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Una dorata via di fuga dal fiasco monetario

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Una dorata via di fuga dal fiasco monetario

Autore: Thorsten Polleit Data: 7 gennaio 2009 Fonte: A golden way out of the monetary fiasco

Il regime monetario controllato dal governo – la forza più distruttiva messa in moto dall'interventismo di stato – è finalmente saltato in pezzi. Questo è il messaggio trasmesso dal fiasco monetario sui mercati globali del capitale, a cui si dà tipicamente il nome di crisi internazionale del credito. Tuttavia, politici e banche centrali in tutto il mondo stanno cercando con grande sforzo di nascondere questa verità e le sue conseguenze agli occhi del pubblico attraverso il ricorso ad un interventismo sui mercati ancor più invasivo. Le banche centrali riforniscono quelle commerciali con ogni ammontare di base monetaria richiesta per evitare loro di fallire a causa dei debiti. La Federal Reserve, per esempio, continua ad aumentare la base monetaria al ritmo più elevato dal 1919 (vedi grafico sottostante). [1]

La Federal Reserve sta monetizzando vari tipi di asset cartacei. Di conseguenza il bilancio della FED è cresciuto da 909 a 2189 miliardi di dollari nel periodo dalla fine di agosto 2007 fino alla metà di novembre 2008, buona parte del quale è rappresentato da un considerevole aumento nei depositi di banche, del ministero del tesoro USA ed altre istituzioni presso la FED (vedi grafico sottostante).

Oltre a questo, non solo la Federal Reserve ma virtualmente tutte le altre maggiori banche centrali hanno ridotto drasticamente il tasso di interesse per facilitare il prestito alle banche commerciali ed ai debitori in generale (vedi grafico sottostante). L'aver ribassato I tassi ufficiali d'interesse le banche centrali sperano di riattivare il mercato del credito, sostenere I prezzi degli asset e mantenere le economie sulla strada dell'espansione.

Tuttavia la diminuzione dei tassi d'interesse a breve termine delle banche centrali non è (finora) riuscito ad abbassare il costo del credito il quale è cresciuto considerevolmente in conseguenza delle turbolenze nei mercati del credito. Infatti, I rendimenti delle obbligazioni societarie han continuato ad aumentare. Questo è valso ad esempio negli Stati Uniti tanto per obbligazioni societarie a rischio elevato quanto per altre a rischio minore (vedi grafico sottostante).

La differenza tra il tasso d'interesse a breve termine delle banche centrali ed I rendimenti delle obbligazioni societarie – cioè il cosiddetto yield spread, che può essere interpretato come una misura del rischio di insolvenza – è cresciuto con forza nei mesi recenti. Lo yield spread degli USA ha raggiunto il maggior livello sin dal periodo della grande depressione (vedi grafico sottostante).

Nonostante la crescente preoccupazione sull'aumento dei fallimenti nel mercato del credito, I correntisti ed investitori in obbligazioni di banche commerciali sembrano essere rimasti piuttosto fiduciosi che misure d'emergenza da parte dei governi riusciranno a prevenire fallimenti bancari su larga scala. La gente sembra credere che, dovessero le banche commerciali correre il rischio concreto di insolvenza, I governi in sua vece esproprieranno il contribuente (in particolare le generazioni future attraverso un aumento del debito pubblico) al fine di evitarle potenziali perdite. Tale opinione potrebbe esserle stata instillata in particolare dai pacchetti salva banche dei governi – incluse le iniezioni di capitali per aiutare le banche garantendo le loro passività ed accollandosi parte dei loro asset tossici. Nel frattempo, comunque, l'enorme fardello finanziario accumulato sui contribuenti futuri ha portato ad una crescente preoccupazione circa la solvibilità del governo, come evidenziato dall'incremento degli spread dei cosiddetti credit default swap (CDS) (vedi grafico sottostante); quest'ultimi possono essere interpretati come il prezzo di mercato dell'assicurazione contro perdite derivate da investimenti in titoli di stato.

Politici, banche centrali ed il grande pubblico possono sperare che con l'annunciare misure dl sostegno al settore bancario la fiducia possa essere ristabilita di modo che gli attori del mercato finanziario abbandoneranno la propria avversione al rischio per tornare agli affari di sempre – cioè, a prestare e indebitarsi come fecero prima che la burrasca cominciasse, nell'autunno 2007.

Distruggendo quanto resta del libero mercato Tuttavia questo ottimismo è infantile, specialmente ora che la posta in gioco è aumentata. Ludwig von Mises, uno dei capostipiti della scuola austriaca di economia, era cosciente dei pericoli corsi dalla libertà quando il sistema di “denaro e credito” supportato dal governo finisce nei guai. Mises scrisse che:

"ogni misura isolata di interferenza governativa coi fenomeni di mercato è destinata a fallire nel proprio obiettivo Se il governo interventista decidesse di rimiediare alle difficoltà create dalla sua precedente interferenza attraverso uteriori interferenze, finirebbe col ridurre il sistema economico della nazione in un socialismo sul modello tedesco. Poi abolirebbe l'intero mercato interno e con esso il denaro e tutte le problematiche monetarie, nonostante possa ancora conservare qualche apparenza ed etichetta dell'economia di mercato." [2]

Mises vide chiaramente che un fiasco monetario non sarebbe stato imputato all'interventismo di stato in materia monetaria ma attribuito al capitalismo: la gente avrebbe attribuito I mali conseguenti – quali la disoccupazione, I salari in diminuzione etc... - alle macchinazioni del libero mercato. Oltre a ciò, avrebbero invocato un maggior intervento governativo dietro convinzione che una tale azione porterebbe alla fine delle calamità. Mises fece notare:

“Il boom produce povertà. Ma ancor più disastrose sono le devastazioni morali. Esso scoraggia le persone. Più ottimiste furono sotto la prosperità illusoria del boom, maggiore è la loro disperazione e frustrazione. L'individuo è sempre pronto a considerare la propria fortuna come risultato della propria efficienza ed a considerarla un premio ben meritato del proprio talento, impegno e rettitudine. Ma la sfortuna la imputa sempre ad altre persone e soprattutto all'assurdità delle istituzioni politiche e sociali. Non se la prende con le autorità per aver incentivato il boom. Le accusa per l'inevitabile collasso. Nell'opinione del pubblico, più inflazione e maggior espansione del credito sono I soli rimedi contro ciò che l'inflazione e l'espansione del credito hanno provocato.” [3]

L'espansione del credito causa disastri Le cause dell'attuale fiasco monetario possono certamente essere ricondotte al sistema di fiat money [denaro inconvertibile imposto per legge - NdT] controllato dal governo. Sotto questo regime le banche commerciali, col supporto di quelle centrali, aumenta la massa di denaro ogni volta che concedono prestiti a soggetti non bancari (privati, aziende e soggetti del settore pubblico) o comprano asset da essi. Tale pratica, che consente alle banche commerciali di creare soldi dal nulla, porta solo guai poichè le banche decuplicano la massa monetaria sulla base di risparmi reali dell'economia. Il credito effettuato dalle banche (ed il corrispondente ulteriore aumento di massa monetaria in forma di mezzi fiduciari) in eccesso rispetto ai reali risparmi dell'economia è ciò che Mises chiama espansione del credito. I risparmi sono quella parte degli attuali salari che non vengono spesi ma investiti. Come tali, I risparmi rappresentano merci che vengono ceduti (sul mercato del tempo) in cambio di merci future; quest'ultime sono semplicemente merci che si ritiene diverranno – come risultato del processo produttivo - merci presenti nel prossimo futuro. Negli Stati Uniti, ad esempio, I risparmi della gente negli ultimi decenni sono diminuiti notevolmente rispetto ai loro salari. Il livello di risparmio individuale è precipitato da una media dell'8-10%, prevalente nel periodo dagli anni '50 alla metà degli '80, fino al solo 1% nel terzo trimestre (vedi grafico sottostante).

L'evidenza del declino dei livelli di risparmio è stata accompagnata da un aumento del credito bancario che ha sopravanzato il livello dei salari sin dalla metà degli anni '80 (a seguito dell'abbandono delle ultime parvenze di parità con l'oro all'inizio degli anni '70), un processo che ha addirittura accelerato sin dalla metà degli anni '90.

Detto questo, un declino cronico dei risparmi accompagnato da un credito bancario che oltrepassa sempre più il livello dei salari punta dritto verso un enorme massa di denaro circolante, un processo che mette l'economia su una strada insostenibile, come stabilisce la teoria austriaca del ciclo economico. Inizialmente, l'aumento di massa monetaria dovuta al credito circolante porta a maggiori investimenti, occupazione e produzione generale. Tuttavia, qualunque impennata simile è condannata in partenza poichè l'economia sta vivendo oltre I propri mezzi. Prima o poi diviene ovvio che la domanda di denaro sorpassa le reali risorse dell'economia. La produzione, stimolata da tassi d'interesse artificialmente bassi, diviene sempre più ridondante, causando squilibri nel rapporto tra risparmi e consumi della gente. Quando la gente riduce I propri acquisti in beni d'investimento, l'espansione si trasforma in una contrazione e l'occupazione creata durante il boom è distrutta. Quando le economie rallentano (a causa di un insieme di errori) la gente si appella al sostegno del governo – in particolar modo nella forma di taglio dei tassi d'interesse delle banche centrali. Una diminuzione dei tassi di interesse può servire allo scopo (almeno in un limitato numero di casi) ribaltando la contrazione in una espansione. Tuttavia questa politica provoca un aumento degli squilibri nel tempo. Questo accade perchè una politica monetaria basata sulla manipolazione al ribasso dei tassi d'interesse mantiene in vita modelli di consumo insostenibili e investimenti improduttivi. I contraenti di progetti di spesa economicamente fallimentari non necessitano di liquidare e ripagare I propri debiti. Sopra a questo, tassi d'interesse artificialmente bassi incoraggiano altri investimenti. Ciò detto, una politica monetaria di ripetuta contrapposizione alle contrazioni cicliche attuata tramite taglio dei tassi d'interesse per espandere la disponibilità di denaro e credito, rischia di risultare in sempre più alti livelli di debito per il consumatore, le imprese ed I governi rispetto alle entrate.

Quando l'inflazione muta in deflazione A un certo punto I proprietari delle banche private potrebbero non voler più mettere a rischio I propri soldi, specialmente quando temono che I debitori possano mancare di saldare I propri debiti. Le banche commerciali ridurranno la propria esposizione al rischio connesso al credito e così comincia il processo detto di deleveraging. Quando le banche commerciali smettono di concedere nuovi prestiti e richiedono ai debitori di onorare I propri contratti, la disponibilità di denaro e prestiti nell'economia si contrae. A questo punto l'inflazione – cioè l'aumento di massa monetaria dovuta al credito circolante – muta in deflazione. La deflazione corregge I malinvestimenti provocati dall'inflazione. Il conseguente declino nella produzione, nei livelli d'occupazione e nei prezzi può essere doloroso per coloro che han beneficiato dell'inflazione (cioè i destinatari dei prestiti), ma esso redistribuirà risorse verso coloro che han sofferto economicamente a causa della precedente inflazione (cioè i creditori). Un'economia di libero mercato può certamente gestire le correzioni della deflazione. Tuttavia, l'apparato coercitivo dello stato non può: la sua stessa esistenza si basa in gran parte su quantità sempre crescenti di credito e denaro, in particolare per finanziare cascate crescenti di debito pubblico a bassi tassi d'interesse. Questo potrebbe chiarire perchè I governi facciano di tutto affinchè l'attuale sistema continui a produrre credito e denaro: attraverso l'aumento della base monetaria, il taglio dei tassi d'interesse, lo spendere il denaro dei (futuri) contribuenti su scala mai vista prima, o nazionalizzando il settore bancario. Ad ogni modo, queste misure non risolveranno il problema introdotto dall'espansione del credito. Come sottolineava Mises:

“Il boom può durare fintantochè l'espansione del credito procede ad un passo sempre più veloce. Il boom termina non appena le ulteriori quantità di mezzi fiduciari sono trattenute dal mercato dei prestiti. Ma non potrebbe durare per sempre nemmeno se l'inflazione e l'espansione del credito potessero espandersi all'infinito. Incontrerebbero infatti le barriere che trattengono l'espansione senza limiti del credito. La conseguenza sarebbe il crack-up boom ed il crollo dell'intero sistema monetario.” [4]

Tornare alla moneta del libero mercato Dosi sempre crescenti di intervento governativo non risolveranno I problemi causati dall'intervento governativo in materia monetaria. Ogni tentativo di fare ciò consumerà ulteriormente quel poco di libera società rimasta – già fortemente dannegiata dalle conseguenze di un regime monetario supportato dal governo. Una strategia per prevenire il disastro completo - la distruzione della moneta – sarebbe quella di restituire la moneta la libero mercato, come proposto da Mises e sviluppato in seguito da Murray N. Rothbard, uno dei migliori studenti di Mises. Secondo lo schema di Rothbard, la presente massa di denaro dovrebbe, in un primo momento, venire legata all'ammontare di riserve auree in deposito presso la banca centrale. [5] I possessori di moneta riceverebbero, per legge, il diritto di convertire su richiesta il proprio denaro in oro, con denaro definito in termini di unità di massa in oro. [6] Questo trasferimento lascierebbe solventi le banche commerciali. Le banche commerciali potrebbero, in ogni momento, convertire I propri debiti in oro (sistema a 100% di riserva). Mentre tale schema congelerebbe (arbitrariamente) lo status quo provocato dall'inflazione (il passato è il passato), ciononostante esso avrebbe una notevole attrattiva politica. Innanzitutto, le bancarotte tra banche non ridurrebbero più la massa monetaria, scongiurando quindi le ampiamente temute conseguenze della deflazione. In secondo luogo, eviterebbe perdite su vasta scala a debitori e creditori, perciò riducendo l'incentivo politico ad accendere la stampante dei soldi. In un successivo momento il settore bancario potrebbe essere privatizzato e abolita la presa del governo sulla massa monetaria. Dipenderebbe poi dal libero mercato la decisione su cosa usare come mezzo di scambio universalmente accettato; forse l'oro, l'argento od entrambi (bimetallismo) emergerebbero come standard monetario. Le banche centrali sarebbero chiuse. Il tasso di interesse diverrebbe un fenomeno di mercato, libero dalla manipolazione governativa. Comunque, sarebbe fuorviante sperare che I governi ed I loro banchieri centrali incentivassero un simile cambiamento. La via dorata per uscire dal fiasco monetario potrà venire solo da un cambiamento nella pubblica opinione. La gente deve reimparare che una moneta nel libero mercato, una moneta onesta, come la definì Mises, è l'elemento indispensabile per mantenere la pace sociale. Come scrisse Mises:

“E' impossibile fferrare il significato dell'idea di moneta onesta se non si comprende come sia stata concepita come strumento di protezione delle libertà civili contro intromissioni dispotiche dei governi. Ideologicamente essa appartiene allo stesso insieme in cui stanno le costituzioni e la carta dei diritti.” [7]

*** [1] L'aumento nella quantità di base monetaria fu in gran parte dovuto all'aumento di riserve bancarie, la maggior parte delle quali in forma di eccesso di riserve (invece di un aumento di depositi di monete e banconote da parte della gente). Le riserve obbligatorie delle banche presso la FED ammontavano a 39,7 miliardi di dollari nell'agosto 2007 ed a 50,5 miliardi di dollari a novembre 2008. [2] Mises, L.v. (1996), Human action, IV ed., Fox & Wilkes, San Francisco, pag. 474. [3] Ibid., pag. 576. [4] Ibid., pag. 555. [5] Si veda, per esempio, Rothbard, M.N. (1983), The mystery of banking, I ed., Richardson & Snyder, pag. 263. In questo contesto potrebbe essere interessante notare che, da statistiche fornite dalla banca nazionale austriaca, in tutta l'area euro le banche centrali detengono un totale di 350,63 milioni di once d'oro puro alla fine di settembre 2008, in USA 261,5 milioni ed in Giappone 24,6 milioni. [6] Ovviamente si potrebbe dibattere circa l'inclusione della massa di monete e banconote in circolazione nell'insieme di denaro convertibile in oro. In più, si dovrebbe anche discutere l'opzione di collegare le intere passività del sistema di banche commerciali (possibilmente escludendo le partecipazioni azionarie) alle riserve d'oro della banca centrale. [7] Mises, L.v. (1912), The theory of money and credit, pag. 454.