Torno a scrivere in questo spazio meraviglioso che è Il Portico Dipinto dopo tanto tempo. Mi scuso per la lunga assenza, ma le vicende della vita sono imprevedibili, imperscrutabili e a volte anche piuttosto ironiche.
Torno con un articoletto mentre preparo l’ultimo capitolo della fatica con cui ho lasciato il blog. Vorrei qui esprimere un mio pensiero prendendo spunto da quanto mi accade, puntualmente come il ricorrere della dichiarazione dei redditi, quando partecipo a un concerto.
Le bande, si sa, sono una delle anime culturali del nostro paese; ed è bello che sia così, anche se il loro ruolo non sempre è riconosciuto come meriterebbe. Partecipo spesso ai concerti delle bande e a volte, immancabile come il prezzemolo sull’insalata di mare, come primo o secondo bis scatta l’inno di Mameli. O peggio ancora, la celebre Marcia di Radetzky.
Ho assistito a un concerto bandistico in un importante teatro cittadino, in cui il direttore dichiarò candidamente che non avrebbe eseguito come bis la Marcia di Radetzky in quanto sarebbe stato immorale. In un paese mediamente acculturato, questa dichiarazione avrebbe dovuto generare un boato di approvazione in sala; invece la platea restò muta e le signore sedute dietro di me si chiesero sconcertate “Perché???”
Perché, signore, se la storia venisse studiata davvero e non per finta, sapreste chi era Radetzky e cosa fece ai vostri compatrioti.
Ma questa è storia, e non interessa a nessuno. Alle platee italiote interessa solo poter battere le mani (rigorosamente fuori tempo) mentre le bande suonano la Marcia di Radetzky scimmiottando ignorantemente l’orchestra di Vienna a Capodanno.
Come bis, talvolta, viene eseguito invece l’inno di Mameli. Usanza per me altrettanto insensata, visto che i concerti a cui ho assistito non erano organizzati in occasione di festività civili nazionali.
Fino a non troppi anni fa, quasi nessuno si alzava in piedi e ancora meno persone si mettevano a cantare l’inno. Poi è arrivata la Lega Nord a bruciare la bandiera nazionale e poi ancora ci fu lo scandalo dei calciatori azzurri che rimanevano muti durante l’esecuzione dell’inno in campo. E così tutti si scoprirono improvvisamente patrioti pronti a dare il sangue e a cantare l’inno a squarciagola.
Naturalmente, quando l’inno viene eseguito a un concerto e la platea scatta in piedi, io resto seduta al mio posto.
Tutto ciò con gravissimo sconcerto di quanti ho attorno, i quali mi lanciano sguardi sdegnati mentre con una mano si tengono il cuore, forse temendo che possa saltare fuori dalla cassa toracica.
Ma il fatto è estremamente semplice: non mi riconosco nell’inno massonico di uno Stato creato e gestito da massoni.
L’amore che provo per il mio paese e tutto quanto faccio, nel mio piccolo, per mantenerlo bello e preservarlo dagli sciacalli, sono del tutto indipendenti dalla deferenza obbligatoria che si deve a un inno o a una bandiera. Il territorio in cui sono nata mi rappresenta, non un inno massonico o una bandiera che segna confini politici.
Quello che faccio per il mio paese non ha bisogno di bandiere o di inni; non ho bisogno di leggi o regole che mi obblighino a rispettarlo. E io continuerò a non alzarmi quando si suona l’inno massonico e a non battere le mani durante la trionfale marcia del dominio asburgico.