Genesi 1, per via della molteplicità dei suoi temi e delle sue idee, è il capitolo più denso della Bibbia ed anche la narrazione più influente nella storia della letteratura umana, avendo dato forma alla visione del mondo della nostra società globale moderna.
Genesi 1 introduce l'idea nuova ed originale del tempo come sequenza lineare: a differenza di tutte le altre storie della Creazione, con le sua prime due parole "In Principio" stabilisce un punto d'inizio del tempo che sarà seguito da una successione causale e lineare di eventi.
La Creazione (o il riempire il mondo) possiede una narrativa che si sviluppa attraverso un lasso di tempo preciso e limitato a sei giorni. A differenza di moltri altri racconti, il tempo non è circolare, ma bensì lineare, come una cronaca di eventi che si succedano gli uni agli altri.
Introduce anche le tre più fondamentali differenze, che costituiscono la peculiarità della visione del mondo Giudeo-Cristiano-Islamico:
Dio, il creatore, è illustrato qui come il supremo tecnocrate: usa il metodo procedurale della prova e dell'errore – come farebbe qualsiasi scienziato – e, dopo aver visto che quella particolare creazione è "cosa buona", allora, e solo allora, procede a creare ulteriori parti dell'Universo. La creazione è fatta utilizzando un vuoto indescrivibile e senza forma, acque, terre e masse biologiche utilizzate come materiale grezzo e senza anima allo scopo di arrivare al culmine della creazione di Dio con l'Umanità "ad immagine e somiglianza di Dio" - che perciò condivide qualche attributo divino con il creatore – alla quale la Natura è donata per essere usata allo scopo di permettere all'Umanità di avanzare nella via del progresso e di essere " fecondi e prolifici". Genesi 1, lontano dall'essere solo una narrazione della creazione, è di per se stessa il concentrato di un trattato teologico e filosofico.
Il potere è l'importanza di questa serie di idee fondamentali non possono essere abbastanza rimarcati, essendo il fondamento dei pilastri sui quali il pensiero occidentale poggia la sua costruzione, in tutti i suoi aspetti: religiosi, mondani o scientifici. La sua importanza non può essere sopravvalutata e questo dovrebbe essere abbastanza evidente di per se stesso a chiunque condivida la nostra cultura. Purtroppo, essendo troppo evidente, tale evidente influenza pare quasi universalmente sfuggire ai più.
Così rimarchevole come la sostanza del pensiero del singolo capitolo oggetto di questo articolo, la forma letteraria non lo è di meno, essendo basata su di uno stile ieratico e su di una peculiare struttura Chiastica 1 detta palistrope (legando i primi tre giorni ai tre sucessivi). Lo stile della Genesi trasmette al lettore solennità e autorità indisputabile, ma, nondimeno, rende difficile se non impossibile per un ordinario lettore moderno il prendere per verità letterale la narrazione dei primi sei giorni del mondo, come è descritta, senza cadere in qualche tipo di dissonanza cognitiva.
Sorprendentemente, la suddetta dissonanza cognitiva è preoccupante non solo se prendiamo ad esempio la persona ordinaria, ma anche studiosi della Bibbia, in particolare quelli che devono incasellarla in un particolare genere letterario.
Infatti possiamo sostenere, prendendo ad esempio uno dei più rispettati studiosi biblici, Wenham, il quale è un esempio della posizione comunemente accettata in Teologia 2 , che trovare una definizione che categorizzi il libro della Genesi è davvero un grosso problema per gli studiosi, al punto che si spingono ad usare un termine in una lingua straniera, il tedesco [nel caso di non madrelingua germanici] Urgeschichtle, per essere in grado di evitare il termine Mito per la narrativa della Genesi (ed in generale per tutto il Pentateuco).
La posizione di cui sopra, che illustro prendendo ad esempio il professor Wenham, mi lascia molto interdetto per più di una ragione.
Innanzi tutto, Wenham da una definizione di Mito usando una quota dal Dizionario Conciso di Oxford 3 , che per gli studiosi non ha alcuna autorità o affidabilità. Per mezzo di questo escamotage molto usato, Welhan usa il significato meno accademico e più restrittivo del termine che sia a lui possibile trovare, e lo fa per esaminare il significato di una parola in un contesto accademico, commettendo quella che è, a mio avviso, una evidente fallacia.
Inoltre, con questo trucco, riesce a evitare completamente e con nonchalanche ad ignorare come minimo 70 anni di storia della Mitologia Comparata, dell'Antropologia e della Psicologia.
Qualcosa come 77 anni prima del saggio di Wenham, Bronislaw Malinowski 4 scriveva:
Studiato sul campo, il Mito [...] è non solo una spiegazione soddisfacente per una questione di interesse scientifico, ma la resurrezione diventata narrazione di una realtà primordiale, raccontata con soddisfacente profondità per necessità religiose, aspettative di moralità, sottomissione sociale, asserzione, persino scopi pratici. Il Mito fornisce alla cultura primitiva una funzione indispensabile: esprime, sviluppa e codifica le credenze, salvaguarda e difende la moralità, è prova di efficienza dei rituali e contiene regole pratiche che guidino gli uomini. Il Mito e perciò un ingrediente vitale della civiltà umana: non è una semplice favola, ma bensì una forza attiva e funzionante; non è una spiegazione intellettuale o una immagine artistica, ma un fondamento pragmatico di fede e saggezza morale primitiva. [...] Questa storie [...] sono per i nativi una dichiarazione di una primordiale, più grande, più rilevante realtà, per cui la vita presente, i fatti e le attività dell'umanità sono determinate, la conoscenza delle quali fornisce all'uomo la motivazione per rituali e azioni morali, come pure indicazioni sulla loro liturgia. 5
Il punto di vista di Malinowski sul Mito è, come abbiamo potuto vedere nel passo di cui sopra, molto più articolata della definizione sul Dizionario Conciso di Oxford ed è generalmente riconosciuta da accademici di parecchie discipline in tutto il mondo. è anche perfettamente coerente con quanto possiamo leggere sulla Genesi bibilca.
Nel 1963 Mircea Eliade 6 scrisse:
Negli ultimi 50 anni, come minimo, gli accademici occidentali si sono avvicinati allo studio del mito da un punto di vista decisamente diverso da quello, per esempio, del 19mo secolo. Diversamente dai loro predecessori, che trattavano il mito con l'usuale significato della parola, ovvero come "favola", "invenzione", "narrativa", essi l'hanno accettato nella maniera in cui era interpretato dalle società arcaiche, dove, al contrario, "mito" significa una "Storia vera" e, inoltre, una storia che il più prezioso possesso perché è sacra, esemplare e significativa. Questo nuovo valore semantico attribuito al termine "mito", rende il suo uso nel gergo contemporaneo piuttosto equivoco. Oggi, in effetti, la parola è usata in entrambi i sensi, in quello di "narrativa" o "illusione" ed in quello familiare specialmente a etnologi, sociologi e storici delle religioni, il senso di "tradizione sacra, rivelazione primordiale, modello esemplare". 7
Dopo aver creato il suo "uomo di paglia", Wenham procede nel farne un falò:
Se l'unica ragione per definire Genesis 1-11 un mito è il fatto che Dio sia presente nella storia, si dovrebbe allora definire tutta la Bibbia un mito, cosa che pochi vorrebbero spingersi a fare. 8
A parte la risibile idea per cui non si può chiamare qualcosa in qualche modo piuttosto che in un altro perchè "pochi vorrebbero spingersi a farlo", si manca completamente il punto, comparando quelli che sono di sicuro due generi differenti: il mito epico ed il mito della creazione.
Quella che Wenham riporta come una quotazione da Rogerson (che gli Israeliti non si aspettavano di avere esperienza del mondo nei termini della Genesi ma che nonostante questo considerassero la sua narrativa come "un dato di fatto"), ci dice precisamente che un mito è compreso dalla gente che ne fa uso come:
[...] un complesso di storie – alcune senza dubbio fattuali ed altre fantastiche – che per varie ragioni, gli esseri umani ritengono essere dimostrazioni di profondo significato nell'universo e nella vita umana. 9
A questo punto è chiaro come non possa essere d'accordo con Wenham - che se la storia del Big Bang è vera, essendo una storia difficile da capire e da essere creduta, anche la Genesi dovrebbe essere ritenuta come vera - perché esse possono essere considerate entrambe come miti e come realtà allo stesso tempo, essendo il loro posto non nella Protostoria, come Wenham suggerisce, ma invece nella Metastoria.
In altre parole, esse sono oltre il reame della verità e della falsità, per l'uso di immagini come metafore che consentono l'Uomo di dare un senso ad un mondo che è oltre la descrizione letterale e perciò al confine con l'ineffabile.
Come Wenham fa notare, non c'è evidenza che la narrativa della Genesi sia stata originata dalla trascrizione di storie orientali precedenti. Più che la similitudine con altri racconti di Creazione di origine Mesopotamica, è la notevole differenza nei toni e nella interpretazione teologica ad essere la sua caratteristica veramente rimarchevole.
La Genesi biblica non è solo un mito di Creazione, ma anche il racconto della Caduta dell'Uomo. Mentre in altri racconti la Creazione è già fallata in partenza, nel racconto biblico la Creazione al principio è perfetta in essa stessa e non c'è presagio del disastro (o per meglio dire dei vari disastri) che dovranno seguire.
Come correttamente fa notare Weham, la Genesi non ha fede nel progresso e la salvezza consiste nella restaurazione dell'inizio perfetto, in linea con la credenza dell'Età dell'Oro che riemerge periodicamente nella storia del pensiero occidentale e dimostra la persistenza e l'importanza della Genesi in tutta la susseguente storia della nostra cultura.
Quel che ho pubblicato è la traduzione di una mia lettura, scritto per un Seminario dell'Università del Gloucestershire, originariamente in lingua inglese e già pubblicato nella sezione in Inglese qui sul Portico Dipinto. Ho pensato che potesse essere d'interesse - visto il grande successo che alcuni hanno nel vendere libri e portare le loro persone in giro per l'Italia spacciandosi per "ricercatori" biblici - per fare un esempio di livello infimo – ma a mio avviso più coerente col soggetto trattato – di discussione accademica tra veri studenti, opposta a pseudo ricercatori d'accatto.
Collegamenti:
[1] http://ilporticodipinto.it/category/classificazione-articoli/filosofia
[2] http://ilporticodipinto.it/category/classificazione-articoli/religione
[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Chiasmo
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Malinowski
[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Mircea_Eliade
[6] https://www.amazon.com/dp/1577660099/ref=as_li_ss_til?tag=ilporticdip0f-20&camp=0&creative=0&linkCode=as4&creativeASIN=1577660099&adid=1ZV9ENPWA0JR4P5N3EN2&
[7] https://www.amazon.com/dp/0807013757/ref=as_li_ss_til?tag=ilporticdip0f-20&camp=0&creative=0&linkCode=as4&creativeASIN=0807013757&adid=15Z9YF585YGXVDSSXKZ6&