stati Uniti la principale “superpotenza in ambito Bitcoin” al mondo, la sua amministrazione deve abbracciare una linea di politica audace e trasformativa: eliminare le imposte sulle plusvalenze che gravano su di esso.
Questa mappa globale mostra come vari Paesi tassano (o non tassano) annualmente Bitcoin. Molte giurisdizioni verdi, comprese quelle in Europa, Caraibi e Asia, hanno scelto di esentarlo dall'imposta sulle plusvalenze.SOFFIANO VENTI DI CAMBIAMENTO: UNA LEZIONE DALL'ESTERO
La Repubblica Ceca ha di recente fatto notizia quando il suo Parlamento ha votato a larga maggioranza per esentare le plusvalenze da Bitcoin e altre criptovalute dall'imposta sul reddito, a condizione che siano detenute per più di tre anni e soddisfino determinate soglie di reddito. Questo non è un evento isolato. Paesi come Svizzera, Singapore, Emirati Arabi Uniti, El Salvador, Hong Kong e parti dei Caraibi hanno da tempo riconosciuto che una tassazione minima, o pari a zero, delle plusvalenze su Bitcoin può aiutare a stimolare l'adozione, l'innovazione finanziaria e la fiducia dei consumatori.
Come disse John F. Kennedy: “L'alta marea solleva tutte le barche”. Se applichiamo questa logica alla crescita economica tramite Bitcoin, la marea è globale e sta salendo rapidamente. In un mare inondato di liquidità e debito, la nave economica americana deve navigare queste correnti digitali. Le scelte politiche di queste nazioni, e la crescente prosperità dei loro cittadini, inviano un segnale potente: gli Stati Uniti possono e dovrebbero sfruttare Bitcoin come strumento per la crescita, non gravarla con modelli fiscali obsoleti.
LE PAROLE DI TRUMP: UN PERCORSO VERSO LA PROSPERITÀ
Lo stesso presidente Trump ha indicato la volontà di riconsiderare la tassazione su Bitcoin. “Fanno pagare le tasse sulle criptovalute, e non credo che sia giusto”, ha detto in una recente intervista, facendo eco alle frustrazioni di milioni di americani che trovano assurdo pagare le tasse sulle plusvalenze dopo aver usato Bitcoin per acquistare qualcosa di piccolo come una tazza di caffè. “Bitcoin è denaro, e bisogna pagare le tasse sulle plusvalenze se lo si usa per comprare un caffè?” ha chiesto retoricamente, evidenziando come le leggi attuali scoraggino le transazioni quotidiane. Ha poi aggiunto: “Forse è meglio liberarsi delle tasse sulle criptovalute e sostituirle con i dazi”.
Questo sentimento non è solo un vezzo retorico. Trump, che ha parlato alla Bitcoin 2024 Conference a Nashville, ha proclamato la sua visione per l'America: farla diventare una “superpotenza mondiale in ambito Bitcoin”. Ha anche promesso di “rendere Bitcoin un prodotto americano”, trasformando gli Stati Uniti in un hub leader dell'innovazione in tale ecosistema. Inoltre il 5 dicembre ha nominato l'ex-direttore operativo di PayPal, David Sacks, come suo “White House AI & Crypto Czar”, una mossa vista come un passo verso l'implementazione di linee di politica lungimiranti.
IL BITCOIN ACT DEL 2024: UNA RISERVA STRATEGICA PER LA GENTE
Gli Stati Uniti hanno già compiuto passi monumentali in questa direzione. Il BITCOIN Act del 2024 impone che tutti i bitcoin detenuti da qualsiasi agenzia federale vengano trasferiti al Dipartimento del Tesoro per essere conservati in una riserva strategica. In cinque anni esso deve acquistare un milione di bitcoin, detenendoli in trust per gli Stati Uniti. Questo accumulo a livello governativo mostra una visione a lungo termine per l'incorporazione di Bitcoin nella strategia finanziaria nazionale. Ma perché fermarsi qui? L'eliminazione dell'imposta sulle plusvalenze creerebbe un ciclo di feedback positivo tra politica nazionale e prosperità personale. Mentre il governo federale investe e detiene bitcoin, i cittadini potrebbero fare lo stesso senza dover incappare in obblighi fiscali punitivi.
AL SERVIZIO DELL'AMERICANO MEDIO
Per gli americani il costo della vita e il pungiglione dell'inflazione sono stati i punti focali della campagna di rielezione del presidente Trump. Le strategie tradizionali (es. manipolazioni dei tassi d'interesse, allentamento quantitativo) spesso equivalgono a riorganizzare le sedie a sdraio su una nave che affonda quando ci si confronta con sfide economiche veramente sistemiche. Bitcoin offre una zattera di salvataggio (oseremmo dire, un'arca di Noè digitale) per quegli americani che cercano di preservare e accrescere la propria ricchezza contro le forze erosive dell'inflazione. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin consentirebbe ai cittadini di effettuare transazioni, investire e risparmiare in un asset stabile e finito senza il drenaggio fiscale su ogni guadagno incrementale.
L'effetto domino qui è chiaro: più le persone adottano Bitcoin come riserva di valore e mezzo di scambio, più la domanda diventa forte, cosa che, a sua volta, potrebbe rafforzare ulteriormente le partecipazioni strategiche del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. È un circolo virtuoso, un ciclo di feedback positivo. Man mano che il valore di Bitcoin cresce, cresce anche la base di ricchezza della nazione, contribuendo a pagare il debito nazionale, rafforzare l'egemonia del dollaro nel commercio globale e rendendo realmente gli americani più ricchi e più sicuri.
PERCHÈ L'AMERICA HA BISOGNO DI BITCOIN
Bitcoin non è più un esperimento di nicchia riservato a una piccola cerchia di appassionati. Si è evoluto in una priorità urgente e diffusa per gli americani di tutti i giorni, in particolare per quella generazione che plasmerà l'economia futura della nostra nazione. Non si tratta di un appello ideologico: è una realtà supportata dai dati. Secondo la Stand With Crypto Alliance, un'organizzazione non-profit dedicata a linee di politica trasparenti sulla blockchain, oltre 52 milioni di americani possiedono ora una qualche forma di criptovaluta. Quasi nove americani su dieci ritengono che il sistema finanziario abbia bisogno di essere aggiornato e il 45% afferma che non sosterrebbe candidati che ostacolano l'innovazione nel mondo delle criptovalute. Questi numeri rappresentano un'ondata travolgente e trasversale: la ricerca di Stand With Crypto mostra che il 18% dei repubblicani, il 22% dei democratici e il 22% degli indipendenti detengono criptovalute. Ciò taglia fuori la solita politica tribale e indica una verità fondamentale: Bitcoin è ora un argomento di discussione in politica nazionale, non una nota a margine su un'agenda trascurabile.
La richiesta che l'America sia leader è chiara. Il 53% degli americani vuole che le aziende di criptovalute siano basate negli Stati Uniti, assicurando che l'innovazione tecnologica e la ricchezza che genereranno rimangano in patria. Tra i dirigenti di Fortune 500, il 73% preferisce partner con sede negli Stati Uniti per le proprie iniziative di criptovalute e Web3, segnalando un desiderio aziendale di mantenere l'America in prima linea nel progresso finanziario globale.
Non agire ora rischia di ripetere gli errori del passato. Un tempo l'America era leader mondiale nella produzione avanzata, ma oggi il 92% della produzione di semiconduttori si trova a Taiwan e in Corea del Sud. Non possiamo permetterci di cedere il panorama finanziario futuro ad altre regioni. Bitcoin non è solo l'ennesimo investimento di moda; è la spina dorsale digitale di un sistema monetario in rapida evoluzione. Se gli Stati Uniti vogliono preservare la loro egemonia economica, mantenere la leadership nell'innovazione e garantire che gli americani di tutti i giorni abbiano accesso a un futuro finanziario stabile e orientato alla crescita, devono abbracciare Bitcoin. Così facendo, la nazione può assicurarsi il suo posto come superpotenza globale anche in questo settore, elevando i propri cittadini, rafforzando la nostra base economica e salvaguardando i nostri interessi strategici nell'economia digitale del XXI secolo.
AMERICA, TRACCIARE LA ROTTA
Allineandosi alle buone pratiche globali e adottando linee di politica lungimiranti, gli Stati Uniti possono rappresentare un faro di libertà finanziaria e innovazione tecnica. Eliminare la tassa sulle plusvalenze di Bitcoin segnalerebbe agli investitori, agli imprenditori e ai cittadini comuni che l'America fa sul serio nel voler guidare l'economia digitale del XXI secolo. Non si tratta solo di essere “Bitcoin-friendly”; si tratta di garantire che gli americani medi abbiano gli strumenti di cui hanno bisogno per navigare nelle acque economiche turbolente.
La complessità e l'inefficienza della tassazione di ogni transazione digitale rappresentano un peso inutile per l'innovazione e la vita quotidiana. Gli americani meritano di meglio: meritano la libertà di effettuare transazioni in un mondo digitale senza supervisione punitiva.
In sostanza, questa è l'occasione per l'America di fare ciò che ha sempre fatto meglio: innovare, adattarsi e guidare. L'eliminazione delle imposte sulle plusvalenze di Bitcoin non manterrebbe solo una promessa della campagna elettorale; preparerebbe il terreno per una prosperità a lungo termine, darebbe ai cittadini il potere di proteggere il loro futuro finanziario e consoliderebbe gli Stati Uniti come il principale campione mondiale in ambito Bitcoin. L'alta marea, in effetti, solleva tutte le barche, e quale barca migliore su cui imbarcarsi di un'Arca Bitcoin, capitanata da un'amministrazione determinata a rendere davvero l'America di nuovo grande?
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Come la Germania ha distrutto la sua economia e come la può risollevare
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/come-la-germania-ha-distrutto-la?r=12xido)
Un tempo l'economia tedesca era una potenza industriale mondiale, dimostrando una forte resilienza nei periodi di crisi e una significativa crescita produttiva nei periodi di espansione.
La Germania ha mostrato una solida attività industriale, una solida produttività e livelli di disoccupazione invidiabili, che si sono aggiunti a salari realmente elevati. Tuttavia, negli ultimi cinque anni, l'economia è stagnante e il suo PIL è inferiore del 5% rispetto alla tendenza di crescita pre-pandemia, come riportato da Bloomberg Economics. Ancora più preoccupante è il fatto che il quotidiano stima che quattro punti percentuali di suddetta perdita potrebbero essere permanenti.
La maggior parte delle analisi attribuisce la debolezza dell'economia tedesca ai costi energetici più elevati e al rallentamento cinese che colpisce le sue esportazioni. La realtà è più complessa.
La stagnazione della Germania è autoinflitta.
La Germania ha commesso il suo primo grande errore nel 2012, quando i suoi leader hanno accettato la diagnosi di sinistra della crisi del debito europeo, la quale attribuiva tutti i problemi alla cosiddetta austerità. La Germania ha abbracciato l'inflazionismo e, nel 2014, ha accettato le stesse politiche monetarie e interventiste che hanno sempre distrutto l'Europa. Il governo tedesco e la Bundesbank hanno accettato con riluttanza la massiccia espansione monetaria della BCE e i tassi nominali negativi, consentendo alla Commissione europea di abbandonare la sua supervisione dell'eccesso di indebitamento e approvando pacchetti di “stimoli” in sequenza come il piano Juncker o i disastri di Next Generation EU. Tutti fattori che hanno lasciato l'area Euro in stagnazione, con più debito e, ora, inflazione. I tedeschi hanno sofferto di un'inflazione cumulativa di oltre il 20% negli ultimi cinque anni. I politici ne danno la colpa all'Ucraina e a Putin, ma sappiamo tutti che è una scusa ridicola. La crescita dell'offerta di denaro e i costanti aumenti della spesa pubblica hanno cancellato il potere d'acquisto dell'euro e alimentato l'inflazione. “Un’impennata della crescita monetaria ha preceduto l’impennata dell’inflazione e i Paesi con una crescita monetaria più forte hanno fatto registrare un’inflazione notevolmente più elevata” (Borio et al., 2023).
I keynesiani credevano che un euro più debole avrebbe dato una spinta alle esportazioni tedesche, ma questo è un mito. I Paesi leader delle esportazioni salgono grazie all'elevato valore aggiunto, non al basso costo. In ogni caso, tutte le politiche interventiste adottate dall'Unione Europea hanno creato una moneta debole e un'economia ancora più debole.
Il secondo errore fatale è stato la linea di politica energetica. Gli alti costi energetici non sono inevitabili, derivano da una linea di politica energetica sbagliata che ha spinto i politici tedeschi a chiudere la loro flotta nucleare e a spendere più di €200 miliardi in sovvenzioni per tecnologie volatili e intermittenti, solo per riscoprire poi l'uso di carbone e lignite che rappresentano il 25% della sua produzione di energia, stando ai dati di AGEB 2024. Infatti il 77% del suo consumo energetico e il 40% della sua produzione di energia provengono da combustibili fossili. I politici tedeschi hanno anche abbracciato l'agenda dell'UE che ha vietato lo sviluppo del gas naturale nazionale, ma ha moltiplicato le importazioni di gas naturale liquefatto statunitense prodotto dal fracking. A dir poco affascinante come decisione. Inoltre gli enormi sussidi e i costi aggiunti alle bollette dei consumatori hanno fatto sì che oltre il 60% del prezzo dell'elettricità pagato dai consumatori provenisse dalle tasse, incluso il costo della CO₂, che è una tassa nascosta. I tedeschi pagano di più per l'energia e dipendono ancora dai combustibili fossili, perché il loro governo ha distrutto l'accesso al gas naturale russo a basso costo e lo ha sostituito con opzioni costose e inaffidabili. Solo i politici possono decidere di entrare in una guerra energetica e vietare le alternative.
Il terzo errore fatale è stato quello di accettare linee di politica sempre più dannose provenienti dalla Commissione e dal Parlamento UE. Un rallentamento dell'economia cinese non porta un Paese leader mondiale delle esportazioni alla stagnazione, soprattutto quando il gigante asiatico cresce al 5% all'anno. Un Paese leader mondiale delle esportazioni come la Germania era giustamente orgoglioso di una rete produttiva che consentiva alla sua industria di crescere grazie a prodotti ad alto valore aggiunto, tecnologia e una portata globale che consentiva alle aziende tedesche di vendere in tutto il mondo e di navigare in qualsiasi ambiente macroeconomico. Ciò che ha fatto sì che l'industria tedesca, un tempo potente, ristagnasse e declinasse nonostante una robusta crescita globale è stata la combinazione di burocrazia asfissiante, disincentivi all'innovazione, tasse elevate e l'adozione della disastrosa agenda 2030 che vuole mettere al bando i veicoli con motore a combustione interna. I politici hanno demolito il potenziale di vendita dell'intero complesso industriale con una politica ambientale e normativa devastante. Gli attivisti hanno utilizzato l'agenda 2030 per imporre un modello interventista e improduttivo, demolendo tutte le industrie e i settori agricoli della Germania. La legge, dal nome errato, sul ripristino della natura, che rende quasi impossibile lo svolgimento di attività nel settore primario, ha aggravato ulteriormente questo danno.
La graduale imposizione da parte dell'Unione Europea di una regolamentazione asfissiante e di disincentivi ha anche portato la Germania a perdere una parte significativa della sua leadership tecnologica. Il dominio ingegneristico e tecnologico della Germania si basava su un sistema aperto, altamente competitivo e gratificante che è stato distrutto dalla burocrazia. La Germania è un leader mondiale nelle domande di brevetto, ma è indietro rispetto agli Stati Uniti e la traduzione dei brevetti alle aziende è estremamente scarsa.
I politici tedeschi affermano che tutte le sfide di cui sopra diventeranno punti di forza in futuro. Ne dubito, perché il loro curriculum di fallimenti nelle previsioni economiche è spettacolare. Ciò di cui la Germania ha bisogno è abbandonare l'inflazionismo, l'interventismo e l'attivismo clownesco. Se la Germania adotta questi cambiamenti, la sua economia sperimenterà una crescita significativa.
La Germania non ha un problema di competitività o di capitale umano; ha un problema politico. Abbandonate l'interventismo socialista e la Germania tornerà alla sua tendenza di crescita e leadership.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Le radici economiche del crollo politico della Francia
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di John Phelan
(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://fsimoncelli.substack.com/p/le-radici-economiche-del-crollo-politico?r=12xido)
L'11 dicembre Michel Barnier ha perso un voto di fiducia nel parlamento francese, ponendo fine al suo mandato di primo ministro dopo soli 90 giorni, il mandato più breve di qualsiasi primo ministro dalla fondazione della Quinta Repubblica nel 1958. La causa è stata il bilancio proposto da Barnier, ma questo non fa che evidenziare problemi che si sono accumulati per decenni.
Il governo francese spende una quota maggiore del reddito nazionale rispetto alla maggior parte dei Paesi comparabili: i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) mostrano che, nel 2019, la spesa pubblica rappresentava il 55% del Prodotto interno lordo (PIL), più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ciò è dovuto agli alti livelli di spesa per lo stato sociale, l'assistenza sanitaria e l'istruzione. I dati dell'OCSE mostrano che la spesa sociale in Francia ha rappresentato il 31% del PIL nel 2019, più alta rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Il governo francese impone un pesante onere fiscale per finanziarla. Sempre nel 2019 i dati dell'OCSE hanno mostrato che le entrate fiscali sono arrivate al 45% del PIL, ancora una volta il più alto livello rispetto a qualsiasi altro Paese del G7. Ma queste entrate non sono sufficienti a finanziare completamente la spesa dello stato e si prevede che il deficit di quest'anno raggiungerà il 6,1% del PIL.
Barnier, nominato a settembre a capo di un governo di minoranza dopo un'inconcludente elezione generale, mirava a ridurre il deficit al 5% del PIL l'anno prossimo, ancora al di sopra della soglia del 3% richiesta come stato membro dell'UE. La sua manovra era da €60 miliardi tra aumenti delle tasse e tagli alla spesa. Dal lato delle entrate includeva nuove tasse su circa 24.000 delle famiglie più ricche, sui profitti delle grandi aziende, sull'elettricità, sui viaggi aerei e sulle automobili. Dal lato della spesa Barnier ha cercato di congelare le pensioni statali per sei mesi l'anno prossimo, ridurre il sostegno per gli apprendistati e i contratti sovvenzionati e ridurre i rimborsi per le spese mediche e le indennità di malattia. E tutto questo doveva essere fatto aumentando la spesa per la difesa in risposta all'invasione russa dell'Ucraina.
C'era qualcosa qui che ha fatto innervosire tutti.
“I tagli alla spesa pubblica e alla rete di sicurezza sociale hanno un impatto maggiore sulla vita delle classi lavoratrici e medie”, ha affermato il legislatore di sinistra Eric Coquerel, capo della commissione Finanze dell'Assemblea nazionale. Ci si poteva aspettare l'opposizione a tali misure da parte di persone come Monsieur Coquerel, ma anche “Raggruppamento nazionale” (NR) di Marine Le Pen si è opposto. A novembre la Le Pen ha stabilito delle “linee rosse”, tra cui il rifiuto di aumentare le tasse sull'energia elettrica e l'impegno ad aumentare le pensioni statali da gennaio. “Abbiamo detto quali erano gli elementi non negoziabili per noi”, ha affermato la Le Pen. “Siamo diretti nel nostro approccio politico; difendiamo il popolo francese”.
Raggruppamento nazionale viene spesso accomunato ad altri partiti presumibilmente di “estrema destra” come Reform in Gran Bretagna. Infatti, mentre Nigel Farage di Reform potrebbe condividere l'avversione della Le Pen per l'immigrazione di massa, è, in termini economici, un Thatcheriano che offre, come descrive John Burn-Murdoch sul Financial Times, “tagli fiscali radicali e agevolazioni fiscali per l'assistenza sanitaria privata e l'assicurazione sanitaria”. Raggruppamento nazionale, al contrario, sostiene tasse elevate, spesa pubblica, più regolamentazione e protezionismo commerciale. Infatti è “di sinistra” nella maggior parte delle cose, a parte l'atteggiamento nei confronti dell'immigrazione. Ciò fa eco ai dibattiti negli Stati Uniti tra i conservatori “Freedom” e “National”. La Le Pen ha descritto il modesto consolidamento fiscale di Barnier come “pericoloso e ingiusto” e presagio di “caos” per la Francia.
Questo caos è già arrivato, insieme alla crisi fiscale.
“Lunedì, per la prima volta, i costi dei finanziamenti francesi sono saliti più di quelli della Grecia”, ha riportato la Reuters, “mentre il governo di Michel Barnier era sull'orlo del collasso, sottolineando un drastico cambiamento nel modo in cui i creditori vedono l'affidabilità creditizia dei membri della zona Euro”.
A novembre il governo di Barnier è sopravvissuto a un voto di sfiducia promosso dalla coalizione di sinistra quando Raggruppamento nazionale e i suoi alleati nell'Assemblea nazionale si sono astenuti. Quando Barnier ha forzato la manovra utilizzando una scappatoia costituzionale, è stato troppo per Raggruppamento nazionale che, insieme al “New Popular Front” di estrema sinistra, ha presentato mozioni di sfiducia contro il suo governo. Quello di Barnier è diventato il primo governo a perdere una mozione di sfiducia sin dal 1962.
Le conseguenze di questa instabilità si faranno sentire oltre i confini della Francia. Il Paese è da tempo un membro chiave, seppur un po' ambiguo, del “cuore” dell'Eurozona, ma potrebbe essere sulla buona strada per diventare un membro della sua “periferia”. Le conseguenze per la moneta unica e l'economia dell'Eurozona saranno significative. Il cuore è stato tradizionalmente accomunato a disciplina monetaria e fiscale e l'appartenenza di entrambe le potenze dell'Unione Europea a esso, Germania e Francia, ha permesso a tale situazione di prevalere. Se la Francia uscirà dal cuore e si unirà alla periferia, l'equilibrio di potere nell'Eurozona si sposterà verso un allentamento monetario e fiscale. Come minimo la Germania avrà più difficoltà a prendere le decisioni e Paesi come l'Italia avranno un nuovo e potente alleato.
L'Unione Europea è da tempo abituata all'instabilità politica tra i suoi membri periferici, ma la Francia, la sua seconda economia più grande, ora non ha un governo, nessuna prospettiva immediata di andare avanti e potrebbe presto non avere nemmeno un presidente. Come reagirà quando un membro centrale delle istituzioni sarà uno di quelli instabili?
Gli americani, inclini a pensare che la loro politica offra una dimostrazione di disfunzione unica tra le nazioni della Terra, potrebbero consolarsi se guardano alla Francia; dovrebbero evitare di provare troppa schadenfreude.
A giugno il Congressional Budget Office (CBO) ha previsto un deficit di bilancio federale di $2000 miliardi nel 2024 e “crescerà fino a $2.800 miliardi entro il 2034”. Il CBO fa notare che questi “deficit equivalgono al 7,0% del prodotto interno lordo (PIL) nel 2024 e al 6,5% del PIL nel 2025 [...]. Entro il 2034 il deficit rettificato equivarrà al 6,9% del PIL, più del 3,7% che i deficit hanno fatto registrare in media negli ultimi 50 anni”.
Il risultato: “Il debito detenuto dal pubblico aumenta dal 99% del PIL di quest’anno al 122% del 2034, superando il precedente massimo del 106% del PIL”.
La disfunzione politica della Francia deriva da molte fonti, non ultime le reazioni all'immigrazione di massa nel Paese negli ultimi anni. Ma deriva anche dal semplice fatto che i suoi governi hanno fatto a lungo promesse di spesa che la sua economia non può mantenere.
Questa disfunzione potrebbe manifestarsi in qualsiasi Paese in cui siano state fatte tali promesse e gli Stati Uniti sono uno di questi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Perché Israel Kirzner merita il premio Nobel
Nell’autunno del 2014 hanno iniziato a circolare le voci secondo le quali il professor Israel Meir Kirzner (classe 1930 economista, rabbino britannico naturalizzato statunitense ed esponente della scuola austriaca), insieme a William Baumol (classe 1922, economista statunitense, professore alla New York University e alla Princeton University), erano possibili candidati per il premio Nobel. La fonte del rumor era la Thomson-Reuters – la società di database scientifico – e alla base della voce erano i modelli di citazione. Anche se è un database diverso, ma solo per facilità di ricerca ai lettori di questo saggio, in modo che possano verificare la presenza di se stessi, una ricerca su Google Scholar sarà sufficiente a fornire una certa prospettiva sull’impatto scientifico in fase di registrazione da Baumol e Kirzner. I rilevanti contributi di Baumol sono i seguenti:
-
“Entrepreneurship: Productive, Unproductive, and Destructive.” Journal of Political Economy 98(5) 1990: 893-921 con 4.641 citazioni;
- Contestable Markets and The Theory of Industry Structure. New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1982 (coauthored with John C. Panzar, and Robert D. Willig) con 6.454 citazioni;
- “Contestable Markets: An Uprising in the Theory of Industry Structure.” The American Economic Review 72(1) 1982: 1-15 con 2.455 citazioni;
- “Entrepreneurship in Economic Theory.” The American Economic Review 58(2) 1968: 64-71 con 1.581 citazioni.
I contributi rilevanti di Kirzner dovrebbero includere:
-
Competition and Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1973 con 7.550 citazioni;
-
“Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process: An Austrian Approach.” Journal of Economic Literature 35(1) 1997: 60-85 con 3.273 citazioni;
- Perception, Opportunity, and Profit: Studies in the Theory of Entrepreneurship. Chicago: University of Chicago Press, 1979 con 2.604 citazioni. (1)
Confronta questi numeri con i precedenti premi Nobel, come F.A. Hayek, il cui “l’uso della conoscenza nella società” ha raccolto 13.935 citazioni e opere come La via della schiavitù e la costituzione della libertà, che sono stati citati più di 8.000 volte ciascuno. Al famoso “Il ruolo della politica monetaria” di Milton Friedman poco più di 7.000 citazioni e la sua Storia monetaria degli Stati Uniti (coautore con Anna Schwartz – 1915-2012 economista americana al National Bureau of Economic Research di New York City) appena sotto le 8.000. Di James Buchanan (1919-2013 economista statunitense) Il Calcolo del consenso (coautore con Gordon Tullock – 1922-2014 economista) è stato citato più di 10.000 volte, ma il suo saggio seguente più citato è: “La teoria economica dei clubs” che ha raccolto poco più di 3.800 citazioni.
Quindi le voci non erano incredibili sulla base dei criteri della Thomson-Reuters. E Baumol e Kirzner erano già stati riconosciuti in Svezia con il Premio Internazionale per l’Imprenditorialità e la Ricerca sulle piccole imprese e per il loro lavoro nel campo dell’imprenditoria. Così, ancora una volta, le voci erano (sono) plausibili, anche se, naturalmente, improbabili – soprattutto per quanto riguarda Kirzner, dato il suo status di outsider. Ahimè, né Baumol né Kirzner hanno ricevuto la telefonata quel giorno dell’ottobre nel 2014.
Ho intenzione di utilizzare questa occasione per fornire alcuni motivi per chiedere di avere, e speriamo, ricevere quel riconoscimento da parte della Svezia, in particolare perché i contributi di Israel Kirzner alla nostra comprensione del comportamento concorrenziale, della struttura industriale e del processo del mercato imprenditoriale dovrebbero essere riconosciuti. Vorrei anche dimostrare che il lavoro di Kirzner fornisce una piattaforma per la ricerca futura alla teoria dei prezzi ed al sistema di mercato più in generale. (2)
L’aspetto dei contributi che voglio sottolineare sono le intuizioni di Kirzner sulla naturale rivalità del comportamento concorrenziale e del processo di mercato. Egli ha sollevato le questioni fondamentali per l’analisi della teoria del mercato ed il funzionamento del sistema dei prezzi, che è alla base stessa della scienza economica. I suoi scritti sul comportamento economico, in tutta la loro varietà e complessità, esplorano l’ambiente istituzionale che consente una economia di mercato per realizzare i vantaggi reciproci dal commercio, per ritrovare continuamente i guadagni da innovazione, per produrre un sistema caratterizzato dalla crescita economica e per la creazione di ricchezza.
L’interesse personale e la Mano Invisibile
La scienza economica fin dalla sua nascita si compone di due affermazioni che devono essere conciliate l’uno con con l’altra: il postulato dell’interesse personale e la spiegazione della mano invisibile. Da Adam Smith in avanti molti hanno spiegato il rapporto del collassare, uno sull’altro, attraverso i rigorosi presupposti cognitivi e postulando un ambiente privo di attrito o hanno cercato di dimostrare l’impossibilità di far quadrare queste due affermazioni a causa di carenze cognitive o di una varietà di attriti supposti.
Così i dibattiti di economia politica sul ruolo del governo nell’economia tendevano, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ad accendere ad un assioma dei mercati perfetti o la dimostrazione di deviazioni da quella ideale a causa di mercati imperfetti. Kirzner, fin dall’inizio della sua carriera, ha dovuto affrontare obiezioni alle spiegazioni della mano invisibile associate a domande riguardanti la razionalità umana, l’esistenza del potere del monopolio, la pervasività delle esternalità ed ad una varietà di deviazioni dal libro di testo ideale della concorrenza perfetta.
In due modi gli economisti hanno risposto alle critiche del funzionamento dell’economia di mercato: in primo luogo, la chiarezza concettuale, in cui il teorico insiste sull’illustrare le condizioni di base su cui si stanno facendo affermazioni sulla mano invisibile e dimostrando che le critiche si basavano su fondamenta sbagliate; in secondo luogo, dalla dimostrazione che le deviazioni dalla nozione dal manuale ideale della concorrenza perfetta, non necessariamente, impediscono al sistema dei prezzi, di fare il proprio lavoro, di coordinare l’attività produttiva di alcuni i modelli di consumo con degli altri e la spiegazione della teoria della mano invisibile del mercato risulta dalla ricerca del proprio interesse all’interno di un certo insieme di condizioni istituzionali. Tali condizioni istituzionali sono stabilite dalle leggi di proprietà e di contratto che sono fissate e applicate e che costituiranno il quadro in cui ha luogo l’interazione economica.
Nel lavoro di Kirzner esamineremo entrambe queste risposte alle critiche del mercato. In realtà ha intitolato un saggio relativamente tardi nella sua carriera “I limiti del mercato: il reale e l’immaginato” (1994). La chiarezza concettuale percorre un lungo cammino per correggere un libero pensiero legato alla razionalità umana, all’esternalità, al potere del monopolio, ecc. ed alla forza dei processi di mercato per fornire l’incentivo agli operatori economici di adeguare continuamente il loro comportamento e di adattarsi al mutare delle circostanze per gran parte del rimanente. Lontano dal ribadire una teoria del ricostruito mercato-perfetto, questo approccio Kirzneriano costringe l’analista a guardare con attenzione alle proprietà dinamiche del sistema in quanto è in continua evoluzione verso una soluzione ed il ruolo essenziale è svolto nel quadro della strutturazione del contesto economico.
L’“inefficienza” di oggi è l’opportunità di profitto di domani per l’individuo che è in grado di agire alla situazione e di spostare il sistema in una direzione meno “errata” di prima. E se l’attuale decisore critica e non fa il necessario aggiustamento, un altro lo farà per lui, le risorse saranno reindirizzate, ed un modello di scambio e di produzione emergerà meglio coordinato dai piani dei partecipanti al mercato. Il lavoro di Kirzner volge la nostra attenzione teorica lontano dagli esercizi di ottimizzazione contro il vincolo dei dati e verso gli attori umani attenti e creativi che scoprono continuamente strade per realizzare profitti dal commercio e guadagni dalla innovazione.
Kirzner e Mises
Ludwig von Mises ha stimolato la ricerca intellettuale di Kirzner. Nato in Inghilterra il 13 febbraio 1930, Kirzner e la sua famiglia si trasferirono in Sud Africa nel 1940. Nel 1947 ha frequentato l’Università di Città del Capo, ma poi si trasferì negli Stati Uniti alla fine dell’anno accademico. Dopo la laurea al Brooklyn College, nel 1954, Kirzner decise di conseguire la laurea in economia aziendale, con indirizzo in ragioneria, presso la New York University e nel 1955 ha conseguito il Master in Business Adomistradion. Mentre completava il corso per l’MBA, Kirzner ha cercato un corso più impegnativo, per sua scelta, così ha guardato nell’elenco della facoltà i professori che avevano pubblicato molti libri ed erano stati premiati con prestigiosi riconoscimenti. Capitò sul nome di Ludwig von Mises. Lui ha raccontato la sua storia innumerevoli volte; i compagni e gli amministratori lo avvertirono di non frequentare quel corso perché dicevano che Mises era vecchio e non più al passo con i tempi.
Ma Kirzner frequentò, comunque, il corso che ha cambiato la sua vita. Nello stesso semestre stava seguendo la teoria dei prezzi, utilizzando La teoria del prezzo di Stigler (1952) e imparando a distinguere fra la scelta entro i vincoli e la logica della concorrenza perfetta; nel seminario di Mises stava leggendo l’Azione umana (Human Action), portando a conoscenza l’agonia umana del processo decisionale in mezzo a un mare di incertezze e che il mercato non era un luogo o una cosa, ma un processo. Le idee di Mises lo incuriosivano e conciliando ciò che stava imparando da Stigler con quello che stava apprendendo da Mises hanno scatenato la sua immaginazione intellettuale. E’ cambiato il suo percorso: dalla carriera di contabile professionista a quella di economista accademico. In un primo momento Mises, che ha riconosciuto il potenziale di Kirzner, gli raccomanda di andare alla Johns Hopkins University e lavorare con il più giovane, il più professionale ed inserito tra gli economisti accademici contemporanei: Fritz Machlup (1902-1983 economista austriaco). Mises ha persino organizzato una borsa di studio per Kirzner. Ma Kirzner ha scelto di rimanere, fino alla fine, alla New York University sotto la direzione di Mises ed il suo dottorato di ricerca in economia è stato premiato nel 1957. In quel periodo ha ricevuto la nomina a professore di economia alla New York University e ha insegnato fino al suo pensionamento nel 2000.
Il primo libro di Kirzner è stato: Il punto di vista economico (1960), sviluppato dal suo dottorato di ricerca come tesi di laurea. Bettina Bien Greaves (classe 1917), della Fondazione per l’Educazione Economica, ha frequentato regolarmente il seminario di Mises alla New York University e ha preso accurati appunti nel corso degli anni. Un aspetto di quelle note erano le idee di ricerca che Mises avrebbe tirato fuori dal corso. La prima idea del genere la annotò il 9 novembre 1950 ed era: “Hai bisogno di un libro sull’evoluzione dell’economia, come scienza della ricchezza, ad una scienza dell’azione umana”. (3) Questo argomento è quello che Kirzner ha analizzato nella sua tesi e nel libro successivo. Il punto di vista economico attentamente e meticolosamente annotato nello sviluppo del pensiero economico, concentrandosi sul significato che gli economisti hanno annoverato nel loro soggetto: dai classici (scienza della ricchezza) ai moderni (scienza dell’azione umana). Il capitolo chiave del libro cerca di elaborare lo sviluppo della prasseologia di Mises.
L’importanza della prasseologia di Mises
Kirzner sostiene tutti i contributi unici di Mises nei vari campi della teoria economica, perché sono il risultato di uno sviluppo coerente della prospettiva prasseologica sulla natura della scienza economica. “Se la teoria economica, come la scienza dell’azione umana, è diventata un sistema per mano di Mises, essa è così perché la sua comprensione, del suo carattere prasseologico, impone le sue proposizioni in una logica epistemologica che di per sé crea questa unità ordinata” (Kirzner, il punto di vista economico, p. 160).
L’economia, come il ramo più sviluppato della prasseologia, deve iniziare con la riflessione sull’essenza dell’azione umana. “Lo scopo non è qualcosa che deve essere semplicemente ‘preso in considerazione’: esso fornisce l’unica base del concetto di azione umana” (ibid., p. 165) … I teoremi dell’economia, vale a dire, i concetti di utilità marginale, di costo dell’opportunità ed il principio della domanda e dell’offerta, sono tutti derivati dalla riflessione sulla finalità dell’azione umana. La teoria economica non rappresenta un insieme di ipotesi verificabili, ma piuttosto un insieme di strumenti concettuali che ci aiutano nella lettura del mondo empirico.
Ciò che rende unico delle scienze umane, in contrasto con le scienze fisiche, è che il punto essenziale del fenomeno, oggetto dello studio, sono gli scopi umani ed i programmi. Come studente di Mises, Fritz Machlup una volta ha posto la seguente domanda: “Se il soggetto potesse parlare, cosa direbbe?” Lo scienziato umano può attribuire il risultato ai fenomeni in discussione. In realtà egli deve assegnare lo scopo umano se vuole rendere tali fenomeni oggetto di indagine intelligibile. Possiamo capire che i pezzi di metallo e la carta cambiano la funzione alle mani, come il “denaro”, è causa delle finalità e dei piani che noi attribuiamo alle parti negoziali. Lo scienziato umano può e, anzi deve, basarsi sulla conoscenza delle tipizzazioni ideali di altri esseri umani.
Siamo in grado di capire il comportamento mirato dell’“altro”, perché noi stessi siamo umani. Questa conoscenza, denominata “conoscenza dal di dentro”, è unica per le scienze umane ed è stato un disastro totale cercare di eliminare il ricorso ad essa importando i metodi delle scienze naturali e delle scienze sociali per creare la “fisica sociale”. Gli scienziati hanno dimenticato che, mentre era opportuno eliminare l’antropomorfismo dallo studio della natura, sarebbe del tutto indesiderabile eliminare l’uomo, con i suoi scopi ed i suoi progetti, dallo studio dei fenomeni umani. Un tale esercizio comporta risultati nel “meccano-morfismo” delle scienze umane (dottrina in cui l’universo è completamente spiegabile in termini meccanicistici), vale a dire, attribuendo un comportamento meccanico ai soggetti umani creativi. In una situazione del genere si finisce per parlare del comportamento economico dei robot, non degli uomini. Ma questo è esattamente quello che è successo nel dopoguerra, quando l’“economia” è stata studiata come un meccanismo astratto in contrasto con l’arena in corso dove fuori si gioca l’impegno degli individui per migliorare la loro condizione.
Il processo di mercato ed il costante cambiamento
Come sottolineato da Mises, F.A. Hayek, Kirzner ed anche da James Buchanan, nel suo più famoso saggio “Cosa dovrebbero fare gli economisti? ” (1964), l’economia non ha alcuna teleologia in quanto tale, ma gli attori all’interno dell’economia, in effetti, hanno le loro teleologie individuali. E’ fondamentale per comprendere la natura dell’economia di mercato, dal momento che una diversità di obiettivi e di programmi sono perseguiti e soddisfatti da altri; potenziali conflitti sono riconciliati attraverso lo scambio e nuovi modi di perseguire e soddisfare sono costantemente scoperti da imprenditori creativi ed attenti. L’economia non ha un unico fine; non ha uno “scopo”. E’ invece solo un “mezzo-correlato”, un “nesso di scambi volontari”. Il mercato è sempre in sviluppo, sempre in evoluzione verso una soluzione e non in nello stato finale di rilassamento.
In misura considerevole, questo è quello che voleva dire Mises quando ha detto che il mercato non è un luogo o una cosa, ma un processo. E ciò che anima questo continuo processo di scambio e di produzione è l’intenzionale protagonista umano – con tutti le sue debolezze e le sue paure, così come la sua immaginazione ed il coraggio di progettare l’inesplorato. L’attore Misesiano non è né un animale puramente reattivo, né una macchina calcolatrice fredda, ma invece è tipicamente un protagonista umano, che ha obiettivi e che cerca di utilizzare in modo creativo, con i mezzi a disposizione, di conquistare questi obiettivi in un mondo di incertezza e di ignoranza ed è in grado di apprendere, attraverso il tempo, i passi falsi precedenti e le svolte sbagliate.
Il cambiamento è un tema costante negli scritti di Mises – i cambiamenti dei gusti, della tecnologia e della disponibilità delle risorse. L’aspetto meraviglioso del sistema dei prezzi è la sua capacità di assorbire il cambiamento: il ruolo guida dei prezzi relativi, il richiamo del puro profitto e la disciplina della perdita per reindirizzare i responsabili delle decisioni economiche, così che i loro piani di produzione e le loro richieste di consumo irretite dalla nuova realtà. E’ importante sottolineare che questo processo è in corso, o come Mises mise scrive nell’originale saggio del 1920, “Il calcolo economico nel Commonwealth socialista”, il sistema dei prezzi fornisce una guida in mezzo alla “massa sconcertante di prodotti intermedi e la potenzialità di produzione” (1975 [1920]: 103) e consente ai decisori economici di negoziare l’incessante “faticare e sgobbare” (lavorare sodo) (1975 [1920]: 106) dell’adeguamento costante del mercato e dell’adattamento al mutare delle circostanze.
Kirzner nel documento del 1967, “La metodologica dell’individualismo, l’equilibrio di mercato ed il processo di mercato”, persegue le implicazioni del senso di Hayek sull’esito dei problemi economici, come conseguenza del mutare delle circostanze. Come Kirzner dice: “Questo è il carattere fondamentale del processo di mercato messo in moto con l’esistenza di una situazione di disequilibrio. L’elemento cruciale è la scoperta dell’errore e la conseguente riconsiderazione, da parte degli operatori, della vera alternativa ora apertasi. Il processo di mercato procede per comunicare la conoscenza. Il presupposto importantissimo è che gli uomini imparano dalle loro esperienze di mercato “(il corsivo è originale, 1967: 795). Questa è una descrizione che può prima essere vista nel suo articolo “l’azione razionale e la teoria economica” nel Journal of Political Economy del 1962, ma in seguito più completamente sviluppato nel suo Competition & Entrepreneurship (1973). La sua insistenza in ognuna di queste opere è il decisore umano, che è più della pura massimizzazione dell’omo-economicus, ma una creatura homo-agens più aperta e quindi l’imprenditore creativo ed attento agisce sulle lacune del sistema che si riflettono nello stato di disequilibrio delle cose.
Kirzner ne: La teoria del mercato ed il sistema dei prezzi, afferma: “Abbiamo visto che se un mercato non è in equilibrio questo deve essere il rilevante risultato di impreparazione da parte degli operatori di informazioni sul mercato. Il processo di mercato, come sempre, svolge le sue funzioni incidendo su quelli che prendono decisioni, quegli articoli essenziali di conoscenza che sono sufficienti per guidarli a prendere decisioni come se possedessero la completa conoscenza alla base dei fatti”. (tratto dall’originale, 2011 [1962 ]: 240)
Kirzner Nel significato del processo di mercato, delineerebbe l’importante distinzione tra le variabili sottostanti del mercato (i gusti, la tecnologia e la disponibilità di risorse) e le variabili indotte del mercato (prezzi e utili/perdite contabili) e ha spiegato come il processo di mercato possa essere descritto come l’attività continua che deriva da individui su entrambi i versanti del mercato e che cercano di soddisfare i loro programmi per l’ottimizzazione (1992: 42). Quando i piani di produzione, di cui alcuni perfettamente a coda di rondine (che collimano), con i piani dei consumi degli altri e le variabili indotte e sottostanti sono coerenti tra loro. Se non esiste coerenza reciproca, avremo la continua attività economica perché sarà nell’interesse delle parti di proseguire nella ricerca di una situazione migliore di quanto non si stia attualmente realizzando.
I segnali di profitto e l’imprenditorialità
I prezzi relativi ci guidano nel processo decisionale; i profitti ci invogliano nelle nostre decisioni e le perdite puniscono le nostre decisioni. Questo è il modo in cui il sistema dei prezzi imprime su di noi gli elementi essenziali della richiesta di conoscenza per il coordinamento del programma. O, come Kirzner vorrebbe riassumere il senso nel Entrepreneurial Discovery and the Competitive Market Process” (La scoperta imprenditoriale ed il processo del mercato competitivo ndt): “Il processo imprenditoriale è così messo in moto ed è un processo che tende verso una migliore conoscenza reciproca tra i partecipanti al mercato. Il richiamo di puro profitto in questo modo imposta il processo attraverso il quale, il profitto puro, tende ad essere concorrente. La maggiore conoscenza reciproca, tramite il processo di rilevamento imprenditoriale, è la fonte della proprietà equilibrativa del mercato” (Kirzner 1997: 72).
Il contributo teorico di Kirzner offre una risposta ad una delle domande critiche della teoria economica pura – il percorso convergente all’equilibrio, guidato dalle variazioni di prezzo – un problema fastidioso e riconosciuto da Kenneth Arrow (1921-2017 economista, vincitore, assieme a John Hicks, del Nobel per l’economia nel 1972) nel suo saggio del 1959 sulla teoria dell’ aggiustamento dei prezzi, di Franklin Fisher nel Disequilibrium Foundations of Equilibrium Economics (1983) (I fondamenti del disquilibrio e dell’equilibrio in economia) e più recentemente da Avinash Dixit (classe 1944, economista) in Microeconomia: a Very Short Introduction, dove si afferma l’idea di base di analisi dell’offerta e domanda in un equilibrio di mercato: “il problema di questa risposta è che nella logica delle curve della domanda e dell’offerta ogni consumatore e produttore risponde al prezzo dominante, che è al di fuori del controllo di uno di essi. Allora, chi regola, verso l’equilibrio, il prezzo?” (2014: 51)
Kirzner risponde: è l’attenzione dell’imprenditore creativo che agisce sulle lacune dei prezzi e dei costi per realizzare i guadagni dal commercio e gli utili dalla innovazione, che regolano il comportamento del mercato dei partecipanti per coordinare i programmi di produzione con le richieste dei consumi. Il processo di mercato presenta questa tendenza per perseguire i guadagni dal commercio (efficienza di scambio), cercando di utilizzare le tecnologie meno costose nella produzione (efficienza produttiva) e soddisfare le esigenze dei consumatori (l’efficienza del prodotto-mix), ma non è così in modo da pre-conciliare tutti i programmi prima di rivelare un prezzo ed una grandezza vettoriale per liberare tutti i mercati, come in un modello walrasiano, irriducibile dall’equilibrio competitivo generale. Piuttosto lo fa attraverso il continuo processo di scambio e di produzione guidata da aggiustamenti dei prezzi relativi, il richiamo di puro profitto e la punizione della perdita, che conciliano i piani diversi, e spesso divergenti degli attori economici attraverso il processo del mercato stesso.
I mercati scendono sempre a breve dall‘idea astratta di allocazione “efficiente” (o l’ ottimo di Pareto ndt), ma il mercato stesso è adattivo efficiente ed in costante segnalazione per avvertire gli imprenditori di quali modifiche devono essere effettuate e premiare coloro che correttamente le regolano e penalizzare quelli che non lo fanno. I mercati possono ”fallire”, ma la risposta migliore è quella di consentire al mercato di fissare il “fallimento”. Gli sforzi per risolvere i guasti da parte degli attori esterni, al processo in corso di adeguamento del mercato e dell’adattamento, saranno senza aiuto da parte del sistema dei prezzi e, per definizione, la struttura di incentivi che forniscono i diritti di proprietà, la presenza di guida che i prezzi relativi offrono ed il processo di selezione reso possibile effettuata dal calcolo dei profitti e delle perdite.
Di conseguenza, le autorità di regolamentazione devono affrontare alcuni pericoli, come Kirzner ha sottolineato nel suo saggio: “I pericoli del regolamento” (1985 [1979]) correndo il rischio di generare modelli perversi di scambio e di produzione, dai principali imprenditori, in scoperte superflue, piuttosto che in scoperte che meglio coordinino i programmi degli attori economici e, in primo luogo, migliorino i conflitti che originariamente hanno motivato il desiderio di regolamentazione. L’interventismo non è solo controproducente, dal punto di vista dei suoi sostenitori, ma produce anche conseguenze involontarie e indesiderabili in tutto il sistema economico.
Il dinamismo di mercato ed i monopoli
Il lavoro di Kirzner è fondamentale per comprendere le dinamiche del mercato di oggi, come lo era quando gli economisti hanno studiato la prima struttura industriale ed il comportamento concorrenziale. Se si guarda alla struttura del mercato emergente che ha seguito Internet, potrebbe certamente riconoscere la posizione dominante, sul mercato, di Amazon, Apple e Netflix, ma si potrebbe anche avere riconosciuto il grande livello di soddisfazione dei consumatori cointeressati a queste imprese. Nonostante la loro quota di mercato dominante, queste aziende forniscono beni e servizi di qualità a prezzi bassi. E non vi è alcuna aspettativa che queste aziende continueranno ad adoperarsi per fornire prodotti di alta qualità al prezzo più basso. Questo perché si trovano a competere in un mercato contendibile (teoria di William J. Baumol del 1982 ndt).
Prendiamo in considerazione la guerra dei classici browser di una decina di anni fa, Netscape contro Microsoft Internet Explorer. Come può una società monopolistica comportarsi così se il suo prodotto può essere utilizzato per scaricare liberamente i prodotti della concorrenza? Il modello di libro di testo standard della concorrenza perfetta ed il paradigma struttura-condotta-performance, in economia industriale, è costruito su quel modello da manuale, come punto di riferimento, e semplicemente non è in grado di fornire una spiegazione pura per il mercato Internet. I leader di mercato si perdono per strada a meno che essi non continuino ad andare avanti più velocemente per soddisfare ulteriormente le preferenze dei consumatori.
E questo non è solo per il mercato Internet. Si tratta di ogni mercato, una volta che si esamina da vicino il funzionamento storico dei mercati. Questo è come funzionano i mercati, come inteso da Carl Menger, Eugen von Böhm-Bawerk, Mises, Hayek e Kirzner, e penso che si potrebbe sostenere che in modo efficace fu compreso da Smith, Say ed anche Mill. Non è la dimensione delle imprese che conta di più per valutare l’esistenza del potere di monopolio, ma che contano sono le condizioni legali di ingresso. Forse, è importante sottolineare, ancora una volta, la chiarezza concettuale e la robustezza delle risposte alle richieste di fallimento del mercato sulla base del potere di monopolio.
Per quanto riguarda la chiarezza concettuale, in particolare nella tradizione austriaca rappresentata da Murray Rothbard, si sostiene che il potere di monopolio è una conseguenza di un contributo pubblico o di un privilegio. Tuttavia è vero che questa affermazione è la risposta alla robustezza-dei-mercati e potrebbe dimostrare che una società di grandi dimensioni può crescere e possedere una significativa posizione dominante sul mercato in qualsiasi momento, ma proprio perché si trova di fronte della minaccia (reale o immaginaria) dei concorrenti , sarà costretta a comportarsi in modo competitivo, piuttosto che come previsto dal modello di monopolio, se vuole avere qualche speranza di mantenere la sua posizione dominante sul mercato. Le due specie di risposte, ancora una volta, possono andare d’accordo, ma sono distinte. La teoria imprenditoriale del processo di mercato competitivo, di Kirzner, fa impiegare entrambe, ma sottolinea la robustezza del processo di mercato.
E, come riconosciuto dagli economisti classici, come Frank Knight (1885-1972 economista) e Joseph Schumpeter (1883-1950 economista), l’attore centrale nella gestione di questo processo di cambiamento delle circostanze e dell’adattamento a nuove opportunità è: l’imprenditore. La funzione centrale dell’imprenditore è quella di agire sulle opportunità finora non riconosciute per guadagno reciproco – se quelli sono disponibili in forma di opportunità di arbitraggio o di innovazioni tecnologiche che riducono i costi di produzione e di distribuzione o la scoperta di nuovi prodotti in grado di soddisfare la domanda dei consumatori. E’ l’azione imprenditoriale che mette in moto il processo del mercato competitivo e che si traduce negli adattamenti e negli adeguamenti al mutare delle condizioni, in modo che si ottiene il coordinamento complesso di piani economici, si crea ricchezza e si perpetua il progresso economico.
Conclusione
Per queste ragioni, e altro ancora, credo che Kirzner (insieme a Baumol, di cui ho accennato e a Harold Demsetz, che non ho incontrato) abbia fatto più di ogni altro economista moderno vivente per migliorare la nostra comprensione del comportamento concorrenziale e del funzionamento del sistema dei prezzi in una economia di mercato e merita quindi una seria considerazione per il premio Nobel per l’economia. Kirzner ha fornito le sfide fondamentali per l’ortodossia prevalente della concorrenza perfetta, da manuale, e le sue implicazioni non solo per la teoria economica, ma anche per la politica economica.
Il suo lavoro permette di comprendere, in profondità, la natura di come i mercati competitivi per coordinare i piani dei diversi attori economici e delle organizzazioni. Il ruolo fondamentale dei diritti di proprietà degli incentivi da strutturazione, dei prezzi relativi che guidano le decisioni della produzione e del consumo e dei profitti e perdite contabili, come vitali per il processo di calcolo economico, negli affari economici, hanno un posto centrale nel suo lavoro. Così il lavoro di Kirzner fornisce una base economica per la nostra indagine sul sistema politico ed economico più adatto per una società di individui liberi e responsabili.
Note finali
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(1) I contributi di Kirzner si trovano principalmente nella teoria economica corretta e non nel più vasto campo dell’economia politica e della filosofia sociale. Eppure, come spiegherò in conclusione, le intuizioni di Kirzner sul comportamento competitivo, struttura industriale ed il processo di mercato imprenditoriale hanno implicazioni per la politica economica di una società di individui liberi e responsabili. Questo ha portato Liberty Fund a pubblicare le sue opere complete in 10 volumi, e ho il privilegio, insieme al mio collega Frederic Sautet (classe 1968, economista francese), di servire come l’editor (redattore editoriale) di questi volumi. Fino ad oggi, sono stati pubblicati sei volumi su dieci ed il settimo volume è attualmente in produzione. Pubblicato nel momento in cui scriviamo: Il punto di vista economico (2009 [1960]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 1; Teoria del mercato e il sistema dei prezzi (2011 [1963]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 2; Saggi su capitale e interessi (2012 [1967]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 3; Concorrenza e imprenditorialità (2013 [1973]) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 4; Il soggettivismo austriaco e l’emergere della teoria dell’imprenditorialità (2015) come Le opere complete di Israel M. Kirzner,
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vol. 5; e Discovery, Capitalismo, e giustizia distributiva (2016 [1989]) come
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vol. 6. Le opere complete di Israel M. Kirzner.
Ulteriori quattro volumi sono previsti nei prossimi anni per completare il set di 10 volumi. La mia speranza è che questo saggio stimolerà gli studenti di economia e di politica economica per approfittare di questa iniziativa della Liberty Fund ed apprezzare il contributo di Kirzner a livello metodologico, analitico e ideologico.
(2) Il mio obiettivo è quello di Kirzner, ma per una panoramica e la mia valutazione dei contributi di Baumol alla teoria economica e alla economia politica vedasi il mio saggio con Ennio Piano (Laureato. MBA, con dottorato preso il Dipartimento di Economia alla George Mason University), “Imprenditorialità produttiva ed improduttiva di Baumol dopo 25 anni”, Journal of Entrepreneurship and Public Policy , 5 (2) 2016: 130-44.
(3) Cfr “Argomenti ricerca ha suggerito di Mises, 1950-1968”
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Carta da prestazione occasionale
Correva l’anno 2017 ed il Governo italiano, nel mese di marzo, abolì i voucher, in vista anche di un referendum che si doveva tenere nel mese di maggio dello stesso anno. La motivazione fu quella di non dividere il popolo italiano (?). Le scuse sono sempre di rigore. Certo politici, sindacati, aziende, privati, ma anche utilizzatori si trovarono concordi nell’“eccesso” di utilizzo dei voucher e non sempre in modo ortodosso. L’abolizione creò però un vuoto e ritornò imperante il LAVORO NERO (con tutte le conseguenze che conosciamo). Poi le cose cambiarono ed un bel giorno venne presentato un nuovo tipo di pagamento la:
CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.
Di cosa si trattava? Era semplicemente una carta (di plastica) che si acquistava al Banco Posta, in banca o nelle tabaccherie e veniva rilasciata ad aziende, enti, privati ecc. I fruitori erano come sempre persone alla ricerca di un lavoro temporaneo “pagato” e che li mettesse in grado di poter soddisfare i bisogni più immediati. In pratica sostituiva i voucher. Come funzionava? Più o meno con le stesse modalità del voucher e come diceva il mio Professore di Ragioneria: “CAPITO IL CONCETTO CAPITO TUTTO!”. Ed ecco cosa sfornarono le nuove menti in relazione alla carta di ci sopra:
Ogni CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE può avere un valore di:
10, 20, 50, 100, 200 o 500 euro.
Considerando i vari tagli dettero un anche delle disposizioni:
al lavoratore il 75%:
all’ INAIL 7%, per l’assicurazione contro gli infortuni;
all’INPS 13%, destinati alla Gestione Separata contributi previdenziali:
al concessionario 5%.
Per l’acquisto della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE occorreva aggiungere un importo all’erario.
10% scadenza 7 gg.
20% “ 30 “
30% “ 90 “
35% “ 120 “
… … … …
così facendo era possibile dare una datazione ai tempi di utilizzo.
Per far capire come funzionava fecero questo esempio:
“da tempo un amico che lavorava presso un’impresa edile era senza lavoro. Ora, essendo primavera era il momento giusto per dare una rinfrescata alla casa. Feci fare alcuni preventivi, ma non rientravano nel mio budget. Allora che fare? Mi misi d’accordo con il mio amico per pitturare l’appartamento. Io compro il colore e tu ci metti il resto. Tempo concordato 5 giorni. Prezzo € 500,00 tutto compreso. Con una stretta di mano siglammo l’accordo. Mi recai dal mio tabaccaio sotto casa e acquistai con € 550,00 una CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Diedi al tabaccaio la mia tessera sanitaria e l’importo. Il giorno dopo, quando il mio amico “pittore” si presentò a casa con gli attrezzi attivai la CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE. Alcuni giorni dopo, terminato il lavoro, il mio amico pittore si presentò al Banco Posta per la riscossione e per pagare alcune bollette. Fine della storia e dell’esempio”.
Che cosa ci ha insegnato questo racconto?
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Gli importi possono essere i più vari.
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I due soggetti acquirente e fruitore sono “tracciabili” e l’ente erogante, la carta, può controllare se è solo un fatto occasionale o se rientra in una assunzione mascherata.
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Il fruitore in caso di incidente è assicurato.
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Il fruitore ha i contributi previdenziali versati, anche se io non sono un’azienda.
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Gli Istituti previdenziali (INPS e INAIL) sono coinvolti.
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L’Erario ha introiti certi nel momento della emissione della CARTA DA PRESTAZIONE OCCASIONALE.
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Scadenza certa.
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Non c’è il LAVORO NERO (o se c’è è parziale), tutto è verificabile.
Non esiste la perfezione nelle cose, ma il buon senso può essere utilizzato per farne buon uso. Il periodo della carta durerà, probabilmente, sino a quando la pluriennale GRANDE RECESSIONE passerà.
LE CARTE DI CREDITO NON FANNO PARTE DELLA MASSA MONETARIA.
NON E’ POSSIBILE EMETTERE TITOLI CHE IMPLICHINO LA STAMPA DI MONETA, QUEST’ULTIMA E’ RISERVATA ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA.
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Alla base della razionalità economica
Il problema economico delle società consiste principalmente nel rapido adattamento ai cambiamenti che intervengono nelle particolari circostanze di tempo e di luogo.
Di conseguenza, è sempre preferibile che le decisioni finali vengano prese da coloro che direttamente conoscono queste circostanze o comunque che vengano prese con la loro attiva collaborazione.
Di qui l’importanza fondamentale della proprietà privata dei mezzi di produzione, sia sulla propria persona che sulle proprie cose: se ciascun individuo non è effettivamente il proprietario di sé stesso e delle proprie cose diviene praticamente impossibile attivare ed utilizzare al meglio la conoscenza dispersa tra le persone.
Proprietà privata dei mezzi di produzione e decentramento decisionale sono quindi intimamente collegati: senza proprietà privata sui propri mezzi di produzione non possiamo avere alcun decentramento decisionale.
In questo contesto, dobbiamo inserire il sistema dei prezzi, ossia quella guida all’azione sociale, quell’informazione necessaria, che serve a coordinare le azioni separate di persone differenti, affinché una società possa essere non soltanto pacifica ma anche davvero produttiva.
Nel calcolo economico non si può evitare di utilizzare un sistema dei prezzi, ma per calcolare razionalmente il valore e dunque per coordinare in maniera tendenzialmente corretta le azioni separate di persone differenti, possiamo fare affidamento solamente sui prezzi di mercato e prezzi di mercato possono emergere soltanto attraverso lo scambio volontario di diritti di proprietà privata.
Di conseguenza, se si desidera orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, vale a dire se si ambisce a favorire le opzioni superiori piuttosto che le opzioni inferiori, rispetto alle preferenze dei consumatori e alle capacità dei produttori, non si può rinunciare alla produzione che avviene in un mercato di scambi volontari di diritti di proprietà privata.
Qualora l’informazione necessaria fosse data non avremo bisogno di prezzi di mercato per orientare razionalmente l’allocazione delle risorse, ma poiché l’informazione necessaria nel mondo reale non è mai data vi è bisogno dei prezzi di mercato: solo mediante lo scambio volontario di diritti di proprietà privata, infatti, gli agenti economici possono esercitare la loro attività sempre inconclusa e parziale di creazione e scoperta dell’informazione necessaria che trova la sua rappresentazione codificata nei prezzi di mercato.
Prezzi di mercato significano un sistema di prezzi che nasce e si sviluppa in maniera decentralizzata, cioè che non è imposto da alcuna autorità centrale attraverso mandati coattivi.
Prezzi di mercato sono una caratteristica esclusiva di un sistema fondato sul primato della proprietà privata dei mezzi di produzione e non possono in alcun modo essere fatti propri né nei meccanismi né nei risultati da un sistema che ha abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione.
Esiste spontaneamente un mutuo adattamento degli atti dell’agente economico a quelli di tutti gli altri agenti economici: l’agente si adatta ai prezzi di mercato comprando e vendendo ai prezzi di mercato; i prezzi di mercato si adattano all’agente incorporando nella catena dei prezzi le conseguenze delle sue scelte e delle sue decisioni – il locale agisce sul globale e il globale sul locale e ognuno dei due aspetti è, nel contempo, causa ed effetto dell’altro.
L’informazione necessaria quindi non solo non si può considerare data a livello centrale per il suo carattere soggettivo, pratico e disperso, ma nemmeno si genera a livello degli agenti economici individuali se a questi non è permesso di esercitare liberamente la loro attività imprenditoriale e per fare in modo che ciascuno possa esercitare liberamente questa attività occorre riconoscere concretamente come presupposto il diritto alla proprietà privata sui propri mezzi di produzione.
In tal senso, neanche lo sviluppo della programmazione matematica e del più potente dei calcolatori informatici possono sostituire il ruolo imprescindibile svolto dalla proprietà privata nell’implementare il processo sempre inconcluso e parziale di creazione e scoperta dei prezzi di mercato.
Dimostrare, infatti, che alcune equazioni astratte hanno alcune soluzioni altrettanto astratte non significa che queste siano anche di una qualche utilità pratica, in assenza di scambi volontari di diritti di proprietà privata e ciò equivale ad affermare che la pianificazione centralizzata non è in grado di creare e ricreare di continuo e in tempo reale alcuna coordinazione efficace delle azioni individuali.
Un’economia pianificata dunque non può riprodurre meccanismi e risultati dei prezzi di mercato, giacché costi e possibilità di produzione non sono dati e inalterabili nel futuro ma vanno costantemente creati e scoperti e soltanto con gli incentivi di un’economia di mercato si è in grado di mobilitare e di usare in modo funzionale le informazioni diffuse tra gli innumerevoli agenti economici.
Un’economia di mercato è poi tanto più orientata alla prosperità quanto più tutti al suo interno sono liberi di scegliere i propri piani, le proprie preferenze e le proprie azioni, ossia quanto meno la proprietà privata di ciascuno sui propri mezzi di produzione è sottoposta a priori a interferenze coercitive.
In conclusione, se il diritto, inteso come norme giuridiche generali atte a proteggere la proprietà esclusiva di ciascuno, ci offre una guida all’azione sociale che ci dice ciò che non bisogna fare se non vogliamo far esplodere conflitti, il sistema dei prezzi di mercato ci offre invece una guida all’azione sociale che ci dice ciò che bisogna fare per rispondere efficacemente ai bisogni reciproci di tutti gli agenti economici.
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Il protezionismo fa tornare povere le grandi nazioni
Poche le elezioni presidenziali americane avevano attirato tanto interesse e preoccupazione internazionali, come quella nel 2016. Sicuramente, chi viene eletto e si siede alla Casa Bianca a Washington, DC è importante per molte persone in tutto il mondo dal momento che l’America resta un colosso politico, economico e militare influenzando i maggiori ed i minori eventi in tutto il mondo.
Eppure, l’ansia circa la possibilità e quindi la realtà della elezione di Donald Trump quale 45° presidente degli Stati Uniti è unica, almeno nella mia vita. Il suo linguaggio impetuoso, la sua crudezza nell’espressione verbale, il suo rifiuto apparente, durante le primarie repubblicane, di giocare col galateo e le regole del gioco politico standard e poi attraverso la campagna presidenziale che porta al giorno delle elezioni nel novembre dello scorso anno molte persone sono andate fuori di testa, in America e altrove, chiedendosi cosa aspettarsi se Trump dovesse vincere.
Poi venne lo shock della realtà, vincere le elezioni anche dopo che i sondaggisti interpretavano le preferenze del pubblico e gli esperti pontificavano sulla “impossibilità” che l’America scegliesse Trump. Sono stati tutti smentiti la sera dell’8 novembre 2016. I voti sono stati conteggiati ed è subito parso chiaro che Donald Trump aveva vinto con i voti necessari nel Collegio Elettorale Americano (American Electoral College) rivendicando la vittoria, anche su Hillary Clinton, guadagnando quasi tre milioni di voti in più dei popolari.
La negazione e la rabbia al trionfo di Trump
Si dice che ci sono diverse fasi del dolore umano dopo una grande perdita personale. La negazione è la prima, seguita dalla rabbia che la tragedia fosse accaduta. In questo breve breve periodo di tempo dopo le elezioni di novembre e poi l’insediamento di Donald Trump come presidente il 20 gennaio 2017, coloro che non possono accettare il risultato elettorale, stanno ancora provando una combinazione di queste prime due fasi.
Ma il fatto è che Donald Trump ha vinto le elezioni e se qualche evento inaspettato dovesse accadere, lui sarà, comunque, il presidente degli Stati Uniti per almeno i prossimi quattro e/o forse anche per i prossimi otto anni. Quindi, a molti piaccia o no, è solo meglio passare alla ultima fase del processo di lutto – l’accettazione. Donald Trump è alla Casa Bianca e ci starà lì per un po’.
Quindi, che cosa significa una Amministrazione Trump per l’America e per il resto del mondo? Beh, in effetti, ci sono molto poche domande al riguardo, dal momento che Trump è stato esplicito e diretto sui problemi in generale e molte delle sue specifiche visioni del mondo e con quella visione del mondo guiderà le sue decisioni in politica nei prossimi anni. Abbiamo già intravisto il suo punto di vista in “ordini esecutivi” che ha emesso finora durante la sua presidenza.
I deliri della Sinistra a proposito di Donald Trump
Prima di arrivare a questo, forse è necessario mettere da parte alcune paure deliranti ed euforie fuori luogo. L’ascolto e la lettura di quanto quelli della “sinistra” hanno detto e scritto su una Amministrazione Trump, l’osservatore non informato in visita di Marte potrebbe pensare che l’America era già affondata in una dittatura fascista o qualcosa di simile in cui sono in fase di realizzazione campi di concentramento per gli indesiderabili della minoranza, dai mezzi di informazione minacciati di essere trasformati in una voce per una macchina di propaganda nazista e che i non credenti religiosi saranno presto costretti a frequentare la chiesa ed obbligati a versare la decima (decima parte -10% – su base volontaria o obbligatoria in denaro o natura ndt).
A mio parere, molti della sinistra politica hanno bevuto un Kool-Aid di loro intruglio (bevanda analcolica a base di vitamine ndt) ed ora credono alla loro stessa propaganda isterica, la campagna per la morte della libertà in America è dietro l’angolo. Altri della sinistra politica trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone per marciare, dimostrare e rivoltarsi come un meccanismo per solidificare la loro conquista sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione già guardando alle prossime elezioni del Congresso e presidenziali di due e quattro anni da oggi.
Altri, della sinistra politica, trovano questo immaginario apocalittico molto utile per manipolare le persone invitandole a marciare, a dimostrare e ad insorgere come un meccanismo per compattare la presa sulla loro base politica. Mantenere la frenesia serve anche ai fini di coloro che nell’opposizione stanno già guardando alle prossime elezioni del Congresso fra due anni e alle presidenziali quattro anni a partire da oggi.
E ‘importante capire che molti dei timori espressi dai membri del Partito Democratico o della sinistra politica in generale sulle usurpazioni presidenziali del potere – reali o immaginarie – di Donald Trump sono tutti poco convincenti. Infine, sono tutti molto soddisfatti per l’uso delle stesse prerogative presidenziali di Barack Obama attraverso direttive ed i relativi poteri per aggirare un Congresso controllato dai Repubblicani durante sei dei suoi otto anni alla Casa Bianca.
E’ stato Obama a dire che aveva “un telefono e una penna” e con questi in mano, avrebbe fatto tutto quello che poteva per farla franca e se il Congresso o la maggioranza del popolo americano erano a favore o meno nella sua visione di “speranza e cambiamento” in America. Improvvisamente, da quando quella potente penna presidenziale è in mano a Trump, la sinistra è “scioccata, scioccata” perché il capo dell’esecutivo del governo degli Stati Uniti non può non aderire alla tradizione dei poteri limitati e divisi nel sistema politico americano.
Il loro unico problema, con quella penna presidenziale ed il potere esecutivo, è che è in mano a qualcuno che non piace, piuttosto che a qualcuno che si crede di essere la sola voce ed il vendicatore della causa della “giustizia sociale”, con una visione “progressista” per rifare l’America.
Le fantasie della destra di Donald Trump
Sulla destra politica, molti di coloro che si opponevano a Trump, durante le primarie repubblicane, nel vederlo come una frode politica imbarazzante ed un rozzo truffatore da reality show, ora hanno cambiato il loro punto di vista.
Anche se i repubblicani una volta accertata la vittoria di Trump alle primarie, ciò ha significato la sconfitta inevitabile, e, per quattro anni, una presidenza di Hillary Clinton, si sono via via chiusi i ranghi dietro Trump. Molti, tuttavia, desiderano chiaramente che il Presidente dovrebbe attenuare la sua retorica, fermare il suo flusso di consapevolezza nel tweeting (da Twettter il social network ndt) e cominciare ad agire in maniera più “presidenziale”.
Ma a dispetto di tutti i suoi hijinks (celebrazioni chiassose ndt) personali ed imbarazzanti, da rissa di strada della retorica permalosa, dopo tutto, lui non è Hillary Clinton. E se lui segue attraverso le sue promesse, molte politiche a lungo desiderate dai repubblicani e dal movimento conservatore, in particolare nel campo della politica economica interna, questo potrebbero giungere a buon fine.
Egli ha detto che le tasse personali e aziendali devono essere significativamente ridotte, tra cui la doppia imposizione degli utili delle società americane delle operazioni all’estero. Ha detto anche che i regolamenti federali sulle imprese saranno tagliati radicalmente e le aziende saranno libere di pianificare e di investire capitali.
Trump ha firmato per il completamento dell’oleodotto Keystone, che collega i campi petroliferi del Canada col Dakota, con le raffinerie di petrolio e le relative strutture nel sud americano. Ha sfidato la ossessione del riscaldamento ed il cambiamento climatico globale. Forse ancora più importante, ha corso ed insiste per l’abolizione e la sostituzione del Affordable Care Act (sistema sanitario) – ObamaCare – per ripristinare la scelta più personale sull’assicurazione sanitaria e le opzioni di assistenza medica.
Se Trump persegue con successo, attraverso queste politiche ed i programmi, molti repubblicani e conservatori perdoneranno a Trump la maggior parte dei suoi peccati e imbrogli. Specialmente nel caso in cui si assicuri il controllo repubblicano nelle legislature federali e statali nelle prossime elezioni.
Donald Trump è improbabile che sia il distruttore diabolico della società democratica e come “la sinistra” lo ritrae: essere una minaccia. Ma direi che non è lui il difensore del principio della libertà e della libera impresa che molti sulla speranza di “destra” lavorano su alcuni decisioni della politica economica che egli ha preso finora.
La visione del mondo di Donald Trump : nemici ovunque
Quello che penso si sia distinto maggiormente nel suo discorso inaugurale, il 20 gennaio 2017, è stata l’omissione di riferimenti a ”libertà” o di “governo limitato”. La stragrande maggioranza del messaggio si è focalizzato su una chiamata per un restauro della “grandezza nazionale”.
“ Da oggi in poi, una nuova visione governerà la nostra terra. Da questo momento in poi, essa sarà l’America First. Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sulla politica estera sarà fatto per beneficiare i lavoratori americani e le famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dai danni di altri paesi che fanno ai nostri prodotti, che sottraggono le nostre aziende e distruggono il nostro lavoro. La protezione porterà grande prosperità e forza …
L’America tornare a vincere, vincendo come mai prima. Porteremo di nuovo il nostro lavoro. Ci riprenderemo i nostri confini. Porteremo di nuovo la nostra ricchezza. E noi riporteremo i nostri sogni. Costruiremo nuove strade e autostrade e ponti e aeroporti e gallerie e ferrovie in tutta la nostra meravigliosa nazione …
Seguiremo due semplici regole: Comprare americano e assumere americani. Cercheremo l’amicizia e la buona volontà con le nazioni del mondo – ma lo facciamo con la consapevolezza che è un diritto di tutte le nazioni mettere al primo posto i propri interessi.
Il Presidente Trump ripetuto lo stesso messaggio nelle sue osservazioni proprio l’altro giorno, il 17 febbraio 2017, ad una presentazione del nuovo Boeing 787 Dreamliner a Charleston, Carolina del Sud:
“Come vostro Presidente, ho intenzione di fare tutto il possibile per liberare il potere dello spirito americano e di mettere la nostra gente di nuovo a lavoro. Questo è il nostro mantra: Acquistare americano e assumere americani.
Noi vogliamo prodotti realizzati in America, fatte da mani americane. Probabilmente, come avete visto di recente, ho approvato la pipeline Keystone in Dakota. E mi sto preparando a firmare il disegno di legge. Ho detto, in che modo viene fatta la conduttura? E mi hanno detto non qui. Ho detto, che questo è un bene – aggiungi un po’ alla frase che devi comprare acciaio americano. Ed ora sai cosa? E’ così com’è. E’ quello che sta per essere … Stiamo andando a combattere fino all’ultimo posto di lavoro per gli americani …
Ho fatto una campagna elettorale con la promessa, che farò tutto quanto in mio potere, per portare quei posti di lavoro di nuovo in America. Abbiamo voluto rendere più facile – e deve è molto più facile da produrre che nel nostro paese e molto più difficile da abbandonare. Non voglio che le società escano dal nostro Paese, fabbricando il loro prodotto e vendendolo di nuovo, senza alcuna tassa, niente di niente, alimentando tutti nel nostro paese.
Popolo, non lasciamo che accada più. Credimi. Ci sarà una sanzione molto consistente da pagare quando (le aziende) abbandonano la loro nazione e si spostano in un altro paese, fabbricando il prodotto e pensando che hanno intenzione di venderlo di nuovo in quello che sarà presto un confine molto, molto forte. Sarà una partita molto diversa. Sta per essere tutto molto diverso …
Per raggiungere questo obiettivo, stiamo andando a ridurre massicciamente i regolamenti che appiattiscono il lavoro già iniziato; lo avete visto che – mandano i nostri posti di lavoro in altri paesi. Abbiamo intenzione di abbassare le tasse sul business americano quindi sarà più economico e più facile produrre prodotti e cose belle, come gli aeroplani proprio qui in America … Lo avete sentito dire prima ed io lo ripeto: D’ora in poi, sarà America First. ”
A suo avviso, gli Stati Uniti sono stati sfruttati nei rapporti politici ed economici con il resto del mondo. Il mondo ha rubato posti di lavoro agli americani e distrutto le basi di produzione degli Stati Uniti, hanno lasciato la classe media americana con uno standard di vita indebolito e stagnante, provocato il caos con il sogno americano ed il diritto di nascita, di opportunità e di prosperità crescente.
Per Donald Trump, ogni accordo commerciale, ogni deficit commerciale ed ogni investimento d’affari all’estero, sono la prova della misura in cui l’America ha abusato nelle sue relazioni commerciali.
Questa visione del mondo è una rinascita della nozione mercantilista del XVII e XVIII secolo dove l’esistenza umana ha un conflitto senza fine ed inconciliabile, non solo o semplicemente con la natura, ma tra stati-nazione. Per il mercantilista, ogni stato-nazione dovrebbe proteggere il benessere economico dei propri sudditi e cittadini dalla perdizione del saccheggio di altri stati-nazione. Nella visione del mondo mercantilista, l’economia è un gioco a somma zero.
La liberazione classica del liberalismo dell’uomo da parte dello Stato
Le rivoluzioni intellettuali, politiche ed economiche liberali classiche della fine del XVIII e XIX secolo sono il rovescio dell’idea di monarchia assoluta, sostituendo entrambe le monarchie con un vincolo costituzionale o con forme repubblicane di governo. Si vuole, inoltre liberare l’individuo dalla potenza e dal controllo dello stato incontrollato. L’ideale di libertà individuale ed il diritto di ogni persona alla propria vita, alla libertà ed alla proprietà onestamente acquisita è l’importante trasformazione del rapporto tra l’individuo e lo Stato.
Secondo i classici liberali, il governo esiste per preservare il diritto dell’individuo di vivere nella sua tranquillità e nell’interesse personale, di non servire agli scopi dei re, dei principi, o maggioranze democratiche illimitate. Gli economisti del tempo, tra cui Adam Smith e molti altri dopo di lui, hanno sostenuto che il commercio non era un gioco a somma zero ed era sicuramente dannoso per le nazioni impegnate in rapporti commerciali.
Questi liberali hanno affermato che le persone sanno molto meglio come prendersi cura dei propri interessi rispetto a qualsiasi regolamentatore di governo che potrebbe anche ideare. Gli individui entrano solo in scambi con gli altri quando credono che ci sarà un risultato migliore nella transazione. Nessun individuo, nell’atto di libero scambio, dà mai via intenzionalmente qualcosa che ha un alto valore per qualcosa che valga molto meno. Infatti, è sempre il contrario.
Miglioramento da commercio contro la presunzione politica
Se vado giù al negozio all’angolo e acquistare una copia del giornale di oggi per un dollaro, è perché ritengo che le informazioni possibili che mi può fornire sono di maggior valore rispetto al prezzo mi viene chiesto. E, a sua volta, se il proprietario del negozio all’angolo mi vende la copia del giornale di oggi è perché ha più alto valore del dollaro che riceve da me per rinunciare a una delle copie in vendita. Ognuno di noi considera sé stesso, rispettivamente, migliore.
Ora è vero che dopo che ho comprato il giornale e l’ho letto, potrei dire, retrospettivamente, che non conteneva nulla di veramente nuovo o interessante e, quindi, col senno di poi, invece avrei potuto facilmente far passare il giorno senza acquistarlo e utilizzare quel dollaro per l’acquisto di qualcos’altro.
Nessuno ha la perfetta conoscenza. Noi tutti agiamo su ciò che sappiamo o che crediamo nel momento in cui effettuiamo una operazione. E, a volte, si può concludere che una cosa, dopo averla fatta, non era così vantaggiosa come speravamo o avremmo voluto fosse. Ma richiederebbe una grande quantità di arroganza da parte di chiunque altro presumere che sanno più di noi su ciò che è meglio per noi, nei nostri scambi di mercato di tutti i giorni. La conoscenza su cui il presuntuoso paternalismo politico afferma il diritto di controllare e di interferire è almeno altrettanto imperfetta e limitata quanto quella posseduta dal resto di noi.
La mentalità della pianificazione centrale di Trump
Mentre molti conservatori stanno salutando l’intenzione dichiarata da Donald Trump di ridurre la normativa in materia di business e contemporaneamente meno tasse sulle persone e le imprese private – sicuramente tutte cose buone in se stesse – dobbiamo capire, però la prospettiva ideologica per cui lo si sta facendo.
In nessun momento il presidente Trump ha detto che intende seguire queste politiche perché vuole avere più controllo sui i cittadini americani e sulle loro vite. Non ha mai sostenuto la riduzione degli oneri fiscali in modo che gli Americani possano mantenere un reddito e della ricchezza più alti e che si sono onestamente guadagnato come un obiettivo politico desiderabile per sé.
No, invece, il presidente Trump ha sostenuto queste politiche, come un pianificatore dell’economia centrale, sa dove le imprese americane dovrebbero investire e dovrebbero assumere e quali sono i prodotti che dovrebbero produrre.
Come è diverso dal “progressista” che desidera utilizzare la regolamentazione del governo per limitare l’uso dei combustibili fossili, utilizzando politiche di intervento per promuovere “energie alternative”?
Gli obiettivi e gli strumenti di regolamentazione possono differire, ma la premessa di base rimane la stessa: Che il governo sa, meglio dei singoli cittadini, come vivono la loro vita.
La saggezza duratura di Adam Smith
Per essere onesti, suscita la più profonda frustrazione, per un economista, il dover ripetere le parole scritte da Adam Smith più di 240 anni fa, nel suo famoso libro, La ricchezza delle nazioni:
“ “E’ il motto di ogni buon padre di famiglia, di non tentare di fare a casa quello che gli costerà di più che acquistarlo. Il sarto non tenta di fare le proprie scarpe, ma le compra dal ciabattino. Il calzolaio non cerca di fare i suoi vestiti, ma si avvale di un sarto. Il contadino non cerca di fare né l’uno né l’altro, ma si avvale di questi diversi artigiani …
“Quella che è la prudenza nella conduzione di ogni famiglia privata può essere la rara follia in quella di un grande regno. Se un paese straniero ci può fornire con un prodotto più conveniente, che noi stessi possiamo produrre, meglio comprarlo da loro con una parte dei prodotti della nostra industria, impiegata in un modo da averne qualche vantaggio …
“Non è certo impiegato per il massimo vantaggio quando si è indirizzati verso un oggetto che si può comprare più convenientemente e che può rendere … L’industria di un paese, di conseguenza, viene così rivolta ad altro, ad un lavoro meno vantaggioso ed il valore di scambio annuo dei suoi prodotti, invece di essere aumentato, secondo l’intenzione del legislatore, deve necessariamente essere diminuito per tutti da tale regolamentazione”.
Il Presidente Trump e quelli della sua amministrazione che condividono la sua visione negativa delle importazioni di beni meno costosi, senza dubbio, diciamo che può essere cosa buona e giusta, date le circostanze ad una “parità di condizioni” (ceteris paribus), ma le altre nazioni non giocano pulito. Altri governi sovvenzionano le loro esportazioni e tentano di ostacolare, a loro modo, l’importazione di merci americane nei loro paesi.
L’importazione di merci a poco prezzo è sempre quello più conveniente
Se le importazioni meno costose offerte negli Stati Uniti sono il risultato di un’efficienza dei costi basati sul mercato di in un altro paese o la sovvenzione del governo di alcune delle esportazioni verso un paese, dal punto di vista del consumatore americano, vi è la possibilità di un aumento del reddito reale. Una merce desiderata può essere acquistata per meno di prima, lasciando una somma di denaro nelle tasche degli acquirenti con la quale ora possono permettersi di acquistare ciò che prima non potevano.
Che dire di posti di lavoro persi nel mercato interno a causa delle importazioni straniere? Sempre di fronte a tutti i cambiamenti sono necessari aggiustamenti. In questo caso, sarà necessario il re-impiego, ma non c’è nulla, di per sé, che impedisce di trovare posti di lavoro alternativi. Dopo tutto, le importazioni devono essere pagate attraverso le esportazioni – il paese straniero non può dare i propri prodotti gratis. E, in aggiunta, i dollari risparmiati dall’acquisto del prodotto straniero, meno costoso, significheranno domanda aggiuntiva alla spesa per beni diversi dei consumatori che possono ora permettersi di comprare, offrendo opportunità di lavoro anche in questa direzione.
Il falso obiettivo dei “lavori” giusti
Questo diventa un altro punto cieco in agenda come dichiarato dal presidente Trump. Ripete, ancora e ancora, che il suo compito è quello di creare posti di lavoro per gli americani. Ma “posti di lavoro” non è un fine in sé. Mentre alcune cose sono piacevoli da fare per se stessi, il lavoro è un mezzo per un fine. Sia che si stia piantando colture in un campo o lavorando i prodotti in fabbrica o mettendo le reti da pesca nell’oceano, oppure offrendo un servizio come un taglio di capelli o un corso di aerobica, sono tutti i mezzi per raggiungere un fine – la produzione di beni che gli altri vogliono per la società come metodo per guadagnarsi da vivere e che ci consente di acquistare da quegli altri, ciò che hanno in vendita nel settore del lavoro che, a sua volta, è il desiderio di consumare.
Dovremmo desiderare, per tutti, di fare il loro lavoro al minor costo in termini di risorse e manodopera proprio in modo che possiamo ottenere la maggior parte dei beni e dei servizi che desideriamo con i mezzi a disposizione. Se i produttori di in un altro paese possono farlo meglio e meno costoso di quello che possiamo farlo in casa, dobbiamo approfittare di questo per massimizzare il nostro benessere materiale, piuttosto che lamentarci per la sua offerta.
Supponiamo che domani, attraverso qualche miracolo, i vestiti comincino a crescere gratis sui rami degli alberi e che tutti i posti di lavoro dell’economia nel settore tessile debbano scomparire. Dovremmo andare in disperazione per questo? Certamente, potremmo avere tutti i vestiti che avremmo potuto desiderare e si potrebbe, quindi dedicare tutto il lavoro liberato per produrre altre cose che anche noi desideriamo, ma che non si poteva precedentemente avere, perché gran parte della forza lavoro era legato a confezionare le nostre camicie, pantaloni e giacche.
Temendo di perdere quei “buoni posti di lavoro americani” nel settore tessile, dovremmo considerare meglio se tagliare i rami degli alberi che producono tutti quei vestiti in modo da mantenere tutti quei lavoratori che fanno i vestiti? Penso che la maggior parte di noi consideri ciò ridicolo. Il Presidente Trump, se lo prendiamo in parola, potrebbe voler imporre un dazio sulle importazioni e costruire un muro alto lungo il confine per mantenere tutti quei vestiti liberi fuori degli Stati Uniti, se si è scoperto che quei vestiti prodotti dagli alberi sono stati collocati in un Paese straniero.
Le ritorsioni al commercio esprimono il peggio del proprio paese
E per quanto riguarda gli altri paesi che impongono tariffe di importazione contro i nostri beni per “proteggere” i propri settori ed impieghi? Non dovremmo rispondere con tariffe di ritorsione e le relative restrizioni all’importazione per dare loro una lezione? Se lo facciamo possiamo solo ferire noi stessi, in modo da rispondere alle barriere commerciali erette da altri paesi.
Un economista britannico, Henry Dunning MacLeod (1821-1902), ha dato una risposta chiara sull’argomento di una tariffa di ritorsione, nel 1896. Egli ha detto:
“ “Con il metodo dei dazi di ritorsione, quando (un altro paese) ci percuote sulla guancia, dall’altra veniamo immediatamente colpiti da noi stessi con uno schiaffo estremamente duro. (L’altro paese impone suoi dazi all’importazione) fanno un danno e noi, e per ritorsione, immediatamente noi facciamo di più. Il vero modo per combattere le tariffe ostili è il libero commercio”.
La ritorsione con tariffe contrapposte rende le merci acquistate solo, in precedenza dal paese straniero, più costose per i consumatori del proprio paese, abbassando il loro livello di vita attraverso prezzi più elevati e una più ridotta varietà di prodotti tra cui scegliere. Riducendo le vendite conseguite dal produttore straniero nel proprio paese, ha meno entrate da cui partire per comprare le esportazioni del vostro paese, con un effetto negativo sui settori della propria economia.
Se, ora, che l’altro paese procede a imporre dazi contrapposti, in risposta alla rappresaglia del vostro paese, entrambi i paesi si troveranno di fronte a una spirale di morte del commercio per la diminuzione dei beni a disposizione dei consumatori di entrambi i paesi, i prezzi più elevati per i prodotti di entrambi che i cittadini dei paesi vogliono acquistare e ad una riduzione del sistema internazionale di divisione del lavoro diminuisce la produttività complessiva del mercato globale, il risultato finale sarà inferiore alla prosperità ed al progresso materiale per tutti.
Se il presidente Trump segue la realtà attraverso le sue proposte politiche protezionistiche, basate sulla sua somma zero, il concetto del commercio tra le nazioni ed il risultato finale può avere in gioco una somma negativa, in cui tutte le nazioni del mondo stanno peggio.
Falsa prosperità di Trump dietro i muri del commercio
Oh, sì, i lavoratori americani possono ora produrre i beni che in precedenza sono stati forniti dai lavoratori stranieri. Le industrie americane che erano diminuite, rispetto al loro numero, prima dell’intensificato commercio globalizzato, possono avere un ritorno dietro le barriere doganali del presidente Trump.
Ma dietro questo miraggio di restauro della “grandezza” americana, i lavoratori ed i consumatori americani saranno più poveri di quello che devono essere, la fabbricazione di beni a costi più elevati e con efficienza meno produttiva di una partecipazione libera e aperta in un mercato-centrico (tipico dei paesi come USA e GB, è basato sulla capacità dei mercati, di finanziare grossi progetti, per promuovere lo sviluppo economico ndt) dove la divisione globale ed il libero lavoro verrebbe offerti a tutti, in tutto il mondo, compresi quegli americani per il cui benessere economico il Presidente Trump sostiene di essere così preoccupato.
Donald Trump smentito da un Caroliniano del Sud – nel 1830!
Ho già citato delle osservazioni del presidente Trump durante la sua recente visita a Charleston, South Carolina. Permettetemi di citare un economista del South Carolina, Thomas Cooper (1759-1839), che ha pubblicato le seguenti parole nel 1830: Lezioni sugli elementi di economia politica (Lectures on the Elements of Political Economy), in quello che è diventato uno dei libri di testo economici più diffusi, a quel tempo, negli Stati Unit. Il Dr. Cooper è stato uno dei presidenti del South Carolina College e un professore di chimica ed economia politica. Disse:
“ “L’intero utilizzo del commercio estero è quello di importare le materie prime che occorrono, a costi inferiori, più di quanto non siano prodotti in casa. Questa è la base ed il carattere essenziale. Quindi, il principio di restrizioni e imposte (tariffe) proibitive, che vietano, in fase di introduzione dall’estero, un articolo perché può essere considerato più economico dall’estero – va alla distruzione totale di tutto il commercio estero …
“Infatti, il sistema restrittivo ci dice che non vi gioverà grandemente l’essere confinati come prigionieri all’interno delle nostre case, senza avere rapporti fuori di casa; questo è il dovere di lasciare il nostro vicino di arricchirsi sulla nostra credulità e convincerci a comprare da lui un articolo inferiore, ad un prezzo superiore …
Per (questo) principio adozione, dove è la fermata? Per parlare dopo di questo, del nostro essere la nazione più illuminata sulla terra, è una satira su di noi più amara che i nostri nemici hanno in loro potere di proferire. Per essere governati da tale ignoranza, è davvero una vergogna nazionale”.
Il pericoloso paternalismo protezionista di Donald Trump
Donald Trump non può essere né il diabolico aspirante dittatore che molti della sinistra politica hanno ritratto o per “dirla com’è”, l’angelo vendicatore per alcuni della destra politica ed avere qualcuno che sia in grado di ripristinare gloriosamente una grandezza americana perduta.
Quello che dovrebbe essere abbastanza chiaro è che dietro il mantra del presidente Trump di “America First” è un protezionismo paternalistico pericoloso che vede tagli fiscali e riduzioni di regolamentazioni del business di casa, non fini a se stesse, ma per ripristinare la libertà individuale e la libertà economica del popolo americano; invece, gli strumenti di politica fiscale ed interventista influenzano e manipolano la direzione e la forma dell’ attività economica negli Stati Uniti.
Altre nazioni non sono viste come partner globali e partecipanti in una ricerca in tutto il mondo per un generale miglioramento delle condizioni dell’umanità, tra cui il miglioramento del popolo americano. Il mondo non è visto come un’arena di cooperazione internazionale attraverso la competizione pacifica del mercato in cui ogni nazione e le persone trovano i modi migliori per guadagnare da vivere attraverso il progresso reciproco, di coloro, con i quali essi commerciano.
Invece, il presidente Trump vede il mondo come un luogo ostile in cui le altre nazioni sono fuori per migliorare loro stesse, rendendo l’America e gli americani più poveri, deboli e anche peggio. L’atteggiamento e la convinzione, se al momento dell’attuazione della politica economica estera americana, rischia di farne una profezia che si auto-avvera. Altre nazioni possono facilmente cadere ulteriormente nella stessa mentalità del collettivismo nazionalista, portando con sé tensioni economiche internazionali e conflitti commerciali ed eventualmente intensificarli, se non guerre commerciali odierne. Si tratta di una mentalità pericolosa e sta visibilmente crescendo oggi in un certo numero di paesi europei e in altri luoghi in tutto il mondo.
Le politiche di Donald Trump possono benissimo portare più prodotti recanti il marchio “Made in USA”, ma il suo significato reale e perverso non sarà una grandezza americana restaurata, ma il marchio di una prospettiva di politica economica che porta con sé l’idea di paternalismo protezionistico che, alla fine della giornata, non migliorerà né la condizione degli americani, né quella del resto del mondo.
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Il fenomeno migratorio in una società libera
Un ordine basato sulla libertà individuale di scelta, consiste in libertà di offrire e libertà di domandare ed in ciò è insito il fatto che ogni richiesta può essere gestita in piena autonomia ed essere tanto accolta quanto rifiutata o cadere nel vuoto.
La libertà è, infatti, assenza di impedimenti, ma questa condizione verrà realizzata solo se verrà rispettata la proprietà privata, sia su se stessi che sulle cose.
Rispettando la libertà di ciascuno non si è grado di imporre alla società concezioni artificiali frutto della presunta conoscenza privilegiata di qualcuno in particolare, e questo in seguito ci permette di dire che la libertà va difesa perché consente al più ampio numero possibile di individui di condurre vite ritenute significative dal proprio punto di vista.
Se la libertà, in quanto condizione generale, deve essere rispettata per lo scambio di beni e servizi lo deve essere anche per quanto riguarda il movimento delle persone; così come una merce per essere scambiata richiede l’accordo delle parti, in ogni unità privata l’accesso regolare di un’altra persona dipende sempre dalla volontà del proprietario dell’unità.
Trattasi quindi di cercare di trascinare coerentemente questo fatto evidente della proprietà privata all’interno della cosiddetta proprietà pubblica, cioè in quella proprietà dove vi è una cattiva definizione dei singoli diritti di proprietà privata che la compongono.
La proprietà pubblica è sempre mal definita e pertanto possiede una tendenza ad essere mal tutelata e/o mal sviluppata, giacché i prezzi esprimono un significato razionale solo quando emergono da scambi realizzati in cui ciascuno dispone effettivamente e solamente della sua proprietà.
Ebbene, per un puro ragionamento di tipo “consequenzialista”, quanto più i beni ed i servizi cessano di essere sottoposti a proprietà pubblica, minori sono le possibilità di pervenire ad un disordine sociale ed economico.
Parlare di proprietà pubblica significa parlare di Stato e dunque di un determinato gruppo sociale organizzato.
Non può esistere uno Stato senza territorio, vale a dire la sede su cui stabilmente risiede tale comunità organizzata.
Questa sede rappresenta l’ambito spaziale entro il quale lo Stato pretende di esercitare in modo effettivo, esclusivo ed indipendente la propria sovranità, ossia quel potere supremo dello Stato che riguarda da un lato i rapporti dello Stato con gli altri Stati e organizzazioni internazionali, dall’altro i rapporti dello Stato con i suoi contribuenti residenti e quanti transitano nel suo territorio.
Tutto il territorio dello Stato, sia che si tratti di zone abitate che di zone disabitate è sottoposto alla sovranità dello Stato.
Lo Stato si regge sull’imposizione tributaria che esso effettua su i suoi contribuenti-residenti, esso è quindi chiamato ad operare in nome di questi suoi contribuenti.
Uno Stato che afferma di rappresentare una società libera, non può che fondarsi sul primato del diritto alla proprietà privata – essendo la pretesa capace di soddisfare meglio la possibilità media di tutti – sia su se stessi che sulle cose, e su un sistema economico di libero mercato, perché questi due elementi, che sono l’uno la conseguenza dell’altro, forniscono ai suoi abitanti gli incentivi necessari per realizzare piani di azione liberamente scelti, con la garanzia di affrontare personalmente i rischi e le responsabilità delle attività che essi intraprendono.
Finché lo spostamento di una persona avviene dietro invito di un individuo, di un’associazione o di un’impresa residente che garantisce all’immigrato un alloggio per un periodo di tempo relativamente lungo, un minimo adeguato di sostentamento ed eventualmente anche un’occupazione, in linea di massima, lo Stato non può opporsi al trasferimento – in una società libera, un datore di lavoro deve avere la facoltà di assumere alle sue dipendenze chi vuole, compresi i residenti all’estero, così come il proprietario di un’abitazione deve avere la facoltà di affittare a chi vuole.
In linea di massima, poiché lo Stato, essendo l’istituzione responsabile della sicurezza di tutti i propri contribuenti, può sempre impedire l’ingresso a singoli individui che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata.
Tuttavia, spesso le persone si spostano da uno Stato all’altro in cerca di fortuna o nuova vita senza l’invito di qualcuno; in tal caso, sarà necessario, per poter in seguito stabilirsi legalmente, farsi prima concedere un apposito visto dallo Stato in cui si intende abitare o anche lavorare, tramite ambasciate o consolati – ovviamente, per tutti coloro che vanno all’estero per qualsiasi altro motivo si dovrà fare un discorso diverso.
Ambasciate e consolati locali potrebbero fungere anche da strutture che mettono sistematicamente in contatto domande ed offerte di inviti.
A chi dovrebbero essere rilasciati questi appositi visti?
Escludendo persone che palesemente hanno espresso o esprimono comportamenti e/o pensieri che minacciano seriamente quel primato del diritto alla proprietà privata, questi visti dovrebbero essere rilasciati soltanto a persone che possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari.
Se ci si reca all’estero e si è già in grado di usufruire di un reddito che funge da mezzo di sostentamento permanente, non vi dovrebbero essere obiezioni ad accettare il trasferimento, ma se ci si reca all’estero per cercare o crearsi un lavoro, tale ricerca o creazione richiede nel frattempo che si possa fare affidamento a delle risorse per sostenere il quotidiano vivere.
Lo Stato dovrà stabilire l’ammontare di queste risorse confrontandosi con le condizioni attuali del mercato del lavoro.
Lo Stato può rilasciare questi visti per motivi umanitari anche a persone che non possono far leva su un minimo sufficiente di capitali monetari?
Qui il campo delle verità consequenzialiste, giuridiche ed economiche, deve fare i conti con il campo delle valutazioni etiche, ben sapendo però che il campo delle valutazioni etiche non potrà mai capovolgere con successo le verità consequenzialiste.
Concedere il permesso a soggiornare stabilmente nel proprio territorio a persone prive di invito e che non portano con sé mezzi per sopravvivere autonomamente, significa che queste persone, almeno nei primi tempi, graveranno forzosamente come spesa sull’intera collettività e ciò equivale a dire utilizzo di un welfare state coercitivo.
Senza fare inutili previsioni di natura deterministica, è chiaro che il welfare state coercitivo può essere ben sostenibile finché si tratta di piccoli numeri; all’estendersi, infatti, del welfare state coercitivo, aumentano i rischi per il mondo dell’allocazione economica delle risorse di essere soggiogato da quello dell’allocazione politica e del parassitismo.
In ultimo, lo Stato dovrà necessariamente procedere:
all’espulsione di qualunque soggetto che cercasse di stabilirsi nel proprio territorio sprovvisto di invito o di apposito visto;
a sanzioni amministrative e/o penali nei confronti di quei soggetti che si assumono la responsabilità dell’invito dello straniero ma che, in realtà, lo fanno solo sulla carta e non anche con i fatti;
impedire l’accesso a chi provasse ad entrare nel proprio territorio cercando di forzarne i confini.
Da valutare, invece, la posizione dello straniero nel momento in cui chi l’ha invitato rinunciasse ad ogni responsabilità precedentemente assunta e nessun altro soggetto privato residente accettasse di assumerla.
I fenomeni migratori sono antichi quanto la storia dell’uomo.
E’ uno di quei cambiamenti che hanno luogo di continuo pertanto non bisogna affrontare questo fenomeno come se non dovesse mai avvenire, ma semplicemente di istituzionalizzarlo con buon senso.
Asserito quanto, c’è da rilevare che tra un ordine liberale e migrazioni esiste senz’altro un rapporto ma questo rapporto è soprattutto fatto di “sostituibilità elastica” e non di “rigida esclusività”, vale a dire che tanto più riusciamo ad estendere l’ordine liberale quanto più vengono meno quelle necessità che spingono le persone ad abbandonare le proprie terre d’origine.
All’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre corrisponde, infatti, un incremento del benessere generalizzato a livello globale e tale incremento rende sicuramente minori le possibilità che possano generarsi masse notevolmente consistenti di persone che desiderano spostarsi da uno Stato all’altro o da una regione del pianeta ad un’altra.
Di conseguenza, divengono criticabili tutte quelle azioni che, direttamente o indirettamente, ostacolano l’adozione di ordini maggiormente liberali in ogni parte del globo terrestre.
Criticabile è il sistema degli aiuti internazionali ai paesi più poveri che alla fine si risolve in effetti più che altro controproducenti.
A seguito del processo di decolonizzazione, i paesi più ricchi hanno versato 135 milioni di dollari l’anno alla cosiddetta cooperazione internazionale, e questo denaro è stato versato tanto dai governi di questi paesi quanto dai loro singoli cittadini.
L’aiuto internazionale è gestito da agenzie, associazioni od enti collegabili alle Nazioni Unite i quali senza la motivazione dell’aiuto al prossimo non potrebbero mai sorreggersi.
Ognuna di queste associazioni, agenzie od enti ha delle spese, tra cui la voce stipendi, che finiscono per assorbire gran parte di quei fondi destinati ai paesi più poveri.
Da ciò si capisce che gli impiegati di queste strutture non possono avere un grande interesse a contrastare la povertà diffusa nel mondo, giacché per loro la povertà diffusa è fonte regolare di guadagno.
Certamente, non tutti i progetti che nascono a seguito degli aiuti internazionali falliscono miseramente, ciò nonostante si stima che circa l’80 per cento di quei 135 miliardi di dollari annui viene sprecato in costi di gestione di queste associazioni, agenzie od enti ed in investimenti tanto grandiosi quanto non redditizi.
Tuttavia, questi aiuti economici forniti in maniera sistematica sono soprattutto criticabili perché finiscono per imprimere nelle popolazioni dei paesi più poveri la mentalità del subordinato a scapito dell’assunzione individuale di responsabilità.
Il fattore determinante della creazione di ricchezza è la capacità di produrre merci, la quale cresce con l’incremento della frazione produttiva della popolazione e della divisione del lavoro, le quali a loro volta possono aumentare stabilmente solo con l’accumulazione di risparmio reale.
Se il risparmio reale aumenta, può diminuire senza controindicazioni l’interesse sul capitale reale prestato e rendere così relativamente più vantaggiosi quei rami di produzione che richiedono, in funzione delle loro condizioni tecniche, un periodo più lungo di produzione.
I governi dei paesi più ricchi piuttosto che fornire aiuti economici sistematici ai paesi più poveri, dovrebbero sostenere i governi e le popolazioni locali a costituire nei propri paesi un intorno istituzionale che protegga la proprietà privata e la garanzia che quello che si accumula possa essere preservato in futuro.
Criticabile è, inoltre, la posizione dei paesi più ricchi quando questi adottano misure di protezionismo commerciale non dando in questo modo la possibilità ai paesi più poveri di accedere con i loro prodotti ai mercati più abbienti.
Mancanza del suddetto intorno istituzionale ed assenza di responsabilità individuale nei paesi più poveri e protezionismo commerciale da parte dei paesi più ricchi pongono le basi, separatamente e sommandosi, per veder emergere grandi masse di popolazione localizzate nei paesi più poveri desiderose di spostarsi verso i paesi più ricchi.
Tale pressione esercitata da queste grandi masse va a stimolare un circolo vizioso a danno del primato del diritto alla proprietà privata e del sistema economico di libero mercato ed a favore dell’espansione della proprietà pubblica e dell’interventismo statale.
Infatti, così come ogni processo di espansione economica non coperto da risparmio reale è seguito da una fase di doloroso riassestamento che rappresenta il momento ideale per veder affiorare nuove richieste di ampliamento della proprietà pubblica e dell’interventismo statale, ogni massiccia pressione migratoria dai paesi più poveri a quelli più ricchi produce in questi ultimi un periodo di acute problematiche che, stressando il meccanismo della libertà di offrire e di domandare, rappresenta il momento ideale per veder affiorare le stesse richieste.
In conclusione, quando si parla di migrazioni non vi deve essere alcuna posizione pregiudiziale, né a favore né contro, ma bisogna sempre però avere l’onestà intellettuale di affrontare il fenomeno tenendo conto delle opportunità e dei rischi che concretamente include ogni suo caso specifico.
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Decrescita felice?
Tutte le critiche (negative) all’ordine di libero mercato possono essere descritte come il frutto di un eccessivo razionalismo (come avrebbe sostenuto von Hayek) oppure come il frutto di una rivolta contro la ragione (come invece avrebbe sostenuto von Mises).
Quello che in ogni caso c’è di univoco è che il libero mercato ha dovuto praticamente da sempre scontrarsi con opposizioni scientificamente insostenibili.
In tal senso, è doveroso ricordare che l’economia è una scienza, ma in quanto appartenente al mondo delle scienze dell’azione umana e non al mondo delle scienze naturali il suo procedimento d’indagine non può essere lo stesso di questo secondo mondo.
Una delle critiche più recenti all’ordine di libero mercato è quella che va sotto il nome di “decrescita felice”.
La prima apparizione di questo termine viene fatta risalire alla pubblicazione in lingua francese, nel 1979, di una raccolta di saggi dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, ma è solo con l’arrivo del ventunesimo secolo che la decrescita prende l’aspetto di una corrente di pensiero ed inizia costantemente ad entrare nel dibattito pubblico.
A portare sotto le luci della ribalta la decrescita, attraverso una vera e propria elaborazione del concetto, è stato il professore francese Serge Latouche, da considerarsi il deus ex machina di questa corrente di pensiero.
Latouche espone la decrescita come serena e conviviale, mentre il più celebre aggettivo felice è stato introdotto dal saggista italiano ed anch’esso teorico della decrescita Maurizio Pallante.
Quella della decrescita è una scuola di pensiero senz’altro non totalmente uniforme al suo interno, ma comunque i suoi autori presentano molti punti in comune.
I maggiori punti in comune riscontrabili sono una disapprovazione per l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita umana ed appunto un’avversione nei confronti dell’ordine di libero mercato.
Prendendo in esame in particolar modo il pensiero di Latouche, iniziamo con il dire che questo autore descrive la modernità come un enorme processo di economicizzazione della vita umana e di occidentalizzazione del mondo e dedica una monografia all’invenzione dell’economia, definita come culturale e storica.
Per Latouche, l’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo e con la sua nascita l’essere umano si riduce progressivamente ad homo oeconomicus, vale a dire ad essere capace solamente di far proprie quelle motivazioni legate alla massimizzazione della sua ricchezza materiale in virtù di un utilitarismo unidimensionale.
Latouche comprime tutta l’economia dentro una scienza degli aspetti “strettamente economici” dell’azione umana, una teoria della sola ricchezza materiale.
L’avversione di Latouche al libero mercato avviene soltanto in seconda battuta rispetto a questa critica verso l’economia così inquadrata dallo stesso autore.
Questa visione di tutta l’economia porta Latouche a considerare libero mercato e socialismo reale come due varianti dello stesso fenomeno da condannare, ossia “la società della crescita”, ma nel libero mercato Latouche vede, in aggiunta, un ordine che finisce per distruggere il pianeta – libero mercato visto come sistema di dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse – così come la società e tutto ciò che collettivo – libero mercato visto come sistema di distruzione antropologica degli esseri umani ridotti in bestie produttrici e consumatrici.
Ora, nel continuare ad analizzare il pensiero di Latouche e la società della decrescita, iniziamo anche smontarne i ragionamenti ed a vedere “l’incongruenza” tra metodi scelti e fini (cioè serenità, convivialità e felicità) cercati.
Latouche si scaglia contro l’occidentalizzazione del mondo, ma qui Latouche sembra proprio confondere la parola occidente con imperialismo, vale a dire con l’atto (o il propugnare tale atto) deliberato di acquisire e conservare il controllo politico, diretto od indiretto, da parte di uno Stato su qualsiasi altro territorio abitato.
L’imperialismo pertanto è un fenomeno da stigmatizzare in quanto incentrato sull’uso e sulla minaccia d’uso della forza a priori, ma sicuramente questo fenomeno non può essere associato come prerogativa esclusiva dell’occidente, bensì è prerogativa che può essere fatta propria da ogni potere politico, non importa a quale influenza culturale sia sottoposto.
Il mondo è la storia hanno, infatti, conosciuto e continua a conoscere imperialismi di ogni genere e solo alcuni di essi possono essere collegati all’occidente inteso come area storico-culturale-geografica.
Se poi ci sono beni e servizi tipicamente occidentali particolarmente apprezzati in tutto il mondo questo certamente non può essere considerato per l’occidente un peccato, giacché piacere ed essere ammirati non può essere una colpa ed il libero mercato non impone niente a nessuno.
L’economia, come ambito autonomo della vita umana, nasce come interazione sociale non programmata e non come risultato di una volontà comune diretta alla sua costituzione come ci vuol far credere Latouche.
L’economia è innanzitutto una conoscenza tacita, e tale conoscenza diviene consapevole, analizzata e strutturata teoricamente soltanto negli stadi successivi della storia dell’umanità, dunque una società dell’economia non è una tardo-invenzione dell’essere umano, ma è un qualcosa che ha accompagnato l’umanità sin dagli inizi del suo agire.
Inoltre, la dimensione economica della vita non ha come fondamento ultimo il desiderio di ricchezza materiale, bensì la condizione umana di scarsità: economici sono i mezzi e non anche i fini ultimi dell’azione.
Siamo quindi costantemente chiamati ad economizzare i mezzi della nostra azione e se non fosse stato per questa capacità dell’essere umano di economizzare non saremmo mai riusciti a risolvere problemi complessi.
L’essere umano è soprattutto un produttore creativo e non un dilapidatore di risorse, o meglio “è un produttore creativo fintanto che si circonda di istituzioni capaci di favorire la creatività umana”.
Pur agendo in condizione di scarsità, la capacità umana di economizzare è in grado, infatti, di “trasformare l’entità delle risorse disponibili da limitate ad incerte”, poiché la risorsa fondamentale per mezzo della quale possono in seguito trovare utilizzo tutte le altre risorse è la mente umana.
La storia dell’umanità dimostra che l’uomo, mediante le sue invenzioni ed innovazioni tecnologiche, è riuscito non solo a spostare sempre un po’ più in là la frontiera delle possibilità produttive ed a scoprire nuove risorse nonché a sfruttare meglio quelle già conosciute, ma, allo stesso tempo, è riuscito ad affrontare e risolvere gradualmente le problematiche ambientali che di volta in volta si ponevano.
Di conseguenza, dichiarare che l’essere umano è un dilapidatore irreversibile di ambiente e risorse è un’affermazione ottusa e disapprovare l’esistenza di un’autonoma dimensione economica della vita non ha alcun senso se non quello di porre l’essere umano dinanzi alla sua auto-distruzione.
Con ciò non si vuole, nel contempo, sostenere che l’essere umano sia capace di massimizzare in senso stretto e che la sua vita si esaurisca nell’idealtipo dell’homo oeconomicus.
Non siamo in grado di massimizzare in senso stretto niente, dal momento che non possiamo accedere alla conoscenza di tutti i dati rilevanti: non si può dire, infatti, del processo di competizione e cooperazione che esso porti alla massimizzazione di un qualche risultato misurabile, ma soltanto all’uso, in condizioni favorevoli, di maggiori capacità e conoscenze rispetto a qualsiasi altra procedura.
L’essere umano non può esaurirsi nel soggetto idealtipico dell’homo oeconomicus, il cui scopo è solo la ricerca della massimizzazione della ricchezza materiale, perché questo modello è scorretto in quanto parziale: tale soggetto, infatti, non tiene in conto quelle preferenze che possono emergere diverse dal guadagno materiale, come, ad esempio, il valore affettivo che una persona può conferire ad un determinato bene.Se l’essere umano non può esaurirsi nell’homo oeconomicus, allora si deve dedurre che il concetto di utilitarismo non può essere unidimensionale.
Una corretta visione della scienza economica, infatti, tratta dell’azione umana non solo nella misura in cui questa è attuata da ciò che viene descritto come motivo del guadano materiale.
I problemi “strettamente economici” devono essere inseriti in una scienza più generale, quella della scelta umana, e non possono essere scissi da questa.
L’economia pertanto possiede da sempre un ambito di autonomia, ma in quanto scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un determinato fine e non e come mera scienza degli aspetti “strettamente economici”.
Il libero mercato, fondandosi sulla soggettività del valore, va al di là dell’orizzonte degli sforzi umani e della lotta dell’uomo per i beni ed il miglioramento della sua ricchezza materiale e conseguentemente l’idea che esso distrugga tutto ciò che è collettivo è inaccettabile.
Il libero mercato, semmai, rappresenta l’organizzazione della vita collettiva più efficiente perché in esso le possibilità di scambio sono le più numerose possibili.
Latouche, con una chiusura mentale imbarazzante, condanna la società della crescita dato che in questa scorge un’amplificazione delle disuguaglianze materiali tra esseri umani.
Chiusura mentale imbarazzante per due motivi: senza crescita economica non avremmo mai avuto l’allungamento delle aspettative di vita, il crollo della mortalità infantile, la diffusione di condizioni igieniche accettabili, cure mediche all’avanguardia, etc.; il problema a monte non concerne una corretta distribuzione della ricchezza ma quello di assicurare la migliore contribuzione possibile al processo di creazione della ricchezza.
Latouche, concentrandosi sul tema delle disuguaglianze materiali, ammette che la povertà diffusa può essere un problema ma, a questo riguardo, il suo obiettivo non è quello di tendere ad ottimizzare la possibilità media di tutti, bensì di limitare uniformemente le energie produttive di tutti.
Certo, lo sviluppo economico non dovrebbe abitualmente prodursi a colpi ricorrenti di boom e crisi, ma se l’andamento economico mostra un comportamento che potremmo definire come “maniaco-depressivo” le cause vanno ricercate in una produzione e gestione del denaro fondamentalmente sottratta al meccanismo impersonale del libero mercato, e non nel libero mercato.
Latouche, per giungere nel lungo periodo alla sua società della decrescita, articola un programma politico in dieci punti:
- Ridurre l’impatto ecologico, tornando alla produzione materiale anni ’60 – ’70;
- Ridurre i trasporti internazionalizzandone i costi attraverso ecotasse;
- Rilocalizzare le attività;
- Ristabilire l’agricoltura contadina;
- Trasformare l’aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi;
- Rilanciare la produzione di beni relazionali;
- Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4;
- Penalizzare le spese di pubblicità;
- Decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica;
- Riappropiarsi del denaro.
Latouche possiede anche un programma per far fronte alle sfide di breve periodo, e qui ci viene suggerito: reddito di cittadinanza, limite legale ai redditi più alti, imposte dirette progressive (sopra il reddito massimo legale anche del 100 per cento), imposte indirette sui beni di lusso, tassa patrimoniale e ricorso immediato alla monetizzazione in caso di deficit pubblico.
Insomma, ce n’è abbastanza per affermare che Latouche altro non è che un ennesimo grande nemico della società libera (sulla scia di Platone, Hegel e Marx) e la decrescita felice solo un altro modo per instillare lo statalismo nelle menti delle persone, ossia l’aggressione sistematica ed istituzionale contro la libera funzione imprenditoriale.
Infondo, è lo stesso Latouche a dircelo:
La concezione di società della decrescita (…) non significa un impossibile ritorno al passato, né un accomodamento con il capitalismo, ma un “superamento” (se possibile armonioso) della modernità. La decrescita è necessariamente contro il capitalismo (…) non si può pensare a una società della decrescita senza uscire dal capitalismo[1].
Latouche è quindi più vicino a Karl Marx di quanto egli stesso forse non pensi.
In aggiunta, la società della decrescita condanna il consumismo definito come “dimensione di costrizione”.
Su quest’ultimo punto c’è da mettersi preventivamente d’accordo.
Se per consumismo s’intende quelle interferenze politiche ai danni della libertà individuale di scelta atte a stimolare artificialmente il consumo ai danni del risparmio e della tesaurizzazione, ad indurci in maniera aggregata a spendere per consumi come se non ci fosse un domani perché tanto, ormai, utilizzare il proprio reddito in modo diverso è diventato istituzionalmente sconveniente se non impraticabile, allora è legittimo condannare il consumismo, poiché violazione dell’ordine di libero mercato e di una possibilità di progresso futuro.
Ma se condannare il consumismo significa condannare l’uomo comune come consumatore sovrano la cui decisione di comprare od astenersi dal comprare in ultima analisi determina quello che deve essere prodotto, allora la decrescita felice si dimostra ancora una volta di essere teoria al servizio della violenza organizzata e non vi sono sostanzialmente dubbi che i teorici della decrescita felice intendano, se non altro soprattutto, colpire l’uomo comune come consumatore sovrano.
Per Pallante la parola consumatore indica:
una mutazione antropologica degradante sia dal punto di vista dell’intelligenza, sia dal punto di vista della morale[2].
In definitiva, i teorici della decrescita non diffondono generalmente alcunché di sereno, conviviale e felice, ma solamente aggressione sistematica ed istituzionale che intende nascondersi dietro la maschera di un’etica frugale e l’illusione di avvicinarsi all’Eden attraverso una nuova civiltà basata sull’agricoltura biologica.
Essi si sentono i detentori di un punto di vista privilegiato sul mondo e soffrono di quel vizio filosofico che consiste nella presunzione di poter dirigere centralisticamente la società.
Essi ci raccontano che la società delle decrescita da loro ipotizzata, qualora fosse pienamente attuata, genererà una varietà imprecisabile di alternative ed esperimenti sociali, ma l’oggettività della realtà invece ci racconterebbe tutt’altro.
Come andrebbe a finire se queste teorie prendessero concretamente e pienamente il soppravvento lo si può esplicitare nella maniera seguente:
prima il controllo dei prezzi, poi la vendita forzosa, quindi il razionamento, poi ancora le norme tassative sulla regolamentazione della produzione e della distribuzione, e infine i tentativi di assumere la direzione pianificata dell’intero sistema produttivo e distributivo[3].
E si aggiunga pure, se non fosse già sufficientemente sottointeso, l’emergere di una povertà diffusa e l’annichilimento della libertà individuale di scelta.
D’altronde, quando si vagheggia un mondo dove la proprietà privata dei mezzi di produzione, i rapporti salariali e l’accumulazione di capitale sono un ostacolo e dove i prezzi dei fattori di produzione devono essere sottratti, nella loro determinazione, a qualsiasi influenza di libero mercato, non può che finire così.
Quando i lupi vengono a noi travestiti da agnelli.
[1] Latouche S., La scommessa della decrescita, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2009, pp. 121-122
[2] Pallante M., La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal Pil, Edizioni per la decrescita felice, Roma, 2012³, p. 91
[3] von Mises L., I fallimenti dello Stato interventista, trad. it., Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 1997, p. 214
Riferimenti Bibliografici
Nicola Iannello, «Crescita, decrescita e libertà di scelta», in Idee di Libertà: economia, diritto, società, a cura di Nicola Iannello e Lorenzo Infantino, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2015, pp. 33-41
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Come pensare da economisti
Prasseologia è la metodologia distintiva della scuola austriaca (prasseologia: teoria che si occupa dell’agire umano). Il termine è stato applicato prima al metodo austriaco di Ludwig von Mises, che non era solo il principale architetto ed elaboratore di questa metodologia, ma anche l’economista che più pienamente e con successo si è applicato alla costruzione della teoria economica.
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Mentre il metodo prasseologico è, a dir poco, di moda in economia contemporanea, così come nelle scienze sociali in generale e nella filosofia della scienza è stato il metodo di base della scuola austriaca prima ed anche di un notevole segmento della più vecchia scuola classica, in particolare di Jean-Baptiste Say (1767-1832 economista francese) e Nassau William Senior (1790 -1864 economista inglese).
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La prasseologia poggia sullo assioma fondamentale che il singolo atto degli esseri umani, ossia sul fatto primordiale che gli individui si impegnano in azioni coscienti verso obiettivi scelti. Questo concetto di azione si contrappone a quello puramente riflessivo o istintivo, di un comportamento che non è diretto verso gli obiettivi. Il metodo prasseologico ruota al di fuori per deduzione verbale alle implicazioni logiche di questo fatto primordiale. In breve, l’economia prasseologica è la struttura di implicazioni logiche del fatto che gli individui agiscono. Questa struttura è costruita sullo assioma fondamentale di azione e ha un paio di assiomi controllati, come quelli individuali che variano e che gli esseri umani, per quanto riguarda il tempo libero, lo ritengono un bene prezioso. A tal riguardo qualsiasi scettico lo dedurrebbe come una semplice base per un intero sistema di economia, mi riferisco a: Human Action di Mises. Inoltre, dal momento che prasseologia inizia con un vero assioma, A, tutte le proposizioni che possono essere dedotte da questo assioma devono anche essere vere. Infatti, se A implica B ed A è vero, allora anche B deve essere vero. Prendiamo in considerazione alcune delle implicazioni immediate dello assioma dell’azione. L’azione implica che il comportamento dello individuo è intenzionale, insomma, è indirizzato verso gli obiettivi. Inoltre, il fatto della sua azione implica che egli abbia scelto, consapevolmente, determinati mezzi per raggiungere i suoi obiettivi. Dal momento che egli vuole raggiungere questi obiettivi, devono essere preziosi per lui; di conseguenza deve avere valori che governano le sue scelte. L’individuo impiega mezzi e ciò implica che egli crede di avere le conoscenze tecnologiche che certi mezzi saranno in grado di fargli raggiungere gli scopi desiderati. Notiamo che ella prasseologia non si presume che la scelta di una persona i valori o gli obiettivi sia saggia o appropriata o che ha scelta del metodo tecnologicamente corretto di raggiungerli. Tutto ciò che afferma la prasseologia è che l’attore individuo adotta obiettivi e ritiene, sia erroneamente sia correttamente, che può arrivare a loro mediante l’impiego di alcuni mezzi. Inoltre, tutte le azioni nel mondo reale devono avvenire attraverso il tempo; ogni azione avviene in alcuni momenti ed è diretta verso il futuro (immediato o remoto) per il raggiungimento di un fine. Se tutti i desideri di una persona potessero essere realizzati istantaneamente, non ci sarebbe alcun motivo di agire.
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Oltre a ciò, un uomo, da come si comporta, implica che egli ritiene che l’azione farà la differenza; in altre parole, egli preferirà lo stato di cose in forza di una azione a quello da nessuna azione. L’azione implica, pertanto, che l’uomo non ha la conoscenza onnisciente del futuro; per se ha una certa conoscenza e nessuna azione non avrebbe fatto alcuna differenza. Quindi, l’azione implica che viviamo in un mondo di incertezza o non completamente certo, il futuro. Di conseguenza, possiamo modificare la nostra analisi di azione per dire che un uomo sceglie di impiegare mezzi, secondo un piano tecnologico, nel presente perché si aspetta di arrivare ai suoi obiettivi in un momento futuro. Il fatto che le persone agiscono, necessariamente, implica che i mezzi utilizzati sono scarsi in relazione agli scopi perseguiti; se tutti i mezzi non sono scarsi, ma sovrabbondanti, gli obiettivi dovrebbero essere già stati raggiunti e non ci sarebbe necessità di un intervento. Detto in altro modo, le risorse che sono sovrabbondanti funzioneranno più come mezzo, perché non ci sono più oggetti di azione. Quindi, l’aria è indispensabile per la vita ed al raggiungimento degli obiettivi; tuttavia, l’aria essendo sovrabbondante, non è un oggetto di azione e pertanto non può essere considerata un mezzo, Mises ha chiamato ciò: “condizione generale di benessere umano”. Dove l’aria non è sovrabbondante, può diventare un oggetto di azione, ad esempio, dove è desiderata l’aria fredda, l’aria calda viene trasformata dall’aria condizionata. Anche con l’avvento assurdamente improbabile di Eden (o quello che qualche anno fa era considerato in alcuni ambienti di essere un mondo imminente “post-scarsità”), in cui tutti i desideri possono essere soddisfatti istantaneamente, ci sarebbe ancora almeno un mezzo tramite: il tempo dell’individuo, ogni unità di cui, se attribuito ad uno scopo non è necessariamente assegnato a qualche altro obiettivo.
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Queste sono alcune delle implicazioni immediate dello assioma di azione. Siamo arrivati a loro deducendo le implicazioni logiche del fatto esistente dell’azione umana e quindi dedotte le conclusioni vere da un vero assioma. A parte il fatto che queste considerazioni non possono essere “testate” mediante dati storici o statistici, non c’è bisogno di testare la loro verità dal momento che la loro verità è già stata stabilita. Il fatto storico entra in queste conclusioni solo per determinare quale ramo della teoria è applicabile in ogni caso particolare. Così, per Crusoe e Venerdì, sulla loro isola deserta, la teoria prasseologica di denaro è solo accademica, piuttosto che un interesse attualmente applicabile. Un’analisi più completa del rapporto tra teoria e la storia nel quadro prasseologico sarà considerato più sotto. Poi, ci sono due parti di questo metodo assiomatico-deduttivo: il processo di deduzione e lo statuto epistemologico degli assiomi stessi. In primo luogo, vi è il processo di deduzione: perché lo sono i mezzi verbali piuttosto che la logica matematica?
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Senza esporre completamente il caso austriaco contro l’economia matematica, il punto può essere fatto immediatamente: lasciare che il lettore prenda le implicazioni del concetto di azione come si sono state sviluppate finora in questo documento e cercare di metterlo in forma matematica. Anche se questo potesse essere fatto, cosa avemmo compiuto, tranne una perdita drastica di ciò che si intende per ogni fase del processo deduttivo? La logica matematica è adeguata alla fisica – la scienza che è diventata il modello di scienza e che i positivisti moderni e gli empiristi ritengono che tutte le altre scienze sociali e fisiche dovrebbero emulare. In fisica gli assiomi e di conseguenza le deduzioni sono di per sé puramente formali ed il solo acquisire significa “operativamente” nella misura in cui si possono spiegare e predire i dati di fatto. Al contrario, in prasseologia, nell’analisi dell’azione umana, gli assiomi stessi sono noti per essere veri e significativi. Come risultato, ogni deduzione verbale, passo dopo passo, è anche vero e significativo; perché è la grande qualità di proposizioni verbali che per ognuno è significativa, mentre i simboli matematici non lo sono significativi per se stessi. Così Lord Keynes, a malapena un austriaco, e lui stesso un matematico degno di nota, uniformata la seguente critica al simbolismo matematico in economia: vi è un grande difetto di metodi di pseudo-matematica simbolica nel formalizzare un sistema di analisi economica, che assumono esplicitamente rigorosa indipendenza tra i fattori coinvolti e perdono tutta la loro efficacia e autorità, se questa ipotesi non è consentita: considerando che, nel discorso ordinario, dove non stiamo manipolando alla cieca, ma abbiamo tutto il tempo per conoscere quello che stiamo facendo ed il significato delle parole che siamo in grado di mantenere “nella parte posteriore delle nostre teste” (significa che: una voce nella nostra mente ci ha spinto in una certa direzione ndt), le riserve e le qualifiche necessarie e gli adeguamenti che dobbiamo fare in seguito, in un modo in che non possiamo mantenere complesse differenziali parziali “nella parte posteriore” (della mente) delle diverse pagine di algebra che si attribuiscono e che tutte spariscono. Una percentuale troppo grande della recente “matematica” per l’economia sono semplici intrugli, imprecisi come le ipotesi iniziali sulle quali si poggiano e che consentono all’autore di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un labirinto di simboli pretenziosi e inutili.
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Peraltro, anche se a parole l’economia potesse essere tradotta con successo in simboli matematici e poi ritradotta in inglese, in modo da spiegare le conclusioni, il processo non ha senso e vìola il grande principio scientifico del rasoio di Occam (attribuito al francescano inglese Guglielmo di Ockham, 1287-1347, legge della parsimonia ndt): evitando l’inutile moltiplicazione delle entità.
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Inoltre, come il politologo Bruno Leoni ed il matematico Eugenio Frola hanno sottolineato: Si è spesso sostenuto che la definizione di tale concetto come il massimo da un ordinario in linguaggio matematico, comporta un miglioramento della precisione logica del concetto, così come le opportunità più ampie per il suo utilizzo. Ma la mancanza di precisione matematica nel linguaggio comune, riflette con precisione il comportamento dei singoli esseri umani nel mondo reale … Si potrebbe sospettare che la traduzione in linguaggio matematico, di per sé, implica una trasformazione suggerita dagli operatori economici umani ai robot virtuali.
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Allo stesso modo, uno dei primi metodologi in economia, Jean-Baptiste Say, accusò gli economisti matematici: non sono stati in grado di enunciare queste domande in linguaggio analitico, senza separarsi dalle loro complicazione naturali, mediante semplificazioni e soppressioni arbitrarie, le cui conseguenze, non correttamente stimate e sempre sostanzialmente modificando la condizione del problema ed alterando tutti i suoi risultati.
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Più recentemente, Boris Ischboldin ha sottolineato la differenza tra il verbale, o “linguaggio” logico (“l’analisi reale del pensiero, indicato nel linguaggio espressivo della realtà come colto nella comune esperienza”) e “costruire” la logica, che è “l’applicazione di dati quantitativi (economici) a disposizione della matematica e della logica simbolica che costruisce e che può o non può avere equivalenti reali.”
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Karl Menger (1902-1985) anch’egli economista e matematico, figlio del matematico ed economista Carl Menger (1840-1921) ha scritto una critica tagliente dell’idea che la presentazione matematica in economia è necessariamente più precisa del linguaggio ordinario: Si consideri, ad esempio, le dichiarazioni (2) ad un prezzo più alto di un bene, corrisponde una più bassa (o comunque non superiore) richiesta. (2′) Se p indica il prezzo di e q la richiesta di un bene, allora
q = f (p) e dq / dp = f ‘(p) ≤ 0 Coloro che considerano la formula (2′) come più precisa o “più matematica” della frase (2) sono sotto un completo equivoco … l’unica differenza tra (2) e (2′) presente è: dal (2′) è limitata a funzioni che sono differenziabili ed i cui grafici, hanno tangenti (che da un punto di vista economico non sono più accettabili di curvatura), la frase (2) è più generale, ma non è affatto meno precisa: è della stessa precisione matematica come (2′).
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Passando dal processo di detrazione per gli assiomi stessi, qual è il loro status epistemologico? Qui i problemi sono offuscati da una differenza di parere nel campo prasseologico, particolarmente sulla natura dello assioma fondamentale dell’azione. Ludwig von Mises, come aderente di epistemologia kantiana, ha affermato che: il concetto di azione è a priori di tutte le esperienze, perché come la legge di causa ed effetto, fa parte del “carattere essenziale e necessita della struttura logica della mente umana”.
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Senza scavare troppo a fondo nelle acque torbide dell’epistemologia, mi verrebbe negato, come un aristotelico e neo-tomista, tali presunte “leggi della struttura logica” che la mente umana impone necessariamente sulla struttura caotica della realtà. Invece, chiamerei tali leggi: “leggi della realtà”, che la mente apprende per indagare e la fascicolazione (contrazione spontanea ndt) dei fatti del mondo reale. La mia opinione è che gli assiomi e le controllate dei fondamentali degli assiomi sono derivati dalla esperienza della realtà e sono quindi, in senso lato, sperimentali. Sono d’accordo con la visione realista aristotelica, la sua dottrina è radicalmente empirica, molto più di quanto l’empirismo post-humeano è dominante nella filosofia moderna. Così, John Wild (1902-1972 filosofo americano) ha scritto: è impossibile ridurre l’esperienza ad un insieme di impressioni isolate e unità atomiche (che formano un sistema di unità naturali). La struttura relazionale è data anche con uguale evidenza e certezza. I dati immediati sono pieni di struttura determinata ed è facilmente estratta dalla mente e colta come sostanza o possibilità universale.
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Inoltre, uno dei dati pervasivi, di tutta l’esperienza umana, è l’esistenza; un altro è la coscienza o la consapevolezza. In contrasto con la visione kantiana, Harmon Chapman ha scritto che: la concezione è una sorta di consapevolezza, un modo di apprendere le cose o la loro comprensione e non una presunta manipolazione personale delle cosiddette generalità o universalità solo “mentali” o “logiche” della loro provenienza e non nella natura conoscitiva. Per arrivare a conoscere così i dati di senso e la concezione che sintetizza anche questi dati è evidente. Ma la sintesi qui coinvolta, a differenza della sintesi di Kant, non è una condizione preliminare della percezione, un processo anteriore che costituisce la percezione ed il suo oggetto, ma piuttosto una sintesi cognitiva nella preoccupazione, cioè una unione o “includere”, che è lo stesso di apprendere. In altre parole, la percezione e l’esperienza non sono i risultati o i prodotti finali di un processo sintetico a priori, ma sono essi stessi sintetici o una angoscia globale in cui l’unità strutturata è prescritta esclusivamente dalla natura del reale ed è, per gli scopi specificati nel loro Insieme e non dalla coscienza stessa cui (cognitivo) per natura è quello di comprendere il vero – come è.
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Se, in senso lato, gli assiomi di prasseologia sono radicalmente empirici, sono ben lungi dall’essere l’empirismo post-humeano che pervade la metodologia moderna delle scienze sociali. Oltre alle considerazioni che precedono, (1) sono così ampiamente basate in comune con l’esperienza umana che, una volta enunciate, diventano auto-evidenti e quindi non soddisfano il criterio di moda di “falsificabilità” (possibilità di confutazione, Karl Popper 1902-1994 filosofo espistemologo austriaco ndt); (2) rimangono in particolare lo assioma azione, sull’esperienza interiore universale, nonché sull’esperienza esterna, cioè la prova è riflessiva piuttosto che puramente fisica e (3) sono, quindi a monte delle complesse vicende storiche a cui l’empirismo moderno limita il concetto di “esperienza”.
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J. B. Say, forse il primo prasseologista, ha spiegato la derivazione degli assiomi della teoria economica come segue: : Da qui il vantaggio goduto da tutti coloro che, dall’osservazione distinta e precisa, sono in grado di stabilire l’esistenza di questi fatti generali, dimostrando la loro connessione e dedurre le loro conseguenze. Certamente, essi procedono nella natura delle cose, come le leggi del mondo materiale. Non li immaginiamo; sono risultati comunicati a noi dall’analisi e dell’osservazione assennata … L’economia politica … è composta da alcuni principi fondamentali e da un gran numero di corollari o conclusioni, tratti da questi principi … che può essere ammessa per rispecchiarsi in ogni mente.
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Friedrich A. Hayek pungentemente descrive il metodo prasseologico in contrasto con la metodologia delle scienze fisiche e ha anche sottolineato la natura largamente empirica degli assiomi prasseologici: La posizione dell’uomo … fa sì che i fatti di base essenziali, di cui abbiamo bisogno per la spiegazione dei fenomeni sociali, sono parte della comune esperienza, che fa parte (a sua volta) delle cose del nostro pensiero. Nelle scienze sociali sono gli elementi dei fenomeni complessi che sono là conosciuti dalla possibilità di contestazione. Nelle scienze naturali, nella migliore delle ipotesi, possono essere solo ipotizzati. L’esistenza di questi elementi è molto più certa di qualsiasi regolarità dei fenomeni complessi a cui danno origine e sono loro che costituiscono il fattore veramente empirico nelle scienze sociali. Ci sono pochi dubbi che sia questa posizione diversa dal fattore empirico nel processo di ragionamento nei due gruppi di discipline e ciò è alla radice di molta della confusione in relazione al loro carattere logico. La differenza essenziale è che nelle scienze naturali il processo di deduzione deve partire da alcune ipotesi che sono il risultato di generalizzazioni induttive, mentre nelle scienze sociali inizia direttamente da elementi empirici noti e sono utilizzati per individuare le regolarità dei fenomeni complessi, che osservazioni dirette non possono stabilire. Essi sono, per così dire, empiricamente scienze deduttive, procedendo dagli elementi noti per le regolarità dei fenomeni complessi che non possono essere stabiliti direttamente.
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Allo stesso modo, John Elliott Cairnes (1823 -1875 economista irlandese) ha scritto: L’economista inizia con una conoscenza delle cause ultime. Egli è già, in via preliminare della sua impresa, nella posizione che il fisico raggiunge solo dopo secoli di ricerca laboriosa … Per la scoperta di tali premesse non è necessario alcun processo elaborato di induzione … è per questa ragione, che abbiamo o possiamo avere, di avere scelto di rivolgere la nostra attenzione al tema, la conoscenza diretta di queste cause nella nostra coscienza di ciò che passa nella nostra mente e le informazioni che ci trasmettono i nostri sensi … i fatti esterni.
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Nassau W. Senior si espresse così: Le scienze fisiche, essendo solo secondariamente in dimestichezza con la mente, traggono le loro premesse quasi esclusivamente da osservazioni o ipotesi … D’altra parte, le scienze e le arti mentali traggono le loro premesse principalmente dalla coscienza. I soggetti cui essi sono maggiormente in confidenza, sono i meccanismi della mente umana. (Queste premesse sono) pochissime proposizioni generali e sono il risultato dell’osservazione o della coscienza e come quasi ogni uomo, appena le ascolta, ammette, essere familiare al suo pensiero, o almeno, contenuta nella sua precedente cognizione.
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Commentando il suo completo accordo con questo passaggio, Mises ha scritto che queste “proposizioni immediatamente evidenti” sono “di derivazione aprioristica … a meno che non si voglia chiamare aprioristica la cognizione dell’esperienza interiore”.
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Al che Marian Bowley (1911-2002 è stata una economista e storica del pensiero economico), il biografo di Senior, giustamente commenta: L’unica differenza fondamentale tra atteggiamento generale di Mises e le bugie di Senior nell’apparente negazione di Mises sulla possibilità di utilizzare tutti i dati empirici generali, vale a dire, i fatti di osservazione generale, come premesse iniziali. Questa differenza, comunque, gira sulle idee di base di Mises nella natura del pensiero ed anche se di interesse filosofico generale, ha scarsa rilevanza particolare per il metodo economico in quanto tale.
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Bisogna notare che per Mises è solo lo assioma fondamentale dell’azione che è a priori; egli ha ammesso che gli assiomi sussidiari della diversità del genere umano, della natura e del tempo libero, come dei consumatori di merci, sono largamente empiriche. La moderna filosofia post-kantiana ha avuto una grande quantità di problemi che comprende evidenti difficoltà e sono contrassegnate appunto dalla loro forte ed evidente verità, piuttosto che essere ipotesi verificabili sono, secondo la moda corrente, considerate “falsificabili”. A volte sembra che gli empiristi utilizzino la dicotomia analitico-sintetica alla moda, come quella a carico del filosofo Hao Wang (1921-1995 logico, filosofo, matematico), di disporre di teorie che difficilmente trovano smentita respingendo loro come necessariamente sia le definizioni dissimulate o le ipotesi discutibili ed incerte.
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Ma cosa succede se sottoponiamo ad analisi le decantate “prove” dei positivisti moderni e degli empiristi? Che cos’è? Troviamo che ci sono due tipi di tale prova, per entrambi, da confermare o confutare in proposizione: (1) se vìola le leggi della logica, per esempio, implica che A = -A o (2) se è confermato dai fatti empirici (come in un laboratorio) e possono essere controllati da molte persone. Ma qual è la natura di tali “prove”, ma la proposizione, con vari mezzi, di proposte finora nuvolose e oscure in vista chiara ed evidente, cioè, evidente agli osservatori scientifici? In breve, i processi logici o di laboratorio servono a rendere evidenti a “se stessi” dai vari osservatori che le proposizioni sono confermate o confutate o, per usare una terminologia fuori moda, vere o false. Ma in questo caso le proposizioni che sono immediatamente evidenti agli stessi osservatori hanno almeno un minimo di buono stato scientifico come gli altri e attualmente una più accettabile forma di evidenza. O, come il filosofo tomista John J. Toohey ha posto, la dimostrazione con mezzi per rendere evidente qualcosa che non è evidente. Se una verità o proposizione è evidente, è inutile cercare di dimostrarlo; tentare di provarlo sarebbe tentare di rendere evidente qualcosa che è già evidente.
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In particolare, l’assioma di azione dovrebbe essere, secondo la filosofia aristotelica, insindacabile ed evidente dal momento che il critico che tenta di confutare i riscontri che deve usare nel processo di presunta confutazione. Così, l’assioma dell’esistenza della coscienza umana è dimostrato come ovvio per il fatto che l’atto di negare l’esistenza della coscienza deve essa stessa essere eseguita da un essere cosciente. Il filosofo RP Phillips ha chiamato questo attributo di un assioma evidente un “principio boomerang”, dal momento che “anche se lo lanciamo via da noi, ritorna nuovamente a noi”.
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Ad una simile contraddizione si trova di fronte l’uomo che tenta di confutare l’assioma dell’azione umana. Perché in questo modo, è ipso facto una persona che effettua una scelta consapevole dei mezzi nel tentativo di arrivare a un fine adottato: in questo caso con il fine o l’obiettivo di cercare di confutare l’assioma di azione. Si impiega azione nel tentativo di confutare il concetto di azione. Naturalmente, una persona può dire che nega l’esistenza di principi evidenti o di altre verità consolidate del mondo reale, ma questo semplice detto non ha alcuna validità epistemologica. Come Toohey ha sottolineato: Un uomo può dire che nulla gli piace, ma non può pensare o fare quello che vuole. Egli può dire di aver visto una piazza rotonda, ma non può pensare di aver visto una piazza rotonda. Egli può dire, se gli piace, che vide un cavallo a cavallo di un cavallo, ma sapremo cosa pensare di lui se lo dice.
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La metodologia del positivismo moderno e dell’empirismo arriva al insuccesso anche nelle scienze fisiche, per cui è molto più adatta rispetto alle scienze dell’azione umana; anzi non particolarmente dove i due tipi di discipline interconnettono. Così, il fenomenologo Alfred Schütz (1899-1959 filosofo), allievo di Mises a Vienna, pioniere nell’applicare la fenomenologia alle scienze sociali, ha sottolineato la contraddizione nell’insistenza degli empiristi sul principio di verificabilità empirica nel campo della scienza, mentre allo stesso tempo nega l’esistenza di “altre menti” come non verificabile. Ma chi dovrebbe fare la verifica di laboratorio, se non queste stesse “altre menti” degli scienziati riuniti? Schütz ha scritto: E’ … non comprensibile che gli stessi autori che sono convinti che nessuna verifica sia possibile per l’intelligenza degli altri esseri umani abbiano una tale fiducia nel principio di verificabilità di sé che può essere realizzata solo attraverso la cooperazione con gli altri.
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In questo modo, gli empiristi moderni ignorano i presupposti necessari del metodo campione molto scientifico. Per Schütz, la conoscenza di tali presupposti è “empirica” nel senso più ampio, a condizione che non ci limitiamo a questo termine nelle percezioni sensoriali degli oggetti ed eventi nel mondo esterno, ma includiamo la forma empirica, per cui il pensare, con buon senso, nella vita quotidiana comprende le azioni umane ed il loro esito in termini di motivi di fondo e gli obiettivi.
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Dopo aver affrontato con la natura della prasseologia, le sue procedure, i suoi assiomi e le sue basi filosofiche, prendiamo ora in considerazione che cosa è la relazione tra prasseologia e le altre discipline che studiano l’azione umana. In particolare, quali sono le differenze tra la prasseologia e la tecnologia, la psicologia, la storia e l’etica – che sono tutte in qualche modo interessate con l’azione umana? Riassumendo, la prasseologia è costituita dalle implicazioni logiche del fatto formale universale, le persone agiscono, impiegano mezzi per cercare di raggiungere fini scelti. Offerte di tecnologia con il problema di come raggiungere i contenutistici per i fini di adozione dei mezzi. La psicologia si occupa della questione del perché le persone adottano i vari fini e come si muovono relativamente alla loro adozione. L’etica si occupa della questione di ciò che finisce o i valori che le persone dovrebbero adottare. E si occupa di storia con conclusioni adottate in passato e quali mezzi sono stati utilizzati per cercare di raggiungerli e quali sono state le conseguenze di queste azioni. La prasseologia o la teoria economica, in particolare, è dunque una disciplina unica all’interno delle scienze sociali; a differenza di altre, non si occupa del contenuto dei valori degli uomini, gli obiettivi e le azioni – non con quello che hanno fatto o come hanno agito o come dovrebbero agire – bensì solamente con il fatto che hanno obiettivi e agiscono per raggiungerli. Le leggi di utilità, domanda, offerta, ed il prezzo si applicano a prescindere dal tipo di beni e servizi desiderati o prodotti. Come Joseph Dorfman ha scritto su di Herbert J. Davenport (1861-1931 economista statunitense) Lineamenti di teoria economica (1896): Il carattere etico dei desideri non è stata una parte fondamentale della sua inchiesta. Gli uomini lavoravano e sono stati sottoposti a privazioni per “whisky, sigari e piedi di porco per i ladri”, ha detto “così come per il cibo o la collezione di statue o i macchinari per la raccolta”. Fino a quando gli uomini saranno disposti a comprare e vendere “la stoltezza ed il male” le ex “materie prime” (commodities) sarebbero fattori economici con la condizione di mercato, per l’utilità, come un termine economico che significava semplicemente l’adattabilità ai desideri umani. Fino a quando gli uomini li desideravano, hanno soddisfatto un bisogno e sono stati motivo di produzione. Quindi le scienze economiche non avevano bisogno di indagare sull’origine delle scelte.
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La prasseologia, così come gli aspetti sonori delle altre scienze sociali, poggia sull’individualismo metodologico, sul fatto che solo gli individui percepiscono, il valore, il pensare e l’agire. L’individualismo è sempre stato accusato dai suoi critici – e sempre in modo non corretto – con il presupposto che ogni individuo è un ermeticamente chiuso nello “atomo”, tagliato via e non influenzato da altre persone. Questo assurdo fraintendimento dell’individualismo metodologico è alla radice della manifestazione trionfante di John Kenneth Galbraith (1908-2006 economista) in Società del benessere (Boston: Houghton Mifflin, 1958), i valori e le scelte degli individui sono influenzati da altre persone e quindi si suppone che la teoria economica non è valida. Galbraith ha anche concluso, nella sua dimostrazione, che queste scelte, poiché influenzate, sono artificiali e illegittime. Il fatto che la teoria economica prasseologica si basi sul fatto universale dei valori, delle scelte individuali e dei mezzi, per ripetere la sintesi di Dorfman del pensiero di Davenport, la teoria economica non “ha bisogno di indagare l’origine delle scelte”. La teoria economica non si basa sul presupposto assurdo che ogni individuo arriva ai suoi valori e scelte nell’assoluto isolamento, isolato dall’influenza umana. Ovviamente, gli individui stanno continuamente imparando e si influenzano a vicenda. Come ha scritto giustamente Friedrich August von Hayek (1899-1992 economista e filosofo austriaco) nella sua famosa critica di Galbraith: “The Non Sequitur dell’effetto della dipendenza”: la tesi del professor Galbraith potrebbe essere facilmente utilizzata, senza alcun cambiamento dei termini essenziali, per dimostrare l’inutilità della letteratura o di qualsiasi altra forma d’arte. Sicuramente, il desiderio di un individuo per la letteratura non è originale con se stesso, nel senso che avrebbe esperienza se la letteratura non fosse stata prodotta. Questo allora significa che la produzione della letteratura non può essere difesa per soddisfare una richiesta solo perché è la produzione che provoca la domanda?
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Che la scuola di economia austriaca poggi saldamente dall’inizio sull’analisi del fatto di singoli valori soggettivi e le scelte, purtroppo hanno portato i primi Austriaci ad adottare il termine scuola psicologica. Il risultato è stato una serie di critiche e di indirizzi sbagliati e quindi le ultime scoperte della psicologia non erano state incorporate nella teoria economica. E’ stata anche portata a idee sbagliate come ad esempio: la legge dell’utilità marginale decrescente poggiata su qualche legge psicologica nella pienezza dei bisogni. In realtà, come Mises ha fermamente sottolineato: la legge è prasseologica piuttosto che psicologica e non ha nulla a che fare con il contenuto dei bisogni, per esempio: il decimo cucchiaio di gelato può essere gustato meno piacevolmente rispetto al nono cucchiaio. Invece, è una verità prasseologica, derivata dalla natura dell’azione, che la prima unità di bene sarà destinata al suo uso più prezioso, l’unità successiva al successivo più prezioso, e così via.
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Su un punto, e su un solo punto, però la prasseologia e le relative scienze dell’azione umana prendono una posizione nella psicologia filosofica: sulla proposta che la mente, la coscienza e la soggettività umana esistono e quindi esiste l’azione. In questo, si oppone alla base filosofica del comportamentismo e alle relative dottrine ed è così è unito a tutti i rami della filosofia classica con la fenomenologia. Su tutte le altre questioni, tuttavia, la prasseologia e la psicologia sono discipline distinte e separate.
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Una questione particolarmente importante è il rapporto tra la teoria economica e la storia. Anche in questo caso, come in molti altri settori dell’economia austriaca, Ludwig von Mises ha dato un contributo eccezionale, soprattutto nella sua Teoria e storia.
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È particolarmente curioso che Mises e altri prasseologisti, come un presunto “priorista” (nell’antica Firenze era un manoscritto in cui si annotavano eventi, elenchi di persone e liste varie ndt) e sono stati comunemente accusati di essere “nemici” della storia. Infatti, Mises ha ritenuto non solo che la teoria economica non ha bisogno di essere “testata” da fatti storici, ma che non può essere testato in alcun modo. Per il fatto di essere utilizzabile per testare teorie, deve esserci un semplice fatto, omogeneo con altri fatti in classi accessibili e ripetibili. In breve, la teoria che un atomo di rame, un atomo di zolfo e quattro atomi di ossigeno si combinino per formare un’entità riconoscibile, chiamato solfato di rame, con proprietà note, è facilmente testabile in laboratorio. Ciascuno di questi atomi è omogeneo e quindi il test è ripetibile all’infinito. Ma ogni evento storico, come Mises ha sottolineato, non è semplice e ripetibile; ogni evento è una risultante complessa di uno spostamento da varietà di cause multiple, nessuna delle quali rimane sempre in rapporti costanti con le altre. Ogni evento storico è quindi eterogeneo e la conseguenza degli eventi storici non può essere utilizzata per testare o costruire leggi della storia, quantitativamente o in altro modo. Siamo in grado di porre ogni atomo di rame in una classe omogenea di atomi di rame; non siamo in grado di farlo con gli eventi della storia umana. Naturalmente, questo non significa che non vi sono somiglianze tra eventi storici. Ci sono molte somiglianze, ma non omogeneità. Quindi, ci sono state molte somiglianze tra le elezioni presidenziali del 1968 e quella del 1972, ma erano gli eventi a malapena omogenei dal momento che sono stati caratterizzati da importanti differenze ineludibili. Né le prossime elezioni saranno un evento ripetibile da inserire in una classe omogenea di “elezioni”. Quindi, non scientifiche e di certo non quantitative, le leggi possono derivare da questi eventi. L’opposizione radicale fondamentale di Mises all’econometria ora diventa chiara. Econometria non solo tenta di scimmiottare le scienze naturali utilizzando complessi fatti storici eterogenei come se fossero ripetibili e omogenei fatti in laboratorio; si stringe anche la complessità qualitativa di ogni evento in un numero quantitativo e quindi aggrava l’errore agendo come se queste relazioni quantitative rimanessero costanti nella storia umana. In netto contrasto con le scienze fisiche, che poggiano sulla scoperta empirica di costanti quantitative, l’econometria, come Mises più volte ha sottolineato, non è riuscita a scoprire una sola costante nella storia umana. E date le mutevoli condizioni della volontà umana, la conoscenza, i valori e le differenze tra gli uomini, è inconcepibile e l’econometria non potrà mai farlo. Lungi dall’essere in contrasto con la storia, la prasseologia e non i presunti ammiratori della storia, (Mises) ha un profondo rispetto per i fatti irriducibili e unici della storia umana. Inoltre, è il prasseologista a riconoscere che i singoli esseri umani non possono essere legittimamente trattati con lo scienziato sociale, come se non fossero uomini che hanno la mente e agiscono sui loro valori e le loro aspettative, ma le pietre o molecole il cui percorso può essere scientificamente monitorato con presunte costanti o leggi quantitative. Inoltre, a coronamento dell’ironia, è il prasseologista è veramente empirico, perché riconosce la natura unica ed eterogenea dei fatti storici; è l’auto-proclamato “empirista” che vìola gravemente i fatti della storia tentando di ridurli a leggi quantitative. Mises ha scritto così sugli econometrici e altre forme di “economisti quantitativi”: Ci sono, nel campo dell’economia, relazioni non costanti e di conseguenza nessuna misura è possibile. Se uno statistico determina che un aumento del 10 per cento nella fornitura di patate ad Atlantis in un momento preciso e poi seguito da un calo dell’8 per cento nel prezzo, non stabilisce nulla di ciò che è accaduto o potrebbe accadere con una variazione dell’offerta di patate in un altro paese o in un altro tempo. Non ha “misurato” la “elasticità della domanda” di patate, ha solo stabilito un fatto storico individuale ed unico. Nessun uomo intelligente può dubitare che il comportamento degli uomini per quanto riguarda le patate e ogni altra merce è variabile. Diversi individui apprezzano le stesse cose in modo diverso e le valutazioni cambiano con le stesse persone in condizioni mutevoli. … L’impossibilità di misurazione non è dovuta alla mancanza di metodi e tecniche per la costituzione della misura. È dovuta all’assenza di rapporti costanti. … L’economia non è come … i positivisti ripetono più volte, in ritardo perché non è “quantitativa”. Non è quantitativa e non misura perché non ci sono costanti. I dati statistici si riferiscono a eventi economici e sono dati storici. Ci dicono quello che è successo in un caso storico e non ripetibile. Gli eventi fisici possono essere interpretati sulla base della nostra conoscenza e sulle relazioni costanti stabilite da esperimenti. Gli eventi storici non sono aperti a tale interpretazione. … L’esperienza della storia economica è sempre esperienza di fenomeni complessi. Non si può mai trasmettere conoscenza del tipo sperimentale a prescinde da un esperimento di laboratorio. La statistica è un metodo per la presentazione dei fatti storici. … Le statistiche dei prezzi sono storia economica. L’intuizione che, ceteris paribus (a parità di tutte le altre circostanze o ferme restando le altre condizioni ndt), un aumento della domanda deve tradursi in un aumento dei prezzi non deriva dall’esperienza. Nessuno mai ha fatto o sarà in grado di osservare un cambiamento in uno dei ceteris paribus dei dati di mercato. Non esiste una cosa come l’economia quantitativa. Tutte le quantità economiche che conosciamo sono i dati della storia economica … Nessuno è così audace da sostenere che l’aumento di un punto percentuale nella fornitura di qualsiasi merce deve sempre – in ogni paese e in ogni momento – essere il risultato della caduta di B per cento nel prezzo; come nessun economista quantitativo ha mai osato definire con precisione, sul terreno dell’esperienza statistica, delle condizioni particolari che producono una deviazione definita dal rapporto A:B e quindi l’inutilità dei suoi sforzi è manifesta.
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Sviluppando la sua critica di costanti Mises ha aggiunto: Le quantità che osserviamo nel campo dell’azione umana … sono manifestamente variabili. I cambiamenti che si verificano in essi influenzano chiaramente il risultato delle nostre azioni. Ogni quantità che possiamo osservare è un evento storico, un fatto che non può essere completamente descritto senza specificare l’ora ed il luogo geografico. L’econometrico non è in grado di smentire questo fatto, che toglie il terreno sotto il suo ragionamento. Nè può aiutare ad ammettere che non ci sono “costanti di comportamento”. Ciò nonostante, si vuole introdurre alcuni numeri, arbitrariamente scelti sulla base del fatto storico, come “costanti comportamentali sconosciute”. L’unica scusa che si può esprimere è che le sue ipotesi sono “da enunciare solo se questi numeri sconosciuti rimangono ragionevolmente costanti attraverso un lungo periodo di anni”.
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Ora se tale periodo di presunta costanza di un numero definito è ancora duratura o se un cambiamento del numero si è già verificato e/o può essere stabilito solo in seguito. A posteriori può essere possibile, anche se solo in rari casi e dichiarare che più di un (periodo, probabilmente, piuttosto breve) periodo di un rapporto stabile, che l’econometrico sceglie di chiamare un “ragionevole” rapporto costante prevalente tra i valori numerici di due fattori. Ma questo è qualcosa di fondamentalmente diverso dalle costanti della fisica. E’ l’affermazione di un fatto storico, non di una costante, che può essere invocata nel tentativo di predire gli eventi futuri.
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Le equazioni sono molto apprezzate, nella misura in cui si applicano al futuro, più semplicemente le equazioni in cui tutte le quantità sono sconosciute.
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Nel trattamento matematico, della fisica della distinzione tra costanti e variabili, ha un senso; è essenziale in ogni caso la computazione tecnologica. In economia non ci sono rapporti costanti tra le varie grandezze. Di conseguenza, tutti i dati accertabili sono variabili o, che è lo stesso, anche i dati storici. Gli economisti matematici ribadiscono che la situazione dell’economia matematica consiste nel fatto che ci sono un gran numero di variabili. La verità è che ci sono solo le variabili e non le costanti. E ‘inutile parlare di variabili dove non ci sono invarianti.
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Allora, qual è il corretto rapporto tra teoria economica e storia economica o, più precisamente, la storia in generale? La funzione dello storico è quello di cercare di spiegare i fatti storici unici che sono di sua competenza; per farlo in modo adeguato deve impiegare tutte le teorie rilevanti provenienti da tutte le varie discipline in relazione al suo problema. I fatti storici sono le risultanti complesse di una miriade di cause derivanti da differenti aspetti della condizione umana. Così, lo storico deve essere pronto ad usare non solo la teoria prasseologica economica, ma anche le intuizioni della fisica, la psicologia, la tecnologia e la strategia militare insieme ad una comprensione interpretativa dei motivi e degli obiettivi degli individui. Egli deve utilizzare questi strumenti per comprendere sia gli obiettivi delle varie azioni della storia sia le conseguenze di tali azioni. Perché è coinvolta la comprensione di diversi individui e delle loro interazioni, nonché il contesto storico, lo storico utilizzando gli strumenti delle risorse naturali e delle scienze sociali è, in ultima analisi, un “artista” e quindi non c’è nessuna garanzia o anche probabilità che uno qualsiasi dei due storici verranno giudicare una situazione esattamente allo stesso modo. Mentre possono accordarsi su una serie di fattori per spiegare la genesi e le conseguenze di un evento, è improbabile che possano essere d’accordo sul peso preciso da dare ogni fattore causale. Nell’impiegare le varie teorie scientifiche, devono prendere decisioni di rilevanza sulle teorie applicate in ogni singolo caso; per citare un esempio utilizzato in precedenza in questo documento, uno storico di Robinson Crusoe difficilmente impiegherebbe la teoria dei soldi in una spiegazione storica delle sue azioni su un’isola deserta. Per lo storico economico, la legge economica non è né confermata né testata da fatti storici; invece, la legge, se del caso, si applica per aiutare a spiegare i fatti. I fatti dimostrano in tal modo il funzionamento della legge. Il rapporto tra la teoria economica prasseologica e la comprensione della storia economica è stata sottilmente riassunta da Alfred Schütz (1899-1959 filosofo e sociologo austriaco): Nessun atto economico è immaginabile senza qualche riferimento ad un attore economico, ma quest’ultimo è assolutamente anonimo; non sei tu, né io, né un imprenditore e nemmeno un “uomo economico”, in quanto tale, ma un puro universale “uno”. Questo è il motivo per cui le proposizioni di economia teorica hanno proprio questa “validità universale”, che dà loro l’idealità della “e così via” e “posso farlo di nuovo”. Tuttavia, si può studiare l’attore economico in quanto tale e cercare di scoprire che cosa sta succedendo nella sua mente; naturalmente, non si è quindi impegnati in economia teorica, ma nella storia economica o sociologia economica. … Tuttavia, le dichiarazioni di queste scienze non possono rivendicare alcuna validità universale, perché trattano sia con i sentimenti economici di particolari individui storici sia con tipi di attività economica per la quale gli atti economici in questione ne sono la dimostrazione. … A nostro avviso, l’economia pura è un perfetto esempio di un obiettivo dal significato complesso, più o meno soggettivo, significato-complessi, in altre parole, una configurazione di significato oggettiva che preveda le tipiche e invarianti esperienze soggettive di chi agisce all’interno di un quadro economico … Escluso da tale schema non dovrebbe avere alcuna considerazione degli usi a cui i “beni” sono da utilizzare dopo che sono stati acquisitati. Ma una volta che lo facciamo, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al significato personale di un vero e proprio individuo, lasciando dietro l’anonimo “chiunque”, poi, naturalmente, ha senso parlare di comportamento che è atipico. … A dire il vero, tale comportamento è irrilevante dal punto di vista dell’economia ed è in questo senso che i principi economici sono, nelle parole di Mises: “Non una dichiarazione di quanto accade di solito, ma di ciò che necessariamente deve accadere”.
LEGENDA
1.See in particular Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics (New Haven: Yale University Press, 1949); also see Mises, Epistemological Problems of Economics, George Reisman, trans. (Princeton, NJ: Van Nostrand, 1960).
2.See Murray N. Rothbard, “Praxeology as the Method of the Social Sciences,” in Phenomenology and the Social Sciences, Maurice Natanson, ed., 2 vols. (Evanston: Northwestern University Press, 1973), 2 pp. 323–35 [reprinted in Logic of Action One, pp. 29–58]; also see Marian Bowley, Nassau Senior and Classical Economics (New York: Augustus M. Kelley, 1949), pp. 27–65; and Terence W. Hutchinson, “Some Themes from Investigations into Method,” in Carl Menger and the Austrian School of Economics, J.R. Hicks and Wilhelm Weber, eds. (Oxford: Clarendon Press, 1973), pp. 15–31.
3.In answer to the criticism that not all action is directed to some future point of time, see Walter Block, “A Comment on ‘The Extraordinary Claim of Praxeology’ by Professor Gutierrez,” Theory and Decision 3 (1973): 381–82.
4.See Mises, Human Action, pp. 101–2; and esp., Block, “Comment,” p. 383.
5.For a typical criticism of praxeology for not using mathematical logic, see George. J. Schuller, “Rejoinder,” American Economic Review 41 (March 1951): 188.
6.John Maynard Keynes, The General Theory of Employment, Interest, and Money (New York Harcourt, Brace, 1936), pp. 297–98.
7.See Murray N. Rothbard, “Toward a Reconstruction of Utility and Welfare Economics,” in On Freedom and Free Enterprise, Mary Sennhoz, ed. (Princeton, NJ: D. Van Nostrand, 1956), p. 227 [and reprinted in Logic of Action One]; Rothbard, Man, Economy, and State, 2 vols. (Princeton: D Van Nostrand, 1962), 1:65–66. On mathematical logic as being subordinate to verbal logic, see Rene Poirier, “Logique,” in Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Andre Lalande, ed., 6th ed. Rev. (Paris: Presses Universitaires de France, 1951), pp. 574–75.
8.Bruno Leoni and Eugenio Frola, “On Mathematical Thinking in Economics” (unpublished manuscript privately distributed), pp. 23–24; the Italian version of this articles is “Possibilita di applicazione della matematiche alle discipline economiche,” Il Politico 20 (1995).
9.Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy (New York: Augustus M. Kelley, 1964), p. xxvi n.
10.Boris Ischboldin, “a Critique of Econometrics,” Review of Social Economy 18, no. 2 (September 1960): 11 N; Ischboldin’s discussion is based on the construction of I.M. Bochenski, “Scholastic and Aristotelian Logic,” Proceedings of the American Catholic Philosophical Association 30 (1956): 112–17.
11.Karl Menger, “Austrian Marginalism and Mathematical Economics,” in Carl Menger, p. 41.
12.Mises, Human Action, p. 34.
13.John Wild, “Phenomenology and Metaphysics,” in The Return to Reason: Essays in Realistic Philosophy, John Wild, ed. (Chicago: Henrey Regnery, 1953), pp. 48, 37–57.
14.Harmon M. Chapman, “Realism and Phenomenology,” in Return to Reason, p. 29. On the interrelated functions of sense and reason and their respective roles in human cognition of reality, see Francis H. Parker, “Realistic Epistemology,” ibid., pp. 167–69.
15.See Murray N. Rothbard, “In Defense of ‘Extreme Apriorism,’” Southern Economic Journal 23 (January 1957): 315–18 [reprinted as Volume 1, Chapter 6]. It should be clear from the current paper that the term extreme apriorism is a misnomer for praxeology.
16.Say, A Treatise on Political Economy, pp. xxv–xxvi, xlv.
17.Friedrich A. Hayek, “The Nature and History of the Problem,” in Collectivist Economic Planning, F.A. Hayek, ed. (London: George Routledge and Sons, 1935), p 11.
18.John Elliott Cairnes, The Character and Logical Method of Political Economy, 2nd ed. (London: Macmillan, 1875), pp. 87–88; italics in the original.
19.Bowley, Nassau Senior, pp. 43, 56.
20.Mises, Epistemological Problems, p. 19.
21.Bowley, Nassau Senior, pp. 64–65.
22.Hao Wang, “Notes on the Analytic-Synthetic Distinction,” Theoria 21 (1995); 158; see also John Wild and J.L. Cobitz, “On the Distinction between the Analytic and Synthetic,” Philosophy and Phenomenological Research 8 (June 1948): 651–67.
23.John J. Toohey, Notes on Epistemology, rev. ed. (Washington D.C.: Georgetown University, 1937), p. 36.; italics in the original.
24.R.P. Phillips, Modern Thomistic Philosophy (Westminster, Maryland: Newman Bookshop, 1934–35), 2, pp. 36–37; see also Murray N. Rothbard, “The Mantle of Science,” in Scientism and Values, Helmut Schoeck and James W. Wiggins, ed., (Princeton, NJ: D Van Nostrand, 1960), pp. 162–65.
25.Toohey, Notes on Epistemology, p. 10. Italics in the original.
26.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 2, Studies in Social Theory, A. Brodersen, ed. (The Hague: Nijhoff, 1964), p. 4; see also Mises, Human Action, p. 24.
27.Alfred Schütz, Collected Papers of Alfred Schütz, vol. 1, The Problem of Social Reality, A. Brodersen, ed. (the Hague, Nijhoff), 1964, p. 65. On the philosophical presuppositions of science, see Andrew G. Van Melsen, The Philosophy of Nature (Pittsburgh: Duquesne University Press, 1953), pp. 6–29. On common sense as the groundwork of philosophy, see Toohey, Notes on Epistemology, pp. 74, 106–13. On the application of a similar point of view to the methodology of economics, see Frank H Knight, “‘What is Truth’ in Economics,” in On the History and Method of Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1956), pp. 151–78.
28.Joseph Dorfman, The Economic Mind in American Civilization 5 vols. (New York: Viking Press, 1949), 3, p. 376.
29.Friedrich A. Hayek, “The Non Sequitur of the ‘Dependence Effect,’” in Friedrich A. Hayek, Studies in Philosophy, Politics, and Economics (Chicago: University of Chicago Press, 1967), pp. 314–15.
30.Mises, Human Action, p. 124.
31.See Rothbard, “Toward a Reconstruction,” pp. 230–31.
32.Ludwig von Mises, Theory and History (New Haven: Yale University Press, 1957).
33.Mises, Human Action, pp. 55–56, 348.
34.Cowles Commission for Research in Economics, Report for the Period, January 1, 1948–June 30, 1949 (Chicago: University of Chicago Press, 1949), p. 7, quoted in Mises, Theory and History, pp. 10–11.
35.Ibid., pp. 10–11.
36.Ludwig von Mises, “Comments about the Mathematical Treatment of Economic Problems” (Cited as “unpublished manuscript”; published as ” The Equations of Mathematical Economics” in the Quarterly Journal of Austrian Economics, vol. 3, no. 1 (Spring 2000), 27–32.
37.Mises, Theory and History, pp. 11–12; see also Leoni and Frola, “On Mathematical Thinking,” pp. 1–8; and Leland B. Yeager, “Measurement as Scientific Method in Economics,” American Journal of Economics and Sociology 16 (July 1957): 337–46.
38.Alfred Schütz, The Phenomenology of the Social World (Evanston, Ill.: Northwestern University Press, 1967), pp. 137, 245; also see Ludwig M. Lachmann, The Legacy of Max Weber (Berkeley, California: Clendessary Press, 1971), pp. 17–48.
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