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La canzone di Claude

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Negli ultimi anni del diciottesimo secolo un brillante compositore piemontese, che come noi dalle Alpi Piemontesi era finito nelle piovose isole britanniche per non tornare mai più "a baita", scrisse, così per sfizio, una marcia "à la Mozart". 

Non sapremo mai come lo spartito di Giovan Battista Viotti (o Jean Baptiste, come si faceva chiamare) sia finito in mano all'amico francese, anche lui compositore ma prima di tutto militare, ma quel che sappiamo è che nella notte del 25 aprile 1792, dopo una cena in cui si era certamente parlato di politica e della guerra rivoluzionaria appena dichiarata, Claude Joseph Rouget de Lisle, preso dal fervore creativo e patriottico (lui che rivoluzionario non era) mise insieme le parole per la musica del compositore piemontese.  Il dieci agosto successivo milizie rivoluzionarie provenzali diedero l'assalto al palazzo delle Tuileries a Parigi al suono della marcia di Jean Baptiste e cantando la canzone di Claude.  Il resto è storia. 

Inviterei gli amici della Val di Susa che in questi giorni hanno la loro routine giornaliera un pò modificata da decisioni prese da personaggi che sono per loro più alieni di qualcuno che arrivasse da Marte, a meditare sul testo di questa canzone di successo:

Allons, enfants de la Patrie,
Le jour de gloire est arrivé !
Contre nous de la tyrannie,
L'étendard sanglant est levé,
Entendez-vous dans les campagnes
Mugir ces féroces soldats ?
Ils viennent jusque dans vos bras
Égorger vos fils, vos compagnes !

Aux armes, citoyens
Formez vos bataillons
Marchons, marchons !
Qùun sang impur
Abreuve nos sillons !

Que veut cette horde d'esclaves,
De traîtres, de rois conjurés ?
Pour qui ces ignobles entraves,
Ces fers dès longtemps préparés ?
Français, pour nous, ah ! quel outrage !
Quels transports il doit exciter !
C'est nous qùon ose méditer
De rendre à l'antique esclavage !

Aux armes, citoyens
Formez vos bataillons
Marchons, marchons !
Qùun sang impur
Abreuve nos sillons !

Quoi ! des cohortes étrangères
Feraient la loi dans nos foyers !
Quoi ! ces phalanges mercenaires
Terrasseraient nos fiers guerriers !
Grand Dieu ! par des mains enchaînées
Nos fronts sous le joug se ploieraient
De vils despotes deviendraient
Les maîtres de nos destinées !

Aux armes, citoyens
Formez vos bataillons
Marchons, marchons !
Qùun sang impur
Abreuve nos sillons !

Tremblez, tyrans et vous perfides
L'opprobre de tous les partis,
Tremblez ! vos projets parricides
Vont enfin recevoir leurs prix !
Tout est soldat pour vous combattre,
S'ils tombent, nos jeunes héros,
La terre en produit de nouveaux,
Contre vous tout prêts à se battre !

[...]

Non credo che gli amici valsusini abbiano bisogno di traduzione, per gli altri c'è http://it.wikipedia.org/wiki/La_Marsigliese

PS

Mr. Takeda se la sta ridendo, in un angolo, come un deficiente.  Eppure anche lui queste cose dovrebbe capirle.  O no?

PS

Per illustrare come l'attacco debba essere coordinato e diversificato in una strategia complessa che non lasci spazio a inutili sogni Gandhiani, come coda a questo articolo inserisco parte di un articolo dell'amico Marco Bollettino su Oralibera(le) http://oraliberale.wordpress.com/2012/03/01/no-tavxation/
sperando che Marco sia contento di esser citato:

[...]È inutile chiedere ai politici romani (o piemontesi) di valutare ancora una volta i numeri, soppesare costi e benefici per la popolazione, e decidere se intraprendere l’opera o meno. Lo si è già fatto, solo che l’analisi politica considera altri numeri, non quelli usati dai Valsusini.

La logica del consenso e del potere se ne frega del ritorno economico per la collettività, ragiona invece in termini di tangenti, di voti, di favori da ricevere o restituire. Più soldi si spendono più potere si ottiene mentre i costi verranno pagati dalla collettività.

La risposta di un politico alla sua analisi costi-benefici della Tav, non può che essere la stessa dei referendari lo scorso giugno, quattro sì!

Allora forse sono proprio il linguaggio e la modalità della protesta ad essere sbagliati. Questa non è una “finta democrazia” a cui contrapporre una “vera democrazia” che si presume tuteli i diritti dei Valsusini sulle loro terre. Questa è la vera democrazia.

Allo stesso modo non saranno certo delle manifestazioni di piazza a Torino a far cambiare idea alla classe politica, specialmente se poi quest’ultima ha facile gioco a far passare la protesta come violenta o contaminata da infiltrazioni violente.

Le parole che i Valsusini dovrebbero utilizzare sono altre: autonomia e proprietà. Le terre della Val di Susa sono di proprietà dei Valsusini e quindi tocca a loro decidere autonomamente cosa farne. Non volete starli a sentire? Volete continuare a decidere a maggioranza senza ascoltare le loro ragioni? Buttando via denaro pubblico proprio mentre si chiedono sacrifici?

«Bene, se volete buttare via dei soldi, fatelo con i vostri. Finché non ci date ascolto, niente tasse a Roma». È il principio alla base della rivoluzione americana: no taxation without representation. Questo dovrebbe essere il cavallo di battaglia del movimento: la protesta fiscale, non i cortei le occupazioni di strade ed autostrade che in pratica non servono a nulla se non a rimediare qualche manganellata. [...]"